ASSESSORATO ALLA C ULTURA E SPETTACOLO STAGIONE DI PROSA 2010-2011 Teatro Donizetti dal 7 al 12 dicembre 2010 LA TEMPESTA di William Shakespeare adattamento e regia Andrea De Rosa spazio scenico Alessandro Ciammarughi, Andrea De Rosa, Pasquale Mari scene e costumi Alessandro Ciammarughi luci Pasquale Mari suono Hubert Westkemper musica Giorgio Mellone con Umberto Orsini e con Flavio Bonacci, Rino Cassano, Gino De Luca, Francesco Feletti, Carmine Paternoster, Rolando Ravello, Enzo Salomone, Federica Sandrini, Francesco Silvestri, Salvatore Striano produzione Teatro Stabile di Napoli, ERT - Emilia Romagna Teatro Fondazione e Teatro Eliseo Andrea De Rosa approda a La tempesta di William Shakespeare. I temi cardine - vendetta, perdono, morte, rinascita, colpa, schiavitù e ricerca della libertà - sono affrontati alla luce dell’illusione e del sogno, mentre il mondo misterioso e indecifrabile dei versi shakespeariani diventa terreno ideale per il regista, che esprime, attraverso la trama dell’opera, il racconto dell’uomo che vive e agisce tra mondi paralleli. «La tempesta somiglia ad un labirinto. Come in una casa di specchi, ogni volta che intravedi una via d’uscita, essa si rivela essere dalla parte opposta a quella che avevi immaginato. Come in un miraggio o in un sogno, ogni volta che provi ad afferrare qualcosa, l’oggetto su cui credevi di aver messo le mani si dilegua. Finché capisci che ciò che conta non è l’uscita e che non c’è nulla da afferrare. Stare ad ascoltare le domande che il testo ti pone e restarci dentro (restare dentro alle domande, al labirinto) è l’unica via». Teatro Donizetti dall’11 al 16 gennaio 2011 LA LOCANDIERA di Carlo Goldoni progetto Elena Bucci e Marco Sgrosso regia Elena Bucci con Elena Bucci, Marco Sgrosso, Daniela Alfonso, Maurizio Cardillo, Gaetano Colella, Nicoletta Fabbri e Roberto Marinelli produzione CTB - Teatro Stabile di Brescia e Compagnia Le Belle Bandiere L’enorme fortuna de La locandiera, testo studiato nelle scuole e messo in scena da moltissime compagnie, rischia di rendere muti. Elena Bucci, regista dello spettacolo e autrice del progetto insieme a Marco Sgrosso, ci racconta di come si siano «divertiti a metterlo in scena, ritrovando le radici della più lucida commedia all’italiana del Novecento, spiando, attraverso un Goldoni che di certo ne è stato un avido testimone oculare, i segreti dei comici dell’Arte, dei quali sappiamo poco o nulla. Abbiamo provato ad uscire dalla strada comoda della corretta dizione italiana per avventurarci nelle consapevoli sporcature del dialetto, che hanno immediatamente reso più concrete le battute e più vive le situazioni. Di certo, quando scriveva Goldoni, l’italiano era ancora più colorato di ora. Ancora oggi, un’energica rilettura di questo testo ce ne fa comprendere la fortuna e la perplessità del pubblico che lo vide in scena la prima volta. Il suo meccanismo perfetto, che muove a tratti la commozione pur facendola brillare tra le risate, non dà alcuna soluzione, ma pone continue domande. Da una parte vediamo il mondo sicuro del benessere, dall’altro quello rischioso dell’avventura fuori dai canoni, ma entrambi stanno facendo lo stesso viaggio, su una grande nave che scricchiola e sempre più sbanda, sia essa la storia o la vita». Nonostante la sua fama di “riformatore” del teatro, nonostante i suoi inviti a guardarci dalle lusinghe d’amore, Goldoni, volente o nolente, ci consegna un’opera dalla quale traspaiono insieme tutte le umane complesse debolezze e la disperata e anarchica vitalità del mondo della Commedia dell’Arte, «e lo sguardo dell’autore, che pare condannarle o giudicarle, invece le abbraccia quasi silenzioso, con una lacrima di incanto che non vuole scendere né asciugarsi». Teatro Donizetti dal 25 al 30 gennaio 2011 GIAN BURRASCA testo e supervisione registica Lina Wertmuller musiche Nino Rota trascritte per quintetto da Giacomo Scaramuzza con Elio (voce) e con Corrado Giuffredi (clarinetto), Cesare Chiacchiaretta (fisarmonica), Giampaolo Bandini (chitarra), Enrico Fagone (contrabbasso) e Danilo Grassi (percussioni) produzione Parmaconcerti NUOVA PRODUZIONE In questa nuova produzione di Parmaconcerti Elio vestirà i panni di Gian Burrasca, lo scatenato protagonista del romanzo di Vamba scritto nel 1907, e lo farà cantando ed interpretando i momenti salienti della storia dello scatenato Giannino Stoppani, alias Gian Burrasca. Il testo e la supervisione registica saranno a cura di Lina Wertmuller, già autrice del celeberrimo sceneggiato televisivo della metà degli anni Sessanta. «Adoro Elio e da quando abbiamo lavorato assieme in Storia d’amore e d’anarchia in teatro nel 2004 ho pensato e immaginato che prima o poi ci sarebbe stata un’altra occasione: è arrivata con la sua proposta di portare in teatro il Gian Burrasca. Come potevo non entusiasmarmi all’idea di rimetter mano dopo più di quarant’anni al testo del Giornalino immaginando Elio vestire i panni che furono di Rita Pavone? Ed ecco quindi che è nato questo spettacolo divertente, con Elio come unico cant-attore in scena e cinque straordinari musicisti che suonano dal vivo le canzoni più celebri dello sceneggiato televisivo composte dal grande Nino Rota. Sto pensando ad una regia abbastanza semplice, ad un ritmo veloce dello spettacolo perché la musica sia la grande protagonista della serata ed Elio, imprevedibile e irresistibile giocherellone, il Gian Burrasca del nuovo millennio….». Teatro Donizetti dall’8 al 13 febbraio 2011 IL MISANTROPO di Molière regia Massimo Castri scene Maurizio Balò con Massimo Popolizio e con Graziano Piazza, Sergio leone, Federica Castellini, Laura Pasetti, Ilaria Genatiempo e Tommaso Cardarelli produzione Teatro Stabile di Roma NUOVA PRODUZIONE Come noto, Molière ebbe il coraggio di iniziare un nuovo genere di teatro, che descriveva senza veli i costumi del suo tempo. I suoi personaggi, presi dalla vita di tutti i giorni, erano avari, sciocchi, ipocriti, scaltri, misantropi, ma tutti avevano in comune un pregio: erano vivi, veri e, per di più, comici. Sembrerebbe che il Duca di Montasieur, precettore del Delfino di Francia, avesse minacciato Molière di bastonarlo per averlo preso a modello come l’Alceste, protagonista de Il Misantropo, salvo poi cambiare idea e ringraziarlo dell’onore concessogli. Sin dal loro primo apparire sulle scene, le commedie di Molière piacquero al pubblico proprio per la novità che rappresentavano anche se, come nel caso citato, egli raramente inventava trame e soggetti originali, sfruttando piuttosto il patrimonio di autori vissuti prima di lui. La sua grandezza è quella di far diventare le storie comuni storie universali, valide per ogni epoca e località. Il Misantropo è, allora, la storia di chi, contro il parere e i consigli degli amici, non scende mai a compromessi, pone sempre la sincerità al di sopra di tutto, anche a costo di urtare le varie e deboli personalità, con il rischio, quindi, di perdere ogni possibile protezione. È questo il retroterra che Massimo Castri, uno dei nostri più importanti registi, affronta con questa nuova messa in scena, accostandosi per la prima volta a un Molière, in un percorso di collaborazione con il Teatro di Roma che ha già visto altre importanti tappe come, Tre sorelle, Porcile, Finale di Partita, Quando si è qualcuno, Questa sera si recita a soggetto. Nel ruolo di protagonista Massimo Popolizio, un’altra presenza che, così come quella di Castri, segna la continuità di un rapporto di lavoro e di ricerca con due tra i più importanti artisti della scena teatrale italiana. Teatro Donizetti dal 22 al 27 febbraio 2011 (domenica 27 febbraio doppia replica, alle ore 15.30 e alle ore 20.30) BOTHANICA uno spettacolo concepito e diretto da Moses Pendleton co-direttore Cynthia Quinn coreografie Moses Pendleton costumi Phoebe Katzin, Moses Pendleton e Cynthia Quinn disegno pupazzi Michael Curry realizzazione attrezzi e art work Pedro Silva luci Joshua Starbuck e Moses Pendleton proiezioni video Moses Pendleton montaggio video Woodrow F. Dick III con gli acrobati della Compagnia MOMIX (Tsarra Bequette, Jennifer Chicheportiche, Simona Di Tucci, Sarah Nachbauer, Cassandra Taylor, Joshua Christopher, Jon Eden, Donatello Iacobellis, Robert Laqui, Steven Marshall) produzione La Cenicienta distribuzione Duetto 2000 ROMA Lo spettacolo nasce dalla passione per la natura del coreografo Moses Pendleton, fondatore dei Momix. «Mi sono ispirato per prima cosa a Vivaldi e al suo ciclo delle Quattro Stagioni», dice infatti il coreografo. Lo spettacolo è diviso in due parti: Winter Spring (il nome delle due prime stagioni Inverno-Primavera, ma anche, in inglese, “lo slancio (spring) dell’inverno”) e Summer Fall (Estate-Autunno, ma anche “la caduta dell’estate”). E in questo semplice ma affascinante gioco linguistico si nasconde molta della elementare ma accattivante filosofia Pendletoniana. Le coreografie sono un insieme di elaborati giochi ottici, intessuti di efficaci strutture dinamiche proprie della modern dance americana. Il panorama sonoro è impressionante per varietà: ben trentacinque diverse fonti sonore. Alla base di Bothanica c’è però anche il desiderio di trarre lezione dall’osservazione della natura nel senso, appunto, un po’ ingenuo e forse ancora “hippy” del termine. «Questa – dice Pendleton – è l’essenza dei Momix: si vede un fiore in un uccello, un essere umano in una roccia, una donna in un uomo. Bisogna usare la fantasia, l’immaginazione, la creatività. Nei nostri spettacoli cerchiamo di provocare quella che io chiamo “optical confusion”: un modo per eccitare i nervi del cervello e stimolare la creatività». Teatro Donizetti dall’8 al 13 marzo 2011 DONA FLOR E I SUOI DUE MARITI liberamente tratto dal romanzo di Jorge Amado regia e drammaturgia Emanuela Giordano musiche originali eseguite dal vivo dalla Bubbez Orchestra impianto scenico Andrea N. Cecchini installazioni visive Claudio Garofalo coreografie Juan Diego Puerta luci Michelangelo Vitullo con Caterina Murino, Paolo Calabresi e Max Malatesta e con Simonetta Cartia, Claudia Gusmano, Serena Mattace Raso e Laura Rovetti produzione Compagnia Mario Chiocchio Dona Flor, come molti sanno, è una dolce e pudica creatura bahiana che convola in prime nozze con un adorabile mascalzone, giocatore e sciupafemmine. Alla morte del primo marito, dopo un anno di sofferta vedovanza, si risposa con un affettuoso, devoto e morigerato farmacista. Dona Flor scopre, nell’incanto di un luogo dove l’impossibile si palesa e si colora, che il desiderio può compiere prodigi inaspettati. Grande maestra di cucina, Dona Flor, natura onesta e schiva, scopre che il suo appetito d’amore non si può saziare con un solo marito, ce ne vogliono due. Per un idillio perfetto occorre mettere insieme il meglio di entrambi: onestà e premure da una parte, fantasia ed erotismo dall’altra, o, come suggerirebbe James Hillman, l’animo saturnino e quello mercuriale. Lo spiritello vivace del primo amore si intrufolerà nel letto del secondo legittimo marito, regalando a Dona Flor l’illusione di una pienezza altrimenti irraggiungibile. Il capolavoro di Amado sprigiona incandescente ilarità e poesia visionaria. Non è traducibile per intero sulla scena, tanti sono i personaggi che si affollano nelle case, per i vicoli del Pelorinho, quartiere popolare di Bahia, dove la vita si consuma tra la gente. «La nostra trasposizione teatrale, fedele, crediamo, allo spirito dell’autore ci racconta la regista Emanuela Giordano - immagina un luogo che abbiamo nella memoria. Bahia, che ho conosciuto e amato enormemente, resta Bahia ma diventa anche una Genova, una Napoli, o una Palermo dei primissimi anni Sessanta. Una città di mare, solare e segreta al tempo stesso, dove il quartiere è ancora teatro della vita. Morti, matrimoni, amori e tradimenti riguardano tutti, con una morbosa, affettuosa, indecente partecipazione di cui ora sentiamo, forse, la mancanza». Teatro Donizetti dal 22 al 27 marzo 2011 IL MARE due tempi di Paolo Poli da Anna Maria Ortese regia Paolo Poli scene Emanuele Luzzati costumi Santuzza Calì con Paolo Poli e con altri attori da definire produzione Produzioni Teatrali Paolo Poli NUOVA PRODUZIONE I racconti di Anna Maria Ortese, composti nel lungo arco di tempo che va dagli anni Trenta agli anni Settanta, affiancando la produzione dei grandi romanzi, riflettono sorprendentemente la complessa personalità dell’autrice. Storie quasi senza storia che dipingono una realtà tragica come attraverso un sogno. Spesso sono stati paragonati al fantastico viaggio dantesco nell’aldilà. A una rilettura odierna sembrano piuttosto rievocare la teatrale tenerezza del Tasso o la cinematografica leggerezza dell’Ariosto. Gli avvenimenti narrati sono visti attraverso il ricordo struggente: l’infanzia infelice, ma luminosa, l’adolescenza insicura, ma traboccante, l’amore sfiorato, ma mai posseduto. Sentimenti che ricordano il dispettoso rifiuto di Kafka e le illuminazioni improvvise di Joyce. Figure e figurine di un’ “Italietta” arrancante nella storia, dove le canzonette fanno la parte del leone. Accanto a Paolo Poli gli attori che da sempre lo accompagnano in un tipo di teatro personalissimo. Le scene del grande Emanuele Luzzati enfatizzano la pittura novecentesca. I costumi fantasiosi di Calì sorprendono ancora una volta. Le musiche di Perrotin persuadono arditamente. Insomma una nuova produzione della premiata ditta Sorrisi e Veleni. Teatro Donizetti dal 5 al 10 aprile 2011 BOLLYWOOD LOVE STORY di Sanjoy K. Roy regia Sanjoy K. Roy coreografie Gilles Chuyen scene Sanjoy K. Roy & Sharupa Dutta set visuals Oroon Das costumi Gilles Chuyen & Sharupa Dutta direzione video Manoj Kumar arrangiamenti musicali Sony Bmg, Yashraj Music, T-series, Eros Multimedia produzione Live Arts Management Bollywood Love Story è una storia d’amore e di sogni. Un uomo giovane, Rahul, emigra dal suo villaggio verso una grande città in cerca di un brillante futuro. Nel mezzo della confusione creata dall’incontro con nuove persone, nuovi posti, nuovi suoni e nuove visioni, Rahul conosce la donna dei suoi sogni, Priya. Tra i due giovani sboccia l’amore, ma il padre di lei, Don, il boss del villaggio, cercherà di ostacolarli. A Bollywood, tuttavia, il lieto fine è d’obbligo. In quasi tutti i film bollywoodiani ci sono giovani innamorati, malvagi oppressori, rapimenti, lacrime, disperazione, scontri e promesse. Gli stessi ingredienti elettrizzeranno il pubblico di Bollywood Love Story. Il musical è un pittoresco alternarsi di danza e musica, un’esplosiva miscela di coreografia moderna e danza folcloristica, intrattenimento allo stato puro, che richiede l’interazione del pubblico. Inutile dire che musica e danza giocano un ruolo fondamentale proprio perché sono da sempre parte integrante della cultura indiana. Bollywood Love Story regala uno splendido viaggio nell’India moderna attraverso le tradizioni che contraddistinguono una storia del cinema che abbraccia danza, teatro e musica. Una produzione che riunisce sulla scena trenta artisti, tra attori, ballerini e cantanti e che contagia e trasmette un irresistibile entusiasmo al pubblico di tutto il mondo. Elogi e riconoscimenti sono arrivati dall’Europa e dal Sudafrica, dove la produzione ha effettuato una lunga tournée nel corso della passata stagione. Teatro Donizetti dal 3 all’8 maggio 2011 NIENTE PROGETTI PER IL FUTURO di Francesco Brandi regia Francesco Brandi con Giobbe Covatta e Enzo Iacchetti produzione La Contemporanea in coproduzione con Sosia&Pistoia NUOVA PRODUZIONE Niente progetti per il futuro è un gioco teatrale surreale, una parabola contemporanea, che cerca di raccontare, con i toni della leggerezza e del paradosso, una società in crisi, dove i valori dell’Uomo appaiono lisi e sfilacciati sullo sfondo di un progressivo impoverimento spirituale. Due uomini si incontrano di notte su un ponte della periferia di una grande città. Li accomuna la singolare circostanza che nello stesso momento hanno pensato di compiere il medesimo gesto: suicidarsi gettandosi dal ponte. Tobia è un vip della tv, psicologo di nascita ma opinionista-tuttologo di adozione (televisiva). È un uomo colto e ironico, ma anche estremamente egoista ed egocentrico. Ultimamente è finito in disgrazia dopo aver involontariamente offeso un alto papavero della televisione in una delle solite schermaglie dei salotti televisivi. Sebbene, pentito dell’incauto gesto, abbia cercato di porvi rimedio con scuse e genuflessioni, subisce ormai da mesi un pesante ostracismo che lo ha logorato lentamente, facendo emergere la sua parte più cinica e nichilista. Su consiglio del suo agente ha speso gli ultimi denari per sposare in sontuose nozze una starlette della tv con cui era fidanzato da tempo, più che per amore per fare un po’ di “rumore” intorno alla propria immagine. Ma il gesto a poco è servito. Oltre allo sbriciolamento della sua carriera Tobia non sopporta di essere stato improvvisamente abbandonato da tutti. Porta con sé un’agendina dove, accanto al nome di ogni persona che conosce, annota se questa lo ami o se non lo ami, come fosse un’enorme margherita da migliaia di petali. E ormai i “m’ama” sono scesi per la prima volta sotto il 3%, un dato nefasto quanto le percentuali auditel dei suoi programmi televisivi. La sua popolarità è definitivamente annientata. Quindi è arrivata l’ora di farla finita. Ma proprio nel fatidico instante in cui sta per lasciarsi andare giù dal ponte appare Ivan. Garagista, uomo semplice e di una piacevole concretezza, religioso praticante, di estrazione sociale bassa, con una cultura non certo ricca, ma nutrita da un’insopprimibile curiosità che alimenta le sue velleità speculative e finanche filosofiche, un filosofo del paradosso ovviamente! E proprio certe sue speculazioni vittimistiche lo hanno portato a concludere che il modo più consono di reagire al tradimento della fidanzata sia levarsi la vita. Adesso che però ha conosciuto di persona Tobia, di cui è da sempre grande fan, ha deciso che la sua ultima buona azione da vivo sarà impedirgli il suicidio. Dall’incontro-scontro di questi due personaggi – a interpretarli Giobbe Covatta e Enzo Iacchetti – provenienti da mondi così lontani, con prospettive di vita tanto distanti, con aspettative diverse, nasce il dramma (o la commedia?) di Niente progetti per il futuro. Che sia dramma o commedia dipende dal punto di vista di chi guarda la pièce, dalla diversa lettura degli stessi avvenimenti. ASSESSORATO ALLA C ULTURA E SPETTACOLO ALTRI PERCORSI 2010-2011 Teatro Sociale 21 dicembre 2010 E PENSARE CHE C’ERA IL PENSIERO di Giorgio Gaber e Sandro Luporini regia Emanuela Giordano con Maddalena Crippa produzione TIEFFE Teatro Milano e Fondazione Giorgio Gaber «Il secolo che sta morendo è un secolo piuttosto avaro nel senso della produzione di pensiero. Dovunque c’è un grande sfoggio di opinioni, piene di svariate affermazioni che ci fanno bene e siam contenti, un mare di parole un mare di parole ma parlan più che altro i deficienti». (E pensare che c’era il pensiero, 1994). Dopo le fortunate esperienze di Sboom e di A sud dell’alma, Maddalena Crippa torna al teatro-canzone, e questa volta dalla porta principale, confrontandosi con uno spettacolo culto per molte generazioni, E pensare che c’era il pensiero, nato dal genio di Giorgio Gaber e Sandro Luporini. Un titolo che segna, insieme ad altri grandi titoli gaberiani, un preciso spartiacque sul fare e pensare teatro e che rappresenta forse il punto più alto dell’opera della coppia. «Quello che sembrava fosse un inarrestabile processo rivoluzionario sul piano delle coscienze, prima ancora che su quello storico e politico, comincia a mostrare i suoi limiti, le sue incertezze, i suoi tentativi un po’ patetici di nascondere contraddizioni sempre più evidenti. L’appiattimento dell’individuo preconizzato dai vari Adorno e Marcuse, è qui presentissimo. Si comincia ad avvertire un senso di impotenza, di incapacità a contrapporre istanze diverse al modello americano e alla sua trionfale avanzata. Si percepisce il disagio di una sconfitta collettiva che ci ostiniamo ancora a non voler riconoscere come tale». Teatro Sociale 18 gennaio 2011 DIES IRAE _ 5 episodi intorno alla fine della specie creazione collettiva di Teatro Sotterraneo testi Daniele Villa luci Roberto Cafaggini costumi Lydia Sonderegger graphic design costumi Claudio Paganini con Sara Bonaventura, Iacopo Braca, Matteo Ceccarelli e Claudio Cirri produzione Teatro Sotterraneo/Fies Factory One coproduzione Centrale Fies, AREA06, OperaEstate Festival Veneto in collaborazione con Inteatro/Scenari Danza 2.0 AMAT Regione Marche «Non potrai mai camminare a fianco di un neandertaliano. Non potrai mai nemmeno parlare con un mesopotamico oppure osservare il cielo con un maya. Non vedrai l’arrivo di una delegazione aliena sul maxischermo e non vedrai il sole diventare supernova. In realtà non ti sei visto nascere e non ti vedrai nemmeno morire. Il presente è un tempo storico. Il presente è una convenzione. Il presente è soprattutto un perimetro d’azione. Per colonizzare passato e futuro possiamo immaginare due archeologie opposte: una che dissotterri il passato e una che sotterri il presente in attesa di un dissotterramento futuro. Abbiamo sempre seguito delle tracce e non potremo non lasciarne di nuove. Ognuno viva e canti il suo tempo e poi torni alla polvere. Alleluia». Dies irae _ 5 episodi intorno alla fine della specie è un lavoro sull’estinzione della civiltà, sull’esaurimento dell’esperienza umana, sulla scomparsa intesa non come evento traumatico, ma come prospettiva, come sguardo archeologico, proveniente da un tempo successivo al nostro. Se dovessimo sparire adesso, la nostra capacità di colonizzare il futuro starebbe negli oggetti che ci cadrebbero di mano, nelle strade che stavamo percorrendo e nelle opere che stavamo osservando. Prima che la natura si riappropri del pianeta, prima che le costruzioni crollino e i lasciti del nostro linguaggio diventino indecifrabili, si potrebbero ancora ritrovare e raccogliere materiali e reperti, predisponendo una sorta di museo in cui le nostra vestigia direbbero di noi, lasciando comunque quasi tutto inspiegato, sopra un pianeta solitario, in orbita, pieno di cose. Dies irae _ 5 episodi intorno alla fine della specie, attraverso pezzi diversi per formato e impianto estetico ma attraversati da un unico discorso, tenta un’operazione di archeologia del presente. Attraverso la ricodificazione di porzioni d’immaginario collettivo, Teatro Sotterraneo interroga la forza e la tenuta della traccia, del reperto che racconta di qualcosa che non c’è più e, quindi, della memoria contrapposta all’oblio. Teatro Sociale 3 febbraio 2011 2984 di Enrico Remmert e Luca Ragagnin tratto da 1984 di George Orwell regia Emanuele Conte impianto scenico Davide Sorlini e Emanuele Conte luci Cristian Zucaro musiche Einsturzende Neubauten a cura di Tiziano Scali video art Gregorio Giannotta regia video Luca Riccio attrezzeria Renza Tarantino con Enrico Campanati, Andrea Di Casa, Marina Remi e Carla Buttarazzi, Alessandro Damerini, Luca Ferri, Gianni Masella, Sara Nomellini. si ringrazia per la video‐partecipazione Enrico Ghezzi collaborano al progetto Amedeo Romeo e Bruno Cereseto interventi video e voce Pietro Fabbri, Alice Scano, Antonio Zavatteri produzione Teatro della Tosse «Uno spazio neutro, nero, nudo non è un teatro - non ci sono poltrone né palcoscenico – si tratta di un tubo chiuso che si snoda nell’intestino delle nostre paure. Ecco, siamo nel tubo catodico digerente del Grande Fratello, quello vero! Intorno ci sono presenze inquietanti, animali impagliati, pareti oppressive che annebbiano anche la nostra fantasia, noi, pubblico o attori non importa, non riusciamo più a immaginare, non sappiamo quasi pensare, sembra reale solo quello che ci restituiscono i televisori ingabbiati che sono dappertutto. Lì, anzi qui, tutto è felicità, sorrisi rassicuranti montati su bocche rosso Ferrari. Finché il televisore è acceso naturalmente. E se si spegnesse? Il buio ci mangerebbe? La paura ci corroderebbe dall’interno? Oppure semplicemente… ma tanto non è possibile spegnere questo mondo perfetto, e poi perché farlo?». 2984 è una coproduzione tra il Teatro della Tosse e il Festival della Scienza, che da diversi anni collaborano insieme con crescente successo. Il testo di 2984 è di Enrico Remmert, scrittore e sceneggiatore, e Luca Ragagnin, poeta, scrittore e autore di testi musicali. Lo spettacolo celebra il 60° anniversario della pubblicazione del libro dello scrittore inglese, che concludeva la sua ideale trilogia sulla dittatura comunista iniziato con Omaggio alla Catalogna e proseguito con La Fattoria degli animali. Come Orwell scrive il suo libro nel 1948 e inverte le ultime cifre della data per raccontare un futuro prossimo pericoloso e inquietante, così nello spettacolo il numero 1 del titolo diventa un 2. Il protagonista Winston Smith vive in un mondo dominato dai ministeri dell’Amore, dell’Abbondanza, della Verità e della Pace, e per le strade risuonano gli slogan «La Guerra è Pace», «La libertà è schiavitù», «L’ignoranza è forza». Tutto ci ricorda sinistramente il nostro tempo e il continuo ricorso alla Paura e alla Propaganda per limitare sempre più la libertà di scelta. Teatro Sociale 1 marzo 2011 L’INGEGNER GADDA VA ALLA GUERRA (o della tragica istoria di Amleto Pirobutirro) un’idea di Fabrizio Gifuni da Carlo Emilio Gadda e William Shakespeare regia Giuseppe Bertolucci disegno luci Cesare Accetta direttore tecnico Hossein Taheri con Fabrizio Gifuni produzione Associazione Culturale Esplor/Azioni Quattro anni dopo ‘Na specie de cadavere lunghissimo, spettacolo che, a partire dai testi di Pasolini e Somalvico, poneva le basi di una riflessione teatrale sulla trasformazione del nostro paese negli ultimi quarant’anni, Fabrizio Gifuni e Giuseppe Bertolucci riprendono il loro discorso guidati dalla lingua e dal pensiero di uno dei più grandi scrittori del ‘900. I Diari di guerra e di prigionia – resoconto fedele della partecipazione di Gadda alla prima guerra mondiale – e l’esilarante Eros e Priapo, scritto-referto sulla psicopatologia erotica del ventennale flagello fascista, tracciano la rotta di un viaggio che ci conduce fino al nostro presente, alla scoperta di un popolo mai cresciuto. E, in ultima analisi, di noi stessi. «Un Amleto ormai vecchio, solo, senza più un padre o una madre da invocare o da maledire, sempre più debole di nervi, collerico. Solo con i suoi fantasmi. La lingua squassata da lampi di puro genio proteiforme. Sempre sull’orlo di una follia tragica eppure, a tratti, comicissima. E ricca di metodo. Ah sì, ricca di metodo. Così inizio a immaginare L’ingegner Gadda va alla guerra. Un “Amleto Pirobutirro”, che riavvolge il nastro delle sue nevrosi camminando a ritroso – come un granchio – sulle tavole della memoria. Una discesa agli inferi che riapre antiche ferite, mai rimarginate. Fino ad arrivare alla ferita originaria. A ciò da cui tutto discende. Nel male e nel bene. Al pozzo nero della sua futura infelicità ma anche, forse, all’involontaria miniera della sua immensa arte». Teatro Sociale 29 marzo 2011 LA MALATTIA DELLA FAMIGLIA M di Fausto Paravidino regia Fausto Paravidino scene Laura Benzi costumi Sandra Cardini con Jacopo-Maria Bicocchi, Iris Fusetti, Emanuela Galliussi, Nicola Pannelli, Fausto Paravidino, Paolo Pierobon e Pio Stellaccio produzione Teatro Stabile di Bolzano Fausto Paravidino è uno dei migliori autori teatrali italiani di oggi. Rappresentato ovunque, tradotto in molte lingue, con la sua scrittura è l’esempio vivente di un teatro, quello italiano, che può ancora fare scuola all’estero. In soli nove anni, da quando Paravidino è approdato per la prima volta allo Stabile di Bolzano con la messinscena di Due Fratelli, ha fatto davvero molta strada. Questo giovane autore, attore e regista si è cimentato con il teatro ma anche con la fiction televisiva e, soprattutto, con il cinema, dirigendo Texas, opera prima prodotta da Fandango che ha riscosso un grande successo di critica e di pubblico. La malattia a cui si allude nel titolo è in realtà il disagio esistenziale di una famiglia allo sbando che vive in una città di provincia. La madre scomparsa, due sorelle che tirano avanti tentando di dare forma alla loro vita tra fidanzati non equamente ripartiti e dividendosi tra un padre alla deriva e un fratello minore, Gianni, che guarda la vita come un gioco dal quale uscirà in modo drammatico e improvviso. Cristofolini, il cechoviano medico del paese, è testimone implicato in questa storia a più voci, dove ciascuno dialoga con l’altro ma rimane in solitudine, incapace di risolvere le proprie difficoltà nel comunicare. Per la prima volta in un lavoro teatrale di Fausto Paravidino oltre ai giovani compaiono gli adulti, insieme protagonisti di questo viaggio all’interno della provincia italiana con i dialoghi che scorrono veloci e semplici, con le parole che si susseguono l’una all’altra apparentemente banali, ma che, al contrario, vanno a scavare proprio dove ci sono ferite aperte e situazioni, come ha detto lo stesso autore, di normale anormalità. Ma nel testo ci sono anche tanta ironia e autoironia generazionale capace di attirare lo spettatore e catapultarlo in una trama che non lo lascerà fino a quando, sulla storia, non calerà il sipario. Teatro Sociale 28 aprile 2011 MADE IN ITALY di Valeria Raimondi e Enrico Castellani scene Gianni Volpe costumi Franca Piccoli luci e audio Ilaria Dalle Donne movimenti di scena Luca Scotton con Valeria Raimondi e Enrico Castellani produzione Babilonia Teatri e Operaestate Festival Veneto con il sostegno di Viva Opera Circus e Teatro dell’Angelo VINCITORE DEL PREMIO SCENARIO 2007 E DEL PREMIO VERTIGINE 2010 Made in italy non racconta una storia. Affronta in modo ironico, caustico e dissacrante le contraddizioni del nostro tempo. Lo spettacolo procede per accumulo. Fotografa, condensa e fagocita quello che ci circonda: i continui messaggi che ci arrivano, il bisogno di catalogare, sistemare, ordinare tutto. Procede per accostamenti, intersezioni, spostamenti di senso. Le scene non iniziano e non finiscono. Vengono continuamente interrotte. Morsicate. Le immagini e le parole nascono e muoiono di continuo. Gli attori non recitano. La musica è sempre presente e detta la logica con cui le cose accadono. Come in un video-clip. Made in italy è un groviglio di parole. È un groviglio di tubi luminosi. È un groviglio di icone. Per un teatro pop. Per un teatro rock. Per un teatro punk. Un teatro carico di input e di immagini sovrabbondante di suggestioni, ma privo di soluzioni. Babilonia Teatri, la giovane compagnia veronese autrice dello spettacolo, che irride le convenzioni, i luoghi comuni, i clichet della vita moderna e del teatro contemporaneo, mette insieme le contraddizioni della realtà in cui è nata, cresciuta e si è moltiplicata. Essere pop-rockpunk è evidentemente una provocazione, uno di quegli ossimori di cui Babilonia Teatri nutre la propria originale drammaturgia, affrontando così il teatro di parola e di critica sociale con un sereno ma feroce distacco. ASSESSORATO ALLA C ULTURA E SPETTACOLO OPERETTA 2010-2011 Teatro Donizetti 31 dicembre 2010 e 1 gennaio 2011 HELLO DOLLY! di Michael Stewart e Jerry Herman adattamento e regia Corrado Abbati scene Stefano Maccarini costumi Artemio Cabassi coreografie Giada Bardelli direzione musicale Marco Fiorini con Compagnia Corrado Abbati produzione inScena - produzione spettacoli Dolly Levi è un’affascinante vedova, sensale di matrimoni, che, stanca di essere sola, decide di riprendere marito. L’uomo che le interessa è un suo cliente, Orazio Vandergelder, un ricco parsimonioso commerciante di mezza età, proprietario di un negozio di mangimi dove lavorano i due giovani commessi Barnaby e Cornelio, anche loro alla ricerca dell’anima gemella. Orazio, che è ostile alle nozze della nipote Ermenegarda con il giovane Ambrogio, la cui professione di pittore è per lui sinonimo di povertà, si rivolge a Dolly perché conduca la ragazza lontana dal suo innamorato. Dolly è pronta ad aiutare Orazio prendendosi cura della nipote Ermengarda, ma apprende che lui ha intenzione di andare a New York per chiedere la mano della graziosa modista Irene Mallow. Dolly decide allora di mandare all’aria questo proposito di fidanzamento: se una donna Orazio deve sposare, questa sarà lei. Inizia così una divertente serie di colpi di scena grazie ai quali Dolly mette in atto un piano geniale. Orazio si converte così all’idea che il denaro non è l’unico scopo della vita ed accetta il matrimonio di Ermenegarda con Ambrogio, mentre i due commessi trovano la felicità l’uno tra le braccia di Irene, l’altro tra quelle della sua amica Minnie, ma, soprattutto, Dolly fa cadere ai suoi piedi il “nuovo” Orazio. Hello Dolly! è uno dei più grandi musical di tutti i tempi. Solo a Broadway al suo debutto superò le 3000 repliche, facendo incetta di premi e stabilendo un record con ben 10 Tony Awards (gli oscar del teatro). Il brano del titolo diventò ben presto una hit internazionale, grazie anche al film con Barbra Streisand. Hello Dolly! È, dunque, una pietra miliare del teatro musicale leggero. Questo sicuramente grazie alla briosa commedia dove l’intraprendente ed autorevole protagonista dà vita a spassosi equivoci, sorprendenti colpi di scena e romantiche parentesi sentimentali, il tutto amplificato dall’immediatezza della musica di Herman. Questa nuova produzione di Hello Dolly! prende spunto proprio dalla simpatia e dall’esuberanza straripante sia del testo che della musica, ponendo l’accento sul brio dei dialoghi, sull’energia delle coreografie e sull’eleganza dei costumi e delle scene, trasponendo il tutto in un’epoca spavalda e carica di sogni in anni scatenati e segnati dalla forte impronta dell’alta moda, da un’esuberante voglia di vivere e da una fantasia e un’allegria contagiose. Questi ingredienti fanno di Hello Dolly! uno spettacolo senza età dove giovani e meno giovani ritrovano il piacere della trasgressione, i turbamenti del primo amore e la scoperta o la memoria musicale delle belle canzoni di Jerry Herman. Teatro Donizetti 20 febbraio 2011 LA PRINCIPESSA DELLA CZARDA operetta in due atti di Emmerich Kàlmàn regia Silvia Felisetti orchestra Cantieri d’Arte diretta da Stefano Giaroli coreografie Costanza Chiappori corpo di ballo Accademia con Susie Georgiadis, Claudio Corradi, Alessandro Brachetti, Silvia Felisetti, Fulvio Massa, Francesco Mei e Giuliano Scaranello produzione Compagnia Teatro Musica Novecento Presentata al Teatro Johann Strauss di Vienna il 13 novembre 1915, proprio nei giorni dell’assassinio di Sarajevo e dello scoppio della prima guerra mondiale, La Principessa della Czarda ottenne uno dei più grandi successi della storia dell’operetta (successo che si è rinnovato intatto fino ai nostri giorni). Il libretto si rifà alla tipica atmosfera del crepuscolo dell’Impero Asburgico, ispirandosi alle più frequenti conversazioni da salotto e all’argomento più popolare in quell’epoca: quello dei matrimoni impossibili tra rampolli dell’aristocrazia viennese e belle ed affascinanti primedonne del varietà. Anche se l’operetta riporta il conflitto nei termini di una brillante commedia, tuttavia la materia ha un suo nucleo di realismo e di credibilità. Il giovane principe di Lyppert-Weylersheim, Edvino, trascorre le sue serate in un celebre locale notturno di Budapest, l’Orpheum. Qui si innamora di Sylva, diva del momento. Purtroppo il suo romanzo d’amore è destinato a durare poco. Infatti suo padre, contrario a questo legame, ha preparato per il figlio un fidanzamento ufficiale con la contessina Stasi. Ma Sylva ed Edvino si amano profondamente e, prima di lasciarsi, il principe stipula un contratto di nozze col quale promette di sposarla entro otto settimane…... Teatro Donizetti 6 marzo 2011 LA VEDOVA ALLEGRA libretto di Victor Leon e Leo Stein da un soggetto di Henri Meilhac musica Franz Lehàr adattamento e regia Corrado Abbati scene Stefano Maccarini costumi Artemio Cabassi coreografie Giada Bardelli direzione musicale Marco Fiorini con Compagnia Corrado Abbati produzione inScena - produzione spettacoli Centocinquanta anni fa, nel 1861, il commediografo e librettista francese Henri Meilhac (lo stesso della Carmen di Bizet), scrisse un piacevole vaudeville che però divenne famosissimo solo molti anni dopo, nel 1905, grazie alla musica di Franz Lehàr: era nata La Vedova Allegra. L’opera è un capolavoro di genuina ispirazione, dove i protagonisti sono coinvolti in un vorticoso e divertente scambio di coppie, di promesse, di sospetti e di rivelazioni. Un parapiglia che, come è naturale che sia in un’operetta, al termine si ricompone nel migliore dei modi, con il matrimonio fra la bella vedova Anna Glavari e l’aitante diplomatico Danilo. Così, nel finale, tutti cantano la celeberrima marcetta È scabroso le donne studiar! in una Parigi elegante e spensierata, come elegante e spensierata vuole essere questa edizione de La Vedova Allegra, dove si va da “Maxim” (ancora oggi simbolo mondano-turistico parigino), si danno nomi capricciosi alle donnine che allietano le serate piccanti dei diplomatici, si cantano valzer pervasi da un erotismo scintillante, si ballano indemoniati can-can e si ama con assoluta gaiezza in un’atmosfera spensierata e contagiosa che assimila attori e pubblico. Ed è in questa sinergia che l’operetta vola sulle ali del canto, della danza, della prosa, della maschera, del gesto, facendosi teatro perfetto o, in modo meno presuntuoso, perfettamente teatrale. E, dopo 150 anni, la storia della Vedova Allegra è ancora qui fra di noi ed è ancora oggi uno degli spettacoli più rappresentati al mondo.