Terremoti e chiese: i 9 punti deboli strutturali

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Terremoti e chiese: i 9 punti
deboli strutturali
Il sisma del 26 ottobre 2016 ha colpito, tra i vari edifici,
anche molte chiese. Abbiamo provato a sintetizzare i nove
'punti deboli' di questa tipologia edilizia sul piano
strutturali
Le due forti scosse sismiche ravvicinate del 26 ottobre 2016
hanno colpito un territorio, quello del Centro Italia, le cui
strutture avevano subito già gli effetti del terremoto
precedente, quello del 24 agosto. Tra le strutture
maggiormente lesionate, compaiono anche le chiese, spesso
patrimoni architettonici di inestimabile valore. Ma perché le
chiese sono così fragili sul piano strutturale? Abbiamo
provato a sintetizzare i nove ‘punti deboli’ di questa
tipologia edilizia sul piano strutturali
Quali sono gli elementi più deboli e critici nella tipologia
delle chiese (o degli edifici a grande aula) da tenere sotto
controllo per prevenire il più possibile i danni in caso di
eventi sismici?
Vediamo i principali.
• Disposizione planimetrica non regolare
La planimetria irregolare rende il comportamento di questi
edifici lontano dal modello scatolare. Inoltre, le molte parti
aggiunte all’impianto originario nel corso dei secoli (come
cappelle, sagrestia, canonica) per semplice giustapposizione,
e senza l’adeguato ammorsamento, portano a un’amplificazione
degli effetti in caso di sisma, con martellamenti ed effetti
torsionali.
• Irregolarità costruttive
Diverse fasi costruttive portano con sé irregolarità
costruttive: differenti materiali con diverse caratteristiche,
tecnologie che interrompono la continuità strutturale,
aperture aggiunte o chiusura di aperture precedenti,
tamponamenti per semplicemente accostamento della muratura
nuova alla preesistente. Il pannello aggiunto sottoposto a
sisma si deforma nel piano, causando lo scorrimento della
muratura non ammorsata, che quindi si distacca. Le superfici
di interfaccia tra murature di diverse caratteristiche, e
senza adeguato ammorsamento, rappresentano linee preferenziali
per la separazione in macroelementi.
• Distribuzione disomogenea di masse e altezze
La distribuzione in altezza fortemente disomogenea comporta
una vulnerabilità più elevata per le parti dell’edificio più
alte: elementi svettanti, cupole, campanili e vele campanarie,
sottoposti ad azione sismica, oscillano in maniera libera e
indipendente rispetto al corpo principale, determinando
ingenti fessurazioni nelle zone di attacco tra le parti.
• Peso non uniforme sulle fondazioni
La diversa distribuzione di masse e altezze comporta un
trasferimento fortemente disomogeneo del peso sulle
fondazioni, che può portare a cedimenti fondali differenziati,
più o meno evidenti a seconda del tipo di suolo.
Strutture esistenti in muratura
Partendo dalla classificazione per tipologia e per tecniche
costruttive degli edifici esistenti in muratura, l’Autore
fornisce indicazioni utili per operare l’indagine della
struttura, individuare il metodo di calcolo più adeguato e
verificare i meccanismi di collasso dell’edificio.
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• Coperture spingenti
Le coperture, spesso spingenti e unite a volte di grande
pesantezza, gravano sulle pareti alte ed eccessivamente
snelle: le pareti risultano non efficacemente trattenute per
gli scarsi collegamenti tra muro e copertura e sono sottoposte
anche all’azione orizzontale di questi elementi in sommità,
che si somma a quella sismica.
• Connessioni poco efficaci tra le parti
Gli unici elementi in grado di contrastare l’effetto delle
coperture spingenti sono le connessioni tra muri ortogonali e
tra tetto e murature d’ambito. Se queste connessioni non sono
efficaci, le travi di copertura producono spinte localizzate
che tendono ad allontanare le murature, con sfilamento delle
travi dagli appoggi e conseguenti crolli; le pareti snelle,
prive di murature di controvento e di solai intermedi, una
volta perso il legame con la copertura risultano libere di
oscillare fuori dal proprio piano.
• Degrado delle strutture lignee
Spesso, in corrispondenza dell’appoggio, le strutture lignee
delle capriate sono compromesse per il naturale invecchiamento
(cui si aggiungono attacchi biotici, presenza d’acqua, mancata
manutenzione): esse, così al limite della resistenza, se
investite dal sisma non possono esercitare la loro funzione di
solidarizzazione tra le diverse murature.
Anche la deformazione della trave di colmo può indurre spinte
localizzate sulla muratura d’ambito, condizionando il
comportamento dell’intera “mancata-scatola” in caso di sisma.
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• Presidi antisismici inefficaci o dannosi, se mal eseguiti
Tiranti e contrafforti, già inglobati al momento della
costruzione dell’edificio, se ben posizionati e dimensionati
sono efficaci. I tiranti svolgono la funzione di
solidarizzazione tra le parti e di stabilizzazione reciproca
tra diversi macroelementi; i contrafforti si oppongono alla
rotazione fuori dal piano delle murature a cui sono addossati,
funzionando come massa stabilizzante. Se mal eseguiti, invece,
questi presidi possono rappresentare inneschi di danno, più
che un reale contrasto.
• Interventi di consolidamento non adeguati
In caso di opere di consolidamento, l’inserimento di pesanti e
massivi cordoli in cemento armato sulla sommità delle murature
spesso determina una discontinuità tra cordolo e muratura
sottostante che, a fessurazione avvenuta, permette la
traslazione relativa delle due parti. Il peso e la rigidezza
del cordolo, inoltre, inducono sollecitazioni tali nella
muratura da produrre gravi lesioni a taglio, che poi possono
servire da innesco per un successivo meccanismo di
ribaltamento.
Chiarito il comportamento degli edifici, l’obiettivo di
un’analisi di vulnerabilità è quindi ricercare quelle
particolari condizioni di debolezza locale che possono
influenzare o favorire un processo di danno, individuando
caratteri propri di ogni manufatto che costituiscano
altrettanti campanelli di allarme per un danno codificato
dall’esperienza.
Altro approfondimento: Terremoti: perché le chiese crollano in
modo diverso
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