Bruno Ferretti - Accademia delle Scienze di Torino

Acc. Sc. Torino
Atti Sc. Fis. 145 (2011)
BIoGRAFIE E coMMEMoRAzIonI
Bruno Ferretti
(Bologna, 1° luglio 1913 – Bologna, 11 agosto 2010)
commemorazione tenuta dal Socio nazionale VITToRIo DE AlFARo
nell’adunanza del 15 giugno 2011
Bruno Ferretti, professore emerito all’università di Bologna dal 1988, ci
ha lasciati mercoledì 11 agosto 2010. Era stato cosciente e attivo lavoratore
fino agli ultimi giorni. nato martedì 1° luglio 1913 a Bologna, fece lì gli studi universitari laureandosi con lode. nell’autunno del 1937, quando Gian
carlo Wick divenne professore a Palermo, venne chiamato a Roma da Enrico Fermi che voleva radunare giovani fisici di valore in quel posto di ricerca
avanzata (il torinese di allora sapeva che nel nostro Istituto vigeva la legge di
Pochettino: Deaglio, quando rientrò a Torino da professore, se ne stette al
Galileo Ferraris).
A Ferretti fu affidato lo studio teorico di alcuni aspetti riguardanti i raggi
cosmici, con Gilberto Bernardini, oreste Piccioni e più avanti Gian carlo
Wick (che da Padova, dove era giunto nell’autunno del ’38, prese cattedra a
Roma nell’ottobre del 1940). E Fermi, nel partire alla fine del ’38, propose
che proprio Ferretti lo sostituisse nelle lezioni.
Ma Bruno Ferretti non era solo un personaggio specializzato nella fisica
dei raggi cosmici. Si occupò di problemi molto ampi e vari. la questione
fondamentale fu sempre la teoria dei campi, alla quale diede più volte negli
anni contributi essenziali; ma lavorò anche in relatività generale (di cui nessun fisico si occupava fino agli anni ’60); pubblicò lavori sul moto di elettroni nei cristalli; e, pressato dall’assenza di Fermi, fu obbligato ad
interessarsi di problemi che riguardavano gli sperimentali, diventando un
fondamentale punto di riferimento anche in quel caso. Furono per lui anni di
grande sviluppo intellettuale per chiarire a se stesso molte questioni che poi
spiegava ai colleghi sperimentali e agli studenti di valore. Tra gli altri, si laureò con lui nel luglio del 1940 Marcello conversi che, insieme a Piccioni e
più tardi a Pancini, eseguì tra il ’43 e il ’46 il famoso, memorabile esperimento che dimostrò che la particella di Yukawa non poteva essere responsabile del decadimento dei mesotroni.
Ferretti vinse la cattedra nel 1947 a Milano, ma l’anno seguente rientrò a
Roma, sulla cattedra che Wick aveva lasciato partendo per gli Stati Uniti.
Anni pieni, in cui oltre agli interessi già noti Ferretti si occupò di questioni di
meccanica statistica, lavorando a lungo sulle fluttuazioni della densità intorno al valore critico. Esplorò anche le varie possibilità di sviluppo delle forze
nucleari e il futuro dell’interazione pione – nucleone.
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Felix Bloch, Ferretti, Homi J. Bhabha e Wolfgang Pauli nel 1949 (da sinistra a destra).
Ferretti insieme a coloro che l’hanno aiutato a fare il sincro nell’estate 1961.
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nel settembre del 1952 passò per Roma Bruno Touschek che andò a conoscere Ferretti. Fu una reazione fulminea: in poche ore i due stabilirono una
tale rispettosa amicizia che Touschek decise di restare a Roma. Grazie ad
Amaldi e Ferretti divenne un R2 (a quel tempo l’InFn usava quella nomenclatura: da R6, la minima, a R1, mai usato). I due si lanciarono spesso in discussioni sistematiche approfondite ma non pubblicarono mai nessun
problema specifico insieme; forse troppo individualisti nel modo di pensare,
avevano qualità troppo ricche e diverse per scrivere lavori insieme. Discussero a lungo sulla costruzione di stati legati nell’ambito della teoria dei campi. Ferretti sostenne anche che Touschek era stato uno dei primi a ritenere che doveva
esistere una teoria unitaria delle interazioni deboli con l’elettromagnetismo.
Erano anni speciali, questi passati a Roma. Maria Ferretti, sua moglie, lavorava come «nostromo»: faceva la segretaria tuttofare, sapeva sempre dove
si trovavano materiali e strumentazione e se non esistevano in istituto riusciva a comperarli dove era possibile. Fu lei a ricordare alcune espressioni caratteristiche di Touschek nel primo periodo, tipicamente «il giusto tecnico
del tornare» (la giusta tecnica per girare) o «c’era tanta acqua che si nagiava» (ma più avanti Touschek parlò un italiano perfetto). In quegli anni romani Ferretti governava una corte alla quale arrivavano personaggi come
Verde, zumino, Morpurgo, corinaldesi, Gatto, Fabri e carlo Bernardini.
Ferretti per lunghi anni continuò a sviluppare le idee sul channeling di
particelle ultra relativistiche nei cristalli. Sia a Roma sia a Bologna (dove si
era trasferito nel 1956) sviluppò importanti problemi nella teoria quantistica
dei campi, con ricerche speciali sulla rinormalizzazione e sul collegamento
tra causalità macroscopica e invarianza di lorentz e discussioni profonde sul
problema della definizione dello stato in teoria quantistica (problemi di misura) e sull’approccio alla Feynman - Dyson. Fu uno dei pochissimi, in Italia, ad aver letto ed assimilato i lavori classici di Bohr e Rosenfeld della fine
degli anni ’30, che spiegò in due seminari tenuti a Bologna negli anni ’60.
Erano questioni relative a campi spesso lontani tra loro, ma sempre collegati dalla sua grande capacità di arrivare al nocciolo dei problemi, e sempre
legati alla possibilità di controllo sperimentale. Ma era caratteristico in lui
che la quantità dei lavori pubblicati fosse soltanto una piccola parte
dell’immensa quantità e profondità dei problemi scientifici che lo occuparono per tutta la vita. Era proprio per questo estremamente meritocratico, impaziente di fronte alla mediocrità che vedeva spesso attorno a sé, e la
«rivoluzione» universitaria del ’68 gli dette solo un fastidio immenso. Ebbe
relativamente pochi allievi, tutti di gran classe, mentre detestava di dover
ficcare in mente a studenti non particolarmente svegli questioni che riteneva
banali. Era sempre nervoso, come mi raccontò un’amica gallese che lo vide
nel dopo guerra a Dover, dove i doganieri l’avevano bloccato, spogliato e
obbligato ad aprire tutto, certi che nascondesse chissà cosa. Era anche stra-
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ordinariamente misurato per non dire avaro: talvolta avanzò proposte assurde
(spesso provocatorie), per esempio quando, per rispondere ai progettisti che
magari volevano ridurre al minimo le spese, propose di usare per il riscaldamento del reattore le stufe Becchi alimentate con palle di carta pressate (come nel tempo del passaggio del fronte); ma poi accettò un buon sistema di
riscaldamento della zona del reattore e della sala di controllo.
Ferretti non fu soltanto un grandissimo fisico teorico. con Amaldi negli
anni romani gettò le basi per un consiglio che sarebbe divenuto il cern. nel
dicembre del 1950 partecipò ad un incontro proposto da Pierre Auger al
centre Europeen de la culture e propose al gruppo per gli studi scientifici
una concisa versione, compresi i costi, per un laboratorio europeo di fisica
nucleare basato sulla realizzazione di un grande acceleratore di particelle. la
proposta attecchì; la parte teorica del cern iniziò a copenhagen nel 1953-54
e venne spostata a Ginevra appena furono pronti i primi studi. Ferretti divenne nel 1957 il primo direttore del gruppo teorico in un nuovo centro vicino a
Meyrin, allora solo una trattoria e una stazioncina sulla via della Francia.
Durante quel periodo venne costruito il sincro - ciclotrone da 600 MeV mentre cominciò tra il cern e gli Stati europei la discussione per realizzare il PS
da 25 Gev.
Passiamo a un problema collegato, oltre che al suo immenso prestigio
scientifico, all’isteria maccartista (Maccarthy in quegli anni dominava la
scena). Ferretti, invitato in USA dal collega oppenheimer nel dicembre del
1950, chiese il visto nel marzo 1951; al consolato gli dissero che l’avrebbe
avuto certamente, al punto che fece riservare il posto sulla nave che doveva
portare tutta la famiglia in USA e rinunciò ad altri inviti. Ma il visto, che doveva giungere prima del settembre del 1951, non arrivò e ancora nel giugno
dell’anno successivo (1952), quando Ferretti ne parlò, non ne era in possesso. Eppure, fervente cattolico, era professore a Roma, e non era iscritto a
nessun partito; ma evidentemente al maccartismo, che vedeva un nemico in
ogni straniero, non bastava.
Dal giugno del 1952 il Ministero della Pubblica Istruzione lo designò a
far parte del consiglio del cnRn di Francesco Giordani. Ferretti si battè
perché fosse ottenuto il valore giuridico alle decisioni avviate, cosa che avvenne a partire dal 1956-57, quando Segni ricevette lui, Amaldi, Arnaldo
Angelini (poi direttore generale dell’EnEl) e Felice Ippolito.
Ebbe così inizio un’altra attività, in un campo che non era una caratteristica dei teorici: si occupò con profonda competenza di fisica nucleare applicata. Formò intorno a sé alcuni neo-laureati, persuaso che si potesse ripetere
con argomenti nuovi quanto Fermi aveva compiuto nel dicembre del 1942, e
diede vita ad un reattore di ricerca inventato per l’occasione. Il reattore, RB1
(Reattore Bologna 1), a grafite e uranio arricchito, divenne critico nella notte
tra il 14 e il 15 agosto 1961. Serviva per verificare sperimentalmente i dati di
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calcolo e venne poi utilizzato per studiare reticoli di reattori moderati ad acqua pesante. con tale reattore furono determinate le caratteristiche nucleari
del reattore allora in costruzione ad Ispra (oRGEl). Erano tempi lontani
(1976), quando Ferretti e soci stavano progettando un reattore ad U233 e Torio, adesso molto osannato!
In quel periodo Ferretti fondò anche la «School and labs for nuclear Engineering». Spinse anche a lavorare su problemi generali di scienza e su applicazioni specifiche. Ulteriore dimostrazione della complessa vastità delle
sue idee: non esisteva campo della fisica in cui Ferretti non fosse stato interessato, e sapeva perfettamente quali erano i problemi fondamentali in quel
campo.
Ippolito, divenuto il segretario generale del nuovo cnEn nell’agosto del
’60, ebbe un notevole effetto sulla ricerca pubblica italiana nel campo dei reattori. Due centrali nucleari (a latina, EnI, e al Garigliano, IRI Finlettrica)
erano già state annunziate; ma con la fondazione del nuovo ente nucleare
(cnEn, con legge del 1.8.1960) vennero stanziati i quattrini per due programmi di studio e realizzazione: uno (PRo) per la costruzione di un reattore
nucleare di ricerca da 30 MW, da realizzare nel centro del Brasimone,
sull’appennino bolognese; e un altro per realizzare un centro per lo studio
del ciclo di combustibile Uranio – Torio (PcUT) a Rotondella presso Trisaia
(Matera). nel 1961 Ferretti fornì un altro contributo potente con la progettazione al Brasimone di un reattore RAPTUS (veloce ed omogeneo, raffreddato eterogeneamente a sodio) destinato a dimostrare l’economicità dei
combustibili a base di uranio – torio; progettò anche un altro reattore, veloce
e pulsato. Due reattori che non vennero mai costruiti.
Infatti Ippolito fu osteggiato sempre più da parte di un potente gruppo di
industriali italiani. Già dal 1955 Valerio, presidente della Edison, si era recato in USA per un accordo, siglato solo nel 1958, di acquisto di una centrale
nucleare chiavi–in–mano che venne realizzata solo nel 1964. E Ferretti, persona nota per la sua integerrima moralità (ma anche incapace di distinguere
la politica dalla scienza) fornì la prima occasione (non voluta) per attaccare
Ippolito: prima sempre in normale dialettica con l’Ente, nel giugno 1963 espresse in pubblico dichiarazioni negative sulla sua gestione. Erano questioni
di scarsissimo interesse (si guardi il paragone con la situazione presente) e
rimasero ignorate dall’opinione pubblica. Ma qualcuno nel Senato aveva ricordato i rimproveri di Ferretti ed ebbe sentore di quanto pensavano gli industriali; così il 10 agosto dello stesso anno Saragat sferrò un attacco diretto
e durissimo contro Ippolito su questioni che vennero molto più tardi giudicate di scarsissima importanza. Si giunse al processo penale: Ferretti venne interrogato dai giudici e, da moralista ingenuo, dovette ripetere alcune critiche.
È probabile che avesse creduto ad Angelini che gli aveva sostenuto che Ippolito, non Angelini stesso, era in procinto di smembrare il cnEn («Bruno
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Ferretti su Google», FISIcA/MEnTE, Roberto Renzetti, la Storia di Felice
Ippolito). Si trattò di un caso in cui il grande scienziato venne manipolato da
politici di pochi scrupoli.
negli ultimi anni, finita l’attività di insegnamento, Ferretti discusse ancora su un problema di relatività generale e analizzò l’esistenza di un minorante per la misura dell’impulso.
Bruno Ferretti è stato uno dei pochi massimi contributori italiani dello
scorso secolo. Fu amico dei più grandi scienziati del periodo: da Bhabha a
Heisenberg, da Bloch a Bohr. Un caro amico mi ha scritto che Ferretti ha
certo avuto problemi di salute, e inoltre che la sua meritocrazia era eccessiva
e un po’ fine a se stessa, altrimenti avrebbe preso il nobel. Ma ci sarebbe voluto anche un buon pizzico di fortuna, aggiungo io. Dunque il nobel non è la
sola misura della profondità di uno scienziato. È necessaria una buona dose
di fortuna, anche. E Ferretti, quella fortuna, non l’ebbe.
colgo l’occasione per ringraziare gli amici Franco casali, Guido Fano,
Giorgio Velo e Gianni Venturi che sono stati essenziali per redigere questo
lavoro.