SARAH RODINI (4 LICEO MANIN) - Il 20 e il 21 gennaio il teatro Ponchielli ha ospitato la
rappresentazione dello “Lo zoo di vetro”. Protagonista una famiglia, in cui il padre è scappato di casa
molti anni prima. La madre, Amanda, esuberante e vivace, fa pesare ai figli alcuni aspetti della loro vita:
alla figlia Laura il fatto che non abbia un fidanzato e al figlio Tom il fatto che lavori in un semplice
magazzino. Inoltre sembra quasi rimpiangere la decisione di aver sposato suo marito al posto di uno dei
numerosi pretendenti, perché si è rivelato un alcolista. Laura è timidissima, insicura a causa del suo
piede zoppo e questo la porta a passare il suo tempo a casa, ascoltando vecchie canzoni e giocando con
piccole statuine di vetro a forma di animali, che sua madre chiama “lo zoo di vetro”. Suo fratello è quello
che guadagna in famiglia, ma nonostante ciò la madre lo rimprovera spesso e la conseguenza è che ogni
sera Tom va fuori a bere, raccontando ad Amanda di andare al cinema. Queste dinamiche vanno avanti
finché Tom, sotto pressione della madre, porta in casa il suo collega Jim per farlo conoscere a sua
sorella. Jim, però, è fidanzato e quella che può sembrare una storia d’amore finita male in realtà ha un
finale davvero tragico. Le caratteristiche dei personaggi sono marcate e gli attori sono riusciti a rendere
bene questi aspetti, anche se talvolta sono apparsi poco naturali. Le scenografie erano, nella loro
semplicità, molto accurate e una scelta particolare è stata quella di non far mai uscire gli attori dal
palco: la scena era delimitata da una linea bianca e quando gli attori non dovevano recitare si sedevano
oltre quella linea, al buio, ma sempre rimanendo sul palcoscenico. Quest’immagine della famiglia, a
causa della sua drammaticità, fa riflettere molto e sicuramente ha toccato punti di grande importanza
per molte persone che hanno assistito alla rappresentazione.
ALESSANDRO NOTARI (1 LICEO SCIENTIFICO ASELLI) - Il 20 gennaio al teatro Ponchielli è
andato in scena “Lo zoo di vetro”, celeberrimo dramma di Tennessee Williams, una tragedia alleggerita
dalle sfumature comiche, apportate dalla regia di Arturo Cirillo. L’opera tratta la storia di una piccola
famiglia americana che, nel pieno della grande depressione, si trova in difficoltà economica da quando il
marito di Amanda e padre di Tom e Laura abbandona la famiglia senza lasciare sue notizie. Amanda,
interpretata da Milvia Marigliano, è una donna che vive nei ricordi amorosi della sua lontana gioventù:
nel corso dell’intero dramma si è mostrata paranoica e asfissiante nei confronti dei figli. L’attrice
Monica Piseddu è Laura, una ragazza affetta da una malattia che l’ha resa “zoppa”, una parola tabù per
la madre; la malattia non l’ha segnata solo fisicamente, ma anche caratterialmente, rendendola
estremamente insicura e facendo sì che viva in un mondo immaginario popolato da animaletti di vetro
(lo zoo di vetro) che sostituiscono gli uomini con cui lei non riesce ad interagire. Il fratello di Laura,
Tom, interpretato dal regista, è in continuo conflitto con se stesso; emblematica la frase “vado al
cinema” con la quale tronca ogni possibilità di discussione e confronto con la madre. Tom sceglie di
percorrere la stessa strada del padre senza però mai abbandonare del tutto la sorella. L’ultimo
personaggio dell’opera (anche se in realtà il quinto personaggio, a detta del regista, è il padre e forse
questa sua collocazione non è casuale) è Jim, collega di Tom, ed ex compagno liceale di Laura;
rappresenta il suo grande desiderio e forse la sua unica possibilità di riscatto dalle sue difficoltà, in
quanto dichiara di vedere in lei una bellezza “diversa”, speranza che rimane l’ennesima illusione in
quanto si scopre che Jim è fidanzato. Particolare anche la scelta del regista nel far rimanere
costantemente in scena i personaggi, infatti l’uscita era caratterizzata solamente dallo spostamento del
personaggio verso la zona d’ombra del palco. La rappresentazione de “Lo zoo di vetro” ha entusiasmato
il pubblico del Ponchielli, riuscendo a provocare emozioni che passano dalla felicità di una sfumatura
comica alla consapevolezza del cupo tema di fondo.
BIANCA MARIA BOLZONI (5 LICEO ANGUISSOLA) - Un'interpretazione priva di fronzoli, una
scenografia minimale e un pubblico incantato, rapito: sono questi i fattori che hanno determinato il
successo de “Lo zoo di Vetro”, la perla della produzione letteraria di Tennessee Williams diretta e
interpretata squisitamente da Arturo Cirillo, in scena il 20 e 21 gennaio al teatro Ponchielli di Cremona.
Il dramma è focalizzato sulle vicende della famiglia Wingfield, narrate da Tom (Arturo Cirillo), suo
unico componente maschile. Uomo irrequieto e suscettibile, individua nel cinema un pretesto per
sfuggire alla propria famiglia composta da Amanda, madre paranoica, morbosamente attaccata ai
ricordi della giovinezza e da Laura, la timida e zoppa sorella maggiore che trova perenne rifugio nella
musica nostalgica e nei suoi piccoli animaletti di vetro. Il perno della storia risiede nell'improvviso
bisogno di Amanda, interpretata meravigliosamente da Milvia Marigliano, di trovare un possibile
pretendente alla figlia, della quale l'attrice Monica Piseddu dipinge una figura delicata e fragile, come il
suo piccolo mondo vetrato. L'ingresso in scena di Jim (Edoardo Ribatto), un collega che Tom invita a
cena, fa emergere struggentemente quel giro vizioso governato dalla malinconia, dal quale la famiglia
non potrà mai slegarsi. Il regista è riuscito a cogliere egregiamente la vera essenza del dramma,
ritraendo ogni minuziosa sfumatura del profilo psicologico dei personaggi, in un insieme
ponderatamente ingenuo, a tratti velatamente ironico. I dialoghi, semplici e immediati, toccano con il
sottofondo delle commoventi melodie di Luigi Tenco le corde sensibili dello spettatore, riportando in
superficie drammi e vicende molto comuni e attuali. Coinvolgente , originale, diretto, consigliato
vivamente ad ogni tipologia di pubblico.
CRISTINA MORRA (5 LICEO SCIENTIFICO ASELLI) - ‘Lo zoo di vetro’, presentato al Ponchielli
nelle serate del 20 e 21 febbraio dalla compagnia di Arturo Cirillo, è – a detta di quest’ultimo - uno degli
scritti teatrali meno melodrammatici nel repertorio di Tennessee Williams grazie al filtro della
memoria, questa la porta attraverso cui si è introdotti nella cornice un po’ comica un po’ opprimente di
un episodio di vita familiare: è di Tom la memoria narrante, un uomo ormai adulto che ancora vive
insieme alla madre Amanda (una fantastica Milvia Marigliano) e alla sorella zoppa, Laura (Monica
Piseddu), anche lei adulta ma, siccome troppo introversa per farlo da sola, ossessivamente inseguita
dalle attenzioni materne perché si renda indipendente. La vicenda si incentra sul tentativo di Amanda e
Tom di fare incontrare Laura e un collega vecchio amico di lui, con la speranza che diventi poi un valido
pretendente. Nelle diverse scene di vita domestica si respira a pieni polmoni la componente ribelle
continuamente soffocata da Tom, un aspirante poeta insoddisfatto della piega che ha preso la sua vita e
angosciato dal suo scorrere così rapido, si respirano i complessi che Laura si è costruita intorno a sé per
paura di vivere davvero – l’unica consolazione è la sua collezione di animaletti di vetro, fragili quasi
quanto lei – e ancora di più le ansie di una madre che non può sopportare che i figli sprechino la loro
gioventù, l’età che lei ricorda con più orgoglio. A tenere insieme i tre è la figura del padre di Tom e
Laura, un libertino che anni addietro abbandonò la famiglia per inseguire il suo sogno di “vivere di più”.
La storia si articola in un unico luogo, quello interno di casa, ed è scandita nelle sue scene da canzoni
per lo più di Luigi Tenco, scelta indubbiamente felice non solo per rendere il dramma più vicino al
pubblico italiano ma anche per accentuarne il carattere nostalgico. D’altronde la vicenda in sé non deve
dire molto, è il racconto di un qualcosa che è stato e che si spera non sia più nel momento in cui è
narrato, ecco perché la memoria diviene il filtro che consente a tutto lo spettacolo di non diventare un
crogiuolo di melodramma condito da angoscia di vivere.
ELISABETTA SOMENZI (3 LICEO ASELLI) - Rivisitazione in chiave moderna, ma non troppo, del
dramma di Tennessee Williams, scritto nel 1944, “Lo zoo di vetro” ha sorpreso tutti, anche i più scettici.
Il regista, narratore e attore Arturo Cirillo interpreta Tom Wingfield che presenta la sua famiglia e le
vicende tra i personaggi attraverso i ricordi, interpretandoli secondo il suo punto di vista. Amanda è
madre apprensiva e ossessiva, che ricerca disperatamente il meglio per la figlia Laura, ragazza timida,
introversa e claudicante, che sembra non avere sogni e aspirazioni. Tom, invece, cerca di sottrarsi alla
realtà e si rifugia nei film visti al cinema. Solamente verso la fine della rappresentazione si comprende il
significato del titolo; Laura conserva gelosamente e con grande cura una collezione di animaletti di
vetro e li mostra solamente a Jim, un collega che Tom aveva invitato a cena a casa loro. Questo episodio
smorza la drammaticità delle relazioni e ravviva la scena, che si conclude con un ballo e un bacio tra Jim
e Laura. Leggerezza poco duratura e ben presto la dura realtà prende il posto della spensieratezza.
Tuttavia le esasperazioni di alcuni comportamenti di Amanda spesso fanno sorridere il pubblico,
rendendo la narrazione molto piacevole e tragicomica. Significativa è la scena in cui Jim definisce Laura
“bella perché diversa”, successivamente, però, fa accidentalmente cadere l’animaletto di vetro da lei
preferito , un piccolo unicorno che faceva “l’egocentrico”, staccandogli proprio il corno e rendendolo
uguale a tutti gli altri cavalli. Indubbiamente il dramma porta alla riflessione sulla condizione umana,
Cirillo definisce gli animaletti di vetro come “ emblema della fragilità e della finzione: sono essenze
quasi prossime all’assenza, non a caso trasparenti”. Il susseguirsi delle scene è spesso accompagnato da
un sottofondo musicale e la scenografia è tenuta volutamente spoglia, ma studiata nei minimi
particolari e sapientemente arricchita da proiezioni e luci. Lo spettacolo si è concluso con fragorosi e
lunghi applausi da parte del pubblico, che ha apprezzato l’eccellenza dell’interpretazione artistica degli
attori.
LUCREZIA BARISELLI (3 LICEO VIDA) - Martedì, al teatro Ponchielli di Cremona è stato
rappresentato “Lo zoo di vetro” di Tennessee Williams per la regia di Arturo Cirillo. Sulle note di vecchi
dischi in vinile si svolge la reale storia di Tom (Arturo Cirillo), figlio più piccolo di una madre, Amanda
(Milvia Marigliano), abbandonata dal marito e fratello di Laura (Monica Piseddu), giovane ragazza
ancora nubile, zoppa e apatica. La scena è semplice, un divano, un armadio, un tavolo e quattro sedie e
in un angolo un piccolo giradischi da cui gli attori stessi cambiano la musica. In scena sono presenti solo
quattro personaggi, Tom, Laura, Amanda e Jim (Edoardo Ribatto), compagno di lavoro del protagonista
che viene invitato a cena sotto consiglio della madre che insiste per vedere la figlia sposata, tutti
interpretati alla perfezione. Lo stesso Tennessee Williams descrisse questa storia un “dramma di
memoria” per quanto è legato ed indissolubilmente intrecciato con il passato dei personaggi e per
quanto essi lo rimpiangano non potrà mai ritornare, come dice Amanda infatti: “Il futuro diventa
presente, il presente passato e il passato un eterno rimpianto”. L’ambiente sul palco è così prezioso e
delicato, proprio come gli animaletti di vetro a cui Laura è tanto affezionata, che coinvolge il pubblico
con forza, divertimento e allo stesso tempo la drammaticità della realtà di una famiglia imperfetta.
Come Tom che ogni sera andava al cinema alla ricerca di un’avventura, così anche gli spettatori, grazie
alla straordinaria interpretazione degli attori si ritrovano immersi nel clima degli anni ’40 alle prese con
le stesse difficoltà dei protagonisti nonostante il testo sia reso in parte anche comico ad esempio dal
vestito improponibile di Amanda, riportato alla luce dopo anni in un armadio oppure per il suo
carattere troppo infantile. Nonostante il poco pubblico in sala, gli attori sono stati premiati con un
intenso applauso da parte di tutti i presenti.
MATTEO DAMIANI (3 LICEO SCIENTIFICO ASELLI) - Martedì 20 e mercoledì 21 gennaio al teatro
Ponchielli è andato in scena “Lo zoo di vetro” di Tennessee Williams. Arturo Cirillo, attore e regista nei
panni di Tom, plasma quest’opera rendendola piacevole e divertente, pur mantenendo le caratteristiche
fondamentali della storia. La scenografia risulta scarna ed essenziale: essendo formata da un divano, un
armadio ed un tavolo con delle sedie, al di là delle quali vi era solamente il buio dove gli attori si
ritiravano conclusa la loro parte. Introdotta da un breve monologo di Tom, la storia parla di una madre
rimasta vedova, interpretata da Milvia Marigliano, che, essendo in alcune parti assillante con il figlio,
riesce ad introdurre in una storia seria e tragica una componente grottesca tale da suscitare il riso e
qualche applauso del pubblico. Un’ altra figura molto importante nella storia è rappresentata da Monica
Piseddu nei panni di Laura, figlia zoppa e considerata pazza dalla madre, attorno a cui ruota tutta la
vicenda. Lo zoo di vetro, infatti, non è altro che una collezione di animali di vetro, uno dei quali, un
unicorno, ha una grande importanza e fa riflettere riguardo la fragilità della donna. Quest’animale viene
descritto, con l’entrata in scena di Jim, (Edoardo Ribatto) ex compagno di liceo di Laura e collega di
lavoro di Tom, come un cavallo che si contraddistingue da tutti gli altri grazie al suo corno. L’ animale si
può associare al nuovo personaggio che appare alla madre come un possibile pretendente per la figlia,
in quanto risulta unico e perfetto per lei. La statuetta viene urtata dai due e si rompe esattamente nel
punto che la contraddistingueva, diventando uguale a tutti gli altri cavalli. Nello stesso modo Jim perde
la sua unicità in quanto si scopre che tutto ciò che aveva detto o fatto con Laura era pura finzione,
dovendosi sposare la settimana seguente. La rappresentazione ha superato le aspettative degli spettatori
che hanno riservato agli attori un lungo applauso.
NICHOLAS MAZZETTINI (2 LICEO SCIENTIFICO ASELLI) - Al teatro Ponchielli di Cremona è
andato in scena il 20 gennaio “Lo Zoo di vetro”, purtroppo davanti ad un pubblico che non fa giustizia
alla bellezza dell'opera di Tennessee Williams interpretata in maniera direi ottima; la narrazione è
affidata ad uno dei due protagonisti: Tom, un uomo di mezza età che lavora ai grandi magazzini e che
per spezzare la monotonia della sua vita dice di passare le serate al cinema quando, in realtà, beve e va a
zonzo; sua sorella Laura è invece una ragazza di qualche anno più giovane che soffre di un disturbo di
deambulazione che la fa sentire esclusa dal resto delle persone e riesce a trovare conforto nella sua
collezione di animali di vetro; i protagonisti vivono con la madre la cui unica preoccupazione è trovare
un valido pretendente per la figlia e quando Tom invita a cena Jim, un suo amico di lavoro, ella fa di
tutto per fargli conoscere la figlia, ma le sue speranze cadranno quando scoprirà che il giovane è già
fidanzato. I personaggi sono stati resi in maniera splendida in tutte le loro sfumature, soprattutto la
madre che trasmetteva quella gioia bambinesca che l'autore le aveva associato nel romanzo,
l'ambientazione e lo scenario erano piuttosto scarni, ma documentandomi ho poi capito che Tennessee
Williams non ha mai dato importanza al paesaggio di fondo, scelta quindi azzeccata come le musiche
che catapultano lo spettatore nel tema anni '50 dell'opera, unica osservazione che potrei osare sarebbe
dire che la malattia di Laura è stata resa in maniera più morbida; scelta adottata probabilmente per
dare alla trama un tono meno cupo. In sintesi “Lo Zoo di vetro” è un ottimo modo per staccare dal
teatro tradizionale, lasciandosi trasportare da battute e dialoghi frizzanti, senza troppe preoccupazioni.
RICCARDO BARONI (3 LICEO SCIENTIFICO ASELLI) - Nei giorni scorsi al teatro Ponchielli è stato
rappresentato “Lo zoo di vetro”, dramma di Tennessee Williams che, nonostante la fredda accoglienza
delle 20.30, orario di inizio dello spettacolo, ha saputo riscuotere un sonoro e prolungato applauso
finale. Gli attori, sotto la regia di Arturo Cirillo, hanno interpretato magistralmente le miserie di una
famiglia americana composta da una madre apprensiva e petulante, da una figlia estremamente timida
e complessata e da un fratello,Tom, narratore nonché protagonista, sulle cui spalle risiede tutto il peso
dell’insuccesso non solo della propria vita, spesa a lavorare in un magazzino-prigione, ma anche di
quella del defunto padre e della sorella, che nella sua timorosa introversione fugge dalla vita
rifugiandosi nell’ ascolto di vecchie canzoni e nella contemplazione delle fragili statuette zoomorfe
costituenti lo “zoo di vetro”. Il dramma appare come la trascrizione di un turbamento interiore,
evidentemente almeno in parte autobiografico, riversato in un contesto poco felice che, tuttavia, sembra
quasi marginale, di contorno alla tragedia interiore dei vari personaggi, vera protagonista dello
spettacolo. Lo stesso monologo introduttivo di Arturo Cirillo, nei panni di Tom, lascia intendere questa
intenzione, che si esplicita poi anche attraverso un’ insistenza particolare su certe frasi o situazioni
ricorrenti, tanto esagerata da risultare irresistibilmente comica alleggerendo così una trama altrimenti
pesante da sopportare. Paradossalmente è proprio in certi momenti in cui la disperazione dei membri
della famiglia sembra toccare il culmine che si raggiunge anche l’ apice della comicità, che però non è
mai fine a se stessa e lascia sempre aperti ampi spiragli di riflessione, pur senza sfociare nel grottesco.
Ne è esempio la frase usuale di Tom, “vado al cinema”, che oltre a risultare divertente per il modo in cui
viene impiegata lascia anche trasparire la profonda voglia di evasione di quel poeta dalla fantasia legata
e di quell’ avventuriero segregato che è il protagonista. Unico aggancio certo con la realtà è Jim,
personaggio la cui comparsa è fondamentale per imprimere una svolta al dramma, che si conclude
proprio poco dopo la sua uscita di scena con un finale toccante e imprevedibile.