Stagione del Teatro Contemporaneo 2009/2010 organizzata da Akròama PROGRAMMA 5 e 6 novembre ore 21 Lucido Sottile "Luce Buia - Cyber porn" di Michela Sale Musio e Tiziana Troja Il cast Interpreti Tiziana Troja, Michela Sale Musio e con la partecipazione straordinaria di Francesca Palmas nel ruolo di se' stessa,Musiche originali di Davide Sardo, Manuel Carreras e Sikitikis, Trucco ed effetti latex Giuseppe Cannas, Costumi Filippo Grandulli e Salvatore Aresu, Scenografie Daniele Coppi, Motion Graphics Jeremy Stewart, Foto di scena Michelangelo Sardo ,Responsabile di produzione Rossella Serri, Assistente alla regia Adriana Cavargna, Ideazione, Regia e Coreografia Tiziana Troja Michela Sale Musio. Un viaggio tra corpo e tecnologia. Questo spettacolo vuol essere un intrigante viaggio sulla relazione esistente tra corpo e tecnologia. La tecnologia, come l’arte, è inevitabilmente un riflesso della società che la produce. Non si tratta pertanto di un fenomeno neutrale, e nemmeno incontrollabile, ne di una forza autonoma a se stante, come sono soliti rappresentarla alcuni tecnofili. La tecnologia viene prodotta e si sviluppa secondo modelli sociali ed è riflesso di un sistema economico che regge equilibri di vita e interagisce in maniera dinamica con le popolazioni. Ben lontana dai nostri desideri è la volontà di stigmatizzare la tecnologia come sintomo di una società decadente e malata, al contrario intendiamo approfondire il curioso rapporto che si è creato tra la fisicità umana e l’apparato tecnologico, e di come questo rapporto sempre più sia presente nella vita, nella quotidianità, nella sessualità degli esseri umani. Quelle che ci interessano dunque, sono le tecnologie cosiddette cyborg, ovvero quell’ampia gamma di tecnologie bioniche (inserimento di dispositivi e strumenti di controllo meccanici ed elettronici nel corpo) destinate a riparare, accrescere e migliorare il nostro fisico. L’uso e l’abuso delle tecnologie ha trasformato la nostra specie, ha sviluppato in noi nuove attitudini, che ci hanno permesso di avere condizioni di vita e di lavoro straordinarie, modificando la “programmazione” del nostro cervello, con quelle dinamiche di assimilazione e accomodamento che ben conosciamo, creando nuove strutture comportamentali che si sono sviluppate e tramandate con la memoria dei geni. Tutto questo è accaduto secondo un disegno evolutivo che non è difficile da individuare se si guarda la storia sociale e tecnologica dell’uomo, che ha reso inevitabile la transizione da una società umana a una “postumana” e i processi che stanno trasformando l'uomo in un essere strutturato dalla tecnologia. Fulcro centrale dello spettacolo sarà dunque la relazione tra carne, anima e computer. Tematica, negli anni sviluppata, trascesa, elaborata ed ampiamente digerita, soprattutto dalle società che più fanno uso della tecnologia (vedi le cybergirl giapponesi, erotici e inquietanti sextoys biomeccanici). Claudia Springer ha scritto: «La tecnologia non è sessuata; al contrario, le rappresentazioni della tecnologia spesso lo sono». Per la tecnologia, cosi come per una certa spiritualità tipicamente legata all’occidente cattolico, passa la rinuncia ai “piaceri della carne”. Così come il santo, per raggiungere l’intelligenza divina, abbandona il mondo delle sensazioni fisiche (sottomettendosi ad una varietà di castighi paradossali) e nella tortura e nell’umiliazione scopre un nuovo modo di intendere il piacere, così il cybernauta che si abbandona all’asettico sfolgorio dei monitor, trascende il piacere della carnalità e ascende in un opposto illusorio, dove la sessualità si rivela in una nuova gamma di feticci cyborg su quali proiettare le proprie brame erotiche insoddisfatte. La messa in scena. Uno dei punti imprescindibili della poetica della compagnia è la volontà precisa di coinvolgere un pubblico che nel tempo è inevitabilmente cambiato; abbiamo a che fare, da sempre, con un pubblico molto eterogeneo, un pubblico che si confronta quotidianamente con una vita accelerata. Pensiamo che oggi, la scelta del teatro sia dettata molto dalla volontà di vivere un coinvolgimento sensoriale, che invece si perde con i media, gli stessi media che fanno parte della vita quotidiana e che filtrano immagini ed emozioni attraverso uno schermo. Riteniamo dunque che lo spettatore odierno, che si avvicina al teatro, scelga di avvicinarsi alla fisicità dell’emozione ed abbia bisogno di una storia non filtrata, è per questo che la maggior parte dei nostri spettacoli cercano il più possibile di rendere parte attiva ed integrante, lo spettatore stesso. Le collaborazioni. Lo spettacolo si avvale di preziose collaborazioni, la prima è quella con l’affermato Regista Graphic desiner australiano Jeremy Stewart, che ha realizzato l’allestimento scenografico ed illuminotecnico, con la regia, il montaggio e l’editing dei video, che verranno utilizzati come scenografia e luci per tutto lo spettacolo. Sarà parte dello spettacolo una vera e propria installazione di video che verranno proiettati su tutto lo spazio, così che l’uso del video, non diventi quella meccanica sterile di proiezione su uno schermo, che ben conosciamo, ma siano fasci di luce avvolgenti proiettati in ogni angolo, che non confondano lo spettatore, destando l’attenzione solo sullo schermo, ma lo coinvolgano e lo “avvolgano” come un tessuto impalpabile, una pioggia leggera, come una realtà virtuale che si muove su tutto lo spazio. Prosegue lo spettacolo, sulle elaborazioni musicali di Davide Sardo, collaboratore prezioso, che da anni ha sposato la poetica spregiudicata della compagnia, sul palco una bellissima cyborg che ha perso i tratti sensuali e femminili, ma ciò nonostante, si esibisce in una performance ai limiti, in cui carne e cibernetica si fondono e danno sfogo ad un virtuoso e sensuale pezzo acrobatico. Le preziose installazioni in lattice realizzate da Giuseppe Cannas, a metà tra trucco, costume e scenografie, insieme ai complessi calzari faranno di questa performance un insolito momento borderline in cui l’esibizione virtuosa sarà in grado di offrire un vero momento di trasporto, coinvolgendo ed emozionando. Lo spettacolo si chiude destando l’attenzione degli spettatori sul complesso rapporto tra tecnologia e fisicità, ed invitando alla semplice riflessione spoglia da qualsiasi giudizio o pregiudizio. Musiche, costumi e light design. La musica realizzata ed elaborata da Davide Sardo sarà il filo conduttore di tutto lo spettacolo, una musica d’avanguardia che non disdegna l’elettronica e certe sonorità della commedia sexy italiana (si veda Piero Umiliani). Con un mix di sapori travolgente, la musica terrà le fila dell’azione performativa, sia essa la pioggia di video che l’attività dentro e fuori dal palco. Per i costumi e potremmo dire, anche per parte dell’allestimento scenico (il costume sarà anche scenografia) abbiamo chiesto la collaborazione ad un vero professionista del lattice e degli effetti speciali, Giuseppe Cannas, sbarcato nella sua terra d’origine dopo 15 anni di intenso lavoro all’estero, con le più grandi case di produzione cinematografica, vanta un curriculum che rispecchia perfettamente la reale professionalità e passione per il suo lavoro. I costumi saranno quasi dei nudi arricchiti da protesi cibernetiche e dalle incredibili calzature realizzate da Filippo Granddulli, che renderanno la fisicità dei performer e dei danzatori, intrigante, asettica e sensuale. 26 e 27 novembre ore 21 Teatri di Vita "Non io" di Samuel Beckett regia Andrea Adriatico Il cast. Con Francesca Mazza. Aiuto regia Daniela Cotti. Costumi Isabella Sensini. Scene Andrea Cinelli con la collaborazione di Giovanni Marocco. Fotografia Raffaella Cavalieri. Tecnica Giovanni Marocco. Produzione esecutiva Saverio Peschechera con Maria Concetta Mercuri e Monica Vicoli. Lo spettacolo. In Non io, la protagonista è semplicemente una Bocca illuminata da un riflettore. L'inazione è portata alle estreme conseguenza, gli unici movimenti, quattro durante tutto l'arco del monologo, sono affidati a un Auditore, di sesso indefinito che ascolta le parole della Bocca. La storia. Scritto da Beckett nel 1972, Non io è il monologo convulso di una donna che vive ai margini della società e rievoca in maniera sconnessa la propria squallida storia parlando di sé in terza persona. Beckett prevede che a interpretare il testo sia una Bocca, unico dettaglio visibile della donna, del cui delirio è testimone un misterioso Auditore. Adriatico ne compie una rilettura personale, nella fedeltà del testo, aprendo l'interpretazione a nuove prospettive, coadiuvato dall'intensa prova attorale di Francesca Mazza. Beckett come non si è mai visto prima. A riproporre un classico del teatro contemporaneo in una prospettiva completamente orginale e diversa dal solito è Andrea Adriatico, in tre diversi spettacoli e in compagnia di tre primedonne protagoniste delle singole pièces: Angela Baraldi in "Dondolo", Francesca Mazza in "Non io", Eva Robin's con Gianluca Enria in "Giorni felici". I tre testi scelti da Adriatico per questo trittico beckettiano mettono in luce personaggi femminili sospesi tra la memoria e lo stallo. Ma il regista ricompone questi classici della scrittura "dell'assurdo" in maniera nuova, collocandoli in suggestive ambientazioni e dando loro un senso nuovo, nascosto nel testo ma finora mai esplorato. In Non io la protagonista, interpretata da Francesca Mazza, ricostruisce a fatica il suo passato in un puzzle di parole, raccontandosi in terza persona e cercando di ricostruire la propria identità perduta di "bocca" parlante con un corpo da ritrovare. Il regista e la protagonista. Andrea Adriatico è tra i registi teatrali più singolari della generazione degli anni 90. Nato all'Aquila nel 1966, nel 1989 crea il suo primo lavoro come autore e regista: le ceneri di beckett. Due anni più tardi diventa regista residente di Santarcangelo dei Teatri. Contestualmente nel 1991 dà vita alla compagnia :riflessi e nella stagione 1992/93 fonda un nuovo teatro a Bologna: Teatri di Vita-Centro Internazionale per le Arti della Scena. Come regista teatrale ha realizzato spettacoli affrontando autori come Koltès, Pasolini, Mishima, Cocteau, Copi, e ha presentato i propri lavori in Italia e all'estero. Nel 2007 dirige a Venezia Le serve di Goldoni, produzione dalla Biennale Teatro. Andrea Adriatico è anche regista cinematografico. Il suo primo film Il vento, di sera (2004) ha debuttato al Festival Internazionale del Cinema di Berlino, il suo secondo film All'amore assente (2007) è invece stato presentato al London Film Festival e ha vinto il Premio della Giuria al festival di Annecy. Francesca Mazza. Attrice protagonista del teatro contemporaneo italiano, ha lavorato a lungo con Leo de Berardinis con il quale ha fondato il Teatro di Leo negli anni 80, partecipando a numerosi spettacoli, fra cui Totò Principe di Danimarca e Il ritorno di Scaramouche. Ha lavorato, tra gli altri, con Alfonso Santagata, Raul Ruiz, Fernando Solanas, Jacques Lassalle, Julie Ann Anzilotti e Fanny & Alexander. Con la direzione di Andrea Adriatico ha interpretato Madame de Sade, Le quattro gemelle, Donne. Guerra. Commedia, Il ritorno al deserto e il film Il vento, di sera. Nel 2005 ha vinto il Premio Ubu come migliore attrice non protagonista. La critica. Massimo Marino: “È un Beckett luminoso, quello di Andrea Adriatico.. In Non io si dovrebbe percepire solo una Bocca che sputa frasi a velocità impressionate (l'autore fece stringere i tempi da 20 a 12 minuti nell'edizione inglese). E invece il regista chiude Francesca Mazza in una prigione trasparente, su un verde prato. All'inizio è intabarrata in una specie di burqa che lascia vedere unicamente i piedi e la bocca. Sarà liberata più avanti, ma non dal peso delle parole, che scorrono per 40 minuti, sottolineate e dilatate con lunghe pause, in una scansione quasi sofferta, immedesimata e distante, a rievocare anni di mutismo, di vita non vissuta o guardata dall'esterno e l'improvviso bagliore di una pentecoste della solitudine”. Renato Palazzi: “Alla ricerca di un presunto abbandono sensuale, Adriatico punta su una recitazione sottotono, sussurrata, esageratamente introspettiva: trasformando dunque Non io in una discesa nella psiche….., fa il contrario di quanto l'autore ha inteso scrivere, riduce a storie personali, private, laddove le figure beckettiane si affannano in genere a parlare "in nome dell'umanità". 3 e 4 dicembre ore 21 Katzenmacher "Anime nere" regia Alfonso Santagata Compagnia Katzenmacher. Animenere, commedia black-noir. Elaborazione e regia di Alfonso Santagata. Liberamente tratto da “Di questa vita menzognera” di Giuseppe Montesanto. Il cast. Alfonso Santagata, Antonio Alveario, Donatella Furino, Rossana Gay, Johnny Lodi, Daria Panettieri, Massimiliano Poli. Assistente alla regia Barbara Weigel. Direzione tecnica Tommaso Checcucci. Tecnico di palcoscenico Francesco Margarolo. Amministrazione Rita Campinotti. Organizzazione Franco Coda. Lo spettacolo. Le Anime Nere si possono incontrare, ma subito spariscono. Sono come delle apparizioni, insicure, si nascondono, fino al giorno del loro”debutto” che può essere in un ufficio, in televisione,in un grande palazzo di governo, in un basso napoletano. Riempiono, svuotano, distruggono, si moltiplicano… Dopo il “debutto” le Anime Nere non si nascondono più, sono tante, non c’è più quella insicurezza prima del debutto, adesso sono sicuri e forti. Sono la maggioranza, prendono sempre la strada giusta e cavalcano il cavallo giusto al momento giusto; sanno cantare, sanno ballare, sanno recitare, se la situazione lo richiede si spogliano, non conoscono il sentimento della vergogna. Ormai sicuri di sé non si nascondono più; anzi si mostrano, come il nuovo modello di vita da imitare. Ti fanno sognare, ti fanno sperare, hanno idee chiare, ti fanno viaggiare… La famiglia Belmondo é capostipite delle Anime Nere; è diventata in pochissimo tempo una potenza economica e politica; avanguardia da emulare. Il loro successo ha creato uno stile di vita disinvolto e agguerrito, non amano le regole in generale, ma solo le proprie, non conoscono ostacoli, non hanno nemici, predicano amore e convivenza a tutti, inneggiano a un futuro strabiliante di benessere per tutti. In poco tempo, ma con tanto lavoro, occupano i posti importanti del potere e quotidianamente senti le loro massime: Le frasi. “Noi chiediamo poco, solo la vostra fiducia e questo paese risorgerà dalle ceneri, realizzando i vostri sogni che sono anche i nostri, trasformeremo questo paese in un paradiso”. “L’era della felicità è arrivata e c’è posto per tutti pure per gli oppositori, noi siamo per la libertà, il benessere, la prosperità”. “…Ormai la politica è finita, la storia è finalmente tramontata…abbiamo detto addio alla violenza…non dovete temere più nulla, perché è cominciato il millennio felice dell’individuo” Il regista. Una famiglia di Anime Nere che ormai fa spettacolo, vive in proscenio, illuminata da quarzine rosse, gialle e livide; si spostano solo per origliare e spiare; appena possono tornano alle quarzine colorate da proscenio. Per Animenere, così come nel caso di altri miei spettacoli, ho lavorato per tappe di avvicinamento alla struttura finale del lavoro; tre tappe con Armonia-Costa degli Etruschi, Teatro Metastasio di Prato e Puntacorsara con Fondazione Campania dei Festival. Alfonso Santagata giovedì 17 e venerdì 18 dicembre 17 e 18 dicembre ore 21 Teatro Libero "Manhattan Medea" di Dea Loher regia Beno Mazzone Il cast. Interpreti: Cast in definizione. Costumi Lia Chiappara. Musiche Antonio Guida. Produzione Teatro Libero Palermo onlus, Teatro Stabile d’Innovazione della Sicilia. Scena, traduzione e regia Beno Mazzone. Una Medea di oggi e di ieri. Il mito di Medea esiste da sempre. Moltissimi autori di ogni paese e lingua hanno riscritto la propria Medea e moltissime compagnie hanno scritto sulla scena la propria Medea con attori e attrici che hanno fatto rivivere il mito per una riflessione hic et nunc. Ed il teatro deve avere questa capacità e funzione, se lo si vuole considerare tale. Dea Loher. Da pochi anni, Dea Loher ha scritto la sua Medea e l’ha ambientata in quello che è il simbolo della cultura e della società occidentale, una Manhattan del xx secolo, senza precisarne esattamente gli anni. Lì ritroviamo una coppia di clandestini provenienti dai Balcani, che si chiamano Medea e Jason, un nome che nel suono stesso della pronuncia diventa americano, il giorno prima delle nuove nozze fra quest’ultimo e Claire, la giovane figlia di un altro rifugiato, ormai ben radicato da molto tempo, che ha fatto fortuna e tanto denaro: Sweatshop-boss (che si potrebbe tradurre:il Signor Sanguisuga). Si trattano gli affari di cuore come se fossero solo affari commerciali e si fanno delle ipotesi di convenienza per ciascuno degli interessati tranne che per Medea che dovrebbe accettare condizioni imposte e soprattutto perdere il proprio amato ed il proprio bambino. Gli elementi della storia ci sono tutti: la fuga degli amanti, la morte del fratello, e la vendetta crudele di Medea. Ma tutto si svolge davanti la ricca casa della 5° Strada, sul marciapiede dove Medea attende Giasone ed il suo bambino per ricostituire la sua famiglia. La conclusione della storia la si può immaginare secondo la memoria che si ha del mito. Ma Dea Loher, giovane autrice tedesca, riserva una conclusione che è giusto non svelare in questa breve presentazione. Beno Mazzone Dea Loher. Nasce a Traunstein (Germania) nel 1964. Suo padre è una guardia forestale. Studia germanistica e filosofia presso l’Università degli Studi di Monaco di Baviera. Dopo la laurea, conseguita nel 1988, Dea Loher trascorre un anno in Brasile. Nel 1990 si iscrive all’Università delle Arti di Berlino, frequentando il corso di laurea in scrittura scenica con i professori Heiner Müller e Yaak Karsunke. Un anno dopo, la sua prima pièce Olgas Raum (trad. lett. La stanza di Olga) viene già rappresentata in prima assoluta sul palcoscenico dell’Ernst Deutsch Theater di Amburgo. Attualmente Dea Loher vive e lavora a Berlino. 28 e 29 gennaio ore 21 Nani "Toni Ligabue" di Cesare Zavattini con Vito per la regia di Silvio Pieroni Il cast. Scenografia Giuseppe Laronga – Wolf; costumi Rosanna Pellicciari. Musica a cura di Andrea Marcolini; organizzazione Giulia Ogrizek. Un ringraziamento particolare all’ Archivio Zavattini e alla biblioteca Villa Mercede Roma Lo spettacolo. Sono davvero poche le figure di artisti e intellettuali italiani che abbiano saputo travolgere con la loro lucida utopia ogni convenzione, correndo incontro a un'ossessione e a una speranza. Se di Pasolini, con mille equivoci e tentativi di strumentalizzazione, si conosce (quasi) tutto, di Cesare Zavattini si sa davvero poco o niente. Anzi, meno di niente. Neutralizzato con l'etichetta di "umorista", o tutt'al più di sceneggiatore neorealista di De Sica, Zavattini è stato ricondotto dentro quella camicia di forza che lui stesso aveva indossato nell'indimenticabile e intensa interpretazione del film La veritàaaa. Nel racconto in versi scritto per il famoso libro dell’editore Ricci (1967), Cesare Zavattini confessa intrepidamente il disagio che gli procurò la figura di Antonio Ligabue le poche volte che ebbe occasione d’incontrano. Sempre respinto ai margini della società, zingaro ed eretico per eccellenza, il pittore di Gualtieri fu riscoperto dopo la sua morte come la più forte voce poetica della Padania, come una specie di sciamano e perfino come produttore di ricchezza attraverso quadri spesso ceduti per un piatto di minestra. Nasce così uno spettacolo che sa miscelare sapientemente forme e stili esteticamente diversi, soprattutto grazie ad una ricerca linguistica. Per un’opera in cui la parola è così centralmente rilevante,dunque, si impone una messinscena minimalista. Uno spettacolo leggero nel senso calviniano del termine ma pieno di emozioni, musica e parole quelle di Zavattini che porteranno a rivivere attraverso l'universo teatrale il sorprendente genio pittorico di Ligabue . Antonio Ligabue. (1899), fin dalla più tenera età Ligabue ha avuto un’esistenza difficile. Figlio naturale di un’italiana emigrata, ha sempre ignorato il nome del padre. Nel 1900 viene affidato ad una coppia di svizzeri tedeschi; non verrà legittimata la sua adozione, ma il bambino si legherà moltissimo alla matrigna, con un insolito rapporto di amore e odio. Nel 1913, dopo aver superato solo la terza elementare, entra in un collegio per ragazzi handicappati, dove si distingue subito per l’abilità nel disegno e la cattiva condotta. Nel 1917 è curato per qualche mese in una clinica psichiatrica e qualche anno dopo è espulso dalla Svizzera su denuncia della madre adottiva e ritorna in Italia dove vive come vagabondo, continuando però a disegnare e a creare piccole sculture con l’argilla. Viene poi scoperto (1927-28) ed aiutato da Mazzacurati, pittore e scultore. Nel 1937 viene internato in un manicomio in "stato depressivo", da cui esce per l’interessamento dello scultore Mozzali. Durante la guerra fa da interprete alle truppe tedesche ma, per aver percosso con una bottiglia un soldato tedesco, nel '45 viene nuovamente internato. Nel '48 viene dimesso; i critici e i galleristi cominciano ad occuparsi di lui. Iniziano anni durante i quali lentamente la fortuna sembra volgere a suo favore. La sua fama si allarga, la sua attività pittorica subisce un netto miglioramento. Vince premi, vende quadri, trova amici che lo ospitano, si girano film e documentari su di lui. Ligabue rimane però lo stesso, anche se viene identificando nelle automobili, dopo la passione per le motociclette, il segno di un raggiunto prestigio sociale, con forme maniacali (vorrà un autista, che si tolga il cappello, aprendogli la portiera della macchina per salire). Nel 1962 viene colpito da paresi, continua comunque a dipingere, ma nel 1965 muore. Cesare Zavattini. (Luzzara, 1920) Scopre la sua vocazione letteraria, comincia a collaborare a numerose riviste, inizia una produzione di opere narrative di grande valore e di particolare significato nel panorama culturale e artistico italiano. Nel 1930 si trasferisce a Milano e dirige per Rizzoli tutti i periodici dell’editore. Nel 1939 conosce Vittorio De Sica è l’inizio di un’amicizia che li vedrà in tutti gli anni ’50 protagonisti della stagione d’oro del neorealismo, con Sciuscià, Ladri di biciclette, Miracolo a Milano, Umberto D. Zavattini lavora anche con altri grandi registi del cinema italiano e internazionale (Michelangelo Antonioni, Federico Fellini, Pietro Germi, Luchino Visconti). Di particolare rilevanza nella sua vita anche la lunga presenza a Cuba, da dove lo chiamano per collaborare alla nascita del nuovo cinema dopo la rivoluzione. Tra l’80 e l’82 Zavattini scrive, dirige e interpreta il film La veritàaaa, la sua prima e unica regia. A quest’opera affida il messaggio morale e poetico di tutta una vita. Zavattini è morto a Roma il 13 ottobre 1989, ed è sepolto a Luzzara. Stefano Bicocchi in arte Vito. Si forma alla scuola di Teatro Bologna di Alessandra Galante Garrone; i suoi compagni sono Patrizio Roversi e Siusy Blady; con loro ed i Gemelli Ruggeri parteciperà, col personaggio Vito che era tutta mimica e senza parola, alla formazione del Gran Pavese varietà, spettacolo cult degli anni ottanta che si teneva al circolo pavese di via del Pratello di Bologna. Stesso gruppo che approda in televisione dove segna la strada ai varietà comici degli anni ottanta con Gran Paese varietà voluto da Gianni Minoli e soprattutto Lupo solitario, Matrioska e Araba fenice con Antonio Ricci e Mediaset che hanno segnato il percorso della comicità televisiva degli anni a venire. Vito da personaggio muto passa negli anni novanta con uno spettacolo fortunato dal titolo Se perdo te alla parola; lo spettacolo di recente riproposto nei teatri italiani, segna il percorso legato alla poetica della bassa con personaggi ispirati alla lunarietà di quelli descritti da Guareschi, Zavattini e Fellini; gli spettacoli, sempre in coppia con Francesco Freirye e Daniele Sala come autori, sono Don Chisciotte o la vera storia di Guerino e suo cugino con Enzo Iacchetti e salone Meraviglia con Antonio Albanese e Tita Ruggeri. Attraversa il cinema proprio partendo da Fellini con La voce della luna e poi inizia un sodalizio con Alessandro Benvenuti col quale gira diversi film tra i quali Ivo il Tardivo per il quale viene candidato come miglior attore non protagonista al Ciak d’Oro. Entra anche nella poetica di Luciano Ligabue con un cameo in Radio freccia. Poi è coprotagonista nel film di Claudio Bisio Asini . La poetica della bassa continua con lavori di grande impegno e notevole successo quali Bertoldo primo testo rappresentato a teatro da Giulio Cesare Croce e Don Camillo da Guareschi con Ivano Marescotti che lo hanno portato nei maggiori teatri d’Italia con grande successo di pubblico e critica. Di recente è tornato alla tv con un personaggio che gli appartiene in Bulldozer su Rai Due con Enrico Bertolino e Federica Panicucci e ha dato vita ad un progetto con Raisat Gambero Rosso Channel alla passione da sempre della cucina con Invito a cena; è impegnato sempre in teatro nel grande progetto di rappresentare Miracolo a Milano da Zavattini insieme a Lorenzo Salveti già regista di Don Camillo che portò in scena nella stagione teatrale del 2005. Silvio Pieroni. Regia degli spettacoli “Perché… il fuoco non muore” di Francesco Niccolini con Daniela Poggi; “Prometeo male incatenato” di A. Gide; “Amore e Psiche” da Apuleio con Terry Paternoster; “Lo Stato D’Assedio” di A. Camus; “Ubu Cornuto” di A. Jarry; “Pagliacci” di Ruggero Leoncavallo; “Calapranzi” di Harold Pinter; “Bash” di Neil La Bute; direttore Artistico con Stefano De Sando del festival Capalbio Poesia; messa in scena delle letture poetiche “Ti invito al Viaggio” e dell’ “Antologia di Spoon River” di E. L. Masters con la partecipazione di: Massimo Dapporto Daniela Poggi Franco Castellano Stefano De Sando; “Dante” con la partecipazione di Arnoldo Foà Giuseppe Pambieri Marina Tagliaferri Stefano De Sando; “Le piccole cose di pessimo gusto” con la partecipazione di Alessandra Gassman , Valeria Valeri , Marina Tagliaferri , Stefano De Sando; “Partitura musicale per banda futurista” con la partecipazione di Antonello Fassari , Massimo Venturiello , Francesco Pannofino , Stefano De Sando. 11 e 12 febbraio ore 21 Akròama "La creatura" -quando noi morti ci destiamo di Lelio Lecis da Henrik Ibsen Il cast. Interpreti: Lea Karen Gramsdorff, Simeone Latini, Rosalba Piras, Tiziano Polese. Costumi: Marco Nateri. Direzione tecnica: Lele Dentoni. Assistente alla regia Vanessa Podda. Responsabile di produzione e direzione generale: Stefanie Tost. Spazio scenico, luci e regia: Lelio Lecis Lo spettacolo. Quando noi morti ci destiamo è stato pubblicato nel 1899 e rappresentato a Stoccarda il 26 gennaio 1900. E’ l’ultima opera del drammaturgo ed è l’estrema meditazione su se stesso e sulla propria arte, attraverso il personaggio di un famoso scultore ormai anziano che scopre di aver sacrificato l’amore all’arte e l’arte stessa al successo in una catena di atti d’assoluto egoismo. Lo scultore è diventato famoso in tutto il mondo principalmente per una sua scultura sulla resurrezione. La scultura rappresenta una giovane donna che si libra verso il cielo da un piedistallo che sembra la terra popolata da esseri umani simili a bestie. Proprio il piedistallo sarà il motivo del suo successo. Il piedistallo quindi e non la sua opera immortale. Il rapporto strano tra lo scultore e la modella porta quest’ultima ad una sorta di follia che la farà scappare in giro per il mondo dove avventure pericolose la porteranno alla morte. Tornerà da morta per trascinare con sé lo scultore che aveva tradito il suo spirito dando più importanza al piedistallo e non alla sua figura. 25 e 26 febbraio ore 21 Teatro dell'Istante "Chi ha ucciso Oscar Wilde?" un delitto senza importanza con Alessandro Fullin, Anna Meacci, Filippo Pagotto di Alessandro Fullin Il cast. Con Alessandro Fullin, Anna Meacci e Filippo Fagotto. Costumi di Agostino Torchietto. Creazione copricapi di Lucio Antonucci. Elementi scenograficidi Michele Siconolfi. Musiche originali di Enrico Messina. Produzione Stefano Mascagni/Roberto Piana. Regia Roberto Piana. Com’è noto Oscar Wilde, il celebre scrittore irlandese che scandalizzò con le sue commedie la società vittoriana, morì di malattia a Parigi nel 1900 in una stanzetta d’albergo quasi sordida, circondato da pochi amici e probabilmente da molti debiti. Lo spettacolo. Il testo della commedia di Alessandro Fullin parte da qui ma contraddice subito la verità storica immaginando che Wilde venga invece assassinato durante un party in cui sono stati invitati i più famosi personaggi delle sue commedie. Ipotesi pirandelliana dunque che pone da subito la domanda: chi ha ucciso Oscar Wilde? E perché? Siamo in Scozia, nella residenza di Lady Windermere e la vicenda si colora subito di giallo e quindi molti bassotti, capellini Principe di Galles, lenti d’ingrandimento, la solita armatura, due fantasmi, otto donne e un indizio. A condurre le indagini la non certo acuta Lady Bracknell che naturalmente interroga tutti i convenuti, una poco raccomandabile combriccola di presunti assassini: la romantica americana, la madre pragmatica, il canonico un pò gay, la governante assai ninfomane, il dandy sculettante, il tutto naturalmente condito dai migliori aforismi di Wilde. Gli interpreti. A dare vita al tutto l’indiscusso talento comico di due artisti di rango quali Anna Meacci e Fullin stesso che, coadiuvati da Filippo Pagotto e sempre sorretti da un testo raffinato ma accattivante ed un travolgente ritmo registico, cambiano – velocissimi - abito ed umore, svolgendo tra mille colpi di scena le sorprendenti indagini. Finale a sorpresa, con nuove citazioni e un altro morto illustre. 18 e 19 marzo ore 21 Deutsches National Theater Weimar "Gefahrliche menschen" di Jorg-Michael Koerbl regia di Claudia Meyer L’autore. “In questo mondo disgustoso Georg vorrebbe scrivere poesie…. I genitori e una coppia di loro amici, ossessionati dal sesso e carichi dei problemi tipici da borghesi lo disgustano. Specialmente un editore ubriacone, clamorosamente fallito. Ma se tutto questo potrebbe essere anche vagamente sopportabile – non lo è il loro disprezzo verso la sua amata Antonia. Lei o Georg o entrambi hanno l’idea di punire queste persone profondamente.” Joerg-Michael Koerbl Lo spettacolo. L’autore di bestseller Bernhard, alle prese amorose con una attrice nella sua casa per il weekend, immerso tra boschi e laghi, viene colto in flagrante dalla moglie, dal suo amante, da suo figlio con nuova fidanzata e da un vecchio amico, influente critico. Dopo un momento di comprensibile imbarazzo si cerca una soluzione, ma a causa del troppo alcol si viene a creare una situazione ancora più esplosiva. Il figlio di Bernhard, Georg, che riesce a sopravvivere a questa situazione corazzato solo dalle sue poesie, e Antonia, la sua fidanzata, osservano questo fornicare da lontano. Ma non riescono ad tenersi fuori da questa spirale di ignoranza, offese reciproche, smascheramento di bugie incrostate da anni… Joerg Michael Koerbl, oltre che autore ha lavorato anche come attore (tra altri al “Deutsches theater” e alla “Volksbuehne”, entrambi a Berlino), come drammaturgo e faceva parte del giro di Heiner Mueller, oltre a numerosi testi teatrali ha scritto anche testi per spettacoli radiofonici e lavora inoltre come traduttore. Dopo anni di permanenza in Martinique attualmente vive e lavora a Berlino. “Gefaehrliche menschen” (esseri umani pericolosi) è datato 1984. il linguaggio è, nonostante l’empatia per ogni personaggio, sobrio e crea immagini che vanno ben oltre i temi trattati.