il giornale degli architetti della provincia di lecco febbraio13 nuovo marchio per la fondazione incontro illuminante biennale 2012 a tu per tu con la citt di Lecco Serodine Siviglia recupero ed ampliamento a Usmate-Velate n tes villa sulla Rocca di Valmadrera residenza unifamigliare a Lecco Tabiago spazio espositivo la nuova vecchia torre contemporaneo vista lago studio venti3 novecento asilo nido a Carate Brianza AAA cercasi filo comune febbraio13 editore Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e Conservatori della provincia di Lecco direttore responsabile Ferruccio Favaron direttore editoriale Tiziana Lorenzelli Ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e conservatori della provincia di Lecco CONSIGLIO DELL'ORDINE coordinamento editoriale Guido De Novellis PRESIDENTE M. Elisabetta Ripamonti redazione Elisabetta Gheza, bioarchitettura Enrico Castelnuovo, Patrik Spreafico, commissione giovani Diego Toluzzo, normative Alessandro Ubertazzi, Eugenio Guglielmi, cultura SEGRETARIO Marco Pogliani TESORIERE Vincenzo Daniele Spreafico progetto grafico e impaginazione Daniela Fioroni CONSIGLIERI Davide Bergna Favio Cattaneo Alfredo Combi Enrico Castelnuovo Guido De Novellis Carol Monticelli Paolo Rughetto Diego Toluzzo Via Roma, 28 - 23900 LECCO tel 0341 287130 - fax 0341 287034 [email protected] www.ordinearchitettilecco.it Via Roma, 28 - 23900 LECCO tel 0341 287130 - fax 0341 287034 notes on-line: www.ordinearchitettilecco.it Gli articoli firmati esprimono solo l’opinione dell’autore. Non impegnano l’editore né la redazione. copertina: particolare di una delle lampade di Issey Miyake NOTES - n. 27 /febbraio 2013 Tariffa a regime libero: Poste Italiane Spa Spedizione in A.P. - 70% DCB Lecco; Iscr. Tribunale di Lecco n. 12/03 Reg. Giorn. e Periodici del 1/10/2003 il giornale degli architetti della provincia di lecco segreteria e pubblicit Attilia Gerosa n tes n tes indice 3 nuovo marchio per la fondazione a cura della redazione 4 incontro illuminante di Tiziana Lorenzelli 7 biennale 2012 di Ferruccio Favaron 8 a tu per tu con la citt di Lecco di Eugenio Guglielmi 10 Serodine a cura della redazione 12 Siviglia foto di Teresa Anghileri 14 recupero ed ampliamento a Usmate-Velate a cura del progettista 16 villa sulla Rocca di Valmadrera a cura del progettista 18 residenza unifamigliare a Lecco a cura del progettista 20 Tabiago a cura del progettista 23 spazio espositivo a cura del progettista 24 la nuova vecchia torre a cura del progettista 26 contemporaneo vista lago a cura dei progettisti 28 studio venti3 novecento a cura dei progettisti 30 asilo nido a Carate Brianza a cura del progettista 32 AAA cercasi filo comune di Thore Schaier Dopo dieci anni la rivista Notes con il primo numero del 2013 passa al formato digitale, i contenuti rimangono quelli di attenzione al nostro territorio e ai temi dell'architettura. In una veste diversa la rivista continuerà a spaziare dai temi della mobilità a quelli del design, dalle nuove forme dell'abitare alla rigenerazione urbana, dal recupero dei centri storici alla smart city, dall'innovazione tecnologica alle svariate forme artistiche. In occasione di questo momento di passaggio consentitemi di rivolgere un ringraziamento a tutta la redazione per la passione e competenza dimostrata nel corso degli anni. Nel cambiamento dei modi di comunicare anche la rivista AL Architetti Lombardi conclude la sua lunga storia editoriale in formato cartaceo per essere letta da computer e tablet. Se i giovani colleghi apprezzano una modalità comunicativa più snella, capace di illustrare in tempo reale novità, stimolare riflessioni su problemi di grande attualità, i più affezionati alla carta si convertono alla lettura on line di riviste e quotidiani Il lavoro dell'architetto muta con straordinaria velocità insieme alla suo strumento di comunicazione, ma la responsabilità sociale anche di dar voce ai propri intenti rimane immutata e sempre più doverosa. Gli sclerotici dibattiti politici di queste settimane ci avvolgono in un frastuono di promesse e di programmi fotocopia. Sembra che nessun partito abbia più una vera identità; i candidati rincorrono poltrone appiattiti in logiche falsamente deputate al bene comune. E gli architetti cosa fanno? Propongono manifesti, elencano necessità, gridano forte il bisogno di razionalizzazione del contesto normativo, d'incentivazione per interventi edilizi e urbanistici virtuosi. In occasione della Giornata delle Professioni del prossimo 19 febbraio, insieme ad altre categorie professionali, gli architetti incontreranno i candidati alle prossime elezioni chiedendo loro impegno nell'attuare processi di cambiamento sul nostro territorio. L'invito è passare dalla logica della mera produttività e profitto alla ricerca della qualità dell'abitare, operando adeguatamente per prevenire le emergenze sul territorio. Se alla politica non all'altezza, boriosa e insolente rivolgiamo l'appello di farsi da parte è con coscienza civica e con l'ottimismo di chi ancora crede che ci possano essere figure valide e capaci che eserciteremo il diritto di un voto di cittadini e professionisti. Chiediamo ai candidati coraggio nelle decisioni, semplificazione delle procedure, attivazione di nuove risorse economiche, politiche urbane e territoriali a favore di una progettualità intelligente, benefici a chi ha il coraggio di riqualificare. Chi ci ascolterà? Chi cambierà un sistema politico che destabilizza anziché governare conducendoci fuori da questo assurdo pantano di burocratizzazione, di inutili e farraginose leggi in contrasto tra loro? Ma si rende conto il legislatore del pericolo di attuazione di determinate normative? Porto ad esempio la spinosa questione dei PGT. La Legge Regionale 24 dicembre 2012 n. 21 modifica l'art.25 della L.R. 12/2005 precisando che gli strumenti comunali vigenti conservano efficacia fino all'approvazione dei PGT e comunque non oltre la data del 31 dicembre 2012. Nei comuni in ritardo sforniti di strumenti urbanistici, perché il PGT non c'è ancora e il PRG non c'è più, sono consentiti ai sensi dell'art. 9 (attività edilizia in assenza di pianificazione urbanistica) del Testo Unico n. 380/2001 sole manutenzioni, restauro e risanamento conservativo e irrisori interventi fuori dal perimetro dei centri abitati. Ma la legge regionale contrasta la Legge Urbanistica Nazionale 1150/42 che, in merito alla validità dei PRG, all'art.11, dà ai PRG "valore a tempo indeterminato". Sguazzando nella libertà concessa al legislatore alle regioni la nostra è responsabile di un vero e proprio delirio dell'urbanistica. Ci si domanda se, tenuto conto delle gerarchie legislative, 1 2 una legge regionale possa decretare la decadenza di un PRG. E, mentre le città più grandi hanno la grave responsabilità di non aver gestito la questione urbanistica, ai comuni lombardi minori (il 70% del totale) per i quali il PGT è risultato complicato e costoso, è in parte concessa l'attenuante di non essere sufficientemente attrezzati per rispondere alla macchinosa logica della pianificazione territoriale nel nostro paese. Conosce questa politica inadeguata, bolsa, arrogante il danno provocato al comparto edilizio della nostra regione? Ma non bastava per i comuni al di sotto dei 5.000 abitanti un piano regolatore (che regola appunto) anziché un piano di governo del territorio? Ma cosa si è governato nella nostra provincia e in tutte quelle lombarde, quale visione comune si è attuata? Attendiamo fiduciosi un cambio della guardia in regione che affronti con lungimiranza e vera pianificazione questi temi. Altro esempio di malgoverno è l'insensata modalità con la quale si organizzano bandi di concorso. Anziché essere vera occasione per giovani (e meno giovani) talenti si rivelano l'assurda pantomima con la quale si assegnano premi e progetti, destinati a cambiare il volto d'intere città, solo a coloro i quali possono vantare fatturati da capogiro. Uno studio di settore commissionato dal consiglio degli architetti in Europa fotografa un panorama di studi professionale allarmante. In Italia il 90% degli studi è costituito da un unico professionista (in Europa il 67%), pertanto ben lontano dai requisiti richiesti per la partecipazione ai concorsi pubblici di notevole rilevanza. In una perversa collusione nel sistema imprenditoriale si premia solo e soltanto il peso economico e non la genialità, unica arma in grado di portare a veri cambiamenti. L'indagine europea dimostra, infatti, come tra i 536.000 architetti europei (di cui 147.000 in Italia) solo gli studi di grandi dimensioni abbiano avuto incrementi di reddito a fronte di guadagni medi scesi principalmente per gli studi costituiti dall'unico titolare. Ma in un momento di ancora drammatica difficoltà economica e di assenza di regole chiare e precise non ci spaventi il futuro perché ancora dobbiamo scriverlo. Siamo architetti, immaginiamolo, disegniamolo per le nostre città con la stessa creatività che mettiamo nei nostri progetti. Facciamolo ora con il coraggio, non quello di chi non ha paura ma di chi l'affronta, di chi non teme il cambiamento. Con tenacia e talento cominciamo dai nostri edifici, mettiamoli in sicurezza, abbattiamoli senza nasconderci dietro il falso rispetto di decrepiti fantasmi. Valorizziamo il nostro patrimonio culturale come elemento di forza e contestualmente rinnoviamo spazi, anche minimi, dimostrando cosa sia bellezza e comfort nel rispetto dell'emergenza ecologica. Più che di nuove strade o di nuovi edifici (intendo quelli che occupano altro suolo) abbiamo bisogno di nuove idee per reinventare spazi collettivi, per dare un senso a quelli che un tempo erano i centri della nostra provincia e che ora sono "vuoti da riempire". M. Elisabetta Ripamonti I CONCORSO 1° classificato Augusto Colombo fondazione dell’Ordine degli Architetti PPC della Provincia di Lecco nuovo marchio per la fondazione a cura della redazione l 5 Dicembre 2012, si è riunita la Commissione Giudicatrice del logo per la Fondazione Architetti PPC Lecco, costituita dal presidente dell’Ordine Architetti PPC Lecco Elisabetta Ripamonti, dal Direttore di Notes Tiziana Lorenzelli e dal Grafico Giorgio Pirovano. Alle ore 8.30 si è dato avvio all’apertura anonima delle 26 buste pervenuteci, le cui proposte sono state ritenute tutte attinenti. Dopo un’accurata analisi iniziale, nella quale si è presa visione degli elaborati grafici e delle relative relazioni, si è giunti ad una prima selezione che ha individuato alcuni progetti meritevoli di maggiore attenzione. Tra questi all’unanimità è stata scelta la proposta protocollata al n. 270, perchè giudicata la più rispondente ai parametri richiesti dal bando. Considerato il particolare impegno dimostrato da altri due candidati, rispettivamente il n. 283 e il n. 286 di protocollo, si è deciso di menzionarli assegnando loro il secondo e terzo posto. Per quanto riguarda le motivazioni che ci hanno spinto alla scelta del progetto vincitore, il primo elemento di valutazione ha riguardato: l’efficacia comunicativa, l’impatto visivo, la versatilità considerando le diverse applicazioni. Il logo vincitore si legge in maniera immediata, chiara e unitaria, la parte grafica può facilmente essere scorporata da quella scritta. Dal punto di vista dei contenuti il logo prescelto rispecchia l’identità della Fondazione dei professionisti in oggetto, connotata da uno stretto legame con gli elementi grafici. Concordiamo inoltre che l’uso del colore rosso in particolare conferisce forza all’immagine complessiva. Ultimata la fase di valutazione sono stati individuati i nominativi riferiti ai numeri di protocollo: 1° classificato Augusto Colombo a cui andrà il premio assegnato con attestato 2° classificato Daniela Fioroni a cui andrà un attestato della Fondazione Architetti 3° classificato Antonella Sala a cui andrà un attestato della Fondazione Architetti La giuria Arch. Elisabetta Ripamonti Arch. Tiziana Lorenzelli Sig. Giorgio Pirovano 2° classificato Daniela Fioroni 3°classificato, Antonella Sala 3 L INCONTRI L’Ing. Ernesto Gismondi il Patron di Artemide Ernesto Gismondi si racconta agli Architetti di Lecco o scorso lunedì 4 febbraio nello show room di È Luce di Valmadrera si è svolto un evento memorabile per gli architetti lecchesi che hanno potuto assistere ad una lezione ad hoc tenuta dallo storico fondatore di una delle più importanti aziende mondiali in campo illuminotecnico. Ernesto Gismondi, assieme alla moglie architetto Carlotta de Bevilacqua hanno tenuto col fiato sospeso per due ore l’anima progettuale di ben tre ordini di professionisti di Sondrio, Monza e Lecco appunto. Spunto della serata, organizzata da Giuditta e Gianni Ronchetti con il Presidente Architetti Lecco Elisabetta Ripamonti, la presentazione delle spettacolari lampade progettate dal genio creativo dello stilista giapponese Issey Miyake, realizzate con plastica riciclata trasformata in fibra e con il supporto del laboratorio progettuale del celeberrimo MIT, che è riuscito con formule matematiche a sviluppare geometrie autoportanti in grado di sostenere e modellare il tessuto senza l’ausilio di strutture interne. ”Sono andato a trovare Miyake per acquistare un abito per mia moglie e sono rimasto colpito da un prototipo di lampada nello studio; da qui è nata la collezione che presentiamo in anteprima, un riuscito incontro tra Arte e Moda” racconta Gismondi, che ci illustra come è nata l’azienda: “Ho iniziato l’avventura di Artemide, che all’inizio si chiamava Studio Artemide, con Sergio Mazza, mio coetaneo e architetto, che ha disegnato la prima lampada nel 1959, la Alfa. In cinquant’anni di attività, si sono man mano aggiunti altri architetti italiani che all’epoca stavano cambiando l’Italia e che hanno contribuito a fare dell’azienda quello che è oggi. Giò Ponti ad esempio strava progettando il Grattacielo Pirelli e ha disegnato per noi la Fato. Enzo Mari ha progettato la Polluce del 1965. Nel 1967 Magistretti ha ideato la Eclisse che ha vinto il Compasso d’Oro ed è esposta in tutti i musei di design nel mondo, e due anni dopo la Selene, tra le prime sedute in plastica, e uno dei prodotti di design più venduti al mondo. Ma abbiamo avuto anche Gae Aulenti, Frattini con il Megaron del 1979 che è ancora in catalogo oggi, come tra l’altro la incontro illuminante di Tiziana Lorenzelli Lo show room È Luce con le lampade di Issey Miyake 5 L’arch. Carlotta de Bevilacqua illustra la lampada Copernico da lei progettata con Paolo Dell’Elce L’ing. Ernesto Gismondi e l’arch. Carlotta de Bevilacqua comunicano la storia dell’azienda maggior parte delle lampade di Artemide, che produce oggetti destinati a durare nel tempo e quindi garantisce i pezzi di ricambio per decenni. La Tizio di Richard Sapper del 1972 è la prima lampada alimentata senza fili, che utilizza la bassa tensione; ha vinto il Compasso d’Oro, e la troviamo nei musei. Tra gli altri grandi designer cito Ettore Sottsass, con cui nel 1981 abbiamo fondato Memphis; lavoravamo molto bene insieme, la sua lampada Callimaco è venduta ancor oggi ed è rimasta invariata. Anche la Tolomeo di Michele Lucchi del 1985, che oggi funziona a LED, è stato un prodotto vincente, ancor oggi ne vendiamo 500.000 all’anno. (Il LED ha cambiato la storia dell’illuminazione. Oggi l’80 % del nostro catalogo si basa sulla luce LED. ) Calatrava ha disegnato per noi una lampada che ricorda la torre progettata per le olimpiadi del 1992; Herzog e De Meuron non volevano mettere a catalogo la loro lampada Pipe, noi li abbiamo convinti e nel 2004 ha vinto il Compasso d’Oro; si tratta di una lampada speciale con il 98% di efficienza luminosa e la possibilità di muovere la fonte di luce nello spazio. Ross Lovegrove ha creato il Solar Tree, che illumina caricandosi di giorno con la luce solare e che abbiamo regalato al Comune di Milano per la nuova piazza intitolata a Gae Aulenti nella zona di Porta Nuova. Per concludere, la prima mossa di Artemide è stata quella di coinvolgere i grandi architetti, la seconda mossa è stata quella di potenziare l’esportazione, che ci ha portato a creare 17 società nel mondo, infatti anche oggi, in un periodo di crisi, riusciamo a vendere bene grazie alla rete importante di distribuzione. Ma tutto quello che siamo riusciti a fare è il frutto della collaborazione con i progettisti.” L’architetto Carlotta de Bevilacqua, tra l’altro presi- Il responsabile dell’ufficio tecnico di Artemide dente di Danese, prosegue e racconta: “Negli anni ’90, con il progetto Artemide Human Light, è cambiato il modo di intendere la luce; in quegli anni la campagna pubblicitaria con la foto di un neonato urlante citava: “La vita sarà migliore con la luce giusta”. Il pianeta è il centro del progetto, ecoefficacia non significa riparare a un errore progettuale, ma pensare a monte alle conseguenze di ogni scelta, al costo di impatto per il pianeta; un progetto geniale come quello di Miyake ad esempio, che è realizzato con materiale riciclato, leggerissimo, pieghevole con un ingombro minimo, di per sè riduce enormemente i costi di stoccaggio e di trasporto e l’impatto conseguente sul pianeta. Con il progetto Metamorfosi, abbiamo iniziato a lavorare sull’idea della luce che cura, e abbiamo brevettato il primo sistema di luci e colori con diversi scenari che influiscono sugli stati d’animo. Nella stessa direzione hanno proseguito i progetti A.l.s.o. e My White Light. Recentemente Artemide ha donato un sistema di illuminazione ragionato alla Fondazione TOG, per bambini con disturbi neurofisiologici, ottenendo brillanti conferme della potenzialità curative della luce. Per concludere vorrei citare un progetto innovativo ed efficace che abbiamo pensato proprio per gli architetti, il TCO, Total Cost of Ownership, uno strumento di calcolo di ultima generazione che aiuta nella scelta di soluzioni di controllo della luce e degli impianti, che garantisce un consumo mirato delle risorse energetiche, basandosi su dati fissi e variabili come l’affluenza umana negli spazi.” Una lezione di responsabilità rivolta a chi produce, chi progetta ma anche a chi acquista e utilizza la luce, perchè oggi imparare a spegnere la lampadina come raccomandavano i nostri nonni è già molto, ma non basta più. 6 Arsenale Eric Parry Architects, Biennale di Venezia (foto di Thore Schaier) RASSEGNE 7 D biennale 2012 a cura di Ferruccio Favaron omenica 25 novembre si è chiusa la 13ª Mostra Internazionale di Architettura presso la Biennale di Venezia, edizione curata da David Chipperfield che dal 29 agosto scorso, ha richiamato all'Arsenale e nei Padiglioni dei Giardini oltre 178.000 visitatori, di cui il 48% circa costituito da giovani e studenti, a dimostrazione della rilevanza formativa che la manifestazione sta assumendo sempre più nei loro confronti. Tema di questa edizione è stato il “Common ground”, la realtà che si condivide, composta non solo dalle proposte dei singoli talenti, ma anche e soprattutto dalle numerose e differenti idee in cui l'architettura si manifesta in un processo vario e partecipato. Proprio il contrario delle tendenze professionali e culturali del nostro tempo che tendono prevalentemente ad evidenziare le azioni individuali e isolate. Il percorso espositivo che ha interessato 10 mila metri quadrati, ha visto la presenza di 69 progetti realizzati da architetti, fotografi, artisti, critici e studiosi che, coinvolgendo nel proprio progetto altri colleghi, hanno dato vita ad un Common Ground di ben 119 autori. Nei Padiglioni ai Giardini, negli spazi dell’Arsenale e negli allestimenti nel centro storico di Venezia, si sono messe in mostra ben 55 nazioni, con il debutto di Angola, Repubblica del Kosovo, Kuwait e Perù. Poche realizzazioni, molti progetti e tantissimi modelli, a riprova che stiamo vivendo un momento in cui alla grande attività progettuale segue pochissima concretizzazione. Molta carta e molto legno, materiale preferito ai più costosi cemento armato e acciaio, anche se probabilmente qualcosa andava detto del vetro, che con i suoi ricorrenti anonimi volumi urbani rappresenta un Common Ground in negativo. Nel Padiglione Italia all’Arsenale, curato da Luca Zevi, oltre al progetto GranTouristas, che mediante i social media ha proposto il recupero della memoria e il rinnovamento della progettazione, rivelando luoghi e tappe da non perdere, hanno avuto grande riscontro le occasioni di confronto con università ed accademie (Biennale Sessions) e le Conversazioni sull'architettura. Nell'ambito di queste sessioni ho avuto modo di rappresentare il CNAPPC sia alla tavola rotonda sulla rigenerazione di edifici e luoghi prevalentemente di origine produttiva, dismessi o in via di dismissione, organizzata dall’Università di Trento con docenti e professionisti provenienti da varie università e istituzioni europee, che di partecipare al dibattito su alcune questioni chiave per un “re-made” del Paese, in cui è stato evidenziato come dalle strategie di contenimento del consumo di suolo, possa decollare il recupero e la valorizzazione dello spazio pubblico nell'ambito del progetto di rigenerazione urbana. RIFLESSIONI Vista di Lecco dal campanile di acquate alla fine degli anni ‘40. In primo piano lo stabilimento della SAE a tu per tu con la citt di Lecco di Eugenio Guglielmi C ome contributo al dibattito sulla città e al suo futuro, rivolto in particolare alla vocazione culturale, riprendo alcune considerazioni che già nel 1973 avevo espresso in occasione di una ricerca sull'urbanistica lecchese presso il famoso ISA di Monza. Questo servirà a constatare come poco è cambiato da quel periodo ad oggi. A differenza di altri esempi infatti, analizzare e prendere in considerazione la storia artistica della nostra città per evidenziare e leggere le premesse che hanno determinato l'attuale fisionomia urbana è abbastanza complesso. Prima di tutto perché diversi centri urbani del nostro Paese sono il risultato di una sedimentazione di vestigia e reperti che riflettono un passato quasi sempre glorioso che si manifesta nel "cuore", il cosiddetto nocciolo che esprime in maniera precisa l'evoluzione urbana che si è andata via via creando intorno ad esso. Lecco invece è il risultato della tipica mentalità positiva di una borghesia imprenditoriale di inizio Ottocento che ha espresso in generale una concezione limitativa all'espressione artistica, considerata futile o in qualche caso solo possibile manifestazione di prestigio sociale. Spesso coloro che hanno ottenuto un posto di preminenza nell'ambito della vista cittadina, attraverso il successo economico si sono dedicati a interessi culturali preoccupandosi di trattare in particolare la storiografia artistica della città. Storiografie che risentono quasi tutte del tentativo di "reinventare un passato artistico" talvolta inconsistente. Si sono scritti libri sulle poche pietre antiche e cercate ragioni più o meno valide rivolte in massima parte ad un certo snobismo provinciale che ha in Giuseppe Bovara (1781-1873), maggior esponente del Neoclassicismo locale, l'esempio bibliografico più cospicuo. Per i periodi anteriori al Neoclassicismo, il passato si presenta proprio per la sua difficoltà di reperirlo, modesto e sconosciuto, tenuto gelosamente nascosto "dal vecchio cuore" industriale della Lecco ottocentesca, la Lecco delle stampe ingiallite del Lungolago, la Lecco dei Tubi dei Gandola che davano un personale "contributo sociale" all'arte, riversando le loro ricerche in libelli dimenticati nelle biblioteche di famiglia. Bovara, riprendendo nell'Ottocento certi motivi tipici del Barocco, tentò una valorizzazione dell'ambiente lecchese, dimenticando però (atteggiamento tipico del suo tempo) le testimonianze precedenti che venivano inesorabilmente soffocate dallo sviluppo urbano e industriale della città. Sviluppo disordinato non controllato e definito esclusivamente da interessi economici e speculativi. La situazione si può riassumere affermando che Lecco è sempre stata fondamentalmente un punto di transito commerciale, priva di presenze artistiche determinanti tali da creare fenomeni di rapporto con l'ambiente, ignorata dai grandi eventi culturali italiani ed europei. Il notevole sviluppo industriale ed economico non è stato adeguatamente accompagnato da un proporzionale fiorire di vita culturale e artistica. In questa situazione è facile immaginare come i pochi documenti siano stati a volte dimenticati o troppo esaltati. Solo in quest'ordine si può chiaramente intendere la sopravvivenza e la contraffazione del mito manzoniano. La città tra duemila anni avrà finalmente una preistoria: quella manzoniana. Questo continuo ricorrere e riportare ogni evento locale al fatto manzoniano, senza trascurare ovviamente il puro fatto propagandistico legato al turismo, crea errori di valutazione che vanno assolutamente eliminati per un chiaro giudizio sulla reale storia artistica lecchese. Pur essendo stata toccata da un fatto importante come il Manzoni scrittore, Lecco non può assolutamente essere sempre e solo la città manzoniana. Si correrebbe il rischio di paragonare Lecco a quei paesi che non avendo avuto sufficienti valenze artistiche per il solo fatto di avere assistito al passaggio di Garibaldi a cavallo per una loro contrada, abbiano dedicato all'eroe per eccellenza, piazze, strade, case, balconi, lapidi pretenziose di illustrare che proprio in quel luogo si siano decisi i destini della Patria! Il Manzoni fra l'altro non lasciò nemmeno un'influenza poetica locale come avvenne a Milano, ma si limitò solamente a illustrare i posti per la stesura storica dei "Promessi Sposi" lasciando in eredità alla città una biografia del tempo e delle persone, ben lontana dal fatto culturale degli Inni e dell'Adelchi. Lecco non brilla perciò per la poetica manzoniana ma per la sua storia geografica, il che è molto diverso. Questa peculiarità può infatti essere estesa a tutti i paesi circostanti e altri centri rivieraschi per caratteristiche forse anche maggiori di Lecco, potevano essere al centro della vicenda. Solamente nell'ambito territoriale generale la "questione manzoniana" prenderà la sua giusta dimensione. Lecco manzoniana è così una grossa truffa; non è per niente la città e la patria del Manzoni e se proprio voleva esserlo, doveva essere in grado di conservarne le caratteristiche almeno essenziali. E' troppo poco un lungo lago per inscatolarsi su definizioni da manuale. Che cosa si potrebbe dire allora per il Parini e la sua Bosisio davanti al magnifico Eupilio che condivide con i ricordi dell'Appiani o per la stessa conca di Lecco dove sembra che Leonardo (Quaderni di Windsor) abbia assaporato la sua famosa "luce lombarda", cosa non tanto strana considerato che uno dei suoi amici preferiti abitava ad Oggiono, poco distante dalla città? E che dire della "stagione romantica" della pittura che veniva ritratta dal Poma, dal Bezzi, dall'Induno e da Segantini, intanto per citare alcuni tra i più noti pittori cari al nostro territorio? Insomma Lecco ha tutte le potenzialità per riconoscersi nella sua vera storia e non nella sola storia del Manzoni. Il tema non è nuovo e fu già affrontato dal Ghislanzoni. Nel suo "Almanacco dell'Adda" con scritti attenti e ironici ricordava l'assenza di strutture culturali adeguate senza attenzione alle tradizioni demandate solamente "a pochi uomini di intelletto". Tra i vari esempi che riportò famoso fu quello del Badoni che facendo economicamente faville, intorno al 1873, non senza qualche battuta maliziosa fu nominato direttore del Teatro Sociale, lui, abituato al fragore delle officine e dei magli... Il Teatro poi è sempre stato una spina nel fianco della Lecco culturale. La stagione si apriva in ottobre e raggruppava dalle venti alle venticinque rappresentazioni ma come dice il Ghislanzoni: "quasi tutte a carattere bandistico". Fu Petrella che finalmente aprì il Teatro al suo vero scopo con la rappresentazione dei Promessi Sposi (nemmeno farlo apposta) da lui musicata. Bovara, invece si legge nelle pagine dell'Almanacco, volle dare ai lecchesi un museo dove potersi raccogliere la storia e dare lustro alla città, ma tutto si risolse nel riprodurre in sughero i principali monumenti greci alti non meno di un metro. Al tempo si parlò di farsa e di ridicolo. Esistono poche e incomplete raccolte analitiche, che non siano pubblicate dal Touring o dall'Azienda Autonoma, però sempre protese ad un fine propagandistico, accomunando arte e industria, quando invece dovrebbero illustrare prima storicamente e poi socialmente il fatto artistico del nostro territorio. Si capisce chiaramente come nei più sensibili questo bisogno di passato affiori. Cereghini addirittura, nel suo progetto per un nuovo centro di Lecco, discussione che sarebbe dovuta avvenire nell'ambito del più marcato rigore storico, porta questo bisogno al paradosso, quasi richiamando origini mitologiche alla città, con la pubblicazione della poesia che il Foscolo dedicò alla città, evocante suoni di flauti, scene idilliache, pastori e fucine rimbombanti. Certamente non bisogna nemmeno vedere fantasmi o creare miti a tutti i costi: come il volere legare parte della storia artistica lecchese con il tempietto di S. Pietro al Monte o con i travagli dei Maestri Comacini, che purtroppo nella nostra zona non hanno lasciato traccia, come invece tanti "eruditi a tutti i costi" vogliono vedere nei portali delle case rustiche delle nostre montagne. Un altro luogo comune deve cadere, quello che vede Lecco città del Lario un tempo in Provincia di Como, influenzata dall'orbita di quest'ultima. Lecco è sempre stata per la sua posizione città di collegamento e di passaggio, via importante per l'oltralpe. È sempre stata città discussa in collegamento con la riva sinistra dell'Adda, con il territorio bergamasco veneto e quello milanese, Como era impegnata diversamente, centro fisso e non di passaggio, roccaforte del Barbarossa. Lecco non ha preso mai una posizione importante e assoluta, cosa che sarebbe avvenuta se fosse stata nell'egida di Como. Questa sua distaccata indipendenza fece comodo a tutti, quando c'era bisogno di rifugio, o quando diventava centro di raccolta di viveri durante i lunghi assedi dei paesi rivieraschi. 9 A ARTE Cristo e i Dottori brezza caravaggesca sulla "Regione dei laghi" Serodine a cura della redazione lla Pinacoteca cantonale Giovanni Züst di Rancate (Mendrisio), in Canton Ticino, è stata allestita una mostra dedicata a Giovanni Serodine (Ascona o Roma, 1594/1600 - Roma, 1630), vanto del Ticino e di Roma nel primo terzo del Seicento e tra i più rilevanti interpreti del Naturalismo. Pittore ignorato dai suoi contemporanei, viene riscoperto e rivalutato dalla critica del Novecento che, cogliendo la straordinaria qualità del suo lavoro, gli assegna finalmente il giusto posto nella costellazione dei più importanti pittori della storia dell'arte in Italia. Wilhelm Suida, lasciandosi ispirare dalla sua breve vita - morì poco più che trentenne -, lo paragona ad una luminosa meteora improvvisamente apparsa e troppo presto spentasi. Si deve però soprattutto al più grande storico dell'arte italiano del secolo passato, Roberto Longhi, il merito di averlo valorizzato come uno dei massimi rappresentanti del movimento caravaggesco definendolo "non soltanto il più forte pittore del Canton Ticino, ma uno dei maggiori di tutto il Seicento italiano" e innalzandolo al livello di Rembrandt e Soutine nella memorabile descrizione del San Pietro in meditazione, di proprietà della Pinacoteca Züst di Rancate. Ed è proprio quest'ultima a suggerire la prima mostra su Serodine del nuovo millennio, affiancando alla retrospettiva dell'artista, i dipinti dei suoi compagni di avventura figurativa, così da mostrare al pubblico come il fenomeno che oggi per semplificazione viene definito come 'naturalismo' avesse preso piede nelle terre prealpine più di quanto generalmente sino ad ora sospettato. Serodine sin da bambino seguì il padre a Roma, dove questi esercitava come stuccatore e, in segreto, come cambiavalute, attività che gli procurò un periodo di galera. Da giovane lavorò a fregi perduti per Palazzo Borghese e si andò formando sugli esempi del Merisi, del Borgianni e dei caravaggeschi olandesi, divenendo presto la figura più importante per la continuazione e l'accrescimento della tradizione nata sulle orme di Caravaggio. A 23 anni dipinse alcune pale d'altare di grandiosa qualità e ottenne la commissione per l'affresco dell'abside di Santa Maria della Concezione in Spoleto. Per la Basilica di San Lorenzo fuori le mura a Roma eseguì due pale (l'Elemosina di san Lorenzo è ospitata oggi nel Museo dell'Abbazia di Casamari, nel Frusinate), espressione di una personalissima cifra stilistica, che incorpora caratteri da Caravaggio ma anche dal Guercino e dai grandi fiamminghi. Improntate ad un mirabile luminismo, ma realizzate con una pennellata rapida e densa che quasi anticipa l'impressionismo, sono le opere della sua - se così può essere chiamata - maturità: capolavori sempre più misteriosi, antiretorici, vivaci. La sua pittura si fa materia intrisa di luce, vigorosa e incandescente. Poi, a stroncare una evoluzione tale da far presupporre esiti non meno originali, l'improvviso decesso nel 1630. Accanto alle opere di Serodine, comprensive di grandi 11 Cristo deriso. Sotto: San Pietro in meditazione tele soprattutto ticinesi mai esposte in occasioni pubbliche, si presentano in mostra dipinti di suoi contemporanei, che a lui in parte si avvicinano. Il ventaglio di opere selezionate tra lago d'Orta e lago di Como, toccando Ceresio e Verbano, mostra come pitture di impronta naturalistica avessero trovato accoglienza nella "Regione dei laghi" e per estensione nella zona prealpina tra Gozzano e Como. Alcuni artisti sono in qualche caso ancora in attesa di battesimo (eccellenti derivazioni precoci da originali del Caravaggio), altri rispondono, solo per citare degli esempi, ai nomi celeberrimi del Guercino, di Orazio Borgianni, Tanzio da Varallo, Giovanni Baglione, Domenico Fetti, Giuseppe Vermiglio, Matthias Stom, Hendrick ter Brugghen, Pietro Bernardi. Gli studi svolti in occasione della mostra offrono un quadro in parte inedito dell'ardua 'funzione Serodine' nell'ambito della pittura europea, all'interno dell'entusiasmante quindicennio 1615-30. La rassegna non offre beninteso risposte inequivocabili, quanto un nuovo possibile orientamento interpretativo per l'opera dell'inimitabile asconese, artista all'avanguardia e per questo eroicamente isolato. A cura di: Roberto Contini e Laura Damiani Cabrini, con la collaborazione di Simona Capelli Coordinamento scientifico e organizzativo: Mariangela Agliati Ruggia e Alessandra Brambilla Allestimento: Nomadesigners Catalogo: Silvana Editoriale Ufficio stampa: Studio ESSECI, Sergio Campagnolo www.ti.ch/zuest ITINERARIO I bagni dell'Alcazar La torre della Giralda creata su modello della Kutubiyya di Marrakech, con la Giralda in metallo che ruota con il vento città storica ricca di stratificazioni: Etruschi, Romani, Mori e ingegneria contemporanea Siviglia foto di Teresa Anghileri Mosaici romani in mostra ad Antiquarium, uno spazio di 4500mq. che mostra 1200 anni della storia di Siviglia sotto forma di frammenti architettonici e oggetti rinvenuti durante gli scavi della città 13 Dettagli del Parasol, struttura in acciaio progettata dallo studio J.Mayer H. Architects sulla quale si può camminre per una vista spettacolare della città La Cappella Reale (1575) all’interno della Cattedrale è coperta da una grande cupola rinascimentale creata su modello della cupola del Brunelleschi La Sala degli Ambasciatori in stile mudejar, è la stanza più lussuosa dell'Alcazar ed è sovrastata da una grande cupola dorata ornata di arabeschi del 1427 I ARCHITETTURA Vista d'insieme (foto Fabio Borile) Dimensione e numero piani: 1600 mc./piano interrato/ 3 piani fuori terra e sottotetto Committente: S.P.M COSTRUZIONE S.R.L. Progettista: arch. Fabio Borile Collaboratori: arch. Silvia Belloni, arch. Valentina Scanziani Strutture: arch. Fabio Borile, ing. Luigi Montanelli Direttore dei lavori: arch. Fabio Borile Impresa esecutrice: Edilporro S.R.L Anno di costruzione: 2009-2011 riqualificazione di un edificio anni '50 all'interno di un nuovo complesso residenziale recupero ed ampliamento a UsmateVelate a cura del progettista l complesso residenziale di via Battisti si colloca nel contesto urbanizzato centrale di Usmate e ospita quindici alloggi distribuiti su tre piani fuori terra e sottotetto per un totale di 1600 mc. I volumi dell'edificio, articolati sui tre livelli e con ritmi alternati, movimentano le facciate, dialogando con un contesto edilizio di due/tre piani e con l'edificio esistente, che viene integrato nel nuovo impianto. La soluzione progettuale recupera anziché demolire l'edificio esistente nel lotto, riqualificandolo dal punto di vista energetico e rinnovandone gli aspetti formali e stilistici. I rivestimenti esterni sono concepiti a fasce orizzontali partendo da un basamento comune in sasso di Credaro per finire con un intonaco chiaro posto all'ultimo livello.Le scelte progettuali hanno posto l'accento sul contenimento energetico dell'intero complesso residenziale, adottando soluzioni tecnologiche e costruttive che lo posizionano in classe "B". L'edificio si presenta con copertura a falda inclinata a orientamento alternato (interno/esterno del cortile); i volumi sono articolati e si sviluppano su due o tre livelli in alternanza, piano terra, primo e secondo. La struttura portante è in cemento armato gettato in loco. Per le murature esterne è stato utilizzato il blocco NormaTris S35 tamponamento e portante per l'ultimo piano, oltre ad un rivestimento in sasso di Credaro, spessore 10 cm. al solo piano terra. Tale scelta ha permesso di isolare completamente la struttura portante, eliminando completamente i ponti termici. In questo modo, il progetto ha potuto usufruire degli incentivi dati dalla legge regionale 33/2007, arrivando ad un miglioramento del fabbisogno energetico superiore al 25% e scomputando dal conteggio volumetrico lo spessore dei muri perimetrali esterni. I serramenti sono in legno lamellare di abete, tinta noce chiaro con persiane ad anta ripiegata "jolly" del medesimo materiale, vetro termocamera con trasmittanza media non superiore a 1,69 W/m2K. La struttura di copertura è costituita da travi in legno lamellare a vista con sovrastante cappotto termico a ventilazione naturale. Vista cortile interno (foto Fabio Borile) 15 Il manto di copertura è in tegole a doppia onda "romana" di colore bruno. Il sistema impiantistico prevede l'utilizzo di pannelli radianti a pavimento, pannelli solari per la produ-zione di acqua calda sanitaria ed il recupero delle acque piovane per utilizzi esterni. In senso orario: Fronte edificio esistente ristrutturato (foto Paolo Vercesi) Dettaglio fronte su Via Battisti (foto Paolo Vercesi) Particolare ingresso (foto Paolo Vercesi) Dettaglio rivestimento scala esistente (foto Paolo Vercesi) ARCHITETTURA La villa prima dell’intervento del progettista Livio Dell’Oro recupero sottotetto e riqualificazione generale. L'intervento evidenzia come la forza del contesto influenza la composizione architettonica villa sulla Rocca di Valmadrera a cura del progettista LÕ intenzione progettuale si è prefissa l'obiettivo di permettere la continuità delle sensazioni generate dal luogo in cui sorge l'edificio esistente, sia stando all'esterno, sui terrazzi, sia stando all'interno dei vani abitabili. L'approccio progettuale intendeva dare massima personalità al fabbricato esistente, ripulendolo di elementi "decorativi" quali cornici, pensiline ecc. e aggiungendo il nuovo piano, smaterializzandolo con l'uso di vetrate, che sottolineano il dialogo biunivoco tra gli spazi interni ed il contesto particolarmente poetico del paesaggio circostante. La semplicità della composizione architettonica, contiene al contempo un approfondito ed attento studio esecutivo. Infatti la modularità dello schema portante della copertura, che doveva anche interagire con la distribuzione interna, mantenendo una geometria regolare, non si integrava con gli elementi portanti della struttura esistente. Questo ha comportato la scelta di progettare un piano di appoggio slegato dalla geometria strutturale già in essere. La scelta delle forme regolari e simmetriche delle vetrate è stata dettata dal voler contrapporre le irregolarità e le asimmetrie del volume esistente, caratterizzandone l'immagine complessiva, e identificando quindi il nuovo edificio nel paesaggio con una visibilità ad ampio raggio. 17 ARCHITETTURA realizzata nel 2011-2012 in area paesaggistica rilevante, nella convalle lecchese residenza unifamigliare a Lecco a cura del progettista LÕ intervento progettuale consiste nell'andare a collocare una figura volumetricamente controllata in pianta e negli alzati con un elemento in evidenza come il corpo centrale tondeggiante sulla facciata a valle, soprastato da un elemento architettonico come l'altana. Compositivamente l'orientamento privilegiato è quello sud-nord, dove la facciata a nord è resa praticamente cieca, mente il prospetto sud ovest risulta quindi più articolato e ricco di aperture verso il paesaggio. L'immagine inizialmente ricercata era quella di un edificio che riportasse ad un immagine dell'edificato dei villini unifamiliari, che hanno nel passato contraddistinto il territorio della convalle lecchese. Il volume è controllato sia in pianta che negli alzati, e l'orientamento dell'edificio e la predisposizione ad avere una maggiore quantità di aperture sul lato maggiormente esposto al sole, sono scelte adottate nel rispetto di un maggiore risparmio energetico come previsto dall'attuale normativa. La tipologia unifamiliare si presta per una distribuzione avente la zona giorno al piano terra la zona notte al piano superiore e la zona servizi e box al piano seminterrato. L'ingresso alla residenza è a livello del soggiorno sulla facciata a valle, servito da scale esterne, che partono dalla rampa di accesso carrabile. Al piano del soggiorno sono individuati gli spazi per il locale della cucina e quello per un bagno di servizio e rimane privilegiata la vista sulla sottostante città di Lecco. Ai piani superiori vi è la zona notte caratterizzata da tre camere di cui una matrimoniale e due bagni. La matrimoniale ha godimento di un balcone nella parte centrale, mentre le altre due camere sono dotate di un piccolo balcone. L'accesso alla zona notte, avviene attraverso la scala interna posizionata sulla parete a monte, la quale permette anche di raggiungere il piano copertura. Quest'ultimo si presenta come un'ampia terrazza dallo scenario incantevole: vista dal gruppo delle Grigne verso la valle sino al contorno dei monti a chiusura del lago. Al piano interrato si trova invece un ampio locale con relativi spazi di servizio, direttamente collegato all'ampio spazio coperto adibito a posto auto. L'accesso carrabile infatti alla residenza si ha da Via ai Poggi con una rampa che porta direttamente ai box. Sul fianco della rampa si trova il cancello per l'accesso pedonale. L'edificio è circondato da area a verde organizzata a giardino, con percorsi pedonali definiti con superfici a pietra naturale su tutti i lati. Il progettista, Massimo Dell’Oro, ha previsto un utilizzo di materiali mirato alla ottimizzazione del risparmio energetico con l'appropriata coibentazione 19 della struttura muraria e l'utilizzo di superfici vetrate basso emissive e l'utilizzo di riscaldamento a pavimento e caldaia a condensazione. Per quanto riguarda i cromatismi, il rivestimento esterno delle parti murarie è in tinta azzurro chiaro, mentre la parte centrale tondeggiante è intonacata in bianco per esaltarne il volume, mentre le opere in ferro sono di colore grigio chiaro. I ARCHITETTURA n questo progetto si affronta un tema che è sempre più attuale nella nostra professione: la riqualificazione di un villino costruito negli anni 50, ridefinito e adattato nel 2012 alle nuove esigenze estetiche, funzionali e di risparmio energetico. La filosofia generale del progetto ha teso innanzitutto a semplificare l'immagine dell'edificio, operando riduzioni sia dal punto di vista volumetrico con la regolarizzazione del volume esterno in pianta e la semplificazione della falda del tetto ridotta ad unica pendenza, che nell'uso dei materiali impiegati; l'intonaco bianco, il legno multistrato a pannelli e l'alluminio preverniciato grigio. L'obiettivo di progetto è stato quello di ricomporre un volume che risultava disarticolato e scomposto, fatto di piccoli rientranze senza logica e misura, che è stato ricondotto innanzitutto ad una più precisa base quadra che corrisponde alla copertura ad unica falda. L'operazione successiva è stata quella di svuotare il volume in alcuni punti dove era necessario mantenere un maggior riparo, in corrispondenza dei rispettivi ingressi alle due abitazioni del piano rialzato e del piano seminterrato. L'involucro esterno delle pareti di facciata, che è stato cappottato termicamente con polistirene di 10 cm. finito ad intonaco fine lasciato di colore bianco, è normalmente applicato direttamente alle murature esistenti con colle e fissaggi meccanici puntuali. Nelle parti aggiunte a sbalzo la struttura di supporto a secco è composta da pannelli di cemento fibrorinforzato tipo acquapanel, rasato e finito con lo stesso intonaco del cappotto. I serramenti eistenti che avevano il caratteristico contorno in marmo serpentino verde scuro, sono stati mantenuti secondo una logica di evidenza della stratificazione costruttiva per cui si leggono in sequenza lo spessore della muratura, il nuovo cappotto e, dove previsto la testa amultistrato dei pannelli di rivestimento in legno. È nelle parti scavate, quasi "estratte" dal volume la riqualificazione di un villino degli anni 50 Tabiago a cura del progettista 21 prismatico esterno a base quadra, che si è deciso di porre in evidenza lo stacco con un materiale cromaticamente e matericamente diverso: pannellature di grandi dimensioni in legno multistrato sp. 15 mm.di okumè verniciato naturale applicate con viti in vista, su listoni opportunamente predisposti e fissati direttamente alla muratura esistente. Il lato est è stato coperto con uno sbalzo sviluppato sull'intera lunghezza, che al piano sottotetto serve da terrazzo per le due camere, protetto da pannellature in cristallo multistrato temperato fissate alla carpenteria di metallo della struttura dello sbalzo. La copertura del terrazzo mette in mostra la struttura della copertura in legno di abete lamellare che è stata costruita fuori opera e montata in pochi giorni, compresa la nuova gronda prefabbricata lasciata in vista con un profilo sagomato rastremato, tenuta staccata dal rivestimento esterno a cappotto termico, e le gronde arretrate in modo da conferire la necessaria leggerezza visiva. Lo strato a finire del manto di copertura è costituito da lamiera di alluminio preverniciato grigio piombo lavorata a doppia graffatura. Sono stati evitati torrini in copertura, optando per una soluzione a parete. PROGETTO E D.L.: IMPRESA: arch. Sergio Fumagalli Pioselli Costruzioni S.N.C. di Lambrugo (Co) CRONOLOGIA: Progetto 2010 Costruzione sett. 2011 - di. 2011 DATI DIMENSIONALI: Superfici piano sottotetto mq. 105 COSTO: 90.000 ¤ ARCHITETTURA Parte esterna che mette in evidenza le antiche murature ripristinate in pietra e mattone In basso: vista interna con in evidenza la struttura in acciaio della zona soppalcata; in primo piano un vecchio bancone da laboratorio riutilizzato come elemento di arredo realizzata nel 2011-2012 in area paesaggistica rilevante, nella convalle lecchese spazio espositivo a cura del progettista LÕ architetto Giovanni Rusconi è autore di un interessante intervento di restauro di una porzione dell'antica Fabbrica di Sali di Bario nel Comune di Calolziocorte. Per una delle aziende leader produttrice di radiatori con design ricercato l'architetto dà vita ad un importante ed elegante show-room. Esternamente, la vecchia costruzione, lasciata alla sua immagine originaria, non lascia trasparire nulla e consegna alle possenti murature in pietra e mattoni attentamente ripristinate la custodia del piccolo gioiello che l'Architetto ha creato al suo interno. Tutte le pareti interne sono state trattate mediante intervento di sabbiatura per ripristinare e riportare le pietre ed i mattoni allo stato naturale cosi come già stato eseguito su tutte le facciate esterne del corpo di fabbrica. Lo scopo dell'ammodernamento era quello di riqualificare gli ambienti affinché fossero adeguati, per livello di finiture e immagine, alla qualità dei prodotti della gamma Hit che Deltacalor produce e commercializza. Antico e moderno sono chiamati a definire uno spazio a-temporale, carico di significati, anticlassico e rituale al tempo stesso. L'attenzione riservata ai materiali e al loro impiego sostenibile, trova riscontro in questo progetto nella ecologia del gesto, nel senso della misura, nella sintesi, nella capacità di declinare la semplicità in spazi carichi di spiritualità, dove un ruolo di primo piano è giocato dall'alternarsi di legno, acciaio e pietra. Pietra, mattone, acciaio e legno dominano lo spazio: illuminazioni appropriate lo caratterizzano nei punti salienti. Per illuminazione si è scelto un prodotto altamente tecnologico e di eccellente resa quali Modello Marca Fosnova Tipo Cast con lampada a J.M. Design Stano e Bistacchi. Giovanni Rusconi nasce a Lecco nel 1965 si laurea in Architettura presso il Politecnico di Milano nel '92. Dopo aver collaborato con studi professionali e imprese di costruzioni come progettista - direttore lavori e tecnico di cantiere dal '94 esercita la libera professione a Lecco ma con esperienze lavorative in Italia e all'estero. [www.studioarchrusconi.com] 23 Scala interna in legno e acciaio Sotto a sinistra: lo spazio espositivo diventa luogo per convegni e rappresentazioni Sotto a destra: nuove capriate lignee sovrastano eleganti la nuova zona soppalcata 24 ARCHITETTURA intervento di restauro conservativo della torre campanaria della chiesa di S.Martino Mont'Introzzo a Sueglio (Lecco) la nuova vecchia torre a cura del progettista LÕ impostazione del lavoro ha perseguito il fine della conservazione, approccio ritenuto il più corretto per la trasmissibilità del bene architettonico in quanto si è proposto, di mantenere nei limiti del possibile i dati materiali che caratterizzano la fabbrica, i suoi caratteri stilistici storici e di formalizzazione figurativa. L'analisi materica ha facilitato la comprensione della struttura della torre campanaria ed ha orientato l'operatività ad utilizzare i materiali più idonei per salvaguardare e proteggere la fabbrica originaria del campanile. La fase analitica del degrado, intesa come diagnosi precisa dello stato di conservazione del manufatto, ha permesso di limitare l'intervento e di conservare "il sapore dell'antico, il sapore originario della torre campanaria". Il restauro operato dall’architetto Alessia Silvetti, è stato di tipo conservativo, si sono contenuti i margini dell'intervento che è stato puntuale e si è sviluppato essenzialmente sulle parti maggiormente danneggiate, per far durare nel tempo i materiali del manufatto rispettandoli e far svolgere al manufatto la sua funzione di esistere. L'intervento ha tenuto in considerazione le problematiche emerse nell'analisi del degrado, in quanto erano state previste lavorazione differenziate a seconda dell'esposizione più o meno incidente degli agenti atmosferici sui quattro prospetti. Si è teso a mantenere quanto più possibile le parti che ancora risultavano in grado di assolvere alla loro "funzione protettiva" o comunque non irrimediabilmente perdute. 25 ARCHITETTURA rottura degli schemi del linguaggio architettonico tradizionale in un'abitazione che sovrasta Bellano contemporaneo vista lago a cura dei progettisti LÕ orografia del lotto su cui insiste il fabbricato è caratterizzata da terreno di natura rocciosa con presenza di forti pendenze mitigate da una serie di terrazzamenti delimitati da murature in pietrame a secco. La progettazione Studio Rigamonti Architetti Associati (Lorenzo e Alessandro Rigamonti) ha dovuto tener conto pertanto di questa complessa conformazione morfologica, dovendo rapportare ed integrare i volumi del costruito con i fronti rocciosi della montagna. La costruzione si configura in un edificio residenziale privato composto da due volumi distinti sfalsati tra loro sia planimetricamente sia altimetricamente in cui si sviluppano due unità abitative principali ed un monolocale indipendente. La tipologia architettonica utilizzata per questa nuova costruzione si discosta in modo forte e netto dalle forme tradizionali presenti in loco, anch'esse via via non più rispondenti al linguaggio vernacolare che distingueva anticamente i borghi lacustri. Questa eterogeneità edilizia del contesto, caratterizzata da un'assenza di continuità architettonica da rispettare, ha orientato la progettazione all'uso di un linguaggio contemporaneo fatto di volumi ben definiti che compenetrandosi e sottraendosi in successione generano un gioco di pieni e vuoti che, dialogando tra loro, enfatizzano la purezza di linee dell'edificio. I volumi che definiscono i piani sottotetto con copertura inclinata a falda unica ma con orientamenti diversi creano anch'essi un gioco di arretramenti e aggetti rispetto alle facciate che, unitamente all'uso di materiali diversi, come il rivestimento del manto di copertura in zinco-titanio e quello delle pareti laterali in legno di cedro rosso, vengono percepiti come un ulteriore arricchimento compositivo, alleggerendo altresì la percezione visiva del costruito nella sua interezza. Il fabbricato è accessibile carrabilmente da monte ad una quota tale da indurre ad una disposizione planimetrica che prevede le autorimesse nel piano sottotetto con i piani abitativi sottostanti. Il fronte principale, con orientamento ovest/sudovest, è caratterizzato dall'utilizzo di ampie vetrate la cui scelta è stata certamente dettata dalla favorevole esposizione panoramica verso il paese sottostante ed il lago. Altre vetrate a tutt'altezza sono state poste ad angolo nel prospetto principale così da creare un effetto di smaterializzazione dei consistenti volumi trasmettendo una percezione di leggerezza all'intero fabbricato. A livello materico i prospetti sono stati trattati utilizzando di base, come nella migliore tradizione razionalista, un intonaco tinteggiato di bianco puro, alternando poi diverse tonalità di grigio e l'utilizzo del rivestimento in doghe di cedro rosso per enfatizzare gli aggetti e le rientranze che contraddistinguono i prospetti. I muri di base su cui poggiano i piani dell'edificio, così come le fioriere e i muri di contenimento antistanti, sono stati rivestiti utilizzando delle pietre 27 di Luserna (così simile alle variegate tonalità della pietra locale) di forma regolare posate a semi secco, giusto rimando alla tradizione antica dei muretti dei terrazzamenti realizzati a secco tipica dei versanti montani che circondano il lago. I serramenti sono stati realizzati in legno/alluminio con la colorazione esterna grigia che richiama al colore del manto di copertura. Fulcro e cerniera distributiva dell'intero edificio è il corpo scale esterno posto centralmente ai due volumi, il quale dipartendo dal cortile carrabile retrostante scende a servire i vari livelli fino ad arrivare allo spazio terrazzato sottostante. Il vano scale e i camminamenti sono stati pavimentati in lastre di pietra di colore grigio/azzurro. Una scenografica piscina a sfioro di forma trapezoidale, che sembra idealmente unirsi con la superficie del lago sullo sfondo, è circondata da un deck adibito a solarium pavimentato con doghe di legno. Gli spazi esterni della casa sono stati ricavati ricostruendo e consolidando la disposizione a terrazzamento preesistente la costruzione con l'impianto di un piccolo uliveto e la piantumazione di essenze ornamentali tipiche dei giardini del lago. Dal punto di vista tecnologico e impiantistico tutta la costruzione è stata improntata sulla piena sostenibilità ambientale e sull'utilizzo delle risorse energetiche rinnovabili. Particolare attenzione è stata rivolta all'isolamento dell'edificio, ottenuta utilizzando nelle murature perimetrali blocchi rettificati in laterizio alveolare di spessore cm 40 e la correzione dei ponti termici di pilastri, gronde, terrazzi e balconi con pannelli in polistirene. Il riscaldamento della casa è a pannelli radianti ed è ottenuto utilizzando un impianto a pompa di calore geotermica con l'esecuzione di 2 pozzi verticali di 130 metri di profondità ciascuno. Sulla copertura sono stati posizionati 6 collettori solari termici che integrano la produzione di acqua calda sanitaria e riscaldano la piscina durante i mesi estivi e 20 pannelli fotovoltaici per una potenza complessiva di 4,20 Kwp. Le unità abitative sono altresì dotate di un impianto di ventilazione meccanica controllata con recupero del calore, così da minimizzare le dispersioni energetiche durante i mesi invernali e aumentare il comfort interno durante l'intero arco dell'anno. L'impianto elettrico è dotato di un sistema domotico per la gestione coordinata centralizzata sia delle apparecchiature (termostati, antintrusione, video-sorveglianza, tende interne, video-citofono, controllo dei carichi) sia dell'illuminazione interna ed esterna realizzata in prevalenza a tecnologia a led. Un serbatoio di recupero dell'acqua piovana riutilizzata per l'irrigazione dei giardini e per gli sciacquoni dei wc completa la dotazione impiantistica di questa casa. Il fabbricato è certificato in classe energetica A. LÕ ARCHITETTURA Postazioni temporanee intervento di ristrutturazione a cura dello studio venti3novecento (Studio Tecnico Associato Annoni Colombo Molteni) per la realizzazione della propria sede, ha trasformato un magazzino in laboratorio di idee. Spazialmente caratterizzato da metratura ridotta, circa 50 metri quadrati, la nuova soluzione presenta tutte le funzioni dello studio di architettura garantendo la possibilità a più professionisti di lavorare e collaborare contemporaneamente. Con l'intento di creare un "open" ne nasce una soluzione razionale che pur mantenendo la possibilità del progettare in gruppo, grazie all'ampio piano con postazioni in linea, attribuisce all'ambiente ordine e armonia. L'ufficio ruota attorno all'area operativa che si colloca come un monolite in centro al locale ed è costituita da unico bancone interamente realizzato in legno con affaccio sui due lati lunghi e diviso da una parete attrezzata che nasconde ai visitatori e ai clienti il tavolo di lavoro. La parte a vista del bancone è studiata per lavorare ad altezze diverse; più alta rispetto alle postazioni standard risulta infatti impiegabile per diverse funzioni. Una panca divide le due postazioni temporanee e, affacciandosi sulla porta d'ingresso, funge da piccolo spazio accoglienza clienti, arricchito, nel periodo invernale, anche dal calore della fiamma. A terminare l'ambiente open vediamo collocato sulla parete opposta alla sala riunioni un sistema scorrevole a doghe orizzontali che scherma il centro stampa e i servizi. L'ambiente è rilassante con predominanza di legno naturale in essenza di larice, inserti in rovere e pannelli in betulla unicamente trattati con turapori in colore bianco e oli protettivi naturali. Il taglio orizzontale della doga, abbinato all'orizzontalità del bancone, contribuisce ad aumentare la sensazione di spazialità, mentre continuità cromatica tra corpi illuminanti, pareti, soffitto e pavimento esclusivamente in tono di grigio danno risalto all'eleganza del legno chiaro e alle sue linee decise dettate da tagli netti e spigolosi. Unico elemento illuminato è il bancone, al progettista è garantita un'illuminazione ottimale di luce diffusa. progettare nell’open di legno studio venti3 novecento a cura dei progettisti Porta d'ingresso Ingresso 29 Postazioni fisse Location: Proprietà: Progetto: Sito: Foto: Lecco (LC), via Cairoli 69 F.lli Butta Alberto e Mariateresa Studio venti3novecento www.venti3novecento.it Foto Ottica Peverelli - Lecco Banco, vista frontale ARCHITETTURA Costo dell'intervento, compresa le opere di sistemazione della scuola materna e del locale della banda musicale nell'interrato, ¤. 250.000,00 Esecuzione agosto 2010 / 2011 l'architetto Diego Toluzzo amplia l'attuale asilo con una sezione anche per lattanti asilo nido a Carate Brianza a cura del progettista A l fine di poter consentire eventuale ampliamento e chiusura della sagoma a "croce" dell'edificio scolastico con una ulteriore sezione/aula si è dovuto procedere pensando l'ampliamento per la nuova sezione "lattanti" nella parte retrostante del fabbricato. La sagoma perimetrale, le aperture, la scala di sicurezza all'interrato hanno ridotto gli spazi utili per un dimensionamento "regolare" dell'ampliamento. Si è pensato quindi di dare a questa nuova sezione la forma del "nido" a richiamo dell'uso stesso nonché dell'immagine che tale oggetto può avere se riferito a corpo edilizio. Il dimensionamento degli spazi avviene quindi per i 6/8 max bimbi (lattanti) con individuazione di: - corridoio di collegamento alla zona interna di gioco - servizio igienico con sanitari - piccolo scaldavivande (latte, etc.) - spazio ad aula/sezione lattanti con al suo interno zona riposo "sonno". La sagoma non occupa totalmente il cortiletto e garantisce l'esodo antincendio e di sicurezza consentendo che la attuale apertura abbia sfogo con passaggio da mt. 1,50. Dall'interrato vi è diretto sfogo con le aree esterne tramite la scala esistente. Si ha un totale di superficie coperta pari a mq. 89,10 e netta di mq. 73,00 mentre a livello di standards/utili per bimbo si hanno mq. 9,12/bimbo (nel caso di 8 nuovi posti). Ciò in ottemperanza delle Delibere Regionali: - G.R. n° 54/3346 del 08/06/1975 - G.R. n° 77/3869 del 07/07/1976. ove si richiede venga garantita una superficie utile/bambino pari a mq. 6,00, con un numero di lattanti pari ad 1/5 dei presenti nell'asilo nido. La soluzione permette di mantenere per il 35% la superficie per servizi generali e gli spazi interni, per bambini superiori ad un anno, che resteranno articolati così come sono. L'ampliamento avviene con una struttura ad un piano fuori terra con fondazione a trave rovescia e murature verticali portanti e con copertura lignea isolata con finitura a verde con sedum al fine della compatibilità bioecologica. Le facciate esterne e la copertura saranno quindi interamente rivestite a verde e la sottostante struttura sarà completamente lignea. Quest'ultima è struttura leggera e semplice che non ha necessità di verifiche di portanza. I tamponamenti sono stati realizzati con: - cartongesso isolato - muro poroton - doppio sughero esterno - intonacatura esterna - rete metallica finale con graticcio su cui vi sono i rampicanti. 31 LÕ RASSEGNE architetto londinese David Chipperfield, direttore della Biennale di quest'anno, ha fatto scrivere in grandi lettere sulla parete d'ingresso l'auspicio per il nostro futuro professionale: L’architettura non avviene per caso, è una coincidenza di forze, una cospirazione di requisiti, aspettative, regole e, si spera, di visioni. Richiede collaborazione ed il suo successo dipende dalla qualità di questa collaborazione. Questa partecipazione non coinvolge solo i professionisti ma si attua anche con la società, tra chi commissiona, regolamenta e soprattutto abita i nostri edifici e le città. Ho invitato i miei colleghi ad esaminare ciò che ci accomuna piuttosto che quel che ci distingue gli uni dagli altri, e così facendo a dimostrare che la qualità dell’architettura dipende da valori, sforzi e visioni comuni. Non dobbiamo dimenticare che nel progettare il nostro futuro costruiamo sempre su ciò che è venuto prima. Il tema della Biennale era una provocazione quindi, rivolta ai colleghi affinché dimostrassero il loro impegno in questi valori comuni e condivisi; li incitava ad abbandonare la presentazione monografica della loro opera per mirare invece a un ritratto delle collaborazioni e affinità presenti dietro al proprio lavoro per trovare un valore collettivo dell'architettura: L'ultimo catwalk dei grandi studi Giardini padiglione Venezuela “Common Ground”, era il titolo la 13° Mostra di Architettura Internazionale a Venezia, e si può tradurre in lingua italiana con il termine “Filo Comune” o meglio “Bene Comune” Purtroppo non tutti sono riusciti a riflettere fino in fondo questo auspicio. L'anglosassone-iraniano Zaha Hadid, per esempio: nel capannone dell'Arsenale sorgeva il suo bouquet di fiori in acciaio. Sovradimensionato, specchiante all'interno, quasi ecclettico. Pare che l'opera "arum" non avesse nessun'altro valore. Rappresentava se stessa, e l'ideologia dell'architetto creatore, che dagli anni novanta vede il futuro dell'architettura come esercizio formale-creativo dei processi generati al computer. Anche la sala dello studio di Herzog e de Meuron era un manifesto di autocelebrazione, o meglio, autocritica: due gigantesci plastici di lavoro della loro “Elbphilharmonie” ad Amburgo, contornati da un impressionante numero di articoli dei giornali, testimoni del processo cantieristico, quale avviene tuttora a singhiozzo, con costi di costruzione oramai quadriArsenale Zaha Hadid -Arum- installazione in lamiere di acciaio AAA cercasi filo comune di Thore Schaier 33 Arsenale, Urban think tank Giardini, padiglione tedesco plicati, senza speranza che il cantiere finirà anche nelle stime più ottimistiche di tempistica. In un'altra sala, i plastici proposti dallo studio dell'architetto berlinese Hans Kollhoff, i quali erano, per dirla tutta, in maggior parte tesi di laurea dei suoi studenti, dimostravano l'effetto luce-ombra che si va a creare intorno ai dettagli delle sue facciate. A primo colpo sembravano modelli di edifici già esistenti dell'ottocento. Poco modesto come d'abitudine, l'architetto propapagava il suo personale punto di vista della città ideale: in stile classico, come se il progresso nel campo della costruzione, e quindi il cambiamento di linguaggio non fosse mai avvenuto negli ultimi 100 anni della storia dell'architettura. Kollhoff, un vero esperto per viaggi nel tempo mal riusciti. Mentre gli studi grandi quindi hanno utilizzato la Biennale come vetrina di vendita, a prendere in mano la pala sono stati invece gli studi piccoli. Per esempio le immagini quasi a scelta casuale ma significativa, disposte su un grande tavolo bianco, dallo svizzero Valerio Olgati. Oppure il padiglione polacco, senza arredo, con solo contropareti intonacate di color grigio ed un pavimento di parquet in pendenza, quasi impercipibile, che ci obbligava a camminare cauti, passo per passo, contemporaneamente irritati dai rumori trasmessi dagli altoparlanti a soffitto che super-amplificavano gli scricchiolii che emetteva la struttura. Il padiglione tedesco, quale con l'appello “reduce, reuse, recycle” ci ha regalato una bellissima mostra (fotografica) dentro la mostra (di architettura), su alcuni piccoli progetti di ristrutturazione sostenibile. Non per ultimo il padiglione allestito di Urban Think Tank. Presentava la documentazione fotografica di un gigantesco palazzo nella città di Caracas nel Venezuela, abbandonato dagli investitori e mai finito nel suo complesso, e successivamente occupato da delle famiglie disperate, senza tetto, che si organizzavano in una società spontanea ma funzionante, per crearne una nuova realtà inaspettata, senza architetto(!). Una specie di "slum verticale". Un'ottimo esempio di progettazione dal basso. Ovvio, che, dopo la vincita del Leone d'Oro per il migliore lavoro individuale, la stampa venezuelana era parecchio irritata: come è possibile far vedere (ed addirittura a premiare alla mostra più importante del mondo per l'architettura) proprio lo scempio e la vergogna urbana? Ottimi panini, comunque, in questo Bar nell'Arsenale. Percorrendo i padiglioni, si trovavano anche degli esempi di buona progettazione dall'alto, però. La Arsenale, Grande Sala nella Elbphilharmonie a Hamburg di H&dM Giardini, Peter Eisenman, Piranesi variations I grandi studi hanno sbagliato obiettivo, quindi? Tendenzialmente si, ci sono cascati. Chipperfield ha lasciato mano libera, e si sono persi in elogi autoriflettenti, con la pretesa che proprio l'attuale progetto più grande, più giocoso, e comunque quello più forte, rappresentasse un "common ground" da rendere pubblico. Questa Biennale in effetti, ha reso ancora più ovvia una caratteristica della quale noi architetti soffriamo (da quando Le Corbusier si è comprato i suoi occhiali rotondi neri): il nostro forte bisogno di auto-rappresentazione. We are the world, we are small studios 34 Arsenale, padiglione RPCinese Arsenale, Hans Kollhoff, plastici in creta Giardini, padiglione Olanda Biennale di quest'anno oramai si sono chiuse. Il caleidoscopio colorato della Biennale a Venezia, ha fatto recepire soprattutto una cosa importante: La crisi richiede un cambiamento culturale anche nell'architettura. Non sono più richiesti dei progetti clamorosi ed individuali, ma bensì progetti condivisi, anche se di natura modesta perchè a rendere futuribile l'architettura non è l'artefatto in sè, ma il cittadino stesso che lo riempie di vita. Giardini, padiglione polacco piazza coperta al piano terra della Honkong Bank HQ di Norman Foster viene trasformata tutte domeniche in un "salotto" da operai filippini, ospiti temporanei nella metropoli. Si mangia insieme, si gioca, e si legge il giornale sdraiato sui divanetti improvvisati in cartone. Il mattino dopo, la magia è sparita, e l'edificio torna a svolgere la sua funzione di cerniera per l'alta finanza internazionale. Che cosa rimane di noi architetti? L'altra installazione di Foster, nell'Arsenale, proietta l'eredità architettonica su pareti e pavimento. I nomi dei progettisti appaiono e scompaiono. Si percepiscono solo per alcuni instanti, fino al preciso momento in cui i cittadini si appropriano delle loro idee e rendono vitali i loro progetti. Questo, l'appello per uno spazio urbano forte, e mi auguro che sopravviva nonostante che le porte della Post scriptum: colpo di scena per la nomina del curatore della Biennale n°14 nel 2014: nominato l'olandese Rem Koolhaas, architetto di avanguardia, grande provocatore di riflessione sull'architettura sperimentale, anche in scala urbana. Con questa scelta, la città di Venezia si conferma per l'ennesima volta come importante fulcro della ricerca nel campo dell'architettura mondiale? Arsenale, ingresso