RUOLO DEI SOCIOLOGI OGGI: RICERCA QUANTITATIVA E QUALITATIVA Lavoro a cura di: Ileana Porta, Romeo Fortunata, Tirocchi Federica e Frasca Valentina. INDICE • • • • • • • • • INTRODUZIONE QUALITATIVO E QUANTITATIVO: VERSO UN’INTEGRAZIONE DISEGNO DELLA RICERCA L’APPROCCIO QUANTITATIVO: ILQUESTIONARIO L’APPROCCIO QUALITATIVO: L’INTERVISTA ASPETTI COMUNI E DISTINZIONI FONDAMENTALI CONFRONTO TRA RICERCA QUANTITATIVA E RICERCA QUALITATIVA RICERCHE NON INTRUSIVE CONCLUSIONI INTRODUZIONE La Sociologia studia quell’oggetto specifico che è il sociale, ovvero la Società. Oggi con la riscoperta dell’individualismo metodologico, la società descrive la realtà in maniera sintetica, infatti postula che la sociologia debba comprendere le motivazioni dell’azione dal punto di vista dell’individuo che agisce e ritiene che gli effetti macrosociologici (per esempio la nascita del capitalismo) siano il risultato dell’aggregazione di azioni individuali . Il sociologo cerca di capire come a determinate condizioni quel fenomeno si possa ripetere. Ricorsività e tipizzazione sono le dimensioni utilizzate dall’analista del sociale per comprendere i fenomeni. L’istanza sociologica su cui si basano determina i fenomeni sociali attraverso le leggi. Nella Sociologia, la ricerca empirica deve integrare la dimensione teorica, infatti la ricerca empirica va orientata secondo i concetti. Quando il sociologo elabora i dati, da subito, ha una sua interpretazione, che è il suo punto di vista, il suo modo di vedere il mondo. Possiamo parlare del ruolo del sociologo a partire da due funzioni: uno è il ruolo consultivo (Weber), dove il sociologo fa le diagnosi e il politico le utilizza. Dal rapporto tra Sociologia e Politica, possiamo parlare di Sociologia del politico dove il sociologo ha il ruolo del consulente. L’altro è il ruolo critico, dove vediamo il sociologo come disvelatore, nell’assolvere il suo ruolo disvela la realtà e spiega come a volte il potere sia inutile. Rivendica il ruolo della rappresentazione della realtà con la caduta del suo guscio apparente e il disvelamento del nucleo di verità. Ovviamente la funzione consultiva del sociologo è più realistica. La parte edificante del suo lavoro è nell’obiettività, nella logica dell’indagine scientifico-sociale, dove l’oggettività del metodo riposa nella pubblicità, ricorsività, controllo, scientificità. Quindi il ruolo del sociologo è quello di fornire conoscenza empirica nell’essere ricercatore, l’analista svolge il suo ruolo di praticante sociale. QUANTITATIVO E QUALITATIVO : VERSO UN’INTEGRAZIONE Le premesse logiche della conoscenza scientifica si possono sintetizzare in due paradigmi che si contrappongono: quello neopositivista, classico e costruttivista o interpretativista. Il primo paradigma utilizza metodiche quantitative, campioni rappresentativi, analisi dei dati fondate su elaborazioni statistiche e modelli matematici. Il secondo paradigma, si basa sulla convinzione che l’unico modo per comprendere ogni fenomeno è di osservarlo nel suo contesto e privilegia metodiche qualitative. La distinzione tra qualitativo e quantitativo comporta una notevole differenza. Sono infatti la natura dei dati, l’orientamento della ricerca, la sua flessibilità, il carattere oggettivo o soggettivo dei risultati che distinguono i due approcci, le cui differenze sono (o erano) così fondate da scatenare quella che è stata chiamata la “guerra dei paradigmi”, che ha enfatizzato l’incompatibilità tra le due posizioni epistemologiche, posizioni sottese ai due differenti tipi di ricerche. Per lungo tempo, le tecniche quantitative hanno goduto di miglior credito e questo per due ordini di motivi. In primo luogo, l’entusiasmo verso la scienza e i suoi progressi ha sostenuto la visione del mondo e dei fatti sociali, per analogia al mondo della natura, come suscettibili di essere conosciuti e di essere “spiegati”. In secondo luogo, la diffusione degli elaborati elettronici ha consentito la gestione informatica di grandi masse di dati e ha incentivato inchieste quantitative su larga scala. Negli anni più recenti, il dibattito si è orientato verso lo studio di una possibile integrazione tra i due metodi. Nuove tecniche di osservazione che guardano al vissuto del soggetto al mondo della quotidianità, hanno rilanciato l’approccio qualitativo, evidenziandone le potenzialità e la migliore adesione all’attualità della nostra epoca. Ci troviamo così in un momento di transizione: da un lato la necessità di riconcettualizzazione e quindi di messa in critica della capacità esplicativa di variabili “classiche”, come la classe sociale e il genere, invita a trovare nuove definizioni e i nuovi concetti, da “convalidare” con tecniche quantitative, dall’altro la complessità e la difficoltà di stare dietro all’incalzare del mutamento apre la strada alla rivalutazione della capacità esplicativa delle metodiche qualitative. Tutto ciò induce ad una considerazione: la necessità, per migliorare la conoscenza del mondo in cui viviamo, di un’integrazione fra i due metodi. È auspicabile un’integrazione che frutti il potenziale di complementarietà delle due tipologie di ricerche. La convergenza fra i risultati di due studi condotti sullo stesso problema, ma con metodiche differenti, rafforzerà la validità di entrambe. Oggi spesso troviamo ricerche quali-quantitative, nelle quali la parte statistica , individua, delle connessioni, correlazioni, mentre opportune tecniche qualitative, come le interviste in profondità, mettendo in luce “cosa c’è dentro quei dati”. PROCESSO DI RICERCA DISEGNO DELLA RICERCA COSTRUZIONE BASE EMPIRICA (RILEVAZIONE) ORGANIZZAZIONE DEI DATI (CODE BOOK E MATRICE DEI DATI) ANALISI DEI DATI GENERALIZZAZIONI EMPIRICHE DISEGNO DELLA RICERCA Riguarda la progettazione delle diverse fasi di una indagine a carattere empirico e costituisce la formalizzazione delle procedure necessarie al ricercatore per la realizzazione di un obiettivo cognitivo. OBIETTIVO COGNITIVO ESPLICATIVO DECRITTIVO L’interesse non è quello di descrivere solo un fenomeno conosciute ma anche di giungere ad una sua spiegazione inferendola da leggi e teorie L’APPROCCIO QUANTITATIVO I sostenitori dell’approccio quantitativo si allagano principalmente alla tradizione positivista. Negli anni ’60, la diffusione degli elaboratori elettronici e il loro costo sempre più contenuto hanno dato forte impulso alle tecniche quantitative. Il problema, infatti, come è facile comprendere, sta proprio nel concetto di “misurazione”, che delega allo studioso la capacità di costruire variabili e di trovare strumenti di rilevazione, indicatori non solo quelle “naturali“ ( sesso, età, professione, etc. ) ma anche costruire artificialmente. Il termine di VARIABILE è stato tratto dalla matematica e dalla fisica ed INDICA UNA MISURA O UNA CLASSIFICAZIONE SOTTOPOSTA A REGOLE FORMALI , E CHE HA LA CAPACITA’ DI DESCRIVERE ADEGUATAMENTE UN FEMONENO O DI UN CONCETTO, E DI RIPRODURRE IL REALE. Funzione della misura è quella di connettere ogni concetto a qualcosa, a qualunque livello di astrazione, alla realtà, preparando la verifica successiva delle ipotesi formulate. La decisione più importante che il ricercatore deve prendere è definire in modo chiaro ed esaustivo cosa misurare: se si commettono errori in questa prima fase si continuerà a spendere solo soldi ed energia. La necessità di arrivare ad una “misurazione” impone una accurata e definita messa a punto dell’impianto teorico e concettuale: a differenza della ricerca quantitativa, la flessibilità e la possibilità di aggiustamenti in itinere è praticamente impossibile. Nella ricerca quantitativa viene definito come un “DISEGNO” il programma più lavoro empirico, organizzato nell’ambito di un quadrato sistematico vincolante. Si articola in quattro tappe: • FASE PRELIMINARE D’ IMPOSTAZIONE Si definisce l’oggetto di studio attraverso la formulazione di opportune ipotesi sperimentali. Ciò si esplica mediante l’isolamento delle teorie già disponibili inerenti il tema d’esame. A partire da ciò, il ricercatore dovrebbe formulare delle ipotesi operative, indispensabili per guidare la fase di rilevanza delle informazioni necessarie alla ricerca. (Le azioni che abbiamo descritto, ovviamente, dipendono anche dalle risorse umane e finanziarie a disposizione dell’operatore, in quanto massima attenzione alla fattibilità del disegno di ricerca). 1) RILEVAZIONE DELLE INFORMAZIONI PER LA PRODUZIONE DEI DATI Si pone la necessità, a fronte di una sempre più frequente referenza alle fonti di statistica ufficiale, avuta per il basso costo delle informazioni, di individuare la fonte dalle quali ricavare i dati; successivamente si procederà alla selezione delle tecniche necessarie per la raccolta dei dati grezzi resisi disponibili. 2) ORGANIZZAZIONE DEI DATI E SUCCESSIVA ELABORAZIONE L’elaborazione dei dati deve essere coerente con le esigenze espresse dalle ipotesi operative: è opportuno mantenere una forte logica con il referente concettuale, pur lasciando allo studioso un grado di libertà nella parziale riformulazione delle ipotesi operative, qualora inadeguate alle esigenze originali di ricerca. 3) FORMULAZIONE DEI RISULTATI Qui si chiude il processo di indagine, con la generalizzazione dei risultati. La generalizzazione terrà conto della strutturazione delle ipotesi e segnalerà gli aspetti più significativi individuati nel corso dell’indagine: si procede per livelli di elementi approfondimento descrittivi ed successivi, analisi fornendo contemporaneamente, interpretative. L’obiettivo della generalizzazione è passata dalle proposizioni descrittive a proposizioni interpretative. L’obiettivo della generalizzazione è passata dalla proposizione descrittiva a proposizione interpretativa dei fenomeni. (Il limite, infatti, della proposizione descrittiva è che tende a fare riferimento ad una circoscritta entità geografica e sociale con scarse possibilità estrapolative dei risultati acquisiti). Il compito del ricercatore sarà, quindi: operare in un contesto empirico multidisciplinare, dominando diversamente “dimensioni” logiche del processo di ricerca, e manifestando doti di ANALISI E SINTESI. Deve avere, quindi, queste DOTI: 1) Conoscenza approfondita del teorico di riferimento; 2) Capacità di generalizzazione; 3) Predisposizione all’analisi quantitativa ed esperto utilizzatore della statistica sociale; 4) Abilità nella lettura da dati statistici; 5) Attento e cauto nell’interpretazioni dei risultati; 6) Critico nelle proprie affermazioni. • IL QUESTIONARIO Per “rilevazione diretta”, ci si riferisce a quelle ricerche che hanno come “unicità di rilevazione” la persona giustificata “fonte di informazione”, in quanto portatrice delle conoscenze a mai necessarie. La contrapposizione tra ciò che si vuole conoscere, ciò che si vuole indagare, e le sue risposte alle nostre domande ha sempre una dose di arbitrarietà: le informazioni, così ricevute, sono soggettive, nel senso che seguono il percorso mentale del soggetto interrogato, ma entro certi limiti possono ritenersi rappresentative. E’ quindi molto importante la scelta dei soggetti a cui sottoporre le nostre domande: sono gli obiettivi dell’indagine che hanno i criteri per sceglier chi interroga e per sapere che cosa chiedere. La scelta e la selezione delle persone da intervistare e da interrogare può essere diversa: se la popolazione di interesse è troppo vasta, si ricorre ad un campione; se non ci interessa la rappresentatività, ci troveremo nella condizione di “scegliere”, soggetti giusti per il nostro scopo (es. leader d’opposizione). CHE-CHI-COME sono strettamente legati. Caposaldo, della tecnica quantitativa, è il QUESTIONARIO. Insieme strutturato di domande che consente una raccolta immediata e coesa di informazione e che porta a controllare le ipotesi di ricerca mediante la successiva elaborazione delle risposte ottenute. Ha una ampia diffusione nella ricerca empirica sia in indagini di statistica ufficiale, sia in altri tipi di rilevazioni. La costruzione del questionario richiede abilità: ad esempio, le domande devono essere poste in modo chiaro, e le possibili differenti modalità di risposta devono poter essere raccolte con facilità dall’ intervistatore. L’ utilizzo del questionario consente di ottenere dati comparabili e, in una certa misura, attendibili. La formalizzazione fa sì che esso possa essere utilizzato indifferenti ricerche. Il questionario, in definitiva, consente la raccolta di tipi di informazione: 1) Fatti e conoscenze 2) Comportamenti e atteggiamenti 3) Opinioni e motivazioni 4) Percezioni La lunghezza del questionario non prevede regole fisse: per un questionario strettamente quantitativo la lunghezza è ottimale se compresa tra i 30-45 minuti, con una interruzione di 10-20 minuti per capire il contenuto delle domande. Non è un’operazione semplice formulare le domande di un questionario: si tratta di domande che devono essere rivolte ad un certo numero di persone e, quindi, dovranno eccellere in comprensibilità, flessibilità e rapidità espositiva. E’ buona regola domandarsi se tutti gli intervistati capiscono le domande, ma anche se l’interpretazione delle stessa sia univoca: i redattori devono, quindi, avere idee molto chiare sugli argomenti da investigare e sulle parole da usare nelle domande. I requisiti di una domanda meritevole di essere inserita in un questionario sono: 1) CHIAREZZA DEL CONTENUTO Esige precisione nella formulazione della domanda, ed univocità di significato. 2) FORMA ADATTA L’uso di una forma specifica per ciascuno domanda può influire gradatamente sui risultati, anche a parità di contenuti della domanda stessa (i tipi più frequenti di forma sono: a risposta aperta, a risposta chiusa, a risposta strutturata, a risposta multipla, a risposta gerarchizzata). 3) ASSENZA DI EFFETTI SECONDARI La domanda non dovrebbe influire l’intervistato, con la sottolineatura di particolari aspetti da sottoporgli al suo giudizio. Alcune domande possono intaccare la PRIVACY dell’ intervistato: il loro numero deve essere limitato, e il loro posizionamento nel questionario separato da domande di altra natura. Nella ricerca quantitativa, lo strumento di rilevazione più importante, a oggi; risulta essere il questionario. E queste sono le procedure di somministrazione del questionario: 1) INTERVISTA DIRETTA Dialogo tra una o più persone che propongono una serie di domande sui beni di ricerca , ed una o più persone che si ritiene siano in grado di dare risposte alle richieste. C’è la presenza fisica dell’intervista. 2) INTERVISTA TELEFONICA Maggiore tempestività nella raccolta delle informazioni, costi alquanto contenuti, nonché una serie di registrazioni e controlli automatici. 3) AUTOCOMPILAZIONE Qui i costi sono ancora minori, e l’organizzazione del lavoro sul campo è meno complessa. Elemento necessario è il buon livello di collaborazione da parte dei rispondenti. • L’APPROCCIO QUALITATIVO Da un punto di vista teorico, la ricerca qualitativa comprende una vasta e complessa area di metodiche, tematiche e strumenti di indagine, suoi propri, ritenuti più idonei a fornire conoscenza su aspetti e fenomeni complessi. Gli obiettivi di questo approccio sono: la maggiore conoscenza di un fenomeno poco approfondito, o emergente; l’esplorazione di un dato fenomeno quando, anche per effetto del mutamento sociale, non sia più interpretabile con le ipotesi e le teorie già esistenti; la ricerca di nuove idee, di nuove ipotesi, di nuove teorie. La ricerca qualitativa consente di conoscere un certo fatto in profondità, e questo è particolarmente utile quando si vuole investigare temi complessi oppure di particolare delicatezza, quali ad esempio la religione, la sessualità, la pena di morte e il razzismo, in generale tutti quei temi per i quali esiste una forte connotazione sociale. Un indiscusso vantaggio risiede nella ricchezza delle informazioni raccolte molto dettagliate. Il grande ostacolo che incontra questo tipo di indagine è nella scelta di come raccogliere le informazioni e nella trattazione di dati grezzi e non formalizzati. Il merito della ricerca qualitativa sta proprio nella capacità di descrivere un fenomeno in tutti i suoi dettagli. Un problema pratico, rende abbastanza sporadico l’uso di ricerche qualitative: il tempo che si deve dedicare alla ricerca, un tempo intensivo. Ed è proprio per questo motivo che è poco presente nel mondo accademico. Il disegno della ricerca qualitativa. Per pianificare una ricerca qualitativa, bisogna rispondere a quattro domande: - Che cosa si vuole conoscere? - Chi o che cosa può essere ben informato della questione? - Qual è la via migliore per conoscere queste cose? - Quali altre strategie possono essere applicate? Si parte dalla definizione del problema per poi pensare a come concretizzare la ricerca. La fase di riflessione deve, quindi prevedere sia la ricerca di studi già condotti da altri sullo stesso argomento, sia la messa a punto delle ipotesi della ricerca. La differenza tra ricerca quantitativa e qualitativa è che, quest’ultima, ha concetti che non hanno la necessità di essere espressi in modo definitivo e resi operativi. Qui i concetti sono flessibili, approssimativi: si inizia quindi con un ragionamento di tipo induttivo, che considera i fatti relativi a situazioni specifiche senza avere come riferimento una teoria particolare. Grande attenzione per la specificazione del contesto: selezione dei casi, dei dati, dei modi e dei criteri per ottenere, senza ridondanze, i soggetti necessari allo studio e un ambiente idoneo. (L’approccio qualitativo il più delle volte si muove in un ambito circoscritto). Definite queste fasi, si passa alla strategia della rilevazione, che verrà scelta in sintonia con lo scopo della ricerca. La vera differenza tra i due tipi di ricerca sta nella capacità del ricercatore, soprattutto nella delicata fase della raccolta delle informazioni che lo vede partecipe, anche se con differente gradualità. Per questo, massima attenzione alle questioni etiche che devono essere tenute in massimo conto dai partecipanti allo studio. Doti del ricercatore qualitativo - Conoscenza approfondita di ciò che si vuole investigare - Capacità di individuare prospettive teoriche utili - Predisposizione al lavoro induttivo - Pazienza e capacità di instaurare un rapporto empatico - Conoscenza di più metodiche di ricerca sociale - Meticolosità nella rilevazione scritta - Sicurezza delle proprie interpretazioni - Costante verifica e critica delle sue informazioni - Capacità di redazione del suo studio ai fini della pubblicazione. I dati qualitativi Includono virtualmente ogni informazione che può essere catturata e che non abbia una natura numerica. E nella ricerca qualitativa, le informazioni possono essere raccolte in vario modo: - intervista in profondità: condotte su un numero limitato di soggetti con l’obiettivo di cogliere le idee dell’intervistato sul fenomeno d’interesse; - studi del caso: studio intensivo di un individuo specifico o di un contesto specifico; - osservazione( partecipante o non partecipante): l’osservazione diretta si distingue dall’intervista in profondità perché l’osservatore non ha lo scopo di fare domande, ma quello di osservare; - approccio biografico: questo approccio si basa sulla soggettività, un’intesa come unità e specificità; - gruppo di discussione: è una discussione accuratamente pianificata con un gruppo di persone comprese tra 7-12. Ha come obiettivo ottenere percezioni, idee ed opinioni su un’area di interesse ben definite e circoscritte; - documenti: ci si riferisce a documenti esistenti, quali giornali, riviste, archivi. Si considerano anche i documenti prodotti dalla comunicazione sociale, quali film, pubblicità, programma televisivi. Poiché i fondamenti filosofici di riferimento della ricerca qualitativa, sono diversi da quelli della ricerca quantitativa, è evidente l’impossibilità di applicare identici criteri per valutare l’attendibilità dei risultati. Eppure non si è potuto fare a meno di partire dagli stessi concetti usati nella ricerca quantitativa, per riconoscere criteri alternativi di validità interna ed esterna, attendibilità ed oggettività. Molti autori concordano su quattro criteri per giudicare la solidità di una ricerca quantitativa: RICERCA QUANTITATIVA RICERCA QUALITATIVA - VALIDITA’ INTERNA CREDIBILITA’ - VALIDITA’ ESTERNA TRASFERIBILITA’ - ATTENDIBILITA’ AFFIDABILITA’ - OGGETTIVITA’ CONFERMABILITA’ I criteri di credibilità risiedono nella documentazione scritta o usuale, propria del contesto di indagine, comprese le discussioni e le interpretazioni tra i componenti dello studio, diari, registrazioni etc.. I risultati della ricerca devono, quindi essere credibili nella prospettiva dei partecipanti alla ricerca. Il concetto di trasferibilità è considerato equivalente al concetto di generalizzazione. Per trasferibilità non si deve intendere la riproduzione dei risultati ottenuti, ma la possibilità di utilizzare procedimenti e risultati della ricerca in altre situazioni simili. L’attendibilità, nella ricerca qualitativa, è impossibile, in quanto impossibile è misurare un concetto. La possibilità di replicare o ripetere una ricerca che fa ottenere gli stessi risultati, conferma le ipotesi. La confermabilità si riferisce alla possibilità che i risultati siano confermati da altri ricercatori. Ci sono varie strategie per accrescere la confermabilità: documentare le procedure con cui sono stati scelti i dati, documentare il processo attraverso il quale si è arrivati ai risultati. • L’INTERVISTA L’intervista qualitativa può essere vista come il corrispondente, sul versante dell’interrogare di quanto l’osservazione partecipante rappresenta sul versante dell’osservare. L’obiettivo di fondo resta comunque quello di accedere alla prospettiva del soggetto studiato: cogliere le sue categorie mentali, le sue interpretazioni, le sue percezioni, i suoi sentimenti e i motivi delle sue azioni. Per evitare confusioni, noi preferiamo utilizzare il termine intervista, nell’approccio della ricerca qualitativa e quantitativa, nel caso dell’ultimo parliamo di questionario. L’intervista (qualitativa) è provocata dall’intervistatore. Possiamo definire l’intervista come una conversazione : a) provocata dall’intervistatore; b) rivolta a soggetti scelti sulla base di un piano di rivelazione; c) in un numero consistente; d) avente finalità di tipo conoscitivo; e) guidata dall’intervistatore; f) sulla base di uno schema flessibile e non standardizzato di interrogazione. Quindi si tratta di una conversazione privata nella quale l’intervistatore stabilisce l’argomento e controlla che lo svolgimento corrisponda ai fini conoscitivi che egli si è posto. Questo intervento di guida dell’intervistatore può realizzarsi con diversi gradi di direttività, ma sostanzialmente rispettando la libertà dell’intervistato di ristrutturare la risposta, o addirittura tutta la conversazione come egli meglio crede. ASPETTI COMUNI E DISTINZIONI FONDAMENTALI Vogliamo mettere analiticamente a confronto le risposte che le tecniche quantitative e qualitative sanno dare ai problemi più rilevanti della ricerca sociale. In che cosa e quanto si differenziano tra loro i due approcci nell’operato concreto della ricerca. • QUALITATIVA • QUANTITATIVA Aspetti comuni - Progettazione disegno della ricerca - Rilevazione delle informazioni - Trattamento delle informazioni - Analisi dei dati - Generalizzazioni empiriche Distinzione fondamentale Orientamento e individualizzazione Orientamento generalizzante Base empirica non statistica Base empirica di tipo Assenza matrice dati statistico Analisi empirica effettuata con procedure Presenza matrice dati non formalizzate Analisi empirica effettuata Analisi in profondità con processo di formalizzate Comprensione Analisi tecnicamente rigorosa Spiegazione CONFRONTO TRA RICERCA QUALITATIVA E RICERCA QUANTIATTIVA 1. PROCESSO DI RICEERCA RICERCA QUALITATIVA RICERCA QUANTITATIVA -IMPOSTAZIONE -Strutturata RICERCA logicamente sequenziali -Deduzione fasi -Aperta , interattiva (la LETTERATURA (la teoria teoria emerge precede l’osservazione) -FUNZIONE -Induzione dall’osservazione) DELLA E’ fondamentale per la E’ ausiliaria definizione della teoria e delle ipotesi -CONCETTI Operativizzati Orientativi, costruzione -RAPPORTO CON Approccio manipolativo Naturalistico aperti in L’AMBIENTE -INTERAZIONE Osservazione PSICOLOGICA che STUDIOSO/STUDIATO neutrale è scientifica Immedesimazione distaccata e empatica nella prospettiva del soggetto studiato -RUOLO DEL SOGGETTO Passivo Attivo STUDIATO -INTERAZIONE FISICA Distanza, STUDIOSO/STUDIATO (nessun separazione Prossimità, contatto contatto fisico (l’incontro tra studioso e tra studioso e studiato) studiato è precondizionato per la comprensione) 2 .RILEVAZIONE -DISEGNO DELLA Strutturato, RICERCA chiuso precede la ricerca e Destrutturato, aperto costruito nel corso della ricerca -STRUMENTO DI Uniforme RILEVAZIONE per tutti i Varia a seconda soggetti dell’interesse dei Obiettivo: matrice dati soggetti e non si tende alla standardizzazione -NATURA DEI DATI -Hard cioè soggettivi e Soft standardizzati ricchi e profondi (profondità (oggettività vs vs superficialità) soggettività) 3. ANALISI DEI DATI - OGGETTO La variabile (analisi per Individuo DELL’ANALISI variabili, impersonale) -OBIETTIVO Spiegare DELL’ANALISI delle variabili -TECNICHE Uso intenso MATEMATICHE STATISTICHE E la (analisi per soggetti) variazione Comprendere i soggetti Nessun uso 4. I RISULTATI -PRESENTAZIONE DATI Tabelle (prospettiva Brani di interviste di testi relazionale) -GENERALIZZAZIONI Correlazioni. casuali. Leggi. (prospettiva narrativa) Modelli Classificazione Logica tipologie. della causazione Tipi e ideali. Logica della classificazione -PORTATA DEI Al limite nomotetica RISULTATI Specificità (al limite idiografica) RUOLO DEL RICERCATORE • RELAZIONE TEORIA/RICERCA - RICERCATORE QUALITATIVO - RICERCATORE QUANTITATIVO Spesso respinge la formulazione di teorie prima di cominciare il lavoro sul campo, vedendo ciò un condizionamento che potrebbe inibirgli la capacità di comprendere il punto di vista dell’oggetto studiato. • RAPPORTO PERSONALE DEL RICERCATORE CON LA REALTA’ STUDIATA Uno dei maggiori problemi che il ricercatore sociale si trova ad affrontare è quello della reattività dell’oggetto del suo studio. - RICERCATORE QUALITATIVO (A) - RICERCATORE QUANTITATIVO (B) (A) (B) Si astiene da qualsiasi manipolazione, Non ritiene che il problema stimolazione, interferenza o disturbo. della reattività del soggetto Nei confronti della realtà la quale viene studiata nel corso del suo innaturale possa rappresentare un ostacolo di base, o per lo svolgersi (osservazione partecipante) . meno ritiene che un certo margine di manipolazione controllata sia ammissibile (esperimento). • INTERAZIONE PSICOLOGICA STUDIOSO/STUDIATO Si colloca il più possibile internamente Assume un punto di osservazione al soggetto di analisi, nella prospettiva esterna al soggetto studiato,propria di vedere la realtà sociale con gli occhi dell’osservatore scientifico neutrali dei soggetti studiati (immedesimazione). • e distaccato. RAPPRESENTATIVITA’ RICERCATORE QUALITATIVO (A) RICERCATORE QUANTITATIVO (B) (A) (B) Il ricercatore mette al primo posto Il ricercatore è preoccupato della la comprensione anche a costo generalizzabilità dei risultati e di perdersi in situazioni atipiche perciò fa uso del campione e di meccanismi non generalizzabili. statisticamente rappresentativo. • RICERCHE NON INTRUSIVE Epistemologia dei metodi non intrusivi C’ è oggi, un convincimento persistente e diffuso nelle scienze sociali: per ottenere informazioni sulla gente è indispensabile “chiedere”. E’ un incipit efficace , perché riassume in poche righe una “filosofia del fare ricerca” nelle scienze sociali che mai come negli ultimi anni ha permeato l’operare dei ricercatori. Come se solo il chiedere garantisse alle informazioni da raccogliere per fare ricerca quell’alone di verità che sta alla base della scientificità dei risultati. Se oggi si facesse un sondaggio d’opinione fra i ricercatori per convalidare l’ ipotesi che è proprio il sondaggio il metodo di raccolta dati più scientifico, si arriverebbe a convalidare il risultato che ci eravamo prefissati in partenza. Si fa volutamente riferimento al sondaggio, pur senza escludere l’efficacia di questo strumento per la rilevazione delle informazioni, in quanto se ne fa un abuso anche in ambienti non “scientifici”: al giorno d’oggi, praticamente in ogni rivista, periodico, quotidiano e programma televisivo è possibile assistere alla spiegazione di qualche sondaggio che ci racconta , di volta in volta, abitudini, pensiero atteggiamenti di universi di persone fra i più variegati. Eppure non è sempre stato così. Anzi. Per citare due fra i maggiori sociologi del passato, quali E.Durkheim e M.Weber , è indubbio che abbiano lasciato il segno nel campo della ricerca sociale, pur senza ricorrere ai sondaggi d’opinione. L’avvio alle analisi e, al tempo stesso, l’introduzione del concetto di intrusività nella ricerca sociale si deve, nella metà degli anni ’60, a quattro ricercatori americani, che già allora avevano fatto notare come la gran parte delle ricerche sociali fossero basate su questionari e interviste. Un modo di lavorare, che sovrautilizzando strumenti assolutamente fallibili e in assenza di controprove, poteva produrre effetti pericolosi, in quanto era nota la loro natura di produrre distorsioni. “Nessuno strumento di ricerca è immune da distorsione. Questionari e interviste vanno supportati da metodi che testino le medesime variabili sociali ma che abbiano debolezze metodologiche differenti”. Ma allora cosa significa fare ricerca utilizzando metodi intrusivi, oppure utilizzando metodi non intrusivi?... “Intrusione come manipolazione senza secondi fini... come epistemologia che non può che consentire tecniche dirette di raccolta delle informazioni con tutti i vantaggi e gli svantaggi che ciò comporta “. I metodi non intrusivi sono quelli che consentono la raccolta dei dati in assenza di consapevolezza da parte dell’oggetto di ricerca di essere tale. Ogni volta che, insomma, manchi la consapevolezza da parte dell’indagato di essere tale e vi sia qualcuno che indaghi in proposito, possiamo parlare di ricerca non intrusiva: con tutti i risvolti positivi e negativi, compresi quelli di carattere etico. Al contrario, parleremo di intrusività tutte le volte che ci sia “ contatto” tra intervistatore ed intervistato. Da questo punto di vista, quindi, l’accezione di intrusività differisce da quella fornita da altri autori, in quanto la definisce in maniera più stretta ed univoca: Delli Zotti, infatti, propone una tripartizione in non intrusivi, intrusivi non strutturati ed intrusivi strutturati. Ragionando su osservazione partecipante, esperimenti, utilizzo di informatori e atti verbali scritti (lettere, diari, biografie….), Delli Zotti constata che “utilizzando questi strumenti è escluso, o molto improbabile, che il ricercatore possa influenzare in qualche modo il comportamento o gli atteggiamenti dell’oggetto di studio. Ed è proprio questo molto improbabile a fare la differenza fra i due approcci: nel nostro non sarà mai data la possibilità di ottenere informazioni influenzate dal ricercatore, in quanto i metodi considerati prescinderanno indiscutibilmente dalla consapevolezza stessa di essere oggetto di indagine. Delli Zotti afferma che “ bisogna ribadire che per non intrusione intendo solamente l’impossibilità da parte del ricercatore di influenzare i dati che va raccogliendo. È chiaro, ad esempio, che vi è intrusione del ricercatore nella vita del testimone qualificato, ma non è lui con i suoi atteggiamenti, i suoi comportamenti, che il ricercatore sta studiando. Allo stesso modo, studiare diari, lettere, significa, in un certo senso, entrare nella PRIVACY delle persone, ma i diari sono stati sono stati scritti senza tener conto che un giorno sarebbero stati esaminati da un ricercatore: dunque, non si può parlare di intrusione vera e propria. L’impressione è che in questi due esempi le cose vadano in modo differente: perché se è vero che non si può parlare assolutamente di intrusione nel caso dell’ analisi di diari o lettere, non è altrettanto assodato che non vi sia intrusività nel primo caso, quello dell’intervista a testimoni qualificati. Perché sia che le stesse interviste vengano utilizzate per verificare ipotesi di ricerca pre- esistenti, sia che invece diventino la base sulla quale strutturare un questionario o un’intervista su larga scala, il rischio che gli esiti siano influenzati dalla consapevolezza di far parte di una ricerca sono presenti. Fino a qualche tempo addietro, la ricerca sociale è stata ad appannaggio esclusivo degli scienziati sociali. In effetti è stato proprio il sondaggio d’opinione a far conoscere alla gente la possibilità di “fare ricerca” conoscere atteggiamenti, opinioni e credenze della popolazione in e di modo ampio, con la possibilità da un lato di generalizzazione dei risultati e dall’ altro di diffusione degli stessi su larga scala. Anche se una delle prime applicazioni di questo strumento, in occasione delle elezioni presidenziali del 1936 negli USA, fu un flop clamoroso. Il sondaggio d’opinione, quindi, esteso a parti più o meno consistenti della popolazione, consente di raccogliere informazioni “dirette” e immediatamente fruibili: si prendono le risposte, si mettono nel frullatore dei metodi statistici ed ecco pronti i risultati, pronti per essere diffusi su larga scala e immediatamente valutati e commentati. È un pò la metafora di una società moderna, veloce ed impaziente di andare OLTRE, di pensare ad ALTRO ancora in fase di metabolizzazione dell’esito di un’indagine. A tutto ciò, si aggiunga l’incremento di velocità che alcuni mezzi consentono oggi nella fase di raccolta ed elaborazione delle informazioni e il gioco è fatto. Il nuovo Modo di operare è diventato il chiedere direttamente: un nuovo, vero e proprio approccio alla conoscenza sociale. Ma al di là di tutto questo c’è un’altra ragione importante, a mio avviso, perché i sondaggi d’opinione hanno al giorno inerisce d’oggi una grande rilevanza nelle scienze sociali. Questa ragione al carattere di democraticità maggiore che risiederebbe nella condivisione di alcuni fra i passaggi più importanti in una ricerca sociale. Ma è nella co-istituzione delle informazioni (oltre ai problemi di natura linguistica, percettiva e comportamentale) che si annida uno dei nemici della qualità delle informazioni raccolte: un nemico che va sotto il nome di EFFETTO HAWTHORNE (1932). Le caratteristiche di tale effetto consistono nella distorsione inconsapevole ma sistematica dei risultati della ricerca, in presenza dei ricercatori. Insomma, il sapere in qualche modo di essere oggetto d’interesse da parte di ricercatori si tramuta, sia pure inconsapevolmente, in un’occasione per introdurre, nelle risposte, elementi non corrispondenti a verità, producendo quindi distorsioni. Ma i problemi non si esauriscono con la presa d’atto che, quando intervistatore ed intervistato interagiscono, può verificarsi quello che gli studiosi dei fenomeni organizzativi notarono già negli anni ‘30. Le insidie che possono provocare distorsioni nelle informazioni raccolte sono molte, ed il seguente elenco ne rappresenta solo alcuni, non per ordine crescente di importanza, in quanto a volte si possono anche presentare in forma multipla, congiunta. I. Accade molto frequentemente che le risposte date dagli intervistati ad una domanda siano in qualche modo indotte dallo stesso intervistatore . II. Non bisogna sottovalutare, nel momento in cui si predispone un piano di interviste o di somministrazione di questionari, il ruolo che il genere dell’ intervistatore gioca sulle risposte date dagli intervistati. III. Un’altra gamma di insidie proviene dai cosiddetti WORDING QUESTIONS. I problemi che possono sorgere quando si incorre in una non corretta interpretazione delle domande sono stati analizzati in modo molto diffuso e contribuiscono in maniera rilevante alla produzione di distorsioni nei risultati. IV. Un aspetto da considerare quando si valutano le risposte date alle diverse domande di un questionario è anche quello che, dato che da qualche anno a questa parte l’uso dei sondaggi è incrementato in modo esponenziale, c’è in larga parte della popolazione una sorta di idiosincrasia a farsi intervistare: mai come oggi, infatti la gente muore dalla voglia di farsi intervistare. V. Ulteriori problemi sono connessi all’uso di scale. Anche in questo campo le conferme sono molte. Le scale di atteggiamenti tendono a cogliere quella che è stata definita “fedeltà tra un dato, tenuto conto delle convenzioni introdotte dalla definizione operativa al supposto stato effettivo di un soggetto su una data proprietà”. VI. All’interno di una considerazione generale proprio relativa al fatto di essere oggetto di ricerca, i soggetti potrebbero anche essere indotti a cambiare gli stessi comportamenti. Questa è solo una panoramica dei problemi che possono sorgere quando vengono utilizzati metodi di raccolta dei dati INTRUSIVI, PANORAMICA ASSOLUTAMENTE NON ESAUSTIVA. L’utilizzo dei metodi di raccolta delle informazioni NON INTRUSIVI dovrà quindi, laddove possibile, affiancare quelli tradizionalmente usati dai ricercatori. Si dovrà favorire quell’integrazione con il periscopio, inteso come “misura non intrusiva e protetta onde capire le cose e lo svilupparsi della vita”. Periscopio come osservazione partecipante che non è tale, che non lascia tracce di sé nell’altro…”. C’è da chiedersi, insomma, se i risultati di alcune importanti ricerche nel campo delle scienze sociali avrebbero avuto gli stessi esiti, se si fosse fatto uso di metodi di raccolta delle informazioni differenti, intrusivi appunto. Di seguito si può vedere una sistematizzazione di caratteristiche relativa a metodi di raccolta delle informazioni di natura intrusiva o periscopica. È quindi possibile cogliere quali possano essere i vantaggi che derivano dall’uso di tecniche non intrusive, vantaggi che si risolvono a tutto credito per quanto concerne i risultati di una ricerca nell’ipotesi di una INTEGRAZIONE FRA METODI INTRUSIVI E NON. Va inoltre ricordato il valore aggiuntivo dato dalle indagini che utilizzano metodi non intrusivi rispetto a quelli tradizionali: le prime, infatti, tendono a concentrare la propria attenzione sul comportamento e su i suoi esiti, piuttosto che sulle espressioni verbali dello stesso. L’uso di metodologie non intrusive accrescerà quindi la qualità complessiva della ricerca stessa. Osservazione intrusiva VS Osservazione non-intrusiva Condizionante - Estranea Manipolatoria - Neutrale Artificiale - Naturale Etero consapevole - Etero inconsapevole Razionalizzazioni - Pratiche Recita - Vita Tecniche dirette - Tecniche indirette Interazione - Comunicazione Simmetria - Asimmetria Co-produzione cosciente -Co-produzione incosciente Intenzionalità - Comportamento orientato Empatia faccia a faccia - Empatia mediata Tolleranza personale - Tolleranza metodologica Legittimazione consensuale - Legittimazione morale Dipendenza relazionale indipendenza attiva e e cognitiva di etero cognitiva di etero L’impossibilità del “co”: risorse e limiti dei metodi non intrusivi - Constatare, collegare, combattere… parola in cui il primo elemento, il “CO” di origine latina, significa CON, ossia il contributo di più elementi nel dare origine ad un fenomeno nuovo. Partiamo dalla definizione di Sociologia: scienza che studia come un particolare elemento, il soggetto, CONVIVENDO insieme ad altri soggetti, dia luogo ad una terza realtà, la Società. Senza questo apporto comune sarebbero impensabili il linguaggio, la cultura, l’identità. Così definita, anche la ricerca sociale non può che essere assunta come una forma di conoscenza, fondata sulla concordanza di due o più soggetti: a differenza delle scienze naturali dove il ricercatore tratta atomi, cellule e onde elettromagnetiche, ecc… nelle scienze sociali ci si pone di fronte ad un oggetto di studio che è esso stesso soggetto, aperto al mondo con analoghi interrogativi di senso. La nostra analisi verterà, quindi, su tre blocchi tematici: 1. Selezione degli APPROCCI PIU’ SIGNIFICATIVI EPISTEMOLOGICI che hanno animato il dibattito sociologico. 2. Verificare SE E COME ABBIAMO TRATTATO il problema della relazione tra ricercatore e soggetto. 3. Implicazioni metodologiche riguardanti l’adozione di tecniche di ricerca definite come “NON INTRUSIVE”. Focalizzando, inizialmente, il contributo del REALISMO, si definisce come un approccio epistemologico che caratterizza la Sociologia sin dal suo nascere e che l’accompagna fino ai giorni nostri. Fondatore è E. Durkheim, il quale sostiene che se la sociologia vuole dotarsi di una metodologia scientifica deve CONSIDERARE I FATTI SOCIALI COME COSE. In altri termini, occorre sbarazzarsi di quei preconcetti e pregiudizi nascosti nella tradizione o nella morale, in cui anche il ricercatore, crescendo in un determinato contesto culturale, non ha potuto che identificarsi. Queste pre-nozioni inquinano la sua attività investigativa, impedendogli di aprirsi ai fenomeni sociali nella loro nuda realtà ed esaminarli così come si danno ai suoi sensi. La stessa distanza che occorre tenere rispetto alle proprie pre-nozioni deve essere contenuta anche nei confronti delle soggettività che si stanno analizzando. Al Realismo, il dibattito scientifico contemporaneo ha contrapposto L’APPROCCIO COSTRUTTIVISTA. Tale approccio si caratterizza per l’assunto secondo il quale la conoscenza del ricercatore non si basa, non può ambire, ad un’esatta corrispondenza con la realtà esterna, come sostiene invece il Realismo: la conoscenza sociologica e non solo, è sempre comunque redatta a cominciare da una prospettiva che ridisegna il mondo a partire da i propri codici. Sebbene su premesse ribaltate rispetto all’approccio realista, anche il costruttivismo non attribuisce una particolare importanza alla relazione tra ricercatore e soggetto di studio: nell’approccio realista, infatti, il ricercatore si annichiliva per cogliere esaustivamente la realtà nella sua verità assoluta; in quello costruttivista, invece, la relatività del suo punto di vista si afferma in un modo così radicale da chiudersi in un insuperabile auto-riferimento. Oltre i riduzionismo di realismo e costruttivismo, si pone la proposta CORELAZIONALE, che fa riferimento filosofico alla fenomenologia di Husserl. Facendo appello ai fondamentali principi di questo indirizzo teorico, si incontra anzitutto il principio fenomenologico delle epoche, inteso come sospensione di ogni giudizi, riconoscimento e messa da parte di ogni pre-nozione con cui il ricercatore ha inevitabilmente strutturato la propria visione del mondo. Sulla base di questa “messa tra parentesi” di ogni conoscenza pregressa, questo approccio ambisce a porsi di fronte all’altro con uno sguardo aperto alla sua autentica differenza, uno sguardo che non richiede un inutile quanto impossibile annullamento della soggettività dello studioso e non è offuscato dalla volontà di fotografare le leggi che governano il mondo sociale. Ciò è possibile attraverso l’ideale cognitivo e metodologico dell’EMPATIA, che è comprensione dell’altro così come egli stesso vede il mondo e gli attribuisce senso. La relazione tra ricercatore e soggetto di studio è così ridefinita nei termini di una co-istituzione dell’informazione di base, ossia, una conoscenza emergente dall’intreccio e dal reciproco apporto di entrambi i protagonisti dell’indagine scientifica: l’attenzione è rivolta al vissuto dell’altro; ma affinché i suoi valori, le sue rappresentazioni e le sue emozioni possano divenire informazione scientifica, è al contempo necessaria la presenza attiva del ricercatore. Entro i confini di una metodologia che ambisce ad incrociare L’ATTENZIONE EMPATICA al vissuto dell’altro, assume particolare rilevanza la distinzione tra METODI “INTRUSIVI” e METODI “ NON INTRUSIVI”. Si definiscono “INTRUSIVI” tutti quei metodi che intendono produrre informazione scientifica attraverso un’interazione diretta col soggetto di studio, il quale è consapevole di essere coinvolto in una relazione con obiettivi investigativi. Questionari, interviste, osservazione diretta sono le tecniche più emblematiche. Il soggetto è inevitabilmente “INVASO” e incondizionato, non solo attraverso le domande che gli sono rivolte, ma anche percependo la presenza osservante del rilevatore. L’effetto è quello di allestire meccanismi di difesa, di inibizione, che minano la spontaneità e la naturalezza delle informazioni prodotte, finendo per “inquinare” l’autenticità. “NON INTRUSIVE” o “PERISCOPICHE” sono invece tutte quelle modalità di ricerca dell’informazione in grado di osservare il mondo, celando al contempo la propria presenza (come, appunto, il periscopio di un sommergibile). Queste tecniche intendono investigare il sociale rendendosi inaccessibili allo sguardo e alla consapevolezza dell’altro. In questo caso, il soggetto indagato, non sapendo di essere esaminato, è più libero di agire spontaneamente, senza doversi curare della propria immagine sociale, e senza essere interrogato su aspetti intimi, qualora su di essi fosse rivolta una domanda diretta ed esplicita. L’informazione diretta prodotta attraverso tali tecniche cade sotto l’esclusiva elaborazione del ricercatore, senza che vi sia alcun riscontro da parte della soggettività osservata. Il rischio è quello, dunque, di cadere in una visione auto-referenziale fondata su procedure coerenti solo ai presupposti normativi, cognitivi ed emotivi del ricercatore. Nessuno dei due versanti metodologici garantisce, quindi, per sé un’assoluta affidabilità scientifica: ciascuno presenta dei pro e dei contro. Si può affermare, con ciò, che tuttavia sia soprattutto la scuola fenomenologica ad aprire il problema di un tale bilancio metodologico. Infatti, in un’ottica realista il problema dell’intrusività non si pone, in quanto la realtà di riferimento è vista solo come “banca-dati”, e nell’ottica costruttivista, il problema dell’intrusione è eliminato alla radice, in quanto ogni interlocutore è chiuso nella sua irrinunciabile auto-refenzialità. Il principale presupposto metodologico in grado di dare affidabilità scientifica alle situazioni investigative di natura periscopica, è una adeguata RIFLESSIVITA’. Concentriamo l’attenzione sulla prima fase della ricerca sociale, denominata co-istituzione dell’informazione. Si può analizzare questa fase articolando tra prospettive reciprocamente implicatesi: • Le soggettività coinvolte (ricercatore e soggetto indagato); • Il mezzo di comunicazione che media l’apertura verso il soggetto indagato; • Il contesto socio-culturale in cui si afferma il processo investigativo. CONTESTO SOCIALE Ricercatore • medium comunicativo Soggetto LE SOGGETTIVITA’ COINVOLTE Osservare il comportamento di un soggetto dietro a uno specchio unidirezionale, o comunque senza annunciare che la propria presenza è in realtà motivata da finalità esplicitamente investigative, significa sostanzialmente dar luogo a un processo relazionale essenzialmente unidirezionale, almeno in un primo momento. È il soggetto indagato, seppure inconsapevolmente, fornisce informazioni ai ricercatori. Questi le selezionano in base alle proprie ipotesi teoriche, ma è tecnicamente impossibile o comunque volutamente impedito un feed-back verso detta fonte informativa. Anzi, proprio tale distacco comunicativo è considerato la risorsa metodologica della ricerca: quella che in generale si definisce coistituzione assume i tratti dell’auto-istituzione dell’informazione di base. Anche se è indispensabile l’apporto di due soggettività, i rimanenti comunicativi fluiscono inevitabilmente in modo UNIDIREZIONALE. Dal punto di vista metodologico, il rapporto tra il ricercatore e l’attore sociale è fortemente asimmetrico: il secondo è più autonomo, libero e indipendente nel mostrare se stesso. Non sentendosi oggetto di alcuna osservazione scientifica, vi sono minori rischi che egli manipoli quanto va dicendo o facendo, al fine di assicurarsi un’adeguata “reputazione”. Allo stesso tempo, cade però in una situazione di dipendenza cognitiva nei confronti del primo, il quale assume un controllo del processo di costruzione di informazione tanto più assoluto, quanto più efficace la non intrusività nell’analisi. Diventa necessario, quindi, che il ricercatore, tenendo il massimo potere sulla produzione dell’informazione, sia estremamente consapevole su ciò che sta elaborando, per non cadere vittima delle sue stesse costruzioni mentali. Il primo passo metodologico diretto a sviluppare la suddetta riflessività consiste nell’assumere che il ricercatore non è una banale macchina che elabora informazioni, ma una soggettività complessa che si caratterizza per particolari scelte di valore, che pensa, prova emozioni, al pari di un attore sociale, e non può non avere reazioni interne a quanto osserva. Significa, quindi, avvicinarsi all’ideale metodologico dell’empatia. Partendo dai valori che caratterizzano e condizionano la ricerca, M. WEBER conia la celebre distinzione tra “RELAZIONE AI VALORI” e “LIBERTA’ AI VALORI”. Il sociologo si occupa di valori: uno degli obiettivi prioritari della sua analisi è proprio quello di comprendere i significati e le sue attribuzioni di rilevanza che sottendono all’agire degli uomini. In tale analisi, egli può mettere in luce il legame che connette le azioni ai valori che le guidano; può verificare se mezzi utilizzati sono coerenti ad un razionale conseguimento degli scopi, ma non deve esprimere giudizi di valore verso essi, ma solo giudizi di fatto. Il quesito da porsi ora è questo: può davvero lo scienziato essere così padrone di se stesso, da mantenere costantemente separati i propri giudizi di fattori da i propri giudizi di valore? Il problema nella pratica di ricerca nasce dal fatto che non sempre lo studioso è pronto ad accogliere le potenziali novità che le scoperte scientifiche implicano: il ricercatore sociale detiene infatti, pre-giudizi o prenozioni che possono “incanalare” le informazioni ottenute dalle indagini secondo percorsi pre-ordinati inconsapevolmente della mente, in modo da non destabilizzare. Anche in un contesto di OSSERVAZIONE NON INTRUSIVA, dunque, il ricercatore può avere dentro di sé vissuti e conflitti che, tanto più risultano non risolti, quanto più vengono spostati da sé all’altro, al fine di poter criticare, analizzare, modificare ciò che in realtà risiede dentro di sé, e proprio per questo non può essere preso in considerazione e affrontato, pena il coinvolgimento in un conflitto interiore troppo pesante da sopportare emotivamente. Il ricercatore DEVE DOTARSI DI UNA RIFLESSIVITA’ tale da saper distinguere il più profondamente possibile ciò che appartiene ai propri assunti normativi, cognitivi ed emotivi, e ciò che invece gli si annuncia come autentica manifestazione dell’altro. In un processo metodologico in cui il soggetto esaminato non ha alcuna possibilità di replica immediata, egli viene disegnato attraverso una rappresentazione che assume i tratti di un’allucinazione autoreferenziale e arbitraria. Un ulteriore aspetto da vagliare riflessivamente entro un’investigazione nonintrusiva, concerne il MEDIUM COMUNICATIVO con cui il ricercatore accede al suo oggetto sociale. • MEDIUM COMUNICATIVO A seconda che sia selezionato un codice di tipo orale, visivo, letterario o numerico, il supporto informatico in base al quale si elabora l’immagine dell’altro muta radicalmente, consentendo all’ideale metodologico dell’apertura empatica di applicarsi secondo potenzialità di volta in volta differenti. I media comunicativi possono essere così suddivisi: - CODICE VISIVO. Davanti ad un’immagine siamo in grado di cogliere in un solo attimo ciò che essa rappresenta e ci comunica: l’immagine è, rispetto all’espressione verbale, una vera e propria scorciatoia. È in grado di assolvere ad una funzione creativa e produttiva: il ricercatore accede lentamente al vissuto dell’altro senza il filtro di altri mediazioni comunicative. Una delle più frequenti applicazioni metodologiche del codice visuale è il VIDEO-TAPE (video registrazione) con cui è possibile cogliere lo svolgersi naturale di una situazione di interazione e fare attenzione a tutto ciò che di non verbale c’è nella comunicazione. Occorre, però, tener presente che tramite il solo supporto fotografico, l’immagine perde molte delle sue potenzialità informative: seleziona una sola prospettiva spaziale così come una sola puntualità temporale. - CODICE ORALE. Quello orale è il più utilizzato nella metodologia sociologica. Accanto alle parole e al loro significato linguistico, è possibile prendere in considerazione tutte le componenti para-linguistiche quali l’intonazione, l’inflessione della voce, il ritmo della produzione verbale. - CODICE NUMERICO. Il codice costituisce uno snodo centrale della metodologia sociologica. Esso veicola l’informazione soprattutto nell’analisi secondaria dei dati, quando cioè il ricercatore esamina e confronta secondo uno specifico interrogatorio fonti statistiche già esistenti. - CODICE LETTERARIO. Nella stessa distanza rispetto alla vita sociale è collocabile anche il codice letterario (lettere, bibliografie…). Attraverso questo canale comunicativo, l’altro diviene accessibile attraverso un’analisi ermeneutica del testo che consente di prendere contatto con fenomeni talvolta lontani e ne ridefinisce l’immagine alla luce di un nuovo processo interpretativo. • LE APPARENZE SOCIO-CULTURALI La terza prospettiva entro cui effettuare una riflessione tocca il contesto entro cui si collocano il ricercatore e il soggetto di studio. Condurre una indagine su persone che condividono col ricercatore il medesimo quadro di riferimenti è indubbiamente diverso rispetto all’indagare realtà sociali in qualche misura più distanti e differenti. A questo riguardo, Schütz pone in evidenza come la comprensione dell’altro venga a fondarsi su modelli di significato comune appresi durante tutto il percorso di socializzazione. Si può, facilmente, non concordare con una visione epistemologica secondo la quale la struttura di schemi interpretativi sedimentati nel mondo sociale, finisce per costruire un riferimento condizionante per ogni attribuzione di senso del soggetto. Invece si può assumere che questi sia dotato di una certa autonomia, la quale è in grado di attingere al patrimonio simbolico collettivo anche per distanziarsene, per rielaborarlo ed introdurre elementi di novità o di rottura, in un rapporto di ambivalenza reciproca e contesto socio-culturale di appartenenza. Preme, però, sottolineare come il riferimento dell’autore ci permetta di tener conto che, la comprensione dell’altro, accanto ad un atteggiamento il più possibile empatico, non possa non attingere a criteri interpretativi che connotano l’identità e le conoscenze del ricercatore. Tali criteri giocano un ruolo diverso, a seconda del fatto che ciò che congiunge al soggetto sociale sia “IL MONDO AMBIENTALE” o il “IL MONDO DEI CONTEMPORANEI”. Il “mondo ambiente” indica l’insieme dei rapporti Io-Tu-Egli, rapporti di tipo diretto che connettono le due soggettività sulla base di comuni appartenenze familiari, amicali, di tutte le reti primarie in genere. All’altro estremo si colloca invece il “mondo dei contemporanei”, individuato sulla base di una sfera più allargata di appartenenze sociali che vanno oltre il mondo ristretto della vita quotidiana e delle sue reti primarie. Ciò che qui mette il ricercatore in rapporto al soggetto di studio è una relazione del tipo Noi-Voi-Loro. Via via che si passa dal MONDO AMBIENTE al MONDO DEI CONTEMPORANEI, il vissuto di conoscenza dell’altro è colto attraverso la mediazione di modelli simbolici sempre più “tipizzati”, modelli che cioè vanno dall’esperienza personale del ricercatore, a quanto ha appreso nella comunicazione sociale. Si fa appello a modelli di significato in modo ANONIMO. In una ricerca non intrusiva, questa tipologia di nessi simbolici viene a ricoprire una funzione ambivalente: qualora il ricercatore si accosti ad un oggetto sociale che in qualche modo si colloca entro il “mondo ambientale”, la possibilità di attingere ad una comune struttura di significati può sopperire ai limiti di una distanza relazionale che ostacola un diretto incrocio di aperture empatiche. Allo stesso modo, però, proprio questa comune appartenenza socio-culturale può coinvolgere emotivamente il ricercatore al punto di impedirgli individuazioni di importanti spunti informativi. Viceversa, se lo stesso ricercatore è connesso all’oggetto sociale sulla base di comuni appartenenze risalenti al “mondo dei contemporanei”, può certamente attingere ad una struttura simbolica più complessa per intraprendere l’altro, ma sono tuttavia ridotte le possibilità di immedesimarsi e di cogliere immediatamente una serie di nessi di senso ad alta densità soggettiva. Tali possibilità si assottigliano quando dal “mondo dei contemporanei” passiamo al “mondo dei predecessori”, quando cioè il ricercatore dedica il suo interesse di studio ad un oggetto che si colloca nel passato storico. Se è già ripetuto diverse volte che è la riflessività il requisito metodologico di cui si deve dotare la tecnica periscopica per diventare scientifica. Anche in una ricerca nonintrusiva, che fonda esplicitamente il suo statuto metodologico sull’assenza di interazione tra ricercatore e soggetto di studio, si rivela fondamentale il recupero della DIMENSIONE DIALOGICA a diversi livelli, affinché il requisito della riflessività sia effettivamente applicabile: Integrazione metodologica tra tecniche intrusive e non Tra autonomia dell’altro e rispetto e l’autenticità potenziale dipendenza dal ricercatore, tra della realtà sociale e sua inconsapevole colonizzazione, tra empatia e autoreferenzialità, si propone una rilettura critica delle tecniche non-intrusive con l’obiettivo di metterne in luce sia le potenzialità che le debolezze. Back-talk con i soggetti coinvolti nell’indagine Se la prima fase della ricerca NON-INTRUSIVA diviene non CO- ma AUTOistituzione dell’informazione da parte del ricercatore, è essenziale che nella fase finale della diffusione dei dati, il ricercatore recuperi il back-talk degli stessi, cioè ricerchi di ripristinare un a situazione di interazione comunicativa con gli attori sociali esaminati. Il confronto dell’equipe di ricerca e nella comunità scientifica Oltre alla concorsualità tra più tecniche e alla possibilità di confrontarsi con l’oggetto di ricerca, le peculiarità delle tecniche periscopiche richiamano alla necessità di recuperare la dimensione dialogica sia a livello di EQUIPE interna, sia nell’ambito della più ampia comunità scientifica. Problemi etici nella ricerca non intrusiva Possiamo ora sviluppare la seguente domanda: quali sono le problematiche e le implicazioni etiche della ricerca sociologica di tipo non intrusivo? Il sapere moderno, i suoi obiettivi e le sue metodologie, stanno vivendo un momento particolarmente critico, il progresso delle conoscenze sta subendo infatti un processo di revisione da parte sia delle diverse componenti culturali, laiche e religiose della società sia della politica. In tempi brevi, l’attenzione potrebbe verificarsi anche nel campo delle scienze umane e sociali. Alla base di queste problematicità, vi è il progresso tecnologico e soprattutto le modalità di utilizzo della tecnologia sia nelle metodologie di ricerca sia nell’utilizzazione dei risultati ottenuti. Possiamo affermare che la società moderna sia una società “sottocontrollo”, in particolare ci riferiamo al possibile utilizzo delle “tecnologie di sorveglianza” anche per scopi di ricerca. Questa sorveglianza elettronica emerge anche in materia di ricerca sociale, infatti, nell’ambito delle metodologie di ricerca non intrusive, le tecnologie di monitoraggio potrebbero essere strumenti di particolare utilità. Nel momento in cui è messo in atto un sistema tecnologico di monitoraggio e sorveglianza, viene creata una banca dati che per il ricercatore è un grande patrimonio. In relazione al rapporto tra metodi e strumenti di sorveglianza e metodi e strumenti di ricerca sociale, possiamo vedere il ruolo dell’individuo, quale soggetto da “spiare” e oggetto da studiare. L’atteggiamento predominante nella collettività rispetto all’essere cavia inconsapevole di esperimenti sia di sicurezza che di ricerca è la diffusa accettazione tacita del sacrificio imposto dal rispetto della privacy e della riservatezza, in nome di maggiori garanzie di tutela e tranquillità. Esiste una sorta di esibizionismo individuale e collettivo che ha lo scopo della ricerca della spiegazione scientifica di quel segmento di vissuto che viene reso pubblico. Di conseguenza sembrerebbe venirsi a creare maggiore spazio per metodologie di ricerca non intrusive, fondate sulla ricerca di atteggiamenti e comportamenti il più possibile naturali e incondizionati. All’interno della società moderna, esiste contestualmente a questa spinta esibizionistica, anche un intollerante rifiuto alle invasioni, mediatiche e non, nella sfera individuale. Secondo alcuni studi, possiamo parlare di paranoia da “socialismo tecnologico”, una paura concreta di essere ascoltati e spiati nella propria quotidianità, senza potersi opporre in alcun modo. Limiti etici e giuridici nella ricerca non intrusiva Il sapere moderno è un sapere libero. Più che di conflitti sarebbe opportuna parlare di trade-offs, cioè quelle situazioni in cui si contrappongono interessi divergenti tutti però meritevoli di tutela. Interessi che, possono costituire dei limiti reali alla ricerca stessa e al progresso della conoscenza. La prima causa di questi limiti consiste nel rapporto contrastato tra il rispetto dei diritti fondamentali e delle libertà individuali da un lato e le inevitabili restrizioni che l’attività di ricerca non intrusiva finisce per imporre dall’altro. Il contrasto è però insanabile dato che una ricerca che guarda all’individuo avendo alla sua base il mancato coinvolgimento e l’ignoranza del soggetto, non può integrare questo elemento nel suo processo conoscitivo e organizzativo. La seconda causa riguarda la contrapposizione tra il progresso della conoscenza, soprattutto in campo sociologico, e rispetto/tutela della privacy. La privacy è un concetto che ha pervaso tutte le società “evolute”, soprattutto nei paesi occidentali, diventandone un elemento costitutivo importante. Uno dei problemi della privacy è la sua intangibilità, ovvero la difficoltà di stabilire se, quando e come essa venga violata, è un bene immateriale la cui percezione e importanza varia molto da individuo a individuo, perché diversi sono i livelli di sensibilità e attitudine personali nei suoi confronti. Tutto ciò rende difficile stabilire se e quanto sia profondo il trade-offs tra ricerca e privacy. Il terzo limite, più generale e complesso, riguarda il rapporto tra etica e ricerca che si pone una domanda di base, ovvero, la ricerca deve essere neutrale e distaccata oppure umana e contestualizzata? Ciò equivale a chiedersi anche se la ricerca debba avere un ruolo di guida per l’evoluzione dell’umanità, o se invece essa debba porsi al di fuori delle problematiche sociali, limitandosi a studiarle. L’elemento fondante e ricorrente della ricerca è proprio il consenso prestato o negato. La centralità, ovvero la presenza/assenza del consenso, ci permette di introdurre un altro trade-offs riferito alla contrapposizione tra progresso della conoscenza e rispetto del diritto all’identità (la pretesa di veder riconosciuta, anche pubblicamente, la propria individualità anagrafica e soggettiva). La crescente attenzione per il rispetto e per le diverse modalità di utilizzo/sfruttamento della propria individualità sembra essere uno degli effetti dello sviluppo tecnologico; infatti, la diffusione di quest’ultimo ha determinato il moltiplicarsi e il diffondersi di forme di abuso e furto delle identità. Dal punto di vista della ricerca non intrusiva, il problema può definirsi come il diritto al dissenso da parte del singolo, rispetto a metodologie di ricerca non intrusive che sono comunque invasive della sua sfera intima e personale. I trade-offs di cui abbiamo finora parlato evidenziano alcuni degli ostacoli etici che la ricerca non intrusiva si potrebbe trovare ad affrontare. Esistono però anche dei limiti giuridici che potrebbero influenzarne lo svolgimento. In qualche modo sembra essere proprio la costituzione a suggerire un modo per ridurre, almeno in parte, i limiti etici e giuridici che condizionano la ricerca occulta. Il ricercatore etico In conclusione, possiamo chiederci in che termini la ricerca non intrusiva può essere definita. La ricerca è un “fatto individuale” intimamente legata alla sfera personale di ciascun ricercatore, non si può negare infatti che l’osservatore sia sempre parte in causa nello studio dell’oggetto osservato. Inoltre l’etica è intrinsecamente un “fatto umano”, un’esigenza che deriva e coinvolge la persona, più che l’attività. Infatti per quanto contestabile, esiste sempre una possibilità di giudicare, eticamente o giuridicamente, le scelte compiute da un operatore scientifico nell’ambito dello svolgimento del suo lavoro. A questo punto possiamo chiederci come dovrebbero rapportarsi alla ricerca e alla società i ricercatori etici. La soluzione più adatta a contemperare le esigenze della ricerca e del progresso conoscitivo con quelle di tutela, riguarda proprio la ricerca di un equilibrio tra gli interessi contrapposti, tutti comunque meritevoli di essa. Questo risultato non è sicuramente un obiettivo facile da raggiungere. Alcune proposte per altro anche contrapposte provengono soprattutto dalle scienze mediche. Le varie ipotesi proposte in campo sociale riconoscono a ciascun ricercatore una responsabilità per il proprio lavoro; viene sostenuto che gli scienziati non possono più essere considerati non responsabili delle loro azioni. Ciascun ricercatore ha il dovere di utilizzare la sua “immaginazione morale” nello stesso modo in cui usa la sua “immaginazione scientifica”. Quell’impostazione secolare che vuole lo scienziato quale esecutore della razionalità scientifica, completamente non condizionato da implicazione di ordine etico-morale ed indifferente alle ripercussioni del proprio lavoro sulla collettività, è stata quindi sostituita dalla richiesta al ricercatore di adottare una responsabilità etica nello svolgimento delle proprie attività. Perché ciò possa realizzarsi, il ricercatore deve calarsi nella realtà che lo circonda, aprendosi al dialogo e al confronto, e accettando le risposte date dalla dimensione empirica della normalità del vivere quotidiano. Da questa prospettiva relativa alla dimensione individuale del singolo ricercatore, assume un significato ancora più centrale e concreto il richiamo di Max Weber al realismo e alla passione, all’oggettività e al contestuale recupero della vocazione, all’accettazione consapevole del politeismo dei valori e all’onesta intellettuale. Secondo l’autore, proprio lo scienziato sociale sarebbe esposto al rischio di cedere alla vanità e all’autocompiacimento personale, al punto da finire per confondere la dimensione puramente scientifica da un lato e l’ambito morale e politico dall’altro. La sfida posta ai ricercatori moderni potrebbe essere riassunta nella loro capacità di comporre quella che Nietzsche definì l’oltreumanità, un’umanità in grado di riconoscere e difendere la propria coscienza individuale, consapevole di appartenere ad un gruppo eletto, ma sempre in contatto con la realtà in cui vive. La valutazione non intrusiva La valutazione è un’operazione che noi compiamo in modo involontario, noi osserviamo, misuriamo, stimiamo, confrontiamo fra loro fatti e atteggiamenti sociali, quindi tendiamo a raggrupparli seguendo un principio di omogeneità e uno di eterogeneità; nel momento in cui raggruppiamo, stiamo compiendo un’operazione di valutazione. Questa valutazione ha una valenza micro, infatti è riferita al nostro sistema di valori, serve a noi stessi per prendere decisioni conseguenti ed è quindi assolutamente autoreferenziali. È quindi una valutazione non intrusiva, poiché utilizziamo una classificazione pre-esistente e in qualche modo l’aggiorniamo con nuovi elementi; è non intrusiva in quanto manca quella co-istituzione del “fatto valutativo” fra valutatore e valutato: noi valutiamo con l’inconsapevolezza del soggetto di essere valutato. Possiamo ora chiederci se è possibile un’azione di valutazione non intrusiva. Nella storia possiamo distinguere quattro diversi periodi legata al movimento della valutazione. 1. Valutatore: misurazione. Il primo periodo nasce tra le due guerre mondiali negli Stati Uniti, è sviluppato soprattutto in campo psicologico: una valutazione che possiamo considerare come una misurazione di tipo tecnico, cioè i risultati quantitativi di un test misurativo. Quindi misurazione e valutazione erano concetti considerati sinonimi e il miglior valutatore che era in grado di utilizzare il maggior numero di test di misurazione/valutazione. Questa prima generazione è condizionata dall’influsso delle scienze esatte sulle scienze sociali. 2. Valutatore: descrizione. La seconda generazione nasce sulla base dell’insoddisfazione che questo modo di procedere genera. Intorno agli anni ’40, questi valutatori inglobano la misurazione all’interno di un approccio più articolato che comprende la descrizione del processo. Nascono le valutazioni dei modelli forti o deboli, descrizioni di applicazioni in grado o meno di valutare il raggiungimento degli obiettivi. 3. Valutatore: ruolo di giudice. Le caratteristiche di misurazione e descrizione ad un certo punto vengono ritenute riduttive, ci si rende conto che accanto alle prime due caratteristiche debba essere introdotta una terza, quella di un giudizio. Il valutatore prima solo misuratore, poi descrittore viene ad assumere un ruolo di giudice, con l’estensione del processo di valutazione sia ai risultati che allo stesso progetto nella sua globalità. Si capisce che si tratta di un processo che via via ha inglobato all’interno delle funzioni di valutatore, aspetti sempre più aperti e qualitativi assieme ai primi di tipo quantitativo. 4. Valutatore: attori sociali. C’è un aspetto che accomuna questi tre periodi: l’assoluta mancanza di riferimenti all’insieme degli attori coinvolti nei processi che vengono valutati (mancano i cittadini, gli utenti, gli stakeholders). Solo la quarta generazione di valutatori ha cominciato a sviluppare il processo di valutazione insieme alla condivisione di problemi e prospettive con gli attori sociali. Si può ipotizzare per il valutatore un futuro da negoziatore, un ruolo cioè che sappia tener conto anche di interessi e principi etici proprio degli attori sociali. Possiamo distinguere tre tipi differenti di valutazione: • Valutazione ex ante • Valutazione in itinere • Valutazione ex post Valutare ex ante equivale a svolgere quell’operazione che viene fatta quando si decide di vagliare un’ipotesi di progetto non ancora realizzato: l’azione seguita dai valutatori riguarderà una funzione di orientamento all’interno delle diverse possibili opzioni. Valutare in itinere corrisponde ad un processo che si svolge parallelo a quello della stessa implementazione, per verificare ad esempio la corretta applicazione di alcune procedure previste. Valutazione ex post coglie aspetti positivi o critiche dei programmi una volta che l’iter di un intervento si è concluso. Da un lato serve come verifica dello specifico intervento analizzato, dall’altro come base di analisi per eventuali possibili programmi futuri in situazioni analoghe. Accanto a questi tre differenti tipi di valutazione ce n’è un quarto, per certi versi trasversale ai primi: la valutazione di processo. Alcuni tratti distintivi di questa valutazione riguardano: • Chiarire ruoli, relazioni e loro gestione in generale fra quanti sono coinvolti; • Criticità e aspetti positivi legati all’implementazione delle misure; • Aspetti legati alla partecipazione complessiva da parte degli stakeholders. Il ruolo della partecipazione nella valutazione Appare chiaro ora che nei processi di valutazione sono assolutamente fondamentali il ruolo che giocano i processi di coinvolgimento e di partecipazione da parte di tutti gli attori. Possiamo fare un esempio che riguarda la sociologia della salute, una diagnosi, cioè la valutazione medica di uno stato di salute può essere fatta in tre modi differenti: nel primo troviamo un medico in modo top down vale a dire si basa sulla sua lettura della sintomatologia esistente in assenza di un confronto con il paziente. Un secondo modo è quello di fare una diagnosi per mezzo dei risultati strumentali che emergono da un’indagine ad hoc: in questo caso non è tanto il medico a fare la valutazione quanto lo strumento, che mette in luce problemi legati ad un particolare stato di salute del paziente. Il terzo modo prevede uno scambio di informazioni continuo fra medico e paziente, entrambi soggetti attivi, del processo di valutazione. Questo tipo di approccio è condiviso da molti studiosi: ricordiamo chi parla di valutare la qualità dell’intervento come assunzione del punto di vista dell’utente e chi è convinto del fattore che l’azione di valutazione in campo sociale non possa prescindere dal coinvolgimento degli attori. Una valutazione partecipata esprime anche un carattere di trasparenza che in qualche modo la legittima e ne fa uno strumento di assoluta importanza nel processo di crescita collettiva da parte di attori e programmi impostati. Quindi il concetto di partecipazione nel processo valutativo è condizione necessaria ma non sufficiente per fare buona valutazione. Valutazione e qualità Valutazione e qualità sono due concetti che molto spesso viaggiano insieme, perché in fondo, valutare vuol dire anche verificare l’esistenza di requisiti di qualità, o almeno così dovrebbe essere. Perché invece spesso l’operazione di valutazione si riduce ad un giudizio di conformità dal quale sono assenti i requisiti, appunti della qualità. È centrale e vista come un fattore assolutamente co-prodotto la questione della qualità nel caso di un processo di valutazione dei servizi alla persona. Il concetto di qualità intrecciato a quello della valutazione può essere considerato secondo quattro differenti approcci: 1. Qualità come adeguatezza rispetto ai propositi. Vediamo la qualità come un aspetto funzionale, essa si ha se un dato servizio ha raggiunto gli obiettivi che si è posto, importante è proprio la condivisione degli obiettivi e evidente che sono chiamati in causa tutti gli attori. Non si può quindi avere valutazione non intrusiva perché il fissare obiettivi in modo unilaterale (inconsapevolezza degli attori) equivale ad una operazione autoreferenziale e di rottura. 2. Qualità come raggiungimenti degli standard. In questo caso gli standard di eccellenza da raggiungere dovranno scaturire da un processo di condivisione fra gli attori, per evitare che vengano posti standard che esprimano qualità “parziale” non percepita come tale da tutti gli attori coinvolti. Perciò non si potrebbe avere comunque una valutazione non intrusiva. 3. Qualità come eccellenza. Il concetto di eccellenza pone l’oggetto valutativo in posizione predominante rispetto al resto degli esempi della stessa natura. Sarebbe impensabile definire eccellenza ciò che è in qualche modo unico e irripetibile a prescindere da un confronto con altre realtà e senza aver stabilito i criteri stessi di eccellenza, è appunto l’andar oltre l’eccellenza, standard fissati e condivisi cioè intrusivi. 4. Qualità come processo. L’ultimo approccio della qualità valutativa è legata ad un processo, si tratta di qualità condivisa. Infatti il processo spesso prevede una finalità di crescita collettiva per tutti gli attori coinvolti nel rapporto. È il caso particolare di servizi o programmi rivolti alla persona (utente, consumatore o paziente). CONCLUSIONE La risposta alla domanda iniziale “Si può fare valutazione sociale non intrusiva?” non è forse certamente univoca ma segue alcune linee. Nel sociale si valutano i fatti, programmi e progetti che prevedono sempre la compresenza degli attori differenti. Quindi la valutazione, in assenza di consapevolezza da parte degli attori, appare una forma di valutazione simile ad una prima visione di insieme, cioè una presa d’atto di alcuni fenomeni che non prende in esame la ricchezza dei contenuti espressi dagli attori e di conseguenza non può avere il criterio della validazione che deriva da una condivisione degli obiettivi. Al contrario abbiamo il caso di valutazione secondaria: se l’obiettivo fosse per esempio la certificazione dell’avvenuto raggiungimento di alcuni standard prefissati e condivisi allora l’operazione potrebbe essere fatta senza ulteriore condivisione. Ma si tratta di una semplice certificazione, infatti, fare valutazione nel sociale è operazione certamente intrusiva, con tutte le connotazione procedimenti. positive che tale intrusività può avere sui risultati dei BIBLIOGRAFIA - Bisi “Le forme del conoscere i dati nella ricerca empirica” Bonanno Editore 2006 - Corbetta “Metodologia e tecnica della ricerca sociale” Il Mulino 2006 - Corposanto “Metodologia e tecniche non intrusive nella ricerca sociale” Franco Angeli - Statera “La ricerca sociale” logica, strategie,tecniche. Edizione Seam 2004