considerazioni sull`accettabilità degli interventi proposti per

Considerazioni sugli interventi per la riparazione ed il rafforzamento
locale degli edifici in muratura esistenti che hanno subito danni sismici
limitati
Bruno Calderoni, Professore Associato – Dipartimento di Strutture per l’Ingegneria e
l’Architettura – Università Federico II di Napoli
Emilia Angela Cordasco – Dottore di Ricerca in Conservazione dei Beni Architettonici
Premessa
Dopo un evento sismico significativo c’è da attendersi, come è accaduto a L’Aquila o in Emilia, che
una buona parte degli edifici in muratura dei centri storici presentino danneggiamenti più o meno
estesi. Di conseguenza, nell’immediato post-sisma, occorre procedere, come fatto dalla Protezione
Civile nei casi citati, alla valutazione dell’agibilità degli edifici coinvolti, strettamente connessa al
rilevamento dei danni. Tale attività si sostanzia in un esito di agibilità da assegnare ai fabbricati
colpiti dal sisma, distinguendo principalmente tra edifici con danni gravi, dichiarati “inagibili”, ed
edifici con danni limitati, che vengono in genere dichiarati “agibili con interventi limitati”.
Per gli edifici “inagibili”, molto danneggiati, il recupero è complesso e richiede interventi estesi ed
invasivi di miglioramento o adeguamento sismico, spesso al limite della convenienza economica.
Invece gli edifici dichiarati “agibili con interventi limitati” possono essere recuperati e resi
nuovamente utilizzabili in tempi relativamente brevi ed impegni economici ragionevoli mediante
interventi di riparazione; a questi ultimi, poi, è possibile accoppiare interventi definiti di
rafforzamento locale, ma utili, a dispetto del nome, per ottenere anche una riduzione non
trascurabile della vulnerabilità sismica globale dell’edificio.
Spesso, però, anche nel recentissimo passato, la scelta degli interventi è stata effettuata in modo, per
così dire, meccanico e/o imitativo, senza una corretta valutazione delle effettive necessità della
costruzione e dell’efficacia degli stessi interventi in relazione alla tipologia dell’edificio in
muratura, portando a volte a sprechi economici senza l’ottenimento dei miglioramenti sperati.
L’obiettivo di questo articolo è quindi quello di analizzare gli interventi di riparazione e
rafforzamento locale, peraltro non molto dissimili da quelli di miglioramento sismico, più diffusi e
utilizzati per gli edifici che hanno subito danni limitati, evidenziandone l’efficacia e/o
l’appropriatezza in relazione alla tipologia di edificio da risanare e ai danni tipici della tipologia
stessa.
1) Le tipologie degli edifici in muratura esistenti
Gli edifici in muratura esistenti nei centri storici italiani possono essere accorpati in tre principali
categorie:
a) gli edifici cosiddetti “moderni”, definiti anche della III classe [1], aventi pareti verticali
portanti in muratura ed impalcati in c.a. originari, che interrompono la continuità verticale
della muratura con cordoli armati e realizzano quindi un efficiente collegamento di tutte le
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pareti verticali ad ogni piano (rendendo praticamente impossibile l’attivazione di
meccanismi fuori piano delle facciate) (fig.1);
b) gli edifici “antichi” dotati di diffusi incatenamenti a tutti livelli ed in corrispondenza di quasi
tutte le pareti trasversali (rispetto alle facciate), definiti anche della I o II classe “migliorata”
[2]. In essi l’attivazione dei meccanismi fuori piano delle facciate è quasi del tutto impedita,
consentendo lo svilupparsi dei più efficienti meccanismi resistenti nel piano delle pareti. Gli
impalcati sono costituiti da volte in muratura (nella I classe) o da solai piani con travi in
legno o in acciaio (nella II classe), in genere privi di efficienti collegamenti trasversali alle
pareti murarie e/o di soletta rigida superiore (fig.2a, 2b);
c) gli edifici antichi non migliorati (definiti della I o della II classe [3]), nei quali l’efficienza
dei collegamenti tra le facciate e i muri trasversali dipende dalla qualità della muratura e
degli ammorsamenti nelle croci di muro, risultando in genere piuttosto ridotta. Gli impalcati
piani (edifici della II classe) forniscono anch’essi un limitato contributo di connessione,
mentre quelli a volta (edifici della I classe), a causa delle inevitabili spinte, possono
addirittura favorire l’attivazione di meccanismi fuori piano (fig.3a e 3b).
La gran parte degli edifici in muratura, che dopo un sisma presentano danni limitati, generalmente
appartiene alle prime due categorie (circa il 70-90% del totale), mentre molti di meno sono i casi
relativi alla terza categoria (circa il 10-30%). Ciò dipende dal fatto che il comportamento sotto
l’azione sismica delle tre categorie di edifici è sostanzialmente diverso, come diversi sono di
conseguenza i danni tipici riscontrabili su di essi.
Pertanto è necessario distinguere tra le tre categorie, sia per quanto riguarda i possibili interventi di
riparazione dei danni sia e soprattutto per gli eventuali interventi di rinforzo locale e/o
miglioramento sismico.
Fig.1 - Edificio in muratura “moderno” (della III classe).
2
Fig.2a - Edificio della I classe "migliorata". Fig.2b - Edificio della II classe "migliorata".
Fig.3a - Edificio della I classe. Fig.3b - Edificio della II classe.
2) I danni tipici e gli interventi di riparazione e rafforzamento appropriati per gli edifici della
III classe
I danni tipici che si manifestano generalmente negli edifici in muratura “moderni” consistono
principalmente in rotture nel piano delle pareti murarie, connesse al raggiungimento dei limiti di
resistenza dei pannelli murari a causa di una insufficiente area resistente a taglio in relazione al
comportamento delle pareti nel proprio piano, mentre sono generalmente assenti dissesti correlabili
a fenomeni di ribaltamento fuori dal piano.
In particolare si possono osservare [4]:
1 – dissesti delle pareti murarie non portanti (tramezzi): in genere lesioni inclinate o suborizzontali, distacchi dagli impalcati superiore e/o inferiore, ribaltamenti o espulsioni ect;
2 – dissesti localizzati nelle murature portanti: in genere lesioni diagonali incrociate o lesioni
sub orizzontali nei maschi murari (fig.4);
3 – dissesti alle fasce di piano: in particolare, al di sopra delle piattabande (che in questa tipologia
di edifici sono generalmente in c.a.), lesioni diagonali incrociate nei casi di fascia
sufficientemente alta (fascia tozza) o lesioni sub-orizzontali di scorrimento tra la muratura
3
stessa e gli elementi in c.a se la fascia è snella; nel caso di piattabande poco ammorsate, lesioni
inclinate che si dipartono dalle estremità inferiori della piattabande stesse e si sviluppano nella
zona superiore dei maschi murari adiacenti; qualora la fascia sia costituita dal solo cordolo e da
un eventuale sottofinestra murario, quest'ultimo si danneggia significativamente (ma da
elemento non strutturale) con lesioni ancora prevalentemente orizzontali, oppure con distacchi
dal cordolo e dai maschi murari adiacenti (fig.5).
Fig.4 - Lesioni nei maschi murari di un edificio della III classe.
Fig.5 - Lesioni nelle fasce di piano di edifici della III classe.
Questi tipi di dissesti in genere si presentano localizzati e non molto diffusi, considerando che si sta
parlando di edifici che hanno subito un danneggiamento limitato.
Meno frequentemente si possono evidenziare i danni qui di seguito elencati:
4 – lesioni orizzontali di distacco tra l’impalcato in c.a. e le murature sottostanti (più raramente
quelle soprastanti) che interessano una buona estensione del perimetro della costruzione,
soprattutto ai piani alti. Esse sono ascrivibili per lo più a fenomeni termici e/o di ritiro
all’interfaccia tra i due materiali diversi, che si evidenziano in pieno quando l’azione sismica
determina, per effetto ribaltante globale, leggere decompressioni (fig.6);
4
Fig.6 - Lesioni all’interfaccia tra il cordolo di sommità e la muratura sottostante.
Fig.7 -a) impalcato del sottotetto deformabile non ben collegato alle murature; b) lesione
all’interfaccia tra il cordolo dell’ultimo impalcato ed il timpano del tetto.
5 –
dissesti localizzati all’impalcato di copertura (quando in legno), come sfondamenti del tetto
in corrispondenza dell’orditura minuta;
6 – danni alle murature di perimetro della copertura dovuti alle azioni localizzate di spinte
quando, per errore di concezione, la struttura del tetto resta spingente in qualche zona di
limitata estensione. A volte, a livello della copertura dell’ultimo piano si evidenzia qualche
distacco tra orizzontamenti e pareti murarie (visibile soprattutto dall’interno dell’edificio), che
testimonia l’assenza di un impalcato di sottotetto sufficientemente rigido, spesso costituito in
pratica dal solo cordolo (fig.7a), che non è di per sé dotato di rigidezza flessionale nel piano
orizzontale tale da impedire del tutto piccoli spostamenti delle murature di facciata, soprattutto
se la distanza tra le pareti trasversali è abbastanza elevata. Tale fenomeno è più evidente in
corrispondenza del vano scala, dove lo sviluppo altimetrico delle rampe da luogo a pareti
murarie di facciata di maggiore altezza libera. Spesso si evidenziano anche lesioni orizzontali
localizzate all’interfaccia tra il cordolo di sommità delle pareti trasversali perimetrali ed il
timpano murario del tetto (fig.7b), conseguenza della mancanza della parete longitudinale
centrale all’interno del sottotetto, accoppiata ad una carenza di rigidezza nel proprio piano delle
falde del tetto. Infatti, con tale configurazione le azioni sismiche longitudinali correlate alla
massa della copertura non possono essere riportate (a causa della scarsa rigidezza delle falde)
alle due pareti di facciata longitudinali: pertanto esse sollecitano direttamente al di fuori del
piano il timpano, che tende allora a ribaltarsi nell’uno o nell’altro verso.
5
7 – distacchi e/o martellamenti tra edifici adiacenti
I dissesti tipici descritti possono essere risolti con interventi di riparazione, per così dire, classici
per queste tipologie di danni. In particolare:
1 per i problemi dei tramezzi:
- gli stessi interventi previsti per gli edifici in c.a., consistenti sostanzialmente in sarcitura
delle lesioni con malte cementizie o, nei casi più gravi, demolizioni locali e rifazioni.
2
per la riparazione delle lesioni nella muratura sia dei maschi murari che delle fasce di
piano:
- sarcitura con malta bastarda o di cemento con eventuale inserimento di scaglie di pietra a
forza, ove necessario, e successiva ristilatura dei giunti nelle zone interessate;
- sarcitura con perforazioni armate iniettate con pasta di cemento e/o bastarda con eventuale
applicazione di rete metallica nell’intonaco delle zone interessate;
- sostituzione delle parti ammalorate di muratura con la tecnica del cuci e scuci;
- applicazione di paretine in cls armato su entrambe le facce della zona lesionata con
collegamenti trasversali (soprattutto nel caso di murature molto incoerenti e caotiche) previo
eliminazione delle parti sbriciolate o fortemente ammalorate.
3 per i problemi di scarso ammorsamento delle piattabande:
- la sola sarcitura delle lesioni come al punto 2;
- l’eventuale allungamento della piattabanda mediante piatti di acciaio;
- la rifazione della piattabanda (in c.a. o in acciaio) in caso di forte danneggiamento o
inadeguatezza;
4 per i problemi di distacco della muratura dagli impalcati:
- collegamenti verticali tra i due piani adiacenti mediante elementi puntuali o continui
resistenti a trazione (piatti o lamiere di acciaio, tessuti o lamine di materiali compositi etc.)
opportunamente collegati alle murature al di sopra ed al disotto dell’impalcato in questione
ed all’impalcato stesso (nella zona del cordolo perimetrale)
5-6 per la riparazione dei danni alla copertura ed alle murature di perimetro della copertura:
- gli stessi interventi di cui ai punti precedenti, da scegliere caso per caso in relazione al tipo
di danno riscontrato tra quelli descritti, accoppiati a rafforzamenti locali (come si dirà nel
seguito), che, in questi casi, sono sicuramente utili se non indispensabili.
7 per i problemi di distacco e/o martellamento:
- riparazione del danno locale (lesioni), mentre potrebbe essere utile, anche in questo caso,
prevedere interventi di rafforzamento locale, come descritto nel seguito.
Per quanto riguarda gli eventuali interventi di rafforzamento locale, essi, come detto in premessa,
hanno la funzione di migliorare il comportamento locale o globale della costruzione, in modo da
evitare almeno in parte, in caso di nuovo sisma, il ripresentarsi dei danni già subiti. Comunque, gli
edifici di questa tipologia sono già caratterizzati da un comportamento strutturale sufficientemente
affidabile in caso di sisma, per cui, in generale, non necessitano di specifici interventi di questo tipo.
Però, a volte, a causa di difetti costruttivi o di concezione strutturale, più o meno localizzati, e/o di
scadente qualità dei materiali, in particolare della muratura, è comunque opportuno procedere a
rafforzamenti locali.
Mentre, però, per le riparazioni, gli interventi corrispondenti da attuare sono abbastanza
conseguenziali rispetto ai danni riscontrati, la scelta degli interventi di rafforzamento richiede
6
maggiore discernimento, collegato ad una chiara comprensione del comportamento strutturale. Ciò
è importante sia per motivi tecnico-concettuali che per motivi normativi, legati alle procedure di
calcolo e di verifica da seguire [5] ed anche, dopo un sisma, all’erogazione di contributi
economici [6-7]. Pertanto, con riferimento agli interventi più utilizzati, si ritengono utili le seguenti
considerazioni:
- essendo le murature già efficacemente collegate tra loro dagli impalcati, che interrompono la
continuità delle pareti murarie ai vari livelli, non esiste nella sostanza il rischio dell’attivazione
di meccanismi fuori piano e, pertanto, non vi è la necessità di inserire diffusamente catene per
collegare le pareti murarie;
- ove mai si fossero evidenziati in zone localizzate limitati problemi di ribaltamento, ad esempio
alla quota del sottotetto, conseguenti a difetti costruttivi o ad aggiunte successive e/o
sopraelevazioni mal collegate, l’inserimento di catene (possibilmente aderenti) realizza un
rafforzamento locale e, come tale, dovrà essere proporzionato;
- l’applicazione di paretine armate con rete metallica o non metallica (ad es. in materiale
composito) (fig.8) su parti estese delle pareti murarie, più che come rafforzamento locale, si
configura come un intervento di miglioramento sismico. Pertanto, dal punto di vista normativo,
in questo caso, si deve valutare l’incremento di prestazioni sismiche che ne consegue, mediante
il confronto tra le azioni sismiche sopportabili dalla costruzione prima e dopo l’intervento. Si fa
notare che questo tipo di intervento applicato alla tipologia degli edifici “moderni” ha la sola
funzione, sempre se ben eseguito, di incrementare la resistenza a taglio ed a compressione della
muratura, senza però modificare in modo significativo il comportamento globale della struttura
muraria rispetto al sisma, che resta essenzialmente condizionato dall’organizzazione complessiva
delle pareti e dall’entità dello sforzo normale agente. Ad ogni modo, affinché l’intervento sia
efficace, l’intonaco armato deve essere eseguito su entrambe le facce del paramento murario, con
opportuni collegamenti trasversali; inoltre, devono essere realizzate adeguate sovrapposizioni
dell’armatura e adottate soluzioni che garantiscano la durabilità dell’intervento (ad esempio
armature zincate o, meglio, in acciaio inox);
Fig.8 - Paretine armate con rete in materiale composito.
7
- analogamente rappresenta un miglioramento sismico l’esecuzione di perforazioni armate con
barre metalliche o non metalliche su parti estese delle pareti murarie, restando valide per questa
tipologia di intervento le stesse considerazioni esposte per le paretine armate;
- entrambi i due precedenti interventi rappresentano un rafforzamento locale solo se applicati a
zone limitate delle pareti murarie. Ciò è utile nel caso particolare di murature che localmente si
presentano o particolarmente ammalorate o di qualità inferiore rispetto al resto delle pareti;
- la tecnica delle iniezioni di miscele leganti più o meno fillerizzate (iniezioni non armate), spesso
utilizzata in caso di muratura ritenuta di qualità scadente, si può catalogare come miglioramento
locale, al limite anche quando esteso a gran parte della costruzione. Infatti, è importante
evidenziare che tale intervento non migliora in modo significativo il comportamento sismico
dell’edificio, ma determina unicamente un incremento (più o meno accentuato) della resistenza a
compressione e un limitato aumento della resistenza a taglio dei pannelli murari (in misura
ovviamente minore rispetto al caso delle paretine armate), che poca influenza hanno sulle
prestazioni globali della struttura, che è invece fortemente condizionata dalla tipologia strutturale
dell’edificio, nonché, come già detto, dall’organizzazione complessiva delle pareti e dall’entità
dei carichi verticali agenti.
- l’aggiunta di nuove pareti murarie portanti, a volte in sostituzione di tramezzi, non sembra
ragionevole da attuare su edifici con danni limitati e, sicuramente, costituisce un miglioramento
sismico. Infatti, l’aggiunta di nuovi ed importanti elementi strutturali modifica quasi sempre in
modo significativo il comportamento globale della struttura e, pertanto, in tal caso, deve sempre
essere opportunamente valutato l’incremento di prestazioni sismiche che ne consegue, in
confronto alla situazione ante-operam. È importante sottolineare le difficoltà connesse ad un
intervento di questo tipo: infatti, le nuove pareti murarie, per essere efficaci, devono essere
continue fino alla fondazione e devono essere ben connesse al resto della struttura e, soprattutto,
agli impalcati ai vari piani;
- la cucitura delle croci di muro con perforazioni armate è un vero e proprio intervento di
rafforzamento locale; ma, in genere, non è necessario per gli edifici “moderni”, che quasi mai
presentano gli incroci murari lesionati, sia perché le caratteristiche strutturali proprie della
tipologia non comportano particolari sollecitazioni su di essi, sia perché gli ammorsamenti tra le
pareti ortogonali sono generalmente realizzati con buona cura mediante mattoni o blocchi
squadrati (fig.9);
Fig.9 - Tessitura muraria nelle croci di muro di edifici della III classe.
- per quanto riguarda le coperture, la sostituzione integrale del tetto, come a volte proposto da
qualche progettista, non è ovviamente un rafforzamento locale. Peraltro essa, in genere, non è
mai necessaria, a meno di uno stato molto avanzato di degrado (sia per i tetti in legno che per
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quelli in c.a.) connesso alla vetustà ed alla mancanza di manutenzione piuttosto che all’azione
del sisma. In particolare, poi, i tetti di questa tipologia di edifici non sono quasi mai spingenti e
quindi non richiedono miglioramenti se non per specifici problemi locali (zone spingenti di
limitata estensione) o per problemi di degrado. In questi casi, quindi, è opportuno procedere con
interventi di rafforzamento locale limitati unicamente alle parti di struttura che presentano i
problemi.
- nel caso di danni connessi al tentativo di ribaltamento fuori piano dei timpani murari è, invece,
indispensabile prevedere interventi di rafforzamento locale volti ad eliminare per il futuro la
possibilità di attivazione del meccanismo, rendendo la copertura “sicura” durante l’evento
sismico senza demolirla e ricostruirla completamente. Ad esempio si può realizzare un muro
interno longitudinale al quale collegare i timpani murari oppure migliorare il collegamento tra
l’impalcato di copertura e quello di sottotetto, prevedendo anche un contestuale irrigidimento (ad
esempio con diagonali, anche d’acciaio) e garantendone il collegamento alle pareti d’ambito.
- il collegamento tra corpi adiacenti soggetti a distacchi o martellamenti si può considerare un
rafforzamento locale. Esso dovrebbe essere effettuato utilizzando dispositivi resistenti sia a
trazione che a compressione (catene aderenti, piatti metallici, perforazioni armate etc.), sempre
verificando che il collegamento dei due corpi prima separati non possa danneggiare uno o
entrambi i corpi stessi in relazione al comportamento sismico globale.
3) I danni tipici e gli interventi di riparazione e rafforzamento appropriati per gli edifici della
I e della II classe “migliorati”
Oltre a tutti quelli già elencati per la tipologia precedente, correlati prevalentemente al
comportamento delle pareti nel proprio piano, altri danni tipici di questa tipologia di edifici sono i
seguenti [2]:
1 – sporadiche situazioni di incipienti meccanismi locali di ribaltamento fuori dal piano di alcune
parti delle pareti di facciata, nei casi in cui il numero di catene esistenti è insufficiente oppure le
catene sono troppo distanti tra loro (fig.10a);
2 – lesioni nelle croci di muro: in genere si evidenziano leggeri distacchi delle pareti di facciata da
quelle trasversali (fig.10b);
3 – dissesti ai solai piani con travi di acciaio e voltine in mattoni pieni disposti di coltello o
addirittura in piano, ovvero con riempimenti in getti non armati di conglomerati a granulometria
grossa: in genere si evidenziano lesioni all’intradosso parallele all’orditura delle travi, quasi
sempre correlate a leggeri allentamenti delle facciate (vedi casi 1 e 2) (fig.10c);
4 – dissesti alle volte di impalcato con filature o lesioni visibili all’intradosso che indicano leggere
cadute di spinta sempre connesse a piccoli movimenti delle pareti di ambito. Tali dissesti sono
particolarmente pericolosi nel caso di voltine in foglio di mattoni pieni sottili, che sono molto
vulnerabili anche in relazione a spostamenti molto piccoli delle imposte con conseguente
elevato rischio di crollo (fig.11);
5 – dissesti delle fasce di piano: questa tipologia di edifici è di solito priva di piattabande resistenti
a taglio e a flessione (in acciaio o c.a.) al disopra delle aperture; sono invece molto comuni
archi in mattoni pieni o in conci di pietra, che sono poco efficienti rispetto alle azioni
orizzontali nel piano della parete. Inoltre, spesso, le finestre presentano pesanti cornici in
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marmo o in pietra e/o elementi in mattoni che nascondono l’intradosso arcuato dell’arco
rendendolo piano, senza però efficaci collegamenti di questi elementi con la muratura
retrostante. Quindi oltre alle lesioni sulla muratura della fascia (dello stesso tipo di quelle già
descritte per l’altra tipologia di edifici, ma in genere più accentuate) spesso si riscontrano anche
crolli locali di queste soprastrutture (fig.12). Nel caso di presenza di piattabande in acciaio (o in
legno) esse hanno in genere un insufficiente ammorsamento.
Fig.10 - a) incipiente meccanismo di ribaltamento fuori piano di una parete di facciata; b) distacco
nella croce di muro di pareti ortogonali; c) lesioni parallele all'orditura delle travi
all'intradosso di un solaio in acciaio.
Fig.11 - Lesioni all’intradosso di voltine sottili di mattoni in foglio.
Fig.12 - Distacco con crollo di sovrastrutture in corrispondenza di una fascia di piano.
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6 – dissesti ai coronamenti murari presenti al disopra dell’ultimo solaio piano (di sottotetto):
spesso i muri di coronamento delle facciate longitudinali, che sostengono direttamente il tetto,
sono soggetti a meccanismi di ribaltamento fuori dal piano, pur essendo di altezza limitata e
collegati tra loro dalla stessa struttura della copertura (fig.13). Ciò dipende dal fatto che,
mancando quasi sempre nel sottotetto un numero sufficiente di pareti trasversali ortogonali alle
facciate e un piano orizzontale sufficientemente rigido e resistente a livello dei correnti inferiori
delle capriate, essi sono soggetti a rilevanti azioni fuori piano (in relazione alla massa della
copertura) che non sono in grado di sostenere a causa del loro piccolo spessore.
Fig.13 - Crollo di coronamenti murari per ribaltamento fuori dal piano.
7 – più frequenti ed accentuati dissesti localizzati all’impalcato di copertura (soprattutto quando
in legno), come sfondamenti del tetto in corrispondenza dell’orditura minuta o rotture delle
connessioni degli elementi strutturali delle capriate.
Tutti i tipi di dissesti descritti, per gli edifici che hanno subito un danneggiamento limitato,
dovrebbero essere, anche in questo caso, localizzati, non molto diffusi e non molto accentuati.
I corrispondenti interventi di riparazione locale, oltre a quelli già descritti per la tipologia degli
edifici della III classe, possono essere i seguenti:
1 per le situazioni di incipienti meccanismi locali di ribaltamento fuori dal piano di alcune parti
delle pareti di facciata:
- inserimento di nuove catene e/o di efficienti collegamenti (ad es. cuciture armate di idonea
lunghezza) per evitare il ribaltamento delle pareti anche per azioni orizzontali di ridotta
entità (questo intervento oltre che di riparazione locale va anche considerato di
rafforzamento locale e quindi richiede un opportuno proporzionamento);
2 per le lesioni delle croci muro:
- chiusura delle lesioni con le tecniche classiche e ripristino dell’integrità della croce di muro
mediante perforazioni armate (fig.14) o catene corte inserite nello spessore del muro o piatti
di acciaio disposti lungo l’altezza del muro trasversale sulle sue facce esterne da ancorare
opportunamente in facciata;
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Fig.14 - Cucitura di croce di muro con perforazioni armate.
3 per le lesioni all’intradosso dei solai piani parallele all’orditura delle travi:
- sarcitura delle lesioni con malta di cemento o bastarda e collegamento trasversale delle travi
di acciaio mediante piatti saldati alle ali inferiori o mediante intonaco armato con rete
metallica continua collegata puntualmente alle ali inferiori delle travi mediante saldatura. E’
indispensabile anche il collegamento terminale dei piatti di acciaio o delle armature della
rete alle murature perimetrali d’ambito;
4 per le lesioni all’intradosso delle volte:
- per le volte di spessore significativo, sarcitura a forza delle lesioni con malta di cemento o
bastarda e scaglie di mattoni o di pietra dove necessario, integrando nei casi più gravi tale
intervento con l’apposizione di catene aderenti nelle murature di perimetro del campo di
volta interessato;
- per le voltine sottili con mattoni pieni disposti in foglio è preferibile, ove possibile,
procedere alla demolizione ed alla sostituzione con solai piani di qualsiasi tecnologia,
provvedendo ad un loro efficace collegamento alle murature d’ambito su tutti e quattro i lati,
eventualmente integrando con catene o piatti di acciaio (o comunque con elementi resistenti
a trazione) disposti in aderenza alle murature stesse; ove mai esigenze insuperabili
richiedano la conservazione, occorre definire un intervento ad hoc che garantisca la “tenuta”
della voltina anche in caso di nuovo terremoto, operando con un efficace incatenamento
delle murature del campo della volta;
5 per i dissesti delle fasce di piano:
- per la muratura dissestata al disopra delle aperture si rimanda a quanto detto per la tipologia
di edifici della III classe; inoltre occorre ripristinare gli intradossi piani delle fasce nonché,
quando presenti, le cornici disposte intorno alle aperture, che devono essere efficacemente
collegate alle murature portanti mediante staffe od altri collegamenti di analoga efficacia.
E’ possibile anche realizzare nuove piattabande (in genere in acciaio) che migliorano il
comportamento dell’elemento strutturale, ottenendo così direttamente l’intradosso piano,
nonché un efficace elemento strutturale al quale assicurare le cornici di marmo e/o di altro
materiale delle aperture. Entrambi questi interventi rientrano anche nel campo del
rafforzamento locale e, quindi, devono essere correttamente proporzionati;
- per le piattabande esistenti poco ammorsate si rimanda al caso degli edifici della III classe;
6 per i dissesti ai coronamenti murari:
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-
la riparazione può essere effettuata sarcendo le eventuali lesioni orizzontali alla base e
migliorando il collegamento con l’impalcato e le murature sottostanti; ma, in queste
situazioni, appare assolutamente necessario procedere anche a specifici rafforzamenti locali;
7 per i dissesti localizzati all’impalcato di copertura:
- sostituzione degli elementi lignei danneggiati (in genere correntini, arcarecci, murali etc.)
con altri di analoghe o migliori caratteristiche e riparazione dei collegamenti che hanno
ceduto con tecniche di intervento da definire caso per caso in relazione al tipo di cedimento.
In relazione all’eventuale rafforzamento locale, per gli edifici di questa tipologia, diversamente da
quelli “moderni”, è in genere utile, quando non indispensabile, realizzare ulteriori interventi al di là
delle semplici riparazioni, in modo da evitare, almeno in parte, in caso di nuovo sisma, il
ripresentarsi dei danni già subiti. Nel definire tali interventi si ritiene opportuno tener conto di
quanto segue:
- le murature, in genere, sono già collegate tra loro abbastanza bene dalle catene esistenti, ma è
possibile che tali catene siano in numero non sufficiente o comunque troppo distanti tra loro in
relazione alla distribuzione delle pareti o non siano presenti a tutti i piani o al livello del tetto o
siano allentate e non più in forza; pertanto è opportuno valutare l’inserimento di nuove catene
(possibilmente aderenti) che si configura, quindi, come rafforzamento locale e, come tale, va
specificamente proporzionato;
- in presenza di volte massicce la cerchiatura del campo di impalcato occupato dalle volte ,
(soprattutto se la volta interessata è di bordo rispetto alla pianta dell’edificio), mediante tiranti o
piatti metallici collegati alle murature a formare un sistema chiuso, è un intervento opportuno di
rafforzamento locale, che ha la finalità di annullare l’azione delle spinte sulle pareti esterne;
- la sostituzione delle voltine sottili in mattoni pieni disposti in foglio con solai piani (come già
descritto negli interventi di riparazione) è a tutti gli effetti un rafforzamento locale, peraltro
molto opportuno; esso, quando possibile, dovrebbe essere esteso dovunque siano presenti volte
di tale tipologia, anche su più piani;
- la cucitura delle croci di muro, quand’anche non già lesionate, è da ritenersi un utile intervento
di rafforzamento locale per questa tipologia di edifici. Per tale intervento, ai fini normativi, è
comunque da ritenersi sufficiente un proporzionamento di tipo qualitativo;
- la realizzazione di cordoli o l’inserimento di catene aderenti in acciaio o di fasciature con
materiali compositi al livello di imposta della copertura (ove mai già non vi fossero) è
sicuramente un intervento di rafforzamento locale quanto mai necessario. Non è ragionevole,
però, che per realizzare tale tipo di intervento (ad esempio un cordolo in c.a.) si proponga, come
spesso è capitato di vedere, lo smontaggio integrale del tetto e la sua rifazione ex-novo. E’
opportuno, invece, scegliere una tecnologia di intervento che consenta di realizzarlo anche con la
copertura in sede. E’ inoltre necessario, in tal caso, collegare efficacemente le strutture del tetto
(in particolare i tiranti e/o le catene delle capriate) alle murature d’ambito che sono state
incatenate;
- per impedire l’attivazione di meccanismi di ribaltamento dei coronamenti murari a sostegno
del tetto non sono sufficienti le semplici riparazioni locali. Invece è necessario adottare
significativi rafforzamenti estesi alla globalità della pianta: in particolare, a livello del sottotetto
si possono realizzare nuovi setti murari non molto distanziati tra loro (in prosecuzione di quelli
esistenti ai piani sottostanti), ortogonali ai coronamenti e ben collegati ad essi, congiuntamente
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alla creazione di un piano orizzontale sufficientemente rigido e resistente alla sommità degli
stessi, che sia in grado di riportare le azioni orizzontali alle pareti trasversali già esistenti o di
nuova realizzazione. Tali interventi possono essere facilmente realizzati in acciaio, in modo da
non appesantire la costruzione alla sua sommità. Inoltre, nel caso anche di parti spingenti della
copertura, l’intervento descritto è in grado anche di assorbire le eventuali spinte del tetto.
- anche per questa tipologia di edifici, la rifazione integrale del tetto non si può catalogare come
un intervento di rafforzamento locale, bensì come miglioramento strutturale. Essa, peraltro,
dovrebbe essere attuata solo nel caso di struttura originaria fortemente e diffusamente degradata
e quindi non conveniente da riparare, oppure nel caso, a dire il vero piuttosto raro, di struttura del
tetto spingente che non possa essere resa non spingente in alcun modo. In ogni caso, ove mai si
richiedano dei contributi economici, tali situazioni devono essere adeguatamente documentate e
deve essere anche dimostrata la convenienza della sostituzione rispetto alla riparazione.
Ovviamente, nel caso in cui si proceda alla rifazione, la nuova struttura deve essere
opportunamente calcolata anche in relazione alle azioni sismiche e si deve verificare la
compatibilità con la struttura muraria esistente.
- per quanto riguarda l’applicazione di paretine armate con rete metallica o non metallica,
l’esecuzione di perforazioni armate con barre metalliche o non metalliche o di iniezioni di
miscele leganti, l’aggiunta di nuove pareti murarie portanti ed il collegamento tra corpi
adiacenti soggetti a distacchi o martellamenti, si rimanda a quanto già esposto in relazione agli
edifici della III classe.
4) I danni tipici e gli interventi di riparazione e rafforzamento appropriati per gli edifici della
I e della II classe
Gli edifici in muratura “antichi” non migliorati sono soggetti a danneggiamenti molto simili a quelli
che si riscontrano nella tipologia precedente. Infatti, pur essendo gli edifici della I e II classe per
loro natura sicuramente più vulnerabili rispetto a quelli “migliorati”, soprattutto in relazione al
comportamento delle pareti fuori piano, tanto che spesso subiscono crolli locali o, al limite, globali,
in questo sede si stanno considerando quelle costruzioni che, dopo il sisma, presentano danni
limitati. Ciò significa che, per essere considerati agibili (anche se dopo l’esecuzione di riparazioni),
si tratta di edifici che non presentano situazioni significative di meccanismi fuori piano in atto: se
così non fosse sarebbero stati considerati inagibili in quanto realmente pericolosi. Ed in effetti,
come già detto in premessa, il numero di edifici di questa tipologia danneggiati dal sisma in modo
non eccessivo è sempre percentualmente ridotto. In ogni caso, rispetto alla tipologia degli edifici
“migliorati”, i dissesti tipici sono in genere più accentuati e più estesi nell’ambito dell’intera
costruzione.
In ogni caso è necessario osservare che:
1 – le situazioni di incipienti meccanismi locali di ribaltamento fuori dal piano di alcune parti
delle pareti di facciata sono molto più probabili, in quanto tali edifici sono privi di
incatenamento diffuso (fig.15);
2 – le lesioni nelle croci di muro sono, per lo stesso motivo, più probabili e quindi possono essere
presenti in più zone dell’edificio, evidenziandosi anche con distacchi significativi delle pareti di
facciata da quelle trasversali;
3 – gli altri tipi di dissesto sono analoghi a quanto già descritto per le altre tipologie di edifici.
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Fig.15 - Distacco di parete esterna per incipiente meccanismo fuori piano in un edificio della II
classe.
È evidente allora che i corrispondenti interventi di riparazione sono gli stessi e quindi si rimanda
per questo a quanto già esposto.
Diversa invece è la situazione relativamente ai rafforzamenti locali e/o ai miglioramenti sismici:
per gli edifici della I e della II classe è sicuramente più necessario e quindi auspicabile eseguire
sempre interventi di rafforzamento anche diffusi, per ridurre la loro elevata vulnerabilità sismica.
Più in dettaglio:
- le murature, pur non essendosi staccate tra loro in modo significato, in virtù forse di un buon
ammorsamento tra le pareti o di azioni sismiche subite meno forti, non offrono comunque
garanzie sufficienti in relazione ad un loro possibile distacco in occasione di un nuovo sisma;
pertanto l’inserimento, anche diffuso, di nuove catene (possibilmente aderenti) o di interventi
di analoga efficacia si configura come un miglioramento sismico fortemente consigliabile, che
dovrebbe essere sempre adottato nel recupero di questi edifici. In questo specifico caso, sempre
con riferimento alle norme, si può evitare un vero e proprio calcolo di confronto tra la situazione
ante e post intervento, in quanto già a livello qualitativo risulta evidente che il miglioramento di
prestazioni sismiche è talmente alto da far passare l’edificio da una tipologia peggiore ad una
molto migliore (quella degli edifici antichi “migliorati”);
- la cucitura delle croci di muro, allo stesso modo, è da ritenersi un intervento molto utile di
rafforzamento locale per questa tipologia di edifici, da estendersi per quanto possibile a tutto
l’edificio. Anche per questo intervento, ai fini normativi o di concessione di contributi, è
comunque da ritenersi sufficiente un proporzionamento di tipo qualitativo;
- la realizzazione di cordoli o l’inserimento di catene aderenti in acciaio o di fasciature con
materiali compositi al livello di imposta della copertura è ancora un intervento di rafforzamento
15
locale quanto mai opportuno. Valgono per esso, però, le considerazioni già svolte circa
l’opportunità o meno della rifazione integrale del tetto.
- per quanto riguarda, poi, la cerchiatura dei campi di impalcato occupati dalle volte , la
sostituzione delle voltine sottili in mattoni pieni disposti in foglio con solai piani,
l’applicazione di paretine armate con rete metallica o non metallica, l’esecuzione di
perforazioni armate con barre metalliche o non metalliche o iniezioni di miscele leganti,
l’aggiunta di nuove pareti murarie portanti, l’eliminazione della possibilità di attivazione
dei meccanismi di ribaltamento per i coronamenti murari ed il collegamento tra corpi
adiacenti soggetti a distacchi o martellamenti, si rimanda alle considerazioni già esposte in
relazione alle altre due tipologie di edifici.
5) Ulteriori considerazioni conclusive sul recupero sismico degli edifici in muratura esistenti
Nei paragrafi precedenti sono stati riepilogati e sinteticamente descritti gli interventi di riparazione
e di rafforzamento locale tipici e più appropriati per le diverse tipologie di edifici in muratura, da
adottarsi in edifici comunque non molto danneggiati dal sisma e finalizzati ad eliminare o quanto
meno ridurre la possibilità che a seguito di un sisma di intensità analoga a quello già subito si
possano ripresentare gli stessi danni.
Diversa è invece la situazione nel caso in cui si voglia migliorare in modo significativo o addirittura
adeguare sismicamente l’edificio, che potrebbe anche non aver subito alcun danno. In questi casi il
riferimento non è il terremoto già sopportato, bensì un sisma predefinito dalle norme (terremoto di
progetto) per l’adeguamento sismico o comunque di intensità superiore a quello già avvenuto per il
miglioramento sismico.
In questi casi occorre procedere con un insieme sistematico di opere più o meno esteso, che dipende
essenzialmente dalla tipologia di edificio da migliorare. Senza voler entrare in questa sede nel
dettaglio tecnologico dei diversi possibili interventi, si ritiene utile, per concludere, mettere in
evidenza alcuni aspetti generali di tipo concettuale, che spesso sfuggono ai progettisti:
- Il primo fondamentale obiettivo da perseguire è l’annullamento della possibilità di attivazione di
meccanismi locali fuori dal piano, che sono caratterizzati da valori molto bassi di accelerazione
al suolo (PGA) sopportabile e condizionano, quindi, pesantemente la capacità sismica dell’intera
costruzione. Ciò si può ottenere, ad esempio, mediante l’applicazione di incatenamenti diffusi
per gli edifici antichi della I e II classe o mediante l’integrazione dei collegamenti orizzontali già
esistenti, per sopperire a eventuali carenze di catene o a degradi delle catene esistenti, per gli
edifici “antichi” migliorati, con, eventualmente, un contestuale miglioramento anche degli
impalcati (fig.16). Viceversa, per gli edifici “moderni” questi interventi non sono necessari,
poiché questa tipologia, per le sue caratteristiche costruttive, è già dotata degli opportuni
collegamenti (realizzati essenzialmente dagli impalcati) e quindi non è soggetta a rischi
significativi di ribaltamento delle pareti al di fuori del piano. In pratica, prima di pensare ad altri
interventi di rafforzamento, il più importante provvedimento da prendere è trasformare gli edifici
“antichi” in modo che abbiano lo stesso comportamento sismico degli edifici “moderni”.
- Una volta impediti nella sostanza i meccanismi fuori dal piano, la capacità sismica dell’edificio
così trasformato (o dell’edificio moderno nella sua configurazione originaria) è definita dal
comportamento delle pareti nel proprio piano, cioè dalla resistenza e dalla duttilità dei pannelli
murari di maschio e di fascia di piano.
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Fig.16 - Incatenamento diffuso con contestuale miglioramento dell'impalcato: caso di un solaio con
travi in acciaio e voltine di mattoni pieni.
Con riferimento in particolare ai maschi murari, è noto che, a causa della scarsa resistenza a
trazione della muratura, la loro resistenza a pressoflessione e a taglio è condizionata
essenzialmente dallo sforzo normale agente, che ovviamente non può essere aumentato. Invece,
la resistenza a compressione del materiale e, almeno in parte, quella a taglio puro, che viceversa
possono essere incrementati anche in modo significativo mediante alcuni degli interventi già
descritti, sono molto poco influenti sulla capacità del pannello, soprattutto perché il livello di
sollecitazione a compressione dovuto ai carichi verticali agenti è in genere molto ridotto rispetto
alla resistenza ultima del materiale.
- La capacità sismica di un edificio in muratura (originario della III classe o trasformato delle altre
due classi) può essere aumentata, quindi, solo nei limiti in cui è possibile migliorare lo schema
strutturale delle pareti, ad esempio rinforzando le fasce di piano in modo da renderle in grado di
accoppiare i maschi murari riducendone di conseguenza le sollecitazioni a parità di azioni
orizzontali; ma anche in questo modo, in genere, i vantaggi che si ottengono in termini di
capacità globale sono comunque limitati, a causa delle variazioni di sforzo normale che nascono
negli elementi verticali.
- La conseguenza di quanto detto è che, una volta eliminate le criticità di comportamento globale
connesse alla tipologia dell’edificio e risolte le eventuali criticità locali di cui si è parlato nei
paragrafi precedenti (come, ad esempio, la qualità molto scadente del materiale muratura o la
presenza di pericolose voltine in foglio, etc.), è praticamente inutile “accanirsi” con ulteriori
interventi di miglioramento sulla muratura, che non determinano, purtroppo, incrementi
apprezzabili della capacità sismica globale: essa, alla fine, è, sempre condizionata dall’entità del
carico verticale totale agente.
- In definitiva, l’unica possibilità per migliorare la capacità dell’edificio al di là dei limiti di cui si
è detto consiste nel fornire alla muratura quella resistenza a trazione di cui non è dotata. Ciò si
può fare, ad esempio, armando i maschi murari con piatti o tondi di acciaio o con altri materiali
come quelli compositi, purché essi siano opportunamente disposti nell’ambito dei maschi stessi,
ben aderenti alla muratura ed efficacemente ancorati in fondazione (che poi potrebbe dover
essere a sua volta rinforzata). E’ chiaro, però, che, operando in questo modo, la natura intrinseca
della muratura, in particolare, e dell’edificio, in generale, viene sostanzialmente modificata, per
cui nascono interrogativi (di tipo non strutturale) sull’opportunità o meno di attuare questi
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interventi, potendo anche arrivare alla conclusione che, nell’ottica della conservazione
dell’esistente, tranne casi particolari, è forse preferibile accontentarsi della capacità sismica
raggiungibile dall’edificio “non snaturato”.
Bibliografia
[1] M. Pagano, “Teoria degli edifici in muratura”, Liguori editore, Napoli,1968
[2] B. Calderoni, E.A. Cordasco, P. Lenza, G. Pacella, “Scenari di danno degli edifici in muratura a
seguito del terremoto dell’Aquila”, WONDERmasonry 2009 (3rd Workshop on Design for
Rehabilitation of Masonry Structures), Lacco Ameno (Ischia), 8-10 ottobre 2009, Edizioni
Polistampa, 2012, pagg. 84-97.
[3] M. Pagano, “Costruire in muratura- nuove normative”, Liguori editore, Napoli, 1990.
[4] B. Calderoni, E.A. Cordasco, A. Prota, “Analisi dei danni degli edifici in muratura “moderni” a
seguito del terremoto dell’Aquila”, WONDERmasonry 2011 (4th Workshop on Design for
Rehabilitation of Masonry Structures), Firenze, 10-11 Novembre 2011, Edizioni Polistampa,
2012, pagg. 282-301.
[5] Ministero delle Infrastrutture e dei Trasporti, D.M. 14/01/2008 - NTC2008 "Norme tecniche per
le costruzioni".
[6] Presidenza del Consiglio dei Ministri - DPC, “OPCM 3779 del 06/06/2009”.
[7] Presidenza del Consiglio dei Ministri - DPC, “Indirizzi per l'esecuzione degli interventi di cui
all'OPCM 3779 del 06/06/2009“.
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