Architettura dei servizi in montagna – 2

Architettura dei servizi
in montagna – 2°
Atti del Convegno
Aosta, Pollein, Grand Place – 18 ottobre 2008
Quaderni della Fondazione - 28
Cahiers de la Fondation - 28
Enti fondatori
Censis
Centro nazionale
di prevenzione
e difesa sociale
Comune di Courmayeur
Regione Autonoma
Valle d’Aosta
PUBBLICAZIONI DELLA FONDAZIONE COURMAYEUR
PUBLICATIONS DE LA FONDATION COURMAYEUR
ANNALI
___________________________________________________________________
1. annali della fondazione courmayeur anno 1992
2. annali della fondazione courmayeur anno 1993
3. annali della fondazione courmayeur anno 1994
4. annali della fondazione courmayeur anno 1995
5. annali della fondazione courmayeur anno 1996
6. annali della fondazione courmayeur anno 1997
7. annali della fondazione courmayeur anno 1998
8. annali della fondazione courmayeur anno 1999
9. annali della fondazione courmayeur anno 2000
10. annali della fondazione courmayeur anno 2001
11. annali della fondazione courmayeur anno 2002
12. annali della fondazione courmayeur anno 2003
13. annali della fondazione courmayeur anno 2004
14. annali della fondazione courmayeur anno 2005
15. annali della fondazione courmayeur anno 2006
16. annali della fondazione courmayeur anno 2007
17. annali della fondazione courmayeur anno 2008
V
COLLANA “MONTAGNA RISCHIO E RESPONSABILITÀ”
_________________________________________________________________
1.
una ricognizione generale dei problemi
2.
le indicazioni della legislazione, della giurisprudenza e della dottrina
3.
i limiti della responsabilità del maestro di sci e della guida
4.
la responsabilità dell’ente pubblico
5.
la responsabilità dell’alpinista, dello sciatore e del soccorso alpino
6.
la via assicurativa
7.
codice della montagna – le indicazioni della legislazione,
della giurisprudenza e della dottrina
8.
code de la montagne – le indicazioni della legislazione,
della giurisprudenza e della dottrina francese
9.
codigo de los pirineos – le indicazioni della legislazione,
della giurisprudenza e della dottrina spagnola
10. codice della montagna – 1994–2004 il punto sulla legislazione,
la giurisprudenza, la dottrina
11. il punto sulla legislazione, la giurisprudenza e la dottrina 1994 – 2004
(Atti del Convegno)
12. giornate della prevenzione e del soccorso in montagna
13. codice svizzero della montagna. le indicazioni della legislazione,
della giurisprudenza e della dottrina svizzera
14. giornate della prevenzione e del soccorso in montagna
su “comunicazione e montagna”
15. codice austriaco della montagna. le indicazioni della legislazione,
della giurisprudenza e della dottrina austriaca
16. giornate della prevenzione e del soccorso in montagna
su “educare e rieducare alla montagna”
VI
17. cd – codice della montagna – “le indicazioni della legislazione,
della giurisprudenza e della dottrina italiana, francese, spagnola,
svizzera e austriaca”
18. giornate della prevenzione e del soccorso in montagna
su “domaines skiables e sci fuori pista”
VII
QUADERNI
___________________________________________________________________
1.
minoranze, culturalismo cultura della mondialità
2.
il target famiglia
3.
les alpages: hier, aujourd’hui, demain – l’entretien du paysage montagnard: une approche transfrontalière
4.
memorie e identità: prospettive nei percorsi del mutamento
5.
l’inafferrabile élite
6.
sistema scolastico: pluralismo culturale e processi di globalizzazione
economica e tecnologica
7.
le nuove tecnologie dell’informazione
8.
architettura nel paesaggio risorsa per il turismo? – 1°
9.
architettura nel paesaggio risorsa per il turismo? – 2°
10. locale e globale. differenze culturali e contesti educativi nella complessità dei mondi contemporanei
11. i ghiacciai quali evidenziatori delle variazioni climatiche
12. droit international et protection des regions de montagne/international law
and protection of mountain areas – 1°
13. developpement durable des regions de montagne – les perspectives juridiques à partir de rio et johannesburg/sustainable development of mountain areas
– legal perspectives beyond rio and johannesburg – 2°
14. culture e conflitto
15. costruire a cervinia… e altrove/construire à cervinia…. et ailleurs
16. la residenza e le politiche urbanistiche in area alpina
17. architettura moderna alpina: i rifugi/architecture
refuges – 1°
VIII
moderne alpine: les
18.
ricordando laurent ferretti
19. architettura moderna alpina: i campi di golf
20. architettura moderna alpina: i rifugi/architecture
refuges – 2°
moderne alpine: les
21. i servizi socio-sanitari nelle aree di montagna: il caso della comunità
montana valdigne-mont blanc - ricerca su “sistemi regionali e sistemi locali di welfare: un’analisi di scenario nella comunità montana valdignemont blanc”
22. il turismo diffuso in montagna, quali prospettive?
23. architettura dei servizi in montagna – 1°
24. agricoltura e turismo: quali le possibili integrazioni? ricerca su “integrazione tra agricoltura e gli altri settori dell’economia di montagna nella comunità montana valdigne-mont blanc”
25. il turismo accessibile nelle località di montagna
26. la specificità dell’architettura in montagna (in preparazione)
27. la sicurezza economica nell’età anziana: strumenti, attori, rischi e
possibili garanzie (in preparazione)
28. architettura dei servizi in montagna – 2°
IX
ORGANI DELLA FONDAZIONE
LES ORGANES DE LA FONDATION
CONSIGLIO DI AMMINISTRAZIONE
Lodovico PASSERIN d’ENTRÈVES, presidente; Enrico FILIPPI, vice presidente,
Camilla BERIA di ARGENTINE, Pierluigi DELLA VALLE, Giuseppe DE RITA,
Alessia DI ADDARIO, Lukas PLATTNER, Emilio RICCI, Giuseppe ROMA,
Roberto RUFFIER, Lorenzo SOMMO
COMITATO SCIENTIFICO
Franzo GRANDE STEVENS, presidente; Alberto ALESSANDRI, Stefania
BARIATTI, Guido BRIGNONE, Dario CECCARELLI, Ludovico COLOMBATI,
Mario DEAGLIO, Stefano DISTILLI, Gianandrea FARINET, Gianluca FERRERO,
Waldemaro FLICK, Stefania LAMOTTE, Jean–Claude MOCHET, Paolo
MONTALENTI, Giuseppe NEBBIA, Guido NEPPI MODONA, Livia POMODORO,
Ezio ROPPOLO, Igor RUBBO, Giuseppe SENA, Camillo VENESIO
COMITATO di REVISIONE
Veronica CELESIA, Ludovico COLOMBATI, Giuseppe PIAGGIO
Jean-Claude FAVRE, supplente
Elise CHAMPVILLAIR, segretario generale
Barbara SCARPARI, assistente del Presidente
X
Architettura dei servizi
in montagna – 2°
Atti del Convegno
Aosta, Pollein, Grand Place
18 ottobre 2008
Cura redazionale di Camilla Beria di Argentine
INDICE
INDIRIZZI DI SALUTO
Lodovico Passerin d’ Entrèves.................................................. pag.
Marco Viérin................................................................................ pag.
Manuela Zublena....................................................................... pag.
7
9
11
RELAZIONI INTRODUTTIVE
Giuseppe Nebbia............................................................................ pag.
Andrea Marchisio....................................................................... pag.
Roberto Domaine......................................................................... pag.
17
21
26
Prima Sessione
L’ARCHITETTURA DEI SERVIZI:
CULTURA E VALORIZZAZIONE DEL PATRIMONIO
Giuseppe Nebbia............................................................................ pag.
31
Exemples d’architecture en Savoie
Bruno Lugaz................................................................................ pag.
33
Rifunzionalizzazione del Villaggio minerario “Anselmetti”
a Cogne (Valle d’Aosta)
Corrado Binel.............................................................................. pag.
35
Architetture dei servizi in Valtellina (Sondrio)
Simone Cola.................................................................................. pag.
30
Punto informazioni Morene del Chiusella (Torino)
Danilo Marco............................................................................... pag.
45
Passerelle sur l’Areuse, Boudry NE (Svizzera)
Bernard Delefortrie.................................................................. pag.
47
Progetto per la valorizzazione delle risorse termali
del comune di Pré-Saint-Didier (Valle d’Aosta)
Paola Gerosa................................................................................ pag.
49
3
Seconda Sessione
L’ARCHITETTURA DEI SERVIZI: LA SCUOLA
Giuseppe Nebbia............................................................................ pag.
59
La scuola elementare di Laion-Novale (Bolzano).
Edificio passivo Casaclima Oro
Johann Vonmetz.......................................................................... pag.
61
Restauro dell’ex Cotonificio Brambilla
Luigi Bochet................................................................................. pag.
66
Istituto tecnico agrario Castel Baumgarten – Ora (Alto Adige)
Wolfgang Piller.......................................................................... pag.
71
Scuola materna Corrado Gex Aosta
Gli elementi alla base del progetto
Carla Falzoni.............................................................................. pag.
77
DIBATTITO E CHIUSURA
Giuseppe Nebbia, Luca Moretto, Luciano Bolzoni, Alberto
Martinazzi, Corrado Binel, Sandro Sapia, Luigi Bochet, Enrica
Quattrocchio, Wolfgang Piller, Andrea Marchisio, Giorgio
Severino Bagnasco................................................................... pag. 82
4
INDIRIZZI DI SALUTO
Lodovico Passerin d’Entrèves
presidente della Fondazione Courmayeur
Autorità, Signore e Signori,
A nome del Consiglio di Amministrazione e del Comitato Scientifico della Fondazione Courmayeur, do il benvenuto ai partecipanti al secondo Convegno su “L’architettura dei servizi in montagna”.
Un particolare ringraziamento agli assessori Manuela Zublena e Marco Viérin, i
quali ci onorano della loro presenza, oltre che ai relatori che ci intratterranno durante
questa giornata di riflessione.
L’Osservatorio sul sistema montagna “Laurent Ferretti” della Fondazione, che organizza questo incontro, è nato nel 1994 ed è impegnato a favorire, in piena coerenza
con lo Statuto, il confronto di idee sui problemi della montagna, con il contributo
dei migliori specialisti e con il coinvolgimento delle realtà locali. Dal punto di vista
operativo abbiamo cercato di sviluppare attività multidisciplinari con un’ottica transfrontaliera. Nel corso degli anni si sono realizzati programmi pluriennali di ricerca
come il rischio e la responsabilità in montagna e l’architettura moderna alpina, cui la
giornata di oggi è dedicata.
A fianco di questi filoni il Comitato Scientifico ci ha confortato sull’opportunità
di continuare ad occuparci anche di turismo, di agricoltura e di servizi sociali di
montagna. La costante pubblicazione delle attività realizzate ci consente di mettere a
disposizione della comunità scientifica e degli operatori il materiale elaborato.
L’impegno dell’Osservatorio sul sistema montagna è di operare con modalità sinergiche con enti valdostani che, a vario titolo, si occupano di montagna: l’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Valle d’Aosta per
il programma di ricerca su Architettura moderna alpina, la Fondazione Montagna
Sicura per le attività connesse al Rischio e responsabilità in montagna, l’Institut
Agricole Régional per il programma di ricerca su Agricoltura di montagna, il CSV
- Coordinamento Solidarietà della Valle d’Aosta per le attività relative al tema del
turismo accessibile, l’Università della Valle d’Aosta e la Fondation Grand Paradis.
A fianco di queste relazioni con gli attori locali che si occupano di montagna l’Osservatorio della Fondazione è anche impegnato a dialogare con enti che operano sul
piano nazionale ed internazionale.
Nei precedenti incontri è emersa la conferma della centralità dell’architettura di
montagna (di servizio e non di servizio) come uno degli elementi determinanti per
favorire l’attrattività di un territorio. In una realtà di sempre più forte competizione
tra territori, la Fondazione ritiene importante continuare a riflettere su questi temi
anche nel prossimo anno.
Ringrazio l’Ordine per la fattiva collaborazione attivata a partire da quest’anno
nella realizzazione delle attività del programma pluriennale di ricerca Architettura
moderna alpina, in particolare la Mostra Architettura alpina contemporanea - Premio Città di Sesto 2006, ospitata alle Scuole Elementari di Villeneuve dal 5 luglio
7
al 24 agosto 2008, la Tavola rotonda su La specificità dell’architettura in montagna
del 10 luglio scorso, attività svolte in collaborazione anche con la Fondation Grand
Paradis, ed il Convegno odierno.
Ringrazio, infine, tutti coloro che sono impegnati nell’organizzazione di questo
incontro, in particolare il presidente dell’Osservatorio sul sistema montagna, l’architetto Beppe Nebbia, l’artefice delle attività relative all’architettura moderna alpina,
Andrea Marchisio, presidente dell’Ordine, ed i componenti della Commissione cultura e comunicazione dell’Ordine, presieduta da Sandro Sapia.
Vorrei passare la parola a Marco Viérin, assessore alle Opere pubbliche, Difesa
del suolo ed Edilizia residenziale pubblica della Regione Autonoma Valle d’Aosta,
che ringrazio ancora per la sua presenza.
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Marco Viérin
assessore alle Opere pubbliche, Difesa del Suolo ed Edilizia residenziale pubblica
Innanzitutto porto il saluto del Presidente della Regione, che non può essere presente per impegni istituzionali fuori Valle, e di tutta la Giunta della Regione Autonoma Valle d’Aosta.
Sono particolarmente felice di essere qui oggi in qualità di assessore ai Lavori
pubblici della Valle d’Aosta, carica che ho assunto tre mesi fa.
Ringrazio l’Osservatorio sul Sistema Montagna “Laurent Ferretti”, la Fondazione
Courmayeur e l’Ordine degli Architetti della Valle d’Aosta.
Credo che questo secondo Convegno, come il primo organizzato l’anno scorso,
rappresenti un’opportunità per uno scambio di esperienze e di riflessioni, che sia
un’occasione di crescita per tutti.
L’argomento di oggi (L’architettura dei servizi in montagna) è di notevole rilevanza all’interno di un tema più ampio: la relazione tra architettura e contesto montano.
In particolare, l’analisi delle diverse realtà presenti nell’arco alpino rende possibile
il confronto sulle risposte fornite in ambito architettonico, al fine di superare i limiti determinati dal contesto e, lì dove è possibile, tramutarli in opportunità. Questo
passaggio dalle criticità alle opportunità può realizzarsi esclusivamente grazie a una
conoscenza attenta del territorio, delle sue specificità e caratteristiche, tramite una
consapevolezza delle differenze presenti all’interno dello stesso arco alpino. Il confronto tra le diverse realtà dell’arco alpino, quindi tra le differenti soluzioni adottate
nel progettare in montagna, è indispensabile per non partire da zero, per sfruttare
l’esperienza acquisita e per instaurare le giuste sinergie.
Innanzitutto vorrei evidenziare come il tema sia importante per la definizione
delle politiche urbanistiche nell’area alpina.
La crisi energetica mondiale e l’esigenza di rispettare l’ambiente e contenere l’inquinamento impongono l’attuazione di politiche finalizzate all’utilizzo di energie
rinnovabili, ma ad oggi, purtroppo (e qui facciamo un po’ di autocritica), la gran parte degli edifici pubblici non risponde a questi obiettivi. È, altresì, sempre più necessaria un’attenta valutazione dei potenziali rischi derivanti dai fenomeni naturali nei
territori di montagna; rischi che si devono saper affrontare e valutare sin dall’inizio
per percorrere l’iter realizzativo di un’opera pubblica consci del luogo in cui si va a
progettare, soprattutto se si tratta di realizzazioni finalizzate ai servizi.
Si deve prestare una forte attenzione alla funzionalità e alla fruibilità degli spazi
e in particolare a quelli che saranno i successivi costi di gestione delle strutture,
pensando anche a doppie e triple destinazioni d’uso. Questo è un argomento a cui io
do molta importanza per il futuro, perché sicuramente le spese di gestione dei fabbricati o delle infrastrutture destinate ai servizi avranno un’incidenza sempre maggiore su ciò che una pubblica amministrazione potrà dare e fare per la comunità. Se
non faremo attenzione a questo tema importantissimo, avremo dei seri problemi,
come già in parte abbiamo, laddove oggi tantissime strutture sono quasi ingestibili,
anche perché non c’è nulla di peggio del semiutilizzo, che determina uno sperpero
9
di denaro pubblico e che trasmette un’immagine negativa alla collettività tutta.
Credo sia, altresì, importante, per un territorio di montagna, non occupare le aree
libere, ma privilegiare azioni di recupero e di riqualificazione del patrimonio edilizio esistente, rivisitando, se necessario, le normative di salvaguardia ambientale della
Sovrintendenza alla luce delle nuove esigenze. Quindi, se per utilizzare soprattutto il
patrimonio edilizio esistente è necessario modificare anche alcune regole, è giusto che
la politica intervenga. Un esempio per tutti è il programma di maggioranza in cui noi
abbiamo esplicitato due grandi obiettivi: il primo, la riqualificazione di tutto il tratto
stradale della statale n. 26 che da Quart arriva ad Aosta. A questo proposito concedetemi una battuta: i Romani per entrare in città costruirono l’Arco di Augusto, noi oggi
abbiamo il casello di Quart e un percorso orrendo per arrivare al sottopasso per via Clavalité, un’entrata che è molto distante dall’immagine che i Romani avrebbero voluto
dare alla città. Quindi io credo che un ripensamento sarebbe più che necessario.
Chiaramente, gli amministratori e la politica devono iniziare a ragionare in maniera
un po’ diversa insieme a tutti voi, perché prima di andare a spostare grandi infrastrutture bisognerebbe capire che cosa si vuole realizzare nel sito che si lascia per andare
a costruire altrove. Anche qui faccio un esempio pratico: lo spostamento dello stadio
“Puchoz”. Questo è un intervento che può andare bene, l’importante è capire che cosa
vogliamo fare nell’area che lasciamo libera, perché non ci sarebbe niente di peggio che
mantenere inutilizzata quell’area per dieci anni aspettando che ci vengano delle idee.
Cioè, è meglio avere le idee prima e decidere lo spostamento dopo.
Ancora, io credo che oggi i servizi siano sempre più indispensabili per il mantenimento dell’uomo nei territori di montagna, che è uno degli obiettivi principali di
tutti gli amministratori dell’arco alpino. Credo che questo obiettivo ci unisca tutti
e che pertanto siamo tutti chiamati alla sua realizzazione, oggi più che ieri, in particolare attraverso l’architettura dei servizi, visto l’avvento costante di tecnologie
nel campo energetico ed edilizio che possono trovare applicazione reale anche nel
nostro territorio alpino. Questa è una grande scommessa che dobbiamo vincere tutti
insieme, è una grande sfida per il futuro. La cosa non è facile, se non poniamo una
forte attenzione alle nuove fonti energetiche e alle nuove tecniche costruttive… E qui
l’ente pubblico deve fare da traino, perché in questo modo può far capire anche al
privato, al cittadino comune che non ha impegni pubblici, i vantaggi che queste scelte porteranno a medio e a lungo termine; se il cittadino non percepisce questo, l’ente
pubblico ha il dovere di renderlo cosciente che questa sarà la strada del futuro.
Anche questo secondo Convegno, quindi, contribuirà senz’altro ad avvicinarci
tutti insieme alle nuove sfide dettate dalle presenti e future esigenze di chi deve vivere in montagna. Quindi auguro a tutti voi buon lavoro.
Vi chiedo scusa se dovrò assentarmi prima della fine della mattinata, ma ho un
altro impegno. So che la collega Manuela Zublena potrà restare fino al primo pomeriggio, almeno fino a pranzo, perché è interessante anche per noi ascoltare il vostro
dibattito. Se ce la farò, ritornerò un momento nel pomeriggio, perché il primo comandamento è: imparare ad ascoltare, poi si possono fare delle scelte e assumere
comportamenti adeguati.
10
Lodovico Passerin d’Entrèves
Grazie, Assessore Viérin.
Mi fa piacere ricordare in questa sede che l’assessore Viérin, nel suo cursus honorum, è stato anche sindaco di Pollein e la struttura in cui ci troviamo è merito molto
del suo impegno…
…(VIÉRIN: Della squadra.)…
Della squadra, ma come sempre, quando una squadra marcia bene, si guarda al
capitano. Quindi siamo ospiti di un’architettura di servizio per la quale l’impulso è
venuto dall’amico Viérin.
La parola all’assessore Zublena, che ringrazio particolarmente per essere presente questa mattina.
Manuela Zublena
assessore al Territorio e Ambiente della Regione Autonoma Valle d’Aosta
Buongiorno a tutti.
Anch’io desidero ringraziare la Fondazione Courmayeur e l’Osservatorio per
avere organizzato questa iniziativa. Tra l’altro, ho già avuto il piacere di partecipare
alla precedente riunione tenutasi nel mese di luglio.
Vorrei fare alcune considerazioni legate strettamente al mio punto di vista di assessore al Territorio e all’Ambiente. Il programma della giornata (e in parte anche
l’intervento dell’assessore Viérin) tocca principalmente la progettazione delle strutture che ospitano i servizi; in realtà, io voglio fare qualche considerazione più generale
sulla pianificazione dei servizi nelle aree di montagna, tema più legato alla missione
del mio assessorato. Questa presenta aspetti che vanno oltre quelle che sono mere
considerazioni di tipo qualitativo e quantitativo, perché fortemente legati alle specificità del nostro territorio di montagna, anzi, a me piace dire di alta montagna, perché
così è la Valle d’Aosta: un territorio estremamente complesso, caratterizzato da una
discontinuità orografica e conseguentemente anche dell’insediamento abitativo.
Sappiamo che la nostra regione vive in realtà due contesti distinti: quello del
fondo valle, con connotazioni tipicamente urbane, e quello degli insediamenti in
quota, nelle valli laterali. È, quindi, chiaro che la situazione dei servizi presenta
problematiche estremamente diverse nell’uno e nell’altro caso, problematiche che
perciò necessitano di un approccio specifico per ognuna delle due realtà. La valle
centrale pone i problemi di tutte le zone fortemente antropizzate, urbane, con una
concentrazione di servizi nel capoluogo intorno a cui gravita tutta la popolazione che
vive nelle zone vicine; le valli laterali, invece, vedono una situazione di insediamento
diffuso, che rende particolarmente difficile portare i servizi e giustificarli da un punto
di vista strettamente economico. C’è poi un altro fatto: i servizi, per via di un’economia prettamente turistica, sono legati a un discorso di periodicità e stagionalità,
11
per cui ci sono forti variazioni del numero di utenti con il rischio di essere più attenti
alle esigenze di tipo turistico, con i cittadini residenti che talvolta si sentono un po’
svantaggiati, quasi cittadini di seconda categoria.
Un miglioramento della distribuzione dei servizi si ottiene sicuramente attraverso lo sviluppo di sistemi telematici. Molte prestazioni che richiedono alle persone
uno spostamento fisico, con aggravio di tempo, di spesa e con evidenti impatti da
un punto di vista ambientale e congestione delle strutture, potranno essere erogati
− e in parte già lo sono − per via telematica, con un notevole risparmio. Penso, per
esempio, alle prenotazioni online nel settore sanitario. La Regione Valle d’Aosta, da
questo punto di vista è, anche per necessità, piuttosto avanzata.
Riferendomi ai settori di cui si occupa il mio Assessorato, si potrebbero per
esempio fornire dei servizi relativi ai dati cartografici e catastali distribuiti attraverso una piena informatizzazione, per cui gran parte dei rapporti tra cittadini e
amministrazione potrebbe avvenire restando tranquillamente seduti a casa propria
o davanti ad un terminale in qualunque sede pubblica. Questo chiaramente vale
se si pensa a tipologie di servizi che erogano prestazioni individuali, cioè il classico pezzo di carta di cui il cittadino ha bisogno e che può essere teletrasmesso,
non vale per tutte quelle funzioni che richiedono l’uso di vere e proprie strutture
concrete con valenze sociali, per esempio i servizi sportivi e ricreativi come quelli
forniti dalla sede “Grand Place” che ci ospita oggi, ma anche scuole, biblioteche,
musei, ambulatori, ospedali. È chiaro che, anche migliorando l’accessibilità attraverso prenotazioni online, per questo tipo di prestazioni non si può prescindere
da un trasferimento fisico nelle strutture specializzate in cui l’offerta è collocata.
Resta, inoltre, la necessità di mantenere una rete di servizi distribuiti e questo
pone oggi anche il problema della multifunzionalità degli edifici pubblici, che ha
portato sempre più i comuni a realizzare le cosiddette sale polivalenti, i centri
multifunzionali e quant’altro. Questo comporta che il progetto di una qualunque
struttura pubblica preveda una notevole flessibilità proprio per i diversi usi che
ne vengono richiesti; una flessibilità che però non vuol dire anonimato, oppure
indifferenziazione nella tipologia architettonica, anzi, credo che, quanto più si dovranno concentrare le funzioni, tanto più sarà necessario trovare nuove forme che
caratterizzino l’edificio pubblico.
Se un tempo forma e funzione erano strettamente legate o coincidevano (cioè una
scuola, proprio da un punto di vista tipologico, la si riconosceva e la si riconosce
ancora sul territorio, così un ospedale), per gli edifici multifunzionali una tipologia
che li renda riconoscibili è forse ancora tutta da scoprire, da immaginare. Qui credo
che si ponga una nuova sfida per l’architettura di montagna, per la qualificazione del
nostro paesaggio, se si pensa anche all’esiguità degli spazi di un territorio che è così
avaro di aree disponibili. Il terreno è qualcosa di veramente prezioso e irriproducibile, quindi, particolare attenzione deve essere posta ad un’adeguata strutturazione
degli edifici, senza necessariamente abbandonare un edificio vecchio per occupare
un nuovo spazio in modo indiscriminato. Ciò compete principalmente all’amministratore, al politico.
12
Dal punto di vista urbanistico, mi sembra che vada fatta una considerazione ancora di tipo diverso: perché concentrare tutte le funzioni e non immaginare, invece, una
migliore distribuzione territoriale che dia a ciascun luogo una funzione di servizio
specifica? Questo anche con l’obiettivo − doveroso − di contrastare il fenomeno della
periferizzazione delle zone di montagna, ma anche delle zone della cintura urbana
(come Pollein, come i comuni che si sono sviluppati attorno ad Aosta), periferizzazione che ha trasformato molte aree in zone puramente residenziali. Spesso i nostri
comuni sono andati un po’ alla deriva trasformandosi in dormitori per via dell’insediamento di alloggi forse meno pregiati, a costi più bassi, in luoghi che, quindi, non
diventano a tutti gli effetti dei centri nuovi con nuovi sviluppi, ma che perdono un po’
della propria identità divenendo borghi che gravitano intorno a grossi poli urbani, nel
nostro caso Aosta. Da questo punto di vista, è necessario che ogni comune individui
le offerte di servizi che può mettere in campo, specializzando le proprie funzioni su
scala territoriale. Credo che l’esempio di Pollein, con l’area “Grand Place” vada in
questa direzione, avendo un proprio centro ricreativo, sportivo, ecc., che di fatto fornisce un servizio anche ai comuni vicini. Così, oltre a questo tipo di strutture, si può
pensare anche a zone di altra natura, culturali e scolastiche, che possano rispondere
ad esigenze su scala superiore rispetto a quella strettamente circoscritta al comune.
Penso che la presenza di servizi su scala territoriale sia una delle condizioni che può
giustificare, anche economicamente, la fornitura di altri prestazioni, per esempio i
trasporti, che altrimenti sarebbero considerati un puro passivo da un punto di vista
economico.
È stato citato dall’assessore Viérin l’esempio dell’Amérique come ingresso poco
qualificante verso la città di Aosta. Io voglio, invece, proporre questo esempio sotto
un’ottica diversa. Non fraintendetemi, non voglio proporre l’Amérique come tipologia di insediamento da riprodurre, ma come un esempio del modo in cui spontaneamente, per iniziativa individuale, a partire dagli anni ‘70, poco per volta i capannoni
commerciali hanno iniziato ad insediarsi fino a far sorgere un polo di attività che
oggi, che lo si voglia o no, che piaccia o no, da un punto di vista commerciale ed
economico è forse uno dei più forti di tutta la regione. Tra l’altro, a partire dall’embrionale gruppo o nucleo dell’Amérique, si sono in seguito aggiunti altri servizi
(oggi, per esempio, c’è un cinema, quindi un servizio alternativo rispetto all’offerta
della città di Aosta).
Allora perché non avvalersi di un processo di tipo spontaneo, chiaramente ricondotto all’interno di un contesto pianificato, in cui ogni comune possa valorizzare le
proprie specificità con un’offerta di servizi per tutto il territorio?
Proprio questa – e concludo – è una delle tante sfide che si pongono al mio Assessorato nel momento in cui, così come previsto dal programma elettorale, si deve
affrontare la revisione del piano territoriale e paesistico; una revisione forse non
nell’immediato, ma che comunque io non concepisco come un aggiustamento, come
un fatto formale, ma piuttosto come un processo condiviso con le amministrazioni
locali, con le categorie più sensibili della popolazione o anche più interessate, per la
valorizzazione di ogni singola parte del territorio, con l’obiettivo che ho cercato di
13
illustrare: la specializzazione di funzioni per una fruizione su scala più ampia, non
limitata a quella locale.
Con questo vi ringrazio ancora per avermi invitato e vi rinnovo l’augurio di buon
lavoro.
Lodovico Passerin d’Entrèves
Grazie all’assessore Zublena per l’interessante relazione, soprattutto per gli aspetti propositivi che la relazione stessa contiene.
Con l’intervento dell’assessore Zublena si conclude la fase dei saluti.
Prego l’amico Giuseppe Nebbia di assumere la presidenza dei lavori della giornata.
14
RELAZIONI INTRODUTTIVE
Giuseppe Nebbia
presidente dell’Osservatorio sul sistema montagna “Laurent Ferretti”
Ringrazio il presidente per l’incarico che mi ha chiesto di assumere.
Mi pare che con i contributi che l’assessore Viérin e l’assessore Zublena ci hanno
portato siamo già andati nel concreto. Gli assessori non ci hanno fornito solo indicazioni generiche, ma hanno affrontato problemi puntuali, anticipando così anche
alcuni degli argomenti che volevo illustrare riguardo agli obiettivi che la Fondazione
ha voluto assumere in questa sede.
L’Osservatorio sul sistema montagna “Laurent Ferretti” della Fondazione
Courmayeur, in collaborazione con l’Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della Valle d’Aosta, prosegue nelle iniziative atte a illustrare i rapporti tra l’architettura e la montagna in relazione alle condizioni socio-economiche
e giuridiche del contesto.
Con questa occasione inizia la collaborazione tra l’Ordine degli Architetti, e la
Fondazione, nella prospettiva di coinvolgere, nella preparazione del convegno, un
maggior numero di operatori qualificati, che possano apportare il loro valido contributo.
Nel convegno dell’anno scorso era stata sottolineata la funzione precipua dell’architettura dei servizi, tesa a dotare delle strutture necessarie le località di montagna,
al fine di limitarne lo spopolamento.
L’estendere il più possibile il cosiddetto “effetto città” all’ambiente di montagna,
era inteso come una garanzia di adeguata presenza umana sul territorio, con un ruolo
quasi di “presidio”.
Con questo secondo Convegno sulla “casa dei servizi”, l’Osservatorio e l’Ordine
intendono ulteriormente evidenziare le qualità di una architettura atta a dare forma
alle esigenze ed alle domande avanzate dai servizi sociali, esaltandone i caratteri
architettonici ed ambientali ed il ruolo di “esempio” per un buon costruire.
Il permanente interesse per l’architettura dei servizi deriva non solo dalla vastità
delle situazioni e degli esempi ma anche dalle sfide che tale architettura deve raccogliere per dare forma a nuove funzioni ed a nuove tipologie, non più rurali, conseguenti a nuova domanda ed a nuove esigenze in un territorio difficile e sensibile
quale quello della montagna.
Negli ultimi anni si assiste ad un crescendo generale di interesse per l’architettura
in montagna, evidenziato non solo dal successo delle iniziative della Fondazione, ma
anche di altre sviluppatesi nell’arco alpino, quali i premi Città di Sesto, che abbiamo
documentato l’estate scorsa allestendo un’apposita mostra, i convegni di Castione
della Presolana, la recente Biennale dei paesaggi montani svoltasi a Trento e Rovereto, ed altre.
Perché questo crescendo di interesse dopo un lungo periodo di appannamento
successivo ai convegni di Bardonecchia sull’architettura in montagna svoltisi negli
anni ‘50?
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Una sommaria risposta permette di affermare che l’architettura realizzata in montagna può offrire molto di più che in altri contesti, specie se urbani.
Innanzi tutto ogni trasformazione che avviene sul territorio dialoga e si confronta con il circostante paesaggio naturale che le attribuisce una nuova dimensione e
che indirizza e condiziona le scelte architettoniche. La costruzione non si sviluppa
nell’ambito del suo perimetro ma comprende l’intorno che forma, con questa, un
tutt’uno. Si crea in tal modo una particolare integrazione tra la natura e gli insediamenti rendendo palese quel profondo legame che ha sempre caratterizzato le relazioni funzionali tra l’impianto rurale ed il territorio di competenza, atto a fornire le
risorse per i suoi abitanti.
Il legame che unisce oggi l’architettura all’ambiente montano è meno essenziale
e vitale, ma più culturale e più legato alla natura. Deriva in parte dalla percezione,
maturata negli ultimi secoli, di una montagna amica e non più maudite − maledetta −,
ed in parte dal desiderio di vivere in un ambiente più naturale e meno urbanizzato.
L’architettura in montagna esalta poi le linee, i piani, le forme inclinate, sviluppando una nuova dimensione, in sintonia con la morfologia dell’ambiente caratterizzato dal pendio, che rifugge dalla schematicità ortogonale delle cosiddette scatole di
cartone. Ne risultano forme più variate e sorprendenti, tese a definire spazi interni ed
esterni non omologati.
La costruzione in montagna offre alla vista parti usualmente nascoste dell’edificio, quali la copertura, da considerare quinto prospetto difficilmente percepibile senza una visione dall’alto. Assumono forzatamente diversa e più elevata dignità quelle
parti usualmente trascurate quali appunto il tetto, i camini, la torre dell’ascensore, le
antenne di vario tipo ed altri elementi evidenti posti sopra la copertura.
Le visioni dal basso poi sono particolarmente emozionanti quando l’edificato incombe e sembra posto in cielo, irraggiungibile. È una sensazione che si riscontra
spesso nella salita ai rifugi o alle stazioni superiori delle funivie, la cui posizione
strapiombante esalta la difficoltà dell’ascesa, più o meno faticosa.
Anche gli spazi interni assumono connotazioni più coinvolgenti quando si aprono
al paesaggio che viene così chiamato a costituirne parte integrante, in un’unità tra
interno ed esterno.
Sinteticamente si può sostenere che l’architettura in montagna presenta una maggiore offerta di qualità diffusa tanto più varia quanto sono vari i paesaggi montani in
cui viene posta.
Una profonda rivoluzione sta interessando l’architettura in genere, e quella in
montagna in particolare, generata dagli interventi necessari per contrastare l’elevato
costo o la scarsità delle risorse energetiche. L’architettura montana spontanea ha
avuto a disposizione solo risorse energetiche limitate, fornite dai pochi e poveri combustibili locali o dal calore animale. Queste deboli risorse oltretutto si dileguavano
per la canna del camino oppure non venivano trattenute dai pesanti muri in pietra.
Oggi però esiste una domanda per una qualità superiore dell’abitare, se non altro
a livello di benessere e di servizi. Necessitano nuove soluzioni che non sempre si
pongono nel solco della conformazione architettonica tradizionale quale si è traman18
data nei secoli. Ad esempio come si possono conciliare le esigenze di un corretto
orientamento dei pannelli solari, nelle nostre regioni a 45° rispetto all’orizzontale
e secondo l’asse eliotermico, con la pendenza dei tetti in lose di 30° eventualmente
orientati a nord?
Le condizioni del contesto sono cambiate, ed il progettista deve tenerle in considerazione, sia per evitare sprechi e costi eccessivi, sia per una coerenza progettuale
che tenga razionalmente conto dell’ambiente.
L’architettura contemporanea, che deve soddisfare maggiori esigenze funzionali
ed energetiche con costi sempre crescenti e con impianti sempre più complessi, arriva sovente a proporre tipologie diverse da quelle che per tanto tempo hanno caratterizzato il costruire in montagna, reinterpretandole.
Pur essendo le nuove proposte formali molto distanti da quelle tradizionali si
riscontra una sorprendente analogia di comportamento tra i costruttori d’antan e
quelli contemporanei. Entrambi hanno tentato e tentano di dare risposte razionali alle
condizioni del vivere nel rispettivo periodo storico.
Le architetture atte a meglio rispondere alle nuove condizioni dell’abitare interessano per lo più edifici di servizio od ad uso collettivo, ove è possibile esercitare una
maggior libertà progettuale e far loro assumere un ruolo esemplificativo. L’opera di
servizio diventa così uno strumento per sviluppare sperimentazioni e ricerche atte a
migliorare nel suo complesso l’insediamento montano.
Il ruolo di esempio risulta rafforzato dalla frequente elevata dimensione degli
edifici di servizio, necessaria per ospitare destinazioni collettive un tempo non presenti. Edifici scolastici, sanitari, per uffici amministrativi, per grandi alberghi, per
nuovi impianti di trasporto, si impongono all’attenzione per la loro dimensione che
in genere supera quella delle vecchie case come della vecchia chiesa. Il loro impatto
sull’ambiente e sul paesaggio è sovente notevole e il loro valore di esempio, quando questo è riuscito, è capace di influenzare per anni in modo virtuoso le comuni
costruzioni. Si realizza in tal modo una forma di “scuola architettonica” (come nel
Vorarlberg) che un po’ alla volta viene a caratterizzare un territorio.
L’architettura dei servizi viene in questo secondo convegno descritta attraverso
due lenti di ingrandimento: la cultura e la valorizzazione del patrimonio, nella prima
sessione, e la scuola, nella seconda sessione.
Il secolo scorso ci ha lasciato in eredità un patrimonio edilizio che invecchia,
deperisce e, sovente, non è più utilizzato con le funzioni originarie. Ne deriva una
perdita della funzione storico-culturale di trasmissione della conoscenza in relazione
a situazioni specifiche. È questa l’occasione per riutilizzare questo patrimonio anche
per altre e differenti funzioni, ma sempre con lo scopo di tramandare la cultura del
luogo. Non sempre questa operazione riesce, come nei casi che proponiamo. In altri
casi l’eredità che ci è stata tramandata è più pesante di quanto riusciamo a gestire.
Per non andare tanto lontano mi riferisco all’esempio dell’Ecole des Neiges a La
Thuile, rimasta incompiuta.
La scuola nelle regioni di montagna è l’edificio pubblico per eccellenza. Un tempo ogni più piccola frazione era dotata della propria scuola di villaggio, che tanto ha
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contribuito a ridurre, se non a abolire, l’analfabetismo ed a diffondere la cultura. La
scuola oggi non è più la stessa, però la sua diffusione capillare sul territorio alpino
garantisce ancora un servizio utile ad evitare lo spopolamento.
La negativa evoluzione economica mondiale porta necessariamente a una revisione dei bilanci pubblici al fine di una riduzione dei costi. Mi auguro che le politiche
europee e nazionali tengano conto delle esigenze delle popolazioni di montagna che
vedono in un adeguato livello di servizio una delle ragioni per abitare ancora le
Alpi.
Specularmente, per far fronte a tale situazione si delineano i nuovi compiti dell’architettura dei servizi, che deve raggiungere standard di qualità ed efficienza, quando
non di multi-funzionalità, confrontabili con quelli di altre realtà.
Anche in questo secondo convegno sull’architettura dei servizi l’ambito interessato coinvolge l’intero arco alpino, in modo da porre a confronto diverse realtà territoriali, che, con le loro caratteristiche, condizionano le scelte architettoniche, mostrando la varietà possibile nell’architettura in montagna. Una particolare attenzione
è stata rivolta ad esempi realizzati nell’ambito della nostra regione che validamente
si confrontano con le altre opere presentate.
Ringrazio i relatori che hanno raccolto il nostro invito ad esporre le loro differenti
esperienze. Ringraziandoli per la loro disponibilità auguro a loro ed a tutti i convenuti un proficuo scambio di conoscenze utili alla diffusione di un sentimento comune
nei confronti della montagna e di quanto essa rappresenta nella nostra civiltà.
Non aggiungerei altro, se non un ringraziamento all’Ordine degli Architetti, di cui
Andrea Marchisio è presidente, per averci supportato nell’organizzazione di questo
Convegno, nel tentativo di ampliare gli organismi interessati a un approfondimento
dei temi che qui ci interessano, riportandoli in un ambito operativo, non solo teorico,
come sovente succede.
Quindi ringrazio tutti i presenti e in particolare i relatori che nell’arco della giornata interverranno.
Passo la parola ad Andrea Marchisio.
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Andrea Marchisio
presidente dell’Ordine Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori
della Valle d’Aosta
Un benvenuto a tutti i presenti da parte dell’Ordine degli Architetti della Valle
d’Aosta.
Vorrei invertire l’ordine di esposizione di questa mia breve relazione introduttiva,
lasciando al fondo i ringraziamenti ed esprimere subito la soddisfazione per questa
numerosa presenza di partecipanti che conforta la strada intrapresa dall’Ordine per
“risvegliare” un dibattito sull’architettura contemporanea in Valle d’Aosta che interessi progettisti e non.
A tal fine, recentemente, abbiamo cercato di attivare delle sinergie con altre istituzioni e in quest’ottica si inquadra appunto, anche, la recente attività di collaborazione
tra l’Ordine e la Fondation Courmayeur, i cui primi frutti sono stati l’organizzazione
del presente Convegno e, congiuntamente alla Fondation Grand Paradis, l’organizzazione della mostra La specificità dell’architettura in montagna che si è svolta nel
mese di luglio di quest’anno a Villeneuve e Introd.
Un confronto sull’architettura è un’esigenza oggi particolarmente sentita, in un momento in cui sembra si sia persa la capacità di introdurre nel paesaggio nuovi elementi
senza creare fratture, ma soprattutto sembra si sia persa la capacità di creare paesaggi e
modelli di gestione del territorio adeguati per l’ambito montano in cui ci troviamo.
Le cause sono molteplici:
– le trasformazioni d’uso del territorio (da rurale-alpino ad industriale o a turistico
intensivo) avvenute con ritmi estremamente veloci rispetto all’evoluzione lenta
tipica del paesaggio alpino;
– le numerose possibilità offerte dalla tecnologia che hanno messo in secondo piano il principio di economicità delle risorse da impiegare che è stato sempre alla
base del modo di costruire tradizionale
Se poi a ciò si aggiungono:
– l’estremo incremento della complessità del processo progettuale conseguente:
all’analogo aumento della complessità dei processi pianificatori;
alla pluralità crescente delle figure interessate;
all’instabilità dello scenario normativo e procedurale sempre in continua trasformazione
e
– la prospettiva di sviluppo dell’attività progettuale che da prestazione intellettuale
tende a trasformarsi, nostro malgrado, in mera prestazione di servizi,
il rischio è quello di perdere per sempre quella organicità tra natura e costruito
che da sempre ha caratterizzato la nostra architettura.
Ma non è solo questo e, parlando di servizi, si comprende che il rischio maggiore
è quello di vanificare il ruolo stesso che in questo caso ha l’architettura dei servizi:
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– ruolo di contrastare l’abbandono dei villaggi o un loro breve e limitativo uso
stagionale favorendo, per contro, il mantenimento della popolazione residente sul
territorio;
– ruolo di “motore” di sviluppo della nostra comunità;
– e di esempio da seguire nella progettazione privata.
In tale aspetto risiede sicuramente l’interesse del tema e degli esempi che i singoli
relatori illustreranno.
Affinché l’architettura dei servizi possa esplicare il proprio ruolo benefico sulla
società è, però, necessario mettere a punto un processo di qualità che potremmo definire virtuoso che sia in grado di governare la complessità del sistema in cui ci troviamo ad operare attraverso uno sforzo corale di tutti i settori della società interessati: la
componente politica, quelle professionali, amministrative ed imprenditoriali.
In primis, per quanto riguarda la componente politica, il primo elemento da prendere in considerazione è quello dell’individuazione delle esigenze e della messa a
punto di una strategia localizzativa dei servizi.
A tal fine il processo di trasformazione territoriale ed urbana deve essere analizzato con attenzione per evitare l’applicazione di modelli che nascono in situazioni
non completamente assimilabili a quelle della nostra regione.
Non si tratta solo di una questione di dimensioni, anche una piccola regione come
la nostra necessita di una strategia che guidi i processi di trasformazione territoriale
ed urbana, quanto di verifica delle condizioni specifiche del contesto, ivi compresi
gli aspetti legislativi ed amministrativi che sono gli strumenti per consentire che le
trasformazioni siano attuate.
D’altra parte i margini di manovra, gli spazi fisici, per trasformazioni strategiche sono relativamente limitati, ancorché estremamente necessari: penso per Aosta
all’area Cogne e più in generale alla zona sud della Città, all’Ospedale, all’area delle
Caserme, all’aeroporto.
Il quadro deve però essere completato prendendo in esame le zone collinari e
montane, settori dove, per diverse ragioni, le trasformazioni sono condizionate da
ragioni e vincoli di tipo storico e ambientale ed in cui si avverte come prioritario il
tema del recupero urbano e territoriale.
È quanto mai opportuno rimarcare come, rispetto ad altre realtà nazionali ed internazionali, in Valle d’Aosta negli ultimi quindici anni, si sia fatto molto per definire
modelli e strumenti pianificatori ed urbanistici finalizzati appunto a gestire le trasformazioni e l’evoluzione del sistema territoriale.
L’applicazione del PTP, approvato con la l.r. 13/1998, rende il Piano regolatore
uno strumento forte e poliedrico, sicuramente non finalizzato alla semplice attuazione di un programma di sviluppo edilizio.
Appare, quindi, chiaro che le trasformazioni immediate del territorio vadano sicuramente gestite attraverso l’applicazione intelligente ed efficace degli strumenti
pianificatori e programmatici oggi disponibili, avendo ben presenti i limiti e le opportunità offerte dalla normativa vigente.
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Alcune risposte vanno date subito, applicando il PTP e il PRGC prima di riavviare un processo di ridefinizione delle scelte strategiche.
Questo approccio, forse eccessivamente pragmatico, non impedisce certo che si
possano prefigurare scenari e prospettive per il lungo periodo evitando però il moltiplicarsi ed il sovrapporsi dei momenti di elaborazione teorica e di metaprogettazione ed auspicando, invece, un recupero di progettualità cui il nostro ambiente ha
bisogno.
Le componenti professionali - il metodo progettuale
È indubbio che l’architettura montana ha una sua specificità che deriva dal clima,
dalla situazione morfologica, dalle risorse disponibili, dall’organizzazione sociale.
Credo che il progettare in ambito montano significhi innanzitutto saper ascoltare
ciò che il luogo con la sua storia ci suggerisce al fine di ritrovare quella organicità
tra natura e costruito che nel passato è stato un carattere dominante della nostra architettura.
Lo sforzo che deve essere compiuto è quello di spostare l’attenzione dagli aspetti
formali ai principi che hanno informato i nostri paesaggi culturali.
In tal senso un suggerimento è sicuramente quello di economicità delle risorse: e
allora, consci che il territorio è un bene da trasmettere alle generazioni future e che
molto se non tutto è già stato occupato, dovremmo riformare il paesaggio attuale non
tanto con la costruzione di nuove opere quanto piuttosto con piccoli gesti consistenti
in microinterventi in grado di riattivare il tessuto costruito superandone le attuali
contraddizioni.
Suggerimento valido non solo per i singoli edifici, ma anche, e soprattutto, per le
modalità della loro aggregazione e non in ultimo dell’infrastrutturazione del territorio (strade, svincoli stradali, rotonde, linee elettriche, arginature, ecc.); infrastrutturazione che costituisce l’elemento preponderante di consumo del suolo e che spesso
viene identificata come mero atto tecnicistico.
E magari, perché no, utilizzando anche la pietra e il legno forse reinventati in base
alle nuove possibilità che la tecnologia ci offre.
Un invito a riformare l’ambiente che ci circonda con una progettualità che abbandoni propensioni di protagonismo e applichi il principio dell’economicità delle
risorse; usando un’espressione sentita al Congresso Mondiale di Architettura di Torino “ottenere di più utilizzando meno”.
Tale approccio richiede però un grande entusiasmo e sforzo da parte del professionista, entusiasmo e sforzo che rischiano di essere intaccati da una logica
di mercificazione del progetto cui in generale la liberalizzazione senza regole
del mercato pare tendere e cui, in particolare, la stessa legge sui lavori pubblici
porta.
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Lo sforzo deve quindi essere generale:
da una parte, il progettista che deve
– strutturarsi per far fronte alla complessità dei problemi cui è chiamato a rispondere
mediante un aggiornamento continuo ed un’organizzazione di studio adeguata;
– mettere a punto una metodologia progettuale di attenzione all’ambiente in cui
opera e di ascolto delle esigenze dell’utenza proponendo strutture che, pur integrandosi nel contesto tradizionale, siano non solo funzionali ma altresì contenute,
se necessario, in nuove forme che tendano a coniugare, ove possibile, la tradizione dei materiali impiegati con gli elementi nuovi richiesti per un adeguamento
tecnologico, finalizzato questo al contenimento energetico ed allo sfruttamento
delle fonti energetiche alternative pulite e rinnovabili, sia per il contenimento dei
costi gestionali, sia per la riduzione degli inquinamenti ambientali e delle normali
risorse non rinnovabili;
dall’altra parte, il Committente che deve
– prendere coscienza del plusvalore racchiuso in un progetto di qualità ed investire
in questo (accettandone l’apparente maggior investimento iniziale sia in termini
di tempi che di costi);
– mettere in campo procedure di scelta dei progetti che spostino il criterio di valutazione dalla quantità dei requisiti dei partecipanti alla qualità delle idee, per
esempio con concorsi di progettazione;
– dotarsi di un corpus normativo e regolamentare (regolamento edilizio, piano regolatore, ed in particolare piani urbanistici di dettaglio) che sia coerente con una
metodologia di corretto inserimento progettuale.
In tal senso il Committente pubblico e gli enti preposti al controllo dovrebbero
sviluppare ulteriormente la propria capacità di valutazione del progetto intesa, non
solo come necessaria verifica di conformità con i dettami normativi, ma anche di
corretto inserimento ambientale del progetto.
In ultimo e concludo un analogo sforzo dovrà essere fatto dalla compagine delle
Imprese impegnate nella realizzazione dei lavori mediante un aggiornamento costante all’evoluzione tecnologica.
Ed ora, prima di passare la parola al prossimo relatore, i ringraziamenti:
– al Comune di Pollein che ci ospita;
– all’assessore ai Lavori pubblici, Marco Viérin;
– all’ing. Manuela Zublena, assessore regionale all’Ambiente;
– all’arch. Paolo Domaine, soprintendente regionale ai Beni Culturali;
– a tutti i relatori che hanno accettato il nostro invito
e, naturalmente,
– ai componenti della Commissione cultura dell’Ordine, che hanno collaborato alla
realizzazione di questo evento; in particolare agli architetti:
Sandro Sapia
Enrica Quatrocchio
Michele Saulle
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Eddy Cretaz
Ismaele Maino
E in ultimo, ma non per importanza, un ringraziamento all’efficienza di Barbara
Scarpari, assistente del presidente della Fondation Courmayeur.
Giuseppe Nebbia
Ringrazio Andrea Marchisio per averci presentato i propositi dell’Ordine, che
certamente io condivido.
Passo la parola a Roberto Domaine, soprintendente per i Beni e le Attività culturali della Regione Autonoma Valle d’Aosta. Anche questa volta, ne sono certo,
Domaine contribuirà validamente al nostro dibattito, come già è successo nelle occasioni precedenti.
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Roberto Domaine
soprintendente per i Beni e le Attività culturali della Regione Autonoma
Valle d’Aosta
La problematica dei servizi e delle loro relazioni con l’architettura è stata già
affrontata più volte. Abbiamo parlato dei problemi paesaggistici relativi ai campi
da golf, siamo arrivati a discutere di accessibilità legata al turismo e, in un altro
convegno, di accessibilità ai beni culturali da parte delle persone diversamente abili.
Prima di affrontare il soggetto del mio intervento, che è stato tarato sul tema della
qualità dei servizi, dell’accessibilità e della comprensione del messaggio culturale
contenuto all’interno dei monumenti, vorrei commentare brevemente quanto è stato
detto precedentemente.
Ricordo che nel convegno riguardante i campi da golf si era affrontato il problema di un’architettura di montagna fortemente caratterizzata dal pendio. Ora, io
credo che in questi anni la sfida di interpretare un’architettura legata al pendio in
parte sia stata persa, proprio laddove abbiamo realizzato delle strutture che dovevano
accogliere diversi servizi che per natura e volumi erano completamente slegati dal
contesto territoriale in cui si andava a edificare. Ciò che mi preme sottolineare è che
troppo sovente non abbiamo saputo inventare, o meglio, non abbiamo saputo fornire dei modelli architettonici che ben si integrassero con le nuove funzioni; sovente
abbiamo riprodotto in scala abnorme modelli architettonici attinti dal piccolo. Un
discorso analogo riguarda le nuove tecnologie tese al risparmio energetico; problematica che affrontiamo giornalmente con l’architetto Salussolia, direttore responsabile per la tutela del paesaggio e dei beni architettonici, perché troppo sovente
ci troviamo di fronte architetture che denunciano una logica progettuale concepita
per aggiunte successive. La casa viene progettata come se fosse una casa degli anni
‘70 e poi, di volta in volta, si affrontano le nuove esigenze. Una fra le tante: ma se
dobbiamo usare i pannelli solari, dove li mettiamo? Magari constatiamo che l’orientamento dell’edificio non è idoneo e che bisogna sistemare qualcosa a vela sul tetto.
Attualmente sorge anche il problema dei pannelli fotovoltaici. Ora, è pur vero che il
nostro è un territorio ristretto dove c’è continuità tra centri storici e nuove edificazioni, ma la vera sfida architettonica, secondo me, è riuscire a progettare denunciando la
modernità anche delle scelte tecnologiche che si fanno. Ultimamente, per esempio,
abbiamo dovuto occuparci di edifici con tetti interamente ricoperti da pannelli fotovoltaici ma costruiti con soluzioni architettoniche proprie di edifici degli anni ‘70
e ‘80, con un conseguente impatto pesante sull’ambiente perché costituiscono una
soluzione ibrida, un qualcosa fatto a metà.
Condivido quanto detto dall’architetto Marchisio sulla qualità architettonica delle
opere pubbliche. Molti di voi lo sapranno: attualmente è in discussione nell’ambito
della Conferenza Stato e Regioni un testo concernente il tema della qualità architettonica, in cui per le opere pubbliche si privilegiano i concorsi di progettazione.
Ne ho discusso con i miei dirigenti e tutti noi riteniamo che questo testo, se verrà
applicato tenendo conto della filosofia positiva in esso contenuta, potrà contribuire a
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migliorare la qualità della progettazione architettonica. Dobbiamo, infatti, fare una
riflessione: qualità architettonica significa competitività territoriale. Se non riusciamo a capire che la qualità architettonica rende competitivo un territorio, perdiamo
dei passaggi e delle occasioni importanti.
Ai vostri committenti dovete dire che la qualità progettuale è fondamentale, perché la qualità progettuale tende a dare all’edificio un valore aggiunto rispetto all’entità dell’intervento. Lo dico soprattutto per quanto riguarda gli interventi di restauro
sugli edifici documento o monumento. Un intervento di restauro condotto con qualità fa sì che l’edificio su cui si agisce, alla fine, conservando il suo intrinseco valore
di autenticità, valga molto di più rispetto a quanto si è speso per l’intervento stesso,
perché è su pezzi unici che si opera. Bisognerebbe anche far riflettere sul fatto che
stiamo vivendo in una società a volte un po’ confusa e certamente tale quando, ad
esempio, si sceglie di staccare le boiserie nei vecchi chalet portandole via, o di demolire i soffitti in legno, per poi andare a riprodurre il tutto all’interno dei condomini.
Occorre chiedersi che cosa significa qualità architettonica, che cosa vogliamo fare,
che cosa ha valore in questa società.
Passo ora al tema dell’accessibilità ai monumenti, tema che spesso rappresenta
una sfida nelle realizzazioni portate avanti dalla Soprintendenza regionale.
Noi abbiamo la necessità di coniugare le esigenze di salvaguardia monumentale,
di salvaguardia della testimonianza storica, con le nuove necessità della fruizione
pubblica. Questa è la nuova sfida: partendo dal concetto di tutela, dobbiamo trasmettere un adeguato messaggio culturale che porti le persone a visitare i castelli e i
monumenti. E qui progettazione significa ricerca del giusto equilibrio fra differenti
esigenze di tutela, che spesso implicano una visione di tipo tecnico, soprattutto per
quanto riguarda la possibilità di muoversi all’interno di un monumento, ma anche
l’analisi puntuale delle singole situazioni architettoniche. Ogni monumento va affrontato come un caso a sé.
Ritornando al concetto di servizio pubblico, in cui includo tutte le attività di valorizzazione dei beni culturali, vorrei sottolineare che l’obiettivo di ogni amministrazione pubblica è raggiungere un’efficienza e una qualità del servizio tali da garantire
la piena soddisfazione del cittadino e della sua domanda culturale. In questo senso,
come Soprintendenza stiamo predisponendo una serie di attività orientate a incrementare la qualità dell’accoglienza presso i siti culturali.
Un progetto che stiamo portando avanti, che riteniamo strategico per uno sviluppo culturale, è la biglietteria elettronica: dare cioè ai visitatori dei nostri beni culturali la possibilità di prenotare i biglietti via Internet, evitando lunghe code e mettendo
al tempo stesso a disposizione un call center che fornirà informazioni specifiche e
potrà di volta in volta orientare il visitatore verso percorsi culturali personalizzati,
oppure verso luoghi in cui l’affluenza è minore e quindi la gradevolezza della visita
può essere maggiore.
Sempre nell’ottica di migliorare la qualità degli spazi destinati all’accoglienza,
stiamo realizzando delle realtà immersive all’interno dei siti culturali, che permetteranno ai diversamente abili di visitare e capire − in alcuni casi in modo virtuale – i
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monumenti a cui non sia possibile farli accedere. Con il Progetto VINCES (Valle
d’Aosta Internet Network for Community), in collaborazione con INVA, stiamo realizzando nel Castello di Issogne una pre-visita, consistente in una biblioteca virtuale
che consentirà di sfogliare libri digitali e, quindi, di avere delle informazioni aggiuntive prima della visita al monumento, costituendo anche un luogo dove passare il
tempo in modo utile qualora ci fosse troppa affluenza di visitatori.
Anche per il cortile del Castello di Issogne abbiamo lanciato una sfida. Il cortile
era uno spazio decorato con tanti colori, immagini e messaggi atti a condizionare i
figli degli Challant nell’acquisire una forte consapevolezza dell’importanza del loro
casato. I colori col tempo sono andati persi ma, grazie a nostri rilievi in scala 1:1,
stiamo realizzando con strumentazioni molto avanzate un intervento di interpretazione dei colori originali, un intervento che non incide sulla struttura, essendo completamente reversibile, ma che permetterà ai visitatori di vedere com’era in origine il
Castello di Issogne e soprattutto il Miroir pour les enfants de Challant.
Un altro edificio su cui siamo intervenuti per migliorarne l’accoglienza è il Castello di Fénis. Con un progetto dell’architetto Corrado Binel e dell’ingegner Maurizio Saggese, abbiamo realizzato all’interno del vecchio edificio del custode un luogo
di sosta in cui le scolaresche possono posare gli zainetti e individuato una saletta in
cui si potrà svolgere attività didattica ai fini della presentazione del Castello. Stiamo
testando e certificando i testi delle audioguide, che saranno disponibili, oltre che in
italiano, in inglese, francese, tedesco, spagnolo, per permettere − soprattutto ai turisti
stranieri, che sono sempre più presenti in Valle − visite all’interno del Castello non
condizionate dai ritmi delle visite guidate. Le audioguide, a seconda del tipo di utenza, consentiranno singoli approfondimenti in base alla voglia di sapere di ciascuno,
ma soprattutto in base al tempo che ognuno ha a disposizione per visitare il castello.
Noi riteniamo che questi progetti siano molto importanti, perché la qualità dell’accoglienza è quella che fa la differenza.
Un altro progetto che stiamo portando avanti, di cui avrete sentito parlare, riguarda l’evento che abbiamo denominato Châteaux ouverts. Siamo convinti che la
valorizzazione dei monumenti debba essere realizzata in sintonia con il territorio
circostante, principio che non solo garantisce la qualità dell’intervento, ma permette
anche di avere una ricaduta economica in termini di indotto. Abbiamo, quindi, organizzato una serie di manifestazioni che porteranno i turisti a visitare i nostri monumenti prima, durante e a lavori ultimati. Con questa strategia vogliamo lanciare
un messaggio culturale importante, ma soprattutto vogliamo far crescere l’attesa, in
modo che il giorno in cui il monumento verrà aperto le persone che vorranno visitarlo saranno molte e molte le aspettative cui potremo dare risposta.
Un altro progetto che stiamo attuando con il designer Tranti riguarda la segnaletica di accesso ai siti, in una logica di segni coordinati, perché, se ci guardiamo
attorno, ci accorgiamo che in questo settore c’è un po’ di disordine. È necessario
formulare una segnaletica adeguatamente coordinata, che in un primo tempo interesserà tutti i beni monumentali di proprietà dell’Amministrazione regionale e che
successivamente dovrà essere fatta propria anche dai Comuni e dagli altri enti terri28
toriali. Questo perché noi crediamo che la comunicazione inerente ai beni culturali,
pur mantenendo la dovuta scientificità, debba garantire comprensibilità e aprirsi ai
target di diverse utenze. Ho sentito pochi giorni or sono un Soprintendente ai musei
di Roma dire che il linguaggio all’interno dei musei va svecchiato; un tubo in piombo, per esempio, è un tubo in piombo, non deve essere chiamato, in corsivo, fistula
plumbea, perché il cinquanta per cento delle persone quando legge certi termini si
sente trattata da ignorante e quindi passa oltre e perde interesse.
Noi siamo convinti che, dopo il superamento delle barriere architettoniche, si
debbano superare le barriere culturali. Ribadiamo che la mission pubblica è: educare
il cittadino alla fruizione dei beni culturali, eliminando le barriere di linguaggio, di
qualunque tipo, e promuovendo il concetto di accessibilità culturale.
Giuseppe Nebbia
Ringrazio Roberto per averci illustrato una particolare tipologia di servizi e per
averci descritto i progetti che sono in atto.
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Prima Sessione
L’ARCHITETTURA DEI SERVIZI:
CULTURA E VALORIZZAZIONE DEL PATRIMONIO
Giuseppe Nebbia
Passiamo alla presentazione dei diversi progetti.
Invito al tavolo Bruno Lugaz e Corrado Binel per la prima parte della prima Sessione, dove si tratta di cultura e valorizzazione del patrimonio.
Bruno Lugaz è un amico, perché non è la prima volta che partecipa alle nostre
iniziative e sempre in modo molto valido e produttivo. Io lo ringrazio anche per
questa continuità.
EXEMPLES D’ARCHITECTURE EN SAVOIE
Bruno Lugaz
architecte-urbaniste; directeur du CAUE de la Savoie
La Savoie 10 ans après les Jeux olympiques
Notre département connaît, depuis 1992, une attractivité et un développement
continus. Les moyens de communication (réseaux routiers, autoroutiers et ferroviaires) mis en place à l’occasion des Jeux permettent un accès plus facile aux stations
des hautes allées, “leaders” incontestés des sports d’hiver.
Les agglomérations de Chambéry et Aix-les-Bains se sont associées pour mettre
en place un schéma de cohérence territoriale. Les pôles économiques « Technolac »,
« Alpespace »,« Arc-Isère » entre autres, permettent l’installation d’entreprises dynamiques et innovantes.
Dans les espaces aux qualités paysagères reconnues, les collectivités se préoccupent fortement de la qualité de leur urbanisation, soit en adhérant à des parcs nationaux (Vanoise), régionaux (Chartreuse, Bauges), soit en mettant en place des chartes
architecturales et paysagères élaborées en concertation avec les élus et les forces vives des différents territoires. Ces chartes sont animées par le CAUE. Trois sont déjà
signées sur le territoire d’Arlysère, Cœur de Savoie et de l’Avant pays savoyard.
A terme, tous les territoires de la Savoie seront ainsi armés pour assurer un développement harmonieux de leur environnement.
Ces chartes prennent en compte trois éléments fondamentaux qui influent fortement sur notre cadre de vie:
– la nécessaire limitation des terrains constructibles pour maintenir la qualité de
nos paysages et une agriculture dynamique,
– le réchauffement climatique et les économies d’énergie qui vont considérablement influencer notre art de construire et, je l’espère, développer l’utilisation du
bois,
– la responsabilité pleine et entière des élus locaux dans la gestion de leur territoire.
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Ces chartes permettent d’adapter nos méthodes de travail, aujourd’hui normatives
et réglementaires, pour qu’à terme la consultance architecturale, en s’appuyant sur
ces chartes, remplisse pleinement son rôle de conseil et d’accompagnant avec une
large adhésion des Maîtres d’ouvrage tant publics que privés.
CIME CITE CAUE offre un panorama de la dynamique de la Savoie autour de
trois questions essentielles:
l’identité, l’innovation et le développement (Figg. 1-3, v. pp. 95-97).
Giuseppe Nebbia
Grazie a Lugaz per l’esposizione.
L’intervento successivo è di Corrado Binel, che ci parlerà proprio di una di quelle
situazioni in cui strutture nate con particolari destinazioni vengono utilizzate in maniera più coerente con le necessità attuali.
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RIFUNZIONALIZZAZIONE DEL VILLAGGIO MINERARIO
“ANSELMETTI” A COGNE (VALLE D’AOSTA)
Corrado Binel
architetto
In verità ho deciso di dividere il mio intervento in due parti. Naturalmente ho
preparato qualche fotografia perché immagino che molti di voi non conoscano ciò
di cui stiamo parlando, però era anche intenzione della Fondazione Courmayeur e
dell’Ordine degli Architetti di offrire, da una lato spunti di discussione sui problemi
specifici della progettazione architettonica dei servizi o di centri complessi di servizi
alla comunità, dall’altro di inquadrare il ruolo e il significato di queste opere in un
contesto più ampio sociale e culturale. Per questa ragione cercherò di non sottrarmi a
questo compito. Ho ascoltato con molto interesse gli interventi degli assessori Marco
Viérin, e Manuela Zublena e quello del soprintendente ai Beni culturali Roberto Domaine. Ritengo che questi interventi abbiano suggerito un approccio per certi versi
innovativo rispetto al nostro recente passato.
L’architetto Nebbia ed io abbiamo ritenuto di portare alla vostra attenzione il
progetto di riconversione del villaggio minerario di Cogne, non tanto e non solo per
le sue qualità architettoniche, ma per il significato che ha e che potrà avere per lo
sviluppo economico di una comunità alpina. Non voglio dire con ciò che io non ami
questo lavoro, ma ci sono, come sempre accade, molte ragioni per le quali questo
lavoro va guardato con il dovuto distacco e con la dovuta attitudine critica.
Per ritornare rapidamente alle questioni introduttive, ci sono alcuni aspetti su cui
vorrei soffermarmi.
Innanzitutto, il complesso di cui parliamo è un pezzo delle miniere di Cogne, che
a loro volta erano parte di un grande sistema industriale la cui storia attraversa quasi
per intero il XX secolo. Le miniere di Cogne, la cui attività è cessata nel 1979, sono
rimaste abbandonate per molti anni; esse rappresentano per il comune di Cogne, cioè
per una delle più grandi comunità alpine della Valle d’Aosta, un patrimonio edilizio
di straordinaria importanza, oltre che di straordinario interesse storico e documentario.
Questa particolare natura del sito apre un problema di approccio e di metodo.
Il patrimonio storico e architettonico dell’età moderna deve essere affrontato con
strumenti conoscitivi e di intervento appropriati. L’intero insediamento offre esempi
molto interessanti: ad esempio, le ville Ansaldo costruite nel 1919 e poi gli edifici
industriali costruite tra la metà degli anni Venti e gli anni Quaranta. La parte oggetto
dell’intervento è invece quella più recente del complesso minerario di Cogne. Costruita nel 1958 per sostituire il villaggio minerario di Colonna posto a 2400 metri
di quota, il Villaggio Anselmetti, non ha forse un particolare valore architettonico,
ma costituisce un elemento di un tutto coerente che merita il dovuto rispetto storico
e patrimoniale.
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In considerazione delle dimensioni del sito, l’approccio pone problemi anche di
tipo quantitativo, nel senso che un patrimonio così importante dal punto di vista dimensionale non può non avere un impatto rilevante sulla comunità che lo ospita.
Agli inizi degli anni ‘90 la Regione Valle d’Aosta mi aveva commissionato uno
studio, poi denominato “Grand Paradis Accueil”, che aveva tra i suoi obiettivi fondamentali il rilancio, oltre che del comprensorio del Gran Paradiso, anche dei rapporti
fra Regione Valle d’Aosta e Parco Nazionale Gran Paradiso, ma aveva anche tanti
obiettivi concreti, tra cui il restauro, la rifunzionalizzazione e quindi la restituzione
alle collettività locali di parti del patrimonio edilizio delle valli del Gran Paradiso e
in particolare di quello del Villaggio Minatori di Cogne.
Nei primi anni ’90 si era aperto in Valle d’Aosta un dibattito di una certa importanza sulle strategia di difesa e di sviluppo delle comunità di montagna, con valutazioni differenziate, tra le comunità più grandi e quelle più piccole vicine alla soglia
della sopravvivenza. Credo sia a tutti evidente che una delle ragioni della fragilità
delle piccole comunità sia la loro progressiva semplificazione strutturale e socioeconomica, per cui le opportunità professionali e i possibili modelli di vita e i percorsi
professionali, si riducono via via drasticamente. Per fortuna, alcune realtà come Cogne, Gressoney, Valtournanche, piuttosto che Champoluc o La Thuile avevano ed
hanno tutt’ora una dimensione tale per cui si poteva ritenere che alcuni investimenti
strutturali avrebbero potuto a lungo termine non solo rappresentare un’opportunità
di consolidamento e di sviluppo ma avrebbero potuto consentire a queste comunità
maggiori di essere di sostegno alle comunità minori e fragilizzate dallo sviluppo.
Ecco quindi in quale contesto si inserisce la scelta della Regione Valle d’Aosta di
acquisire e valorizzare il Villaggio Minerario di Cogne; progetto questo che offre a
una comunità come quella di Cogne la possibilità di sviluppare nuove opportunità
professionali, per un futuro sempre più strutturato e non legato soltanto al turismo.
A questo punto passo, quindi, ad illustrarvi le caratteristiche concettuali e architettoniche dell’intervento. propriamente detto. Un intervento di una certa entità: 3.100
metri quadrati di superficie lorda abitabile, un investimento globale di 2.897.000
euro, ovvero un costo al metro quadrato dell’opera di circa 935 euro.
Il Villaggio Minatori è sede oggi della Fondazione Gran Paradiso, del Centro
Visitatori del Parco Nazionale Gran Paradiso, una sede per esposizioni temporanee
denominata ALPINART, e ospiterà nel prossimo futuro il Museo regionale dell’Industria e delle Miniere, un Centro di educazione ambientale, un ostello di cinquanta
letti, e infine un ristorante caffetteria.
I lavori sono durati molti anni per ragioni indipendenti dalla volontà e dalla responsabilità dell’Amministrazione regionale e della direzione dei lavori. La progettazione si è quindi sviluppata in tempi ormai relativamente distanti. Nel 1992 i primi
studi e quindi la progettazione vera e propria tra il 1994 e il 1995 ed i lavori sono
iniziati nel 1996. È quindi evidente che l’opera, dal punto di vista progettuale, nel
momento in cui i lavori saranno finiti, corrisponderà a idee per certi versi datate
sebbene non prive di elementi di interesse per l’epoca. In quindici anni però, l’architettura è sicuramente cambiata così come sono certamente evolute le mie opinioni
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e la mia visione dell’architettura e del restauro. Questo è uno dei quei problemi che
non riguardano in particolare il Villaggio minatori di Cogne, anzi, purtroppo non
sono rare le opere pubbliche che in Valle d’Aosta, a causa di un iter realizzativo
molto lungo nascono, per certi versi, già vecchie da un punto di vista architettonico
e concettuale.
Questo intervento era per l’epoca piuttosto innovativo anche da un punto di vista
tecnologico e energetico. Tutti gli edifici hanno dei cappotti interni e questo perché,
si tratta di edifici vincolati. La centrale termica è unica e distribuisce acqua calda
termica e sanitaria con un sistema di teleriscaldamento locale e le caldaie a cascata
sono integrate da due batterie di pannelli solari termici.
Nella parte museale che ha una importante estensione, tutti gli impianti sono
concentrati in una sorta di grande cavedio tecnico ispezionabile e tutte le dorsali e gli
impianti sono staffati a soffitto grazie a un sistema di contro soffitto in acciaio con
lamiere stirate.
Gli edifici principali sono stati restaurati con cura e con il mantenimento delle
finiture esterne originali. Nella parte di monte del villaggio, al fine di realizzare una
vasta area museale e espositiva è stato costruito un corpo di collegamento che unisce
due fabbricati. La nuova struttura che ha uno sviluppo lineare importante è interamente realizzata in cemento armato a vista e caratterizzata da grandi trasparenze.
Sotto una pensilina si è oggi collocato l’unico esemplare del treno della ferrovia del
Drinc, in passato adibito al trasporto del minerale. Un altro corpo di collegamento
è stato realizzato al fine di unire gli edifici che ospiteranno l’ostello e il centro di
educazione ambientale.
Elemento caratterizzante dell’intervento sono le grandi pensiline in acciaio e vetro e l’utilizzo dell’acciaio o dell’alluminio in molti elementi e dettagli costruttivi:
porte interne, ringhiere interne e esterne, porte principali d’accesso, serramenti esterni. Molti di questi elementi sono in acciaio inossidabile come omaggio alla tradizione produttiva e tecnologica delle acciaierie aostane. La scelta di utilizzare l’acciaio o
l’alluminio corrispondeva anche alla volontà di sottolineare ove possibile nel modo
più chiaro possibile la funzione non residenziale del sito.
Grande attenzione è stata posta anche ai sistemi di illuminazione interni e esterni,
alla loro flessibilità ma anche alla loro qualità estetica e infine alla illuminazione
notturna.
Nel suo insieme si tratta di una progettazione rigorosa, fondata sulla continuità e la
coerenza del segno e si concentra in particolare sulle funzioni, la leggibilità di accessi
e percorsi, le finiture, i materiali, la qualità reale ma anche la qualità percepita.
Vediamo ancora: il ristorante-caffetteria; la segnaletica che è stata messa in opera in questo ultimo anno; alcuni elementi particolari come la scala di sicurezza del
Museo del Parco nazionale; l’accesso al Museo che attualmente è in fase di progettazione.
In questo intervento un elemento che può e deve essere sottolineato è il rapporto
fra la progettazione architettonica, la progettazione degli arredi, degli allestimenti e
la segnaletica generale.
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Gli allestimenti e la segnaletica sono dovuti allo studio Tranti design mentre gli
arredamenti sono stati realizzati dal nostro studio con la paterna supervisione di Vico
Magistretti.
Per concludere. Quest’opera ha sicuramente per molte ragioni un significato di
livello almeno regionale, ma il rammarico è che alcuni grandi progetti abbiano un
iter troppo lungo e questo talvolta non è estraneo alla mancanza di chiarezza sugli obiettivi strategici della comunità da un lato e dell’Amministrazione regionale
dall’altro. La velocità con cui le opere pubbliche si realizzano è spesso proporzionale
alla chiarezza dei risultati che si vogliono ottenere e delle idee che si hanno; se si
hanno le idee chiare, se si sa dove si vuole andare, le opere pubbliche si realizzano
rapidamente. Molto spesso invece queste opere si trascinano proprio perché c’è incertezza sul futuro e questa incertezza è anche legata alla mancanza di un rapporto
fra progettazione e futura gestione dei grandi patrimoni edilizi pubblici. Questo problema dovrebbe essere sempre affrontato prima dell’avvio di un processo realizzativo, analizzando con rigore i futuri costi e le modalità di gestione. In questo senso,
il lavoro che vi ho presentato è emblematico di un approccio che diventa sempre più
importante perché pone una questione di responsabilità nella misura in cui il frutto
del nostro lavoro deve contribuire non solo allo sviluppo economico e sociale, ma
anche alla qualità di un territorio e in ultima istanza può e deve concorrere all’identità stessa di un’intera comunità (Figg. 1-13, v. pp. 98-110).
Giuseppe Nebbia
Ringrazio Corrado Binel, il quale ha ricordato alcune situazioni che avvengono
nella regione, ma non solo nella nostra, ovviamente. Cito un altro caso che avevamo
preso in considerazione: l’école des Neiges di La Thuile, che ha avuto più o meno
un tempo di gestazione analogo e che non è ancora stata completata.
La prossima relazione è del collega Simone Cola, il quale ci parlerà dei servizi in
Valtellina, una regione alpina che ha molte analogie con la Valle d’Aosta.
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ARCHITETTURE DEI SERVIZI IN VALTELLINA (SONDRIO)
Simone Cola
architetto
Non so niente.
Non sarò mai niente.
Non posso volere d’essere niente.
A parte questo, ho in me tutti i sogni del mondo.
F. Pessoa
Prima di illustrare alcuni miei progettati, localizzati nel territorio della provincia
di Sondrio, ritengo sia utile fare delle premesse per chiarire, se possibile, il senso ed
il contesto nel quale collocare il percorso progettuale svolto.
In tal senso non ho ritenuto utile limitare l’intervento all’esposizione di una singola opera, come inizialmente suggerito dai curatori, in considerazione del fatto che
ogni lavoro è sempre il risultato di condizioni particolari spesso irripetibili, e che, al
di là della maggiore o minore riuscita dei singoli episodi, sia interessante ragionare
più che sulle caratteristiche architettoniche dei singoli interventi sull’approccio al
tema progettuale che questi sottendono.
Proverò, quindi, a fornire qualche spunto di riflessione, corredato da esempi concreti, sul rapporto dialettico che esiste, o che può esistere, tra edificio e contesto, con
particolare riferimento all’ambito alpino.
Il direttore dell’Accademia di Mendrisio, Valentin Bearti, ha recentemente detto,
a proposito della discussa impronta che Aaron Betsky ha dato all’ultima Biennale di
Architettura di Venezia, che la nostra disciplina deve, oltre a porre domande, fornire
le risposte ai problemi ed alle esigenze della società contemporanea.
Questa affermazione, oggigiorno meno scontata e banale di quanto si possa pensare, pone dunque l’attenzione su di un problema che da sempre, pur con mille contraddizioni e difficoltà, i professionisti, ed in particolare quelli che esercitano la propria attività al di fuori del circuito mediatico, debbono affrontare quotidianamente nel
tentativo, spesso vano, di perseguire un’adeguata dignità architettonica nei confronti
di un contesto (committenza, legislazione di settore, enti pubblici e di controllo…)
che, in particolare nel nostro paese, è assai poco attento alla qualità progettuale.
I processi di globalizzazione culturale ed i meccanismi produttivi determinano,
anche in campo architettonico, una sempre minore attenzione alle specificità territoriali; un ponte griffato Santiago Calatrava, ad esempio, può essere posato quasi
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indifferentemente sul Canal Grande di Venezia, sulla Liffey di Dublino, piuttosto che
nel porto di Buenos Aires, così come i centri commerciali, progettati da anonime ma
efficientissime società di ingegneria internazionali, sono di volta in volta localizzati
a margine dei centri storici italiani piuttosto che nelle aree metropolitane asiatiche.
Proprio all’interno di un contesto culturale che tende, più o meno in tutti i campi,
all’omologazione dei linguaggi e ad una sostanziale indifferenza verso il contesto è
emersa con grande evidenza, negli ultimi quindici anni, la qualità dei lavori proposti
da alcuni progettisti, come ad esempio Peter Zumthor o Baumschlager & Eberle (ma
l’elenco potrebbe naturalmente essere molto più lungo); lavori che hanno raggiunto
considerazione mondiale provenendo da contesti fortemente “locali” ed utilizzando
un linguaggio ed un approccio strettamente connaturati con il territorio alpino di
provenienza.
Il successo di questi progettisti, che poi hanno realizzato le proprie opere in tutto
il mondo, può anche essere letto come un esempio virtuoso di quel processo che le
teorie socio-politiche definiscono globality, ovverosia come l’opportunità, determinata dall’evoluzione di una società digitale ove non esistono più centro e periferia, di
poter affermare la propria specificità pur provenendo da luoghi decentrati o, comunque, esterni ai tradizionali centri di elaborazione del sapere.
All’interno del contesto globale le Alpi costituiscono, nonostante tutto, un luogo
capace di evocare un’identità piuttosto precisa, di tipo culturale ma ancor più fisico,
profondamente segnata dall’intenso (inscindibile) legame tra chi le abita ed il territorio che le costituisce.
Le nostre, infatti, pur presentando al proprio interno notevoli differenze culturali e linguistiche, costituiscono comunque un ben preciso luogo dell’immaginario
collettivo, declinato da ognuno secondo la propria storia e sensibilità, in un ampio
spettro di varianti che, da Heidi alla “montagna incantata” di Thomas Mann, definiscono l’idea di un mondo costruito all’interno di un orizzonte definito e racchiuso
dalle cime delle catene alpine.
Tornando al tema relativo al rapporto tra architettura e contesto si deve anche
rilevare che la colonizzazione e lo sviluppo economico delle Alpi, determinato in un
primo momento dallo sfruttamento degli impianti idroelettrici e, quindi, dalla creazione di strutture ospedaliere e sanatoriali piuttosto che dal turismo, ha ovviamente
determinato un rinnovamento dei canoni tipologici e lessicali.
Se da un lato le infrastrutture di scala territoriale (dighe, ponti, ferrovie, funivie…) hanno sempre ostentato la loro matrice ingegneristica, così come i fabbricati
collettivi o rappresentativi (edifici pubblici, alberghi…) si sono frequentemente ispirati a ben precise tipologie di riferimento, magari con qualche concessione al genius
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loci, la più profonda delle trasformazioni, che ancora oggi incide sul nostro lavoro
quotidiano ha riguardato l’edilizia di tipo residenziale.
A partire dagli anni cinquanta/sessanta l’industria delle seconde case per il turismo
di massa è passato dalla riproposizione in ambito alpino delle abitazioni multipiano, che
riproducevano acriticamente i modelli adottati nelle periferie metropolitane, all’invenzione di una sorta di international style alpino capace di coniugare fantasiosamente, e
senza alcuna vergogna, bovindi engadinesi con balconi tirolesi, muri in pietra a vista con
blockbau di derivazione walser, in un rassicurante linguaggio che ha, più o meno, informato tutti i territori soggetti al turismo montano estendendo, quindi, la propria influenza
ai canoni lessicali adottati da una consistente porzione dell’edilizia contemporanea.
Tali elementi linguistici, spesso privi di qualsiasi legame di tipo tettonico con i
materiali impiegati, ridotti ad un mero rivestimento decorativo applicati a strutture
fuori scala ed indifferenti al contesto (come i condomini multipiano mascherati da
“baita” che hanno funestato quasi tutte le località turistiche italiane) hanno trovato
il proprio humus culturale in un contesto di riferimento ben descritto dalle parole di
Mario Botta: “Oggi noi viviamo in una società che si fonda su di un malinteso dove
i valori di nostalgia diventano direttamente valori di conservazione, quasi che conservando le sembianze sia possibile conservare anche i rapporti sociali, i rapporti di
amicizia, i rapporti di solidarietà che sorreggono quelle immagini”.
All’interno di tale, non sempre rassicurante realtà, sono comunque fortunatamente riscontrabili anche molti episodi di edilizia alpina colta o, comunque, attenta ad
uno sviluppo di linguaggi contemporanei, al contempo sensibili alle tradizioni dei
luoghi e consapevoli dei cambiamenti nei modi di costruire e negli stili di vita.
Per restare al contesto nazionale le opere costruite da Mario Cereghini e Carlo
Mollino, da Edoardo Gellner e Matteo Thun, piuttosto che da molti altri progettisti,
magari ospiti di questo Convegno piuttosto che in quelle altre manifestazioni che,
da Castione della Presolana a Sesto in Val Pusteria, si prefiggono il fondamentale
compito di sostenere e di stimolare il dibattito disciplinare.
Il paradosso italiano resta quello di essere il paese europeo con il maggior numero
di architetti (spesso anche bravi), ma dotato di una scarsissima capacità di richiedere
e di realizzare progetti, sia a scala territoriale che dei singoli interventi, di qualità.
Le condizioni al contorno che ben conosciamo (scarsa programmazione, difficoltosa erogazione di finanziamenti, procedure complicate, scarsa qualità media di
progetti e realizzazioni, manutenzione pressoché nulla delle opere pubbliche, senso
civico prossimo allo zero…) non fanno altro che rendere evidente tale non invidiabile condizione alla quale è forse possibile opporsi continuando ad affermare la
dimensione civile dell’architettura e del mestiere di architetto.
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I progetti che illustro a conclusione dell’intervento, realizzati con grande fatica
e magari con risultati non proporzionati all’impegno profuso, costituiscono, quindi,
delle possibili risposte ai temi di lavoro precedentemente accennati.
In questo senso ritengo che la loro dimensione di “architettura di servizio”, sostanziata in un tipo di destinazione di uso pubblico, al servizio dei cittadini, determini
quella necessità di creare luoghi di identificazione delle comunità locali e di corretto
utilizzo da parte di chi ne fruisce nell’ambizione di sostanziare quell’affermazione
di Alvaro Siza Viera secondo il quale l’architettura è “rivelazione del desiderio collettivo nebulosamente latente”.
Infopoint Postalesio
Il progetto (Figg. 1-2, v. p. 111) riguarda un piccolo fabbricato destinato a punto
di informazioni turistiche localizzato lungo la strada statale di fondovalle (S.S. 38)
che attraversa la Provincia di Sondrio nei pressi del capoluogo.
L’intervento si sostanzia in un fabbricato che costituisce un’addizione ad un esistente edificio industriale (cooperativa lattiero-casearia) dotato di punto di spaccioristoro con il quale è condivisa la rampa di accesso pedonale; esternamente sono stati
creati alcuni spazi pedonali e di sosta per i fruitori della struttura.
L’obiettivo è stato quello di creare un edificio riconoscibile che, da un lato si facesse
immediatamente distinguere da chi percorre la strada in auto e, allo stesso tempo, si
inserisse in un contesto industriale difficile pur non avendo la possibilità, per ovvie
ragioni di tipo dimensionale, di dialogare con l’edificio presso il quale è collocato.
Il risultato è una struttura trasparente che si segnala, anche di notte, come emergenza evidente a coloro i quali percorrono velocemente la viabilità di fondo valle e
che, dall’interno, seleziona la visione del panorama limitando quella della strada e
permettendo la vista delle montagne circostanti.
L’intervento è realizzato con un basamento in cemento armato struttura in muratura perimetrale portante, rivestimento esterno, serramenti, pavimentazioni, arredi
interni in larice.
Campo sportivo Fumarogo - Valdisotto
Il progetto (Figg. 3-4, v. p. 112) riguarda un sistema di piccoli fabbricati che, in
fasi temporali diverse, si sono articolati attorno ad un esistente campo da calcio posto
a margine del fiume Adda.
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Uno spogliatoio-deposito, un bar, un campo da bocce coperto da una tettoia ed
un campo da calcio a cinque hanno dotato una frazione del paese di Valdisotto, posto
alle porte di Bormio, di una struttura sportiva e di svago utilizzabile da residenti e
turisti.
L’obiettivo è stato quello di creare delle forme molto semplici ed essenziali che,
tramite la loro disposizione, definissero i diversi ambiti (parcheggio per auto, solarium, area giochi per i bambini) nei quali articolare gli spazi esterni.
Dal punto di vista lessicale si è scelto di usare pochi materiali e di evocare la tradizione costruttiva locale tramite l’utilizzo del legno che però, non avendo funzione
strutturale, dichiara in modo evidente la sua funzione di rivestimento, rinunciando a
ricoprire gli edifici nella loro interezza e svelando la sottostante muratura; allo stesso
modo il brise-soleil che costituisce il rivestimento del campo da bocce cambia la
propria inclinazione permettendo una differenziata percezione delle cime alpine che
circondano l’edificio.
Gli edifici hanno una struttura portante in muratura, tettoie in cemento armato, rivestimenti esterni, serramenti e arredamenti interni in larice, copertura piana e
struttura di copertura dei campi da bocce in ferro.
Ex Cimitero di Cepina - Valdisotto
Il progetto (Figg. 5-6, v. p. 113) riguarda il restauro-recupero di una struttura
cimiteriale tardo ottocentesca degradata ed abbandonata da circa quarant’anni per
l’impossibilità di operare nuove inumazioni.
In funzione del recente ampliamento di un’altra struttura cimiteriale, meno prossima alle abitazioni ed alla costruzione di un vicino quartiere residenziale, l’Amministrazione aveva pensato di abbattere la struttura per creare un posteggio.
Il progetto ha convinto l’Amministrazione Comunale a non demolire il cimitero
ed a trasformarlo in un piccolo luogo civile di memoria e di ricordo, aperto all’utilizzo da parte dei cittadini.
L’obiettivo progettuale, lavorando per sottrazione, è dunque stato quello di rispettare il luogo, recuperando le testimonianze del passato ed esaltando gli elementi
primari che lo costituiscono (pietre, acqua, vegetazione…).
Si è effettuato il restauro delle murature perimetrali della cappella e degli affreschi conservando alcune lapidi significative e attraverso l’uso di pochi elementi si è
definito uno spazio intimo all’interno di un contesto urbano.
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Le pavimentazioni e gli arredi fissi sono stati realizzati in granito sabbiato (ghiandone della Val Masino).
Centro Servizi Neve, Hotel Cepina - Valdisotto
Il progetto (Figg. 7-8, v. p. 114), svolto in occasione dei Campionati Mondiali di
Sci Alpino tenutisi a Bormio nel 2005, riguarda il recupero di una struttura abbandonata da decenni costituita dallo storico Hotel Cepina (uno dei primi hotel dell’Alta
Valtellina) e dalla sostituzione di alcuni fabbricati industriali dismessi, una volta
parte del complesso produttivo dell’Acqua Minerale Levissima.
La struttura è stata progettata per essere un centro di alloggio e di servizi per la
stampa in occasione dell’evento sportivo ed essere, quindi, trasformata in un complesso ricettivo, pur mantenendo la possibilità di esser fruita dalla collettività tramite
alcuni spazi di uso pubblico (sala conferenze, palestra, area fitness…).
Il progetto si è sostanziato in alcuni ambiti distinti: restauro della struttura storica
(Hotel Cepina), creazione di un nuovo corpo di fabbrica (Centro Servizi), di una
piazza pubblica pedonale (piazza Levissima) e di un parcheggio pubblico, a questa
connesso, da circa ottanta posti auto.
L’Hotel Cepina è stato restaurato cercando di riproporre materiali costruttivi (murature portanti in pietra, solette in legno) e finiture esterne coerenti con la sua storia,
mentre il Centro Servizi (realizzato con struttura portante e solette in cemento armato) dichiarava la sua contemporaneità tramite l’utilizzo di rivestimento ligneo (cedro
verniciato di colore grigio) e la copertura in zinco titanio.
Gli spazi esterni, realizzati con pietre locali e setti in cemento armato utilizzati
per differenziare gli ambiti pedonali da quelli veicolari, non sono stati purtroppo
dotati dei previsti arredi ed il loro attuale utilizzo come area di sosta veicolare ne
svilisce la dimensione civile di ambito pubblico.
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Giuseppe Nebbia
Ringrazio Cola per l’entusiasmo dimostrato. La parola a Danilo Marco.
PUNTO INFORMAZIONI MORENE DEL CHIUSELLA (TORINO)
Danilo Marco
architetto
L’intervento di costruzione del piccolo edificio fa parte di una serie di azioni rivolte alla valorizzazione ed alla fruizione turistica delle aree naturali poste sul settore
destro dell’Anfiteatro Morenico di Ivrea, ai piedi della Valchiusella.
Denominato “Morene del Chiusella”, il progetto comprende la sistemazione e la
segnalazione della rete di percorsi storici, la valorizzazione di siti di importanza geologica e naturalistica e la creazione di alcune strutture complementari di accoglienza:
tre aree per camper, un centro visitatori posto in un’antica chiesa sconsacrata ed il
punto informazioni di Vialfrè.
Lungo i percorsi, pannelli informativi segnalano le particolarità dell’ambiente
morenico: i depositi di fossili, le zone umide e xeriche, i massi erratici, il paesaggio agrario. Il progetto è particolarmente centrato sul turismo didattico delle scuole,
considerato che la zona era già oggetto di visite guidate di studenti di scuole medie e
superiori, senza però essere supportata da infrastrutture territoriali. L’azione di valorizzazione è al contempo rivolta anche verso la popolazione residente, come stimolo
alla presa di coscienza del valore culturale ed ambientale del territorio.
A Vialfrè l’Amministrazione comunale aveva previsto la costruzione di un piccolo edificio ad uso turistico all’ingresso dell’area delle Sece, una vasta conca intermorenica caratterizzata da zone umide e torbiere. Ai progettisti è stato specificamente
richiesto che la struttura fosse in legno, per la velocità e l’economicità della costruzione, ma anche per il desiderio di conferire risalto all’edificio, affinché anche attraverso l’utilizzo di un materiale da costruzione naturale si sottolineasse la funzione
legata alla fruizione ambientale.
Il sito scelto è stato un piazzale posto al margine di una ripida scarpata erbosa, un
eccezionale terrazzo sui rilievi collinari e sulle punte della Valchiusella.
Il programma architettonico era estremamente semplice; si rendeva necessario
uno spazio di accoglienza con i servizi igienici ed una zona da adibire a caffetteria.
È stato proposto un volume unico, con pianta di forma trapezoidale. La costruzione
è stata posta in parte al di fuori del piazzale, aggrappata al pendio collinare come le
case del piccolo borgo medievale.
Il bancone, i servizi e l’ingresso sono stati posti all’estremità maggiore, a monte.
Sul lato opposto si è aperta una grande vetrata verso l’area naturale, conclusa da un
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terrazzo; si è inteso fare in modo che il visitatore, già al suo ingresso nell’edificio, si
sentisse parte dell’ambiente che si apprestava a visitare. Sui lati lunghi si sono disegnate piccole luci, che non influenzano la disposizione degli arredi interni.
La struttura poggia su di un basamento in calcestruzzo. Gli elementi portanti,
pilastri metallici e capriate in legno, sono stati eseguiti in laboratorio, mentre i tamponamenti e la copertura sono stati realizzati in cantiere. La struttura delle pareti è
leggera, con tavolato in larice all’esterno ed in abete all’interno. Il tetto a due falde
è coperto da un manto in lamiera metallica verniciata. Le feritoie hanno vetri fissi; i
telai in legno sono stati trattati con mordente colorato. Le vetrate sul lato d’ingresso
e su quello a valle sono in metallo; al loro interno sono state inserite le ante delle
porte in legno.
Dopo la sua realizzazione, l’edificio è stato affidato in gestione alla Pro Loco
di Vialfrè; da punto di riferimento per i visitatori, la sua funzione si è allargata agli
stessi residenti, che lo frequentano per il piccolo bar.
L’intervento ha ricevuto il contributo finanziario dell’Unione Europea nell’ambito del Docup.
Obbiettivo “ 2000-2006. Al progetto hanno collaborato gli architetti Danilo Marco, Manuela Raccanelli, Mauro Zucca Paul, il geologo Corrado Duregon ed il naturalista Diego Marra. I lavori di costruzione del punto informazioni sono stati eseguiti
dall’impresa Edil Legno di Champdepraz (AO) (Figg. 1-7, v. pp. 115-120).
Giuseppe Nebbia
Ringrazio Danilo Marco per la sua presentazione, che mi è sembrata interessante, al di là della dimensione dell’edificio, per il fatto che si tratta di un esempio di
inserimento proprio in un contesto montano, dove il pendio e la localizzazione sulla
cresta sono determinanti. Cioè, lo stesso edificio, pur con le sue intrinseche qualità,
posizionato in un ambiente pianeggiante farebbe un effetto minore di quando è visto
dal basso. Questa caratterizzazione deriva dall’edificio in sé, ma anche dalla posizione in cui l’edificio è stato costruito.
Adesso Bernard Delefortrie ci parlerà della Passerella sull’Areuse. Bisogna considerare che l’architettura dei servizi non si limita ai servizi quali sono normalmente
considerati. Prima abbiamo sentito parlare anche di un cimitero, quindi una passerella può avere anche aspetti di inserimento nell’ambiente molto interessanti.
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PASSERELLE SUR L’AREUSE, BOUDRY NE (Svizzera)
Bernard Delefortrie
architetto, studio Geninasca-Delefortrie
Lorsqu’un lieu parle, la réaction la plus constructive est de l’écouter. Puis d’entrer
en dialogue avec lui. Le franchissement de l’Areuse en un point précis des Gorges
était la question posée. La réponse apportée tient en cette passerelle, sculpture organique, ondulant pour mieux entrer en écho avec le site et la rivière.
La liaison entre ces deux berges, aux caractéristiques si différentes, a dicté un
premier geste, un premier mouvement pour un objet qui revendique sa dynamique.
Etroite sur le flanc du sentier escarpé, la passerelle se fait progressivement plus large
lorsqu’elle rejoint l’autre rive, espace plane plus généreux.
Succession de séquences spatiales comme autant d’émotions souhaitées, le cheminement le long des berges et le franchissement de l’Areuse mettent le promeneur à
l’écoute de la nature et en contact avec la matière. Sur la passerelle, le sol en chaille
indique une voie, et par là une continuité. Par un jeu de lamelles de bois et de profils
d’acier, le claustra protège le passant sans l’oppresser, comme s’il voyage sous des
branchages, tout en offrant une respiration bienvenue par sa cloison ajourée.
La force objective de l’objet tient en sa faculté à se fondre parfaitement dans le
site tout en se faisant clairement remarquer. Artefact. Il n’y a pas de soumission au
lieu, mais du respect. La nuance et de taille comme est ici essentiel le langage de la
matière. Mise en exergue, elle trouve ainsi sa pleine puissance. Passerelle, passeuse
d’émotions (Figg. 1-9, v. pp. 121-127).
Information sur l’ouvrage
Adresse de l’ouvrage:
Combe des Epines
2017 Boudry
Réalisation :
2001-2002
Coût global :
150’000 frs
Portée :
27,5 m
Largeur :
1.15-3.5 m
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Maitre de l’ouvrage:
Canton de Neuchâtel
Architectes:
Geninasca Delefortrie SA, architectes FAS SIA, Neuchâtel
Collaboratrice: Christine Perla
Ingenieur civil:
Chablais et Poffet SA, Estavayer-le-Lac
Constructeur metallique:
Technique Métal Sàrl
Photos:
© Thomas Jantscher
Rue Haute 23
CH - 2013 Colombier
Mobile : 0041 79 3414810
Tel.: 0041 32 8426025
Giuseppe Nebbia
Non ho nulla da aggiungere rispetto alle ultime parole di Bernard Delefortrie,
che condivido. Rilevo ancora una volta il collegamento tra architettura e natura, che
nel caso specifico è predominante, ma l’architettura ha saputo superare i vincoli
naturali.
Lascio ora la parola a Paola Gerosa, la quale illustrerà un’iniziativa valdostana
che ha previsto il recupero di strutture termali abbandonate da anni, con un notevole
successo di pubblico e di critica, si potrebbe dire.
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PROGETTO PER LA VALORIZZAZIONE DELLE RISORSE TERMALI
DEL COMUNE DI PRÉ-SAINT-DIDIER (Valle d’Aosta)
Paola Gerosa
architetto
Genesi dell’intervento
Nei primi mesi del 2000, la Regione Autonoma Valle d’Aosta, d’intesa con l’autorità comunale, ha pubblicato un bando internazionale per selezionare un soggetto
cui affidare la progettazione, la realizzazione e la gestione degli interventi di valorizzazione delle risorse termali nel Comune di Pré-Saint-Didier.
Nel prefigurare il meccanismo finanziario e contrattuale più consono ai propri obiettivi, l’Amministrazione regionale ha inteso ricorrere al project-financing, ovvero alla
concessione di costruzione e gestione per la durata di trent’anni, introdotta pochi mesi
prima nel quadro normativo allora in vigore in tema di opere pubbliche in Valle d’Aosta
(Legge Reg. 20.6.1996 n. 12, come modificata dalla Legge Reg. 9.9.1999 n. 29).
All’esito degli approfondimenti effettuati dalla commissione giudicatrice, la proposta allora formulata da Quadrio Curzio S.p.a. (ora Quadrtaec S.p.a.) sulla scorta
delle esperienze maturate in Alta Valtellina con il complesso alberghiero e termale
de I Bagni di Bormio, fu ritenuta meritevole di accoglimento.
Questi i contenuti essenziali della proposta:
• Ristrutturazione dell’Edificio delle Terme, appartenente al patrimonio regionale,
da destinare ad attività termali e la creazione di piscine termali all’aperto.
• Interventi di ristrutturazione presso l’Edificio dell’ex Casinò, da acquisirsi in proprietà, adiacente l’Edificio delle Terme, da destinare ad attività termali e complementari, con un collegamento interrato all’edificio termale per garantirne la
fruibilità contemporanea.
• Realizzazione di una struttura ricettiva alberghiera per la creazione di circa 30
camere annessa alla struttura termale e con accesso esclusivo alla stessa.
• Ricostituzione delle opere di adduzione dell’acqua termale dalla fonte esistente
ed oggetto di sub concessione trentennale a favore del concessionario (5,5 l/sec
circa di acqua termale a 38° circa), sino alla struttura.
Si tratta di una proposta volta all’attivazione di un complesso di servizi nell’ambito di una nuova concezione di terme, che, pur nel contesto delle proprietà benefiche
delle acque, si discosta dalla classica impostazione curativa, rispondendo alle nuove
esigenze della clientela. Ambiente e servizi orientati al benessere ed al relax nella
loro più ampia accezione, diversificazione della fruizione turistica ed integrazione
con le risorse del territorio ne sono, quindi, elementi caratterizzanti.
All’approvazione della proposta, ha fatto seguito la licitazione privata previ49
sta dalla normativa allora in vigore e la Giunta Regionale con delibera n. 2005 del
3.6.2002, ha stabilito di procedere all’affidamento della concessione all’Associazione Temporanea guidata da Quadrio Curzio S.p.a., ora Quadratec S.p.a. e Bagni di
Bormio S.p.a..
La Giunta Regionale, con delibera n. 5181 del 30.12.2002, ha approvato il Progetto Definitivo ed il 3 ottobre 2003 è stata stipulata la Convenzione fra le Imprese
riunite, da un lato, e la Regione Autonoma Valle d’Aosta ed il Comune di Pré-SaintDidier dall’altro.
Le società concessionarie hanno costituito fra di esse la Terme di Pré-Saint-Didier
S.r.l., qualificandola come Società di Progetto ai sensi dell’art. 37 bis e seguenti della
Legge 109/1994, ovvero come Società “di scopo” per l’esecuzione dell’intervento.
Approvato dall’Amministrazione regionale il progetto esecutivo, rilasciata dal
Comune di Pré-Saint-Didier la concessione edilizia ed acquisita la disponibilità degli
immobili pubblici e di parte di quelli di proprietà privata, nel febbraio 2004 hanno
inizio i lavori di ristrutturazione dell’edificio delle Terme.
La Terme di Pré-Saint-Didier S.r.l realizza gli interventi per il tramite della Quadrio Curzio S.p.a., ora Quadratec S.p.a., propria controllante in possesso dei requisiti
previsti per le attività di costruzione.
Nel giugno del 2005 vengono completati gli interventi presso l’Edificio delle
Terme – primo “lotto funzionale” del progetto − ed il successivo 23 luglio viene
inaugurata ed aperta al pubblico la struttura.
Nel gennaio 2008, è stata completata gran parte delle opere presso l’edificio
dell’ex Casinò ed aperta al pubblico parte dei servizi termali ed affini ivi eserciti.
Sono in corso di completamento, ad oggi, le decorazioni delle facciate e sono in fase
di avvio i lavori relativi ai nuovi servizi termali antistanti l’Ancièn Casinò, oltre alla
sistemazione a verde complessiva.
Nel maggio di quest’anno, è stata stipulata fra la Regione e la Terme di PréSaint-Didier S.r.l. la revisione della Convenzione che ha, fra l’altro, definito, sempre
nell’ambito del complesso, l’area ove sorgerà la nuova struttura alberghiera e sancito, se pur in via preliminare, le caratteristiche progettuali.
Significativo rilevare che l’intervento è realizzato in totale autofinanziamento,
non essendo previsto alcun contributo in conto capitale, né in conto gestione da parte dell’Amministrazione pubblica locale, né, per contro, è previsto il pagamento di
canoni, né oneri concessori da parte del Concessionario, fatta eccezione per il solo
canone riferito alla sub concessione mineraria della fonte termale.
In applicazione della Legge Reg. n. 38 del 26 maggio 1998 (“Interventi regionali
a favore del settore termale”) è prevista la facoltà per il Concessionario di ricorrere
ad un mutuo a tasso agevolato a copertura, parziale, degli investimenti.
Inquadramento dell’area d’intervento
L’area di progetto è inserita in uno degli ambienti certamente più suggestivi
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dell’intero arco alpino. La presenza scenografica ed imponente del massiccio del
Monte Bianco domina l’alta Valle d’Aosta. Queste caratteristiche paesaggistiche, insieme all’ospitalità locale, contribuiscono a far sì che l’immagine complessiva della
Valle sia sinonimo d’immersione totale nella natura.
È noto, del resto, come il turismo valdostano si basi in particolar modo sull’unicità delle risorse naturali del suo contesto, oltre che sulla buona organizzazione delle
strutture ricettive.
La località di Pré-Saint-Didier (1050 mt s.l.m.) è situata nel tratto terminale della
Valle d’Aosta, ai piedi del Monte Crammont, e grazie a questa posizione geografica,
rappresenta un nucleo strategico per le affluenze dal confine francese e dalle più note
località sciistiche del comprensorio valdostano (Cervinia, La Thuile, Courmayeur,
etc.), oltre ad essere caratterizzata dalla presenza di nuclei di antica formazione e di
edifici di culto di valore storico inseriti in un ambiente di notevole bellezza (Fig. 1,
v. p. 128).
La sorgente termale è ubicata a circa 500 mt a sud dal centro storico di Pré-SaintDidier, all’interno dell’omonimo Orrido (“Gouffre di Pré-Saint-Didier”). Quest’ultimo è costituito da una stretta gola scavata dalla Doire de La Thuile al suo sbocco
nella valle principale, delimitata da pareti rocciose d’altezza variabile tra i 200 e 300
mt, con caratteristiche molto pregevoli dal punto di vista paesaggistico.
Cenni storici
Sin dall’epoca romana, la vitalità di Pré-Saint-Didier è sempre stata legata alla
sua posizione, sosta ideale per tutti i viaggiatori che attraversavano i valichi alpini
del Piccolo San Bernardo e del Col Ferret.
In realtà, il primo stabilimento termale in pietra e legno, risale al 1750. Tuttavia,
nei primi dell’Ottocento, la realtà della Valle d’Aosta era ancora distante dai modelli di stabilimento e di servizi offerti dalle stazioni climatiche del resto d’Europa.
L’esigenza di un nuovo stabilimento, più vicino all’assetto urbanistico di stazione
climatica e termale che andava assumendo nel frattempo Pré-Saint-Didier, condusse
alla costruzione di un nuovo edificio termale nel 1834. Lo stabilimento contava 24
stanzini da bagno e otto camere di reazione, con 17 pregevoli vasche in marmo bianco, una delle quali è tuttora utilizzata nell’area esterna delle Terme.
Fu soltanto, però, dalla metà dell’Ottocento che l’idea di valorizzare le risorse
naturali della Valle d’Aosta per attirarvi nuova clientela e sfruttare le potenzialità economiche connesse al fenomeno turistico si fece strada prepotentemente nella
coscienza degli abitanti, che sarebbero divenuti i primi beneficiari di un eventuale
crescita economica. L’edificio termale quindi, subì ulteriori ampliamenti e miglioramenti nel 1888.
Al miglioramento dei servizi si affiancò anche la costruzione di una “dépendance”, un edificio in stile art déco, che ospitando un salone da ballo dotato di pianoforte, un ristorante, una sala bigliardo, salette per la lettura e per il gioco d’azzardo, fu
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denominato “Casinò delle Terme” ed oggi è conosciuto come “Ancien Casino”.
Se nel 1800 la struttura termale conobbe il suo massimo splendore, nel secolo
scorso subì un calo vertiginoso a causa delle conseguenze belliche in atto nell’intera
regione. Addirittura, nel 1940, a causa di contrasti interni, il Governo requisì entrambi gli edifici per trasformarli in caserme, in seguito danneggiati durante la guerra.
Nonostante negli anni seguenti furono fatti numerosi tentativi da parte del Comune e di privati per portare in luce l’antico splendore delle Terme, nulla fu messo concretamente in atto fino al 1958 quando la Regione Autonoma Valle d’Aosta acquisì
al proprio patrimonio le due sorgenti, gli edifici ed i terreni circostanti.
L’attività termale proseguì incostantemente fino al 1976, per poi trasformarsi in
una speranza di possibile rinascita futura nella mente dei residenti dell’intera Valle.
Descrizione del progetto
L’intervento su entrambi gli edifici è stato di tipo conservativo, sia per quanto
riguarda le facciata, che per le divisioni interne, guidato dagli esiti delle analisi stratigrafiche per la determinazione dei materiali e dei cromatismi.
L’area è vincolata dalla Soprintendenza per i Beni e le Attività Culturali ai sensi
del Decreto Legislativo n° 490/99.
Come già ricordato, nel febbraio del 2004 sono iniziati i lavori relativi all’Edificio
delle Terme. L’edificio era inizialmente costituito da due corpi laterali a due piani
ed una parte centrale ad unico piano, con tetto a falde per una lunghezza totale di
circa 50 m ed una larghezza di 10 m. (Fig. 2, v. p. 129). Internamente era costituito
da piccole stanze dotate di vasche termali secondo la vecchia concezione di bagno
termale singolo.
Mentre nei due corpi laterali non sono state apportate modifiche distributive,
né strutturali, nella parte centrale è stata necessaria la demolizione delle murature
interne per la realizzazione del piano seminterrato attraverso lo scavo all’interno
dell’edificio (Fig. 3, v. p. 130). In questa zona, sono state posizionate le aree termali
propriamente dette: vasche termali con idromassaggi di diversa tipologia, idrogetti
e cascate, oltre a due saune ed un bagno a vapore e per la realizzazione di pavimenti
e rivestimenti, considerata anche la costante presenza dell’acqua, la scelta, d’intesa
con la soprintendenza, è ricaduta sulla pietra verde di Cheràn.
Una nuova struttura in ferro, completamente indipendente, regge la copertura del
corpo centrale. Tale copertura, realizzata con struttura in legno interamente a vista,
caratterizza lo spazio della grande sala buffet che occupa tutta il corpo centrale
(Fig. 4, v. p. 131).
Al primo piano del corpo nord, sono presenti i camerini dedicati ai massaggi,
mentre nel corpo sud, sempre al primo piano, sono state realizzate saune particolari
(Fig. 5, v. p. 132) e sale relax. In questi ambienti sono stati posati nuovi pavimenti in
legno, non essendo possibile il recupero di quelli esistenti, mentre sono stati recuperati e restaurati i serramenti interni in legno originari.
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Il recupero dei serramenti sia interni che esterni è stato effettuato ovunque le
condizioni lo consentissero e gli elementi nuovi sono stati, ovviamente, realizzati
riprendendo materiali e caratteristiche di quelli originari.
In corrispondenza della strada di accesso al complesso, è stato creato un nuovo
volume completamente interrato (Fig. 6, v. p. 133), di superficie pari a circa 1.000
mq., destinato ad alloggiare i servizi funzionali all’esercizio della struttura: spogliatoi per il pubblico, distribuzione biancheria, locali per il personale, depositi, vasca di
accumulo dell’acqua termale e locali per l’alloggiamento di impianti tecnologici.
Particolari caratteristiche ha il piccolo corpo che sporge dall’edificio delle Terme verso il giardino, costituito da due livelli, entrambi dedicati al relax. Al livello
superiore, in corrispondenza del piano stradale, è stata realizzata una veranda in
ferro e vetro a copertura del terrazzo preesistente e sono state realizzate nuove pavimentazioni in legno (Fig. 7, v. p. 134), mentre al livello inferiore ove alloggiavano
le vecchie cantine, affacciato sul parco termale, è stata portata a vista la muratura
portante in sasso, così come le volte in mattoni, donando un carattere particolare agli
ambienti (Fig. 8, v. p. 135).
All’interno del parco termale, sono state realizzate le piscine termali all’aperto
(Figg. 9-10-11, v. pp. 136-138), accessibili direttamente dall’area termale interna
attraverso un suggestivo passaggio. Vi si trovano diversi tipi di idromassaggio, dormeuse e idrogetti, oltre alla musica subacqua. Le piscine, immerse nel verde, godono, naturalmente, della splendida vista del Monte Bianco.
Sempre nell’area esterna, sono stati posti in opera due chalet in legno, con copertura in lose, all’interno dei quali sono presenti altrettante saune a temperatura differenziata, dedicate agli eventi di benessere frequentemente offerti alla clientela.
Le aree tecnologiche, necessarie al posizionamento dei complessi impianti di gestione dell’acqua termale e delle vasche, nonché delle pompe di calore connesse al
sistema locale di teleriscaldamento, sono state posizionate in vani tecnici interrati
appositamente realizzati.
Un corridoio, sempre interrato, di circa 35 m di lunghezza, collega l’edificio delle
Terme alle Terme dell’Ancien Casino, dove lo scorso mese di gennaio 2008 sono
stati completati i lavori di ristrutturazione del fabbricato. All’interno del corridoio è
presente un’area intermedia di sosta con un ampio bagno a vapore.
L’edificio dell’Ancien Casino è stato riportato allo stato di splendore che un tempo lo caratterizzava, grazie ad un minuzioso intervento di restauro conservativo che
ha risanato lo stato di degrado generato dal tempo e dalla carenza di manutenzione
(Fig. 12, v. p. 139). A tale proposito, le murature portanti interne sono state oggetto
di consolidamento strutturale.
Gli interventi previsti non hanno comportato variazioni di tipo architettonico-compositivo: la conformazione originaria degli spazi è rimasta pressoché invariata, e nei
colori e nelle finiture, sono stati riproposti, per quanto possibile, gli elementi stilistici
fondamentali caratterizzanti l’opera. Per quanto concerne le finiture, sono stati utilizzati intonaci a calce. Un nuovo corpo scala situato in prossimità della facciata est è
stato realizzato come era in origine secondo la documentazione cartografica catastale.
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Le facciate decorate che caratterizzano questo fabbricato, versavano in un notevole stato di degrado, con ampie parti di intonaco distaccato, molte lacune e crolli
(Fig. 13, v. p. 140). I lavori di restauro conservativo hanno visto il completamento
delle lacune e delle parti distaccate con nuovi intonaci a base di calce (Fig. 14,
v. p. 141) e la ricostruzione dei decori, attualmente in fase di completamento, grazie
anche alla documentazione fotografica storica e ad un dettagliato rilievo dell’esistente
(Fig. 15, v. p. 142).
La copertura è stata realizzata ex-novo con struttura in legno e manto in lose, oltre
ai necessari strati di isolamento termico e di impermeabilizzazione in modo tale da
rendere abitabili i locali del sottotetto.
Dal punto di vista distributivo, al primo piano è stata ricavata un’ampia area relax,
con diverse sale tematiche caratterizzate dalle travature e soffitti in legno a vista e dai
pavimenti in legno originale restaurato (Figg. 16-17, v. p. 143); al piano terra sono
presenti due sale relax con pavimenti in legno recuperato, due ampie saune (Fig. 18,
v. p. 144), una vasca di reazione (Fig. 19 v. p. 145) ed altre aree benessere come i
lettini doccia, pediluvio e percorso kneipp, mentre al piano seminterrato, al quale si
accede direttamente dal corridoio interrato di collegamento con l’edificio delle Terme, sono state realizzate una vasca sensoriale, la zona fanghi e gli idrogetti.
Realizzazione dell’opera ed eventuali criticità
Come già ricordato, i lavori di realizzazione hanno avuto inizio nel febbraio del
2004 e sono proseguiti sotto la direzione dei responsabili tecnici dell’Impresa, sotto
il controllo da parte della Direzione dei Lavori e dei Progettisti e la sorveglianza da
parte del Dipartimento OO. PP. Regionale e della Soprintendenza. Come già detto, il
completamento di un primo lotto funzionale, costituito dagli interventi presso l’edificio termale esistente e dal rifacimento delle opere di adduzione termale, ha avuto
luogo alla fine del mese di luglio del 2005, con la contestuale apertura al pubblico
dei servizi termali. Nel complesso, i tempi preventivati sono stati rispettati e non si
sono registrate sopravvenienze degne di nota, fatta eccezione per il rinvenimento di
trovanti di dimensioni significative durante la fase di scavo dei volumi interrati, per
la rimozione dei quali fu necessario ricorrere a micro cariche esplosive ed a resine
espandenti È stata particolarmente delicata la fase di realizzazione delle sottomurazioni di sostegno all’edificio in corrispondenza dei muri in pietra originari e così
pure la fase di realizzazione degli impianti tecnologici, di particolare complessità
anche in ragione delle condizioni climatiche e delle caratteristiche chimico fisiche
dell’acqua termale.
Degna di nota la circostanza che è stato raggiunto un accordo commerciale fra la
Terme di Pré-Saint-Didier S.r.l. e la Società locale che ha acquisito la concessione
dal Comune di Prè-Saint-Didier per la realizzazione dell’impianto e della rete di
teleriscaldamento in ambito comunale. L’accordo ha previsto l’installazione di un
sistema di pompe di calore presso i locali tecnici delle Terme, rendendo necessario
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l’adeguamento in corso d’opera di una parte dei manufatti interrati. Attraverso il recupero di calore dalle acque termale in scarico, le Terme danno il proprio contributo
all’alimentazione del teleriscaldamento, la cui fonte primaria è costituita da un impianto cosiddetto “a cippato”, ricevendo, per contro, acqua calda sanitaria e potenza
calorifera per l’esercizio delle proprie attività a prezzo convenzionale.
Aspetti inerenti la gestione dell’opera finita
L’opera come realizzata, ad oltre tre anni dalla apertura all’esercizio, si è rivelata
rispondente alle finalità e non ha reso necessari interventi modificativi, né adattativi
di rilievo, eccezion fatta per l’ampliamento dei locali interrati adibiti a spogliatoio,
ad accrescere la capacità ricettiva in occasione della apertura dei servizi presso l’ex
Casinò, atteso il positivo riscontro della clientela.
Degna di nota la circostanza che l’acqua termale, con proprietà benefiche da tempo riconosciute, sia caratterizzata da una elevata mineralizzazione, che ha comportato e comporta la costante sorveglianza delle dotazioni impiantistiche e la frequenza
di interventi manutentivi, atti a garantire il costante mantenimento del più elevato
standard qualitativo dei servizi offerti.
Ricaduta economica e sociale dell’opera nel contesto
Consolidando presenze nell’ordine di 100.000 unità l’anno, le Terme di PréSaint-Didier costituiscono, oggi, una realtà di rilievo nel contesto turistico valdostano, caratterizzata dalla costante tensione all’integrazione con l’offerta turistica
classica, attraverso il convenzionamento con la quasi totalità delle strutture ricettive
alberghiere esistenti e la proposizione di pacchetti integrati di sicura attrattiva per la
clientela. Indubbio l’effetto di “destagionalizzazione”, già registrato nelle esperienze
valtellinesi e significativa, sin dall’apertura, l’affluenza di residenti, a testimoniare
l’elevato gradimento anche locale.
Non di poco conto anche la ricaduta data dall’impiego di personale locale al
ricevimento ed al governo, dall’utilizzo di professionisti locali per le attività complementari a quelle termali (massaggi, ecc.), nonché le relazioni con imprese locali per
gli approvvigionamenti più significativi ed i servizi in outsourcing.
Illustrazione di problematiche relative alla gestione del progetto
Il progetto iniziale è stato oggetto di due varianti in corso d’opera.
La prima variante, elaborata in sede di sviluppo del progetto esecutivo, trae origine dalla scelta di rendere funzionalmente autonoma la struttura termale ed avviarne
la realizzazione, nell’attesa della individuazione definitiva dell’area ove realizzare
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la struttura alberghiera, struttura che, nella prima ideazione progettuale, si voleva
direttamente collegata alle funzioni termali interrate.
L’adozione della variante, ha consentito di procedere speditamente nell’esecuzione del “primo lotto funzionale” ed avviare l’esercizio in tempi anche compatibili con
le previsioni formulate sotto il profilo economico e finanziario.
La seconda variante, ha avuto luogo ad oltre un anno dall’apertura delle Terme,
contemperando due diverse esigenze, una di carattere gestionale, costituita dalla sopravvenuta consapevolezza della necessità di ampliare l’offerta di attività termali e
l’altra, connessa alla prima, legata alla razionalizzazione dell’utilizzo degli immobili.
Questa necessità è emersa dall’osservazione della costante e progressiva crescita
dell’utenza termale.
Da qui, l’idea di destinare la struttura dell’Ancièn Casinò, già acquisita nella
proprietà della Società concessionaria, non più alla realizzazione di camere d’albergo, come previsto dal progetto originale, ma di crearvi spazi destinati all’attività
termale.
Il nuovo progetto non ha apportato modifiche dal punto di vista strutturale ma
unicamente distributivo e funzionale.
Contestualmente alla redazione della variante relativa all’Ancièn Casinò, è stata
definita la nuova collocazione della struttura alberghiera.
Realizzazione e promozione della progettazione architettonica attraverso lo sviluppo
di un’immagine coordinata coerente
Il progetto di valorizzazione delle risorse termali del Comune di Pré-Saint-Didier
trae origine dall’esperienza progettuale e gestionale dei Bagni Vecchi e Bagni Nuovi
di Bormio.
Il progetto di ristrutturazione e adeguamento funzionale dei due complessi termali è stato redatto attraverso una minuziosa analisi delle esigenze dell’utenza termale,
secondo le nuove tendenze, basate nella ricerca di uno stato di benessere e relax.
Il modello progettuale così individuato, si è dimostrato di grande successo con
le Terme di Pré-Saint-Didier, fatto che ribadisce la sua attualità e adeguatezza alla
domanda nel settore termale e del benessere.
Ad opera dello stesso gruppo di progettazione e gestione, il modello, opportunamente riveduto e corretto, è stato riportato nel centro di Milano, in un contesto
storico di grande pregio, con la recente realizzazione di Termemilano e lo sarà, prossimamente, in altre località turistiche di montagna e di mare e nel contesto di grandi
aree urbane.
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Progettisti e coordinatori della progettazione:
Arch. Paola Agnese Gerosa
Arch. Mariela Rosa Goncalves de Souza
Progettista opere strutturali:
Ing. Maurizio Alno
Ente Concedente:
Regione Autonoma della Valle d’Aosta
Comune di Pré-Saint-Didier
Autorità regionali:
Assessorato Territorio e ambiente e opere pubbliche - Direzione Opere Edili
Assessorato Turismo, Sport, Commercio e Trasporti - Direzione Strutture Ricettive
Assessorato Territorio e ambiente e opere pubbliche - Direzione Assetto del Territorio e Risorse Idriche
Assessorato Istruzione e Cultura – Dipartimento Cultura
Unità Sanitaria Locale della Valle d’Aosta- Servizio d’Igiene Pubblica
Società concessionaria:
Terme di Pré-Saint-Didier S.r.l. - Aosta
Direzione dei Lavori:
Ing. Sergio Ravet – Aosta
Impresa esecutrice dei lavori:
Quadratec S.p.a., già Quadrio Curzio S.p.a. - Milano
Giuseppe Nebbia
Grazie per l’illustrazione di un’opera che, da quanto abbiamo sentito, sta riscuotendo molto successo.
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Seconda Sessione
L’ARCHITETTURA DEI SERVIZI:
LA SCUOLA
Giuseppe Nebbia
Cominciamo la seconda Sessione dando la parola a Johann Vonmetz.
LA SCUOLA ELEMENTARE DI LAION-NOVALE (Bolzano)
EDIFICIO PASSIVO CASACLIMA ORO
Johann Vonmetz
architetto
Il paese di Laion è situato all’ingresso della Val Gardena e si suddivide in 7
piccole frazioni fra le quali Novale (Fig. 1, v. p. 146). Nel 2003 l’Amministrazione
comunale decide di ristrutturare completamente l’edificio della scuola elementare,
dal momento che gli spazi erano diventati nel frattempo insufficienti ad ospitare
un numero di scolari in costante crescita anche a fronte dell’ampliamento residenziale sviluppatosi nelle immediate vicinanze. L’intervento si colloca in un quadro
più ampio di progetti finalizzati alla valorizzazione delle strutture pubbliche nelle
località limitrofe. L’intento è quello di garantire in modo omogeneo la possibilità
di usufruire dei servizi essenziali in maniera adeguata e con minor disagi possibili,
favorendo al tempo stesso la permanenza degli abitanti nelle località interessate.
La vecchia scuola fu costruita nel 1937 per ovviare al problema degli scolari che
da Novale di Sotto e Novale di Sopra dovevano recarsi fino all’abitato di Laion.
La scuola consisteva in due spaziose aule, una piccola sala insegnanti ed un’aula
didattica. Nonostante una ristrutturazione avvenuta nel 1980, oltre all’ampliamento si richiedeva la completa sostituzione delle vecchie finestre, un intervento di
coibentazione termica della copertura, ma soprattutto la sostituzione del vecchio
riscaldamento che avveniva ancora con delle stufe elettriche. L’Amministrazione
decide così di indire una gara nella quale risulta vincitore lo studio di architettura
arch.TV (Fig. 2, v. p. 147).
Il sito è fortemente caratterizzato da due pendenze diverse, una più scoscesa in
direzione sud-est e l’altra più lieve in direzione sud-ovest (Fig. 3, v. p. 148). L’edificio si adagia secondo questa ultima direzione e si inserisce scrupolosamente nel
dislivello creando per ogni piano un accesso diretto verso l’esterno. Mentre verso
sud si ridefinisce l’ambito del cortile della scuola, verso nord si crea invece uno
slargo in corrispondenza dell’accesso all’edificio che diventa al tempo stesso un
luogo di incontro per la frazione di Novale (Fig. 4, v. p. 149). Il piazzale si trova,
infatti, esattamente al centro di ambiti diversi fra loro quali l’area degli antichi
masi, la Chiesa di S. Caterina (entrambi sotto la tutela del Patrimonio artistico e
architettonico) e la nuova zona di espansione residenziale. Anche da un punto di
vista morfologico, l’edificio riprende le peculiarità architettoniche dell’edificazio61
ne storica dialogando con esse. Il basamento arretrato in muratura naturale e il
piano terra perimetralmente sporgente reinterpretano in chiave contemporanea i
caratteri costruttivi tipici dell’arco alpino. Anche le ampie vetrate delle aule sono
caratterizzate dalle profonde riquadrature tipiche delle vecchie stube. La stessa
visione ha guidato la scelta dei materiali di facciata come filite di quarzo di Laion
per il basamento, legno di quercia per i serramenti e muratura intonacata per il
piano superiore. Il progetto si distribuisce su due livelli uniti da un’ampia scala
illuminata dall’alto (Figg. 5-6-7 , v. pp. 150-152).
Questa non soltanto riprende il naturale dislivello del terreno, ma inquadra differenti prospettive evidenziando la presenza del monumento votivo a nord e l’ingresso per la Val Gardena a sud. La scala principale connette gli spazi comuni situati sui due piani, attorno ai quali si sviluppano le classi orientate verso sud-ovest,
il laboratorio, la sala polifunzionale e altri ambienti associati. Gli spazi comuni
fungono anche da guardaroba e ricreazione (Figg. 8-9-10, v. pp. 153-155).
Il progetto, tuttavia, ha riscontrato alcune difficoltà in fase di approvazione, in
quanto la Ripartizione dei Beni culturali della Provincia di Bolzano ha inizialmente dato parere negativo. Da un punto di vista architettonico, la scuola non è stata
considerata in grado di relazionarsi con le preesistenze, mentre dal punto di vista
paesaggistico un ulteriore insediamento con caratteri contemporanei in aggiunta al
recente insediamento residenziale avrebbe pregiudicato ulteriormente il carattere
rurale delle tipiche borgate della Val d’Isarco. In aggiunta, la stessa Amministrazione Comunale non ravvisava la necessità di porsi così alti traguardi dal punto di
vista energetico. Il fattore determinante per la riuscita del progetto è stato quello di
far comprendere alle autorità competenti come possa essere possibile giungere a
una sintesi fra i caratteri dell’edilizia storica e le attuali esigenze volte al risparmio
energetico. L’inserimento di un edificio dalle alte prestazioni energetiche marcato
tuttavia dalla reinterpretazione in chiave contemporanea dei caratteri locali si sarebbe non soltanto rapportato armoniosamente con il contesto valorizzandone le
peculiarità, ma avrebbe posto l’intera Amministrazione nel ruolo di precursore.
La forma complessiva della scuola risulta decisamente compatta proprio per ottimizzare il rapporto tra superficie esterna e volume dell’edificio. È risaputo, infatti, che una superficie esterna più grande disperde una maggiore quantità di calore.
La costruzione compatta è una delle principali caratteristiche della certificazione
Casa Clima per garantire un ottimo bilancio energetico. In sintesi, l’alto rendimento si ottiene minimizzando le perdite e sfruttando al massimo i guadagni solari
passivi ed i contributi interni di calore. Questo si traduce in miglioramento del
comfort abitativo e in risparmio delle spese di riscaldamento (Figg. 11-12-13-14,
v. pp. 156-159).
L’edificio in questione corrisponde ai rigorosi criteri della categoria Casa Clima
Oro+ per cui si ottiene la certificazione dal momento in cui si è capaci di garantire
un indice termico dell’edificio inferiore ai 10 kWh/m2a. Essa è stata la prima scuola ad energia passiva in Italia e una delle poche in Europa. La classificazione Casa
Clima+ viene riconosciuta a edifici che si contraddistinguono per aver utilizzato
62
materiali ecologici e che utilizzano fonti energetiche rinnovabili per il riscaldamento.
Un altro aspetto prioritario per ottimizzare il benessere degli utenti e per ridurre
i costi energetici è dato da un alto isolamento termico delle pareti esterne per cui
l’edificio è stato interamente rivestito con pannelli di schiuma minerale spessi 20 cm,
tranne che per il tetto dove sono stati, invece, impiegati pannelli in fibra di legno di
24 cm. È bene ricordare che l’isolamento termico deve avvolgere tutto l’involucro
esterno dell’edificio per evitare la presenza di ponti termici. Questi sono i punti deboli dell’edificio e in determinate situazioni possono anche causare perdite elevate.
L’edificio presenta, inoltre, ampie vetrate che lasciano entrare molta luce per
illuminare naturalmente gli ambienti interni. Finestre di scarsa qualità possono
causare anch’esse ingenti perdite di calore. In questo caso sono state usate finestre
termoisolanti per contenere al massimo la dispersione di calore, dotate di un telaio
con elevate caratteristiche termiche e con vetri isolanti a tre strati. Le intercapedini
sono riempite con Argon ed ai vetri sono applicate particolari pellicole trasparenti
per migliorare le caratteristiche isolanti della finestra. Il valore Uw medio è pari a
0.7 W/m2K.
Il Blower-Door Test permette di misurare l’ermeticità di un edificio. Il metodo
permette di scoprire le perdite d’aria dell’involucro edilizio e di valutare il flusso di
ricambio dell’aria. Ovviamente valori bassi sono preferibili perché significano inferiori perdite d’aria e quindi del calore dell’edificio. La resistenza dell’involucro
in questo caso è stata certificata con un valore di n50 = 0.49 [h-1] inferiore al valore
richiesto per un edificio passivo pari a n50 = 0.60 [h-1].
La disponibilità di aria fresca è indispensabile per respirare meglio e di conseguenza sentirsi bene. Questo è particolarmente importante nel caso di aule didattiche, per cui le classi sono state dotate di un sistema di ventilazione controllata
per gestire il ricambio dell’aria con l’esterno. Il ricambio avviene senza l’apertura
di finestre o porte, ma tramite condotte di ventilazione forzata collegate con gli
ambienti interni da aspiratori per la rimozione dell’aria viziata e da diffusori per
l’immissione di aria nuova. Ad essa è stato accoppiato uno scambiatore di calore
dove i flussi d’aria in uscita ed entrata vengono incrociati senza mescolarsi, in
modo che un flusso riscaldi l’altro mentre si raffredda. In questo modo, d’inverno
l’aria che esce riscalda quella che entra, mentre d’estate avviene l’inverso. Questo
processo garantisce una buona qualità dell’aria con riduzione dei costi energetici
spesso rilevanti nel caso di ventilazione naturale (Fig. 15, v. p. 160).
Grazie a questi accorgimenti tecnici, il fabbisogno energetico per il riscaldamento della scuola è risultato, con un valore di 9,0 kWh/m2, talmente basso che si è
potuta sfruttare una pompa di calore azionata a corrente elettrica. La potenza elettrica impegnata dall’apparecchio è di soli 1,83 kW e la sua resa termica pari a 8,3
kW. Generalmente, la pompa di calore è una macchina in grado di trasferire calore
da un corpo a temperatura più bassa ad un corpo a temperatura più alta. In questo
caso, la pompa di calore sfrutta l’energia del sottosuolo tramite tre sonde profonde
50m ciascuna. Questa energia, unita a quella prodotta da 18 m² di pannelli solari
63
opportunamente mascherati sulla facciata, è sufficiente a coprire il fabbisogno termico e di acqua calda sanitaria dell’intero edificio. La distribuzione del calore nei
rispettivi locali avviene tramite un sistema di riscaldamento a pavimento.
Al fine di rendere nullo l’impatto dell’edificio sull’ambiente, si è scelto di alimentare la pompa di calore con un impianto fotovoltaico da 17,70 kWp posizionato sulla falda sud del tetto. Questo impianto ha una resa stimata di 16.000 kWh
l’anno. Il consumo energetico globale annuo della scuola (riscaldamento, luce,
acqua calda etc.) si aggira attorno a 6.000kWh. Da ciò risulta un surplus di energia
elettrica pari a 10.000kWh, ovvero la scuola non solo copre il suo intero fabbisogno, ma può fornire energia ad altre tre utenze.
L’edificio è stato premiato nel 2006 come Best KlimaHaus/CasaClima di Categoria Energy Plus con il seguente giudizio della giuria:
“Esempio di entusiasmo e lungimiranza politica di una piccola amministrazione comunale. Lo sfruttamento dell’energia solare e della geotermia fa sì che
l’edificio produce più energia di quanta ne consuma. Una scuola che fa scuola”.
Dati tecnici
Costi dell’opera:
1,23 milioni €; con IVA e spese 1,5 milioni €
Volume complessivo:
2.823,53 m3
Superficie lorda di piano:
755,37 m2
Calcolo Casa Clima:
9 kWh/(m2 a) Casa Clima Oro+
Potenza termica:
7,379 kW (Passivhausprojektierungspaket PHPP)
Consumo termico:
7.636 kWh/a (Passivhausprojektierungspaket PHPP)
Pompa di calore:
IDM Terra 8 S-HGL, potenza termica 8,3 kW, potenza elettrica 1,85 kW
Serbatoio polmone:
IDM Hygienik 1000/35, stazione esterna per acqua calda
Gruppi di areazione:
Tipo Paul Campus 500 DC, portata 600 m3/h
Impianto solare termico:
18 m2
Blower Door Test:
n50 = 0,49 (h-1) (Casa Passiva < 0,6)
Impianto fotovoltaico:
17,70 kWp (installazione Ottobre 2006)
64
Un progetto di:
TROJER VONMETZ ARCHITETTI
39018 Terlano (BZ)
giuseppe nebbia
La relazione di Vonmetz è stata molto interessante, sia per gli aspetti sociali di
una scuola situata in un ambito rurale tipico dell’Alto Adige, sia per gli aspetti tecnici ed economici che Vonmetz ci ha illustrato.
Chiedo adesso a Luigi Bochet di illustrare il suo progetto, che è un po’ diverso dagli altri perché interessa una zona decisamente pianeggiante. Non si tratta di pendii
o di viste particolari, si tratta della riabilitazione di una struttura legata all’economia
della montagna, cioè a quando agli inizi del ‘900 si installarono ai piedi delle valli
industrie che utilizzavano in loco l’energia idroelettrica ivi prodotta perché era allora
difficoltoso trasportarla a distanza.
Quindi lascio la parola a Luigi perché ci illustri la trasformazione di uno stabilimento industriale in uno stabilimento, questa volta, di tipo culturale.
65
Restauro dell’ex cotonificio Brambilla
Luigi Bochet
architetto
Date significative della storia dell’ex Cotonificio Brambilla sito nella piana a valle
dell’agglomerato urbano di Verrès/Valle d’Aosta
1904 La costituzione a Milano dell’impresa edile “Società Costruzioni A. Brambilla”.
1908 L’atto acquisto terreni per l’edificazione dello stabilimento della società
“Cotonificio Valle d’Aosta”.
1910 L’inizio della produzione.
1911 Il fallimento del ”Cotonificio Valle d’Aosta “ dichiarato dal Tribunale Penale e Civile di Milano.
1914 La costituzione della società “Filatura A. Brambilla” di Verrès.
1915 Ripresa dell’attività produttiva.
1971 Spedizione dagli uffici amministrativi di Milano delle lettere di licenziamento ai 380 dipendenti.
1976 Acquisto dell’area industriale da parte dell’Amministrazione Regionale della Valle d’Aosta.
1987 Il bando del concorso di idee per la riconversione degli immobili in polo
scolastico.
1989 Affidamento all’architetto Bochet Luigi dell’incarico della redazione del P.
U. D. dell’area.
1991 Assegnazione dell’incarico del progetto definitivo ed esecutivo del polo scolastico.
1996 Promulgazione della l.r. n. 37 per il finanziamento straordinario dell’intervento diviso in lotti.
2000 Inizio lavori del primo lotto/direzione lavori a cura dell’Assessorato ai Lavori Pubblici VDA.
2007 Firma della convenzione tra l’Amministrazione Regionale, il Politecnico di
Torino e l’Università della Valle d’Aosta per la creazione di un Polo di servizi universitari nella struttura principale.
2007 Inaugurazione del Poli-istituto.
Aleggiava una minacciosa, plumbea cappa di aria di demolizione della Brambilla nel bando di concorso di idee del 1987, in quanto per il semplice rispetto della
edilizia storica era stato inserito esplicitamente il parametro guida della possibilità
di demolizione totale dell’esistente a condizione del mantenimento almeno di una
torre principale, quale testimonianza significativa a ricordo del passato industriale
manifatturiero di Verrès.
66
Tra i nove progetti di fattibilità ammessi solo due si erano caratterizzati come
proposta di recupero dell’esistente e uno solo aveva sviluppato uno schema operativo di recupero e restauro integrale: il progetto definito NEW CASTLE a firma degli
architetti Luigi Bochet e Alberto Breuvé.
Il termine castle nacque nel corso dell’analisi della pianta generale, ripulita dalle
sovrastrutture, ricca di ben quattro torri strettamente e funzionalmente collegate al
corpo centrale.
L’aggettivo new scaturì per contrapposizione dal confronto analogico con lo storico castello del tardo medioevo sulla rocca di Verrès:
– la stessa rigida forma elementare prismatica dominante il proprio contesto ambientale,
– la stessa tipologia interpretativa del vuoto del proprio nucleo centrale, da una
parte la corte medioevale del castello dall’altra la proposta della Gallery, il grande
svuotamento baricentrico della ex fabbrica, risolutorio del problemi di distribuzione, di aggregazione e di illuminazione naturale interna.
Il progetto fu competitivo con le proposte alternative di demolizione grazie ad
intuizioni che permisero di raddoppiare le superfici utili rispettando le esigenze dimensionali del bando.
Alla base del suo valore la provvidenziale intuizione della possibilità di creare
due livelli di piani agibili all’interno di ogni singolo piano esistente, grazie alla illuminata idea dello schema organizzativo a X del locali sovrapposti combinata con
l’applicazione dello schema del soffitto inclinato alle aule pedagogiche.
Questa intuizione che ha permesso di raddoppiare la potenzialità dell’offerta di
spazi, la conditio sine qua non, sopraggiunse solo al 12° giorno di lavoro e a tre
giorni dalla consegna!
Un accenno al P.U.D. NEW CASTLE TOWN
La committenza: l’Amministrazione Regionale della Valle d’Aosta.
Gli interlocutori principali:
– gli Assessorati Regionali dei Lavori Pubblici, della Pubblica Istruzione, del Turismo Urbanistica e dei Beni Culturali,
– l’Amministrazione Comunale di Verrès,
– i Presidi e i Professori dei tre istituti delle scuole medie superiori di Verrès.
Le scelte politico-amministrative di base:
– la destinazione dell’area a sede di polo scolastico in cui far confluire tutte le scuole medie superiori di Verrès, vale a dire l’Istituto Professionale Regionale I.P.R.,
l’Istituto Tecnico Industriale I.T.I., l’Istituto Magistrale I.M.,
– l’inserimento del S.E.T.( Sistemi di Elaborazione e Telecomunicazioni) del Politecnico di Torino,
67
– il recupero compatibile di tutti i manufatti di interesse stilistico-formale d’epoca
fine ottocento,
– la creazione di un college a supporto del pendolarismo della popolazione scolastica lontana,
– l’inserimento di un auditorium,
– l’inserimento di un bocciodromo in sostituzione di quello attivato come dopolavoro nel riuso del grande corpo basso incastrato davanti all’ex cotonificio,
– la individuazione di una struttura per la formazione e i servizi alle imprese
della Bassa Valle voluta dall’Ufficio Studi e Progetti dell’Amministrazione
Regionale.
–
–
–
–
–
–
Le fasi prioritarie di lavoro:
lo studio del movimento evolutivo della popolazione scolastica in generale e, in
particolare di quella gravitante attorno ai tre istituti di Verrès, al fine di pervenire
ad un dimensionamento previsionale in grado di sostenere a lungo termine il dimensionamento del polo scolastico per una corretta pianificazione e ripartizione
delle aule, dei laboratori, degli spazi comuni, dei servizi, del college, ecc.,
l’analisi dei singoli manufatti in riferimento alla loro adattabilità a nuovo ruolo
scolastico e di servizi,
l’analisi strutturale delle preesistenze in riferimento al progetto del loro recupero,
le verifiche degli standards ministeriali scolastici,
le verifiche critiche strutturali del grande fabbricato con relativo collaudo statico
delle sue parti orizzontali, verticali e di fondazione in c.a. dell’inizio del 1900,
affidate all’ing. Mario Maione,
la relazione idrogeologica.
Il titolo del progetto si è trasformato da New castle in New Castle Town a seguito
dei risultati positivi delle verifiche sulle possibilità oggettive di recuperare tutti gli
edifici e i manufatti storici esistenti nell’ex area Brambilla in polo scolastico, che
hanno condotto alla definizione di un impianto urbanistico di zona fortemente caratterizzato da un quadrilatero dal rigore di castrum romano, sulla base dello schema
delle murature perimetrali esistenti, all’interno del quale sviluppare e dar vita alla
cittadella degli studi composta dagli edifici restaurati e recuperati a funzioni differenziate tra loro, gravitanti attorno al poli-istituto, il New Castle.
68
Le dimensioni dei componenti il polo scolastico
Sigla
A
B
B
E
D
C
F
Edificio
Poli-istituto
Corpo centrale
Gallery
Torri Sud
Torri Nord
Rampe
Totale
Auditorium
Bocciodromo
Parte interrata
Fuori terra
Alloggio custode e camere
Parte semi interrata
Parte fuori terra
Totale
College
Centro direzionale
Centrale termica interrata
Formazione professionale
Totale generale
Superficie mq
Altezza m
Volume mc
2 658
932
164
96
429
24,25
20,70
31,25
24,25
2,65
660
5,50
64 456
19 293
5 125
2 328
1 304
92 506
3 630
1 113
83
5,57
1,00
6 200
83
254
254
2,65
9,05
936
124
14,65
11,30
673
2 298
2 971
13 712
1 164
1 043
4,00
4 172
129 130
L’incarico è stato affidato nel 1991 ad una équipe di tecnici così articolata:
– coordinatore del progetto l’architetto Luigi Bochet
– responsabili dei settori architettonici gli architetti Luigi Bochet e Alberto
Breuvé,
– responsabili del settore strutturale gli ingegneri Claudio Cretier, Fabio Fabiani,
Flavio Lanese,
– Responsabile degli impianti l’ingegnere Ottin.
Al progetto hanno collaborato:
– l’arch. Alessandro Jannel, l’arch. Luca Mantione, il geom. Ornella Barrel, il
geom. Giovanni Contini,
– lo studio tecnico Pastoret Engineering &Consulting Srl,
– lo studio tecnico SINPROVAL.
Il progetto consegnato è costituito da:
– il Poli-istituto, restauro e trasformazione del l’ex cotonificio,
– l’auditorium, struttura nuova integrata e incastrata tra le due torri del fronte Sud,
69
– il bocciodromo, struttura nuova semi interrata e formante sistema con l’auditorium,
– l’alloggio custode con camere, restauro e trasformazione del vecchio edificio con
funzione di portineria e uffici,
– il college, restauro dell’edificio con funzione originaria di convitto e centrale termica, trasformato negli anni ottanta in sede dell’I.P.R.,
– il centro direzionale con centrale termica interrata, restauro dell’edificio con funzione originaria di cabina di trasformazione elettrica.
Il Poli-istituto, macchina di cultura
Caratteri salienti dell’architettura originaria della ex fabbrica:
– la pianta: un rettangolo equivalente in dimensioni e proporzioni ad un campo di
calcio regolamentare,
– le strutture verticali: muratura perimetrale portante a delimitazione di scacchiera
interna di pilastri in c.a. datati 1908,
– le strutture orizzontali: solai pieni in c.a. con travi ribassati di 60 cm di altezza,
– numero di piani: quattro,
– coperture: solai in c.a. piani,
– lo stile delle facciate: un rigoroso ordine di derivazione neoclassica, contraddistinto da grandi lesene di slancio, in rilievo, da terra a tetto, ritmanti i setti delle
regolari aperture incastonate tra le fasce marca-piano, riccamente modanate,
– il reticolo della scacchiera dei pilastri: modulare a maglia grande compatibile con
le aule scolastiche.
(Figg. 1-28, v. pp. 161-182).
Giuseppe Nebbia
Ringrazio Luigi per l’illustrazione di una struttura che, almeno per quanto mi
riguarda, non pensavo che fosse così complessa.
Lascio ora a Wolfgang Piller l’illustrazione dell’Istituto Tecnico Agrario Castel
Baumgarten di Ora.
70
ISTITUTO TECNICO AGRARIO
CASTEL BAUMGARTEN – ORA (ALTO ADIGE)
Wolfgang Piller
architetto
Introduzione
Ci troviamo in Sudtirolo nel paesino di Ora, località situata ad una ventina di
chilometri a sud di Bolzano nella fertile Val d’Adige caratterizzata da ampie tenute
pianeggianti di meleti e vigneti e delimitata da montagne ed alte rupi di porfido che
favoriscono un clima mite e piacevole.
Non a caso il fondovalle ospita numerosi antichi insediamenti agricoli tra cui
spicca anche quello di Castel Baumgarten, un considerevole complesso edilizio con
un volume di oltre 18.000mc. Contrariamente ad altri castelli, storicamente più importanti, eretti solitamente in punti strategici di difesa e di controllo sul territorio
− come alture o speroni rocciosi − o lungo le vie di comunicazione, la posizione di
Baumgarten nel mezzo delle aree produttive del fondovalle ne comprova la originaria destinazione di tenuta agricola signorile che in senso figurativo ha mantenuto
anche come Istituto Agrario dopo la recente ristrutturazione. Inoltre, l’edificio si
prestava per il trasferimento e l’ampliamento della scuola anche e soprattutto per il
fatto dell’immediata vicinanza del maso “Happacher”, già sede dei laboratori e delle
strutture agrarie per l’insegnamento pratico dell’Istituto.
Nell’ultimo decennio la scuola ha registrato un notevole incremento di studenti,
addirittura il più alto in tutta la Provincia. Infatti, il programma planivolumetrico
voluto a suo tempo dalla committenza, prevedeva già 18 aule per l’insegnamento
didattico, per un totale di 450 studenti ca..
Attualmente, a sette anni dall’inaugurazione, la struttura è di nuovo carente di
spazi. Si è dovuto ripiegare addirittura su alcuni container per ospitare le classi che
si erano aggiunte in questi ultimi anni per cui, a breve scadenza, si prospetta un ulteriore ampliamento.
Il primo approccio
Dopo decenni di mancata manutenzione Castel Baumgarten si stava deteriorando
a vista d’occhio. Parti del tetto erano già crollate e l’intonaco si stava lentamente
scrostando. A giudicare dal caos e dal ciarpame i locali sembravano quasi essere stati
abbandonati nel corso di una fuga improvvisa. Bottiglie di liquori invendibili, una
quantità di sottobicchieri da birra, tubetti incrostati di ketchup, pieni a metà, testimoniavano ancora le attività della locanda del castello che aveva chiuso i battenti dopo
71
il passaggio di proprietà dell’intero immobile alla Provincia. Materassi sventrati,
pile di giornali sospetti, stufe rotte, utensili e padelle bucate costituivano il lascito
degli ultimi inquilini. Alcuni di loro avevano abbandonato le abitazioni appena prima
dell’inizio dei lavori. Per finire in una stanza c’era stato anche un incendio che aveva
danneggiato una parte del soffitto rinascimentale a riquadri. Queste più o meno erano
le condizioni dell’immobile al nostro arrivo.
Gli edifici non rappresentarono certamente un esempio di architettura eccelsa.
Senza dubbio si trattava di una tenuta signorile, però senza particolare importanza strategica, rappresentativa o artistica. Nonostante ciò ci troviamo d’innanzi ad
un complesso architettonico affascinante e dignitoso, composto da più edifici raggruppati attorno a un pittoresco cortile interno, che emana innegabilmente una certa
aura.
L’estensione originale del podere, che conteneva il frutteto da cui il nome Baumgarten, cioè ”giardino alberato”, è ancora percepibile grazie al vecchio muro di cinta
in parte conservatosi anche nelle immediate vicinanze.
Una breve cronistoria.....
Come molte altre architetture profane anche Castel Baumgarten ha subìto nel
corso dei secoli numerosi interventi di adattamento agli stili correnti. Ancora prima
della fase progettuale e su specifica richiesta della Sovrintendenza ai Beni Artistici si
era provveduto ad effettuare una ricerca storico-analitica dell’edificio attraverso sondaggi su muratura, solai, intonaci ecc., condotta da esperti del settore, per poter definire in anteprima il grado ed il modo di intervento tramite restauro, ristrutturazione o
addirittura demolizione e successiva trasformazione nel rispetto della preesistenza.
Dalle analisi emerge che il complesso risale alla fine del XIII secolo. Il nucleo più
antico era costituito da un edificio rurale di forma pressoché quadrata con cantina e
pianterreno coperti da volte a crociera poggianti su un poderoso pilastro monolitico
centrale, a cui seguì poco dopo, verso sud, una torre merlata a tre piani, destinata
ad abitazione. In seguito, essa venne allargata verso ovest e completata a nord da
due ali laterali allungate, tanto che fin dagli inizi del XIV secolo si ritrova l’attuale
situazione a corte interna. La composizione unitaria dei prospetti è in stile gotico,
mentre all’epoca barocca risalgono gli intradossi delle finestre, in pietra arenaria, e la
torre settentrionale. Intorno agli anni settanta del ‘800 la parte più antica fu rialzata
aggiungendovi poi, a cavallo dei secoli, il grande fienile a est e le costruzioni più
basse a ovest. L’impianto così completato costituiva lo stato di fatto in occasione dei
primi rilievi. L’analisi della costruzione non ha individuato tracce di affreschi o altre
decorazioni di valore.
Come proprietari si succedettero vari casati locali tra cui i conti Khuen (1397), i
Von Malfèr ed altri fino al passaggio di proprietà alla Provincia Autonoma di Bolzano nel 1992, che diede l’incarico per la progettazione nel 1996. L’acquisto dell’immobile era senz’altro un’occasione da non perdere in quanto la scuola poté raggrup72
pare così i locali per l’insegnamento con le strutture preesistenti nel vicino maso
Happacher.
…e l’esito finale
Il passaggio della struttura alla Provincia per prima cosa ne garantì la conservazione e il mantenimento. Ma trasformare un castello in una scuola è possibile? Già
in fase di progettazione sono emersi dei limiti planivolumetrici e anche nel corso dei
lavori si sono rese necessarie diverse modifiche, inevitabili in interventi di questo
genere soprattutto se accompagnati da demolizioni, completamenti e aggiunte. Il
pensiero guida era quello di aggiungere dove ce ne fosse la necessità, rispettare l’antico quanto e quando possibile e lasciar accadere il nuovo se sensato.
La salvaguardia dell’antico e le esigenze del nuovo creano ovviamente dei conflitti
a causa delle varie prescrizioni e normative di carattere architettonico-monumentale,
di prevenzione incendi, di abbattimento delle barriere architettoniche o di risparmio
energetico, apparentemente incompatibili con una nuova destinazione d’uso e con le
necessità funzionali di un programma planivolumetrico predefinito. Ogni intervento
progettuale ed edilizio è, quindi, destinato a creare situazioni atte a snaturare quello
che dovrebbe essere salvato, per cui si è costretti a procedere a compromessi che,
tutto sommato, possono dare anche adito a nuove ed inaspettate soluzioni. Il nostro
approccio era, quindi, orientato a fare di necessità una virtù e ammetto che fu un
lavoro appassionante e pieno di sorprese, anche se i migliori interventi su strutture
antiche sono quelli non evidenti.
La salvaguardia ed il restauro degli intonaci a regola d’arte erano prioritari, per cui
una coibentazione esterna non era in discussione, tantomeno una interna, soprattutto
per il fatto che si rischiava, per via dei muri spesso non lineari, un’ingiustificabile riduzione delle superfici e degli spazi, ma anche per le problematiche legate alla possibile
formazione di condensa interstiziale in corrispondenza degli inevitabili ponti termici.
Gli interventi di ottimizzazione energetica si sono, quindi, concentrati, oltre alla
realizzazione di un’adeguata isolazione del sottotetto e l’adozione di serramenti vetrati con elevati valori di trasmittanza termica, alla scelta dei sistemi di riscaldamento
del tipo radiante a pavimento che, salvaguardando la struttura edile dell’edificio,
raggiungessero un’efficienza energetica del sistema impiantistico: la tipologia di
impianto radiante a bassa temperatura, infatti, consentiva, sia la riduzione delle dispersioni di rete, sia la massimizzazione dei rendimenti di produzione delle nuove
caldaie a condensazione previste, oltre a garantire una idonea temperatura operativa
negli ambienti per un ottimale confort delle persone presenti.
Non si è fatto ricorso allo sfruttamento dell’energia solare quale fonte rinnovabile, sia perché i pannelli fotovoltaici a quel tempo erano ancora agli inizi e avevano
costi proibitivi, sia perché la tipologia della struttura non richiedeva un fabbisogno
energetico per la produzione di acqua calda sanitaria che giustificasse l’installazione
di un impianto solare termico.
73
In caso di necessaria e concordata demolizione di elementi strutturali come volte
o solai in legno abbiamo optato – ove possibile − per soluzioni di carattere filologico,
lasciando cioè in vista e leggibili, tramite trattamenti di superficie diversi o citazioni,
le tracce della situazione preesistente. Gli elementi di rinforzo in c.a. per gli archi
nella corte interna sono stati inseriti come controventature a forma di doppia seduta
laterale, elemento formale ricorrente per finestre in antichi castelli e palazzi.
Per ridurre al minimo gli interventi di demolizione e l’apertura di tracce sui muri
esistenti in pietra sono stati adottati speciali accorgimenti per le soluzioni architettoniche degli impianti: tutti i comandi elettrici sono raggruppati vano per vano in
“totem” di diversa dimensione e dotazione a seconda delle necessità, composti da
lastre d’acciaio trattato ad olio e muniti di interruttori, prese, pulsanti d’allarme, luci
d’emergenza, altoparlanti ecc. e posizionati vicino agli accessi dei locali.
Anche nella scelta dei materiali ci siamo limitati all’essenziale: intonaco, cemento a vista, rivestimenti esterni in larice scuro, finestre in legno laccate, coperture in
coppi, pavimentazioni esterne in lastre di porfido locale, pavimenti interni in caucciù
per le aule e in cemento legato con resine epossidiche per gli spazi comuni.
Il punto di partenza era costituito da più corpi di fabbrica: il castello con l’edificio
attiguo a nord, il fienile con antistante tettoia e il fabbricato basso a ovest. Castello ed
edificio attiguo sono stati mantenuti nella loro struttura, anche se si è dovuto provvedere a consolidare le fondazioni, a inserire nuovi solai e scale interne ed a sostituire gran
parte dell’orditura del tetto, mentre le facciate e gli intonaci interni sono stati restaurati. L’edificio rurale è stato demolito fino al basamento mantenendo le parti inferiori
a volta incrociata. L’altezza utile del corpo di fabbrica ha permesso l’inserimento di
un ulteriore piano collocandovi la maggior parte delle aule che si aprono a ventaglio
sul foyer. La tettoia aggettante con le affascinanti colonne in porfido è stata completamente rinnovata e forma un ambito protetto per i momenti di ricreazione all’aperto. Il
fabbricato basso che ospita la centrale termica e l’alloggio del custode è stato dotato di
una copertura ad una falda passante completando così la cinta attorno al piazzale.
Per consentire il funzionale svolgimento delle attività scolastiche occorreva comunque collegare i diversi corpi di fabbrica inserendo un nuovo volume che fungesse da giunto. Una stecca obliqua collega ora il castello con l’edificio attiguo ed il
vecchio fienile su tutti i livelli e costituisce la spina dorsale del complesso edilizio. Il
volume è stato posizionato in modo tale da renderlo quasi invisibile dal cortile, mentre da sud esso risulta arretrato rispetto alla luminosa e svettante facciata dell’antica
residenza, subordinandosi ad essa tramite un cambiamento di materiale. L’architettura è contemporanea, fatta di cemento a vista, legno scuro, acciaio e vetro, e rappresenta – così come il castello – l’epoca in cui è sorta e ciò non solo come immagine,
ma anche nella sua funzionalità. Contiene, infatti, tutti gli impianti tecnici, servizi e
cablaggi vari, di cui una scuola oggigiorno ha bisogno e che solo difficilmente erano
inseribili in una costruzione antica.
Analogamente ad un’operazione chirurgica sono stati posati 25 km di cavi elettrici, 20 km di serpentine termiche ed impiegate 135 tonnellate di acciaio per non
parlare delle quantità di calcestruzzo. Ben poco di tutto questo è percepibile. Le
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viscere sono nuove, l’ossatura è vecchia, alla pelle è stato fatto un lifting. Mancava
ancora l’ornamento. A questo ha provveduto l’artista Margit Klammer di Merano con un’installazione, una magistrale sceneggiatura delle fonti primarie di vita
− acqua, terra e luce − che rendono possibile ogni crescita e conseguentemente
l’agricoltura, ponendosi in rapporto con i contenuti di insegnamento della scuola.
Un rigagnolo gorgoglia attraverso il cortile interno, si unisce a una banda di luce
e nutre infine un’aiuola di felci. All’interno la luce continua, rifratta nei colori
dell’arcobaleno, e si mischia con i rumori – cinguettio di uccelli, scrosci d’acqua,
tuoni, vento – che risuonano al passaggio. La natura si trasforma in cultura, dagli
elementi nasce la poesia.
La ristrutturazione di Castel Baumgarten, completata nell’autunno del 2001, ha
donato al complesso una piacevole atmosfera di campus scolastico. Ha rappresentato
una grande sfida architettonica e professionale, affrontata da tutti gli interessati − dal
capomastro al preside − con impegno e piacere.
A noi ha offerto la possibilità di costruire per la comunità, per la formazione della
gioventù e per il bene della società. Abbiamo potuto salvaguardare un antico bene
culturale, ristrutturarlo con rispetto e completarlo con il nuovo.
Se alla fine studiare e insegnare in un edificio del genere è stimolante e piacevole,
allora potremo considerare riuscito ed espletato l’incarico affidatoci (Figg. 1-12,
v. pp. 183-194).
Dati progettuali
Committente:
Provincia Autonoma di Bolzano
Progetto e direzione lavori:
Arch. Wolfgang Piller, Bolzano
Progetto artistico:
Mag. art. Margit Klammer, Merano
Calcoli statici:
Ing. Gerhard Rohrer, Bolzano
Progetto termosanitario:
Ing. Michele Carlini, Bolzano
Progetto impianto elettrico:
M&N Plan Consulting, Postal (BZ)
Coordinatore della sicurezza:
Ing. Giovanni Carlini, Bolzano
Programma planivolumetrico:
18 aule, 2 aule speciali, biblioteca, caffeteria, amministrazione, alloggio custode
Cubatura:
20.000 mc
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Costi:
8.780.000 Euro (incluso l’arredamento)
Durata lavori:
febbraio 1999 – settembre 2001
Bibliografia
Opere pubbliche in Alto Adige: Josef March, Cecilia Miribung, Klaus Ausserhofer 2003, Provincia Autonoma di Bolzano-Alto Adige; ISBN 88-901188-0-6
2000-2006 New Architecture in South Tyrol: Bettina Schlorhaufer, Robert
Fleischanderl, Südtiroler Künstlerbund, Kunst Meran/Merano Arte; 2006, SpringerVerlag/Wien; ISBN 3-211-29954-8
La Provincia all’opera: 2008, Provincia Autonoma di Bolzano-Alto Adige;
ISBN 978-88-7073-446-1
Architektur in Südtirol: Andreas Gottlieb Hempel; 2008, Callwey Verlag/
München; ISBN 978-3-7667-1765-8
Giuseppe Nebbia
Ringrazio Wolfgang Piller per l’illustrazione di alcuni aspetti che mi sono sembrati molto interessanti, a cominciare dall’arte negli edifici pubblici, argomento vecchio
ma pur sempre di attualità, perché a volte l’obbligo viene rispettato, altre volte un
po’ meno. Altro aspetto: la colorazione delle aule, che credo introduca la relazione
successiva. Infine Piller ha accennato al fatto che gli impianti sono stati totalmente
nascosti. Come nel progetto precedente di Laion, mi è sembrata molto interessante
questa pulizia, questa nettezza, questa precisione dei volumi, delle pareti, dei raccordi… Cose che noi troviamo difficoltà a realizzare.
Passo ora la parola a Carla Falzoni, la quale ci parlerà di una scuola più piccola
rispetto alle altre e che anch’essa in parte è frutto di un rimaneggiamento della scuola
esistente.
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SCUOLA MATERNA CORRADO GEX, AOSTA
GLI ELEMENTI ALLA BASE DEL PROGETTO
Carla Falzoni
architetto
Il progetto nasce su un costruito di cui conserva la destinazione d’uso e la cui
ubicazione è prossima alla perimetrazione nord della città romana.
Un costruito che data della metà degli anni ‘60, senza particolari pregi storici,
tecnici o architettonici ma intelligente e attento, pur nella sua semplicità e rigore
formale.
Attento all’esposizione, al rapporto con il giardino, alle distribuzioni interne. Attento anche al rapporto con l’edificato di contorno, e in questo caso la piccola scala
unitamente all’ampia area a verde che gli appartiene lo aiuta.
Costruito con muratura portante in mattoni pieni, solai in latero cls e tetto in lose,
ormai troppo piccolo per le attuali necessità, richiedeva una sezione in più, nuovi
spazi didattici, gli impianti necessitavano di essere adeguati alle norme, le finiture
ormai giunte alla fine della loro vita utile.
La destinazione, le esigenze
Ho da sempre sentito il progetto di una scuola come enorme responsabilità, sia
dal punto di vista funzionale che dal punto di vista comunicativo, la scuola, e in
particolare la scuola materna, più di altre funzioni offre accoglienza, protezione,
insegnamento, diventa modello.
L’inizio progettuale ha recepito le richieste dell’amministrazione comunale, delle
insegnanti e dei responsabili del circolo didattico che sono stati alla base soprattutto
del progetto funzionale.
L’elencazione delle problematiche dell’impianto esistente e le necessità sono
apparse subito chiare, anche se nei molti incontri con le insegnanti le richieste apparivano talvolta non lineari. Richieste all’inizio libere si ponevano a tratti filtrate
dai vincoli iniziali o da modelli di riferimento. Proprio questo bilico tra chiarezza e
mediazioni mi ha fatto percepire il grande senso di appartenenza all’edificio di chi
quotidianamente lo abita. Un approccio alla domesticità e affezione ai luoghi rendeva flebile il limite tra pubblico e privato.
Dal punto di vista della percezione un grande aiuto (e in questo caso appoggiarsi
ad un edificio già funzionante è un vantaggio) è stato l’apporto dei bambini.
Semplici chiacchiere sulla visione della scuola che abitavano ha aperto molti
spunti di pensiero. La percezione della luce, del rumore, della dimensione, il rappor77
to interno esterno, la scelta dei colori derivano in parte proprio da questi spunti:
– il salone sarebbe più bello con meno buio;
– ci vogliono dei colori, ma non tanti, così se ne possono aggiungere altri;
– non si può colorare perché è vecchia;
– servono delle cose grandi e delle cose piccole;
– quando si esce ci deve essere un pavimento normale.......cioè né duro né molle.
Il progetto
Come intervenire su un edificio dignitoso, anche se non particolarmente nobile, la
cui datazione non ne ha ancora consolidato, o meglio legittimato, i valori?
Le domande sono consuete, cosa conservare, cosa rimuovere, sentirsi totalmente
liberi di intervenire semplicemente sulle base delle modificate necessità o conservarne l’anima, l’impianto?
Il primo gesto è stato quello di aprire l’edificio esistente e di far salire dove
possibile la quota del giardino fino alla quota interna. Da qui tutto è apparso più
chiaro, lo spazio scolastico si è portato naturalmente al margine del lotto, non sentivo più la necessità di pensare all’edificio, l’attenzione era legata all’articolazione
di luoghi coperti e scoperti, verdi e pavimentati, interni ed esterni e alle relazioni
reciproche.
Le scelte, libere da regole ideologiche, si sono appoggiate senza pregiudizi a osservazioni, richieste, norme, soluzioni a volte ovvie.
L’abitabilità interna passa attraverso un lavoro di decomposizione e ricomposizione che permette di agire al cuore stesso degli spazi creando un cuore pulsante,
un centro in cui i bambini possano socializzare, sempre potendo riconoscere la loro
appartenenza ai diversi gruppi.
La scatola muraria dell’edificio esistente è bucata, spezzata, aperta in modo da
trovare un nuovo contatto con la luce e con gli spazi esterni circostanti.
Una sequenza di filtri rappresentati dalle pareti esistenti, dalle nuove pareti, dal
porticato, contribuiscono all’articolazione fra i paesaggi interni e l’esterno, il giardino diventa un prolungamento di ciascuna delle aule e viceversa, le aule si fanno
intermezzo tra salone e giardino.
L’esito è un ampliamento che pur differenziandosi dall’edificio esistente non ne
prende fisicamente le distanze, ma ne trova invece un accordo spaziale. Dove necessario sono nati nuovi volumi che, a partire dall’interno, approfittano dei vuoti e delle
parti “molli” nel cercare la dimensione voluta.
La nuova pelle formata da pareti leggere, vetrate o metalliche, apre con leggerezza un nuovo dialogo con l’esterno, mentre amplia le aule proiettandole sugli spazi
verdi, dilata il salone, disegna la nuova aula, le aule speciali e un nuovo ingresso.
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La nuova copertura apre, accoglie, protegge e delimita. Appoggiata su esili pilastrini metallici ritmati dai “brise-soleil” contribuisce a richiamare immagini di architetture valligiane familiari. Le due lame delle nuove coperture colloquiano con
la costruzione esistente rispettandone la gerarchia. Due pozzi di luce a beneficio
del lungo salone bucano il soffitto e si alzano oltre le falde, il camino della centrale
termica ne imita la forma.
All’interno in corrispondenza di ogni singola aula le pareti di separazione dal
salone collettivo sono disposte in modo da creare un’interruzione della continuità dei
divisori e uno sfasamento delle due porzioni così create al fine di ricavare lo spazio
per il deposito del materiale didattico. I setti murari rivestiti in laminati di diverso colore, si arretrano gli uni rispetto agli altri, in alcuni casi ospitano le porte d’ingresso
alle aule, in altri serviranno da supporto ai disegni dei bambini.
Quattro i colori scelti, azzurro, giallo, ocra e verde acqua individuano altrettante
classi, ne segnano i percorsi, colorano gli armadietti, le porte e gli spazi accessori di
pertinenza.
Ogni aula ha accesso diretto al giardino e un piccolo spazio esterno coperto pavimentato in legno funge da filtro tra i due luoghi. In legno è anche la pavimentazione
del lungo piano inclinato dell’accesso principale.
L’esterno mostra oggi una tessitura giocosa data dalle sfaccettature dei nuovi corpi colorati (Figg. 1-13, v. pp. 195-207).
Progetto e direzione lavori:
architetto Carla Falzoni
Strutture ing. Daniele Monaya
Impianti La Tecnicaer e p.i Mauro Gerbi
Committente:
Comune di Aosta
Responsabile del procedimento:
Ing. Mirko Muraro
Impresa di costruzione:
La Colombiera di Remo Priod & C
Capo cantiere:
geom. Walter Casari
Cronologia:
1999 –2000 progetto
2002-2003 realizzazione
Dati dimensionali:
3900 mq superficie del lotto
1010 mq superficie coperta
4800 mc volume complessivo
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Giuseppe Nebbia
Quest’ultimo esempio, per la qualità e le caratteristiche delle coperture, dove le
linee inclinate predominano, come appare nelle fotografie, e si confrontano con i
profili delle montagne intorno, potremmo dire che è un esempio di architettura urbana ma anche di architettura tra le montagne.
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DIBATTITO E CHIUSURA
Giuseppe Nebbia
Passiamo alle conclusioni.
Chiedo se ci sono domande. Comunque è anche possibile per chiunque intervenire su un argomento senza fare domande specifiche, per esprimere opinioni che
ognuno si può essere formato dopo la presentazione dei progetti.
… Allora, io vorrei provocare su uno degli argomenti più importanti che sono
alla base di questi nostri convegni: se cioè si ritiene che l’architettura in montagna
o tra le montagne possa avere delle specificità più caratterizzanti rispetto ad altre
possibilità di insediamento, tenendo comunque conto che la fantasia e la capacità di
ogni progettista si può esplicare in qualsiasi situazione, anzi, si dovrebbe esplicare
in qualsiasi situazione. Questo è un argomento su cui vorrei sapere se ci sono delle
obiezioni, degli altri modi di vedere.
Un altro argomento deriva dalla relazione di Lugaz, il quale, presentando edifici
destinati a servizi tecnici, ha sottolineato il fatto che per i servizi tecnici è più facile,
per esempio rispetto a un’abitazione, proporre soluzioni formali anomale. Se questo
è vero, vorrei capire se il condizionamento, diciamo sociale, dei progettisti vale per
le abitazioni, che sono i fabbricati più conosciuti dalla gente, e non vale per edifici
che sono delle emergenze uniche che alla gente interessano di meno.
Se qualcuno volesse esprimere delle opinioni difformi o di conferma, potremmo
chiudere questo convegno… Luca… Io ti provoco.
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Luca Moretto
architetto
Sulla prima questione.
Secondo me, la montagna è un po’ una cartina di tornasole per l’architettura, nel
senso che ne mette in evidenza le qualità, per cui una “brutta” architettura in montagna fa più male che in un paesaggio, ad esempio di pianura, dove ormai ci si è,
purtroppo, un po’ assuefatti all’assenza del bello, al disordine...
In montagna, invece, le aspettative sono maggiori, per cui ecco che un “pessimo”
intervento è più “doloroso”… è più visibile, e poi comunque c’è un dialogo, chiamiamolo così, o comunque un impatto, un confronto con l’ambiente molto più marcato,
allora una “cattiva” architettura in montagna può diventare davvero dirompente.
Con ciò, non voglio essere frainteso: non sono un paladino del folclore o del mimetismo; per me una “buona” architettura alpina non è folcloristica e può non essere
mimetica.
Per quanto riguarda la seconda questione.
Non sono d’accordo su quanto è stato affermato, cioè che ci si può esprimere di
più con un’architettura di servizi che con un’architettura domestica. Secondo me, è
importante il ruolo del committente. Ho l’impressione che nell’architettura domestica la battaglia del progettista a volte sia più difficile che in un ambito pubblico,
dove la figura del principe può talvolta, ma non sempre, sfumare in un insieme più
eterogeneo, meno passionale, più impersonale.
Quando si progetta una casa per un committente privato può “scorrere molto
sangue”, ahimè, per le forti ricadute personali in gioco, ed il confronto trasformare
il progetto in una sconfitta per l’architetto.
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Luciano Bolzoni
architetto
Vorrei fare solo una considerazione.
Io e Luca abbiamo colpito anche quest’anno!
In realtà, quando Giuseppe Nebbia ha chiesto se c’erano domande o interventi, io
ho fatto finta di scrivere perché non mi veniva in mente nulla...
Mi sono detto: ma come? Sono anni che faccio questo mestiere e non ho considerazioni in merito.
In realtà due considerazioni le posso fare, ma sono assolutamente libere.
Mi pare che nell’edizione di quest’anno, anche alla luce di quanto è stato riportato dagli amministratori, effettivamente ci siano degli elementi di novità.
Mi occupo della tematica da anni, ne sono anche un po’ prigioniero, ma devo
dire che, da quando ho cominciato a lavorare, la stessa ricerca si è arricchita di opere
esemplificative ma che purtroppo spesso sono rimaste allo stato di eccezioni.
Però mi sembra che ora ci siano sempre meno eccezioni e che, forse, in un pessimo collage, ci sono dei progetti migliori rispetto a una volta, e penso che questa
edizione lo possa dimostrare.
Una seconda considerazione che vorrei fare, riallacciandomi a quello che hanno
detto Luca e molti altri progettisti, ma anche lo stesso sovrintendente, è che avrei
piacere che una volta, all’interno di un Convegno come questo, si possa o debba
non far parlare solamente i progettisti o persone come me, come i critici, se mi posso definire tale; mi piacerebbe sentire anche il pensiero del committente, il quale,
sia che si tratti di un committente pubblico, sia che si tratti di un cliente privato,
ha effettivamente un ruolo fondamentale nel progetto; però il committente si presume (e questo è un pensiero libero che mi viene in mente adesso) che in qualche
modo sfoghi un desiderio, perché comunque non esprime solamente un’esigenza
ma anche un sogno.
Troverei stimolante in un convegno, in una conferenza, anche in un articolo di
architettura, in una scuola, far parlare il committente dopo che un progetto è stato
realizzato, dopo che una realizzazione è stata compiuta, per vedere innanzitutto se
siano stati tenuti in considerazione i suoi desideri e i suoi bisogni, ma soprattutto se,
alla fine di un processo costruttivo che sappiamo essere lungo (pensiamo solo ai progetti discussi e mostrati oggi), il costruito lo soddisfi veramente e soprattutto siano
state apportate modifiche rispetto alle sue esigenze e ai suoi bisogni iniziali.
Giuseppe Nebbia
Questa è una domanda a cui penso sarà difficile dare una risposta. Specie nel
settore delle opere pubbliche, la cui gestazione dura quindici anni, il committente
iniziale non corrisponde assolutamente a quello finale, che magari non sa neanche i
motivi precisi per cui è stata commissionata una certa opera; oppure questi motivi si
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conoscono, ma l’evoluzione è tale per cui questi stessi motivi sono venuti a cadere.
Quindi la domanda è legittima, la risposta dubbiosa.
…(Bolzoni: Magari più sull’abitazione.)…
Be’, su altri temi, sì, può essere…
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Alberto Martinazzi
architetto
Buonasera, sono Alberto Martinazzi e vengo dal Lago d’Orta. Sono il direttore di
un Museo sulla tornitura del legno e sono… come posso dire? L’amministratore finale. Chi ha dato il lavoro all’ingegnere, all’inizio, non c’è più. Se volete una risposta,
vi dico che mi sono trovato un lavoro che era un disastro: infiltrazioni di acqua (non
sempre è amica del legno), soluzioni architettoniche inutili e dispendiose, mancanza
di un programma dei lavori chiaro. Il direttore precedente non capiva quasi nulla di
architettura, per non dire un tubo, e l’ingegnere ha fatto tutto quello che ha voluto
distruggendo anche delle parti storiche dell’800. Io mi sono trovato con questo progettista che ho dovuto pagare per togliermelo dalle scatole e porre rimedio ai suoi
disastri.
Diciamo che come committente finale avrei preferito che il mio predecessore
avesse un minimo e ripeto un minimo di conoscenze di architettura.
Corrado Binel
Io vorrei dire un’ultima cosa, perché, come qualcuno ha osservato prima di me,
scaturiscono da questo dibattito degli elementi di novità. Forse dico una banalità che
tutti voi pensate o molti di voi pensano, ma io ho effettivamente questa sensazione.
A costo di sembrare l’ultimo che se ne è accorto, ho veramente la sensazione che ci
siano state delle evoluzioni in questi ultimi anni e che il mondo alpino stia uscendo
da una fase che ha avuto inizio a partire dal secondo dopoguerra. In questi ultimi
cinque o dieci anni, c’è stata un’evoluzione forte di cui effettivamente si discute
molto fra di noi, fra tante persone che incontriamo, che conosciamo. Ciò che emerge
è una tendenza nuova, che ciascuno chiama a modo proprio, forse perché non ha
ancora una vera codificazione: c’è chi la chiama continuità, c’è chi la chiama neo
neoregionalismo… In buona sostanza, la mia sensazione è che, effettivamente, a
giudicare anche dai lavori, tutti molto interessanti che ho visto qui… e ne cito uno
non perché è più interessante degli altri, però è forse più esemplificativo del discorso
che vorrei fare. Mi riferisco in particolare alle due costruzioni presentate oggi da
Bernard Delefortrie, ma anche alla scuola di Laion di Vonmetz e Trojer, che danno
entrambi, pur nella loro diversità, la sensazione di come il mondo alpino si sia confrontato con un concetto di modernità proveniente dai grandi centri dell’alta cultura
europea, che era sostanzialmente una cultura urbana. Molte architetture anche in
Valle d’Aosta sono comunque delle trasposizioni di una cultura urbana nel mondo
alpino, nel mondo della montagna, sono quindi delle interpretazioni, delle metafore
della realtà nella quale invece noi siamo nati, nella quale abbiamo deciso di vivere e
con la quale ci confrontiamo ogni giorno. Quest’epoca − che è durata mezzo secolo e
più − sta profondamente modificandosi e ha comunque e vi sono personalità di grande notorietà alle quali questa evoluzione può essere ascritta, ma concorrono a questa
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evoluzione tante altre persone di poca o nessuna notorietà e vi concorrono grazie
alla loro lavoro e alla loro onestà. Non c’è bisogno di evocare Peter Zumthor, Gion
Caminada per percepire nel mondo alpino un nuovo segno della "contemporaneità".
Questa contemporaneità è il nostro rapporto con noi stessi e con la nostra autenticità.
In un certo senso siamo consapevoli del fatto che la globalizzazione del gusto esiste
anche a livello alpino, per cui rischiamo di vedere la stessa casa a Megève o in Alto
Adige, lo stesso arredamento in Francia, in Valle d’Aosta, in Alto Adige, o in Valtellina, perché esistono comunque dei sistemi di globalizzazione del gusto di costruire
e di vivere. Allo stesso tempo c’è una reazione interna di chi tenta di costruire una
nuova architettura contemporanea alpina, che è consapevole dell’autenticità di ogni
singolo territorio e della grande complessità e diversità del mondo alpino. Non ho
citato senza una ragione lo chalet di Bernard Delefortrie piuttosto che altre esempi
che abbiamo visto oggi o che vediamo costantemente intorno a noi. Chi ha la fortuna
e anche il piacere di viaggiare e di guardasi intorno, vede che è in atto un’evoluzione
molto profonda e molto significativa.
Chiunque di voi compri Casabella, si sarà reso conto che negli ultimi anni, soprattutto nell’ultimo anno, questa rivista e non è la sola che ha dedicato molto spazio
ad architetti che sono nati, vivono e operano nel mondo alpino, cosa che anni fa
non sarebbe mai successa. Quindi, non solo è vero che il mondo alpino è oggetto
di una grande trasformazione, ma è anche vero che il dibattito che probabilmente
sta coinvolgendo il mondo alpino e che sta emergendo sotto gli occhi di tutti noi
non investe solo il mondo alpino, ma investe una cultura architettonica più vasta. E
forse le Alpi, che finora sono sempre state marginali, stanno tentando di diventare
un luogo di riflessione su una nuova contemporaneità che però recuperi un rapporto
anche con l’autenticità di ogni territorio e di ogni tradizione costruttiva e culturale.
Per questa ragione, io ritengo che le iniziative della Fondazione Courmayeur siano
di straordinaria importanza, soprattutto per una realtà come la Valle d’Aosta che è
comunque una realtà molto piccola, che tende come tante realtà piccole a richiudersi
su se stessa. Invece, proprio perché la sfida è così importante, noi abbiamo bisogno
di confrontarci, abbiamo bisogno di voi, di discutere con voi, di imparare da voi e di
continuare su questa strada.
Prima a pranzo il presidente dell’Ordine degli Architetti della Valle d’Aosta Andrea Marchisio ha detto una cosa giustissima, che credo molti di noi condividano:
facciamo delle cose senza chiederci dove vanno, ma siamo sicuri che pian piano da
qualche parte debbano andare e speriamo che dei risultati li portino nell’interesse di
tutti noi, perché abbiamo tante opportunità per guardare al di là della vita quotidiana
e del nostro quotidiano lavoro. Se questa riflessione complessiva è condivisibile,
io mi auguro che la Fondazione Courmayeur, con l’aiuto di tutti, riesca sempre a
trovare dei temi stimolanti e ad invitare persone interessanti per discuterne. Non ha
importanza se si è in tanti o in pochi, si è sempre sufficienti per dare inizio a qualcosa
e si è sempre l’inizio di qualcosa.
Ringrazio quindi Beppe dell’opportunità che ci ha dato anche questa volta, assicurandogli che lo aiuteremo senz’altro anche l’anno prossimo.
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Giuseppe Nebbia
Dopo l’intervento di Binel, che ha dato una certa prospettiva al nostro lavoro,
invito tutti a esprimersi anche con dei suggerimenti, perché ogni volta è una nuova
volta. La Fondazione è raggiungibile anche via e-mail, l’indirizzo è sul sito. Qualsiasi suggerimento sarà benvenuto e ben valutato.
Ci sono altri che gradiscono intervenire? … Prego, Sandro Sapia.
Sandro Sapia
architetto
A nome dell’Ordine degli architetti della Valle d’Aosta, vorrei ringraziare tutti i
relatori che si sono avvicendati, per aver condiviso in maniera pertinente e opportuna
la scelta dell’argomento di questo Convegno.
Tutti gli intervenuti sono riusciti a dimostrare che è possibile creare architetture che, l’architetto Simone Cola, ha più volte definito “oneste”. Faccio mia
questa definizione perché ritengo sintetizzi bene il concetto di architettura ben
integrata, contestualizzata correttamente, funzionale; lontana dai personalismi
e dalle forme auto-celebrative che tante critiche hanno portato all’intera categoria.
Gli esempi che oggi sono stati presentati dimostrano, al contrario, che dallo studio attento del territorio, partendo dal luogo o dall’edificio sul quale si interverrà,
possa nascere una semplicità architettonica frutto di alta professionalità e complessità compositiva.
Esprimendo la mia soddisfazione per la buona riuscita dell’obiettivo di questa
giornata di studio e di approfondimento, ringrazio ancora tutti i relatori per il grande
contributo apportato e gli ospiti in sala per l’attenzione regalata.
Giuseppe Nebbia
Ulteriori contributi? Insisto a chiederlo perché c’è sempre qualcuno che magari
non osa esprimere dei dubbi… Luigi Bochet.
Luigi Bochet
architetto
Dopo la presentazione della complessa opera di ristrutturazione dello storico
complesso industriale Brambilla di Verrès, considerato oggi un monumento dei primi insediamenti dell’industria manifatturiera in Valle d’Aosta, ma negli anni ’80
attaccato pesantemente dalla idea di demolizione, nelle vesti di artefice della sua
89
salvezza, colgo l’occasione in questo dibattito per dare sfogo alla voce di base che
grida basta all’accanimento tecno-burocratico contro l’architettura.
Alcuni esempi eloquenti della degenerazione pianificata del sistema di controllo
delle pratiche e dei lavori.
Come primo esempio un progetto architettonico, che malauguratamente cada
nell’ambito del territorio del Parco nazionale Gran Paradiso: l’elaborazione del progetto deve sostenere una battaglia con otto commissioni separate oltre a quella con
l’ufficio tecnico comunale, una battaglia dispersiva di energie, irrazionale, dequalificante l’opera, costosissima anche per la moltiplicazione per 16 volte della produzione cartacea, raddoppiata poi per ogni variante, se resasi necessaria nel corso
della realizzazione dei lavori: montagne di carta, il tempo per la concessione edilizia
espresso in anni.
Un altro esempio, banale, ma frequentissimo e oltremodo avvilente: se rispetto
al progetto autorizzato si vuole spostare in corso d’opera sulla falda del tetto anche
solo di un metro un comignolo, bisogna presentare a tutti gli organismi preposti al
controllo la sua variante preliminare, previo il rischio di denuncia in quanto l’operazione si configura come trasformazione non autorizzata del profilo dell’involucro
del fabbricato secondo la pedestre interpretazione della legge fatta correntemente dai
tecnocrati funzionari.
Non si può più lavorare sempre sotto una spada di Damocle nelle mani di menti alienate, anche perché la vera architettura si plasma e si concretizza in corso
d’opera.
Presso gli uffici tecnici non si parla più di architettura ma solo di virgole.
Le colpe? Una fetta di responsabilità spetta anche a noi tecnici professionisti
ogni qualvolta l’operato è riconducile alla immagine negativa di zerbini del potere
politico-amministrativo.
E sulla considerazione della figura del direttore lavori radicata presso gli operatori del mondo edilizio privato locale la mia esperienza lavorativa in questi ultimissimi anni mi porta a collocarla in un tempo storico definibile senza mezzi termini
MEDIOEVO.
Giuseppe Nebbia
Grazie, Luigi, ma credo che tu abbia aperto una voragine che forse per il momento non è il caso di investigare.
Enrica Quattrocchio
architetto
Buonasera. Sono Enrica Quattrocchio.
Io invece non darei tutta la colpa alle normative, ai pareri da richiedere, alla So90
printendenza. Credo che prima di tutto sia responsabilità dell’architetto operare bene
o male. Secondo me, noi non facciamo ancora abbastanza, perché la Soprintendenza
ai Beni Culturali c’è anche in Alto Adige e anche lì ci sono vincoli e diverse commissioni che mettono in discussione ancora di più tutto il processo progettuale, quindi
le regole esistono ovunque, ma la qualità architettonica non è la stessa. Credo che da
noi (in Valle d’Aosta) si dovrebbe lavorare di più, studiare di più, informarsi di più.
Oggi vediamo in quanti siamo, noi architetti valdostani, sempre pronti a parlare, a
proporci con dei bei siti Internet… È indicativo il fatto che alla fine siamo in quattro
gatti ad un evento importante come quello di oggi... ma va bene così, ognuno è libero
di utilizzare il proprio tempo come crede.
Per quanto riguarda invece il fatto che siamo ancora al Medioevo, sì, credo che
molte imprese valdostane lo siano ancora… Anzi, forse nel Medioevo c’erano dei
capimastri più bravi e forse anche più sensibili, oggi si fa quasi tutto con troppa
superficialità. Per concludere, non darei tutta la colpa al sistema, credo che molta
responsabilità sia proprio di noi professionisti. Grazie.
Wolfgang Piller
architetto
Siccome siamo stati citati, vorrei dire che da noi non ci sono nove diverse commissioni, perciò mi dispiace per voi, però… Ragazzi, più coraggio! Andate avanti,
spostate il comignolo senza chiederlo a nessuno… Fatelo, rischiate. Anch’io per il
Castello ho preso alcune decisioni senza il preventivo permesso della Sovrintendenza, però a fatti compiuti ed a esecuzione ultimata queste decisioni progettuali sono
state accettate. Perciò credo che sia anche una questione di impegno personale del
progettista. Però molto dipende dai nostri colleghi amministratori.
L’architettura oggigiorno credo che sia una questione di marketing e tanti committenti, anche nel pubblico, hanno capito che con l’architettura si può vendere il
proprio prodotto, si può vendere la propria immagine. Forse questo concetto è ancora
da approfondire, da portare nel pubblico, in modo che anche il pubblico, non solo i
privati, capisca che l’architettura può dare quel surplus che alla fine tutti vogliono.
Giuseppe Nebbia
Grazie mille.
La sintesi conclusiva forse l’ha formulata Andrea un momento fa. Ricordo a tutti
che la nostra intenzione è di riproporre annualmente iniziative come quella di oggi,
però, per farlo, è necessario rinnovarsi. Quindi ogni suggerimento è ben accetto, se
porta a discussioni ed elaborazioni che, in prospettiva, non possono che fare bene a
tutti, singolarmente e collettivamente.
Ringrazio ancora e arrivederci all’anno prossimo.
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Andrea Marchisio
È arrivato il momento finale in cui cercare di focalizzare un messaggio, di trovare
un filo conduttore.
Normalmente io ho bisogno di un po’ di tempo per sedimentare quello che ho
visto e sentito, però mi sento di lanciare un messaggio positivo, pur condividendo le
preoccupazioni dell’architetto Bochet: mi sembra che da questo Convegno traspaia
come punto fondamentale la centralità del progetto, che trae le proprie origini dal
luogo, in montagna come in pianura.
Mi è piaciuto il discorso di chi ha detto che bisogna riappropriarsi del valore
sociale dell’architettura attraverso l’aspetto tecnologico (penso all’esempio della
scuola che abbiamo visto in Alto Adige) che diventa l’elemento che ci consente di
riprendere coscienza del valore sociale dell’architettura, che ci permette di fare qualcosa di positivo per la società.
La dimensione dei progetti, poi, non necessariamente deve essere grande, può
anche essere piccola, rapportata alle realtà territoriali, che però serva a ricucire il
paesaggio e l’ambiente.
Poi l’ultimo elemento, o forse il primo di tutti, è il valore delle scelte che stanno
a monte della localizzazione dei servizi.
Tutto ciò per ottenere un progetto con un plusvalore: la capacità di suscitare emozioni. Questo è il messaggio che mi sembra traspaia da tutti gli interventi.
Giorgio Severino Bagnasco
architetto
Mi chiamo Giorgio Bagnasco, vengo da Genova e sono un vostro collega. Vorrei
portare un contributo piccolo ma, mi auguro, significativo.
Sono stato assistente di Giancarlo De Carlo per sette anni all’Università di Genova negli anni ‘80, fino a quando, a settant’anni, De Carlo ha chiuso la propria carriera
universitaria e non ha più insegnato. In quei sette anni, che, come potete immaginare,
per me sono stati straordinari, ho partecipato all’ILAUD, un laboratorio internazionale di architettura che vedeva la presenza ogni anno di una decina di università di
tutto il mondo, americane, francesi, tedesche. Quindi io ho vissuto un fermento di
idee fortissimo a livello internazionale. Tutti i grandi architetti del mondo ci venivano a trovare perché noi avevamo un grande maestro. Ecco, volevo solo dire che
non ho più ritrovato l’atmosfera di quegli anni. Qualcosa del genere l’ho ritrovato
per la prima volta l’anno scorso, quando sono venuto qui da voi, e di questo vi vorrei
ringraziare.
92
1
Bruno Lugaz
1.
Lotissement bioclimatique à Challes-les-Eaux:
Hervé et Alexandre VIDAL Architectes;
année de réalisation: 1992
95
2
2.
Accueil de l’Abbaye de Tamié, Plancherine:
Jacques COMBET, Architecte;
année de réalisation: 1990
96
3
3.
Thermes Nationaux d’Aix-les-Bains:
Stanislas FISZER, Architecte;
année de réalisation: 2000
97
1
Corrado Binel
1.
Il Villaggio minerario di Cogne. Veduta
98
2
2.
Il Villaggio Anselmetti:
Veduta del complesso
99
3
3.
La piazza Franz Elter
100
4
4.
L’ingresso del Centro Visitatori
e in secondo piano la caffetteria
101
5
5.
L’ingresso del Museo Minerario
102
6
6.
Particolare di una scala di sicurezza
103
7
7.
Ingresso e pensilina del Museo Minerario
104
8
8.
Ingresso e pensilina dell’AlpinArt
105
9
9.
Particolare del nuovo corpo di collegamento
106
10
10.
Lo spazio concepito per il treno del Drink
107
11
11.
Ingresso del Centro Visitatori
del Parco Nazionale Gran Paradiso
108
12
12.
La sale del consiglio
della Fondation Grand-Paradis
109
13
13.
Particolare di una scala interna
110
1
2
Simone Cola
1.-2.
Infopoint Postalesio
111
3
4
3.-4.
Campo sportivo Fumarogo – Valdisotto
112
5
6
5.-6.
Ex Cimitero di Cepina – Valdisotto
113
7
8
7.-8.
Centro Servizi Neve, Hotel Cepina – Valdisotto
114
Danilo Marco
1.
Punto informazioni Morene del Chiusella
a Vialfrè (TO) – Progetto
1
115
2
2.
Vista d’insieme da est
116
3
3.
Scorcio della balconata da sud
117
4
4.
Fronte sud est
118
5
6
5.-6.
Interno
119
7
7.
Vista d’insieme da sud ovest
120
1
Bernard Delefortrie
1.
Passerelle sur l’Areuse
121
2
3
122
4
2.-3.-4.
Passerelle sur l’Areuse
123
5
5.
Passerelle sur l’Areuse
124
6
6.
Passerelle sur l’Areuse
125
7
7.
Plan
126
8
9
8.
Section
9.
Détail de section
127
1
Paola Gerosa
1.
Ambientazione
128
2
2.
Stato di fatto ed. Terme
129
3
3.
Realizzazione zona vasche ed.Terme
130
4
4.
Sala buffet ed. Terme
131
5
5.
Sauna ed. Terme
132
6
6.
Costruzione piano interrato ed. Terme
133
7
7.
Relax panoramico ed. Terme
134
8
8.
Relax piano interrato ed. Terme
135
9
9.
Lavori per realizzazione vasche esterne
136
10
10.
Vista esterna
137
11
11.
Vasche esterne
138
12
12.
Stato di fatto Ancien Casino
139
13
13.
Stato di fatto facciate Ancien Casino
140
14
14.
Lavori di restauro facciate Ancien Casino
141
15
15.
Facciate restaurate Ancien Casino
142
16
17
16.-17.
Sala relax Ancien Casino
143
18
18.
Sauna eventi Ancien Casino
144
19
19.
Vasca di reazione Ancien Casino
145
1
Johann Vonmetz
1.
Fotografia aerea della zona di Laion-Novale
146
2
2.
Vista da sud-est
147
3
3.
Planimetria dell’intervento
148
4
4.
Piazzale di ingresso con la Chiesa di S. Caterina
sullo sfondo
149
5
5.
Pianta piano superiore
150
6
6.
Pianta piano inferiore
151
7
7.
Sezione trasversale
152
8
8.
Atrio di ingresso
153
9
9.
Vista dall’ingresso della scala principale
154
10
10.
Vista dal piano inferiore della scala principale
155
11
11.
Vista da sud-est
156
12
12.
Vista da nord-est
157
13
13.
Vista da nord-ovest
158
14
14.
Vista da sud-ovest
159
15
15.
Schema energetico
160
1
Luigi bochet
161
2
162
3
3.
L’impianto originario del complesso manifatturiero
da 1000 lavoratori, (scala 1:2000)
163
4
4.
Il progetto New Castle Town
164
5
6
7
8
5.-6.-7.-8.
Sezioni trasversali a confronto
del castello del XII-XIII sec. e del Poli-istituto
165
9
9.
Confronto tra la sezione del piano-tipo di rilievo
della struttura ex-cotonificio e quella equivalente
del progetto di trasformazione: la visualizzazione
dello schema a X nella costruzione di due livelli
all’interno dello stesso piano
(sotto, in blu, le aule scolastiche, disposte sul lato
esterno, sopra, in giallo i locali segreterie-laboratori
disposti sulla Gallery)
166
10
10.
Pianta piano copertura:
al centro la copertura trasparente con
struttura primaria e secondaria in acciaio corten
(immagine riflessa dell’ambiente urbano industriale
della fine ottocento), sul perimetro e sulle torri
mantenimento delle coperture piane
167
11
12
11.
Pianta tipo / piano secondo liv. A:
al centro il vuoto sulla Gallery, attorno
le aule degli istituti ITI e IM
12.
Pianta tipo / piano secondo liv. B:
al centro il vuoto sulla Gallery, attorno
le segreterie e le aule speciali degli istituti ITI e IM
168
13
13.
Vista parziale dei lati sud e ovest
Foto digitali a cura di Henriette.Bochet@ Alice.it
169
14
14.
Vista del lato est
Foto digitali a cura di Henriette.Bochet@ Alice.it
170
15
16
15.-16.
La Gallery
Foto digitali a cura di Henriette.Bochet@ Alice.it
171
17
18
17.-18.
Interno della Gallery - lato nord:
particolare del sistema industriale
di climatizzazione
Foto digitali a cura di
Henriette.Bochet@ Alice.it
172
19
19.
Gallery:
le nuove strutture in acciaio corten
Foto digitali a cura di Henriette.Bochet@ Alice.it
173
20
20.
Gallery:
la nuova macchina industriale di cultura
Foto digitali a cura di Henriette.Bochet@ Alice.it
174
21
21.
Interno della Gallery:
vista dell’ascensore panoramico-lato ovest,
al centro balaustre in acciaio corte
Foto digitali a cura di Henriette.Bochet@ Alice.it
175
22
22.
Gallery:
particolare della semipiramide ovest
della copertura trasparente
con gli evacuatori fumo
Foto digitali a cura di Henriette.Bochet@ Alice.it
176
23
23.
Gallery:
crociera di giunzione tra i due livelli:
sotto le aule speciali sopra i ballatoi
di distribuzione
Foto digitali a cura di Henriette.Bochet@ Alice.it
177
24
24.
Interno della Gallery:
le fioriera in acciaio corten
Foto digitali a cura di Henriette.Bochet@ Alice.it
178
25
25.
Interno della Gallery:
le fioriera in acciaio corten
Foto digitali a cura di Henriette.Bochet@ Alice.it
179
26
26.
Interno di aula pedagogica tipo
Foto digitali a cura di Henriette.Bochet@ Alice.it
180
27
27.
Gallery: affaccio di aula speciale
Foto digitali a cura di Henriette.Bochet@ Alice.it
181
28
28.
Gallery
Foto digitali a cura di Henriette.Bochet@ Alice.it
182
1
Wolfgang Piller
1.
Intero complesso
183
2
2.
Torre merlata
184
3
3.
Planimetria
185
4
4.
Edificio di collegamento
186
5
5.
Banda di luce
187
6
6.
Ex fienile
188
7
7.
Cortile interno – Castello
189
8
8.
Cortile interno – Ex Fienile
190
9
9.
Cortile interno – Porticato
191
10
10.
Cortile interno – Edificio di collegamento
192
11
11.
Corte interna
193
12
12.
Corridoio interno
194
A
Carla falzoni
1.
A mod.
Modello di studio
195
B
C
2.
B pianta.
Pianta piano terra
C prospW.
Prospetto Ovest
196
3
3.
Edificio esistente
197
4
4.
Particolare della struttura dell’ampliamento
198
5
5.
Vista sud-ovest
199
6
6.
Particolare del porticato ovest e dei frangisole
200
7
7.
Particolare dell’innesto delle due nuove falde
201
8
8.
Particolare delle coperture
e del pozzo di luce
202
9
9.
Particolare dell’innesto tra le coperture,
del pozzo di luce, del camino della centrale termica
203
10
10.
Particolare ovest
204
11
11.
Vista dall’interno verso il giardino
205
12
12.
Particolare ovest
206
13
13.
Particolare ovest
207
Finito di stampare
nel mese di aprile 2009
presso Musumeci S.p.A.
Quart (Valle d’Aosta)
Via dei Bagni, 15
11013 Courmayeur,
Valle d’Aosta
Tel. (0165) 846498 - Fax (0165) 845919
www.fondazionecourmayeur.it
E-mail: [email protected]
C. F. 91016910076
Il volume è anche disponibile su www.fondazionecourmayeur.it
In copertina
Bernard Delefortrie
Passerelle sur l’Areuse
(foto © Thomas Jantscher)
In quarta di copertina
Bruno Lugaz
Lotissement bioclimatique à Challes-les-Eaux:
Hervé et Alexandre VIDAL Architectes;
année de réalisation: 1992
(foto © Hervé Vidal, CAUE de la Savoie)