notes 27/2013 - Ordine degli Architetti di LECCO

il giornale degli architetti della provincia di lecco
febbraio13
nuovo marchio per la fondazione
incontro illuminante
biennale 2012
a tu per tu con la cittˆ di Lecco
Serodine
Siviglia
recupero ed ampliamento a Usmate-Velate
n tes
villa sulla Rocca di Valmadrera
residenza unifamigliare a Lecco
Tabiago
spazio espositivo
la nuova vecchia torre
contemporaneo vista lago
studio venti3 novecento
asilo nido a Carate Brianza
AAA cercasi filo comune
febbraio13
editore
Ordine degli Architetti, Pianificatori, Paesaggisti e
Conservatori della provincia di Lecco
direttore responsabile
Ferruccio Favaron
direttore editoriale
Tiziana Lorenzelli
Ordine degli architetti, pianificatori, paesaggisti e
conservatori della provincia di Lecco
CONSIGLIO DELL'ORDINE
coordinamento editoriale
Guido De Novellis
PRESIDENTE
M. Elisabetta Ripamonti
redazione
Elisabetta Gheza, bioarchitettura
Enrico Castelnuovo, Patrik Spreafico, commissione
giovani
Diego Toluzzo, normative
Alessandro Ubertazzi, Eugenio Guglielmi, cultura
SEGRETARIO
Marco Pogliani
TESORIERE
Vincenzo Daniele Spreafico
progetto grafico e impaginazione
Daniela Fioroni
CONSIGLIERI
Davide Bergna
Favio Cattaneo
Alfredo Combi
Enrico Castelnuovo
Guido De Novellis
Carol Monticelli
Paolo Rughetto
Diego Toluzzo
Via Roma, 28 - 23900 LECCO
tel 0341 287130 - fax 0341 287034
[email protected]
www.ordinearchitettilecco.it
Via Roma, 28 - 23900 LECCO
tel 0341 287130 - fax 0341 287034
notes on-line:
www.ordinearchitettilecco.it
Gli articoli firmati esprimono solo l’opinione dell’autore. Non impegnano l’editore né la redazione.
copertina: particolare di una delle lampade di Issey Miyake
NOTES - n. 27 /febbraio 2013
Tariffa a regime libero: Poste Italiane Spa
Spedizione in A.P. - 70% DCB Lecco;
Iscr. Tribunale di Lecco n. 12/03
Reg. Giorn. e Periodici del 1/10/2003
il giornale degli architetti della provincia di lecco
segreteria e pubblicitˆ
Attilia Gerosa
n tes
n tes
indice
3 nuovo marchio per la fondazione
a cura della redazione
4 incontro illuminante
di Tiziana Lorenzelli
7 biennale 2012
di Ferruccio Favaron
8 a tu per tu con la cittˆ di Lecco
di Eugenio Guglielmi
10 Serodine
a cura della redazione
12 Siviglia
foto di Teresa Anghileri
14 recupero ed ampliamento
a Usmate-Velate
a cura del progettista
16 villa sulla Rocca di Valmadrera
a cura del progettista
18 residenza unifamigliare a Lecco
a cura del progettista
20 Tabiago
a cura del progettista
23 spazio espositivo
a cura del progettista
24 la nuova vecchia torre
a cura del progettista
26 contemporaneo vista lago
a cura dei progettisti
28 studio venti3 novecento
a cura dei progettisti
30 asilo nido a Carate Brianza
a cura del progettista
32 AAA cercasi filo comune
di Thore Schaier
Dopo dieci anni la rivista Notes con il primo numero del 2013 passa al formato
digitale, i contenuti rimangono quelli di attenzione al nostro territorio e ai
temi dell'architettura. In una veste diversa la rivista continuerà a spaziare dai
temi della mobilità a quelli del design, dalle nuove forme dell'abitare alla
rigenerazione urbana, dal recupero dei centri storici alla smart city, dall'innovazione tecnologica alle svariate forme artistiche. In occasione di questo
momento di passaggio consentitemi di rivolgere un ringraziamento a tutta
la redazione per la passione e competenza dimostrata nel corso degli anni.
Nel cambiamento dei modi di comunicare anche la rivista AL Architetti
Lombardi conclude la sua lunga storia editoriale in formato cartaceo per
essere letta da computer e tablet. Se i giovani colleghi apprezzano una modalità
comunicativa più snella, capace di illustrare in tempo reale novità, stimolare
riflessioni su problemi di grande attualità, i più affezionati alla carta si
convertono alla lettura on line di riviste e quotidiani
Il lavoro dell'architetto muta con straordinaria velocità insieme alla suo
strumento di comunicazione, ma la responsabilità sociale anche di dar voce
ai propri intenti rimane immutata e sempre più doverosa.
Gli sclerotici dibattiti politici di queste settimane ci avvolgono in un frastuono
di promesse e di programmi fotocopia. Sembra che nessun partito abbia più
una vera identità; i candidati rincorrono poltrone appiattiti in logiche falsamente
deputate al bene comune.
E gli architetti cosa fanno? Propongono manifesti, elencano necessità, gridano
forte il bisogno di razionalizzazione del contesto normativo, d'incentivazione
per interventi edilizi e urbanistici virtuosi. In occasione della Giornata delle
Professioni del prossimo 19 febbraio, insieme ad altre categorie professionali,
gli architetti incontreranno i candidati alle prossime elezioni chiedendo loro
impegno nell'attuare processi di cambiamento sul nostro territorio. L'invito
è passare dalla logica della mera produttività e profitto alla ricerca della qualità
dell'abitare, operando adeguatamente per prevenire le emergenze sul territorio.
Se alla politica non all'altezza, boriosa e insolente rivolgiamo l'appello di farsi
da parte è con coscienza civica e con l'ottimismo di chi ancora crede che ci
possano essere figure valide e capaci che eserciteremo il diritto di un voto
di cittadini e professionisti.
Chiediamo ai candidati coraggio nelle decisioni, semplificazione delle procedure,
attivazione di nuove risorse economiche, politiche urbane e territoriali a favore
di una progettualità intelligente, benefici a chi ha il coraggio di riqualificare.
Chi ci ascolterà? Chi cambierà un sistema politico che destabilizza anziché
governare conducendoci fuori da questo assurdo pantano di burocratizzazione,
di inutili e farraginose leggi in contrasto tra loro? Ma si rende conto il
legislatore del pericolo di attuazione di determinate normative? Porto ad
esempio la spinosa questione dei PGT.
La Legge Regionale 24 dicembre 2012 n. 21 modifica l'art.25 della L.R.
12/2005 precisando che gli strumenti comunali vigenti conservano efficacia
fino all'approvazione dei PGT e comunque non oltre la data del 31 dicembre
2012. Nei comuni in ritardo sforniti di strumenti urbanistici, perché il PGT
non c'è ancora e il PRG non c'è più, sono consentiti ai sensi dell'art. 9 (attività
edilizia in assenza di pianificazione urbanistica) del Testo Unico n. 380/2001
sole manutenzioni, restauro e risanamento conservativo e irrisori interventi
fuori dal perimetro dei centri abitati. Ma la legge regionale contrasta la Legge
Urbanistica Nazionale 1150/42 che, in merito alla validità dei PRG, all'art.11,
dà ai PRG "valore a tempo indeterminato". Sguazzando nella libertà concessa
al legislatore alle regioni la nostra è responsabile di un vero e proprio delirio
dell'urbanistica. Ci si domanda se, tenuto conto delle gerarchie legislative,
1
2
una legge regionale possa decretare la decadenza di un PRG.
E, mentre le città più grandi hanno la grave responsabilità di non aver gestito
la questione urbanistica, ai comuni lombardi minori (il 70% del totale) per i
quali il PGT è risultato complicato e costoso, è in parte concessa l'attenuante
di non essere sufficientemente attrezzati per rispondere alla macchinosa
logica della pianificazione territoriale nel nostro paese.
Conosce questa politica inadeguata, bolsa, arrogante il danno provocato al
comparto edilizio della nostra regione? Ma non bastava per i comuni al di
sotto dei 5.000 abitanti un piano regolatore (che regola appunto) anziché un
piano di governo del territorio? Ma cosa si è governato nella nostra provincia
e in tutte quelle lombarde, quale visione comune si è attuata? Attendiamo
fiduciosi un cambio della guardia in regione che affronti con lungimiranza e
vera pianificazione questi temi.
Altro esempio di malgoverno è l'insensata modalità con la quale si organizzano
bandi di concorso. Anziché essere vera occasione per giovani (e meno giovani)
talenti si rivelano l'assurda pantomima con la quale si assegnano premi e
progetti, destinati a cambiare il volto d'intere città, solo a coloro i quali
possono vantare fatturati da capogiro. Uno studio di settore commissionato
dal consiglio degli architetti in Europa fotografa un panorama di studi
professionale allarmante. In Italia il 90% degli studi è costituito da un unico
professionista (in Europa il 67%), pertanto ben lontano dai requisiti richiesti
per la partecipazione ai concorsi pubblici di notevole rilevanza. In una perversa
collusione nel sistema imprenditoriale si premia solo e soltanto il peso economico e non la genialità, unica arma in grado di portare a veri cambiamenti.
L'indagine europea dimostra, infatti, come tra i 536.000 architetti europei (di
cui 147.000 in Italia) solo gli studi di grandi dimensioni abbiano avuto
incrementi di reddito a fronte di guadagni medi scesi principalmente per gli
studi costituiti dall'unico titolare.
Ma in un momento di ancora drammatica difficoltà economica e di assenza
di regole chiare e precise non ci spaventi il futuro perché ancora dobbiamo
scriverlo. Siamo architetti, immaginiamolo, disegniamolo per le nostre città
con la stessa creatività che mettiamo nei nostri progetti. Facciamolo ora con
il coraggio, non quello di chi non ha paura ma di chi l'affronta, di chi non
teme il cambiamento.
Con tenacia e talento cominciamo dai nostri edifici, mettiamoli in sicurezza,
abbattiamoli senza nasconderci dietro il falso rispetto di decrepiti fantasmi.
Valorizziamo il nostro patrimonio culturale come elemento di forza e contestualmente rinnoviamo spazi, anche minimi, dimostrando cosa sia bellezza
e comfort nel rispetto dell'emergenza ecologica. Più che di nuove strade o
di nuovi edifici (intendo quelli che occupano altro suolo) abbiamo bisogno
di nuove idee per reinventare spazi collettivi, per dare un senso a quelli che
un tempo erano i centri della nostra provincia e che ora sono "vuoti da
riempire".
M. Elisabetta Ripamonti
I
CONCORSO
1° classificato Augusto Colombo
fondazione dell’Ordine
degli Architetti PPC
della Provincia di Lecco
nuovo
marchio per
la fondazione
a cura della redazione
l 5 Dicembre 2012, si è riunita la Commissione
Giudicatrice del logo per la Fondazione Architetti
PPC Lecco, costituita dal presidente dell’Ordine
Architetti PPC Lecco Elisabetta Ripamonti, dal
Direttore di Notes Tiziana Lorenzelli e dal Grafico
Giorgio Pirovano.
Alle ore 8.30 si è dato avvio all’apertura anonima
delle 26 buste pervenuteci, le cui proposte sono
state ritenute tutte attinenti.
Dopo un’accurata analisi iniziale, nella quale si è
presa visione degli elaborati grafici e delle relative
relazioni, si è giunti ad una prima selezione che
ha individuato alcuni progetti meritevoli di maggiore
attenzione.
Tra questi all’unanimità è stata scelta la proposta
protocollata al n. 270, perchè giudicata la più
rispondente ai parametri richiesti dal bando.
Considerato il particolare impegno dimostrato da
altri due candidati, rispettivamente il n. 283 e il n.
286 di protocollo, si è deciso di menzionarli assegnando loro il secondo e terzo posto.
Per quanto riguarda le motivazioni che ci hanno
spinto alla scelta del progetto vincitore, il primo
elemento di valutazione ha riguardato: l’efficacia
comunicativa, l’impatto visivo, la versatilità considerando le diverse applicazioni.
Il logo vincitore si legge in maniera immediata,
chiara e unitaria, la parte grafica può facilmente
essere scorporata da quella scritta.
Dal punto di vista dei contenuti il logo prescelto
rispecchia l’identità della Fondazione dei professionisti in oggetto, connotata da uno stretto legame
con gli elementi grafici.
Concordiamo inoltre che l’uso del colore rosso in
particolare conferisce forza all’immagine complessiva.
Ultimata la fase di valutazione sono stati individuati
i nominativi riferiti ai numeri di protocollo:
1° classificato Augusto Colombo
a cui andrà il premio assegnato con attestato
2° classificato Daniela Fioroni
a cui andrà un attestato della Fondazione Architetti
3° classificato Antonella Sala
a cui andrà un attestato della Fondazione Architetti
La giuria
Arch. Elisabetta Ripamonti
Arch. Tiziana Lorenzelli
Sig. Giorgio Pirovano
2° classificato Daniela Fioroni
3°classificato, Antonella Sala
3
L
INCONTRI
L’Ing. Ernesto Gismondi
il Patron di Artemide
Ernesto Gismondi si racconta
agli Architetti di Lecco
o scorso lunedì 4 febbraio nello show room di
È Luce di Valmadrera si è svolto un evento memorabile per gli architetti lecchesi che hanno potuto
assistere ad una lezione ad hoc tenuta dallo storico
fondatore di una delle più importanti aziende mondiali
in campo illuminotecnico. Ernesto Gismondi, assieme alla moglie architetto Carlotta de Bevilacqua
hanno tenuto col fiato sospeso per due ore l’anima
progettuale di ben tre ordini di professionisti di
Sondrio, Monza e Lecco appunto.
Spunto della serata, organizzata da Giuditta e Gianni
Ronchetti con il Presidente Architetti Lecco Elisabetta
Ripamonti, la presentazione delle spettacolari lampade progettate dal genio creativo dello stilista
giapponese Issey Miyake, realizzate con plastica
riciclata trasformata in fibra e con il supporto del
laboratorio progettuale del celeberrimo MIT, che è
riuscito con formule matematiche a sviluppare
geometrie autoportanti in grado di sostenere e
modellare il tessuto senza l’ausilio di strutture
interne. ”Sono andato a trovare Miyake per acquistare un abito per mia moglie e sono rimasto colpito
da un prototipo di lampada nello studio; da qui è
nata la collezione che presentiamo in anteprima,
un riuscito incontro tra Arte e Moda” racconta
Gismondi, che ci illustra come è nata l’azienda: “Ho
iniziato l’avventura di Artemide, che all’inizio si
chiamava Studio Artemide, con Sergio Mazza, mio
coetaneo e architetto, che ha disegnato la prima
lampada nel 1959, la Alfa. In cinquant’anni di attività,
si sono man mano aggiunti altri architetti italiani
che all’epoca stavano cambiando l’Italia e che hanno
contribuito a fare dell’azienda quello che è oggi.
Giò Ponti ad esempio strava progettando il Grattacielo Pirelli e ha disegnato per noi la Fato. Enzo
Mari ha progettato la Polluce del 1965. Nel 1967
Magistretti ha ideato la Eclisse che ha vinto il
Compasso d’Oro ed è esposta in tutti i musei di
design nel mondo, e due anni dopo la Selene, tra
le prime sedute in plastica, e uno dei prodotti di
design più venduti al mondo. Ma abbiamo avuto
anche Gae Aulenti, Frattini con il Megaron del 1979
che è ancora in catalogo oggi, come tra l’altro la
incontro
illuminante
di Tiziana Lorenzelli
Lo show room È Luce con le lampade di Issey Miyake
5
L’arch. Carlotta de Bevilacqua illustra
la lampada Copernico da lei progettata
con Paolo Dell’Elce
L’ing. Ernesto Gismondi e l’arch. Carlotta de Bevilacqua comunicano la storia dell’azienda
maggior parte delle lampade di Artemide, che
produce oggetti destinati a durare nel tempo e quindi
garantisce i pezzi di ricambio per decenni. La Tizio
di Richard Sapper del 1972 è la prima lampada
alimentata senza fili, che utilizza la bassa tensione;
ha vinto il Compasso d’Oro, e la troviamo nei musei.
Tra gli altri grandi designer cito Ettore Sottsass, con
cui nel 1981 abbiamo fondato Memphis; lavoravamo
molto bene insieme, la sua lampada Callimaco è
venduta ancor oggi ed è rimasta invariata. Anche
la Tolomeo di Michele Lucchi del 1985, che oggi
funziona a LED, è stato un prodotto vincente, ancor
oggi ne vendiamo 500.000 all’anno. (Il LED ha
cambiato la storia dell’illuminazione. Oggi l’80 %
del nostro catalogo si basa sulla luce LED. )
Calatrava ha disegnato per noi una lampada che
ricorda la torre progettata per le olimpiadi del 1992;
Herzog e De Meuron non volevano mettere a catalogo la loro lampada Pipe, noi li abbiamo convinti
e nel 2004 ha vinto il Compasso d’Oro; si tratta di
una lampada speciale con il 98% di efficienza
luminosa e la possibilità di muovere la fonte di luce
nello spazio. Ross Lovegrove ha creato il Solar Tree,
che illumina caricandosi di giorno con la luce solare
e che abbiamo regalato al Comune di Milano per
la nuova piazza intitolata a Gae Aulenti nella zona
di Porta Nuova.
Per concludere, la prima mossa di Artemide è stata
quella di coinvolgere i grandi architetti, la seconda
mossa è stata quella di potenziare l’esportazione,
che ci ha portato a creare 17 società nel mondo,
infatti anche oggi, in un periodo di crisi, riusciamo
a vendere bene grazie alla rete importante di distribuzione. Ma tutto quello che siamo riusciti a fare è
il frutto della collaborazione con i progettisti.”
L’architetto Carlotta de Bevilacqua, tra l’altro presi-
Il responsabile dell’ufficio tecnico
di Artemide
dente di Danese, prosegue e racconta: “Negli anni
’90, con il progetto Artemide Human Light, è cambiato il modo di intendere la luce; in quegli anni la
campagna pubblicitaria con la foto di un neonato
urlante citava: “La vita sarà migliore con la luce
giusta”. Il pianeta è il centro del progetto, ecoefficacia
non significa riparare a un errore progettuale, ma
pensare a monte alle conseguenze di ogni scelta,
al costo di impatto per il pianeta; un progetto geniale
come quello di Miyake ad esempio, che è realizzato
con materiale riciclato, leggerissimo, pieghevole
con un ingombro minimo, di per sè riduce enormemente i costi di stoccaggio e di trasporto e l’impatto
conseguente sul pianeta. Con il progetto Metamorfosi, abbiamo iniziato a lavorare sull’idea della luce
che cura, e abbiamo brevettato il primo sistema di
luci e colori con diversi scenari che influiscono sugli
stati d’animo. Nella stessa direzione hanno proseguito i progetti A.l.s.o. e My White Light. Recentemente Artemide ha donato un sistema di illuminazione ragionato alla Fondazione TOG, per bambini
con disturbi neurofisiologici, ottenendo brillanti
conferme della potenzialità curative della luce. Per
concludere vorrei citare un progetto innovativo ed
efficace che abbiamo pensato proprio per gli architetti, il TCO, Total Cost of Ownership, uno strumento
di calcolo di ultima generazione che aiuta nella
scelta di soluzioni di controllo della luce e degli
impianti, che garantisce un consumo mirato delle
risorse energetiche, basandosi su dati fissi e variabili
come l’affluenza umana negli spazi.”
Una lezione di responsabilità rivolta a chi produce,
chi progetta ma anche a chi acquista e utilizza la
luce, perchè oggi imparare a spegnere la lampadina
come raccomandavano i nostri nonni è già molto,
ma non basta più.
6
Arsenale Eric Parry Architects, Biennale di Venezia
(foto di Thore Schaier)
RASSEGNE
7
D
biennale
2012
a cura di Ferruccio Favaron
omenica 25 novembre si è chiusa la 13ª Mostra
Internazionale di Architettura presso la Biennale
di Venezia, edizione curata da David Chipperfield
che dal 29 agosto scorso, ha richiamato all'Arsenale
e nei Padiglioni dei Giardini oltre 178.000 visitatori,
di cui il 48% circa costituito da giovani e studenti,
a dimostrazione della rilevanza formativa che la
manifestazione sta assumendo sempre più nei loro
confronti. Tema di questa edizione è stato il “Common ground”, la realtà che si condivide, composta
non solo dalle proposte dei singoli talenti, ma anche
e soprattutto dalle numerose e differenti idee in cui
l'architettura si manifesta in un processo vario e
partecipato. Proprio il contrario delle tendenze
professionali e culturali del nostro tempo che tendono prevalentemente ad evidenziare le azioni
individuali e isolate.
Il percorso espositivo che ha interessato 10 mila
metri quadrati, ha visto la presenza di 69 progetti
realizzati da architetti, fotografi, artisti, critici e
studiosi che, coinvolgendo nel proprio progetto altri
colleghi, hanno dato vita ad un Common Ground
di ben 119 autori. Nei Padiglioni ai Giardini, negli
spazi dell’Arsenale e negli allestimenti nel centro
storico di Venezia, si sono messe in mostra ben
55 nazioni, con il debutto di Angola, Repubblica
del Kosovo, Kuwait e Perù. Poche realizzazioni,
molti progetti e tantissimi modelli, a riprova che
stiamo vivendo un momento in cui alla grande
attività progettuale segue pochissima concretizzazione. Molta carta e molto legno, materiale
preferito ai più costosi cemento armato e acciaio,
anche se probabilmente qualcosa andava detto
del vetro, che con i suoi ricorrenti anonimi volumi
urbani rappresenta un Common Ground in negativo.
Nel Padiglione Italia all’Arsenale, curato da Luca
Zevi, oltre al progetto GranTouristas, che mediante
i social media ha proposto il recupero della memoria
e il rinnovamento della progettazione, rivelando
luoghi e tappe da non perdere, hanno avuto grande
riscontro le occasioni di confronto con università
ed accademie (Biennale Sessions) e le Conversazioni sull'architettura. Nell'ambito di queste
sessioni ho avuto modo di rappresentare il CNAPPC
sia alla tavola rotonda sulla rigenerazione di edifici
e luoghi prevalentemente di origine produttiva, dismessi o in via di dismissione, organizzata dall’Università di Trento con docenti e professionisti provenienti da varie università e istituzioni europee,
che di partecipare al dibattito su alcune questioni
chiave per un “re-made” del Paese, in cui è stato
evidenziato come dalle strategie di contenimento
del consumo di suolo, possa decollare il recupero
e la valorizzazione dello spazio pubblico nell'ambito
del progetto di rigenerazione urbana.
RIFLESSIONI
Vista di Lecco dal campanile di acquate alla fine degli anni ‘40.
In primo piano lo stabilimento della SAE
a tu per tu
con la cittˆ
di Lecco
di Eugenio Guglielmi
C
ome contributo al dibattito sulla città e al suo
futuro, rivolto in particolare alla vocazione culturale, riprendo alcune considerazioni che già nel 1973
avevo espresso in occasione di una ricerca
sull'urbanistica lecchese presso il famoso ISA di
Monza. Questo servirà a constatare come poco è
cambiato da quel periodo ad oggi.
A differenza di altri esempi infatti, analizzare e
prendere in considerazione la storia artistica della
nostra città per evidenziare e leggere le premesse
che hanno determinato l'attuale fisionomia urbana
è abbastanza complesso. Prima di tutto perché
diversi centri urbani del nostro Paese sono il risultato
di una sedimentazione di vestigia e reperti che
riflettono un passato quasi sempre glorioso che si
manifesta nel "cuore", il cosiddetto nocciolo che
esprime in maniera precisa l'evoluzione urbana che
si è andata via via creando intorno ad esso.
Lecco invece è il risultato della tipica mentalità
positiva di una borghesia imprenditoriale di inizio
Ottocento che ha espresso in generale una concezione limitativa all'espressione artistica, considerata
futile o in qualche caso solo possibile manifestazione
di prestigio sociale.
Spesso coloro che hanno ottenuto un posto di preminenza nell'ambito della vista cittadina, attraverso
il successo economico si sono dedicati a interessi
culturali preoccupandosi di trattare in particolare la
storiografia artistica della città. Storiografie che
risentono quasi tutte del tentativo di "reinventare un
passato artistico" talvolta inconsistente.
Si sono scritti libri sulle poche pietre antiche e cercate
ragioni più o meno valide rivolte in massima parte ad
un certo snobismo provinciale che ha in Giuseppe
Bovara (1781-1873), maggior esponente del Neoclassicismo locale, l'esempio bibliografico più cospicuo.
Per i periodi anteriori al Neoclassicismo, il passato
si presenta proprio per la sua difficoltà di reperirlo,
modesto e sconosciuto, tenuto gelosamente nascosto "dal vecchio cuore" industriale della Lecco ottocentesca, la Lecco delle stampe ingiallite del Lungolago, la Lecco dei Tubi dei Gandola che davano
un personale "contributo sociale" all'arte, riversando
le loro ricerche in libelli dimenticati nelle biblioteche
di famiglia.
Bovara, riprendendo nell'Ottocento certi motivi tipici
del Barocco, tentò una valorizzazione dell'ambiente
lecchese, dimenticando però (atteggiamento tipico
del suo tempo) le testimonianze precedenti che venivano inesorabilmente soffocate dallo sviluppo urbano
e industriale della città.
Sviluppo disordinato non controllato e definito esclusivamente da interessi economici e speculativi. La
situazione si può riassumere affermando che Lecco
è sempre stata fondamentalmente un punto di transito commerciale, priva di presenze artistiche determinanti tali da creare fenomeni di rapporto con l'ambiente, ignorata dai grandi eventi culturali italiani ed
europei.
Il notevole sviluppo industriale ed economico non è
stato adeguatamente accompagnato da un proporzionale fiorire di vita culturale e artistica. In questa
situazione è facile immaginare come i pochi documenti siano stati a volte dimenticati o troppo esaltati.
Solo in quest'ordine si può chiaramente intendere
la sopravvivenza e la contraffazione del mito manzoniano. La città tra duemila anni avrà finalmente
una preistoria: quella manzoniana. Questo continuo
ricorrere e riportare ogni evento locale al fatto manzoniano, senza trascurare ovviamente il puro fatto
propagandistico legato al turismo, crea errori di
valutazione che vanno assolutamente eliminati per
un chiaro giudizio sulla reale storia artistica lecchese.
Pur essendo stata toccata da un fatto importante
come il Manzoni scrittore, Lecco non può assolutamente essere sempre e solo la città manzoniana.
Si correrebbe il rischio di paragonare Lecco a quei
paesi che non avendo avuto sufficienti valenze
artistiche per il solo fatto di avere assistito al passaggio di Garibaldi a cavallo per una loro contrada,
abbiano dedicato all'eroe per eccellenza, piazze,
strade, case, balconi, lapidi pretenziose di illustrare
che proprio in quel luogo si siano decisi i destini
della Patria!
Il Manzoni fra l'altro non lasciò nemmeno un'influenza
poetica locale come avvenne a Milano, ma si limitò
solamente a illustrare i posti per la stesura storica
dei "Promessi Sposi" lasciando in eredità alla città
una biografia del tempo e delle persone, ben lontana
dal fatto culturale degli Inni e dell'Adelchi. Lecco non
brilla perciò per la poetica manzoniana ma per la
sua storia geografica, il che è molto diverso. Questa
peculiarità può infatti essere estesa a tutti i paesi
circostanti e altri centri rivieraschi per caratteristiche
forse anche maggiori di Lecco, potevano essere al
centro della vicenda. Solamente nell'ambito territoriale
generale la "questione manzoniana" prenderà la
sua giusta dimensione. Lecco manzoniana è così
una grossa truffa; non è per niente la città e la patria
del Manzoni e se proprio voleva esserlo, doveva
essere in grado di conservarne le caratteristiche
almeno essenziali. E' troppo poco un lungo lago per
inscatolarsi su definizioni da manuale. Che cosa si
potrebbe dire allora per il Parini e la sua Bosisio
davanti al magnifico Eupilio che condivide con i
ricordi dell'Appiani o per la stessa conca di Lecco
dove sembra che Leonardo (Quaderni di Windsor)
abbia assaporato la sua famosa "luce lombarda",
cosa non tanto strana considerato che uno dei suoi
amici preferiti abitava ad Oggiono, poco distante
dalla città? E che dire della "stagione romantica"
della pittura che veniva ritratta dal Poma, dal Bezzi,
dall'Induno e da Segantini, intanto per citare alcuni
tra i più noti pittori cari al nostro territorio?
Insomma Lecco ha tutte le potenzialità per riconoscersi nella sua vera storia e non nella sola storia
del Manzoni. Il tema non è nuovo e fu già affrontato
dal Ghislanzoni. Nel suo "Almanacco dell'Adda" con
scritti attenti e ironici ricordava l'assenza di strutture
culturali adeguate senza attenzione alle tradizioni
demandate solamente "a pochi uomini di intelletto".
Tra i vari esempi che riportò famoso fu quello del
Badoni che facendo economicamente faville, intorno
al 1873, non senza qualche battuta maliziosa fu
nominato direttore del Teatro Sociale, lui, abituato
al fragore delle officine e dei magli...
Il Teatro poi è sempre stato una spina nel fianco
della Lecco culturale. La stagione si apriva in ottobre
e raggruppava dalle venti alle venticinque rappresentazioni ma come dice il Ghislanzoni: "quasi tutte
a carattere bandistico". Fu Petrella che finalmente
aprì il Teatro al suo vero scopo con la rappresentazione dei Promessi Sposi (nemmeno farlo apposta)
da lui musicata. Bovara, invece si legge nelle pagine
dell'Almanacco, volle dare ai lecchesi un museo
dove potersi raccogliere la storia e dare lustro alla
città, ma tutto si risolse nel riprodurre in sughero i
principali monumenti greci alti non meno di un metro.
Al tempo si parlò di farsa e di ridicolo. Esistono poche e incomplete raccolte analitiche, che non siano
pubblicate dal Touring o dall'Azienda Autonoma,
però sempre protese ad un fine propagandistico,
accomunando arte e industria, quando invece dovrebbero illustrare prima storicamente e poi socialmente il fatto artistico del nostro territorio. Si capisce
chiaramente come nei più sensibili questo bisogno
di passato affiori.
Cereghini addirittura, nel suo progetto per un nuovo
centro di Lecco, discussione che sarebbe dovuta
avvenire nell'ambito del più marcato rigore storico,
porta questo bisogno al paradosso, quasi richiamando origini mitologiche alla città, con la pubblicazione
della poesia che il Foscolo dedicò alla città, evocante
suoni di flauti, scene idilliache, pastori e fucine
rimbombanti.
Certamente non bisogna nemmeno vedere fantasmi
o creare miti a tutti i costi: come il volere legare parte
della storia artistica lecchese con il tempietto di S.
Pietro al Monte o con i travagli dei Maestri Comacini,
che purtroppo nella nostra zona non hanno lasciato
traccia, come invece tanti "eruditi a tutti i costi" vogliono vedere nei portali delle case rustiche delle
nostre montagne. Un altro luogo comune deve
cadere, quello che vede Lecco città del Lario un
tempo in Provincia di Como, influenzata dall'orbita
di quest'ultima. Lecco è sempre stata per la sua
posizione città di collegamento e di passaggio, via
importante per l'oltralpe. È sempre stata città discussa
in collegamento con la riva sinistra dell'Adda, con
il territorio bergamasco veneto e quello milanese,
Como era impegnata diversamente, centro fisso e
non di passaggio, roccaforte del Barbarossa. Lecco
non ha preso mai una posizione importante e assoluta, cosa che sarebbe avvenuta se fosse stata
nell'egida di Como. Questa sua distaccata indipendenza fece comodo a tutti, quando c'era bisogno di
rifugio, o quando diventava centro di raccolta di viveri
durante i lunghi assedi dei paesi rivieraschi.
9
A
ARTE
Cristo e i Dottori
brezza caravaggesca
sulla "Regione dei laghi"
Serodine
a cura della redazione
lla Pinacoteca cantonale Giovanni Züst di Rancate (Mendrisio), in Canton Ticino, è stata allestita
una mostra dedicata a Giovanni Serodine (Ascona
o Roma, 1594/1600 - Roma, 1630), vanto del Ticino
e di Roma nel primo terzo del Seicento e tra i più
rilevanti interpreti del Naturalismo.
Pittore ignorato dai suoi contemporanei, viene riscoperto e rivalutato dalla critica del Novecento che,
cogliendo la straordinaria qualità del suo lavoro, gli
assegna finalmente il giusto posto nella costellazione
dei più importanti pittori della storia dell'arte in Italia.
Wilhelm Suida, lasciandosi ispirare dalla sua breve
vita - morì poco più che trentenne -, lo paragona ad
una luminosa meteora improvvisamente apparsa e
troppo presto spentasi. Si deve però soprattutto al
più grande storico dell'arte italiano del secolo passato,
Roberto Longhi, il merito di averlo valorizzato come
uno dei massimi rappresentanti del movimento
caravaggesco definendolo "non soltanto il più forte
pittore del Canton Ticino, ma uno dei maggiori di
tutto il Seicento italiano" e innalzandolo al livello di
Rembrandt e Soutine nella memorabile descrizione
del San Pietro in meditazione, di proprietà della
Pinacoteca Züst di Rancate.
Ed è proprio quest'ultima a suggerire la prima mostra
su Serodine del nuovo millennio, affiancando alla
retrospettiva dell'artista, i dipinti dei suoi compagni
di avventura figurativa, così da mostrare al pubblico
come il fenomeno che oggi per semplificazione viene
definito come 'naturalismo' avesse preso piede nelle
terre prealpine più di quanto generalmente sino ad
ora sospettato.
Serodine sin da bambino seguì il padre a Roma,
dove questi esercitava come stuccatore e, in segreto,
come cambiavalute, attività che gli procurò un periodo
di galera. Da giovane lavorò a fregi perduti per
Palazzo Borghese e si andò formando sugli esempi
del Merisi, del Borgianni e dei caravaggeschi olandesi, divenendo presto la figura più importante per
la continuazione e l'accrescimento della tradizione
nata sulle orme di Caravaggio. A 23 anni dipinse
alcune pale d'altare di grandiosa qualità e ottenne
la commissione per l'affresco dell'abside di Santa
Maria della Concezione in Spoleto. Per la Basilica
di San Lorenzo fuori le mura a Roma eseguì due
pale (l'Elemosina di san Lorenzo è ospitata oggi nel
Museo dell'Abbazia di Casamari, nel Frusinate),
espressione di una personalissima cifra stilistica,
che incorpora caratteri da Caravaggio ma anche
dal Guercino e dai grandi fiamminghi.
Improntate ad un mirabile luminismo, ma realizzate
con una pennellata rapida e densa che quasi anticipa
l'impressionismo, sono le opere della sua - se così
può essere chiamata - maturità: capolavori sempre
più misteriosi, antiretorici, vivaci. La sua pittura si fa
materia intrisa di luce, vigorosa e incandescente.
Poi, a stroncare una evoluzione tale da far presupporre esiti non meno originali, l'improvviso decesso
nel 1630.
Accanto alle opere di Serodine, comprensive di grandi
11
Cristo deriso. Sotto: San Pietro in meditazione
tele soprattutto ticinesi mai esposte in occasioni
pubbliche, si presentano in mostra dipinti di suoi
contemporanei, che a lui in parte si avvicinano. Il
ventaglio di opere selezionate tra lago d'Orta e lago
di Como, toccando Ceresio e Verbano, mostra come
pitture di impronta naturalistica avessero trovato
accoglienza nella "Regione dei laghi" e per estensione
nella zona prealpina tra Gozzano e Como.
Alcuni artisti sono in qualche caso ancora in attesa
di battesimo (eccellenti derivazioni precoci da originali
del Caravaggio), altri rispondono, solo per citare
degli esempi, ai nomi celeberrimi del Guercino, di
Orazio Borgianni, Tanzio da Varallo, Giovanni Baglione, Domenico Fetti, Giuseppe Vermiglio, Matthias
Stom, Hendrick ter Brugghen, Pietro Bernardi. Gli
studi svolti in occasione della mostra offrono un
quadro in parte inedito dell'ardua 'funzione Serodine'
nell'ambito della pittura europea, all'interno dell'entusiasmante quindicennio 1615-30.
La rassegna non offre beninteso risposte inequivocabili, quanto un nuovo possibile orientamento
interpretativo per l'opera dell'inimitabile asconese,
artista all'avanguardia e per questo eroicamente
isolato.
A cura di: Roberto Contini e Laura Damiani Cabrini,
con la collaborazione di Simona Capelli
Coordinamento scientifico e organizzativo:
Mariangela Agliati Ruggia e Alessandra Brambilla
Allestimento: Nomadesigners
Catalogo: Silvana Editoriale
Ufficio stampa: Studio ESSECI, Sergio Campagnolo
www.ti.ch/zuest
ITINERARIO
I bagni dell'Alcazar
La torre della Giralda creata su modello della Kutubiyya di Marrakech,
con la Giralda in metallo che ruota con il vento
città storica ricca di stratificazioni:
Etruschi, Romani, Mori e
ingegneria contemporanea
Siviglia
foto di Teresa Anghileri
Mosaici romani in mostra ad Antiquarium, uno spazio di 4500mq.
che mostra 1200 anni della storia di Siviglia sotto forma di frammenti
architettonici e oggetti rinvenuti durante gli scavi della città
13
Dettagli del Parasol, struttura in acciaio progettata dallo studio
J.Mayer H. Architects sulla quale si può camminre per una
vista spettacolare della città
La Cappella Reale (1575) all’interno della Cattedrale
è coperta da una grande cupola rinascimentale creata
su modello della cupola del Brunelleschi
La Sala degli Ambasciatori in stile mudejar, è la stanza più lussuosa dell'Alcazar ed è sovrastata da una grande cupola dorata
ornata di arabeschi del 1427
I
ARCHITETTURA
Vista d'insieme (foto Fabio Borile)
Dimensione e numero piani: 1600 mc./piano interrato/
3 piani fuori terra e sottotetto
Committente:
S.P.M COSTRUZIONE S.R.L.
Progettista:
arch. Fabio Borile
Collaboratori:
arch. Silvia Belloni, arch. Valentina Scanziani
Strutture:
arch. Fabio Borile, ing. Luigi Montanelli
Direttore dei lavori: arch. Fabio Borile
Impresa esecutrice: Edilporro S.R.L
Anno di costruzione: 2009-2011
riqualificazione di un edificio
anni '50 all'interno di un
nuovo complesso residenziale
recupero ed
ampliamento
a UsmateVelate
a cura del progettista
l complesso residenziale di via Battisti si colloca
nel contesto urbanizzato centrale di Usmate e
ospita quindici alloggi distribuiti su tre piani fuori
terra e sottotetto per un totale di 1600 mc. I volumi
dell'edificio, articolati sui tre livelli e con ritmi alternati,
movimentano le facciate, dialogando con un contesto edilizio di due/tre piani e con l'edificio esistente,
che viene integrato nel nuovo impianto. La soluzione
progettuale recupera anziché demolire l'edificio
esistente nel lotto, riqualificandolo dal punto di vista
energetico e rinnovandone gli aspetti formali e
stilistici.
I rivestimenti esterni sono concepiti a fasce orizzontali partendo da un basamento comune in sasso
di Credaro per finire con un intonaco chiaro posto
all'ultimo livello.Le scelte progettuali hanno posto
l'accento sul contenimento energetico dell'intero
complesso residenziale, adottando soluzioni tecnologiche e costruttive che lo posizionano in classe "B".
L'edificio si presenta con copertura a falda inclinata
a orientamento alternato
(interno/esterno del cortile); i volumi sono articolati
e si sviluppano su due o tre livelli in alternanza,
piano terra, primo e secondo.
La struttura portante è in cemento armato gettato
in loco. Per le murature esterne è
stato utilizzato il blocco NormaTris S35 tamponamento e portante per l'ultimo piano, oltre ad un
rivestimento in sasso di Credaro, spessore 10 cm.
al solo piano terra. Tale scelta ha permesso di
isolare completamente la struttura portante,
eliminando completamente i ponti termici. In questo
modo, il progetto ha potuto usufruire degli incentivi
dati dalla legge regionale 33/2007, arrivando ad
un miglioramento del fabbisogno energetico superiore al 25% e scomputando dal conteggio
volumetrico lo spessore dei muri perimetrali esterni.
I serramenti sono in legno lamellare di abete, tinta
noce chiaro con persiane ad anta ripiegata "jolly"
del medesimo materiale, vetro termocamera con
trasmittanza media non superiore a 1,69 W/m2K.
La struttura di copertura è costituita da travi in
legno lamellare a vista con sovrastante cappotto
termico a ventilazione naturale.
Vista cortile interno (foto Fabio Borile)
15
Il manto di copertura è in tegole a doppia onda
"romana" di colore bruno. Il sistema impiantistico
prevede l'utilizzo di pannelli radianti a pavimento,
pannelli solari per la produ-zione di acqua calda
sanitaria ed il recupero delle acque piovane per
utilizzi esterni.
In senso orario:
Fronte edificio esistente ristrutturato (foto Paolo Vercesi)
Dettaglio fronte su Via Battisti (foto Paolo Vercesi)
Particolare ingresso (foto Paolo Vercesi)
Dettaglio rivestimento scala esistente (foto Paolo Vercesi)
ARCHITETTURA
La villa prima dell’intervento del progettista Livio Dell’Oro
recupero sottotetto
e riqualificazione generale.
L'intervento evidenzia come la
forza del contesto influenza la
composizione architettonica
villa sulla
Rocca di
Valmadrera
a cura del progettista
LÕ
intenzione progettuale si è prefissa l'obiettivo
di permettere la continuità delle sensazioni
generate dal luogo in cui sorge l'edificio esistente,
sia stando all'esterno, sui terrazzi, sia stando
all'interno dei vani abitabili.
L'approccio progettuale intendeva dare massima
personalità al fabbricato esistente, ripulendolo di
elementi "decorativi" quali cornici, pensiline ecc. e
aggiungendo il nuovo piano, smaterializzandolo
con l'uso di vetrate, che sottolineano il dialogo
biunivoco tra gli spazi interni ed il contesto particolarmente poetico del paesaggio circostante.
La semplicità della composizione architettonica,
contiene al contempo un approfondito ed attento
studio esecutivo. Infatti la modularità dello schema
portante della copertura, che doveva anche interagire con la distribuzione interna, mantenendo una
geometria regolare, non si integrava con gli elementi
portanti della struttura esistente. Questo ha comportato la scelta di progettare un piano di appoggio
slegato dalla geometria strutturale già in essere.
La scelta delle forme regolari e simmetriche delle
vetrate è stata dettata dal voler contrapporre le
irregolarità e le asimmetrie del volume esistente,
caratterizzandone l'immagine complessiva, e identificando quindi il nuovo edificio nel paesaggio con
una visibilità ad ampio raggio.
17
ARCHITETTURA
realizzata nel 2011-2012
in area paesaggistica rilevante,
nella convalle lecchese
residenza
unifamigliare
a Lecco
a cura del progettista
LÕ
intervento progettuale consiste nell'andare a
collocare una figura volumetricamente controllata in pianta e negli alzati con un elemento in
evidenza come il corpo centrale tondeggiante sulla
facciata a valle, soprastato da un elemento architettonico come l'altana.
Compositivamente l'orientamento privilegiato è
quello sud-nord, dove la facciata a nord è resa
praticamente cieca, mente il prospetto sud ovest
risulta quindi più articolato e ricco di aperture verso
il paesaggio.
L'immagine inizialmente ricercata era quella di un
edificio che riportasse ad un immagine dell'edificato
dei villini unifamiliari, che hanno nel passato contraddistinto il territorio della convalle lecchese.
Il volume è controllato sia in pianta che negli alzati,
e l'orientamento dell'edificio e la predisposizione
ad avere una maggiore quantità di aperture sul lato
maggiormente esposto al sole, sono scelte adottate
nel rispetto di un maggiore risparmio energetico
come previsto dall'attuale normativa.
La tipologia unifamiliare si presta per una distribuzione avente la zona giorno al piano terra la
zona notte al piano superiore e la zona servizi e
box al piano seminterrato.
L'ingresso alla residenza è a livello del soggiorno
sulla facciata a valle, servito da scale esterne, che
partono dalla rampa di accesso carrabile.
Al piano del soggiorno sono individuati gli spazi
per il locale della cucina e quello per un bagno di
servizio e rimane privilegiata la vista sulla sottostante città di Lecco.
Ai piani superiori vi è la zona notte caratterizzata
da tre camere di cui una matrimoniale e due bagni.
La matrimoniale ha godimento di un balcone nella
parte centrale, mentre le altre due camere sono
dotate di un piccolo balcone.
L'accesso alla zona notte, avviene attraverso la
scala interna posizionata sulla parete a monte, la
quale permette anche di raggiungere il piano
copertura. Quest'ultimo si presenta come un'ampia
terrazza dallo scenario incantevole: vista dal gruppo
delle Grigne verso la valle sino al contorno dei
monti a chiusura del lago.
Al piano interrato si trova invece un ampio locale
con relativi spazi di servizio, direttamente collegato
all'ampio spazio coperto adibito a posto auto.
L'accesso carrabile infatti alla residenza si ha da
Via ai Poggi con una rampa che porta direttamente
ai box. Sul fianco della rampa si trova il cancello
per l'accesso pedonale.
L'edificio è circondato da area a verde organizzata
a giardino, con percorsi pedonali definiti con superfici
a pietra naturale su tutti i lati.
Il progettista, Massimo Dell’Oro, ha previsto un
utilizzo di materiali mirato alla ottimizzazione del
risparmio energetico con l'appropriata coibentazione
19
della struttura muraria e l'utilizzo di superfici vetrate
basso emissive e l'utilizzo di riscaldamento a
pavimento e caldaia a condensazione.
Per quanto riguarda i cromatismi, il rivestimento
esterno delle parti murarie è in tinta azzurro chiaro,
mentre la parte centrale tondeggiante è intonacata
in bianco per esaltarne il volume, mentre le opere
in ferro sono di colore grigio chiaro.
I
ARCHITETTURA
n questo progetto si affronta un tema che è sempre più attuale nella nostra professione: la riqualificazione di un villino costruito negli anni 50, ridefinito e adattato nel 2012 alle nuove esigenze estetiche, funzionali e di risparmio energetico.
La filosofia generale del progetto ha teso innanzitutto
a semplificare l'immagine dell'edificio, operando
riduzioni sia dal punto di vista volumetrico con la
regolarizzazione del volume esterno in pianta e la
semplificazione della falda del tetto ridotta ad unica
pendenza, che nell'uso dei materiali impiegati;
l'intonaco bianco, il legno multistrato a pannelli e
l'alluminio preverniciato grigio.
L'obiettivo di progetto è stato quello di ricomporre
un volume che risultava disarticolato e scomposto,
fatto di piccoli rientranze senza logica e misura,
che è stato ricondotto innanzitutto ad una più
precisa base quadra che corrisponde alla copertura
ad unica falda.
L'operazione successiva è stata quella di svuotare
il volume in alcuni punti dove era necessario mantenere un maggior riparo, in corrispondenza dei
rispettivi ingressi alle due abitazioni del piano
rialzato e del piano seminterrato.
L'involucro esterno delle pareti di facciata, che è
stato cappottato termicamente con polistirene di
10 cm. finito ad intonaco fine lasciato di colore
bianco, è normalmente applicato direttamente alle
murature esistenti con colle e fissaggi meccanici
puntuali. Nelle parti aggiunte a sbalzo la struttura
di supporto a secco è composta da pannelli di
cemento fibrorinforzato tipo acquapanel, rasato e
finito con lo stesso intonaco del cappotto.
I serramenti eistenti che avevano il caratteristico
contorno in marmo serpentino verde scuro, sono
stati mantenuti secondo una logica di evidenza
della stratificazione costruttiva per cui si leggono
in sequenza lo spessore della muratura, il nuovo
cappotto e, dove previsto la testa amultistrato dei
pannelli di rivestimento in legno.
È nelle parti scavate, quasi "estratte" dal volume
la riqualificazione di un villino
degli anni 50
Tabiago
a cura del progettista
21
prismatico esterno a base quadra, che si è deciso
di porre in evidenza lo stacco con un materiale
cromaticamente e matericamente diverso: pannellature di grandi dimensioni in legno multistrato sp.
15 mm.di okumè verniciato naturale applicate con
viti in vista, su listoni opportunamente predisposti
e fissati direttamente alla muratura esistente.
Il lato est è stato coperto con uno sbalzo sviluppato
sull'intera lunghezza, che al piano sottotetto serve
da terrazzo per le due camere, protetto da pannellature in cristallo multistrato temperato fissate alla
carpenteria di metallo della struttura dello sbalzo.
La copertura del terrazzo mette in mostra la struttura
della copertura in legno di abete lamellare che è
stata costruita fuori opera e montata in pochi giorni,
compresa la nuova gronda prefabbricata lasciata
in vista con un profilo sagomato rastremato, tenuta
staccata dal rivestimento esterno a cappotto termico, e le gronde arretrate in modo da conferire la
necessaria leggerezza visiva.
Lo strato a finire del manto di copertura è costituito
da lamiera di alluminio preverniciato grigio piombo
lavorata a doppia graffatura.
Sono stati evitati torrini in copertura, optando per
una soluzione a parete.
PROGETTO E D.L.:
IMPRESA:
arch. Sergio Fumagalli
Pioselli Costruzioni S.N.C.
di Lambrugo (Co)
CRONOLOGIA:
Progetto 2010
Costruzione sett. 2011 - di. 2011
DATI DIMENSIONALI: Superfici piano sottotetto
mq. 105
COSTO:
90.000 ¤
ARCHITETTURA
Parte esterna che mette in evidenza le antiche murature ripristinate
in pietra e mattone
In basso: vista interna con in evidenza la struttura in acciaio della
zona soppalcata; in primo piano un vecchio bancone da laboratorio
riutilizzato come elemento di arredo
realizzata nel 2011-2012
in area paesaggistica rilevante,
nella convalle lecchese
spazio
espositivo
a cura del progettista
LÕ
architetto Giovanni Rusconi è autore di un
interessante intervento di restauro di una porzione dell'antica Fabbrica di Sali di Bario nel Comune di Calolziocorte.
Per una delle aziende leader produttrice di radiatori
con design ricercato l'architetto dà vita ad un
importante ed elegante show-room.
Esternamente, la vecchia costruzione, lasciata alla
sua immagine originaria, non lascia trasparire nulla
e consegna alle possenti murature in pietra e
mattoni attentamente ripristinate la custodia del
piccolo gioiello che l'Architetto ha creato al suo
interno. Tutte le pareti interne sono state trattate
mediante intervento di sabbiatura per ripristinare
e riportare le pietre ed i mattoni allo stato naturale
cosi come già stato eseguito su tutte le facciate
esterne del corpo di fabbrica.
Lo scopo dell'ammodernamento era quello di riqualificare gli ambienti affinché fossero adeguati,
per livello di finiture e immagine, alla qualità dei
prodotti della gamma Hit che Deltacalor produce
e commercializza.
Antico e moderno sono chiamati a definire uno
spazio a-temporale, carico di significati, anticlassico
e rituale al tempo stesso.
L'attenzione riservata ai materiali e al loro impiego
sostenibile, trova riscontro in questo progetto nella
ecologia del gesto, nel senso della misura, nella
sintesi, nella capacità di declinare la semplicità in
spazi carichi di spiritualità, dove un ruolo di primo
piano è giocato dall'alternarsi di legno, acciaio e
pietra. Pietra, mattone, acciaio e legno dominano
lo spazio: illuminazioni appropriate lo caratterizzano
nei punti salienti. Per illuminazione si è scelto un
prodotto altamente tecnologico e di eccellente resa
quali Modello Marca Fosnova Tipo Cast con lampada a J.M. Design Stano e Bistacchi.
Giovanni Rusconi nasce a Lecco nel 1965 si laurea
in Architettura presso il Politecnico di Milano nel
'92. Dopo aver collaborato con studi professionali
e imprese di costruzioni come progettista - direttore
lavori e tecnico di cantiere dal '94 esercita la libera
professione a Lecco ma con esperienze lavorative
in Italia e all'estero. [www.studioarchrusconi.com]
23
Scala interna in legno e acciaio
Sotto a sinistra: lo spazio espositivo diventa luogo per convegni e rappresentazioni
Sotto a destra: nuove capriate lignee sovrastano eleganti la nuova zona soppalcata
24
ARCHITETTURA
intervento di restauro
conservativo della torre
campanaria della chiesa di
S.Martino Mont'Introzzo
a Sueglio (Lecco)
la nuova
vecchia torre
a cura del progettista
LÕ
impostazione del lavoro ha perseguito il fine
della conservazione, approccio ritenuto il più
corretto per la trasmissibilità del bene architettonico
in quanto si è proposto, di mantenere nei limiti del
possibile i dati materiali che caratterizzano la
fabbrica, i suoi caratteri stilistici storici e di formalizzazione figurativa.
L'analisi materica ha facilitato la comprensione
della struttura della torre campanaria ed ha orientato
l'operatività ad utilizzare i materiali più idonei per
salvaguardare e proteggere la fabbrica originaria
del campanile.
La fase analitica del degrado, intesa come diagnosi
precisa dello stato di conservazione del manufatto,
ha permesso di limitare l'intervento e di conservare
"il sapore dell'antico, il sapore originario della torre
campanaria".
Il restauro operato dall’architetto Alessia Silvetti, è
stato di tipo conservativo, si sono contenuti i margini
dell'intervento che è stato puntuale e si è sviluppato
essenzialmente sulle parti maggiormente danneggiate, per far durare nel tempo i materiali del manufatto rispettandoli e far svolgere al manufatto la
sua funzione di esistere. L'intervento ha tenuto in
considerazione le problematiche emerse nell'analisi
del degrado, in quanto erano state previste lavorazione differenziate a seconda dell'esposizione più
o meno incidente degli agenti atmosferici sui quattro
prospetti. Si è teso a mantenere quanto più possibile
le parti che ancora risultavano in grado di assolvere
alla loro "funzione protettiva" o comunque non
irrimediabilmente perdute.
25
ARCHITETTURA
rottura degli schemi
del linguaggio architettonico
tradizionale in un'abitazione
che sovrasta Bellano
contemporaneo
vista lago
a cura dei progettisti
LÕ
orografia del lotto su cui insiste il fabbricato è
caratterizzata da terreno di natura rocciosa con
presenza di forti pendenze mitigate da una serie
di terrazzamenti delimitati da murature in pietrame
a secco. La progettazione Studio Rigamonti Architetti Associati (Lorenzo e Alessandro Rigamonti)
ha dovuto tener conto pertanto di questa complessa
conformazione morfologica, dovendo rapportare
ed integrare i volumi del costruito con i fronti rocciosi
della montagna.
La costruzione si configura in un edificio residenziale
privato composto da due volumi distinti sfalsati tra
loro sia planimetricamente sia altimetricamente in
cui si sviluppano due unità abitative principali ed
un monolocale indipendente.
La tipologia architettonica utilizzata per questa
nuova costruzione si discosta in modo forte e netto
dalle forme tradizionali presenti in loco, anch'esse
via via non più rispondenti al linguaggio vernacolare
che distingueva anticamente i borghi lacustri. Questa
eterogeneità edilizia del contesto, caratterizzata
da un'assenza di continuità architettonica da rispettare, ha orientato la progettazione all'uso di un
linguaggio contemporaneo fatto di volumi ben definiti
che compenetrandosi e sottraendosi in successione
generano un gioco di pieni e vuoti che, dialogando
tra loro, enfatizzano la purezza di linee dell'edificio.
I volumi che definiscono i piani sottotetto con
copertura inclinata a falda unica ma con orientamenti diversi creano anch'essi un gioco di arretramenti e aggetti rispetto alle facciate che, unitamente
all'uso di materiali diversi, come il rivestimento del
manto di copertura in zinco-titanio e quello delle
pareti laterali in legno di cedro rosso, vengono
percepiti come un ulteriore arricchimento compositivo, alleggerendo altresì la percezione visiva del
costruito nella sua interezza.
Il fabbricato è accessibile carrabilmente da monte
ad una quota tale da indurre ad una disposizione
planimetrica che prevede le autorimesse nel piano
sottotetto con i piani abitativi sottostanti.
Il fronte principale, con orientamento ovest/sudovest, è caratterizzato dall'utilizzo di ampie vetrate
la cui scelta è stata certamente dettata dalla favorevole esposizione panoramica verso il paese
sottostante ed il lago. Altre vetrate a tutt'altezza
sono state poste ad angolo nel prospetto principale
così da creare un effetto di smaterializzazione dei
consistenti volumi trasmettendo una percezione di
leggerezza all'intero fabbricato.
A livello materico i prospetti sono stati trattati
utilizzando di base, come nella migliore tradizione
razionalista, un intonaco tinteggiato di bianco puro,
alternando poi diverse tonalità di grigio e l'utilizzo
del rivestimento in doghe di cedro rosso per enfatizzare gli aggetti e le rientranze che contraddistinguono i prospetti.
I muri di base su cui poggiano i piani dell'edificio,
così come le fioriere e i muri di contenimento
antistanti, sono stati rivestiti utilizzando delle pietre
27
di Luserna (così simile alle variegate tonalità della
pietra locale) di forma regolare posate a semi secco,
giusto rimando alla tradizione antica dei muretti dei
terrazzamenti realizzati a secco tipica dei versanti
montani che circondano il lago.
I serramenti sono stati realizzati in legno/alluminio
con la colorazione esterna grigia che richiama al
colore del manto di copertura.
Fulcro e cerniera distributiva dell'intero edificio è
il corpo scale esterno posto centralmente ai due
volumi, il quale dipartendo dal cortile carrabile
retrostante scende a servire i vari livelli fino ad
arrivare allo spazio terrazzato sottostante. Il vano
scale e i camminamenti sono stati pavimentati in
lastre di pietra di colore grigio/azzurro. Una scenografica piscina a sfioro di forma trapezoidale, che
sembra idealmente unirsi con la superficie del lago
sullo sfondo, è circondata da un deck adibito a
solarium pavimentato con doghe di legno.
Gli spazi esterni della casa sono stati ricavati
ricostruendo e consolidando la disposizione a
terrazzamento preesistente la costruzione con
l'impianto di un piccolo uliveto e la piantumazione
di essenze ornamentali tipiche dei giardini del lago.
Dal punto di vista tecnologico e impiantistico tutta
la costruzione è stata improntata sulla piena sostenibilità ambientale e sull'utilizzo delle risorse energetiche rinnovabili.
Particolare attenzione è stata rivolta all'isolamento
dell'edificio, ottenuta utilizzando nelle murature
perimetrali blocchi rettificati in laterizio alveolare di
spessore cm 40 e la correzione dei ponti termici
di pilastri, gronde, terrazzi e balconi con pannelli
in polistirene. Il riscaldamento della casa è a pannelli
radianti ed è ottenuto utilizzando un impianto a
pompa di calore geotermica con l'esecuzione di 2
pozzi verticali di 130 metri di profondità ciascuno.
Sulla copertura sono stati posizionati 6 collettori
solari termici che integrano la produzione di acqua
calda sanitaria e riscaldano la piscina durante i
mesi estivi e 20 pannelli fotovoltaici per una potenza
complessiva di 4,20 Kwp. Le unità abitative sono
altresì dotate di un impianto di ventilazione meccanica controllata con recupero del calore, così da
minimizzare le dispersioni energetiche durante i
mesi invernali e aumentare il comfort interno durante
l'intero arco dell'anno. L'impianto elettrico è dotato
di un sistema domotico per la gestione coordinata
centralizzata sia delle apparecchiature (termostati,
antintrusione, video-sorveglianza, tende interne,
video-citofono, controllo dei carichi) sia dell'illuminazione interna ed esterna realizzata in prevalenza
a tecnologia a led. Un serbatoio di recupero dell'acqua piovana riutilizzata per l'irrigazione dei giardini
e per gli sciacquoni dei wc completa la dotazione
impiantistica di questa casa.
Il fabbricato è certificato in classe energetica A.
LÕ
ARCHITETTURA
Postazioni temporanee
intervento di ristrutturazione a cura dello studio
venti3novecento (Studio Tecnico Associato
Annoni Colombo Molteni) per la realizzazione della
propria sede, ha trasformato un magazzino in
laboratorio di idee.
Spazialmente caratterizzato da metratura ridotta,
circa 50 metri quadrati, la nuova soluzione presenta
tutte le funzioni dello studio di architettura garantendo la possibilità a più professionisti di lavorare
e collaborare contemporaneamente.
Con l'intento di creare un "open" ne nasce una
soluzione razionale che pur mantenendo la possibilità del progettare in gruppo, grazie all'ampio
piano con postazioni in linea, attribuisce all'ambiente
ordine e armonia. L'ufficio ruota attorno all'area
operativa che si colloca come un monolite in centro
al locale ed è costituita da unico bancone interamente realizzato in legno con affaccio sui due lati
lunghi e diviso da una parete attrezzata che nasconde ai visitatori e ai clienti il tavolo di lavoro.
La parte a vista del bancone è studiata per lavorare
ad altezze diverse; più alta rispetto alle postazioni
standard risulta infatti impiegabile per diverse
funzioni. Una panca divide le due postazioni temporanee e, affacciandosi sulla porta d'ingresso,
funge da piccolo spazio accoglienza clienti, arricchito, nel periodo invernale, anche dal calore della
fiamma. A terminare l'ambiente open vediamo
collocato sulla parete opposta alla sala riunioni un
sistema scorrevole a doghe orizzontali che scherma
il centro stampa e i servizi.
L'ambiente è rilassante con predominanza di legno
naturale in essenza di larice, inserti in rovere e
pannelli in betulla unicamente trattati con turapori
in colore bianco e oli protettivi naturali. Il taglio
orizzontale della doga, abbinato all'orizzontalità del
bancone, contribuisce ad aumentare la sensazione
di spazialità, mentre continuità cromatica tra corpi
illuminanti, pareti, soffitto e pavimento esclusivamente in tono di grigio danno risalto all'eleganza
del legno chiaro e alle sue linee decise dettate da
tagli netti e spigolosi. Unico elemento illuminato è
il bancone, al progettista è garantita un'illuminazione
ottimale di luce diffusa.
progettare nell’open di legno
studio venti3
novecento
a cura dei progettisti
Porta d'ingresso
Ingresso
29
Postazioni fisse
Location:
Proprietà:
Progetto:
Sito:
Foto:
Lecco (LC), via Cairoli 69
F.lli Butta Alberto e Mariateresa
Studio venti3novecento
www.venti3novecento.it
Foto Ottica Peverelli - Lecco
Banco, vista frontale
ARCHITETTURA
Costo dell'intervento, compresa le opere di sistemazione
della scuola materna e del locale della banda musicale nell'interrato,
¤. 250.000,00
Esecuzione agosto 2010 / 2011
l'architetto Diego Toluzzo
amplia l'attuale asilo con una
sezione anche per lattanti
asilo nido a
Carate Brianza
a cura del progettista
A
l fine di poter consentire eventuale ampliamento
e chiusura della sagoma a "croce" dell'edificio
scolastico con una ulteriore sezione/aula si è dovuto
procedere pensando l'ampliamento per la nuova
sezione "lattanti" nella parte retrostante del fabbricato.
La sagoma perimetrale, le aperture, la scala di
sicurezza all'interrato hanno ridotto gli spazi utili
per un dimensionamento "regolare" dell'ampliamento.
Si è pensato quindi di dare a questa nuova sezione
la forma del "nido" a richiamo dell'uso stesso nonché
dell'immagine che tale oggetto può avere se riferito
a corpo edilizio.
Il dimensionamento degli spazi avviene quindi per
i 6/8 max bimbi (lattanti) con individuazione di:
- corridoio di collegamento alla zona interna di
gioco
- servizio igienico con sanitari
- piccolo scaldavivande (latte, etc.)
- spazio ad aula/sezione lattanti con al suo interno
zona riposo "sonno".
La sagoma non occupa totalmente il cortiletto e
garantisce l'esodo antincendio e di sicurezza consentendo che la attuale apertura abbia sfogo con
passaggio da mt. 1,50. Dall'interrato vi è diretto
sfogo con le aree esterne tramite la scala esistente.
Si ha un totale di superficie coperta pari a mq.
89,10 e netta di mq. 73,00 mentre a livello di standards/utili per bimbo si hanno mq. 9,12/bimbo (nel
caso di 8 nuovi posti).
Ciò in ottemperanza delle Delibere Regionali:
- G.R. n° 54/3346 del 08/06/1975
- G.R. n° 77/3869 del 07/07/1976.
ove si richiede venga garantita una superficie
utile/bambino pari a mq. 6,00, con un numero di
lattanti pari ad 1/5 dei presenti nell'asilo nido.
La soluzione permette di mantenere per il 35% la
superficie per servizi generali e gli spazi interni,
per bambini superiori ad un anno, che resteranno
articolati così come sono.
L'ampliamento avviene con una struttura ad un
piano fuori terra con fondazione a trave rovescia
e murature verticali portanti e con copertura lignea
isolata con finitura a verde con sedum al fine della
compatibilità bioecologica.
Le facciate esterne e la copertura saranno quindi
interamente rivestite a verde e la sottostante struttura sarà completamente lignea.
Quest'ultima è struttura leggera e semplice che
non ha necessità di verifiche di portanza.
I tamponamenti sono stati realizzati con:
- cartongesso isolato
- muro poroton
- doppio sughero esterno
- intonacatura esterna
- rete metallica finale con graticcio su cui vi sono
i rampicanti.
31
LÕ
RASSEGNE
architetto londinese David Chipperfield, direttore
della Biennale di quest'anno, ha fatto scrivere in
grandi lettere sulla parete d'ingresso l'auspicio per
il nostro futuro professionale:
L’architettura non avviene per caso, è una coincidenza
di forze, una cospirazione di requisiti, aspettative,
regole e, si spera, di visioni. Richiede collaborazione
ed il suo successo dipende dalla qualità di questa
collaborazione. Questa partecipazione non coinvolge
solo i professionisti ma si attua anche con la società,
tra chi commissiona, regolamenta e soprattutto abita
i nostri edifici e le città. Ho invitato i miei colleghi ad
esaminare ciò che ci accomuna piuttosto che quel
che ci distingue gli uni dagli altri, e così facendo a
dimostrare che la qualità dell’architettura dipende
da valori, sforzi e visioni comuni. Non dobbiamo
dimenticare che nel progettare il nostro futuro costruiamo sempre su ciò che è venuto prima.
Il tema della Biennale era una provocazione quindi,
rivolta ai colleghi affinché dimostrassero il loro impegno in questi valori comuni e condivisi; li incitava ad
abbandonare la presentazione monografica della
loro opera per mirare invece a un ritratto delle collaborazioni e affinità presenti dietro al proprio lavoro
per trovare un valore collettivo dell'architettura:
L'ultimo catwalk dei grandi studi
Giardini padiglione Venezuela
“Common Ground”, era il titolo
la 13° Mostra di Architettura
Internazionale a Venezia, e si può
tradurre in lingua italiana
con il termine “Filo Comune”
o meglio “Bene Comune”
Purtroppo non tutti sono riusciti a riflettere fino in
fondo questo auspicio.
L'anglosassone-iraniano Zaha Hadid, per esempio:
nel capannone dell'Arsenale sorgeva il suo bouquet
di fiori in acciaio. Sovradimensionato, specchiante
all'interno, quasi ecclettico. Pare che l'opera "arum"
non avesse nessun'altro valore. Rappresentava se
stessa, e l'ideologia dell'architetto creatore, che dagli
anni novanta vede il futuro dell'architettura come
esercizio formale-creativo dei processi generati al
computer.
Anche la sala dello studio di Herzog e de Meuron
era un manifesto di autocelebrazione, o meglio,
autocritica: due gigantesci plastici di lavoro della loro
“Elbphilharmonie” ad Amburgo, contornati da un
impressionante numero di articoli dei giornali, testimoni del processo cantieristico, quale avviene tuttora
a singhiozzo, con costi di costruzione oramai quadriArsenale Zaha Hadid -Arum- installazione in lamiere di acciaio
AAA cercasi
filo comune
di Thore Schaier
33
Arsenale, Urban think tank
Giardini, padiglione tedesco
plicati, senza speranza che il cantiere finirà anche
nelle stime più ottimistiche di tempistica.
In un'altra sala, i plastici proposti dallo studio
dell'architetto berlinese Hans Kollhoff, i quali erano,
per dirla tutta, in maggior parte tesi di laurea dei suoi
studenti, dimostravano l'effetto luce-ombra che si va
a creare intorno ai dettagli delle sue facciate. A primo
colpo sembravano modelli di edifici già esistenti
dell'ottocento. Poco modesto come d'abitudine,
l'architetto propapagava il suo personale punto di
vista della città ideale: in stile classico, come se il
progresso nel campo della costruzione, e quindi il
cambiamento di linguaggio non fosse mai avvenuto
negli ultimi 100 anni della storia dell'architettura.
Kollhoff, un vero esperto per viaggi nel tempo mal
riusciti.
Mentre gli studi grandi quindi hanno utilizzato la
Biennale come vetrina di vendita, a prendere in mano
la pala sono stati invece gli studi piccoli.
Per esempio le immagini quasi a scelta casuale ma
significativa, disposte su un grande tavolo bianco,
dallo svizzero Valerio Olgati. Oppure il padiglione
polacco, senza arredo, con solo contropareti intonacate di color grigio ed un pavimento di parquet in
pendenza, quasi impercipibile, che ci obbligava a
camminare cauti, passo per passo, contemporaneamente irritati dai rumori trasmessi dagli altoparlanti
a soffitto che super-amplificavano gli scricchiolii che
emetteva la struttura.
Il padiglione tedesco, quale con l'appello “reduce,
reuse, recycle” ci ha regalato una bellissima mostra
(fotografica) dentro la mostra (di architettura), su
alcuni piccoli progetti di ristrutturazione sostenibile.
Non per ultimo il padiglione allestito di Urban Think
Tank. Presentava la documentazione fotografica di
un gigantesco palazzo nella città di Caracas nel
Venezuela, abbandonato dagli investitori e mai finito
nel suo complesso, e successivamente occupato da
delle famiglie disperate, senza tetto, che si organizzavano in una società spontanea ma funzionante,
per crearne una nuova realtà inaspettata, senza
architetto(!). Una specie di "slum verticale". Un'ottimo
esempio di progettazione dal basso. Ovvio, che, dopo
la vincita del Leone d'Oro per il migliore lavoro
individuale, la stampa venezuelana era parecchio
irritata: come è possibile far vedere (ed addirittura a
premiare alla mostra più importante del mondo per
l'architettura) proprio lo scempio e la vergogna urbana? Ottimi panini, comunque, in questo Bar nell'Arsenale.
Percorrendo i padiglioni, si trovavano anche degli
esempi di buona progettazione dall'alto, però. La
Arsenale, Grande Sala nella Elbphilharmonie a Hamburg di H&dM
Giardini, Peter Eisenman, Piranesi variations
I grandi studi hanno sbagliato obiettivo, quindi?
Tendenzialmente si, ci sono cascati. Chipperfield ha
lasciato mano libera, e si sono persi in elogi autoriflettenti, con la pretesa che proprio l'attuale progetto
più grande, più giocoso, e comunque quello più forte,
rappresentasse un "common ground" da rendere
pubblico. Questa Biennale in effetti, ha reso ancora
più ovvia una caratteristica della quale noi architetti
soffriamo (da quando Le Corbusier si è comprato i
suoi occhiali rotondi neri): il nostro forte bisogno di
auto-rappresentazione.
We are the world, we are small studios
34
Arsenale, padiglione RPCinese
Arsenale, Hans Kollhoff, plastici in creta
Giardini, padiglione Olanda
Biennale di quest'anno oramai si sono chiuse.
Il caleidoscopio colorato della Biennale a Venezia,
ha fatto recepire soprattutto una cosa importante:
La crisi richiede un cambiamento culturale anche
nell'architettura. Non sono più richiesti dei progetti
clamorosi ed individuali, ma bensì progetti condivisi,
anche se di natura modesta perchè a rendere futuribile l'architettura non è l'artefatto in sè, ma il cittadino
stesso che lo riempie di vita.
Giardini, padiglione polacco
piazza coperta al piano terra della Honkong Bank
HQ di Norman Foster viene trasformata tutte domeniche in un "salotto" da operai filippini, ospiti temporanei nella metropoli. Si mangia insieme, si gioca, e
si legge il giornale sdraiato sui divanetti improvvisati
in cartone.
Il mattino dopo, la magia è sparita, e l'edificio torna
a svolgere la sua funzione di cerniera per l'alta finanza
internazionale.
Che cosa rimane di noi architetti?
L'altra installazione di Foster, nell'Arsenale, proietta
l'eredità architettonica su pareti e pavimento. I nomi
dei progettisti appaiono e scompaiono. Si percepiscono solo per alcuni instanti, fino al preciso momento
in cui i cittadini si appropriano delle loro idee e
rendono vitali i loro progetti.
Questo, l'appello per uno spazio urbano forte, e mi
auguro che sopravviva nonostante che le porte della
Post scriptum: colpo di scena per la nomina del curatore
della Biennale n°14 nel 2014: nominato l'olandese Rem
Koolhaas, architetto di avanguardia, grande provocatore di
riflessione sull'architettura sperimentale, anche in scala
urbana. Con questa scelta, la città di Venezia si conferma
per l'ennesima volta come importante fulcro della ricerca
nel campo dell'architettura mondiale?
Arsenale, ingresso