Isabella De Rossi
Gaia Marziali
a.s. 2003/2004
Marziali Gaia, Isabella De Rossi
INDICE
PREFAZIONE………………………………………………………………………. Pag. 3
INTRODUZIONE: L’ARCHEOLOGIA DEL CINEMA…..………………...……. Pag. 4
CAPITOLO I: IL TEATRO DELLE OMBRE……………………………...……... Pag. 5
• Le origini…………………..……………………………...…………….. Pag. 5
• Le ombre con le mani……………………………………………….... Pag. 12
CAPITOLO II: LA CAMERA OSCURA………………………………………….. Pag. 13
• L’occhio.……………………………………………………..…………. Pag. 14
• L’anamorfosi………………………………………………..………….. Pag. 15
CAPITOLO III: LE SCATOLE OTTICHE………………………………………… Pag. 16
CAPITOLO IV: IL MONDO IMMAGINATO...................................................... Pag. 19
CAPITOLO V: LE IMMAGINI ANIMATE………………………………………… Pag. 25
CAPITOLO VI: LA NASCITA DELLA FOTOGRAFIA..................................... Pag. 31
CONCLUSIONE............................................................................................... Pag. 35
BIBLIOGRAFIA…………………………………………………………………….. Pag. 36
GLOSSARIO……………………………………………………………...………… Pag. 37
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PREFAZIONE
Abbiamo scelto il cinema per la nostra ricerca di storia perché è un argomento che, pur
essendo attuale, ha origini molto antiche; la sua storia non si trova nei libri scolastici ed è
per questo motivo che abbiamo deciso di trattarla.
Ci sembrava anche interessante capire cosa ha portato alla sua nascita, come si è
arrivati alla prima pellicola e, da quella, agli effetti speciali di oggi.
Per prima cosa abbiamo cercato il materiale in Internet, in libri e riviste, integrandolo
con informazioni ricavate da alcune videocassette.
Una volta visionata la documentazione, abbiamo stilato la scaletta dei punti da trattare,
seguendo passo per passo le tappe che hanno portato alla nascita del cinema.
Abbiamo letto e selezionato i testi per ciascun argomento, e li abbiamo integrati l’un l’altro;
in ogni capitolo abbiamo inserito delle illustrazioni per fornire anche altri modi di “leggere”
ciò che stavamo scrivendo.
Abbiamo aggiunto, in chiusura, un glossario che racchiude i termini chiave, la loro
derivazione e spiegazione.
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INTRODUZIONE ALL’ARCHEOLOGIA DEL CINEMA
L’archeologia del cinema ha inizio con il teatro delle ombre che ha origini
preistoriche; le prime rappresentazioni avvengono in Cina circa 2000 anni fa. Si diffonde
in Europa a metà del Settecento e soprattutto in Francia, grazie agli spettacoli di
François Dominique Séraphin.
Nel IV secolo a.C. si ha il primo riferimento storico alla camera oscura, che risale ad
Aristotele ma che, solo a partire dal Quattrocento, avrà ampio sviluppo. Si affermeranno
poi, a partire dal 1600, le anamorfosi.
Nel 1787 viene brevettato da Robert Barker il panorama; contemporaneamente si
diffonde la scatola ottica ed un suo particolare modello: il Mondo Niovo.
Alla fine del Seicento vengono inventate le prime lanterne magiche che si
diffonderanno soprattutto nell’Ottocento. Una loro variante è il fantascopio, utilizzato
per ricreare gli effetti della fantasmagoria e brevettato da Robertson nel 1799.
Nei primi decenni dell’Ottocento nascono una serie di dispositivi che consentono di
riprodurre brevi scene animate: il taumatropio realizzato nel 1826 da John Ayrton
Paris, il fenachistiscopio e lo stroboscopio brevettati nel 1833 contemporaneamente
da Joseph Plateau e Simon Ritter von Stampfer, lo zootropio messo a punto nel 1834
da William J. Corner, il prassinoscopio (1877), il prassinoscopio-teatro (1878) e il
teatro ottico (1892) di Emile Reynaud. Quest’ultimo, a partire dal 1892, organizza
spettacoli con disegni animati chiamati le pantomime luminose.
Nei primi decenni dell’Ottocento si riescono a fissare, in maniera definitiva, le
immagini osservate in una camera oscura: nasce la fotografia.
I procedimenti di riproduzione fotografica sono: l’eliografia, messa a punto dal
francese Nicéphore Niépce nel 1816; la dagherrotipia, inventata nel 1839 da Jacques
Mandé Daguerre, sulla base degli esperimenti di Niépce; la calotipia-talbotipia da
attribuire all’inglese William Henry Fox Talbot, cui si deve anche la scoperta del
negativo.
Alla fine dell’Ottocento vengono messi a punto apparecchi destinati a riprodurre il
movimento. Nel 1878 Eadweard Muybridge inventa lo zooprassiscopio.
Successivamente Etienne-Jules Marey brevetta il cronofotografo ed in seguito è il suo
assistente, Georges Demenÿ, ad ideare, nel 1891, il fonoscopio.
Nel 1832 Charles Wheatstone inventa lo stereoscopio e più tardi Thomas Alva
Edison mette a punto il fonografo ottico.
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CAPITOLO I
Il teatro delle ombre
“Si immaginino degli uomini chiusi fin da bambini in una grande dimora sotterranea,
incatenati in modo tale da permettere loro di guardare solo davanti a sé. Dietro di loro
brilla, alta e lontana, la luce di un fuoco, e tra il fuoco e i prigionieri corre una strada con
un muretto. Su questa strada delle persone trasportano utensili, statue e ogni altro
genere di oggetti; alcuni dei trasportatori parlano, altri no. Chi sta nella caverna, non
avendo nessun termine di confronto e non potendo voltarsi, crederà che le ombre degli
oggetti proiettati sulla parete di fondo siano la realtà; e che gli echi delle voci dei
trasportatori siano le voci delle ombre.”
Platone, Il Mito della Caverna, Repubblica, libro VII.
Le origini
Nulla sfugge alla storia, nulla sfugge alla leggenda e ciò è vero anche in relazione
alla nascita del più grande spettacolo teatrale che il mondo ricordi: il teatro delle ombre.
Wu-Ti, l’ultimo discendente della dinastia Han, regnava nella Cina del secondo secolo.
Senza ragione apparente la sua consorte Wang si ammalò di un male che in un
battibaleno la condusse alla morte: Wu-Ti finì coll’abbandonare la cura del regno e di se
stesso.
In aiuto al loro sovrano, i dignitari di corte inviarono messi ed araldi in tutte le
contrade del paese, annunciando che sarebbe stato fatto obbligo a tutti i cultori delle arti
di presentarsi a corte, per consolare e rallegrare l’infelice sovrano. Nessuna cosa,
nessun dono, nessun giullare e nessun cibo riuscirono a distogliere Wu-Ti dalla sua
mortale tristezza.
Un giorno giunse a corte un contadino di nome Shas-Wong, che si dichiarò in grado
di far rivivere nello spirito del suo imperatore, l’amore e la gioia della vita, evocando per
lui l’anima dell’amata sposa.
Shas-Wong collocò davanti al sovrano un fragile schermo di tela di riso, e proprio lì,
poco dopo, Wu-Ti vide apparire la più amata delle immagini: la moglie Wang.
Tutte le notti ebbe modo di rievocare gli aspetti più dolci della sua vita coniugale,
intrattenendosi a colloquio con l’amata defunta consorte. Wu-Ti ritornò ad essere il
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grande principe d’una volta e tanto era il suo amore per la sposa e tanto era verosimile
la sua apparizione, che in Wu-Ti nacque il desiderio di stringerla a sé. Travolto dalla
foga dell’abbraccio, il fragile schermo si rovesciò ed apparve ben chiaro l’inganno.
L’amata sposa Wang si rivelava crudelmente per quel che era in realtà: una piccola
sagoma di cuoio ben lavorato e manovrata con perizia e maestria davanti ad un fioco
lume da Shas-Wong.
La storia ha più di una conclusione. Alcuni narrano che Wu-Ti, smascherando
l’inganno di Shas-Wong, ebbe modo di riflettere a lungo sulla caducità delle cose
terrene, sulla sua personale sciagura, cui nulla avrebbe comunque posto rimedio. Il
seguito di questa versione vuole anche che Wu-Ti finisse col rendere omaggio all’arte e
allo spirito di solidarietà umano che aveva animato l’ingegno di quell’innovatore di forme
e di immagini teatrali. Merito di Wu-Ti, o del culto tipicamente cinese, resta assodato
che in Cina attecchì ben presto l’arte delle ombre recitanti e che ebbe, come d’altra
parte ha tutt’ora un incredibile successo popolare.
Nel periodo in cui la Cina era principalmente un paese agricolo nasce il teatro delle
ombre cinesi: gli artisti coltivavano la terra dedicandosi a quest’ attività culturale nei
momenti di piacere.
Recitare il teatro dell’ombra serviva, nell’antica Cina, a venerare le divinità ma anche
a scacciare fantasmi e mostri, anche se poco dopo ha assunto il suo carattere di
intrattenimento che conserva tutt’oggi.
Gli spettacoli venivano recitati solo dopo il tramonto e le storie narrate erano fedeli
alla religione e alla superstizione legata alle vicende di fate, geni, fantasmi e mostri.
La leggenda unisce il teatro delle ombre alla filosofia taoista e al buddismo. In cinese, le
figure, composte da undici parti e con la testa in rilievo, si chiamano piying (ombre in
cuoio). In principio venivano intagliate nella carta bianca e oggi vengono cesellate nel
cuoio dipinto con colori studiati per dare maggiore espressione e intensità al carattere di
ciascun personaggio.
Fonti certe datano l’apparire di simili spettacoli all’epoca della dinastia T’Ang (618907); altre forme di rappresentazioni d’ombre si svilupparono parallelamente in quasi
tutto l’Oriente: in India, a Giava, in Turchia, più tardi in Europa. In ogni regione le
tecniche e le tematiche del teatro dell’ombra si adattarono sempre in modo perfetto allo
spirito dei vari popoli, esaltandone le caratteristiche peculiari e i valori autentici degli
archetipi regionali.
Si è detto che il teatro delle ombre nasce in Cina, e forse ciò corrisponde a verità.
Nei fatti, è certo che proprio in Cina il teatro delle ombre ha tutt’ora un posto importante
e di primissimo piano nel panorama delle arti e degli spettacoli. I primi missionari
sbarcati su quelle coste diedero dettagliate informazioni su ciò che videro nelle piazze:
spettacoli pubblici di “marionette d’ombra” in grado di estasiare incredibili folle. Il più
delle volte si trattava di povere cose, gestite da imbonitori improvvisati, mendicanti e
girovaghi. Per queste rappresentazioni da strada, non occorreva teatro, né tanto meno
spazi ed attrezzature sceniche particolari. Il ciarlatano si serviva di una semplice sedia
sulla quale saliva e si ergeva al di sopra del pubblico. Il teatro se lo portava addosso:
una specie di vestito a forma di parallelepipedo lo ricopriva da capo a piedi formando al
di sopra della sua testa un “boccascena” ricoperto di pergamena. Sulla testa, trovava
posto una candela accesa, collocata in uno speciale cappello. Dentro quell’abito il
teatrante dava vita e voce ai suoi personaggi.
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In Cina gli spettacoli d’ombra spaziano un po’ in tutti i campi e generi della
rappresentazione: accanto a recite ad esclusivo carattere religioso, compaiono
rappresentazioni mitologiche, ed altre a carattere divulgativo, sociale e fabulistico.
Forse il genere della “fiaba d’ombra” nasce anche dal fatto che nell’antica Cina
Imperiale il teatro delle ombre era l’unico cui potessero accedere donne e bambini. Tutti
gli altri generi della rappresentazione erano ad esclusivo dominio maschile. Il continuo
passaggio da un genere rappresentativo all’altro favorì lo sviluppo di una miriade
differente di personaggi d’ombra, ma sempre accomunati tra loro da una raffinata
fattezza realizzativa. Le silhouettes più antiche che si conoscono erano sommamente
tratteggiate, trasparenti e riccamente decorate.
Altre tra le antiche marionette umbratili erano ritagliate in grossi spessori di carta
oleata, mentre le più raffinate, in uso presso le corti, erano sagomate in osso finemente
trattato e reso semitrasparente. Le famosissime sagome di Setschuan, e del suo
famoso teatro, erano intarsiate in grossi lembi di cuoio di bufalo ed avevano dimensioni,
a volte, superiori ai 70 cm di altezza.
Le “figurine” del teatro di Pekino disponevano di più d’una testa e anche di vere e
proprie articolazioni degli arti, realizzate con giunture mobili e punti d’aggancio.
Nelle scene a carattere religioso, i volti delle silhouettes finirono sempre con l’essere
rappresentati nel solo profilo; solo all’immagine recitante di alcuni tra i preminenti dei
spettò l’onore della vista frontale.
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Se alle donne era concesso d’assistere alle rappresentazioni, ben di rado era loro
concesso di prendervi parte in forma di silhouette. Alle uniche figure recitanti, era in
genere riservato un ruolo subalterno e negativo, visivamente espresso attraverso corpi
vecchi e deformi.
Nelle rappresentazioni del teatro di Pekino, è il colore l’elemento caratterizzante della
scena del teatro d’ombre. I toni chiari, il bianco, scandiscono l’apparizione delle
maschere negative, dei cattivi. Il nero ed i toni più cupi segnano l’ingresso sulla scena
degli attori positivi, dei buoni. Al colore rosso delle silhouettes e delle luci di scena
corrispondeva la comparsa dei grandi eroi. Turchino e viola simulavano l’entrata in
campo di attori d’ombra degni del massimo riguardo.
Lo schermo è l’elemento portante di ogni rappresentazione umbratile. Al di là delle
funzioni strettamente rappresentative, il nome che gli veniva attribuito era in grado di
chiarire le finalità dello stesso teatro d’ombra cinese.
Il suo nome, infatti, era: “Tela della morte”. Questa era lo spazio in cui la religiosità, la
gioia della vita, le passioni apparivano, si liberavano, si rincorrevano, si univano ai
sentimenti di chi della vita aveva vissuto le stesse passioni, le stesse gioie, gli stessi
sentimenti: le anime di chi prima di noi è stato felice o ha patito.
Si è detto che su tutti gli spettacoli d’ombra, in Cina, predomina la fiaba. Su tutto
prevale il fine didascalico e morale dell’opera, e la trama risente di quelli che sono gli
ingredienti immancabili della struttura stessa della fiaba.
A differenziarsi nettamente dal teatro d’ombra cinese è il teatro dei personaggi
d’ombra giavanese. A Giava, è innanzitutto e soprattutto rappresentazione religiosa.
Il teatrante, l’umbromane ha un ruolo particolare: non è più un semplice “meccanico”
d’una rappresentazione, ma assurge al ruolo di autentico officiante di un rito.
Qui il teatro d’ombre assume anche caratteristiche formali ed estetiche del tutto
autonome. Le scuola d’ombra preminenti sono quelle del teatro di “Wayang-Purwa”, con
i suoi personaggi in pergamena traslucida, e di “Wayan-Kulit”, con le sue sagome in
pelle di bufalo selvatico. Accomunano le due scuole le dimensioni, sempre piuttosto
rilevanti. Per gli dei e gli uomini sono riservate le dimensioni mediane. Di contro le
dimensioni di grande imponenza caratterizzano e simboleggiano i personaggi malefici e
demoniaci. Ai personaggi negativi non era dato, in scena, di risplender per trasparenza ,
né potevano essere posti recitativamente nel contesto gli effetti cromatici particolari. La
loro caratterizzazione era accentuata da forme abnormi e da teste smisurate, tali da
richiedere la costruzione di particolari imbracature ricavate in sottile legna di balsa.
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Una forma teatrale mistica deve obbligatoriamente disporre di un luogo dedicato al
culto: un teatro-tempio, uno schermo-altare. Al pubblico erano riservati due settori
distinti e separati: uno immediatamente di fronte al boccascena, riservato agli adulti, un
altro più discosto e laterale, riservato alle donne e ai bambini. Lo schermo, in genere
molto ampio, era formato da un drappo di fine cotone. Gli officianti, i loro serventi, i
musici ed i cantori, facendo il loro ingresso in sala, prendevano posto sotto il
boccascena, inginocchiati davanti agli spettatori, e da lì davano vita alla
rappresentazione ed assistevano essi stessi agli effetti da loro ingenerati.
La luce utilizzata in scena rappresentava l’energia vitale, oltre che la fonte stessa
dell’esistenza delle figurine umbratili. Sulle scene del teatro di Giava, come a Bali ed in
Malesia, compaiono i primi grandi rivoluzionamenti dell’arte recitante. Ora le silhouettes
vengono gestite in scena come autentiche marionette: non più in stretta aderenza allo
schermo, ma libere di usufruire di un ampio spazio scenico. L’umbromane, distanziando
la sagoma dallo schermo, con rapidi movimenti, produce effetti di sfumato,
ingrandimenti e rimpicciolimenti degli attori. Non solo, ma qui si profila all’orizzonte
l’affascinante universo del moderno cinematografo. Il movimento si affaccia sullo
schermo, in modo verosimile, per effetto di una aberrazione visiva: “la persistenza
retinica”.
Al movimento e alle “zoomate” sceniche, si aggiungeranno poi fondali prospettici,
ritagliati anch’essi nella balsa o nel cuoio.
Dal Sud-Est asiatico, dall’India, le ombre giunsero in Turchia, pare al seguito di
umbromani zingari.
In Europa il teatro delle ombre si afferma solo a partire dalla seconda metà del XVIII
secolo in Italia prima, verso il 1760 in Germania, attorno al 1770, infine, in Francia, dove
per la prima volta le ombre nere assumono il nome caratteristico di “Silhouettes”, o
anche di “Ombre Cinesi”. Il termine silhouettes deriva da Etienne De Silhouette,
controllore generale delle finanze del re di Francia che, su incarico di Luigi XV, prese
provvedimenti economici impopolari e fu pertanto ridicolizzato da un’ampia diffusione di
“silhouette” raffiguranti il suo profilo caricaturato.
Il primo spettacolo di silhouettes, in pubblico, fu rappresentato in Germania da un
certo “Serafino”. In Francia, dove giunse sull’onda dei primi successi germanici,
Serafino prese il nome di “Lorrain Francois-Dominique Seraphin”.
Lorrain Francois-Dominique Seraphin fu inventore persino dell’arte della pubblicità su di
sé.
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Nel suo teatro, detto “Teatro dei Fanciulli di Francia”, le Ombre cinesi, prodotte
grazie a differenti combinazioni di luce, presentano con naturalezza e verosimiglianza
tutte le attitudini dell’uomo, eseguendo delle danze ritmate.
La rappresentazione di maggior successo fu “Le Pont Cassé”, che tenne cartello
ininterrottamente per ben 7000 repliche. Tale fu il successo, che molte compagnie di
umbromani, sorte ad imitazione della compagnia delle ombre di Seraphin, finirono con il
rappresentarla a loro volta. Si racconta di un viaggiatore, straniero, che lungo la strada
che porta ad Avignone, ed ormai prossimo alla città, incontra un improvviso ostacolo: un
ponte crollato. La storia dà la possibilità a Seraphin di introdurre sul fragile schermo del
teatro delle ombre effetti di stupefacente animazione e tra questi ancor oggi è ricordato
il crollo del ponte, realizzato in maniera verosimigliante, attraverso l’impiego di manciate
di sagome di cartone fatte franare in scena al momento opportuno.
Al “Ponte crollato” fecero seguito un’infinità di altre opere, tutte coronate da
successo: la messa in scena di un po’ tutte le fiabe del repertorio tradizionale, opere
uniche di Seraphin, tra le quali si ricordano: “Le tentazioni di S. Antonio”, “La mela alla
bella”, “La caduta della monarchia”, “La federazione nazionale” ed altre.
Si è detto che moltissimi in Francia furono i teatri sorti ad imitazione di quello ormai
classico di Seraphin e nessuno ebbe pari successo. Tra gli esegeti di Seraphin non si
può dimenticare l’opera di Moreau, un nano, allievo dello stesso Seraphin, che in larga
misura ne raccolse l’eredità artistica, alla sua morte.
L’Europa, ma non la Francia, dovette attendere ancor più di un secolo perché il
teatro delle ombre e le silhouettes si affermassero a livello popolare.
Nell’Ottocento la grande diffusione delle stampe di Epinal, ricche di sagome stampate
da ritagliare, fecero del teatro delle silhouettes uno spettacolo familiare a milioni di
persone. Le silhouettes in Germania vennero utilizzate come elemento grafico e
decorativo, da usarsi teatralmente o, più spesso, come pure e semplici illustrazioni dei
testi.
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Più spesso vennero rappresentati spettacoli d’ombre liberamente ispirati al repertorio
fabulistico tradizionale.
Il pubblico spettacolo delle ombre risorge, alla grande, un secolo dopo, in pieno
ottocento, ad opera della compagnia del “Gatto Nero”.
Le immagini d’ombra finirono per apparire in simultanea, su differenti piani di
proiezione, sommando ciascuno effetti di luci e colori tra i più svariati.
Si poterono realizzare quindi i primi rudimentali effetti di “dissolvenza”, alternando
attorno alle silhouettes il chiarore di albe tropicali, il rosseggiare dei tramonti, il calare
improvviso delle tenebre, l’accendersi dei primi fuochi. Per gli effetti di luce, non
venivano mai utilizzate meno di 150 lastre o filtri colorati da proiettare sullo schermo con
l’aiuto delle lanterne. Le stesse silhouettes furono improntate con criteri innovatori.
Vennero progettate, disegnate e ritagliate su lastrine di zinco e, in alcuni casi, dotate di
articolazioni mobili, comandate da rotismi ad orologeria.
Con l’esperienza e le recite della compagnia del “Gatto Nero”, ha termine la storia del
teatro delle ombre.
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Le ombre con le mani
Le ombre con le mani sono quelle che i più chiamano comunemente, ed un po’
equivocamente, “ombre cinesi”, ed altro non sono che quelle effimere figure d’ombra
ingenuamente plasmate dal ricercato profilo di una mano. Le più semplici figure
d’ombra di questo genere di spettacolo sono conosciute da tutti, a testimonianza del
grande ed indiscusso successo popolare che ottennero, a partire dai primi spettacoli
appositamente allestiti agli inizi del secolo scorso. In quel periodo, spettacoli di ombre
con le mani ottennero dignità di spettacolo teatrale e di vera arte umbromane,
inizialmente come spettacolo di intrattenimento ed arte varia, tra un atto e l’altro di una
rappresentazione a “silhouettes”, poi di spettacolo apposito, con tanto di regia e
partitura. Non mancarono i veri talenti, quali l’italiano Campi e l’inglese Trewley. Era
tanta e tale l’abilità e l’agilità delle loro dita, nel dar forma e vita a qualsiasi immagine
d’ombra, che, in un’epoca “positiva” come quella, la scienza non tardò ad occuparsi di
tali “fenomeni”. Resta inoppugnabile il fatto che umbromani quali il Trewley ed il Campi
erano in grado di animare e dar vita, col solo aiuto della motilità della loro mano, a più di
300 personaggi e caratterizzazioni d’ombra.
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