Saggi Roberto Cuppone La prima volta di Jerzy Grotowski in Italia (con un articolo “dimenticato” di Eugenio Barba) “Pochi, a volte, è il numero giusto” (E. Barba) Ad Angelo “Nin” Scolari Ricostruire, circa nel cinquantennale (dopo così tanto e così poco tempo), le prime tappe dell’avvento di Grotowski in Italia è operazione a rischio reducismo, sul filo del come eravamo, ma può essere anche già occasione di parziali bilanci storici: in metafora, quali “profeti” lo hanno annunciato1, quali ambiti professionali ha coinvolto per primi, quali tipologie di reazioni ha suscitato. Per quali vene ci entra in circolo il suo pensiero. “La sua visita, male organizzata, non fu un successo” In effetti l’occasione della sua prima tournée si genera intorno alla pubblicazione di un libro, all’epoca il libro, in cui Eugenio Barba riversa per la prima volta la lezione del maestro e insieme la sua prima missione: 1 Raffigurare proprio con questa metafora la storia di un uomo, di un’idea di teatro che hanno sempre dovuto lottare per affermare la loro laicità a fronte di ideologie e di moralismi di ogni parte o fede, può sembrare distorsivo; ma oggi, dopo decenni di placido scorrere del maestoso fiume del parateatro, a bocce ferme (quasi), è difficile riguardarsi indietro senza incontrare prima di ogni tecnicismo proprio il valore etico e genetico di quel percorso che - tornando a rimettere i panni degli storici - può senz’altro oggi accomunare Grotowski ad altre grandi figure guida del Novecento teatrale e non solo, da Artaud a Gurdjeff; figure trismegiste che hanno fatto transitare la riscoperta della corporeità verso esiti extrateatrali (cfr. Laura Bulian, Il maestro Grotowski. Influenza della cultura induista sulla ricerca di Jerzy Grotowski, tesi di laurea, Università degli Studi di Genova, Corso di Laurea in DAMS, a. a. 2008-2009, rel. R. Cuppone). 86 avevo cominciato a scriverlo nel 1962 quando Ferenc Hont, direttore del Centro di Studi Teatrali di Budapest, era venuto da Grotowski a Opole e si era detto disposto a pubblicare le sue teorie […] Così cominciai a buttar giù in francese la descrizione di tutto quello che sapevo e avevo visto, e nell’aprile del 1963 spedii il dattiloscritto, con il titolo Il teatro psico-dinamico, a Budapest. Battevo continuamente a macchina nuove copie per le persone che ci venivano a trovare o che all’estero avevano bisogno di informazioni più approfondite per scrivere sul teatro di Opole. Giampiero Bozzolato era professore di italiano all’Università di Cracovia. Avevamo buoni rapporti e ci vedevamo ogni volta che andavo nella sua città. Mi venne a trovare a Opole e lesse il mio opus psico-dinamico. Lui dirigeva la collana “Sarmatica” della casa editrice Marsilio di Padova. Era disposto a pubblicare il mio libro, se lo traducevo in italiano. Concordammo che con i miei diritti d’autore la Marsilio avrebbe invitato Grotowski in Italia organizzandogli delle conferenze. Così si prendevano tre piccioni con una fava: si pubblicava un libro su Grotowski; le autorità polacche avrebbero dovuto riconoscere che era conosciuto all’estero e dargli il passaporto per le conferenze; avrebbe diffuso di persona le sue idee. Bozzolato mi chiese di cambiare il titolo, Il teatro psico-dinamico non avrebbe fatto vendere molte copie. Mi risolsi per Alla ricerca del teatro perduto che, oltre all’associazione proustiana, evocava la visione che in quel momento guidava Grotowski: il teatro come rituale “laico”. Dopo molte tribolazioni l’edizione italiana uscì contemporaneamente a quella […] in ungherese. Grotowski, insieme a Ryszard Cieslak, fu invitato in Italia dalla Marsilio nel maggio 1965 e dette delle conferenze a Padova, Milano e Roma2. Quindi Barba conclude: “la sua visita, male organizzata, non fu un successo”. Perché? Nel 1963 il festival dell’ITI (International Theatre Institute; Varsavia, 8-15 giugno) aveva rialzato le quotazioni internazionali del gruppo di Grotowski e del progetto e già nell’autunno del 1964 l’editore padovano aveva sollecitato le foto per programmare la 2 E. Barba, La terra di cenere e diamanti. Il mio apprendistato in Polonia seguito da 26 lettere di Jerzy Grotowski a Eugenio Barba, Ubulibri, Milano, 1998, pp. 86-87. 87 Saggi presentazione del libro. Scrive Grotowski a Barba: K. si sta seriamente occupando del suo libro. Il suo rappresentante presso la Marsilio Editori S.p.A. (il Consigliere Delegato Dott. Giulio Felisari) ha inviato una lettera al mio indirizzo e a quello di Cieślak: scrive che il libro uscirà a gennaio, che vorrebbe invitarci (me e Ryszard) in Italia per quel periodo. Gli ho spedito un telegramma accettando e proponendo – se possibile – di spostare la data a febbraio3. In quella sigla misteriosa, “K.”, si profilano già alcuni successivi tormentati rapporti di Grotowski con l’editore4 - anche se in particolare subito apprendiamo che questo primo rinvio è dovuto a motivi oggettivi: in effetti, come si sa, il 3 gennaio 1965 Grotowski, per salvarsi dalla chiusura, trasloca a Wroclaw grazie all’aiuto dell’antico amico Lucjan Motyka, attuale ministro della cultura polacco (lo stesso che darà le prime autorizzazioni delle tournée di Grotowski in Italia). L’editore da Padova acconsente dunque allo spostamento dell’uscita del libro al 25 febbraio - ormai quasi in contemporanea all’edizione ungherese5. Ma non sembra sufficiente, come comunica sempre Grotowski a Barba, con ironia: è venuto a trovarci il signor K. Il libro doveva uscire a febbraio, però ora la pubblicazione sarà rimandata, perché lei non ha inviato né foto, né disegni, né negativi. Se lei non si decide a mandare tutto entro la metà di gennaio – afferma il bravo K. – il libro dovrà uscire senza foto. Per quanto ci riguarda, le avevamo inviato le foto già a settembre, e ricordo che mi scrisse di averle ricevute […] Ma l’elenco delle sue colpe non è ancora terminato: lei non gli ha neppure 3 Ivi, p. 128, Lettera di J. Grotowski a E. Barba del 20 ottobre 1964. 4 Barba annota: “vista la problematicità dei rapporti con K. (come si vedrà nelle lettere successive), Grotowski mi ha chiesto di non fare il suo nome”; problematicità dovuta ai ritardi a lui imputati; ma come non pensare a quello stesso Bozzolato già nominato da Barba, primo promotore della pubblicazione, lettore italiano a Cracovia, importante slavista e fresco reduce dalla pubblicazione di Polonia e Russia alla fine del XVIII secolo (Marsilio, Padova, 1964)? 5 88 Kiserletek Szinhaza, Szinhaztudomanyi Intezet, Budapest, 1965. La prima volta di Jerzy Grotowski in Italia mandato la copertina corretta6. Questo misunderstanding (nell’equivoco cadrà lo stesso Barba, tanto che di lì a poco Grotowski dovrà rassicurarlo sul tono paradossale della sua lettera7) sembra tanto più lontano dalla realtà quotidiana di Grotowski, quanto più vediamo il maestro contemporaneamente alle prese con il drammatico sradicamento da Opole: “l’esodo biblico è iniziato”, continua nella stessa lettera Grotowski, “speriamo che appaia, infine, a noi (e a lei) la terra promessa”. E altrove, confidando le sue ansie all’allievo: “il trasferimento dell’ashram, anche senza alcun cambiamento, di per sé produrrà un ashram diverso […] il periodo di Opole è Maharishi nell’eremo di Arunachala; Wroclaw sarà invece l’ashram di Aurobindo a Pondichery […] Ma forse è proprio il paragone con un ashram a non essere più possibile”. Di fronte a questo ricominciamento in una città più grande (coi nuovi crismi ministeriali, non dimentichiamolo), di fronte ai timori di una eccessiva laicizzazione (=banalizzazione) della sua ricerca, le questioni di denaro sono doppiamente opprimenti per il maestro. E le more della tournée non sembrano risolversi: ho ricevuto un telegramma da K. col quale mi informa che il libro uscirà il 25 febbraio, e che tutto è pronto per il viaggio mio e di un attore per quella data. Sono rimasto molto stupito, visto che finora non è arrivato il denaro per il viaggio e che solo dopo il suo arrivo potranno essere regolate le pratiche per il passaporto, e certo non immediatamente. In questo contesto la data del 25 febbraio non è affatto realistica, e mi sorprende che K., pur conoscendo l’iter normale per le pratiche, non se ne sia reso conto. Gli ho risposto con un telegramma, ma non so se servirà. Le sarei davvero riconoscente se potesse scrivergli e spiegargli tutto8. 6 1964. Barba, op. cit., p. 131, Lettera di J. Grotowski a E. Barba del 29 dicembre 7 “Scrive di non essersi fatto vivo perché le sembra che il ritardo nella pubblicazione del libro venisse imputato a una sua trascuratezza nella faccenda delle foto. Davvero mi dispiace […] mentre scrivevo credevo che lei avrebbe letto l’osservazione secondo l’intenzione scherzosa con cui era stata formulata, come un’allusione ironica”; Lettera del 26 aprile 1965; Ivi, p. 139. 8 Ivi, pp. 134-135, Lettera di J. Grotowski a E. Barba del 6 febbraio 1965. 89 Saggi E in effetti intanto il 15 aprile fa in tempo a debuttare Il principe costante, in ritardo anch’esso per colpa della rinviata tournée italiana. Che finalmente si realizza a fine maggio: come abbiamo visto, grazie all’invito per il libro, Grotowski presenta un breve ciclo di tre conferenze accompagnate da dimostrazioni di lavoro di Cieślak, a sua volta fresco reduce dal mitico tour de force del Il principe costante e d’altro canto dalle prime assimilazioni del Kathakali nel suo training personale. “È stato un viaggio strano” Io e Ryszard siamo stati in Italia. È stato un viaggio strano, Le scriverò presto per raccontarle più in dettaglio. K. Ci ha trattati proprio da pescecane capitalista, al punto che le sue storie di soldi hanno cominciato a irritare persino me, cosa, come lei sa, non facile. Non c’era quasi niente di preparato, il libro non era stato pubblicizzato né distribuito. Non comprendo perché l’abbiano pubblicato se poi non lo diffondono. Può anche darsi che K. Non abbia voluto far niente fino al nostro arrivo. Si è lamentato moltissimo di lei e del fatto che lei gli aveva promesso di aiutarlo per ottenere recensioni e per la distribuzione […] abbiamo tenuto tre grandi conferenze a Roma, Padova e Milano, e di queste soprattutto le due di Roma e Milano hanno avuto grande risonanza. In concomitanza con le conferenze il libro veniva venduto, e anche con successo9. Per sottrarre al suo marchio questa misteriosa figura del signor K. – e restituirgli oggi quel ruolo di tramite, per noi in fondo prezioso, che svolge nell’intera vicenda – è opportuno qui sottolineare la contestualizzazione che Barba fa in nota: l’irritazione di Grotowski (peraltro contenuta nei toni per i noti problemi di censura cui era sottoposta la sua corrispondenza) è proporzionale al “valore che avevano i libri nella Polonia socialista”; e, aggiungiamo noi, forse, 9 90 Ivi, p. 141, Lettera di J. Grotowski a E. Barba dell’8 giugno 1965. La prima volta di Jerzy Grotowski in Italia all’aspettativa che egli nutriva rispetto all’evento in sé, come necessario pretesto per ottenere il permesso di espatrio e l’occasione della sua prima venuta in Italia. Restano comunque i fatti: questa prima venuta di Grotowski in Italia, dal punto di vista del teatro, non è pratica ma teorica - non spettacoli ma “grandi conferenze”, in una forma che ci appare di per sé innovativa (seppure già sperimentata in Finlandia10), con dimostrazioni pratiche che, vedremo, lasceranno il segno; e i suoi committenti non sono teatri, ma rispettivamente un solitario studioso di origine polacca già con la nomea di omologo italiano di Grotowski, Alessandro Fersen (in realtà Aleksander Kazimierz Fajrajzen , per un convegno a Roma), una casa editrice (la Marsilio di Padova) e un gruppo di appassionati (gli Amici del Piccolo, a Milano). Allo stato dei lavori, restano ancora sfocate le date della tournée. Quanto all’ordine delle tappe, in attesa di altre testimonianze, si adotta qui questa successione riferita seppure in modo discorsivo da Grotowski nella lettera a Barba dell’8 giugno 1965, appena di ritorno dall’Italia (che dunque la collocherebbe fra il 19 maggio e il 7 giugno); e del resto, a distanza di appena due anni “L’Unità”, in occasione della seconda venuta di Grotowski in Italia, questa volta con lo spettacolo Il principe costante a Spoleto11, conferma che nella precedente venuta “tenne in Italia, a Roma ed a Milano, delle conferenze-esperimento che suscitarono notevole interesse intorno alla sua figura” (omettendo significativamente proprio Padova, da cui era in fondo nato tutto; d’altro canto, a onor del vero, Barba nel suo libro – senza in verità dare troppo peso alla sequenza12 - le ricorda invece nell’ordine “Padova, Milano e Roma”13. 10 La prima uscita all’estero di Grotowski, come si sa, risale all’estate del 1962, in Finlandia, dove incontra i Temkine, poi suoi promotori in Francia e nel resto dell’Europa. 11 b. s., [recensione a Il principe Costante], “L’Unità”, 4 luglio 1967. 12 Come ci conferma personalmente. 13 Barba, op. cit., p. 87; del resto come anche prima di lui Osinski: “en 1964 et 1965, Grotowski, avec le concours des acteurs, donne des cours et des conférences sur le méthodes de mise en scène et de jeu d’acteur du Théâtre Laboratoire des ‘13 Rangs’ aux deux premières festivals mondiaux des Théâtres d’Etudiants de Nancy 91 Saggi “Teatro polacco del dopoguerra” Frattanto, in Italia, prima degli operatori, ad accorgersi di Grotowski è la stampa militante. Anzi, nome e cognome: Franco Quadri. Nell’agosto del 1963, in anticipo su tutti, il più “profetico” critico teatrale italiano della seconda metà del secolo scorso dedica uno speciale doppio numero di “Sipario” al Teatro Polacco, affidandolo anonimamente a uno sconosciuto corrispondente salentino-norvegese, da appena un anno aiuto regista di Grotowski a Opole14; ancora prima dunque della più celebre e conclamata “scoperta” internazionale che avviene nei due celebri numeri della “Tulane Drama Revew”, dove Schechner pubblica tre testimonianze (sempre di Barba) sul Teatr Laboratorium (Dr. Faustus: Textual Montage, t. 24, 1964; Experiences of the Theatre-Laboratory of the 13 Rows, e Ritual Theatre, vol. 9, n. 3, 1965); e sempre prima del primo numero dedicato della storica rivista dell’Odin Teatret, “Teatrets Teori og Teknikk” (n. 1, 1965). Ma sempre Barba (di cui oggi finalmente apprezziamo in pieno questo ruolo di Battista di Grotowski, ancor più forse che quello consueto di discepolo cui lo relega una certa agiografia), nelle sue peregrinazioni europee per sollecitare inviti e uscite stampa per il teatrino di Opole - raccontate appunto con struggimento nell’appassionante La terra di cenere e diamanti, di cui costituiscono forse il primo nucleo autobiografico - riferisce di avere subito dopo pubblicato in Italia un altro articolo, di minore impatto e fors’anche interesse, tanto che oggi l’autore neppure lo include nella sua ainsi que dans les villes italiennes Padoue, Milan et Rome” (T. Burzynski, Z. Osinski, Le Laboratoire de Grotowski, Editions Interpress, Varsovie, s. d. [1979], p. 95); che riprende la notizia anche in seguito: “in late May and early June, Grotowski, in collaboration with Cieslak, held seminars and conferences on the methods of the Laboratory Theatre in several Italian cities: Padua, Milan (at the Piccolo Theatre), and Rome” (Z. Osinski, Grotowski and His Laboratory, PAJ Publications, New York, 1986, p. 89) (si ringraziano per le segnalazioni Franco Perrelli e Antonio Attisani). 14 “Sipario”, luglio-agosto 1963, nn. 208-209; per il racconto della genesi del numero, e in generale dei rapporti con Quadri, v. E. Barba, op. cit., p. 62. 92 La prima volta di Jerzy Grotowski in Italia bibliografia ufficiale. Forse perché decide di affidarlo a uno pseudonimo, Gösta Marcus15; quasi un comunicato, un po’ “dimenticato”, relegato in un periodico non di settore e di non grande diffusione, “Nuova Generazione”, il settimanale della Federazione Giovanile Comunista Italiana. Eppure a rileggerlo oggi, questo articolo che precede di poche settimane il primo arrivo in Italia di Grotowski, ci offre notevoli spunti di riflessione soprattutto per alcune nuove - potenzialmente rivoluzionarie - scelte lessicali che rivelano il cuore delle aspettative della “ditta” Grotowski-Barba16. Lo trascriviamo per intero. Dopo cinque anni di ricerche empiriche e di lavoro ininterrotto, il Teatro-Laboratorio di Opole, nella Polonia occidentale, si presenta come un fenomeno unico nel panorama del teatro europeo. Sorpassando i pavidi tentativi e la sterile gratuità delle numerose e spesso contrastanti manifestazioni che vanno sotto la generica etichetta di avanguardia, il Laboratorio ha sviluppato una nuova forma di rappresentazione che in maniera coerente e sistematica si propone di rivaleggiare col cinema ed arginare la crisi del teatro basandosi su soluzioni originali e propri mezzi di espressione. Col valorizzare il fattore fondamentale dell’arte scenica – la presenza viva dell’attore – il direttore del Laboratorio Jerzy Grotowski abolisce la divisione fra scena e platea, crea uno spazio di azione omogeneo dove gli spettatori, tra i quali si trovano gli attori, partecipano automaticamente alla rappresentazione. Questa partecipazione deve essere intesa nel senso non di improvvisazione o di contatto da cabaret, ma piuttosto di un particolare stato psicologico degli spettatori risultante dalla coscienza di essere una parte integrante della rappresentazione ed in una situazione di responsabilità e di scelta nei confronti delle diverse azioni che si svolgono tra di loro e con loro. Questa “riforma” che a prima vista può sembrare abusiva non è altro 15 “A volte scrivevo sotto pseudonimo per dare la sensazione che vi fossero più persone interessate al Teatr 13 Rzędów”; Ibidem. 16 È Grotowski ad adottare questa metafora scherzosa, ma in fondo appropriata, visti i comuni investimenti di energie e obiettivi di diffusione di una nuova etica teatrale: “qualunque cosa sia accaduta, non ho mai pensato che lei trascurasse gli interessi della nostra ‘ditta’”; Lettera del 26 aprile 1965; ivi, p. 139. 93 Saggi che un ritorno alle sorgenti stesse del teatro, al rituale primitivo dove la collettività affrontava le proprie ossessioni, sogni, terrori, aspirazioni per esorcizzarli tutti uniti. Ma esso significa anche “purificazione”, rifiuto dell’apporto dei risultati di altre arti autonome: la pittura o l’architettura come decoro statico, la musica come effetto meccanico registrato, i giochi di luce guidati dal retroscena. L’attore solo, con al sua presenza e con la sua abilità di trasformarsi, è fonte sonora, elemento architettonico, accessorio; egli affascina il pubblico, lo provoca, sferra un attacco contro i clichés mentali con mezzi fisici che vanno dalla pura acrobazia ad una gamma di intonazioni di voce anaturalistica. La ricchezza espressiva come anche la complessità della recitazione degli attori del Laboratorio sono il frutto di esercizi e ricerche giornalieri: pratiche respiratorie e vocali, studi pantomimici e naturalistici, Hatha Yoga per controllare ogni muscolo del corpo, acrobazia per sviluppare i riflessi e la decisione, ritmica, plasticità del gesto e del movimento, problemi della concentrazione. Pur presentandosi come fenomeno di avanguardia, cioè di rottura col teatro convenzionale, il Laboratorio include nel suo repertorio solo testi classici. Ma la rappresentazione non rispecchia un rispetto “filologico” del testo. Grotowski, partendo da esperienze e moduli mentali contemporanei, effettua una dissecazione dell’opera, incide nella sua struttura letteraria, taglia dialoghi, inverte la successione delle scene ed esegue un montaggio dal valore di choc per lo spettatore, presentando così in maniera più immediata e vicina al nostro tempo i valori tradizionali racchiusi in queste opere. Molti si scandalizzeranno per questo trattamento iconoclasta fatto subire ai classici. Ma ricordiamoci le parole di un’altra personalità del teatro europeo che cominciò come iconoclasta. Difendendo la sua Opera da tre soldi accusata di plagio, B. Brecht affermava in tribunale che “il vero metro per giudicare il teatro ne è il successo riportato”. L’accoglienza tributata a Grotowski e al suo Laboratorio sembra corroborare la tesi del drammaturgo tedesco. Più di trenta articoli e saggi nella stampa europea nel solo 1963 (per non contare le diverse centinaia nei giornali polacchi), diversi inviti all’estero, il riconoscimento della validità del suo lavoro da parte di personalità come Michel Saint Denis ed infine un premio al festival teatrale di Wroclaw per sottolineare l’originale contributo di questo piccolo, ma 94 La prima volta di Jerzy Grotowski in Italia febbrile Laboratorio al teatro polacco del dopoguerra17. Apprendiamo dunque che l’affioramento di questo “teatro polacco del dopoguerra” (come non pensare, fra le due non casuali associazioni, Polonia e guerra, ad Akropolys, spettacolo bandiera del gruppo e primo ad avere da poco scavalcato le frontiere polacche) avviene dopo “cinque anni di ricerche empiriche e di lavoro ininterrotto”: ciò che si annuncia dunque non è una banale tournée, ma l’epifania di un lavoro sotterraneo e tenace, quale, capiamo fra le righe, ancora non conosciamo in Italia. Fra tutti i sinonimi possibili (‘pratiche’, ‘fisiche’, quant’altro) colpisce l’attributo “empiriche” assegnato a queste ricerche, che anticipa quel vocabolario straniato e scientista cui lo stesso Grotowski si rifà quando, in Ricerca metodica18 spiega come il suo concetto di laboratorio sia ispirato da quello fisico di Niels Bohr: e del resto già Il Nuovo Testamento del Teatro19, questa fondativa intervista a Grotowski su cui all’epoca si impernia già Alla ricerca del teatro perduto, come poi il successivo Per un teatro Povero, inizia con il primo interrogativo di Barba intorno al fatto che “il nome stesso di Teatro Laboratorio fa pensare alla ricerca scientifica”. Sempre fra i temi, forse meno nuovi ma non per questo meno cari al dibattito teatrale italiano dell’epoca, emerge l’affermazione di una specificità (il rifiuto della subalternità) rispetto al dilagante mezzo cinematografico20; e d’altro canto la presa di distanze dai correnti 17 Gösta Marcus [Eugenio Barba], Teatro polacco d’avanguardia, “Nuova Generazione”, settimanale della FGCI, IX, 8 (8 marzo 1964); l’articolo è accompagnato da due immagini di Akropolis, “Una espressione dell’attrice Rena Mirecka” e “Una suggestiva scena da Akropolis di Jerzy Wyspianski”, la celebre immagine in cui Stanislaw Scierski (Paride) è sdraiato nella carriola rovesciata; si ringrazia qui per la riproduzione la signora Giovanna Bosman dell’Istituto Gramsci di Roma. 18 Articolo apparso dapprima in Polonia (“Tygodnic Kulturalny”, Warsaw, 17, 1967) e quindi inserito l’anno successivo in Towards a Poor Theatre (Per un teatro povero, Bulzoni, Roma, 1970, pp. 145-152). 19 Ivi, pp. 33-62. 20 Di cui, per esempio, si parlerà nel convegno Fersen di Roma; v. più avanti. 95 Saggi significati (e banalizzazioni) di “avanguardia”, distinzione fondata sulla diversa interpretazione di “iconoclastia”, una parola che oggi suonerebbe per noi un po’ strana in riferimento a Grotowski e un po’ desueta se non ne comprendessimo subito prima - da ostentate scelte lessicali come “dissecazione”, “incide” e “taglia” - il riferimento ad Artaud (cui non a caso Grotowski dedicherà un saggio specifico, Non era completamente se stesso21). Salvo scoprire, dietro questo rifacimento dei “corpi” dei classici, un brechtismo che forse è già più barbiano che grotowskiano - ne avremo presto conferma dall’intera opera di Barba, ben prima dell’ovvio riferimento alle sue future Brecht’s Ashes. Ma soprattutto, a parte questi tributi necessari al dibattito teatrale dell’epoca (necessari in quanto contingenti, quasi emergenziali), sono oggi una traccia significativa tre scelte lessicali, in riferimento al teatro, che ci appaiono di più lunga gittata; tutto sommato ferite ancora aperte, e dunque, sempre in senso artaudiano, capaci di generare senso: i tre concetti di “responsabilità”, “purificazione”, “anaturalismo”. La “responsabilità” e la conseguente “scelta” di cui dispone lo spettatore di Grotowski nei confronti dell’evento cui è chiamato a partecipare è forse uno dei pilastri della nuova etica teatrale che qui si annuncia: consonante con quello spazio di scelta di cui parla Judith Malina nei suoi ricordi del primo Living (e in nome della quale le piazze europee sfileranno di lì a poco al grido di Paradise, now!); ma qui forse per la prima volta enunciato lucidamente e programmaticamente come condizione intrinseca dell’evento teatrale. Al punto da fondare (fondarsi su) un “particolare stato psicologico” che a sua volta genera “purificazione”; e se anche Barba spiega qui il termine come “rifiuto dell’apporto dei risultati di altre arti autonome”, accostandolo cioè implicitamente al concetto di “povertà” o necessità del teatro, è evidente come questa spoliazione, come questo denudamento lo ricongiungano con la ritualità e dunque con quella origine del teatro cui chiaramente allude la scelta del termine 21 Dapprima uscito su “Les temps modernes” (avril, 1967) e “Flourish” del Royal Shakespeare Theatre Club (summer 1967), confluisce anch’esso in Per un teatro povero (cit., pp. 117-144). 96 La prima volta di Jerzy Grotowski in Italia aristotelico. Infine “anaturalista” è neologismo ugualmente significativo (che sta fra naturalistico e antinaturalitico, come in fondo a-gnostico sta fra credente e ateo): allude alla ricerca di un realismo non naturalistico, di una oggettività basata sui corpi degli attori e non sulla verisimiglianza della rappresentazione; insomma in partenza un perfetto artificio, il prodotto cosciente, tecnico (“empirico”) di un lungo lavoro, che però non sta per qualcos’altro, ma semplicemente è una nuova fisis. Comincia a circolare un nuovo lessico che trascende l’estetica; il teatro si scopre capace di dire nuove paroles. “Le differenze scaturiscono dalle esemplificazioni” In Italia dunque, questi annunciati Polacchi scendono d’oltrecortina, da quella novecentesca patafisica “Pologne, c’est à dire Nulle Part”, fra la fine di maggio e i primi di giugno del 1965, due anni prima di Ivrea; un’era geologica prima del Sessantotto, degli anni Settanta e dei cento fiori: Jerzy Grotowski e Ryszard Cieślak, da poche settimane riemersi dal tour de force del Principe costante, scendono a Roma, Padova e Milano. La circostanza romana è originata da un convegno nazionale, ma forse anche da un non trascurabile sentimento di connazionalità, che forse si esprime già da tempo in una corrispondenza22; Fersen, altro cittadino di “Nulle Part”, dal suo omonimo Studio romano ormai all’ottavo anno di attività, invita a Roma Grotowski per un 22 Per la pubblicazione della corrispondenza fra Grotowski e Fersen, relativa a questo evento, ma appunto evocativa di rapporti pregressi, cfr. R. Cuppone, Fersen, Grotowski e il Diavolo, in F. Natta (a cura di), Teatro e teatralità a Genova e in Liguria dall’epoca medievale al Novecento, Atti del Convegno (Imperia, Polo universitario, 15 maggio 2008), ETS, Pisa, 2009, pp. 153-184; poi ripreso e rivisto, con l’aggiunta di un intervento di Giuliano Scabia in R. Cuppone, Fersen, Grotowski e il Guerriero Magro, in C. Tafuri, D. Beronio (a cura di), Teatro Akropolis. Testimonianze Ricerca Azioni. Volume secondo, Akropolis Libri, Genova, 2011, pp. 84-123. Il carteggio Fersen Grotowski si trova al Civico Museo Biblioteca dell’Attore di Genova, Fondo Fersen, alla segnatura 043. 97 Saggi convegno tanto dimenticato quanto elefantiaco, Teatro oggi: funzione e linguaggio, cui partecipano gli stati generali della cultura: fra gli altri Paolo Levi, Arnaldo Fratelli per “Sipario”, Vito Pandolfi direttore dello Stabile di Roma, Leone Piccioni e Cesare Lupo della RAI, Renzo Tian, Fabio Mauri, Orazio Costa, Ruggero Jacobbi, Luigi Squarzina, Romolo Valli, Gabriele Baldini, Paolo Milano, Pierpaolo Pasolini, Furio Colombo23. Al punto che si può pensare che l’invito di Fersen, all’epoca già prestigioso regista e fra l’altro cofondatore dello Stabile di Genova, abbia avuto un peso determinante nell’ottenere il permesso di espatrio per Grotowski. Di cosa parla dunque Grotowski? Qual è il suo primo discorso italiano? Lo capiamo da una sua lettera a Fersen, già pochi giorni dopo il rientro in Polonia, il 20 giugno, in cui si attiva per la pubblicazione degli atti: al mio ritorno in Polonia sono stato preso da così tante faccende che non ho avuto il tempo di preparare la versione scritta del discorso che ho tenuto alla conferenza presso il Suo studio […] Ho già pensato di mandarLe il testo stenografato di una conferenza analoga che ho tenuto a Wrocław; avrò pronta una versione elaborata di quel mio intervento tra una settimana circa e gliela manderò comunque per un eventuale utilizzo futuro. Se poi i tempi per utilizzare i materiali della conferenza fossero già stretti, Le proporrei di usare semplicemente il mio testo tratto dal libro di Barba (la parte intitolata Il Nuovo Testamento del Teatro). Nella stessa lettera però Grotowski avverte: 23 Il 18 maggio, cocktail per la stampa, è data di inizio del lungo convegno e per noi termine a quo per la prima tournée italiana di Grotowski; fra le numerose relazioni e dibattiti l’anno seguente passano agli atti in un numero monografico di “Marcatre” quelle di Nicola Chiaromonte (Il teatro come evento scenico), Giorgio Prosperi (Il teatro come fatto letterario), Bruno Schacherl (Il pubblico), Adriano Magli (Il teatro e i linguaggi di massa); e ovviamente quella di Fersen (Linguaggio teatrale e linguaggio cinematografico) dove il regista, nonostante il titolo, enuncia per la prima volta in modo articolato le linee della sua ricerca (Teatro oggi: Funzione e Linguaggio, “Marcatre”, n. 19-22, aprile 1966, pp. 129-180; successivamente l’estratto degli atti compare anche con la sovracopertina “Quaderni dello Studio Fersen”, n. 1, s. l., s. a., e sarà in questa veste che Fersen ne spedirà una copia a Grotowski). 98 La prima volta di Jerzy Grotowski in Italia la versione che le sto preparando non potrà comunque essere breve. Mi sembra che, nel caso di questioni così fondamentali, pubblicare interventi eccessivamente accorciati, non può che trarre in inganno perché fa assomigliare tutte le voci. Dopotutto, le differenze scaturiscono dalle esemplificazioni, dalle descrizioni tecniche e dalle argomentazioni fornite e non dalle sole tesi. Ad ogni modo, io stesso avrei difficoltà a scegliere i frammenti più adatti. Ecco perché, indipendentemente dal fatto se Lei utilizzerà il testo tratto dal libro o il testo che cercherò ancora di inviarLe, vorrei chiederle di fare lei stesso una scelta dei frammenti più adatti, purché sottolinei che si tratta appunto di frammenti e non della totalità, e che la scelta dei frammenti è stata curata dalla redazione. In ogni caso, allego qualche foto. La ringrazio calorosamente per la cura e l’aiuto che mi ha dimostrato, come anche per essere stato, durante la conferenza nel Suo studio, uno straordinario avvocato della nostra causa. L’incontro con lei è stato per me un’esperienza molto interessante, se non la più bella esperienza romana. Alla fine, il dattiloscritto tuttora conservato al Fondo Fersen di Genova (accompagnato da una successiva lettera del 26 luglio) si intitola Osobowość Teatru (“Natura del teatro”) ed è, come annunciato, una sostanziale riproposizione, con qualche ritocco all’inizio e alla fine, del manifesto teatrale di Grotowski, all’epoca peraltro già inviato alla rivista francese bilingue “Théâtre dans le monde” col titolo Pour une interprétation totale24. Quanto agli atti, Grotowski incalza, Fersen non risponde fino ad agosto – apprenderemo poi da una sua lettera che il ritardo è motivato dal grave lutto della perdita della madre. Ma ciò che qui conta è che, a conti fatti, il testo di Grotowski non sarà compreso fra gli atti pubblicati (in quanto già in pubblicazione altrove? In quanto irriducibile secondo le indicazioni di Grotowski? In quanto ritenuto meno importante del dibattito italiano in corso?), né, come vedremo, Marsilio a Padova o gli Amici del Piccolo di Milano conservano traccia delle rispettive conferenze. La prima venuta di Grotowski in Italia resta affidata alla memoria. 24 “Théâtre dans le monde”, vol. 15, 1, 1966. 99 Saggi “Chi è questo attore? Chi era?” Ma se la memoria è quella del poeta, talvolta le immagini pesano più delle parole: Milano, via Rovello, sede degli amici del Piccolo Teatro; sera. Ci sono Carla Cerati con la figlia, Al Aldrovandi libraio e partigiano, Salvatore Veca con Pieraldo Rovatti, allora inseparabili, Nina Vinchi, Grazia Neri fotografa, Lazzari critico dell’Unità, lo psichiatra Boeri, Rosita Lupi, Virginio Puecher - altri (forse Franco Quadri, forse Cathy Berberian) - una cinquantina di persone - ascoltiamo Grotowski che per la prima volta in Italia racconta del suo laboratorio a Opole e del suo training […] A un certo punto, da una tenda in fondo alla sala, esce Cieslak, quasi nudo, livido: corpo di passione, penso. Grotowski è vestito di nero, coi capelli corti - forse ha gli occhiali. Cieslak mostra gli esercizi - si piega, si eleva, si dinoccola, salta, vola - nasce e muore. È un attore diverso - tutto rivolto verso l’in sé - esegue un compito interno - non agisce per colpirci - attore di passione, patiens. Così lo colgo (esecutore di una ferrea partitura voluta da Grotowski?). Nella notte andiamo per Milano commentando con Boeri, Grazia Neri, Carla Cerati e sua figlia. Corpo patiens - bianco - notte - notte oscura - marionetta - attore - azioni dell’attore. Che azioni sono? Silenzio del corpo - integro - suo (nella mia mente) scricchiolare - ossa - rompersi - pesce - la fonia - i risuonatori - i piedi nudi - il perizoma. Chi è questo attore? Chi era? Jurek e Ryszard: il primo da man in black e occhiale nero, come un bluesbrother; l’altro scalzo e in perizoma, da povero Cristo, ci ritornano nelle impressioni gotiche e balenanti di Giuliano Scabia25: come non rivedere oggi attraverso i suoi occhi da una parte il “profeta” che rivela il mistero delle Tredici File e annuncia il Nuovo testamento del teatro; e dall’altra il “martire” che incarna un Verbo ormai capace di parlare tutte le lingue? Ed è proprio in quel nuovo attore che “si piega, si eleva, si dinoccola, salta, vola - nasce e muore” che si ferma la memoria milanese, più 25 100 http://www.muspe.unibo.it. La prima volta di Jerzy Grotowski in Italia che sui discorsi di metodo: non a caso di lì a poco, nel 1969, Scabia si ispirerà a quel “corpo di passione” per creare il personaggio del Guerriero Magro nei suoi Scontri generali per la Comunità Teatrale dell’Emilia Romagna26; dove fra suggestioni di Brecht e di Artaud, sembra di rivivere l’esilio del Simpleton cacciato dal branco in Apokalypsis cum figuris. Il Guerriero Magro viene dileggiato e umiliato finché il suo persecutore gli taglia le braccia e le gambe. È solo un torso con una testa cieca. È solo una rappresentazione. Non è più una rappresentazione. L’invito degli amatori del teatro, quegli Amici del Piccolo di Milano che tanta parte hanno avuto nell’evoluzione del primo stabile italiano, mette in circolo un brivido che non è più solo intellettuale; in altro modo, in altra forma si infiltra nella memoria l’idea che il teatro possa essere altro che un commercio e diventare (forse ritornare) un sacrificio. “Un professore che s’incazzò” Quanto a Padova, la prima tappa prevista e proprio quella che invece due anni dopo Grotowski ometterà di raccontare alla stampa, nella stagione 1964-65 è un incandescente crogiolo teatrale. Giuseppe Flores D’Arcais, il celebre pedagogista, all’epoca direttore dell’Istituto di Pedagogia dell’ateneo patavino, promotore e primo titolare della prima cattedra di Storia del Teatro e dello Spettacolo in Veneto a partire dal 1959-60, sta strutturando il settore delle discipline teatrali – sull’onda di ciò che già sta avvenendo a Roma con Giovanni 26 Il testo viene pubblicato per la prima volta in “Sipario”, 282, ottobre 1969, pp. 25-60; ma la prima edizione di riferimento è in G. Scabia, Teatro nello spazio degli scontri, Bulzoni, Roma, 1973, pp. 71-194 dove l’autore definisce “un disguido” la prima pubblicazione, in quanto operata su bozze non corrette. 101 Saggi Macchia e a Genova con Vito Pandolfi: si è da poco fatto affiancare da Giovanni Calendoli, che ha appena ottenuto la libera docenza ed erediterà la cattedra, alternandola nei primi tempi con l’insegnamento di Storia del Cinema. Appena nel gennaio del 1964, col sostegno dello stesso Flores D’Arcais e dell’appassionato Michele Arslan (medico, padre della scrittrice Antonia) e di altri docenti padovani, fra cui il goldonista Gianfranco Folena, la compagnia de Le Maschere diretta da Costantino De Luca inaugura quello che si proclama secondo T.U.P., Teatro Universitario di Padova, con un reading di Gil Vicente; fra gli attori compare in locandina per la prima volta in arte il nome di Angelo “Nin” Scolari, futuro fondatore del Teatrocontinuo. E infine, sempre in questo 1964, il movimento teatrale universitario si articola ulteriormente: in settembre, sotto la direzione di Lorenzo Rizzato, tuttora in attività, nasce il T.P.R., Teatro Popolare di Ricerca, che inalbera orgogliosamente l’appellativo di C.U.T., Centro Universitario Teatrale, sebbene per i primi sei anni non ottenga nessuna sovvenzione pubblica; insoddisfatto dell’art pour l’art propugnata dall’istituzione universitaria, il gruppo, anzi il “collettivo” si costituisce autonomamente “con l’intento di riempire il vuoto culturale e teatrale della nostra città”27. All’arrivo di Grotowski e di Cieślak ci sono entrambi, T.U.P. e C.U.T., l’istituzione e il movimento, regolari e irregolari. Eppure, dell’intero contesto, dell’impresa e dei suoi esiti, De Luca preferisce ricordare oggi solo il gossip e lo scoop: per quanto riguarda la venuta a Padova di Jerzy Grotowski, posso dire che ci fu un professore che s’incazzò perché feci venire Grotowski a Padova, perché secondo lui non era degno di farsi vede al T.U.P. Anzi, meglio, noi non potevamo accordarci con una casa editrice […] in quanto non dovevamo allearci con la stessa. Non si dovrebbero fare nomi, ma questo professore fu D’Arcais. La sua venuta fu in accordo con la casa editrice Marsilio, altrimenti non ce l’avremmo fatta con 27 Si veda il libretto per il decennale della compagnia: TPR-CUT Teatro Popolare di Ricerca – Centro Universitario Teatrale, [Padova, TPR, 1976]. 102 La prima volta di Jerzy Grotowski in Italia i soldi. Grotowski, a quell’epoca, era conosciuto da me e, credo, da altre venti persone28. Secondo la memoria un po’ approssimativa dell’intervistatore che raccoglie la testimonianza di De Luca, alla fine “Grotowski presenta solo uno spettacolo dimostrativo, seguito da un dibattito, per gli studenti dell’Università e dopo pochi giorni se ne va”; impressione probabilmente suscitatagli da una seconda intervista a De Luca in cui il regista del T.U.P., a posteriori, minimizza la portata dell’evento (“i vari laboratori, tipo Grotowski, hanno fatto la loro stagione e sono già finiti perché non hanno dimostrato nulla”29); e perfino da Calendoli, che in una successiva intervista, alla domanda diretta su Grotowski glissa, preferendo ricordare come il suo insediamento alla cattedra di Storia del Teatro e dello Spettacolo di Padova lo debba proprio a Flores D’Arcais30. Finisce che la stampa non reca notizia né della presentazione del libro di Barba, né di questa contrastata conferenza spettacolo di Grotowski e Cieslak. Dalla viva voce di Lorenzo Rizzato, il contestatore, apprendiamo almeno che fu una giornata di sole, al Portello, febbrile e dispersiva. 28 Cit. in Gaetano Rampin, Il teatro dell’Università a Padova dal 1963 al 1971, Provincia di Padova, Padova, 2005, pp. 63-66; l’intera intervista è in appendice del libro stesso. 29 Ivi, p. 122. 30 Ivi, pp. 118-120. 103