TEATRO ELISEO
Stagione teatrale 2010 / 2011
8 / 9 ottobre 2010
Incendies
scritto e diretto da Wajidi Mouawad
assistente alla regia Alain Roy
scene e costumi Isabelle Larivière
luci Eric Champoux
sonoro Michel F. Côté
(Eliseo Mondo)
Coproduzione del Théâtre de Quat’Sous con il Théâtre Ô Parleur, Festival de théâtre des Amériques,
L’Hexagone Scène Nationale de Meylan, Le Dôme Théâtre d’Albertville Scène Conventionnée, Théâtre Jean
Lurçat Scène Nationale d’Aubusson, Le Festival des Théâtres Francophones en Limousin, Le Théâtre 71
Scène Nationale de Malakoff
corealizzazione Romaeuropa Festival 2010 e Teatro Eliseo
Raccontare una storia ci impone di scegliere un inizio che dovrà essere l’inizio di tutto per un individuo. E per
noi, l’inizio è la morte di questa donna che, già da tempo, ha deciso di rimanere in silenzio e, da allora, non ha
detto più nulla. Mai più nulla fino a quest’ultima frase, poco prima di morire: «Adesso che siamo insieme, va
meglio»
Questa donna si chiama Nawal e presto verrà seppellita.
La nostra storia comincia dalle sue ultime volontà, rivolte a Jeanne et Simon, gemelli nati dal suo ventre.
Nessuna pietra verrà posta sulla mia tomba,
E il mio nome non sarà inciso da nessuna parte
Nessun epitaffio per coloro che non mantengono le proprie promesse
E una promessa non fu mantenuta
Nessun epitaffio per coloro che rispettano il silenzio
E il silenzio fu rispettato.
L’infanzia è un coltello piantato nella gola
Non lo si estrae facilmente.
Se questo è il nostro inizio, Incendies è dunque la storia di Jeanne e di Simon; la storia del lungo viaggio che li
conduce lungo il filo tagliente della vita della loro madre per trovare le fondamenta su cui hanno costruito le
loro esistenze, tentare di risolvere l’equazione e cercare dietro alla duna più buia la sorgente della bellezza.
12 ottobre / 14 novembre 2010
Napoletango
ideato da Giancarlo Sepe
con Stefano Capitani, Gino Curcione, Susy Del Giudice, Sergio Di Paola, Cristina Donadio, Giovanna
Famulari, Antonio Gargiulo, Elena Gigliotti, Cristina Messere, Francesco Moraca, Pablo Moyano, Matteo
Nicoletta, David Paryla, Giorgio Pinto, Giuseppe Pisacane, Caterina Pontrandolfo, Dora Romano, Marcela
Szurkalo, Nella Tirante, Luca Trezza
scene e costumi Carlo De Marino
luci Umile Vainieri
aiuto regia Domenico De Santi
musiche originali Luis Bacalov
regia Giancarlo Sepe
Teatro Eliseo / Napoli Teatro Festival Italia
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La famiglia Incoronato è famosa a Napoli e sul territorio della regione. Essa si sposta come un chiassoso circo
familiare, viene chiamata per cerimonie religiose e feste di paese. Essa è la prova vivente della
specializzazione dell’ artista, e la specializzazione è il tango. Non il walzer, non la samba, non il fox-trot o il
liscio, ma il divino, tragico e sensuale tango argentino. Come lo abbia imparato e da chi è un vero mistero. Sta
di fatto che ormai da quattro generazioni la famiglia Incoronato detta legge in materia, le sue invenzioni, il suo
ritmo, l’originalità delle figure e la fastosa ridondanza dei corpi che si muovono hanno colpito il mondo intero e
hanno creato proseliti un po’ ovunque. Nella compagnia serpeggiano capigliature nere come la pece e vestiti
aderenti che fasciano corpi e menti, la loro ispirazione, come appare, è costante e tale da motivare ogni
singolo gesto, anche il più elementare, il più quodidiano come il mangiare, il bere, il dormire e finanche il
camminare. Sono dei veri fenomeni: Concetta, la matriarca, il figlio con la sua sposa, i figli, i fratelli e le sorelle,
i cugini, persone appartenenti a posti e a razze diverse, passano tutti come lontani parenti della famiglia
Incoronato, una famiglia allargata da sempre nuovi elementi, anche biondi e anche stranieri, gente che non
conosce la lingua napoletana, ma neanche quella italiana, gente di colore, persone non vedenti, cantanti e
ballerini. Tutti ballano il tango a Napoli ed è subito Napoletango.
È il trionfo della vita sull’accademismo, della bruttezza sulla bellezza, del sangue versato per amore, contro i
sentimenti prudenti e intimisti. La famiglia si esibisce in balere, in caffè, in stazioni ferroviarie, circhi, palestre,
attraverso filastrocche, canti della terra, canzoni patriottiche, danze ritmate dai propri sentimenti urgenti,
necessari. Come dire che la vita è un grande tango che si svolge dalla mattina alla sera. C’è il tango della
sveglia, quello della colazione, del lavoro, del rientro a casa, quello dell’amore, della lite, della guerra, del
mangiare (in scena si preparerà una vera cena a base di pesce) e poi ancora tango per le feste comandate,
processioni religiose, natali e capodanni. Lo spettacolo è un inno alla vita senza i freni della cultura borghese e
senza la ricerca affannosa della bellezza, oggi la vera discriminante tra ciò che conta e ciò che va buttato via.
Venti attori che cantano e ballano e suonano - musica dal vivo – musica registrata – canti, gastronomia, suoni
e fuochi artificiali. Giancarlo Sepe
16 / 28 novembre 2010
ELISABETTA POZZI
Tutto su mia madre
adattamento teatrale di Samuel Adamson
basato sul film di Pedro Almodovar
con Alvia Reale, Francesco Biscione, Alberto Onofrietti, Silvia Giulia Mendola, Giovanna Mangiù, Paola Di
Meglio, Alberto Fasoli
scene Antonio Panzuto
costumi Gianluca Falaschi
regia Leo Muscato
Fondazione Teatro Due / Teatro Stabile del Veneto
Tutto su mia madre è il film capolavoro scritto e diretto da Pedro Almodovar nel 1999. È una dedica “a tutte le attrici
che hanno interpretato delle attrici, a tutte le donne che recitano e a tutte le persone che vogliono essere madre”.
Il forte appeal teatrale di questo testo è già stato colto dall’Old Vic Theatre di Londra che nel 2007 ha messo in
scena uno spettacolo prodotto da Daniel Sparrow, Neal Street productions, The Old Vic Theatre Company, Dede
Harris & DRB Productions.
Il testo, basato sulla sceneggiatura originale di Almodovar, è stata adattato per il teatro da Samuel Adamson. Lo
stesso testo viene rappresentato adesso per la prima volta qui in Italia.
Il film di Almodovar inizia con un bellissimo rapporto fra madre e figlio. C’è un padre assente, ma
costantemente presente nei pensieri del figlio alla continua ricerca di un’identità. Si parla di maternità,
paternità, omosessualità, uomini che diventano donne, padri che diventano madri. Si parla fortemente di
teatro, cinema e scrittura; di malattia, di droga, aids, di trapianti, donazione di organi, d’amore e di morte. Un
dolore di fondo, filtrato da una visione ironica dell’esistenza stessa. L’incrocio di questi temi sarebbe potuto
diventare un guazzabuglio senza pari. Nelle mani di Almodovar, invece, ogni cosa si concatena perfettamente,
nella vita di tutti quei personaggi che Manuela, la protagonista (qui interpretata da Elisabetta Pozzi), incontra
nel suo viaggio.
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Manuela è mossa dal senso di colpa di non essere riuscita a mantener fede a una promessa fatta al figlio
Esteban poco prima di morire: raccontargli tutta la verità su suo padre. È questo senso di colpa che la porterà
a Barcellona, a confrontarsi col passato, andando alla ricerca di quel padre, a cui poter finalmente raccontare
tutto su suo figlio…
L’elemento dominante nel testo di Adamson è la meta-teatralità, si tratta di un grande omaggio al teatro e
all’arte degli attori. Le tematiche presenti nella sceneggiatura cinematografica ci sono tutte, ma filtrate dalla
contestualizzazione della vicenda.
Qui la narrazione è quasi onirica, filtrata dai pensieri di Esteban, e da quegli appunti che non smette mai di
scrivere sul suo taccuino, appunti su un testo teatrale che vorrebbe scrivere su sua madre, il cui titolo sarebbe
proprio TUTTO SU MIA MADRE.
Il nostro spettacolo si fonderà sul linguaggio specifico del teatro e chi vorrà venire a vederlo dovrà cercare di
rimuovere (solo per due ore) i ricordi e la passione che lo straordinario film di Almodovar gli avrà procurato. Il
risultato non potrà che essere diverso, ma abbiamo fiducia che possa essere altrettanto emozionante.
Leo Muscato
30 novembre 2010 / 9 gennaio 2011
LEO GULLOTTA
Le allegre comari di Windsor
di William Shakespeare
traduzione e adattamento di Fabio Grossi e Simonetta Traversetti
con Alessandro Baldinotti, Paolo Lorimer, Mirella Mazzeranghi, Fabio Pasquini
e con Rita Abela, Fabrizio Amicucci, Valentina Gristina
e Cristina Capodicasa, Gerardo Fiorenzano, Gennaro Iaccarino, Federico Mancini, Giampiero Mannoni, Sante
Paolacci, Sergio Petrella, Vincenzo Versari
scene e costumi Luigi Perego
musiche Germano Mazzocchetti
movimenti coreografici Monica Codena
luci Valerio Tiberi
regista assistente Mimmo Verdesca
regia Fabio Grossi
Teatro Eliseo
Fu per volontà della regina Elisabetta I che il Bardo riesumò Sir John Falstaff, fatto morire nella sua
precedente opera, l’Enrico V: nacque così Le allegre comari di Windsor. Anche questa nostra edizione,
benché passati parecchi secoli, nasce sotto l’occhio vigile e severo della grande Regina: intrighi, scherzi e
maramaldate sfileranno così secondo il divertito gusto shakespeariano. Protagonista della vicenda è Sir John
con le sue esuberanti smargiassate da guascone, la sua sovrabbondante figura, la sua pletorica simpatia
cialtrona, il suo amore per la crapula e il bicchiere e la sua irresistibile, endemica disonestà viziosa e bonaria.
La commedia racconta di una società, che vive sotto l’occhio della Corte, dove il dileggio l’uno dell’altro dei
componenti della comunità, fa da quotidiano passatempo. Tanto pronti a impugnar le spade, a difesa di
supposti e ridicoli onori, quanto a deporle per sostituirli con boccali di vin di Spagna, al fin inconscio di proporsi
come innocue prede di chi del borseggio fa scopo di vita. Un ventaglio di più svariata umanità la farà da
protagonista della vicenda: il bonario benestante, il meschino geloso, lo scaltro pedante, il servo scimunito, il
pavido baciapile, l’ampolloso bottegaio, l’antipatico saccente. Ma su tutti trionferanno le donne, le qua
raccontate comari che, con furbizia e lungimirante intelligenza, collocheranno, in maniera indolore per la
comunità, la parola fine alla vicenda. Quindi, amori e amanti, guasconi maldestri e burocrati vacui, mariti gelosi
e golosi mercanti, mercenari allettanti e infingardi ci racconteranno la storia che, come nelle migliori tradizioni
teatrali, verrà in alcuni parti rafforzata dalla partitura musicale, sottolineando, di volta in volta, momenti comici,
grotteschi o romantici. Alla fine, l’amore giovanile uscirà trionfante, la smania tardiva gabbata, in un turbinio,
ammantato da magiche visioni, che concluderà riportando nelle proprie case i protagonisti, lasciando il nostro
grasso e grosso personaggio principale a tirar le fila di una vita vissuta ai margini, ma con l’onor d’una
filosofica consapevolezza. Rispettando appieno la struttura voluta e pensata da Shakespeare, proponendo
allo spettatore, in luogo dei cinque atti, i più canonici e moderni “due più intervallo”, si lascerà indubbia la
correlazione ai nostri tempi e alle nostre vicende sociali, sottolineando qua e là lo scherzo, acre e cattivo,
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denominante una società che pedissequamente ripete i suoi stilemi, nei confronti di chi viene considerato un
diverso, sia per aspetto, sia per attitudini o usi. Fabio Grossi
11 gennaio / 6 febbraio 2011
PAOLO POLI
Il mare
due tempi di Paolo Poli
da Anna Maria Ortese
scene Emanuele Luzzati
costumi Santuzza Calì
regia Paolo Poli
Produzioni Teatrali Paolo Poli Associazione Culturale
I racconti di Anna Maria Ortese composti nel lungo arco di tempo che va dagli anni trenta ai settanta,
affiancando la produzione dei grandi romanzi, riflettono sorprendentemente la complessa personalità
dell’autrice. Storie quasi senza storia che dipingono una realtà tragica come attraverso un sogno. Spesso
sono stati paragonati al fantastico viaggio dantesco nell'aldilà. Ad una rilettura odierna sembrano piuttosto
rievocare la teatrale tenerezza del Tasso o la cinematografica leggerezza dell'Ariosto. Gli avvenimenti narrati
sono visti attraverso il ricordo struggente: l'infanzia infelice, ma luminosa, l'adolescenza insicura, ma
traboccante, l'amore sfiorato, ma mai posseduto. Sentimenti che ricordano il dispettoso rifiuto di Kafka e le
illuminazioni improvvise di Joyce. Figure e figurine di una italietta arrancante nella storia dove le canzonette
fanno la parte del leone.
Accanto a Poli gli attori che da sempre lo accompagnano in un tipo di teatro personalissimo.
Le scene del grande Luzzati enfatizzano la pittura novecentesca. I costumi fantasiosi di Calì sorprendono
ancora una volta. Le musiche di Perrotin persuadono arditamente. Insomma una nuova produzione della
premiata ditta Sorrisi e Veleni.
14 febbraio / 13 marzo 2011
Romeo e Giulietta
di William Shakespeare
traduzione e adattamento di Fausto Paravidino e Valerio Binasco
con Riccardo Scamarcio, Denize Ozdogan, Antonio Zavatteri, Filippo Dini,
Giampiero Rappa, Andrea Di Casa, Lisa Galantini, Simone Luglio
e con Milvia Marigliano
costumi Sandra Cardini
regia Valerio Binasco
Teatro Eliseo / Compagnia Gank
in collaborazione con Gloriababbi Teatro
È quasi tutto troppo con Shakespeare. E Romeo e Giulietta ha persino un troppo in più. È un’opera così
famosa che è impossibile sfuggire al già visto. In più mi accorgo che del testo mi piacciono soprattutto cose
marginali: i personaggi secondari, il tono da commedia, il provincialismo italiano (di cui Shakespeare non
sapeva nulla, certo, ma come non pensarci quando vedo quei poveri giovinastri Capuleti e Montecchi che si
aggirano per Verona, nella nebbia, nel ‘niente da fare’ delle province del nord, determinati in modo quasi
scientifico a diventare gretti e imbecilli come i loro genitori, antesignani illustri dei poveri baldi padani odierni
…). Insomma, la cosa che più mi attira in Romeo e Giulietta è la crudeltà, spesso involontaria ma ancor più
spesso consapevole, che nasce dall’imbecillità umana.
A parte i due protagonisti, in qualche modo ‘salvati’ dall’innamoramento e dall’innamoramento convertiti al
pacifismo, tutti gli altri si muovono minacciosi e vittoriosi verso il domani dell’umanità. Che è il nostro oggi,
ahimè. Abbiamo visto tutti che bella carriera hanno fatto e stanno facendo nella storia gli imbecilli violenti e
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quale pessima gli innamorati pacifisti. Se la morte dei due innamorati doveva servire a placare gli animi,
secondo le teorie di René Girard, allora ci troviamo dinnanzi a due capri espiatori. All’epoca di Shakespeare è
probabile che lo shock morale della morte di due innocenti fosse sufficiente a fermare un’escalation di stragi.
Oggi non funziona più. I capri ammazzati son capri morti e basta, di espiatorio non si vede nulla. Ma forse
anche le famiglie di Romeo e Giulietta si salvano dalla strage reciproca ma non dall’accidia che fa fermentare
il nulla e il vuoto della provincia (le statue d’oro dei figli al termine della tragedia cosa risolvono?). E di questi
climi di provincia ho un’esperienza personale, che porterò. Anzi, qualcuno che vuol bene al mio lavoro, mi ha
detto che in qualche modo io continuo a provare a fare Checov, magari anche Maupassant, nei miei
spettacoli. Sono d’accordo con lui. A onor del vero qualcosa di simile me l’ha detta anche qualcuno che non
vuole bene al mio lavoro. Sono d’accordo anche con lui.
Vedremo che succederà. Con Shakespeare non si può prevedere nulla. Intanto mi sono procurato degli attori
fantastici, e avrò al mio fianco Sandra Cardini, il mio Ariel prezioso che non ha paura dei troppi della vita e
dell’arte. Valerio Binasco
15 marzo / 15 maggio 2011
SILVIO ORLANDO
Se non ci sono altre domande
scritto e diretto da Paolo Virzì
Teatro Eliseo / Nuovo Teatro
Chi è Michele Cozzolino? E perché quella che per lui doveva essere una giornata come tante diventa invece
l’occasione di un inaspettato evento pubblico, con una platea che sembra sapere tutto della sua vita e lo
interpella, lo incalza, lo biasima, si complimenta? L’intera biografia di una persona apparentemente comune
viene messa a nudo in questa specie di conferenza stampa, che assomiglia a un processo pubblico, o a un
bilancio esistenziale. Le sue aspettative e le sue delusioni, i suoi amori e le sue avversioni, i suoi tradimenti e i
suoi segreti: il signor Michele Cozzolino, impiegato di medio livello di una grande azienda, sposato con figli e
alle prese con un’esistenza tanto serena quanto mediocre, è costretto ad assistere al riaffacciarsi dei fantasmi
del proprio passato, a ricordar cose che riteneva di aver sepolto nell’oblio e nell’indifferenza, a fare i conti coi
propri errori, e infine a dover accettare il giudizio di tutti noi, spettatori insolenti delle sue umane debolezze.
Paolo Virzì
18 / 22 maggio 2011
Interiors
creazione di Vanishing Point
ideazione e regia Matthew Lenton
ispirato a L'Intérieur di Maurice Maeterlink
scenografia e luci Kai Fischer
musica e suono Alasdiar Macrae
proiezioni e video Finn Ross for mesmer
costumi Eve Lambert
soggetto e testo Vanishing Point
drammaturgia Pamela Carter
artista associato Sandy Grierson
(Eliseo Mondo)
Vanishing Point / Napoli Teatro Festival Italia
in coproduzione con Teatro Stabile di Napoli e Traverse Theatre,
in collaborazione con il Lyric Hammersmith e Tron Theatre, e
con il supporto per lo sviluppo del progetto del National Theatre Studio
produzione tournée in Italia Aldo Grompone, Roma
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Tratto dal testo L’Intérieur del Premio Nobel Maurice Maeterlinck, è uno spettacolo di teatro fisico e visivo
d’inedita bellezza.
Dietro una gran finestra, in una sala, un gruppo d’amici si riuniscono per cena. Le lampade sono accese, tutti
sono felici. Inizia la conversazione e le storie si svolgono attorno al tavolo, storie sui vivi e sui morti, sulle cose
perse, e quanto si dice quando la gente siede insieme a mangiare. Alcuni segreti emergono. Si dicono bugie.
Fuori qualcuno guarda.
Interiors è uno spettacolo sui suoni, sul silenzio, di chi osserva al di fuori al buio l’intimità altrui.
27 / 29 maggio 2011
[H] L_Dopa
(Eliseo Mondo)
con Alexandre Aflafo, Jean-François Bourinet, Paula Diogo, Estelle Franco, Julián Fuentes Reta, Natalia
Hernandez Arévalo, Dominique Pattuelli, Luís Godinho, Valentina Gristina, Daniela Labbé Cabrera, Emiliano
Masala, Martim Pedroso, Daniele Pilli, Ana Portolés
scene e costumi Fabio Sonnino
musiche Franco Visioli
luci Giorgio Cervesi Ripa
regia Antonio Latella
Nuovo Teatro Nuovo con la partecipazione di DeVir-CAPa Centro de Artes Performativas do Algarve
Credere nella guarigione, credere che il teatro sia il luogo dove non si ha paura di esporre la propria malattia,
quella fisica, quella mentale, quella dell’anima.
In questo luogo il dolore del mondo e dell’uomo può assumere le tinte di una favola buffa, grottesca, tragica,
comica, politica, pur restando sempre una favola che ci aiuta a esorcizzare il male di vivere.
Se fin dall’inizio accettiamo che la nascita è comunque un lento morire, la vita stessa è malattia, e a noi non
resta che l’accettazione di essere solo un passaggio necessario alla vita stessa. Il teatro ci aiuta a non aver
paura dello spettro della vita, il teatro stesso può diventare cura, medicina o anche eutanasia, quell´atto
necessario a dare dignità alla morte e alla persona, che nel sonno letargico e vegetativo non potrà mai
restituire parole al suo dolore, al suo essere senza fare.
In questo viaggio, cominciato con gli attori da un anno, abbiamo capito che provare a raccontare il malato
attraverso un percorso psichico di analisi e di finta ricostruzione di un realismo, sarebbe stata la strada meno
corretta da un punto di vista etico: nessun attore può, nonostante il proprio talento, dare verità al dolore vero,
sarebbe troppo pericoloso e in alcuni casi anche banalmente consolatorio.Non esiste una risposta che vada
bene per tutti, non esiste una medicina generica che possa curare tutti, anche se affetti dallo stesso male.
L_Dopa non salva la vita, può modificarla, piegarla, mutarla, ma non guarirla. Tutto accade in proscenio e solo
quando ci addentriamo nel sogno, riprendiamo possesso del teatro, come ci hanno insegnato i grandi autori,
che danno voce al "sogno di una vita" per non farci sentire soli.
Antonio Latella
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PICCOLO ELISEO PATRONI GRIFFI
Stagione teatrale 2010 / 2011
19 ottobre / 14 novembre 2010
MARIA PAIATO
Erodiade
testo Giovanni Testori
luci Pasquale Mari
scene Francesco Ghisu
costumi Sandra Cardini
musiche Francesco Forni
drammaturgia e aiuto regia Francesca Manieri
regia Pierpaolo Sepe
Teatro Eliseo / Teatro Stabile del Veneto
Una lunga catena di parole, una lotta senza scampo tra due amanti e il Dio che tra essi si frappone, una
strenua volontà di sapere. Questo primo studio presenta un' Erodiade ridotta alla sua essenza, privata di ogni
orpello scenico, una messa in scena nuda e feroce,come nudo e feroce è l’animo di Erodiade.
Bestia sovrumana, che crea e ricrea nel gesto tutto ciò che la circonda. Male eterno che flagella come monito
costante di perdizione la specie umana, e, creatura tutta umana, aspirazione permanente e incerta al bene,
fragile ferita esposta all’abisso crudele e insensato della luce, dell’amore.
Nel vuoto di questa reggia immaginaria si apre il baratro dell’assurdo di Dio. Lo spazio risuona e risente del
silenzio del Suo abbandono. Eppure, nell’attimo stesso in cui l’anima cede alla tentazione del niente, la parola
decade, preda del dubbio che si manifesti per gli umani l’inattesa coincidenza tra Dio e una rara e faticosa
possibilità d’amore.
Testori definì Erodiade “una figura a metà fra il Dio astratto e quello incarnato”. Sola sulla scena, Erodiade,
antica concubina di Erode, si rivolge ora alla testa di San Giovanni, ora all’autore, rivelando le vere motivazioni
della decollazione del Battista. È stata lei a spingere la figlia Salomè tra le braccia di Erode e a chiederle la
testa di Giovanni, colpevole di aver rifiutato il suo amore.
Completamente identificata nella sua passione impossibile, Erodiade sfida il Dio di Giovanni e cerca la morte
in scena. Composta tra il 1967 e il 1968, Erodiade fu pubblicata per la prima volta nel 1969 e quindi rielaborata
nel 1984 fino al rifacimento dell’Erodiàs, inclusa nel Corpus dei Tre Lai.
Pierpaolo Sepe
16 / 28 novembre 2010
Prenditi cura di me
scritto e diretto da Giampiero Rappa
con Valentina Chico, Andrea Di Casa, Filippo Dini, Sergio Grossini, Ilaria Pardini, Giampiero Rappa, Gisella
Szaniszlo’
luci Gianluca Cappelletti
scene e costumi Barbara Bessi
musiche Massimo Cordovani
Gloriababbi Teatro / Fattore K
Vincitore del Premio Enrico Maria Salerno per la Drammaturgia Europea - XIII Edizione - Anno 2007
Dalle motivazioni della Giuria per il testo: “... una vicenda assolutamente realistica e ricca di colpi di scena,
ambientata nel contesto ambiguo e spregiudicato della sanità nazionale. Un medico di fama, la sua tormentata
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vita privata, il cinismo della professione, i compromessi e le tentazioni della politica: tutto si tiene in un dramma
ambizioso iscritto nel solco stilistico della tradizione teatrale italiana. Rappa si conferma drammaturgo solido,
fra i migliori della scena nazionale, abituato a costruire il proprio lavoro partendo dalla pratica quotidiana del
palcoscenico con una Compagnia affiatata e riconosciuta.”
“Prenditi cura di me” non è solo un testo sulla corruzione della politica all’interno del sistema sanitario italiano,
ma anche e soprattutto la storia di un uomo, Franco Maggi, che fa i conti con se stesso nel sopportare il peso
del potere. L’incapacità di allontanare le persone che sente dannose e la difficoltà ad avvicinare quelle che
potrebbero aiutarlo, lo rendono un uomo solo, in perenne lotta con gli altri. Franco sembra voler ripulire il
mondo, renderlo perfetto, smascherando le falsità e la corruzione. In realtà ciò che vuole smascherare è se
stesso per ritrovare la propria autenticità, le proprie emozioni, anestetizzate dal mondo borghese. Come un
capocomico stanco di interpretare sempre lo stesso personaggio, cambia ogni giorno le sue battute, mettendo
in difficoltà gli attori che recitano con lui. Solo nella rappresentazione finale potrà scoprire finalmente se stesso
e immaginare una nuova vita. Giampiero Rappa
30 novembre / 12 dicembre 2010
La bottega del caffè
di Carlo Goldoni
con Massimo Brizi, Filippo Dini, Lisa Galantini, Alessia Giuliani, Alberto Giusta, Maurizio Lastrico, Aldo
Ottobrino, Alex Sassatelli, Mariella Speranza
luci Sandro Sussi
scene e costumi Laura Benzi
regia Antonio Zavatteri
Gank / Teatro Stabile di Genova / Festival teatrale di BorgioVerezzi
La bottega del caffè è una delle più celebri opere di Carlo Goldoni, scritta nel 1750 sviluppando un tema già
esposto in precedenza come intermezzo musicato e che ebbe già allora un così grande successo da meritarsi
un ampliamento a commedia in tre atti. Il commediografo veneziano disegna una piazzetta dove fa vivere tre
botteghe, “quella di mezzo a uso di caffè; quella alla diritta, di parrucchiere e barbiere; quella alla sinistra ad
uso di giuoco, o sia di biscazza” e vari meravigliosi personaggi, avventori, gestori delle attività, giocatori,
caratteri universali, umani, verosimili e forse veri. Come sostiene lo stesso Goldoni nelle sue Memorie,
prevenendo eventuali critiche alla mancata unità d’azione, la sua intenzione non era di voler rappresentare
una vicenda ben precisa, ma di voler dipingere una piazzetta di Venezia e la vita delle persone che
gravitavano intorno ad essa. Ed ecco quindi che tutta la scena non è altro che uno scorcio di realtà portato in
teatro. Il vizio e la colpa, la virtù e le passioni muovono e animano queste creature che racchiudono in loro
ingenuità e malvagità, speranze e furore.
Dopo aver affrontato lo scorso anno La scelta del Mazziere di Patrick Marber in cui in una simile
ambientazione (un ristorante) “lottano” personaggi che ci ricordano quelli descritti da Goldoni, ci è venuta la
curiosità di affrontare con il parallelo settecentesco, e la nostra compagnia ci sembrava perfetta per potersi
cimentare con questo capolavoro.
Reinventare quella piazza, quelle botteghe e quelle anime cercando di rifuggire le forme stereotipate della
commedia settecentesca ma tenendo conto dell’imprescindibile arte e leggerezza goldoniana è la nostra sfida,
continuando la nostra ricerca di forme poco legate all’idea di teatro (cosiddetto) di Regia e che spende grande
attenzione nei confronti dell’accadimento, del “gioco attoriale” e di una relazione viva tra gli interpreti.
Antonio Zavatteri
14 / 23 dicembre 2010
Sogno di una notte d’estate
di William Shakespeare
traduzione Patrizia Cavalli
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con Federico Brugnone, Carlo Cecchi, Silvia D’Amico, Davide Giordano, Simone Lijoi, Luca Marinelli, Enoch
Marrella, Gabriele Portoghese, Sofia Pulvirenti,Luca Romani, Barbara Ronchi, Valentina Rosati, Valentina
Ruggeri, Nicola Sorrenti, Lucas Waldem Zanforlini, Cecilia Zingaro
costumi Sandra Cardini
luci Camilla Piccioni
consulenza musicale Nicola Piovani
regia Carlo Cecchi
Teatro Stabile delle Marche con il patrocinio dell’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”
Questo spettacolo nacque come saggio di diploma degli allievi attori dell’Accademia Nazionale d’Arte
Drammatica “Silvio D’Amico”, da me diretto, nel giugno 2009. E’ stato ripreso al 52° Festival dei due mondi e
nell’ambito del progetto Shakespeare organizzato dal Teatro Stabile delle Marche.
Si tratta dunque di un gruppo di giovanissimi attori, alcuni dei quali anche musicisti, che affrontano, per la
prima volta, l’esperienza di una Compagnia di teatro e di una tournée.
Se per l’Accademia mi ero limitato a fare il regista, nello spettacolo che ora presentiamo vi partecipo anche
come attore, recitando la parte del dramaturg della troupe degli artigiani.
Al di là dell’enorme piacere che io provo a recitare, il mio ingresso nella Compagnia di questi giovanissimi
attori è in realtà lo sviluppo naturale di un rapporto umano e professionale che, a partire dalle prime, dure
prove del saggio, è cresciuto in maniera piuttosto felice e sorprendente.
Ciò che ci unisce, scavalcando le generazioni, è il teatro: ossia la ricerca di quel rapporto attivo fra attori e
spettatori, nell’immediatezza del qui e ora della rappresentazione, che solo il teatro ancora può far vivere.
E trattandosi del Sogno di una notte d’estate, con la complicità divina di William Shakespeare.
Carlo Cecchi
11 / 16 gennaio 2011
Avevo un bel pallone rosso
di Angela Demattè
con Andrea Castelli, Angela Demattè
scene Guido Buganza
costumi Margherita Baldoni
luci Lorenzo Carlucci
regia Carmelo Rifici
Teatro Stabile di Bolzano
Testo vincitore del 50° Premio Riccione per il Teatro
Questo bel testo della giovane autrice e attrice trentina Angela Demattè ha vinto nel giugno 2009 la
cinquantesima edizione del Premio Riccione per Il Teatro, il più prestigioso concorso italiano di drammaturgia
contemporanea.
Il testo racconta, attraverso una serie di dialoghi tra padre e figlia che si svolgono dal 1965 al 1975, l’ultimo
anno di università di Margherita Cagol alla facoltà di sociologia di Trento, l’incontro e il matrimonio con Renato
Curcio, la presa di coscienza politica, il trasferimento a Milano nel 1969, l’entrata nella clandestinità e la
fondazione delle Brigate Rosse, fino alla morte violenta della Cagol avvenuta in uno scontro a fuoco con i
carabinieri il 5 giugno 1975.
In scena due personaggi: Margherita e suo padre. I loro dialoghi, tra dialetto trentino e lingua italiana,
raccontano la vicenda della fondatrice delle BR e, soprattutto, delineano il rapporto concreto e drammatico tra
un padre e una figlia. Poi, inevitabilmente, salta fuori quella progressiva incomunicabilità tra generazioni che il
’68 ha reso così evidente: perché le ragioni, gli ideali dei figli diventavano incomprensibili per i padri. Una
frattura vissuta da tutti noi anche oggi, come figli o come padri.
Regista dello spettacolo è Carmelo Rifici, uno dei più interessanti giovani registi italiani, assistente di Luca
Ronconi negli ultimi cinque anni, vincitore del Premio ETI Olimpici Del Teatro 2009 come miglior regista
dell’anno e del Premio della Critica 2009 per I pretendenti di Lagarce diretto per il Piccolo Teatro di Milano.
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Interpreti sono nel ruolo del padre il miglior attore trentino, Andrea Castelli e nel ruolo di Margherita Cagol la
stessa Angela Demattè.
25 gennaio / 13 febbraio 2011
Morso di luna nuova
di Erri De Luca
con Giovanni Esposito, Antonio Marfella, Luna Romani, Antonella Romano, Giampiero Schiano, Antonio
Spadaro, Simone Spirito, Pino Tufillaro
scene e costumi Bruno Buonincontri
musiche a cura di Harmonia Team
con la collaborazione di Davide Mastrogiovanni
luci Rocco Giordano
regia Giancarlo Sepe
Gli ipocriti / La Biennale di Venezia
Alla lettura del testo di De Luca ho avuto come il presentimento che la storia della mia famiglia trovasse in
quelle parole, in quelle situazioni raccontate, il proseguimento di un naturale percorso naturale. La mia
famiglia ha vissuto la guerra, correndo due volte al giorno al rifugio: la mamma, il babbo, le mie due sorelle e i
miei due fratelli. Una bella famiglia piena di gioia e di speranze che nell'agosto del '43 perse una delle due
bambine proprio in un rifugio centrato da una bomba alleata. Tutto finì in quel giorno e dopo sono rimasti i
ricordi e le struggenti parole di mia madre che piangeva tutte le volte, e poi nel '46 sono nato io che, nel cuore,
lungo tutta la mia vita ho annotato le immagini che quelle parole mi davano: la fuga dal pranzo a casa, il
cocomero spaccato a metà nel centro della tavola che aspettava solo di essere divorato da quattro bambini
urlanti, l'arrivo al rifugio, il consiglio di alcuni che avevano indotto mio padre a preferire di andare nel profondo
del ricovero che era stretto e lungo, e la fine tra le macerie... In Finale di partita di Beckett, il personaggio dopo
aver raccontato del mondo andato in malora, di Dio e dei sopravvissuti dice: “sono pronto”. Credo di poter
provare a raccontare questo spettacolo. Giancarlo Sepe
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