Mettere in scena Wagner. Opera e regia tra Ottocento e

 Il convegno è incentrato sull’esperienza e il pensiero di Wagner rispetto alla messinscena delle sue opere, e sulle esperienze registiche che ne sono discese, con particolare attenzione al Novecento e alla contemporaneità. AWM - Associazione Wagneriana Milano
L’iniziativa intende andare al cuore del problema di come sia possibile rappresentare, oggi, le grandi opere del passato. E cerca di impedire che la valutazione delle regie continui a essere guidata da faziosità e da posizioni ingenue o preconcette, spesso prive di base teorica e di prospettiva storica. Le tre sessioni sono introdotte da altrettante relazioni di base, affidate a studiosi di competenza assoluta sull’argomento. In ogni sessione sono stati invitati relatori che approfondiranno aspetti particolari, di valenza “teorica” il primo giorno: di tipo “storico” il secondo giorno; di viva attualità nel terzo giorno. Gli interventi saranno corredati dalla proiezione di video illustrativi. Uno spazio particolare viene destinato a interventi liberi, per i quali si richiede la prenotazione a inizio di ogni sessione. Il Comitato scientifico-­‐organizzativo, presieduto da Guido Salvetti ([email protected]), è formato da Marco Brighenti, Andrea Estero, Liliana Konigsman, Aaron Tagliabue, Marco Targa. Segreteria del Convegno: Fabrizio ([email protected]) Carpine Sito web: www.richard-­‐wagner-­‐verband-­‐milano.org Media partner CLASSICVOICE Convegno Internazionale
“Mettere in scena Wagner. Opera e regia tra Ottocento e contemporaneità”. Milano, 15-­‐17 settembre 2016 15 e 16 – Sala Conferenze Palazzo Reale 17 – Ridotto dei palchi del Teatro alla Scala Con la collaborazione di: -­‐ International Musicological Society (IMS) -­‐ Società Italiana di Musicologia (SIdM) -­‐ Dipartimento di Beni Culturali e Ambientali dell'Università degli Studi di Milano -­‐ Conservatorio di Musica “G.Verdi” di Milano -­‐ Associazione nazionale critici musicali -­‐ Amici del Loggione del Teatro alla Scala PRIMA GIORNATA: 15 settembre
Sala Conferenze di Palazzo Reale
ore 14.30 Introduzione del Presidente dell’AWM Paolo Jucker e
saluti degli Enti patrocinatori.
ore 15.00 – Relazione di base
Jean-Jacques Nattiez, Proposition d’un cadre théorique pour
évaluer les mises en scène wagnériennes (Proposta di un
quadro teorico per valutare le regie wagneriane)
ore 16.30 – presiede Guido Salvetti
Maurizio Giani, Wagner regista. Teoria e prassi
Roberto Diodato, L'idea di opera d'arte totale oggi: da Wagner alle
esperienze artistiche contemporanee
Quirino Principe, Il cantante-attore wagneriano tra insidie sceniche e forze
cosmiche
ore 18.00 – Dibattito
SECONDA GIORNATA: 16 settembre
Sala Conferenze di Palazzo Reale
ore 9.30 – Relazione di base:
Patrick Carnegy, With helmet, shield and spear? A brief history of
landmark productions, 1876 – 1990 (Con elmo, scudo e
lancia? Una breve storia delle regie epocali dal 1876 al
1990)
Interventi e dibattito.
ore 11.00 presiede Franco Perrelli
Martin Knust, The Stage Gesture of the Wagner Era
Francesco Ceraolo, La nascita della regia teatrale e l'eredità di Wagner
Marco De Marinis, Wagner e il suo doppio: l'estetica del
Gesamtkunstwerk prima, durante e dopo la regia.
Marco Brighenti, “Azioni della musica rese visibili": registi contemporanei di fronte alle aporie del Wort-Ton-Drama.
SECONDA GIORNATA (continua)
ore 15,30 - presiede Claudio Toscani
Jürgen Maehder, L'intellettualizzazione della regia wagneriana: da
Wieland Wagner a Patrice Chéreau
Kii-Ming Lo, Staging Wagner after Chéreau: The Search for Continous
Innovation at Bayreuth Festival
Marco Targa, Due fallimenti di successo alla Scala: il Tristano di
Appia e il Ring incompiuto di Ronconi
Antonio Somaini, Ejzenštejn e Wagner. Montaggio e opera d'arte totale
Franco Perrelli, Un wagneriano a Stoccolma: Ludvig Josephson e la
protoregia
ore 17.30 – Dibattito
TERZA GIORNATA: 17 settembre
Ridotto “Toscanini” del Teatro alla Scala
ore 9.45 – Saluto del Sovrintendente del Teatro alla Scala
ore 10.00 – Relazione di base:
Katherine Syer, Wagner goes Global: production trends in the 21
Century (Wagner diventa universale: tendenze registiche nel
XXI secolo).
st
ore 11.00 - TAVOLA ROTONDA:
Andrea Estero, moderatore
Antonio Cognata, economista – Albert Dohmen, cantante
Gaston Fournier-Facio, direttore artistico – Denis Krief,
regista – Gustav Kuhn, direttore e regista – Markus Wyler,
Dramaturg
dialogano con
i critici musicali Angelo Foletto e Elvio Giudici, la musicologa
Anna Girardi, il giornalista Alberto Mattioli e la psicanalista
Almatea Usuelli
ore 13.15 Guido Salvetti, intervento di chiusura Convegno ”Mettere in scena Wagner”
Abstracts e CV dei relatori
15 settembre
Keynote: Jean-Jacques Nattiez
Proposta di un quadro teorico per valutare le regie wagneriane
A differenza del libretto e della musica di un’opera, per i quali il testo e la partitura garantiscono
una certa stabilità, la messinscena operistica costituisce una vera e propria ri-creazione dell’opera
e allo stesso tempo ne rende possibile l’esistenza come opera teatrale. Tuttavia, a ogni nuova
generazione, la distanza fra i propositi del regista e l’opera originaria si accresce e si pone
l’immancabile questione della «fedeltà al compositore», espressa spesso in termini critici, polemici
e accusatori. Soprattutto le opere di Wagner sono state al centro di questo tipo di dibattiti. Basti
pensare alle reazioni provocate, spesso con termini sovrapponibili, dagli allestimenti di Adolphe
Appia del Tristano e Isotta alla Scala nel 1923 e dell’Oro del Reno e della Valchiria a Basilea nel 192425; dall’avvento della «Nuova Bayreuth» nel 1951 con i fratelli Wagner e in particolare Wieland;
dallo scandalo provocato dalla cosiddetta ”Tetralogia del Centenario” di Patrice Chéreau nel
1976. I dibattiti attorno al "teatro di regia" infiammarono soprattutto con l’«ascesa al potere» da
parte dei registi durante la direzione di Rolf Liebermann all’Opéra di Parigi (anni Settanta). Nel
2005 e 2007 in Francia apparvero due pamphlets furiosi: La malscéne [in francese la parola malscéne
è omofona di malsaine (malata)] di Philippe Beaussant et C’est l’opéra qu’on assassine! de Jean Goury.
La rivista francese L’Avant-Scène Opéra dedicò prontamente alcune monografie a registi di fama
(Carsen, Chéreau, Py, Sellars), confermando quindi il loro raggiunto status di autori-creatori. Ma al
di là dello stile specifico di ognuno di questi registi, è evidente che il nucleo del dibattito ruoti
sempre attorno alle medesime questioni: in quale misura i registi sono stati fedeli (oppure no) alle
intenzioni del compositore? Cosa ne è del legame tra la scena e la musica? Vi è stato un
tradimento dello «spirito» e della «sostanza» dell’opera?
Per chiarire la natura di quello che viene definito il «giudizio di fedeltà», Jean-Jacques Nattiez
propone un certo numero di nozioni teoriche utili a definire il funzionamento delle messinscena
operistiche e delle reazioni che esse suscitano:
-­‐ la nozione di forma simbolica che permette di chiarire le differenze tra il libretto, le
didascalie, la musica, la scenografia, i gesti degli attori e delle attrici;
-­‐ la necessità di distinguere fra il campo delle strategie dell’autore (livello poietico), le
quali sono scritte nel testo del libretto e della partitura (livello immanente dell’opera) e
le strategie di percezione dei critici, dei musicologi e degli spettatori (livello estesico);
-­‐ una riflessione sulla «verità» o la «validità» dell’interpretazione di un’opera, sia
ermeneutica che teatrale e musicale (sarà proposta la nozione di «verità locale»);
-­‐ è inevitabile che il regista sia obbligato a compiere delle scelte fra le mille possibilità di
messinscena e non esiste nessun allestimento che si possa dire interamente fedele alle
intenzioni del compositore;
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la necessità in cui a volte si trova il regista di non seguire alla lettera la narrazione
operistica, bensì di modificarla al fine di renderla interessante o comprensibile al
pubblico contemporaneo.
Al termine di questa indagine, Jean-Jacques Nattiez prenderà in esame quale sia il margine di
manovra di un regista tra fedeltà e libertà. Tenterà di definire se vi sono allestimenti che è
necessario condannare senza mezzi termini o altri la cui inventiva e originalità permettono, al
contrario, di approfondire e arricchire il significato delle opere.
Jean-Jacques Nattiez è semiologo e musicologo, professore di Musicologia presso l’Università di Montréal. Ha
studiato semiologia con Georges Mounin e Jean Molino e semiologia musicale con Nicolas Ruwet. Ha dedicato
un’ampia parte della sua attività di ricerca al teatro e al pensiero di Richard Wagner. Fra i molti lavori che gli sono
valsi la fama di studioso fra i massimi esperti di Wagner si ricordano: Tetralogies - Wagner, Boulez, Chéreau: saggio
sull’infedeltà (1983), Wagner androgino Saggio sull’interpretazione (1990) e il recente Wagner antisémite (2015). Nel 2001 è stato
insignito del titolo di Cavaliere dell’ordine nationale del Quebec.
Keynote: Jean-Jacques Nattiez
Proposal of a Theoretical Framework to Evaluate Wagner Opera Stagings
While libretto and score ensure an opera some textual stability, staging forms a true re-creation,
which, at the same time, makes its existence as a stage event possible. Yet, as generations follow
one another, the gulf widens between directors’ proposals and the original conception of the
work, and the question whether the former was “faithful” to the latter is inevitably asked in terms
of criticism, controversy, or accusation. Wagner’s operas lie at the very core of such debate. Let
us consider the reactions, often uttered in similar wording, at Adolphe Appia’s staging of Tristan
und Isolde at La Scala, Milan (1923), Das Rheingold and Die Walküre in Basel (1924-25), or at the
“New Bayreuth” (1951) with the Wagner brothers, especially Wieland; or consider the scandal
triggered by Patrice Chéreau’s so-called “centennial” Ring (1976). Arguments have been raging
around the Theaterregie since the directors’ “rise to power”, dating back to Fred Liebermann’s
activity at the Paris Opera (1970). By 2005 and 2007, two bilious pamphlets appeared in France,
namely, Philippe Beaussant’s La malscène [French pun: malscène/malsaine, unhealthy] and Jean Goury’s
C’est l’opéra qu’on assassine! Today, the French magazine, L’Avant-Scène Opéra, devotes essays to
renowned directors (Carsen, Chéreau, Py, Sellars), thus acknowledging their creative status. But,
as we leave aside their individual styles, the debate still revolves around the same questions: Were
directors true to the composer’s intentions? What about the staging/music link? Were the “spirit”
and “essence” of the work betrayed?
In order to clarify the nature of what Prof. Nattiez calls “loyalty judgments”, he will draw
from a few theoretical stances that may help shed light on how opera staging works and the
reactions it triggers:
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The “symbolic form” concept, aiming at clarifying differences among libretto,
captions, music, scenario, actors’ and actresses’ gestures;
The need, if any, to draw a distinction between the creator’s strategy area (poietics),
written down in libretto and score (the immanent level of the work) and the
perception strategies by critics, musicologists, and audience (aesthesics);
A reflection on the “truth” or “validity” of a given interpretation, be it either
hermeneutic or theatrical/musical (the notion of “local truth” is introduced);
The fact that a stage director must choose among endless alternatives, hence no
production can be wholly faithful to the composer’s intentions;
The occasional need for a stage director to drift from a literal rendition of the plot, or
even alter it to make it interesting or understandable to present-day audiences.
Finally, Prof. Nattiez will gauge the director’s narrow path between loyalty and freedom, in an
attempt to establish if certain stagings are to be rejected at all costs, while others display a
creativity and originality that help deepen and enrich the meaning of the works.
Jean-Jacques Nattiez, is a musical semiologist or semiotician and professor of Musicology at the Université de
Montréal. He studied semiology with Georges Mounin and Jean Molino and music semiology with Nicolas Ruwet.
He devoted a large part of his researches to the music and the aesthetics of Richard Wagner. Many books have
gained him the reputation of one of the most important scholar in Wagner studies, among them: Tétralogies: Wagner,
Boulez, Chereau (1983), Wagner Androgyne (1990) and the recent Wagner antisémite (2015). In 1990, he was made a
Member of the Order of Canada. In 2001, he was made a Knight of the National Order of Quebec
Maurizio Giani
Wagner regista: teoria e prassi
Sulla scorta di un’analisi di vari passi di Opera e dramma e di scritti di Wagner che trattano
l’allestimento di alcune sue opere, corredata da alcuni ascolti, viene proposta una riflessione sulla
sua concezione gestuale della musica applicata al dramma, che postula una corrispondenza precisa
tra la “melodia orchestrale” e il gesto scenico; Wagner si spinge sino a sostenere che quest’ultimo
in determinati casi è la “sostanza” (Hauptsache), il vero motivo drammatico, mentre la frase in
orchestra è la “cosa secondaria” (Nebensache), l’accompagnamento di quel motivo. Se il regista non
coglie questo nesso e non si regola di conseguenza nel lavoro con i cantanti, la frase in orchestra
si troverà in un rapporto rovesciato rispetto all’azione, creerà un effetto puramente musicale,
spezzando l’unità organica dell’insieme.
Maurizio Giani ha studiato filosofia e musica a Fireze. Diplomato in chitarra sotto la guida di Alvaro Company, ha
svolto attività concertistica sino al 1990. Si è addottorato in musicologia all'Università di Bologna con una
dissertazione sulla formazione dell'estetica wagneriana, pubblicata col titolo Un tessuto di motivi. Le origini del pensiero
estetico di Richard Wagner, Torino, Paravia-De Sono, al 1999. Docente dal 1994 di Storia della musica moderna e
contemporanea nell'Università di Salerno, dal 2002 insegna Estetica musicale nell'Università di Bologna. Ha
pubblicato studi sul teatro musicale tedesco, sull'analisi del Lied romantico, su vari problemi di lessicografia musicale
e sui rapporti tra estetica e composizione nell'Otto e Novecento; tra le sue più recenti pubblicazioni la monografia
Johannes Brahms (Palermo 2011) e la traduzione commentata di Opera e dramma, con le varianti del manoscritto e delle
tre edizioni curate da Wagner (Roma, 2016).
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Maurizio Giani
Wagner as a Director: Theory and Praxis
This paper, integrated by selected listenings, draws from the discussion of several passages from
Wagner’s Opera and Drama and other writings. His musical theater conception called for a tight
correlation between “orchestral melody” and stage gesture. He goes as far as stating that, on
occasion, gesture is “substance” (Hauptsache), i.e. the real dramatic element, while the associated
orchestra passage is a background “secondary element” (Nebensache). As a director fails to get the
point and act accordingly, such relationship reverses, thus triggering a purely musical effect and
breaking the unity of the work.
Maurizio Giani studied philosophy and music in Florence. He earned his Ph. D. from Bologna University, and has
taught at the Salerno University and the University of Bologna, where he is Associate Professor for Music Aesthetics.
The focus of his research is German music and aesthetics of the nineteenth and twentieth century. His major
publications include two monographs, Un tessuto di motivi. Le origini del pensiero estetico di Richard Wagner (Turin, 1999),
and Johannes Brahms, Palermo, L'Epos, 2011. More recently appeared his translation of Wagner’s Oper und Drama, with
introduction, a large commentary, including also the deleted passages in the manuscript and the textual variants
occurring in the three editions of the treatise published by Wagner.
Roberto Diodato
L'idea di opera d'arte totale oggi: da Wagner alle esperienze artistiche contemporanee
L'idea di opera d'arte totale oggi, all'epoca del tramonto concettuale dei generi artistici e con la
diffusione delle arti performative, si incrocia con le ricerche sulle nozioni di immersività e
interattività consentite dalle tecnologie digitali e con la trasformazione dello spettatore in agente
dell'operazione artistica nel suo complesso. A partire dalle suggestioni wagneriane verranno
forniti alcuni esempi di opera d'arte quasi-totale odierna.
Roberto Diodato insegna Estetica all'Università Cattolica del Sacro Cuore. Si è occupato del rapporto tra estetica e
ontologia nell'età moderna e contemporanea e del rapporto tra estetica e nuove tecnologie. Tra le sue pubblicazioni:
Estetica del virtuale, Milano 2005; Estetica dei media e della comunicazione (con Antonio Somaini), Bologna 2011,
Logos estetico, Brescia 2012; L'invisibile sensibile, Milano 2012; Relazione e virtualità, Bologna 2013.
Roberto Diodato
Total Artwork Today: From Wagner to Present-Day Art Experiences
Today, as the art genre notion declines and performance arts gain ground, the “total art work”
idea intersects explorations of full immersion and interactivity allowed by digital technology, with
spectators being also turned into active agents. Starting from Wagner hints, the author points to
contemporary examples of quasi-total art work.
Roberto Diodato teaches Aesthetics at the Università Cattolica del Sacro Cuore, Milan. He studies the
aesthetics/ontology and aesthetics/new technology relationships in modern and contemporary art. His bibliography
includes: Estetica del virtuale (Milan 2005), Estetica dei media e della comunicazione (with Antonio Somaini, Bologna 2011),
Logos estetico (Brescia 2012), L’invisibile sensibile (Milan 2012), Relazione e virtualità (Bologna 2013).
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Quirino Principe
Il cantante-attore wagneriano tra insidie sceniche e forze cosmiche
L’unicità dei “Musikdramen” wagneriani nel lascito storico del teatro d’opera (e anche,
distinguendo, nella musica occidentale e nel teatro d’Occidente) si manifesta attraverso molti
aspetti, alcuni fra i quali sono più attentamente esaminati. Altri, pure mai trascurati, rimangono
sovente sottintesi, impliciti. Nel nostro intervento si vuole dar rilievo a questi ultimi mediante una
definizione che li unifichi: nessuno, come Richard Wagner, ha dato al proprio lavoro musicale,
poetico e teatrale una pienezza e forza di significato totale. Totale come sistema meraviglioso e
terribile nel suo insieme (poiché, come avverte Rilke al principio delle Duineser Elegien, «das
Schöne ist nichts als des Schrecklichen Anfang»), e totale in ciascuno dei suoi innumerevoli
elementi preso a sé e analizzato: ciascuno è chiamato a dar conto della propria energia
significante. Soprattutto nella fase matura del suo “Musiktheater”, dopo la profonda
rielaborazione comunicata in due scritti fondamentali del 1851, Oper und Drama e Eine Mitteilung
an meine Freunde (ma la tendenza, non ancora sistematizzata, è visibile anche nei lavori d’esordio, si
rafforza in molte pagine di Rienzi, dilaga in quasi tutta la partitura del Fliegender Holländer), la
musica è vera sorgente e guida dell’energia significante. L’idea generatrice s’impone anche al
minimo dettaglio, e ogni dettaglio è specchio dell’idea. Pensiamo al passo dantesco (Paradiso
XXIX, 144-145) in cui lospecchio si spezza in molti minuscoli frammenti, ma ogni frammento
riflette l’immagine tutta intera. Esiste una maniera fuorviante d’intendere l’illustre concetto di
“Gesamtkunstwerk”, che è vano intendere come frutto di un’équipe professionale, quasi una
squadra di artisti esercitanti diverse arti (o di competenze diverse dominate con mano ferma da
un drammaturgo o compositore molto versatile), ed ecco il poeta che scrive il testo e si accorda,
attraverso fraterne discussioni, con il musicista, mentre il pittore o architetto si occupa delle scene
e dei costumi, e l’illuminotecnico delle luci, e il direttore musicale delle voci e dell’orchestra, e il
regista dei movimenti scenici, dei gesti, della mimica. Crediamo che il significato di
“Gesamtkunstwerk” sia altro: ciascuna delle arti converge con le altre, ciascun elemento d’arte
assorbe a tal punto il linguaggio degli altri da farsi loro “rappresentante”, e tutti si annodano
nell’idea generatrice, che a sua volta assume piena semantica e linguaggio polivalente
nell’invenzione musicale che tutto unifica e regge. Ciò implica un tremendo vincolo che pesa sulla
“Aufführung”. L’esecuzione musicale, indissolubilmente legata alla rappresentazione scenica
come non avviene in alcun esempio di teatro musicale d’altri autori sia pure eccelsi, obbliga
ciascun esecutore a uno sforzo intellettuale e artistico d’intelligenza profonda e ampia dei
significati: il Kapellmeister deve indurre gli orchestrali a fiammeggiare nel finale della Walküre e a
distillare malinconici profumi nel preludio all’atto III di Tristan und Isolde o ad atterrire il pubblico
nel momento in cui la nave dell’Olandese approda al lido di Norvegia, registi e scenografi e
costumisti devono penetrare in quei significati e non affidarsi troppo alle proprie esperienze
professionali, gli interpreti cantanti devono conoscere a fondo, nei minimi dettagli, le “dramatis
personae” che essi incarnano. Siamo costretti a osservare che il compito, di solito, viene onorato
secondo una qualità di grado “discendente” in parallelo con l’ordine degli esecutori che abbiamo
enumerato. Ma l’insufficienza dell’esito colpisce e disturba la grandezza incomparabile dell’opera
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eseguita soprattutto se valutiamo la prestazione attoriale dei cantanti. Non c’è dubbio: l’attore che
è dentro il cantante si è rivelato l’elemento debole. Su di lui (o si di lei) grave un peso immane che
lo schiaccia. O, con altra metafora, se un “Musikdrama” wagneriano è una potentissima macchina
da guerra (una guerra combattuta con armi onnipotenti, logos, mythos, eros, in nome della bellezza e
della verità dei significati), l’attore che è dentro il cantante è il fante di terra, male armato e non
protetto. Certo, il grande, nobile e coltivato cantante wagneriano può essere un combattente
catafratto, agguerrito, eroico. Può, in quanto artista votato alla musica, intuire e persino capire che
musica e teatro sono sempre atti di pensiero e modi di collocarsi dinanzi al mondo. In termini
radicali ed esplicitamente filosofici, diremo: «modi di configurarsi nell’essere, nello spazio, nel
tempo». In quanto musicisti, i cantanti wagneriani possono essere (lo sono spesso, sublimandoci)
veicoli dei significati supremi e archetipici che Wagner, soprattutto dopo Der fliegende Holländer, si
propose di tradurre nelle forme dei “Musikdramen”. È possibile far sì che anche l’attore implicito
nel cantante raggiunga tale consapevolezza e la conseguente energia deíttica, iconica, semantica?
La risposta è sì, purché l’attore (o l’attrice, sovente più dotata d’intelligenza propriamente teatrale)
acquisti la certezza che la suddetta “energia di significato totale” è direttamente proporzionale a
un sapere che quasi sempre manca all’attore, le cui conoscenze (lo diciamo per sovrabbondante
esperienza) sono por lo più frutto di vita vissuta, di letture occasionali e irrelate, superficiali,
frettolose e trascinate da finalità pratiche. Più che un diligente studio, che di rado mette radici, è
necessaria una “Bildung” che conduca l’attore wagneriano (ma spesso anche il nodo
cantanteattore, anche il regista o lo scenografo o il costumista o l’illuminotecnico…) dallo stato di
scandalosa e inaccettabile ignoranza persino del libretto (ma sì, delle parti del testo che «non mi
competono…», si odono anche simili enunciati) a una progressiva conoscenza del nesso
librettistacompositore, verso le radici letterarie o storiche del testo, e, importantissimo (e
rarissimo!) verso i “topoi” e gli archetipi e le “symbolische Formen” sempre lampeggianti alle
origini. Per essere più fedeli ai significati di un “Musikdrama” wagneriano, talvolta è d’obbligo
essere infedeli alle didascalie dell’autore, che a volte ci sconcertano come suggerimenti registici
spinti alla gestualità e alla mimica facciale. Altrimenti, è come avventurarsi, come lo scriteriato
Sindbad il marinaio, su una nave destinata ad essere implacabilmente attratta (a causa dei chiodi e
del materiale metallico che tiene insieme il suo fasciame) da una roccia tutta costituita da un
immenso magnete, e dunque condannato alla morte per annegamento dopo che il magnete abbia
fatto saltar via chiodi e chiavarde dal legno della nave, sfasciando così l'infelice natante. Il
cantante-attore wagneriano, proprio nella sua prestazione attoriale, rischia continuamente di
essere stritolato tra la propria temerità e le forze cosmiche attivate dall’energia della musica.
Questo intervento chiede risposte in materia agli scritti wagneriani in materia. Oltre a
numerosissimi cenni sul tema, sparsi in vari saggi, lettere, prefazioni (importantissimi quelli in
Oper und Drama), Richard Wagner si pronunciò che esattezza e decisione soprattutto un tre scritti
degli anni Settanta: Über die Bestimmung der Oper (1871), Über Schauspieler und Sänger (1872), Brief über
das Schauspielerwesen an einen Schauspieler (1872, spesso erroneamente datato al 1873). Wagner parla
volentieri di alcuni cantanti della generazione precedente la sua, da lui ascoltati nell’adolescenza e
nella prima giovinezza, esprimendo giudizi sui loro pregi o difetti attoriali. Fra essi: Christoph
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Ernst von Houwald (1778-1845), Amandus Gottfried Adolf Müllner (1774), Sophie Antoinette
Luise Bürger-Schröder (1781-1868), madre della grandissima interprete wagneriana Wilhelmine
Schröder-Devrient. Più di rado, Wagner parla di cantanti interpreti delle sue opere.
Al di là di questo impegno, che responsabilizzerebbe direttori musicali, registi, scenografi, nei
confronti dei cantanti-attori (ma…«quis custodiet custodes?»), esistono nei “Musikdramen”
wagneriani situazioni sceniche senza dubbio difficilissime sotto l’aspetto attoriale. Questo
intervento ne esamina tre, a titolo d’esempio: (1) in Tannhäuser, atto II, la scena iniziale con
Elisabeth sola nella “Sängerhalle”; in Tristan und Isolde, atto I, la scena in cui Tristan e Isolde
bevono il “Liebestrank”; (3) in Siegfried, atto III, il risveglio di Brünnhilde, da «Das ist kein
Mann…» a «…lachender Tod!».
Quirino Principe, nato a Gorizia nel 1935, laureato in filosofia a Padova nel 1956, ha insegnato nei Licei Classici,
poi nei corsi superiori di musicologia del Conservatorio di Milano, all’Università di Trieste (storia della musica
moderna e contemporanea, 2000-2005), all’Università di Roma Tre (filosofia della musica, 2005-2011). Insegna
drammaturgia musicale, librettologia, metrica e retorica nell’Accademia per l’Opera di Verona. Fra i suoi libri: Mahler
(1983), Strauss (1989)¸ L’opera tedesca 1830-1918 (2004), Musica (2010), Wagner e noi: “Lohengrin” (2012),
L’umano atterrito dal soprannaturale: “Tannhäuser” (2013), I quartetti per archi di Beethoven (1993, nuova ediz.
accresciuta e riveduta 2014), Musica, eco di Lucifero (2016) Poesie: Il libro dei cinque sentieri (1973, Premio
“Sebeto” 1974), Aion, dopo Assenzio (2016). In forma poetica sono i suoi testi melologici Fuoco aquileiese (2004,
musica di Davide Pitis), Speculum mundi (2007, musica di Mario Pagotto), Sull’onda del Danubio verso Oriente
(2008, musiche di Johannes Brahms), Sul mare amaro dell’amore (2008, musica di Silvia Colasanti), L’acqua, il
mondo e l’oltremondo (2011, musiche di vari autori), I giocattoli di Amadeus (2015, musiche di Leopld Mozart),
Selve e acque di Boemia (2015, musiche di Bedřich Smetana, Antonín Dvořák e Leoš Janáček), tutti eseguiti, con lui
stesso come voce recitante. Altre sue poesie sono raccolte in volumi antologici. Poesie di Quirino Principe sono state
messe in musica da Bruno Bettinelli, Marlaena Kessick, Sonia Bo, Massimo Di Gesu. Autore di molti saggi e testi
teatrali, traduttore d’innumerevoli testi poetici, narrativi e saggistici dal tedesco e da altre lingue, ha ricevuto il Premio
“Ervino Pocar” 1991 per la traduzione dal tedesco, il Premio Imola 2007 per la critica musicale, il Premio “Città di
Gorizia” 2005, il Premio per la diffusione della cultura della Regione Friuli Venezia Giulia (2008), il Premio
“Frascati” per la filosofia (2010), il Premio “Friulani della Diaspora” 2012, il Premio “Giacomo Casanova” al
Castello di Spessa (2013), il Premio “Pia Baschiera Tallon” (Pordenone 2016). Quirino Principe è lo “storico”
curatore (1970) dell’edizione italiana del Signore degli Anelli di John Ronald Reuel Tolkien. Dal 1992, collabora al
supplemento culturale del «Sole 24 Ore». Quirino Principe ha ricevuto nel 1996, dal presidente della Repubblica
d’Austria, la Croce d’Onore di 1a Classe “litteris et artibus”. Nel 2009, è stato nominato dal Presidente della
Repubblica Italiana cavaliere per meriti culturali e artistici. Da sempre, combatte per il conseguimento di tre obiettivi:
(a) l’introduzione della musica come insegnamento obbligatorio e curricolare in tutti gli ordini e gradi
dell’ordinamento scolastico italiano, (b) la promozione della lingua e della cultura italiana contro l’abuso idiota di
forestierismi e soprattutto di anglicismi (e l’ammonimento a studiare le lingue classiche, greca e latina, come
irrinunciabili strumenti di memoria storica e d’identità occidentale e laica), (c) l’affermazione intransigente e assoluta
della laicità nelle istituzioni e nella legislazione dello Stato italiano, contro ogni velleità confessionale.
Quirino Principe
Wagner’s Singer-Actor: Between Stage Pitfalls and Cosmic Forces
In opera history, as well as in Western music and Western theater as separate entities, Richard
Wagner’s Musikdramen are unique in many respects. Some of these usually undergo closer
scrutiny; others are often implied, although not ignored. This paper stresses the latter aspects by
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means of an all-encompassing definition: nobody like Wagner ever gave his musical-poetictheatrical work such total signifying fullness and force. This is as total as a wondrous yet scary
system for, Rilke warns in the first lines of his Duineser Elegien, «das Schöne ist nichts als des
Schrecklichen Anfang». Also, it is total in each of its many elements, separately taken and
discussed, each one being called to display its signifying energy.
Music is the veritable wellspring and leading force of such signifying energy, especially in
Wagner’s maturity, after the deep rethinking conveyed in his major 1851 writings, Oper und Drama
and Eine Mitteilung an meine Freunde. However, such tendency already peeps out (although
inconsistently) in his early works, grows strong in many passages of Rienzi, and looks almost allpervading in Der fliegende Holländer. The generating idea rules everywhere, down to the tiniest
detail, and each detail mirrors it. Think of Dante’s lines (Paradiso XXIX, 144-145) about a mirror
breaking into little pieces, with each piece mirroring the whole image.
It is both useless and misleading that the celebrated Gesamtkunstwerk notion is intended as the
result of some teamwork among artists, all well versed in sundry crafts, under the stern hand of a
versatile composer or writer—e.g. a poet friendly harmonizing his text with the composer’s will,
while painter and architect, lighting technician, conductor and director work accordingly. In our
opinion, Gesamtkunstwerk rather means that each art merges with the others and absorbs them,
until it ends up representing them all; also, all arts intertwine in the generating idea which, in turn,
takes on its full and multiple significance in music, the all-supporting and all-unifying element.
Such view charges a tremendous burden on performance, linking it to staging like never before,
not even in the greatest masters. Every performer is expected to make an intellectual and creative
effort to deeply grasp all meanings: the conductor must lead the orchestra into a flaming finale of
Die Walküre, a distilled melancholy aroma in Tristan und Isolde Prelude from Act III, or a scary
docking of the Dutchman’s ship to Norway. Directors, scenographers, and costume designers
must get deep into those meanings rather than largely rely upon their professional experiences.
Singers must know in detail the dramatis personae they embody. Such tasks, it must be noticed, are
usually honored by the above-listed artists in descending quality order. Their not being up to their
respective tasks hampers the greatness of an opera staging, especially with singers. The actors
inside singers have long emerged as the weakest ring in the chain. They are floored by their
burden; or, to pick up another metaphor, if a Musikdrama is a poweful war machine (in a war
fought by such omnipotent weapons as logos, mythos, and eros, in the name of beauty and truth),
they are poorly armed and equipped soldiers.
Of course, great, noble, cultivated Wagner voices can be well-shielded, heroic fighters. As artists
devoted to music, they can sense, or even understand, that music and theater are ways of thinking
and facing the world—in radically philosophical terms, «ways of existing in universe, space, and
time». As musicians, Wagner singers can be (and often happen to be, whenever achieving the
sublime) the media of the highest archetypical meanings Wagner aimed at pouring in his
Musikdramen, especially after Der fliegende Holländer. Can the actors hidden in singers raise to a
similar awareness, hence definitional, iconic, semantic energy? Yes, if and when an actor — or an
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actress, often endowed with greater theatrical intelligence — rests assured that said “total meaning
energy” is in direct ratio to a knowledge actors seldom acquire. Theirs (as we know out of a long
experience) mostly comes from practical life—sparse, superficial, quick, unsystematic readings,
driven by immediate needs. What is required is no assiduous study, which would hardly get
rooted, but rather a Bildung, driving actors (as well as singer-actors, directors, scenographers,
costume designers, lighting technicians…) from their shameful ignorance of libretto (sure, of
those parts that «don’t involve me…», as it was heard) to a gradual understanding of the
librettist/composer connection, of the historical or literary roots of the text and — as important
as rarely found! — of the original topoi, archetypes, and symbolic forms still shining through. In
order to keep more faithful to the meaning of a Musikdrama, one must occasionally be unfaithful
to Wagner’s directions, sometimes confusingly detailed, down to single gestures and facial
espressions. Otherwise, it is a bit like the story of Sindbad the sailor, venturing on a ship kept
together by iron nails and plating; these are drawn by a big magnetic rock, the unfortunate vessel
breaks into pieces, and Sindbad drowns. Wagner singers, when called to work as actors, are in
perpetual jeopardy of getting squeezed between their recklessness and the cosmic forces activated
by music.
This paper looks for answers in Wagner’s own writings. Besides sparse hints in essays, letters, and
prefaces (see especially Oper und Drama), he sharply expressed himself in three writings, namely,
Über die Bestimmung der Oper (1871), Über Schauspieler und Sänger (1872), Brief über das Schauspielerwesen
an einen Schauspieler (1872, but often mistakenly dated 1873). He willingly expands on older
singers, whom he heard as a youth, weighing their strong and weak sides as actors. They include
Christoph Ernst von Houwald (1778-1845), Amandus Gottfried Adolf Müllner (1774), and
Sophie Antoinette Luise Bürger-Schröder (1781-1868), mother of the supreme Wagnerian
performer, Wilhelmine Schröder-Devrient. Wagner also occasionally deals with singers who took
part in his own operas.
Besides such pledge, which would give conductors, directors, or scenographers bigger
responsibilities toward singers-actors (and yet, «Who oversees overseers?»), Wagner’s
Musikdramen host several difficult passages for an actor. Three are discussed here: (1) Tannhäuser,
Act II, the opening scene with Elisabeth alone in the Sängerhalle; Tristan und Isolde, Act I, the scene
with the two drinking their Liebestrank; (3) Siegfried, Act III, Brünnhilde’s awakening, from «Das ist
kein Mann…» to «…lachender Tod!».
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16 settembre, mattino
Keynote: Patrick Carnegy
Con elmo, scudo e lancia? Reinventare Wagner dopo Hitler
Vorrei parlare principalmente delle produzioni wagneriane del secondo Dopoguerra, dal 1951 al
1982, centenario della prima rappresentazione del Parfsifal. Gli allestimenti più significativi di
questo periodo cruciale devono fare i conti con il problema dell’appropriazione di Wagner da
parte di Hitler e del Nazismo a fini demoniaci. In questo periodo era infatti necessario trovare dei
modi per esorcizzare quei terribili fantasmi, per depurare quella eredità, per quanto fosse
possibile, al fine di risanare l’immagine di Wagner e gettare un ponte fra le problematiche del
nostro mondo moderno e quelle della sua epoca. Dopo la guerra, nella ancora divisa Germania,
emersero due principali strategie. Nella Germania occidentale la strategia dominata da Wieland
Wagner fu inizialmente quella di cercare di de-politicizzare le opere di Wagner concentrandosi sui
loro aspetti psicologici. Esse non trattavano del Potere e del suo abuso da parte degli eroi nordici
e germanici, bensì di semplici metafore della psiche umana. Ambientazioni astratte eliminarono la
dimensione storica, palcoscenici in penombra avrebbero invitano a concentrarsi unicamente sulla
musica. Nella Germania orientale, sotto il controllo del marxismo socialista, le opere di Wagner
furono invece ri-politicizzate. Wagner, il rivoluzionario del 1849, fu riesumato e il Ring presentato
come un’allegoria di tutti i mali del capitalismo del XIX secolo. Questa chiave interpretativa è
presente in buona parte all’interno del famoso allestimento del centenario del Ring diretto da
Chéreau. Con esso il cammino verso il post-moderno fu segnato.
Un’importante voce fuori da coro fu invece il regista della Germania orientale Hans Jürgen
Syberberg, il quale rifiutò decisamente quella che egli definiva una strategia “escapista” della
maggior parte degli allestimenti del Dopoguerra. Ciò che per Syberberg questi allestimenti
wagneriani non avevano infatti compiuto era il gesto di “piangere” la colpa nazista, affrontandola
in maniera aperta. Nel film psicologia, politica, storia e teatralità vengono invece potentemente
miscelati e il suo lascito di questa lettura avrebbe avuto un fortissimo impatto negli sviluppi
successivi della messinscena wagneriana.
Patrick Carnegy ha ricoperto per la prima volta nella storia il ruolo di ”Dramaturg” (consulente di produzione) alla
Royal Opera House, Covent Garden, dove ha lavorato a fianco di importanti direttori, registi e scenografi. Le sue
pubblicazioni includono Faust as Musician (1973), uno studio del Doktor Faustus di Thomas Mann, e Wagner and the Art
of the Theatre (Yale, 2006) che ha riscosso ampi consensi critici, ricevendo il Royal Philharmonic Society Music Award
in Gran Bretagna e il George Freedley Memorial Award negli USA per lo ”straordinario contributo alla storia del
teatro”. Il suo attuale impegno di ricerca verte sulle influenze di Shakespeare su Wagner, argomento sul quale sta
tenendo varie conferenze in Inghilterra e all’estero, nell’anno del quarto centenario dalla morte del drammaturgo.
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Keynote: Patrick Carnegy
With helmet, shield and spear? Reinventing Wagner after Hitler
I would like to talk principally about post-war Wagner production from 1951 until 1982,
centenary of the first performance of Parsifal. The significant productions of this critical period
are shaped by their response to the appropriations of Wagner for demonic ends by Hitler and the
Nazis. Ways had to be found for exorcizing the terrible ghosts; to cleanse the inheritance, in so
far as this was possible, to reclaim Wagner, and to build bridges between the concerns of our
modern world and those of Wagner in his own time. These, as my colleague Professor Syer will
surely show, are also still the driving forces behind many of the best productions of the past 30
years. After the war there were, in the still-divided Germany, two principal strategies. In West
Germany it was initially dominated by Wieland Wagner's quest to de-politicize the operas by
concentrating on their psychology. They were not about Power and its abuse among Nordic and
Germanic heros, but simply metaphors for the human psyche. Abstract settings would refute
history, darkened stages would invite hightened concentration on the music. In an East Germany
under the thumb of marxist socialism, the operas were re-politicized. Wagner the revolutionary
of 1849 was resurrected, the Ring presented as an allegory of the evils of C19th capitalism. This
interpretative angle carries forward to some extent into Patrice Chéreau's famous centenary
staging of the Ring. By 1976, ten years after Wieland's death, Wolfgang Wagner's Bayreuth was
more than ready to find a new direction. Sensationally it did so by calling in the French team of
Pierre Boulez and Chéreau. This was not as 'political' a production as has sometimes been
suggested. What it did do was to connect Wagner's ideas of theatricality with those of the modern
world. In Rheingold, we have gods in Baroque costumes. In Götterdämmerung, Hagen in a scruffy
lounge suit and Siegfried and Günther in dinner jackets. It was a liberation from all previous
notions of Werktreue, of the idea that the Ring was a coherent, synchronous drama. The path to
post-modern interpretation lay ahead. An important dissenting voice was that of the EastGerman film-maker Hans Jürgen Syberberg who recoiled from what he considered, sometimes
accurately and sometimes not, the 'escapist' strategies of most post-war productions. He argued
that these wallowed, quite culpably in guilt, egged on by the leftist, even Marxist, philosophies of
Adorno, Marcuse and Bloch. What, in Syberberg's view, these stage productions had not done
was to 'mourn' for that guilt by facing up to it. He'd made a bold start by persuading Winifred
Wagner to talk at length on camera about 1930s Bayreuth and her close friendship with Adolf
Hitler. Much to the fury of Winifred's son, Wolfgang, Syberberg released the resultant film, The
Confessions of Winifred Wagner, in 1975, just one year before Bayreuth's planned internationalist
'French' Ring. Syberberg then embarked upon his remarkable 1982 film version of Parsifal. This
grappled directly with Wagner's own awkward personality, and fearlessly with the history of
German's problematic entanglement with Parsifal (and the other operas). In the film, psychology,
politics, history and theatricality are all potently intertwined. Its legacy has impacted powerfully
on the course of subsequent Wagner stage performance.
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Patrick Carnegy was the first person to be appointed Dramaturg (literary and production adviser) at the Royal
Opera House, Covent Garden, where he worked with leading conductors, directors and designers. Dr Carnegy's
books include Faust as Musician (1973), a study of Thomas Mann's Doktor Faustus, and Wagner and the Art of the Theatre
(Yale, 2006) which has been critically acclaimed, winning a Royal Philharmonic Society Music Award, and in the USA
a George Freedley Memorial Award for its 'outstanding contribution to the history of the theatre'. His current work
is on Wagner's indebtedness to Shakespeare, on which subject he is lecturing at home and abroad as a contribution
to the 400th anniversary of the playwright's death.
Martin Knust
Il gesto teatrale nell’era di Wagner
Negli ultimi decenni le prassi esecutive storicamente informate hanno suscitato interesse non solo
in riferimento all’aspetto musicale, ma anche alle altre forme artistiche presenti nel teatro
musicale. Fra le altre, sono state oggetto di indagine l’illuminotecnica, la scenografia, la
costumistica e infine la scenotecnica. Ciò che è stato trascurato è invece il linguaggio corporeo
degli attori, un codice molto differente da quello attuale. Il ruolo del gesto è un tema di grande
importanza specialmente in riferimento a Wagner. Spesso la sua musica è in stretta correlazione
con l’atteggiamento gestuale del cantante, tanto che alcune parti delle sue partiture finiscono per
essere un’amplificazione della gestualità tipica della sua epoca. Inoltre egli fu sempre bramoso di
verificare meticolosamente la resa gestuale dei sui personaggi insieme ai suoi cantanti. Per
illustrare la distanza della gestualità dell’epoca wagneriana con quella attuale, saranno presentati
alcuni documenti musicali, iconografici, verbali e filmici che permettono di farci un’idea della
prassi recitativa del diciannovesimo secolo. Comprendere i caratteri dello stile di recitazione del
diciannovesimo secolo significa infatti comprende aspetti fondamentali della forma e dell’estetica
delle opere wagneriane.
Martin Knust ha studiato musicologia, teologia e filosofia a Greifswald, Berlino (Humboldt University) e a Dresda
(Technical University). Si è laureato in musicologia nel 2000 e ha conseguito il dottorato nel 2006. Dal 2007 ha
tenuto corsi presso l’Università “E. M. Arndt” di Greifswald, la Technical University di Berlino, la University of
Örebro e il Royal College of Music di Stoccolma. Dal 2008 al 2012 ha avuto un assegno di ricerca presso l’Università
di Stoccolma. Dal 2013 è ricercatore in musicologia presso il Dipartimento di Musica e Arte della Linnæus University
a Växjö, Svezia, dove dal 2015 è membro del centro di ricerca “Intermedial Studies”. È stato guest teacher presso
istituzioni accademiche in Svizzera, Finlandia, Estonia, Portogalllo and Kenya. È autore di varie pubblicazioni, in
particolare su Richard Wagner, Jean Sibelius e altri compositori del Nord Europa dell’Ottocento e del Novecento,
sulla musica sacra del Cinquecento e sulla musica cambogiana. [email protected]
Martin Knust
The Stage Gesture of the Wagner Era
During the last decades the historical informed performance practice has gained attention not
only concerning music research but also concerning the other arts which are involved in
performing music theatre. Among others, the light and stage design, including costumes, as well
as the stage technology of the past has been investigated. What has been omitted is the body
language of the actors which was very different from modern customs. Especially in the case of
Wagner the role of the gesture is an important issue. Wagner had the habit to create his music
often in close connection with the physical delivery of the singer. Some parts of his scores turn
out to be enlarged contemporary theatre gestures and he was eager to rehearse the gestural
embodiment of his characters thoroughly with his singers. For illustrating the historical distance
of modern theatre to the gesture of the Wagner era, I will present music-iconographical, verbal
and filmic sources which allow us to get a glimpse of the performance practice in the 19th century.
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Understanding the characteristics of 19th-century acting means to understand both central aspects
about the shape and the aesthetics of Wagner’s works.
Martin Knust studied musicology, theology and philosophy in Greifswald, Berlin (Humboldt University) and
Dresden (Technical University). Magister Artium (M.A.) in musicology 2000, grade of a Dr. phil. 2006. Since 2007
appointments and lectureships at the E.-M.-Arndt-University in Greifswald, the Technical University Berlin,
University of Örebro and the Royal College of Music in Stockholm. 2008–2012 Postdoctoral research fellow at the
University of Stockholm. Since 2013 Senior lecturer in musicology at the Department of Music and Art at the
Linnæus University in Växjö, Sweden. Since 2015 member of the research center “Intermedial Studies” at Linnæus
University. Guest teacher at academic institutions in Switzerland, Finland, Estonia, Portugal and Kenya. Various
printed and broadcasted publications, especially about Richard Wagner, Jean Sibelius and other Northern composers
of the 19th – 21st centuries, the church music of the 16th century, and the music of Cambodia. [email protected]
Francesco Ceraolo
La nascita della regia teatrale e l'eredità di Wagner
L’estetica wagneriana rappresenta il gesto fondativo del concetto di regia, ovvero il momento in
cui la prassi teatrale avverte l’esigenza di fondarsi a partire da un atto performativo, di cui il
regista è il reggente, e non più solo dall’eternità del testo musicale e drammaturgico, di cui invece
è responsabile l’autore. Ancor prima che alla necessità di tradurre il linguaggio musicale nella
concretezza materiale della rappresentazione (come evidenzierà Appia), la nascita della regia in
Wagner è intimamente legata alla volontà di dare corpo all’idea di opera d’arte totale, in cui la
totalità umana, la fluidità inafferrabile della vita, deve potersi fissarsi nell’attimo della scena. È
infatti proprio attraverso il regista che la scena diventa il luogo di compresenza e incontro tra il
temporale e l’atemporale, tra l’immanenza materiale dell’esistere e l’eternità delle verità prodotte
dall’arte. Muovendosi in questo orizzonte, l’intervento analizzerà come sulla scorta dell’estetica
wagneriana il primo Novecento teatrale, in alcune delle sue numerose e diversificate esperienze,
abbia concepito la regia quale lo strumento di affermazione e gestione dell’evenemenzialità della
scena e della sua capacità di produrre un nuovo orizzonte di senso per il teatro e per la vita stessa.
Francesco Ceraolo insegna Teatro e opera e Analisi del film presso l’Università della Calabria. Studioso dei rapporti
tra filosofia e arti dello spettacolo, tra le sue pubblicazioni troviamo: Registi all’opera. Note sull’estetica della regia operistica
(Bulzoni, 2011), Verso un'estetica della totalità. Una lettura critico-filosofica del pensiero di Richard Wagner (Mimesis, 2013) e la
voce «Opera» per il Lessico del cinema italiano. Forme di rappresentazione e forme di vita (Mimesis, 2015). È redattore di «Fata
Morgana» e ha curato l’edizione italiana degli scritti sul teatro di Alain Badiou Rapsodia per il teatro. Arte, politica, evento
(Pellegrini, 2015). Nel 2015 è stato insignito dal Teatro La Fenice del premio «Arthur Rubinstein – Una vita nella
musica» per gli studi musicologici.
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Francesco Ceraolo
Wagner’s Heritage and the Birth of the Theater Director
Wagner’s aesthetics marks the foundation act of theater directorship, that is, the moment when
the need is felt to start a theatrical practice based on a performative act, with the director as
regent, rather than out of the composer’s timeless musical/verbal text. Wagner’s birth of
directorship stems not just out of a need to turn music into a physical stage event but — as
Adolphe Appia would stress — first and foremost out of the composer’s will to turn his total art
work idea into reality, thus capturing on stage the wholeness of human nature, the uncanny flux
of life. Thanks to the director, the stage becomes the place where time and timelessness, physical
immanence and art’s eternal truths, co-exist and meet. This paper discusses how some of early
20th-century sundry stage experiences drew from Wagner and used stage direction to state and
control stage evenementiality and its capacity to generate a new horizon of meaning for both
theater and life.
Francesco Ceraolo researches the relationships between philosophy and stage arts. He teaches Theater and opera as
well as Film analysis at the Università della Calabria. His bibliography includes: Registi all’opera. Note sull’estetica della
regia operistica (Bulzoni, 2011), Verso un’estetica della totalità. Una lettura critico-filosofica del pensiero di Richard Wagner
(Mimesis, 2013) and the entry, «Opera», for Lessico del cinema italiano. Forme di rappresentazione e forme di vita (Mimesis,
2015). He is editor of the review, Fata Morgana, and of the Italian edition of Alain Badiou’s writings, Rapsodia per il
teatro. Arte, politica, evento (Pellegrini, 2015). In 2015 the Teatro La Fenice, Venice awarded him the Arthur Rubinstein
Prize for musicology.
Marco De Marinis
Wagner e il suo doppio: l'estetica del Gesamtkunstwerk prima, durante e dopo la regia.
L’estetica wagneriana del Gesamtkunstwerk ha fornito alla regia teatrale uno dei modelli più forti e
diffusi, quello della sintesi scenica, declinata secondo due modalità principali, testocentrica e
scenocentrica. A questa linea, spesso diventata eclettico-accumulativa piuttosto che sintetica,
lungo tutto il Novecento si oppone una linea che possiamo definire analitica, basata sulla
sottrazione, piuttosto che sull’aggiunta, e centrata tipicamente sull’attore, piuttosto che sul
montaggio dei segni scenici. Anche questa opposta linea discende in qualche modo, per strano
che possa sembrare, da Wagner, grazie alla lettura originale ed eretica che ne fece Adolphe Appia.
E’ infine interessante e sintomatico il fatto che molti maestri della regia passino nel corso della
loro carriera dal modello registico sintetico a quello analitico e mai viceversa.
Marco De Marinis (1949) è professore ordinario di Discipline Teatrali nel Dipartimento delle Arti dell'Università di
Bologna. Insegna Storia del Teatro e dello Spettacolo nella laurea triennale del Dams-Teatro e Teorie e culture della
rappresentazione nella laurea magistrale in Discipline dello Spettacolo dal vivo. I suoi interessi scientifici riguardano
principalmente: la teoria teatrale; le questioni metodologiche ed epistemologiche implicate dallo studio del teatro; le
esperienze teatrali del Novecento, con particolare riferimento ai maestri della Regia, al mimo corporeo e al cosiddetto
Nuovo Teatro del secondo dopoguerra; lo spazio scenico e l'iconografia teatrale. Dal 1 novembre 2001 al 31 ottobre
2004 è stato Direttore del Dipartimento di Musica e Spettacolo. Attualmente, sempre per il Dipartimento delle Arti,
ricopre gli incarichi di Responsabile scientifico del Centro di Promozione Teatrale La Soffitta e di coordinatore
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dell'Indirizzo Teatro del Dottorato in Arti visive, Cinema, Musica e Teatro. Nel 1999 ha fondato la rivista “Culture
Teatrali”, di cui è direttore.
Marco De Marinis
Wagner and his double: the idea of Gesamtkunstwerk before, during and after the staging
The Gesamtkunstwerk aesthetics has given directing one of its strongest and most widespread
models, namely, stage synthesis — in its two main forms, texto-centric and stage-centric —
which has often turned more eclectic and cumulative than synthetic. Throughout the 20th
century, an opposite line existed, which we might call “analytical”, focusing on subtraction rather
than addition, as well as on actors and stage sign montage. Strange as it may seem, this line, too,
can be partly traced to Wagner, through Adolphe Appia’s heretical views. Interestingly, many
major directors switched from synthetic to analytical approach in the course of their careers, but
never vice versa.
Marco De Marinis (1949) holds tenures at the Department of Arts, Bologna University, as professor of History of
Theater and Stage Arts for undergraduate students at DAMS/Theater, and Staging Theories and Cultures for
graduate students in Live Performance Disciplines. His main scholarly interests are in theater theory and its
philosophical and methodological implications, 20th-century theater (especially major stage directors), body
pantomime and post-WW2 New Theater, stage space, and theatrical iconography. Between November 2001 and
October 2004 he chaired the Dipartimento di Musica e Spettacolo, for which he is now active as scholarly advisor of
the Centro di Promozione Teatrale “La Soffitta” and coordinator of the Theater section for the Doctorate in Visual
Arts, Cinema, Music, and Theater. In 1999 he founded the review, Culture Teatrali, he is currently editing.
Marco Brighenti
“Azioni della musica rese visibili”: i registi contemporanei di fronte alle aporie del Wort-Ton-Drama.
In questa relazione si intende analizzare come alcuni grandi registi contemporanei abbiano messo
in luce, attraverso scelte registiche originali, alcune aporie irrisolte del teatro wagneriano.
Propugnatrice dell'unione di gesto, parola e musica, l'estetica wagneriana presenta alcuni nodi
problematici nel delineare come le tre diverse forme d'arte debbano tra loro fondersi. In
particolare ci si concentrerà sul rapporto tra musica e gesto: se al gesto Wagner attribuisce la
facoltà di esprimere indirettamente il sentimento interiore di un determinato personaggio in una
determinata situazione, alla musica riserva la capacità di manifestare direttamente l'universalità di
quello stesso sentimento. Come è possibile che il rapporto tra gesto e musica sia allora di perfetta
analogia e parallelismo, come Wagner sostiene in più punti di Opera e dramma? In alcuni momenti
del teatro di Wagner la potenza universalizzante della musica si dilata al punto che pare
svincolarsi da ogni gestualità realistica. Attraverso l'analisi di alcuni di questi momenti significativi
(come, per esempio, la scena del filtro d'amore del Tristano e Isotta o l'addio di Wotan a
Brünnhilde ne La Valchiria) nella realizzazione di registi contemporanei (da Kupfer a Müller e
Castellucci) si intendono mostrare diverse originali interpretazioni del rapporto fra musica e
gesto.
Marco Brighenti, nato a Ferrara nel 1986, ha compiuto gli studi musicali in flauto traverso, composizione e
direzione d'orchestra al Conservatorio di Ferrara, Padova e Milano. Agli studi musicali ha affiancato quelli filosofici
laureandosi alla Università Cattolica di Milano con una tesi sul pensiero filosofico di Richard Wagner. Nel 2013 per la
Rivista Italiana di Musicologia è uscito il saggio Del profondo e di altri oracoli, profezie e pericoli negli ultimi scritti di Richard
Wagner e per la rivista Codice 602 il saggio Il sole e l'eroe: realismo e idealismo nel dramma wagneriano Nel 2016 è uscita
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presso l'editore Aracne una sua monografia sul compositore tedesco (Richard Wagner filosofo e poeta. La filosofia in musica
tra Feuerbach, Schopenhauer e Nietzsche). Collabora regolarmente con l'Orchestra “G. Verdi” di Milano per la scrittura
dei programmi di sala concertistici. Ha insegnato Storia e Filosofia presso il Liceo Scientifico Italiano di Teheran e
attualmente presso il Liceo S. Umiltà di Faenza.
Marco Brighenti
“Musical Actions Made Visible”: Contemporary Directors facing Wort-Ton-Drama Aporias
Wagner’s aesthetics advocated a unity of gesture, word, and music, but how such three arts
should merge remains problematic. This paper focuses on the music-gesture relationship and
discusses how a few major contemporary directors highlighted Wagner’s aporias through their
original choices. According to the composer, gesture indirectly expresses a character’s feelings in a
given situation, music directly manifests the universality of those feelings. Then, how is it that the
gesture-music relationship is one of perfect analogy and parallelism, as repeatedly stated in Opera
and Drama? In some moments of Wagner’s theater, the universalizing power of music expands to
such a point, it apparently frees itself from realistic gesture. As we discuss a few such crucial
moments — for instance, the love potion scene from Tristan und Isolde, or Wotan’s farewell to
Brünnhilde from Die Walküre — as staged by some contemporary directors, from Kupfer to
Müller, to Castellucci, sundry original interpretations of Wagner’s music–gesture relationship
emerge.
Marco Brighenti (Ferrara, 1986) studied flute, composition, and conducting at the Ferrara, Padua, and Milan
Conservatories. He also studied philosophy at the Università Cattolica, Milan; his final dissertation was on Wagner’s
philosophical thinking. His essay, Del profondo e di altri oracoli, profezie e pericoli negli ultimi scritti di Richard Wagner
appeared on the Rivista Italiana di Musicologia. Another essay, Il sole e l’eroe: realismo e idealismo nel dramma wagneriano, was
issued on Codice 602 (both 2013). He authored Richard Wagner filosofo e poeta. La filosofia in musica tra Feuerbach,
Schopenhauer e Nietzsche (Aracne 2016). He has taught History and Philosophy at the Liceo Scientifico Italiano,
Teheran, and is currently teaching at the Liceo “Santa Umiltà”, Faenza. He regularly authors program notes for the
“Giuseppe Verdi” Orchestra, Milan.
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16 settembre, pomeriggio
Jürgen Maehder
L'intellettualizzazione della regia wagneriana nella seconda metà del Novecento: da Wieland Wagner a Patrice Chéreau
Nella storia della regia wagneriana, la famosa messinscena dell'Anello del Nibelungo ad opera di Patrice
Chéreau (Bayreuth 1976) è spesso stata interpretata come una svolta di primaria importanza per la
storia del teatro lirico. L'importanza indiscutibile di quella regia magistrale, resa ancora più clamorosa
grazie all'interesse mediatico per il centenario del Festival di Bayreuth, ha in parte offuscato altre
produzioni wagneriane dello stesso tempo, riducendole spesso alla funzione di precursori o seguaci
della regia di Chéreau. Una storiografia della regia wagneriana nel secondo dopoguerra che voglia
soddisfare il criterio di oggettività scientifica dovrebbe invece ricostruire le numerose tappe della
graduale dissociazione della regia wagneriana dalle minuziose istruzioni registiche del poetacompositore.
La relazione si concentrerà dunque sulle regie wagneriane del secondo dopoguerra a Bayreuth e
nei grandi teatri d'opera internazionali, partendo dalle riforme della regia wagneriana ad opera di
Wieland Wagner. Saranno discusse con speciale attenzione quelle regie degli esponenti della regia
internazionale ─ August Everding, Götz Friedrich, Harry Kupfer, Jean-Pierre Ponnelle, Sir Peter
Hall ─ che furono i primi a rompere il monopolio registico dei fratelli Wagner al Festival di
Bayreuth. Non soltanto le famose innovazioni della scenotecnica a Bayreuth, ma anche le posizioni
estetiche delle regie wagneriane degli anni Sessanta e Settanta furono il prodotto di un continuo
dialogo fra i protagonisti, un dialogo che in parte fu portato avanti attraverso le stesse regie.
Jürgen Maehder, nato nel 1950 a Duisburg/Germania e cresciuto a Monaco di Baviera. Studi di musicologia
(Thrasybulos Georgiades, Stefan Kunze), composizione (Günter Bialas), filosofia (Arnold Metzger), storia del teatro
(Klaus Lazarowicz), regia lirica (August Everding) e letteratura tedesca (Walther Killy) a Monaco di Baviera e Berna. Nel
1977 ha conseguito il dottorato in musicologia all'università di Berna sotto la supervisione di Stefan Kunze con una
dissertazione sul ruolo del timbro nella storia dell'orchestrazione. Dal 1979 al 1982 è stato ricercatore presso l'Istituto
Storico Germanico di Roma; negli anni '80 ha insegnato musicologia e storia del teatro all'università di Berna. Divenuto
professore di musicologia alla University of North Texas (Denton/TX) nel 1988, ha insegnato nello stesso anno come
visiting professor alla Cornell University (Ithaca/NY). Nel 1989 è stato chiamato sulla cattedra di musicologia alla Freie
Universität di Berlino dove ha fondato il Puccini Research Center. Divenuto professore emerito alla Freie Universität nel
2014, divide attualmente il suo tempo fra l'insegnamento di musicologia all'Università della Svizzera Italiana
(Lugano/Ticino), fra la sua collaborazione con il Festival di Salisburgo e la ricerca musicologica nella Repubblica della
Cina/Taiwan. Jürgen Maehder ha insegnato come visiting professor in numerose università negli Stati Uniti e nel Taiwan. Ha
presentato relazioni in numerosi convegni in Germania, Austria, Svizzera, Italia, Francia, Spagna, Portogallo, Svezia, nella
Repubblica Ceca, in Russia, nel Taiwan e negli Stati Uniti. Regolarmente tiene numerose conferenze in Europa, negli Stati
Uniti, in Asia e nella regione del Pacifico. Aree di ricerca: storia dell'opera lirica in Italia, Francia e Germania; librettologia
italiana e europea; storia dell'orchestrazione; musica del XX secolo, soprattutto storia del teatro musicale d'avanguardia;
storia della regia lirica; filosofia della musica.
17
Jürgen Maehder
Late 20th-century intellectualization of Wagner stage direction: Wieland Wagner to Patrice Chéreau
In the history of Wagner direction, Patrice Chéreau’s famous Ring (Bayreuth 1976) is often regarded
as a watershed event. Its undeniable importance, then boosted by media interest for the Bayreuth
Festival centennial, partly eclipsed other period productions, often played down as either forerunners
or late echoes of Chéreau’s. Yet, a scholarly history of Wagner opera directions after the Second
World War should reconstruct the steps of their gradual drift from the composer’s painstaking
indications. This paper focuses on post-WW2 stage productions in Bayreuth and other major
venues, starting from Wieland Wagner’s reforms, with special regard to those main figures —
August Everding, Götz Friedrich, Harry Kupfer, Jean-Pierre Ponnelle, Sir Peter Hall — who first
broke the Wagner brothers’ Bayreuth monopoly. Both the well-known technical innovations
developed there and the aesthetic stances of the 1960’s and 1970’s stage directions resulted from an
uninterrupted dialogue among those creators, that partly went on through their shows.
Jürgen Maehder was born in 1950 and studied in Munich and Berne, where his teachers included Thrasybulos
Georgiades and Stefan Kunze (musicology), Günter Bialas (composition), Arnold Metzger (philosophy), Klaus
Lazarowicz (theater studies), August Everding (opera production) and Walther Killy (German studies). He took his
doctorate at the University of Berne in 1977 with a dissertation entitled Klangfarbe als Bauelement des musikalischen Satzes:
Zur Kritik des Instrumentationsbegriffes. After appointments as assistant professor at the University of Berne and the
German Historical Institute in Rome, he spent the academic year 1988/89 as professor of musicology at the
University of North Texas in Denton/TX and as visiting professor at Cornell University in Ithca/NY. From 1989 to
2014 he was professor of musicology at the Freie Universität in Berlin. He currently teaches as professor of
musicology at the Università della Svizzera Italiana in Lugano/Ticino. Jürgen Maehder has held numerous guest
professorships in the United States and East Asia. His research interests are the history of instrumentation and
timbre composition; the comparative history of 19th- and 20th-century opera in Italy, France and Germany; a
comparative history of the opera libretto; 20th-century music, especially music theatre after 1950; the history of opera
staging; and the aesthetics of music.
Kii-Ming Lo
Mettere in scena Wagner dopo Chéreau: la continua ricerca dell’innovazione al Festival di Bayreuth, 1986-1993
Dopo che l’allestimento dell’Anello del Nibelungo di Chéreau (Bayreuth 1976-1980) si impose con la
sua forza rivoluzionaria, data non solo dalla sua nuova estetica teatrale, ma anche dalle molte
innovazione introdotte con esso nel campo della scenotecnica e dell’illuminotecnica, le produzioni
successive al Festival di Bayreuth entrarono inevitabilmente in competizione sia con quel precedente
che fra esse stesse. Così non era stato nei decenni precedenti: finché la direzione registica fu gestita
esclusivamente da membri della famiglia Wagner, Wieland e Wolfgang (1951-1968), la varietà
stilistica rimase abbastanza limitata. Subito dopo il successo di Chéreau, la volontà di Sir Georg Solti
di dirigere un allestimento tradizionale dell’Anello del Nibelungo fu l’unico significativo tentativo di
annullare le innovazioni di Chéreau, portando però all’infelice esito dell’allestimento fallimentare di
Sir Peter Hall (1983-1987).
La relazione si concentra sugli allestimenti di Harry Kupfer (Der fliegende Holländer, 1979-1985),
Götz Friedrich (Lohengrin, 1979-1982), Jean-Pierre Ponnelle (Tristan und Isolde, 1981-1987), Werner
18
Herzog (Lohengrin, 1987-1993), Dieter Dorn (Der fliegende Holländer, 1990-1999) e Heiner Müller
(Tristan und Isolde, 1993-1999). Dal momento che molti allestimenti rilevanti per la storia della
messinscena wagneriana non furono all’epoca resi disponibili attraverso la pubblicazione di
registrazioni video, verranno forniti ampi materiali visivi dell’epoca insieme a ricordi personali della
relatrice.
Kii-Ming Lo, nata nel 1954 a Keelung/Taiwan, Republic of China, Kii-Ming Lo ha studiato musicologia, sinologia e
etnologia all'università di Heidelberg; sotto la guida di Ludwig Finscher ha conseguito il dottorato in musicologia con una
dissertazione sul tema Turandot auf der Opernbühne [Francoforte/Berna (Peter Lang) 1996]. Dal 1989 al 2002 ha insegnato
come professore di musicologia alla Fu-Jen Catholic University di Taipei, dove è stata nominata »full professor of
musicology« nel 1999. Dal 2002 insegna come professore di musicologia e direttore dell'istituto di musicologia alla
National Taiwan Normal University a Taipei/Taiwan. Dal 1999 ha organizzato numerosi convegni internazionali di
musicologia alle università del Taiwan, fra cui i convegni dedicati a Giacomo Puccini (2008) e Richard Wagner (2013). Ha
presentato numerose relazioni in convegni internazionali in Europa e Asia. Kii-Ming Lo è autrice di numerose
pubblicazioni in cinese, tedesco, inglese e italiano; ha pubblicato 10 libri in cinese, fra cui una serie di monografie sulla
storia dell'opera lirica scritta in collaborazione con Jürgen Maehder: Turandot (1998, 2a edizione 2004), Tristan und Isolde
(2003, 2a edizione 2014), Salome (2006), Der Ring des Nibelungen (2006). Aree di ricerca: storia dell'opera lirica nel XIX e XX
secolo, letteratura e musica, soprattutto storia del libretto d'opera nei paesi di lingua tedesca, storia dell'opera in film e
televisione, scambi interculturali fra l'Europa e l'Asia nel teatro musicale contemporaneo, musica d'avanguardia a Taiwan.
Kii-Ming Lo
Staging Wagner after Chéreau: The Search for Continous Innovation at Bayreuth Festival, 1986-1993
Once Patrice Chéreau's staging of the Ring of the Nibelung (Bayreuth Festival 1976-1980) had
established itself as a ground-breaking achievement, not only because of its theatre aesthetics, but
also thanks to its many innovations in set design and stage technology, the following productions at
Bayreuth Festival were clearly perceived as competing with their predecessor, but also as competing
with each other. This had usually not been the case in previous decades: As long as the entire staging
had been provided by the two members of the Wagner family, Wieland and Wolfgang (1951-1968),
the resulting stylistic variety had generally been limited. In the immediate aftermath of Chéreau's
success, Sir Georg Solti's wish to conduct a traditional staging of the Ring of the Nibelung caused the
only significant attempt to undo Chéreau's innovation and led to the miserable failure of Sir Peter
Hall's staging (1983-1987).
The paper concentrates on the stagings by Harry Kupfer (Der fliegende Holländer, 1979-1985), Götz
Friedrich (Lohengrin, 1979-1982), Jean-Pierre Ponnelle (Tristan und Isolde, 1981-1987), Werner Herzog
(Lohengrin, 1987-1993), Dieter Dorn (Der fliegende Holländer, 1990-1999) and Heiner Müller (Tristan
und Isolde, 1993-1999) . Since some productions which were relevant to the history of Wagner staging
at their time have not been made available to the public in video recordings, the author's personal
recollection will be combined with the rich visual material provided at the time by the festival
administration.
Kii-Ming Lo received her Ph.D in Musicology in 1989 from Heidelberg University for her dissertation »Turandot«
auf der Opernbühne (Frankfurt: Peter Lang, 1996). She teaches as full professor of musicology at the Department of
Music of the National Taiwan Normal University in Taipei, Taiwan, R.O.C. Her research focuses on the history of
European music, especially on opera studies, the aesthetics of music as well as interdisciplinary studies on music and
19
literature. Besides having published numerous books and articles in Chinese, Kii-Ming Lo is the author of more than
40 scholarly articles in German, English, Italian and French; she also appears regularly as invited speaker in
international conferences worldwide.
Marco Targa
Due fallimenti di successo alla Scala: il Tristano di Appia e il Ring incompiuto di Ronconi
Sebbene il Teatro alla Scala di Milano non sia mai stato un luogo votato ad accogliere radicali
sperimentazioni registiche, soprattutto per quanto riguarda la storia della messinscena dei drammi
wagneriani, la sorte ha voluto che sul suo palcoscenico abbiano avuto luogo due esperienze
fondamentali di allestimenti wagneriani: il Tristano e Isotta di Appia (1923, diretto da Toscanini) e il
Ring des Nibelungen incompiuto di Ronconi (1974-75, diretto da Sawallisch). L’allestimento di
Appia fu il primo vero banco di prova delle nuove idee registiche maturate dal regista ginevrino
nell’arco di più di vent’anni di riflessioni sul teatro wagneriano, destinate ad aprire una nuova
epoca della regia operistica e teatrale tout court; il lavoro di Ronconi invece, collocandosi
cronologicamente fra il Ring di Lipsia diretto da Joachim Herz (1973-76) e il Ring del centenario
diretto a Bayreuth da Chéreau (1976), partecipò in prima linea con essi all’avvento delle nuove
tendenze contemporanee del Regietheater. Il tratto che accumuna queste due importanti esperienze
registiche, per molti aspetti fra loro molto lontane, è che entrambe non furono comprese né dal
pubblico né, con pochissime eccezioni, dalla critica. Un’incomprensione che addirittura costò
loro il completamento stesso della loro realizzazione. Nel caso di Appia, il regista abbandonò il
teatro per incomprensioni con le maestranze prima di aver concluso il lavoro sulla gestualità dei
cantanti, nel caso di Ronconi il progetto di rappresentare l’intero Ring, sfumato nel teatro
milanese soprattutto per le incomprensioni con il direttore Sawallisch, sarebbe stato poi realizzato
qualche anno dopo a Firenze.
Il loro carattere di incompiutezza non impedì però a entrambe le esperienze di lasciare un
segno indelebile nella storia della messinscena wagneriana, in Italia e non solo, consentendoci
oggi di definirle, a ragione, due fallimenti di successo.
Marco Targa diplomato in pianoforte, ha conseguito il dottorato in discipline musicologiche presso l’Università di
Torino. È autore del libro Puccini e la Giovane Scuola e di una serie di saggi sull’opera italiana fra Ottocento e
Novecento. Altri ambiti di ricerca sono la teoria della forma-sonata e la musica nel cinema muto. Nel 2013 è stato
insignito dal Teatro La Fenice del premio «Arthur Rubinstein – Una vita nella musica» per gli studi musicologici. È
docente di Storia della Musica presso Istituto Superiore di Studi Musicali ”G. Braga” di Teramo.
Marco Targa
Two Successful Fiascos at La Scala: Appia’s Tristan and Ronconi’s Unfinished Ring
La Scala has never been an ideal place for radical experiments, especially on Wagner operas, yet it
happened to host two key events in the field, namely, Appia’s Tristan und Isolde (1923, conducted
by Toscanini) and Ronconi’s unfinished Ring (1974-75, conducted by Sawallisch). The former was
the benchmark of those new ideas Appia had developed in more than two decades of reflections
on Wagner, which were to open up a new era not only for opera, but for theater in general. The
latter fell between Joachim Herz’s Leipzig Ring (1973-76) and Chéreau’s Bayreuth centennial one
20
(1976), three events that helped boost the new Regietheater trends. Appia’s and Ronconi’s
experiences, although very different in many respects, shared a common fate—they were
misunderstood by audience and critics (with few exceptions) to the point of being left unfinished.
Appia left La Scala, out of professional conflicts, before his work on singers’ gestures was over;
Ronconi’s complete Ring project came to a stop out of misunderstandings with Sawallisch, and
was to be resumed in Florence few years later. Yet both left a mark on the history of Wagner
opera staging, in Italy and beyond. We can therefore call them “successful fiascos” with good
reason.
Marco Targa, after graduating in piano, got his Ph.D. in Musicology at the Turin University. He wrote a book, Puccini
e la Giovane Scuola, and many essays on 19th- and 20th-century Italian opera. He also studies sonata-form theory and
music in silent movies. He currently teaches Music History at the Istituto Superiore di Studi Musicali “Gaetano
Braga”, Teramo. In 2013 the Teatro La Fenice, Venice awarded him the Arthur Rubinstein Prize for musicology.
Antonio Somaini
Tra la fine del 1939 e il novembre del 1940 Sergej M. Ejzenštejn lavorò alla messa in scena della
Valchiria al teatro Bol'šoj di Mosca. Lo spettacolo, programmato nel quadro delle celebrazioni del
patto di non-agressione tra Unione Sovietica e Germania nazista notto come Patto MolotovRibbentrop, diede ad Ejzenštejn l'occasione di confrontarsi di nuovo con la regia teatrale dopo
più di quindici anni di attività nel campo del cinema. Le note e i disegni realizzati da Ejzenštejn
per la regia della Valchiria mostrano chiaramente che l'incontro con l'opera di Wagner ebbe luogo
da un punto di vista al tempo stesso artistico e teorico: da un lato, il regista sovietico ebbe modo
di sviluppare quel montaggio di Leitmotive che aveva già sperimentato nel film Aleksandr Nevskij
(1938) e che avrebbe ripreso in Ivan il Terribile (1941-45); dall'altro, il confronto con scritti
wagneriani come Die Kunst und die Revolution e Das Kunstwerk der Zukunft (entrambi 1849) contribuì
in modo importante all'elaborazione di quell'idea di cinema come opera d'arte totale e "sintesi
delle arti" che sarà al centro dei suoi ultimi scritti. Nell'intervento intitolato ”Ejzenštejn e Wagner.
Montaggio e opera d'arte totale” prenderò in considerazione entrambi gli aspetti - artistico e
teorico - dell'incontro di Ejzenštejn con l'opera wagneriana.
Antonio Somaini è Professore ordinario di Teoria del cinema, dei media e della cultura visuale all'Université
Sorbonne Nouvelle - Paris 3. Tra le sue pubblicazioni principali ricordiamo l'edizione di Pittura fotografia film di László
Moholy-Nagy (Einaudi 2010), la monografia Ejzenštejn. Il cinema, le arti, il montaggio (Einaudi 2011), l'edizione (insieme
ad Andrea Pinotti) degli scritti di Walter Benjamin sui media (Aura e choc. Saggi sulla teoria dei media, Einaudi 2012) e
l'edizione francese e inglese delle Note per una Storia generale del cinema di Ejzenštejn (AFRHC 2014; Amsterdam
University Press 2016).
Antonio Somaini
Eisenstein and Wagner: Montage and Total Art Work
From late 1939 to November 1940, Sergei M. Eisenstein worked to staging Die Walküre at the
Bolshoi Theater, Moscow, an event scheduled in the celebrations for the USSR-Nazi Germany
non-aggression pact, or Molotov-Ribbentrop Pact. This gave him a chance to revert to theater
21
after more than fifteen years devoted to cinema. His notes and drawings show that his meeting
with Wagner was both creative and theoretical. On one hand, Eisenstein could develop the
Leitmotiv montage experienced in Alexander Nevsky (1938), and later reused in Ivan the Terrible
(1941-45); on the other, his reflections on such writings of Wagner’s as Die Kunst und die Revolution
and Das Kunstwerk der Zukunft (both 1849) helped him develop his vision of cinema as a total art
work and a “synthesis of the arts” that looms large in his final writings. This paper explores both
aspects.
Antonio Somaini teaches Theory of Cinema, Media and Visual Culture at the Université Sorbonne Nouvelle, Paris
3. He edited László Moholy-Nagy’s Malerei, Fotografie, Film (Einaudi 2010), Walter Benjamin’s writings on media
(Aura e choc. Saggi sulla teoria dei media, with Andrea Pinotti, Einaudi 2012), and the French and English editions of
Eisenstein’s Notes for a General History of Cinema (AFRHC 2014; Amsterdam University Press 2016). He authored
Ejzenštejn. Il cinema, le arti, il montaggio (Einaudi 2011).
Franco Perrelli
Un wagneriano a Stoccolma: Ludvig Josephson e la protoregia
Ludvig Josephson (1832-1899) è il più importante dei protoregisti nordici, un attivo allestitore di
drammi e di melodrammi al Teatro Reale di Stoccolma come in altre importanti scene
scandinave. Oltre che autore di uno dei primi trattati sulla messinscena (1892), fu un assiduo
viaggiatore in tutta Europa alla ricerca delle novità tecniche e artistiche del teatro del suo tempo,
di cui ha lasciato una vivace testimonianza nelle oltre 3000 pagine dell’autobiografia inedita.
Josephson è stato così uno dei primi uomini di scena a registrare, nel Nord Europa, la novità
delle idee di Wagner, almeno dagli anni Cinquanta dell’Ottocento, a diffonderne le teorie e a
discuterle criticamente. Josephson frequentò anche Bayreuth e conobbe personalmente il
compositore, ma cercò soprattutto di traslare le potenzialità della sua estetica nelle pratiche della
messinscena moderna.
Franco Perrelli è professore ordinario di Discipline dello Spettacolo presso il DAMS dell’Università di Torino.
Specialista del teatro scandinavo e moderno, nel 2009, ha vinto il Premio Pirandello per la saggistica teatrale e, nel
2014, lo Strindbergspris della Strindbergssӓllskap di Stoccolma. Fra i suoi libri: La seconda creazione. Fondamenti della
regia teatrale (Torino, Utet, 2005); I maestri della ricerca teatrale. Il Living, Grotowski, Barba e Brook (Roma-Bari, Laterza,
2007); Strindberg: la scrittura e la scena (Firenze, Le Lettere, 2009); Ludvig Josephson e l’Europa teatrale (Acireale-Roma,
Bonanno, 2012); Poetiche e teorie del teatro (Roma, Carocci, 2015); Le origini del teatro moderno. Da Jarry a Brecht (RomaBari, Laterza, 2016); è infine curatore di una Storia europea del teatro italiano (Roma, Carocci, 2016).
Franco Perrelli
A Wagnerite in Stockholm: Ludvig Josephson and proto-direction
Ludvig Josephson (1832-1899) was an active drama and opera director at the Royal Theater,
Stockholm, and other major Scandinavian venues, possibly the greatest figure in such field in
period Northern Europe. He authored one of the earliest stage direction treatises (1892) and
extensively traveled up and down the continent in search of new technical and creative ideas,
leaving a lively report of them in his 3,000-page unissued autobiography. One of the very first
22
theater artists in his area to notice, spread, and discuss Wagner’s new ideas (at least from the
1850’s), Josephson attended Bayreuth and met the composer in person. Perhaps most
importantly, he tried to pour the potential of Wagner’s conception into modern stage direction
practice.
Franco Perrelli holds a tenure in Discipline dello Spettacolo at the DAMS, Turin University. A specialist in
Scandinavian and modern theater, he has been awarded a Pirandello Prize for theater scholarship (2009) and a
Strindbergspris by the Strindbergssӓllskap, Stockholm (2014). His bibliography includes: La seconda creazione.
Fondamenti della regia teatrale (Turin: UTET, 2005); I maestri della ricerca teatrale. Il Living, Grotowski, Barba e Brook
(Rome/Bari: Laterza, 2007); Strindberg: la scrittura e la scena (Florence: Le Lettere, 2009); Ludvig Josephson e l’Europa
teatrale (Acireale/Rome, Bonanno, 2012); Poetiche e teorie del teatro (Rome: Carocci, 2015); Le origini del teatro moderno. Da
Jarry a Brecht (Rome/Bari: Laterza, 2016). He was editor of the Storia europea del teatro italiano (Rome: Carocci, 2016).
17 settembre
Keynote: Katherine Syer
Wagner diventa universale: tendenze registiche nel XXI secolo
Verso la fine del ventesimo secolo, il numero di compagnie liriche e di teatri che hanno allestito le
opere di Wagner è cresciuto in maniera significativa. Con l’incremento di organizzazioni di vario
tipo (di medie dimensioni, internazionali o anche semi-professioniste) che hanno iniziato a
mettere in scena Wagner, lo spettro delle possibilità interpretative si è molto ampliato. Lo si può
vedere facilmente guardando all’enorme numero di "Tetralogie" complete che sono apparse negli
ultimi vent’anni. Con l’aiuto di alcuni dati statistici d’insieme sulle produzioni delle opere di
Wagner nel XXI secolo, verranno approfondite alcune tendenze delle messinscene del Ring,
nonché alcuni approcci revisionisti ai Maestri cantori di Norimberga.
Katherine Syer è professoressa associata di Teatro e Musicologia all’Università dell’Illinois a Urbana-Champaign.
Nel 2014 ha pubblicato il libro Wagner’s Visions: Poetry, Politics, and the Psyche in the Operas through 'Die Walküre', e
insieme a William Kinderman ha curato A Companion to Wagner’s ‘Parsifal’ (Camden House/Boydell & Brewer, 2005).
Attualmente (biennio 2016-17) è guest professor all’Università privata della Città di Vienna, dove sta lavorando a un
libro sulla prassi della messinscnea operistica nel Ventunesimo secolo.
Keynote: Katherine Syer
Wagner goes Global: production trends in the 21st Century
Toward the end of the twentieth century, the number of companies and theatres programming
Wagner operas started to increase significantly. With more mid-sized, international and even
semi-professional organizations beginning to produce Wagner, the scope of interpretive
possibilities has broadened. This is most easily chartered by looking at the tremendous number of
Ring cycles that have emerged in the last twenty years. Following an overview of 21st-century
production data for all of Wagner’s operas, I will explore in detail selected production trends
concerning the Ring, as well as some revisionist approaches to Die Meistersinger.
Katherine Syer is associate professor of theatre and musicology at the University of Illinois at Urbana-Champaign.
Her book Wagner’s Visions: Poetry, Politics, and the Psyche in the Operas through 'Die Walküre' appeared in 2014 (University
of Rochester Press), and she is co-editor with William Kinderman of A Companion to Wagner’s ‘Parsifal’ (Camden
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House/Boydell & Brewer, 2005). During 2016-17, Syer is guest professor at the Musik und Kunst Privatuniversität
der Stadt Wien, where she is working on a book on opera staging and design practices in the 21st century.
Andrea Estero, moderatore della tavola rotonda
Andrea Estero, musicologo e giornalista professionista, ha studiato all'Università e al Conservatorio di Milano. È
responsabile della collana ”Musica nel Novecento italiano” della Società italiana di musicologia ed è tra i fondatori
della ”Società editrice di musicologia” nata in seno alla Sidm. Tra i suoi campi d'interesse, a cui ha dedicato saggi e
interventi, la storia della critica e dell'informazione musicale, l'Ottocento strumentale, le teorie sull'interpretazione
musicale e sulla regia d'opera. Ha curato con Guido Salvetti il volume Italia 2000 (Milano, 2011). Tra gli scritti recenti
si ricordano un saggio sul rapporto tra Claudio Abbado e Verdi (Parma, Studi Verdiani) e Organizzare musica: l'Italia nel
contesto globale (Roma, Treccani). Vicepresidente dell’Associazione nazionale critici musicali, dal 2008 è direttore del
mensile "Classic Voice" e collaboratore della Radiotelevisione svizzera.
Guido Salvetti
Intervento di chiusura
Guido Salvetti si è diplomato in pianoforte con Pietro Montani al Conservatorio di Milano e con Guido Agosti
all’Accademia “Chigiana” di Siena (“diploma di merito”). Si è diplomato in composizione al Conservatorio di Verona
e si è laureato in Lettere e in Filosofia presso l’Università degli studi di Milano. Dal 1976 ha insegnato Storia della
musica e Analisi musicale presso il Conservatorio di Milano, dove ha fondato nel 1985 il Corso di Musicologia. È
stato direttore del Conservatorio di Milano dal 1996 al 2004. Ha svolto una carriera di pianista sia come solista, sia
nel repertorio cameristico (con o senza la voce). Le sue più estese collaborazioni sono state con i soprani Daniela
Uccello e Stelia Doz. Con quest’ultima ha fondato nel 2005 l’Accademia di musica vocale da camera, per
l’organizzazione di corsi di perfezionamento e pubblicazioni di libri e CD sull’argomento. Salvetti ha tenuto seminari
e masterclass in istituzioni nazionali e internazionali (università, conservatori, Hochschulen, ecc.). Ha svolto un corso
annuale di analisi della musica italiana del Novecento presso il DEA Musique Histoire Société dell’ École Normale
Supérieure di Parigi. Come musicologo ha pubblicato numerosi saggi e libri di storia e di analisi della musica. I suoi
maggiori interesse riguardano il quartetto d’archi italiano del Settecento, l’opera di Verdi e la produzione della
generazione successiva; il pensiero e l’opera di Wagner; la musica francese tra Debussy e Poulenc; la musica italiana
nel ventennio fascista e nel secondo dopoguerra. I suoi contributi più importanti riguardano il Lied e la Mélodie
francese, la musica di Brahms, il quadro della vita musicale europea tra Otto e Novecento (La nascita del Novecento,
EDT, Torino). Ha anche lavorato per la RAI e la Radio-Televisione della Svizzera italiana, come autore di molti
programmi di contenuto storico-musicale. Salvetti si è costantemente impegnato per la riforma degli studi musicale,
anche come presidente, o membro, di numerose commissioni ministeriali. Ha scritto sull’argomento numerosi saggi,
tra cui Le professioni musicali e la generazione tradita, in Italia 2000 (Guerini, Milano). Tra il 2006 e il 2012 è stato
presidente della Società Italiana di Musicologia. Dal 2012 è presidente della Società Editrice di Musicologia, che
pubblica on-line edizioni critiche di musiche italiane antiche e moderne, nonché metodi, trattati e saggi.
Guido Salvetti graduated in piano, in composition; in literature and in philosophy at the University of Milan. Since
1976 he has taught Music history and Music analysis as full professor at the Conservatory of Music “Giuseppe
Verdi” in Milan, where he founded the course of Musicology in 1985, which he managed till 1999. 1996-2004 he
assumed the position of dean (Direttore) of this Conservatory. He pursued a career as pianist in solo’s and chamber
repertoire (with or without the voice). Since 2005 he managed with Stelia Doz the Accademia di musica vocale da camera
(Vocal Chamber Music Academy), holding post-graduate courses and publishing many books and CDs. He was
appointed as visiting professor by the Hochschulen of Munich, Leipzig, Weimar; by the École Normale Supérieure
“Alfred Cortot” in Paris; by the École Normale Supérieure in Paris (DEA Musique Histoire Société), etc. As
musicologist he published several papers in journals and books on history and analysis of music. His greater interests
concern Italian string quartets in 18th century; Verdi and post-Verdi Italian opera; the thought and the output of
Richard Wagner; the French music between Debussy, Ravel and Poulenc; the Italian music in fascism and post-
24
fascism era. His highlights are some books on the Lied and the French Mélodie, on Brahms’s music and an overview
on the musical life in Europe between 19th and the first part of the 20th century (La nascita del Novecento, EDT,
Torino). Salvetti constantly strove for improving the Italian system of music education. He was appointed many a
time as advisor in ministerial committee and wrote several papers on the subject (above all Le professioni musicali e la
generazione tradita [the musical careers and the betrayed generation], in Italia 2000, Guerini, Milano). 2006-2012 Salvetti
has been Presidente of the Società Italiana di Musicologia (Italian Musicological Society). Since 2012 he manages as
chairperson the Società Editrice di Musicologia (Italian Music Publishing Society), which produces scholarly online
editions of Italian music scores, methods, treatises, and essays.
25
RELAZIONE CONCLUSIVA di Guido Salvetti
Svolgo con molto piacere il compito di concludere i tre giorni del Convegno con
una relazione che può avvalersi di tanti contributi di idee e di informazioni che
costituiscono e costituiranno un patrimonio su cui l’Associazione Wagneriana di
Milano potrà basare la propria missione culturale.
Il merito principale del Convegno è stato, secondo me, di mostrare come i drammi
musicali wagneriani sono stati occasione e stimolo per alimentare immaginazioni e
tecniche registiche di straordinaria ricchezza e complessità; una vera e propria
partita – o sfida – intellettuale, dove si sono messe in gioco idee, competenze e
tecnologie, animate pressoché costantemente da autentica passione innovatrice.
Come dire che il primo obiettivo del Convegno è stato quello di indurre curiosità e
rispetto verso un così vasto sforzo intellettuale.
Di ciò abbiamo avuto coscienza fin dalla relazione introduttiva del professor
Nattiez, al quale dobbiamo uno sforzo di comprensione anche di alcuni prodotti
registici per più aspetti problematici. Questa relazione ha impostato un tema che ha
poi percorso tutto il Convegno, come un costante e proficuo filo rosso: quello della
tematica “fedeltà-infedeltà” rispetto all’originale dei drammi wagneriani così come
allestiti dal compositore-regista.
A nessuno dovrebbe rimanere il dubbio che si possano ancora ricostituire
fedelmente gli allestimenti curati dall’autore. A tutti è risultato chiaro che un grado
maggiore o minore di infedeltà è sia inevitabile (per via delle subentrate differenze
dei contesti culturali, sociali, tecnologici), sia auspicabile, per tutti i casi in cui il
tempo e l’intelligenza degli interpreti hanno permesso di rivelare la ricchezza di
significati implicita nel testo wagneriano.
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Rimane però ancora – a mio modesto avviso – una qualche resistenza a considerare
quel binomio “fedeltà-infedeltà” come davvero utile a comprendere e giudicare le
regie wagneriane. Quel binomio è infatti singolarmente asimmetrico, soprattutto se
i due termini sono intesi in assoluto. L’assoluta fedeltà è data come impossibile.
L’assoluta infedeltà è data, invece, come possibile.
In realtà questa impostazione rivela la sua funzionalità nella formulazione del
giudizio solo se ad essa viene applicato il concetto di intenzionalità, secondo il quale
la fedeltà si configura come un limite (all’infinito) a cui tendere, e l’infedeltà come
una funzione rivelatrice di secondi e terzi significati (una digressione che arricchisce
di percorsi secondari il percorso rettilineo verso l’impossibile fedeltà). Da quanto
emerso, anche drammaticamente, in non poche relazioni e nella tavola rotonda,
l’infedeltà si è però più volte mostrata, e si mostra, come una scelta assoluta e
aprioristica, secondo modalità intenzionalmente (!) provocatorie ed iconoclastiche.
Questa scelta è rimasta sostanzialmente sullo sfondo di numerose relazioni.
Pressoché assente nelle relazioni di impostazione storica, ha fatto capolino
attraverso interventi del pubblico, e soprattutto negli interventi ‘a braccio’ nella
tavola rotonda conclusiva (in particolare del cantante Dohmen, della psicanalista
Usuelli e del direttore artistico Fournier-Facio). In realtà anche in alcune relazioni il
problema, per quanto di sfuggita, non è stato eluso: Nattiez, ad esempio, ha fatto
riferimento alla categoria dei registi-ciarlatani. Syer si è detta contraria alle
sperimentazioni “fine a se stesse”. Carnegy, in sede di dibattito, ha sostenuto che le
scelte di regia programmaticamente infedeli e provocatorie discendono dalla
radicata posizione dei tedeschi che il teatro ha prima di tutto una funzione
educatrice, non di intrattenimento: e il pubblico va “educato”, secondo loro, a
forme di modernismo estremo. Carnegy ha poi sostenuto che questa impostazione
entra in violenta contraddizione con il fatto che il pubblico, così “violentato”, è ben
lungi dal farsi educare, ma si sente escluso da simili operazioni culturali.
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Non credo dunque che le regie che dominano la programmazione di Bayreuth
sotto la direzione di Katharina Wagner negli ultimi 10 anni possano essere liquidate
facilmente sotto l’etichetta della cialtroneria. Potremmo anzi affermare che questi
allestimenti si avvalgono di persino sofisticate tecniche scenografiche e registiche.
La loro criticità è ben più sostanziale.
Va detto infatti che le scelte di regia provocatorie (fino all’esibizione di una fellatio di
Erda nei confronti di Wotan; e tante altre idee persino più sgradevoli) e iconoclaste
(con il busto di Wagner abbattuto e infranto, o con l’identificazione Sachs-Hitler)
fanno riferimento a una concezione dell’arte nel suo rapporto con i suoi fruitori che
risale almeno al Manifesto del Futurismo di Marinetti, che è del 1909.
Più di cento anni fa si proclamava la distruzione dei musei e delle biblioteche; in
arte si esaltava la pazzia, mai sufficientemente folle; si esaltava la guerra come
“igiene del mondo”, e il disprezzo della donna. Si vedano, ad esempio, i punti 9 e
10 del Manifesto:
9 Noi vogliamo glorificare la guerra - sola igiene del mondo - il militarismo, il
patriottismo, il gesto distruttore dei libertari, le belle idee per cui si muore e il
disprezzo della donna.
10 Noi vogliamo distruggere i musei, le biblioteche, le accademie d'ogni specie, e
combattere contro il moralismo, il femminismo e contro ogni viltà opportunistica
e utilitaria.
L’eliminazione degli ottusi ‘borghesi’ comportava l’esaltazione di una superiorità
morale dell’intellettuale. E l’insuccesso sancito dagli urli e dai fischi del pubblico
degli spettacoli futuristi era la lieta riprova di chi fosse superiore a chi.
Trovo impressionante che a un secolo – appunto – di distanza si riproducano gli
stessi meccanismi, ormai talmente radicati, come ha testimoniato Fournier-Facio
che i teatri tedeschi pretendono dai registi questa – diciamo così – filosofia.
Che questa scelta venga sentita come progressista, e venga qualificata come
reazionaria ogni pur minima fedeltà al testo di Wagner, tende a farci ignorare che il
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Futurismo sopra menzionato fu, invece, un movimento pre-fascista; e che Marinetti
fu tra le ‘glorie’ di un regime nato dal manganello e dall’olio di ricino.
Inquietante, infine, che questa – per ora metaforica – manganellatura nei confronti
di Wagner e di chi ama Wagner sia l’unica scelta estetica adottata a Bayreuth: un
pensiero ‘unico’, contro il quale è benefica azione quella di diventare coscienti di
quante e quali altre soluzioni possono valorizzare e vitalizzare l’eredità lasciataci da
Wagner. Una coscienza che spero sia stata rafforzata da questo nostro Convegno.
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