IL PELLICANO di August Strindberg Traduzione di

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IL PELLICANO
di August Strindberg
Traduzione di Luciano Codignola e Bruno Argenziano
Milano
TEATRO LITTA
5 ottobre 1975
Cooperativa Teatro Tre
Elise
Fredrik
Gerda
Axel
Delia Bartolucci
Ruggero Dondi
Mariella Fenoglio
Franco Sangermano
Scene e costumi Enrico Job
Musiche Gianfranco Facchinetti
Regia Mina Mezzadri
Attrezzeria di scena:
stufa antropomorfa
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I molti significati e simboli del Pellicano di Strindberg nella messinscena
di Mina Mezzadri, acquistano una forte visualizzazione grazie al tramite
scenografico di Enrico Job. “La Mezzadri – sottolinea A. Bisicchia nella
prefazione a Tutto il teatro di Strindberg, Ed. Mursia, vol. II – sposta
ancora di più l’asse dello spazio scenico, oscillante, nelle interpretazioni
precedenti tra naturalismo ed espressionismo, per proiettarlo in una
dimensione simbolica, recuperando così il simbolismo come poetica, non
solo letteraria, ma anche drammaturgica, aiutata, in questa scelta, dall’apporto decisivo di Enrico Job che le permette di concentrare l’azione sull’essenzialità di una scrittura scenica, in cui la tessitura simbolica si carica
di allusioni che vanno oltre uno spazio e un tempo codificati” (n. d. r.).
“Le è stata di sostegno in codesto viaggio – è la parola – la scenografia
di Enrico Job: un disco altalenante di fronte a tre funerei portali con due
soli mobili, una poltrona e una stufa, antropomorfizzati e semoventi: due
simboliche presenze incombenti e minacciose prescritte dal testo e dalle
quali la regia ha saputo trarre profitto proficuo” (Carlo Terron, Bersaglio:
donna con alzo a zero, La Notte, 11 dicembre 1975).
“La più sconvolgente trovata di tutto lo spettacolo è quella sedia marmorea, dove trabocca l’ombra del marito tradito, che gira vorticosamente intorno a Elise, sino a dare un ritmo di danza macabra a tutta la scena,
all’intero spettacolo” (Giancarlo Vigorelli, Strindberg con rispetto, Il
Giorno, 12 dicembre 1975).
“Ma tutto lo spettacolo, pur nell’ascetismo del suo impianto soffre di una
sovrabbondanza di simboli mitici, come se la regia avesse voluto tutto sottolineare e spiegare, non lasciando ombre fertili all’immaginazione”
(Roberto De Monticelli, Danza del fuoco sulla piattaforma, Corriere della
Sera, 12 dicembre 1975).
“… l’asciutta regia di Mina Mezzadri tutta costruita attorno a una stupen-
The many meanings and symbols of Strindberg’s Il pellicano in the staging by
Mina Mezzadri acquire strong visualization thanks to the mediation of set
designer Enrico Job. “Mezzadri”, states A. Bisicchia in his preface to Tutto il
teatro di Strindberg, ed. Mursia, vol. II, “transposes the acting area even further,
an area which has oscillated in previous productions between naturalism and
expressionism, in order to project it onto a symbolic dimension, thus recuperating
its symbolism as poetics, not only literary but also dramaturgical. She is helped, in
this decision, by the decisive contribution of Enrico Job, who allows her to
concentrate the action onto the essentiality of a scripted set, in which the symbolic
fabric is full of allusions which go beyond codified space or time” (ed.).
“She has been supported in this journey, and that is the word for it, by Enrico Job’s
set design: a disk, oscillating in front of three funereal portals with just two pieces
of furniture, an armchair and a stove, which are anthropomorphic and move on their
own: two symbolic presences which impend and threaten, prescribed in the text and
of which the director has succeeded in making the maximum use” (Carlo Terron,
Bersaglio: donna con alzo a zero, La Notte, 11 December 1975).
“The most disturbing innovation of the whole production is the marble chair
containing the ghost of the betrayed husband, which repeatedly, vertiginously runs
circles around Elise, to the point of giving the whole scene, and the whole play, a
macabre dance rhythm” (Giancarlo Vigorelli, Strindberg con rispetto, Il Giorno,
12 December 1975).
“But, despite the asceticism of its set, the whole production suffers from an excess
of mythical symbols, as if the director had wanted to underline and explain
everything, leaving no fertile shadowy areas to the imagination” (Roberto De
Monticelli, Danza del fuoco sulla piattaforma, Corriere della Sera, 12
December 1975).
“.. Mina Mezzadri’s lean direction is all constructed around a marvellous
invention of set design by Enrico Job: a single set consisting of a big circular
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Il pellicano. Prospetto della scena
da invenzione scenografica di Enrico Job: una scena unica formata da una
grande pedana circolare… I piani inclinati e inesorabili luci dall’alto, senza
ombra, segnano gli scontri tra i personaggi, che non sono mai allo stesso
livello. Come una bilancia che misura il peso dell’odio, la pedana s’inclina
innalzando il più forte… Qui lo scenografo riesce a diventare protagonista
dello spettacolo, col semplice meccanismo di una poltrona che rincorre la
donna attorno al piano inclinato. Lo spettacolo è quasi tutto teso a mostrare i suoi significati col massimo dell’evidenza” (Maurizio Giammusso,
Strindberg a dosi massicce, Corriere della Sera, 21 maggio 1975).
“… Penombra, tutto attorno, penombra popolata di suoni misteriosi: la
porta massiccia; la corolla delle luci suggerisce con la sua geometria il
geometrico rapporto fra i personaggi, nonché quello altrettanto geometrico fra personaggi e oggetti… e i costumi, in certo senso anch’essi ‘parlanti’ come gli oggetti” (Paolo Emilio Poesio, Una danza di morte, La
Nazione, 25 gennaio 1976).
“… quello escogitato da Enrico Job per il Pellicano spinge il richiamo
greco ai limiti estremi del simbolismo” (Giorgio Prosperi, ‘Il Pellicano’ in
chiave greco-borghese, Il Tempo, 20 maggio 1977).
“Ma la messinscena del Pellicano ha un suo oscuro fascino. Denudato di
tutto il ciarpame sino ai muri perimetrali, il palcoscenico acquista un aspetto da oratorio di quaccheri… Frastornati dal traballamento che rende a
meraviglia la labilità del destino, si esce dalle Arti, come stringendo tra le
dita sudate cera di esequie” (Angelo Maria Ripellino, Che caldo, ho visto
Cechov, L’Espresso, 12 giugno 1977).
“L’idea della pedana sopraelevata, il cui piano centrale, artatamente instabile, sbilancia in senso circolare la mimica degli attori, è senza dubbio l’idea sintesi dello spettacolo, l’ara ormai infranta in cui si ammassano e si
smembrano le tragiche contraddizioni dell’istituto familiare...” (Angelo
Pizzuto, Il Pellicano, Sipario, agosto-settembre, anno XXXII, n. 375/376).
“Quattro parimenti sono gli elementi della scenografia di Enrico Job: una
nera porta, ripetuta in tre diverse dimensioni, incombe come un senso di
colpa sullo sfondo;davanti una rotonda predella girevole che è il piano instabile dell’azione, cambiando inclinazione come un’altalena vorticosa a ogni
movimento degl’interpreti; al centro è dominata da un’immobile grigia
stufa antropomorfa, donna senza testa ma con un gran fornello aperto sul
sesso e le mani che coprono le mammelle, emblema di una maternità negata, mentre il padre morto si incarna nelle diverse posizioni allusive di una
macabra poltrona grigia di resina sintetica con la spalliera di costole,un braccio che ricade al di fuori e una testa reclinata e dolorosa nel segno di
Munch” (Franco Quadri, La politica del regista, Il Formichiere, Milano,1980).
Lo spettacolo fu rappresentato nel maggio del 1981 anche al Festival di
Stoccolma dove riscosse un grandissimo successo di pubblico e di critica (n. d. r.).
“Lo scenografo Enrico Job, usa anche nel Pellicano un’angolazione simbolica e assai originale per il rapporto tra i personaggi. Mantiene il cerchio che aveva adoperato nella scena del Padre. Ma esso ha ora nel centro solo una stufa a forma di torso femminile… Ma quanto contribuiva
questa scenografia alla creazione dello spettacolo? Ne è in sostanza il suo
significato. Come pure quei costumi dei due fratelli che ricordavano le
camicie di forza, in una sorta di dolorosa predestinazione. Di queste due
opere strindberghiane, Mina Mezzadri ha fatto dei drammi del destino
che li avvicina alla tragedia greca” (Ulla-Britt Edberg, Sfumature, ritmo o
movimenti, Svenska Dagbladet, 22 maggio 1981).
“La scena è stupenda, con la sua ricchezza di sensualità… Questa messa
in scena ha già cinque anni, ma ottiene ancora successo in Italia. E si capisce. È magnifica. Sabato prossimo sarà a Malmö. Mettetevi in fila, tutti voi
che amate il teatro” (Bengt Johansson, L’odio manovra tutto, Dagens
Nyheter, 22 maggio 1981).
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platform... The tilting levels and the inexorable lighting from above, with no
shadows, mark the clashes between the characters, who are never to be found at the
same level. Like a set of scales measuring the weight of hate, the platform tilts,
raising the character who is strongest... Here the set designer manages to become a
protagonist of the production, with the simple mechanism of an armchair which
pursues the woman around the tilted platform. The production is almost wholly
devoted to revealing its meanings with the maximum clarity” (Maurizio
Giammusso, Strindberg a dosi massicce, Corriere della Sera, 21 May 1975).
“... Penumbra all around, penumbra populated by mysterious sounds: the massive
door, the corolla of lighting which suggests in its geometry the geometrical relation
between the characters, as well as the equally geometrical relation between characters
and objects... The costumes, too, in a certain sense ‘speak’ like objects” (Paolo
Emilio Poesio, Una danza di morte, La Nazione, 25 January 1976).
“... the set designed by Enrico Job for Il pellicano pushes its Greek overtones to
the extreme limits of symbolism” (Giorgio Prosperi, ‘Il Pellicano’ in chiave
greco-borghese, Il Tempo, 20 May 1977).
“But this production of Il pellicano has its dark fascination. Stripped of all
rubbish, right up to the perimeter walls, the set takes on the appearance of a
Quakers’ chapel... Distraught by the lurching of the stage, which perfectly expresses
the inconstancy of destiny, we emerge from the theatre as if from a funeral, clutching
the remains of the candles between our sweaty fingers” (Angelo Maria Ripellino,
Che caldo, ho visto Cechov, L’Espresso, 12 June 1977).
“The idea of a raised platform, the central plane of which, deliberately unstable,
unbalances the acting in a circular fashion, is without doubt the idea which
synthesizes the production, the unbroken altar upon which the tragic contradictions
of the institution of the family are piled up and dismembered...” (Angelo Pizzuto,
Il Pellicano, Sipario, August-September,Year XXXII, no. 375/376).
“Enrico Job’s set design contains four elements: a black door, repeated in three
different dimensions, hovers like a guilty conscience in the background; in front, a
round, rotating dais, which is the unstable platform for the action, tilting madly
like the base of a swing at the actors’ every movement; the set is dominated at the
centre by an immobile grey anthropomorphic stove, a woman without a head, but
with a large open fire positioned above her sex and hands which cover her breasts
(the symbol of a denied maternity), while the dead father is incarnated in the
various allusive positions of a macabre grey armchair of plastic, its back made of
ribs, an arm falling down over the side, and a head leaning back in an attitude of
pain, à la Munch” (Franco Quadri, La politica del regista, Il Formichiere,
Milan, 1980).
The production was also performed at the Stockholm Festival in May 1981, where
it enjoyed great success with audience and critics (ed.).
“Set designer Enrico Job also uses a symbolic and fairly original angulation in Il
Pellicano to illustrate the relationship between the characters. He maintains the
circle that he used in the set of Il Padre. But now it has at its centre only a stove
in the form of a woman’s torso... But how much has this set design contributed to
the production? It is, in short, its whole meaning. As are the costumes of the two
brothers, reminiscent of straitjackets, in a kind of painful predetermination. Mina
Mezzadri has turned these two plays of Strindberg’s into dramas of destiny,
bringing them close to Greek tragedy” (Ulla-Britt Edberg, Nyanser tempo och
rörelser, Svenska Dagbladet, 22 May 1981).
“The scenery is stupendous, with its wealth of sensuality...This production is five
years old, but it is still enjoying success in Italy. And one can see why. It’s
magnificent. Next Saturday it will play at Malmö. So start queuing, all you theatre
lovers” (Bengt Johansson, Hate Manipulates Everything, Dagens Nyheter, 22
May 1981).
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