INTRODUZIONE “L’attività sportiva in età adolescenziale, soprattutto se praticata a livello agonistico, si innesta su un terreno ricco di capovolgimenti interpersonali e problematiche esistenziali, andando ad influire sui dinamismi intrapsichici e agendo sulle capacità di controllo dell’Io e sulle dinamiche inconsce che in questo periodo subiscono massicci riaggiustamenti” (Zimbardi F., 2003). L’idea per questo lavoro nasce dall’osservazione di un fenomeno di particolare rilievo e importanza che caratterizza l’attività sportiva in età adolescenziale: l’abbandono precoce dello sport. Secondo il “Primo rapporto sulla condizione dell’infanzia e della preadolescenza (2000), sono numerosi i fattori culturali e sociali che allontanano i giovani dallo sport. Non è facile dare una definizione breve, precisa e completa della parola “sport”. Secondo Vittorio Wyss (1980), dal punto di vista medico, si può dire che lo sport è una forma di attività dell’uomo, caratterizzata da un prevalente impegno dei suoi apparati muscolare e scheletrico (e, di conseguenza, cardio-circolatorio, respiratorio e nervoso che fanno loro da primo supporto indispensabile), impegno, questo, di intensità tale da poter essere leggero come quello di un qualunque lavoro leggero o talmente gravoso da raggiungere i limiti estremi di cui la persona è capace. Esiste anche una differenza fra sport ed attività motorie. Questa distinzione consiste nel genere di impegno richiesto: nel termine sport si tende a comprendere un concetto di agonismo, di confronto, di lotta contro un avversario o contro un limite, elementi che, invece, mancano nell’attività motoria. L’attività motoria è svolta per conto proprio, al fine di migliorare o di mantenere buone le condizioni di salute e di efficienza, per cui l’agonismo, il confronto con l’avversario, ecc., possono essere presenti solamente come occasionali fattori integrativi, al fine di rendere più varia e attraente l’attività stessa. L’esigenza agonistica, per contro pretende un costante miglioramento del proprio livello di efficienza, sia dal punto di vista del rendimento dell’organismo che da quello tecnico di esecuzione dell’esercizio. Di qui la necessità di periodi di allenamento e di addestramento più o meno lunghi, faticosi, rigorosi, a seconda del livello che si vuol raggiungere (Wyss, 1980). Si noti però che nel linguaggio corrente un’attività sportiva a questo livello è definita come “sport agonistico”, mentre si usa l’espressione “fare dello sport” anche per intendere solamente un’attività motoria, con un impiego molto confuso dei due termini e dei concetti che comportano. 1 Riprendendo il discorso iniziale, stando a quanto affermato da alcuni autori, si assiste, nelle fasce puberali e adolescenziali, al cosiddetto fenomeno del “drop-out”, ovvero l’abbandono precoce. Sicuramente, tra le cause di ciò si trovano il consumismo, il benessere, lo studio, le distrazioni, ma anche lo sport ha le sue colpe: spesso non si verifica un “abbandono di uno sport”, ma “un abbandono dello sport” (Simposio multidisciplinare di Cordenons, 2001). I giovani amano lo sport, soprattutto come occasione di socializzazione e di divertimento (Benassi A.R., 2003): se la società sportiva (o la disciplina scelta) lascia insoddisfatti sotto questo aspetto, molto probabilmente la mancanza di tempo e gli impegni scolastici porteranno l’atleta all’abbandono. È quanto emerge dalla ricerca “L’abbandono giovanile dell’attività agonistica nella provincia di Bologna”, realizzata da Nomisma per il CONI di Bologna. Riuscire a valutare quale sia stato, negli ultimi anni, l’andamento del fenomeno dell’abbandono dell’attività sportiva, in ambito giovanile, è alquanto problematico, a causa della mancanza di studi specifici sull’argomento su scala nazionale. Le cause che, stando agli studi condotti, inducono i giovani all’abbandono dell’attività agonistica possono essere riconducibili a molti fattori, come la difficoltà a conciliare lo studio con l’attività sportiva, le divergenze dei genitori, le incomprensioni con gli allenatori, il fatto di non andare d’accordo con i compagni di squadra, i costi troppo elevati, ecc. Statisticamente, la difficoltà a conciliare con lo sport l’attività principale del soggetto, che, considerando la fascia d’età adolescenziale, può identificarsi nello studio, è la causa che genera il maggior numero di abbandoni. Questa affermazione trova una conferma indiretta se si osservano i risultati di alcune ricerche sull’argomento. Non è un caso, infatti, che parte del numero di abbandoni avvenga nella fascia d’età che va dai 13 ai 18 anni, periodo in cui si cominciano a frequentare le scuole superiori o si iniziano le prime esperienze lavorative. La maggior quantità di tempo e di energie che sono, quindi, richieste al ragazzo per svolgere questi impegni, diventano, spesso, la fonte di situazioni che mal si conciliano con l’attività sportiva e portano, nel tempo, all’abbandono dell’attività. In tali situazioni, la capacità del soggetto di organizzare il tempo a disposizione diventa un fattore determinante nella possibilità di continuare a fare sport. In tale contesto, è importante il ruolo che giocano oggi le società sportive, che organizzano l’attività agonistica sul territorio e che tendono ad un avviamento precoce allo sport agonistico dei giovani, soprattutto nella fascia d’età dai 13 ai 18 anni, con selezioni ed allenamenti intensivi che conducono i soggetti scartati a considerarsi fuori dal gioco come atleti di non particolare interesse. 2 In fase adolescenziale, tutto questo produce un atteggiamento di rinuncia ad ogni pratica sportiva, poiché viene vissuta come fallimentare e, di conseguenza, come fonte di insicurezza. Talvolta, tutto ciò può portare ad effetti ancora più negativi, quando i giovani, per restare a livello competitivo, fanno uso di sostanze che interferiscono nella loro crescita naturale. È importante notare che, sul tempo di permanenza nell’universo sportivo, la palestra e il fitness incidono molto positivamente, nel senso che rallentano il processo di abbandono totale dell’attività fisica. Spesso, infatti, accade che lo sportivo, dopo aver interrotto l’attività agonistica, continui a svolgere, per alcuni anni, qualche attività di mantenimento della forma e del benessere psicofisico. Secondo alcuni autori, in Italia, un ruolo molto importante nella diffusione dello sport fra le persone e soprattutto fra i minori, lo ha da sempre rivestitoli livello culturale. Più specificatamente, da diverse ricerche si nota come la durata e il rapporto con lo sport sia direttamente proporzionale al livello culturale, al reddito e al fatto che si viva in città. La mortalità sportiva, l’ingresso ritardato e l’abbandono precoce, sembrano dovuti soprattutto a una bassa scolarizzazione e formazione culturale, ma, nonostante ciò, la scuola italiana sembra ancora oggi molto distante dal riconoscere e sviluppare una reale cultura dello sport che valorizzi il legame tra giovani e attività sportiva. Il rapporto sempre più stretto tra cultura e sport, quindi, è una ricaduta quasi naturale di una nuova e diffusa consapevolezza, che si ricompone nonostante, e al di fuori, delle istituzioni culturali e scolastiche ufficiali. Alcuni imputano il problema dell’abbandono a difetti del giovane d’oggi, troppo appagato da altri interessi, e avrebbe una scarsa attitudine a impegnarsi per qualcosa che costa fatiche e rinunce e non paga immediatamente. Oggi i giovani sono cambiati rispetto a prima, perché sono cambiati i miti e gli stimoli che agiscono su di loro. Non hanno più bisogno dello sport per trovare interessi e sono meno sensibili al gusto della vittoria e del successo sportivo, al gusto di misurarsi per vincere. È, però, incoraggiante constatare che, se trovano gli stimoli e le condizioni favorevoli, si impegnano per ottenere il riconoscimento degli adulti e, quindi, dipende anche, e soprattutto, da questi il loro grado di interesse per lo sport (Prunelli, 2002) Quanto detto serve a rimarcare un concetto forse poco dibattuto. Oggi, dove più che mai è vero che i giovani sono attratti da tanti interessi, è diventato ancora più importante fare in modo che i ragazzi non vivano da soli il loro rapporto con il mondo dello sport. Essi hanno bisogno degli adulti, non tanto, e non solo, per imparare a “giocare”, ma soprattutto per trovare e credere negli stimoli i valori che utilizzano per fare sport (Giovannini, Savoia, 3 2001). L’età adolescenziale, in cui i ragazzi iniziano a verificare e a confrontarsi in prima persona con gli aspetti positivi e negativi della società, è quella nella quale i giovani possono trovare grandi stimoli, ma anche grandi motivi di insicurezza e delusione. Cogliere i primi ed evitare i secondi è un processo che dipende da tanti fattori (Polmonari, 1997). Per questo è importante che l’adolescente sia assistito in questa fase della sua vita, perché può facilmente fare delle scelte non costruttive e decidere prima di non aver raggiunto la maturità (Del Piano, 1999). Questo lavoro si basa sulla letteratura specifica e sulle ricerche realizzate su questo argomento. Vengono considerati quelli che possono essere giudicati i fattori principali responsabili del fenomeno del drop-out, esaminandoli attraverso l’ottica di un fenomeno caratterizzante, in maniera peculiare, il periodo dell’adolescenza: il conflitto Questo scritto si divide in quattro parti. I capitoli 1 e 2 rappresentano una premessa all’intero lavoro, in quanto descrivono la situazione statistica della pratica sportiva in Italia e la situazione della pratica sportiva giovanile secondo le più recenti ricerche. La prima parte (“L’abbandono dell’attività sportiva e l’abbandono inteso come mancata entrata nel mondo dello sport”) analizza in maniera più specifica il fenomeno del drop-out. Il capitolo 3 rappresenta una breve presentazione del fenomeno, mettendo a confronto l’esperienza dell’abbandono in età adolescenziale in senso generale, con l’abbandono scolastico e l’abbandono sportivo, che, da diversi autori, sono considerati i due casi più rappresentativi di tale fenomeno in questa fascia d’età. Nel capitolo 4 si comincia a parlare di abbandono precoce sportivo vero e proprio. Il fenomeno del drop-out viene messo in relazione al fenomeno del conflitto, provando a intendere l’abbandono come una fuga in risposta ai conflitti. Successivamente, il drop-out viene distinto da un altro fenomeno caratterizzante la pratica sportiva: il burn-out. Viene quindi presentato il modello teorico dello scambio sociale e due critiche relative ad esso. Sono, inoltre, mostrati alcuni dati statistici sul drop-out e alcune ricerche empiriche sull’abbandono della pratica sportiva di livello agonistico. Poiché nel panorama sportivo non esiste solo la pratica a livello agonistico, ma è evidente che esiste una numerosa parte di atleti pratica sport a livello amatoriale, nel capitolo 5 il drop-out viene analizzato sotto un altro aspetto, quello, cioè, legato, per l’appunto, alla pratica sportiva non agonistica. Anche in questo caso sono presentate alcune ricerche realizzate in quest’ambito. 4 Nel capitolo 6, invece, l’abbandono precoce della pratica sportiva viene analizzato sotto un altro aspetto particolare: quello della mancata entrata nel mondo dello sport. Si ipotizza che il non praticare, o il non aver mai praticato, attività sportiva possa essere considerato come una forma particolare di abbandono. Anche questo capitolo è corredato da una serie di ricerche empiriche e viene, infine, discusso il caso clinico della “sindrome del ragazzo non sportivo”. Sulla base dei dati e delle affermazioni fino ad ora esposti, vengono descritti più in dettaglio quelli che, dalla maggior parte della letteratura, sono considerati gli argomenti principali che caratterizzano la vita sportiva dell’adolescente. Il capitolo 7 esamina la motivazione. Vengono presentate alcune delle principali teorie sulla motivazione e, in particolare, viene descritta la teoria della motivazione in ambito sportivo: si affronta, quindi, il discorso sulle motivazioni primarie e sulle motivazioni secondarie e si analizza il discorso della motivazione legato alle diverse fasce d’età. Per confermare la parte teorica vengono riportate alcune ricerche sull’argomento. Conseguentemente, nel capitolo 8, illustra il discorso sulla demotivazione, sia da un punto di vista teorico che da un punto di vista empirico. Viene, poi, approfondito il discorso che riguarda le due figure che rivestono maggior importanza nella vita sportiva degli adolescenti: i genitori (capitolo 9) e l’allenatore (capitolo 10). Per quel che riguarda le figure genitoriali, l’argomento viene affrontato a livello teorico, valutando il ruolo che questi possono avere nel fenomeno dell’abbandono, e viene cercata conferma di quanto sostenuto attraverso l’analisi di alcune ricerche. Per quel che riguarda l’allenatore, inizialmente, viene approfondito il ruolo che questa importante figura riveste nel panorama sportivo giovanile e, in seguito, si esamina il rapporto fra l’atleta e l’allenatore e il conflitto che può sorgere fra essi. Nei capitoli 11 e 12, viene presentato un argomento che, senza ombra di dubbio, rappresenta un tema di fondamentale importanze nella discussione legata al mondo adolescenziale. Si parla, infatti, dei disturbi alimentari. Viene presentato sia il discorso legato all’anoressia e alla bulimia (capitolo 11), sia il discorso riguardante l’obesità (capitolo 12) ed entrambi gli aspetti vengono posti in relazione alla pratica sportiva e al mondo dello sport. Dopo una presentazione generale dell’argomento (completata con l’esposizione di alcune ricerche relative alla condizione adolescenziale in rapporto ai disturbi alimentari), si cerca di determinare come i disturbi alimentari influiscano sulla pratica sportiva e, viceversa, come la pratica sportiva influisca sui disturbi alimentari. Va sottolineato che, per quel che riguarda il discorso sull’obesità, questo argomento viene 5 presentato non sotto il punto di vista classico, e cioè come lo sport possa rappresentare un aiuto e un beneficio (sia fisico, ma anche psichico) per le persone obese, me si tenta di capire come mai i soggetti obesi si allontanano (o vengono allontanati?) dal mondo dello sport. Anche in questo caso la parte teorica viene supportata da alcune ricerche empiriche. Nel capitolo 13, infine, in quanto argomento di particolare importanza e rilevanza, anche in virtù dei recenti casi di cronaca, viene descritto il fenomeno del doping e come fa la sua comparsa anche nel panorama sportivo giovanile e dilettantistico. La seconda parte tratta, in maniera più specifica, del tema del conflitto, gia in precedenza impostato, e del ruolo che esso riveste nel mondo dello sport giovanile. Nel capitolo 14 il conflitto viene presentato da un punto di vista descrittivo e teorico a livello generale, citando le diverse classificazioni e suddivisioni che la letteratura suole fare sull’argomento. Nei capitoli 15 e 16, il conflitto viene analizzato in maniera strettamente legata all’adolescenza: sono infatti presentati il conflitto intrapersonale in adolescenza (corpo che cambia, pubertà, sessualità, crisi adolescenziale) e il conflitto interpersonale in adolescenza (conflitto in famiglia, con gli amici e a scuola). Nel capitolo 17 il discorso torna a incentrarsi sull’ambito sportivo: sono descritti e commentati, infatti, i diversi tipi di conflitto che l’atleta può vivere durante la pratica dell’attività sportiva. Infine, il capitolo 18 rappresenta una summa di quanto affermato nei capitoli precedenti. Vengono ripresi tutti gli argomenti affrontati e, per ognuno, viene evidenziato il ruolo che il conflitto assume nel rapporto fra questi e l’attività sportiva. La terza, ed ultima, parte, rappresenta il lavoro di ricerca empirica realizzato per cercare di capire se e come il conflitto abbia una parte rilevante nel fenomeno del drop-out. Nel capitolo 19 viene presentata la ricerca da un punto di vista teorico e descrittivo, mentre nel capitolo 20 sono presentati e commentati i risultati ottenuti. Per finire, il capitolo 21 contiene le conclusioni e le considerazioni finali del presente lavoro. 6