VENERE IN PELLICCIA pdf - Lo Spettacolo del Veneto

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Italiana
Cinema
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Associazione
Generale
Italiana
dello Spettacolo
In Concorso al
Festival di Cannes,
2013
INTERPRETI:
Emmanuelle Seigner,
Mathieu Amalric
SCENEGGIATURA:
David Ives,
Roman Polanski
FOTOGRAFIA:
Pawel Edelman
MUSICHE:
Alexandre Desplat
MONTAGGIO:
Margot Meynier,
Hervé de Luze
SCENOGRAFIA:
Jean Rabasse
DISTRIBUZIONE:
01 Distribution
NAZIONALITA’:
Francia, 2013
DURATA: 96 min.
di Roman Polanski
Tratto dalla pièce teatrale di David Ives, che ha debuttato off
Broadway nel 2010 con grande successo, a sua volta ispirata al
romanzo erotico di Leopold von Sacher-Masoch (1870),
VENERE IN PELLICCIA si svolge tutto in un piccolo teatro, dove
la macchina da presa del polacco Pawel Edelman ci porta dopo
un vorticoso percorso in un boulevard parigino sotto una pioggia
torrenziale. Thomas, drammaturgo e regista, è esausto dopo
un’inutile giornata di provini in cui ha incontrato una serie di
attrici cagne. Nessuna di loro andava bene per il ruolo di Vanda,
la donna sensuale che si deve imporre fin dal primo istante in cui
appare in scena allo spettatore e che deve sedurre l’interlocutore
fino a farne il suo schiavo. O forse è Thomas ad essere
nevrotico, o piuttosto misogino, per definizione incontentabile?
Fatto sta che nessuna si è rivelata all’altezza. Ma ecco arrivare
un’ultima aspirante al ruolo, che si chiama Vanda per davvero, o
almeno così dice. È fradicia, spettinata, volgare e sboccata,
vestita come una squillo di bassa lega, sull’orlo di una crisi isterica. Thomas è stanco, ha
fame, non vede l’ora di andare a casa, vuole solo liquidarla al più presto ma lei si impone,
tira fuori dal borsone un abito ottocentesco, lo indossa e zac, diventa Vanda. VENERE IN
PELLICCIA è un film da camera a orologeria, proprio come il precedente Carnage. Un film
che riporta Polanski ai tempi ai suoi inizi, ai tempi di Un coltello nell’acqua, ma
aggiungendoci tutta la sottigliezza nello scavare nelle pulsioni umane sviluppata in una
lunga e travagliata esistenza. Non più tre personaggi, come in quel folgorante esordio
datato 1962, ma due soltanto che si moltiplicano miracolosamente sotto i nostri occhi,
anche perché scegliendo Mathieu Amalric, reso incredibilmente somigliante a se stesso da
giovane, ed Emmanuelle Seiger, cioè sua moglie, il cineasta ha creato una
sovrapposizione che rende il gioco sadomaso tra i due sessi, di cui è pervaso il testo,
ancor più ambiguo, ancor più stratificato. Chi è in scena? L’attrice o la donna, il regista o
l’uomo, il personaggio di oggi o quello del passato? Il lavoro di adattamento, condotto
insieme a David Ives, ha portato qualche taglio, ma soprattutto la scelta di spostare il
luogo dell’azione da una saletta di prove a un teatro vero e proprio, benché ricostruito in
studio, dove giacciono abbandonate le improbabili scenografie di un musical ispirato a
Ombre rosse, massimo esempio di western d’interni. La scelta vale ad allargare il
movimento di macchina e azzerare l’effetto claustrofobico tipico di tanto teatro al cinema,
anche se non ce ne sarebbe stato bisogno perché le emozioni, i colpi di scena, i continui
ribaltamenti nei rapporti di dominio rendono impossibile annoiarsi, in questa guerra tra i
sessi dove l’attrazione erotica è un’arma in più e dove due personaggi diventano quattro o
forse infiniti per numero. Perché sono il prototipo di ogni uomo e donna.
(C. Paternò in Vivilcinema 5/2013)
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di Roman Polanski
Come e più di Carnage, VENUS IN FURS di Roman Polanski, in concorso a Cannes
2013, è un film essenziale nella sua messa in scena, ma ricchissimo e stratificato a livello
di scrittura: due soli attori in scena per l'ora e trentacinque di durata, scenografia e luci
teatrali, sceneggiatura che si muove tra più piani che si influenzano tra loro con l'evolvere
dei personaggi e del rapporto tra i due. Uno script firmato dallo stessi Polanski con David
Ives da una commedia di quest'ultimo e che brilla di (auto)ironia, citazioni e dialoghi
intelligenti, nel quale non è difficile scorgere una certa dose di autocritica da parte del
regista franco-polacco. Inutile dire che un film del genere non può funzionare senza una
prova di valore di entrambi gli interpreti e Polanski può avvalersi di due protagonisti perfetti
per i rispettivi ruoli: Emmanuelle Seigner, attuale moglie del regista, si muove tra le due
Vanda con naturalezza, alternando la schietta volgarità della prima alla decisa dolcezza
della seconda, senza mai affievolire la forza sprigionata dalla sua figura; Mathieu Amalric
si veste letteralmente da Polanski (sembra di vedere il giovane Roman de L'inquilino del
terzo piano) e comunica orgoglio, insicurezze e fragilità del suo Thomas. È inoltre tangibile
l'alchimia tra i due, il modo in cui le loro battute si alternano e i loro corpi si influenzano pur
toccandosi raramente. Con maestria il regista gestisce la scena, con luci e suoni (magnifici
i lievi effetti che sottolineano gesti fittizi: il tintinnio del cucchiaino mentre fingono di
prendere un caffè; il fruscio della carta durante la firma di un finto contratto), spazi, ombre
e musica. Ancora una volta Polanski parte dal teatro e lo trasforma in grande cinema,
mostrando una visione ed una capacità tecnica che non si affievolisce col passare degli
anni, indice di un purissimo talento.
(www.movieplayer.it)
VENERE IN PELLICCIA segna innanzitutto la prima collaborazione con la moglie
Emmanuelle Seigner dal 1999, anno del discusso La nona porta. Con la Seigner, Polanski
ha fatto alcuni dei suoi titoli più chiacchierati, come Frantic e soprattutto Luna di fiele, il
gioco al massacro “erotico” definitivo del regista. Ma VENERE IN PELLICCIA segna un
ulteriore passo avanti nella poetica di Polanski, perché si tratta del suo lavoro con meno
personaggi di tutta la sua filmografia: solo Vanda e Thomas, interpretato da Mathieu
Amalric. Una vera sfida fatta solo di due personaggi costantemente in scena: Carnage ne
vede quattro, mentre il suo esordio, Il coltello nell’acqua, ne vede tre. Polanski purissimo,
quindi. E si discuterà ancora una volta se questo sia effettivamente cinema o soltanto
“teatro filmato”. Polanski ne è ben conscio, e per questo fa alcuni cambiamenti rispetto allo
spettacolo teatrale. VENERE IN PELLICCIA è ambientato originariamente in una stanza
per le audizioni, ma il film apre tutto il teatro Théâtre Récamier (ridisegnato da Jean
Rabasse per l’occasione) solo per la macchina da presa, dal palco fino al dietro le quinte.
Il film funziona come un diesel: all’inizio può anche far storcere il naso, perché si tratta di
un continuo botta e risposta tra “testo teatrale” nel film e dialoghi del film stesso. Vanda e
Thomas infatti recitano diverse parti dello spettacolo che il regista vuole portare in scena,
citandolo quasi tutto. Ma quando la tensione e la carica “perversa” iniziano a prendere
mano, VENERE IN PELLICCIA decolla e non si ferma più. Girato tutto in tempo reale,
ovvero senza stacchi di montaggio riconducibili a cesure temporali, il film pare mettere in
gioco lo scontro fra due coppie di “entità”: il regista e l’attore, e l’uomo e la donna. In
entrambi i casi chi sembra avere il potere in mano sono il regista e l’uomo: ma la Vanda di
Polanski gioca duro, e tiene in pugno la situazione dall’inizio alla fine. E anche se i
ruoli/personaggi ad un certo punto vengono scambiati, chi conduce il gioco è sempre lei
(sin da subito: notare come è in grado di cambiare le luci in scena…).
Scritto in modo raffinato e messo in scena con l’eleganza tipica del regista, Venere in
pelliccia vanta appunto un pazzesco lavoro sulle luci, che formano gran parte del lavoro
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di Roman Polanski
del direttore della fotografia Pawel Edelman. Mentre Alexandre Desplat, che ha scritto le
musiche dei precedenti L’uomo nell’ombra e Carnage, scrive una partitura più ricca
rispetto a quella dell’opera precedente e si lascia andare ad un tema iniziale e finale di
stampo carnevalesco, che accompagna i travelling che ci fanno entrare ed uscire dal
teatro dove si svolge il film. Tutta la parte finale è bellissima, tutta costruita sulla fusione
tra ruoli e personaggi, nomi volutamente confusi e una tensione “sessuale” e sottilmente
perversa che conquista. La Seigner, vestita in pelle, non è forse mai stata così brava, ed
Amalric - a cui viene messo il collarino! - ricorda seriamente Polanski a livello fisico. Il
regista vi dirà che è un caso: e infatti VENERE IN PELLICCIA ha tutta l’aria di un
divertissement, che vuole giocare con dialoghi brillanti e con il mezzo (teatrale e
cinematografico). Ci si diverte, anche perché viene citato un cane che si chiama Derrida e
c’è una danza finale che può far venire i brividi.
(www.cineblog.it)
(…) Tutto il cinema di Polanski si nutre dell'ambiguità del vivere e del degrado che spesso
si nasconde dietro apparenze di rispettabilità. Su questa scena in cui le identità di uno
spettacolo da farsi e di uno che non si farà più si mescolano inestricabilmente, agiscono
un uomo e una donna. Entrambi entrano ed escono da parti assegnate o scelte a schermi
e scudo delle loro identità più profonde. Non smarrendo mai il fil rouge della commedia,
Polanski vi annoda sviluppi di dramma esistenziale. Il teatro e il cinema (che ne espande a
livello universalle la visibilità) sin dalle loro reciproche origini si sono interrogati sul gioco
della seduzione. Polanski non ha mai smesso di indagarne i processi e la sua filmografia
ne costituisce la migliore testimonianza. In questa occasione, avvalendosi di due attori
come Seigner e Amalric, riesce ad evidenziare luci ed ombre di un gioco che si rivela
perverso non tanto sul piano del banale incontro tra sadismo e masochismo. In VENERE
IN PELLICCIA si va oltre, si mettono a nudo non i corpi ma le anime con il loro lato
oscuro, con le verità non dette, con i ruoli che uomini e donne si trovano a recitare in quel
copione non scritto che chiamiamo vita.
(www.mymovies.it)
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