TEATRO COMUNALE DI SAVONA GABRIELLO CHIABRERA Giovedì 10 novembre 2011, ore 10.15 (anteprima per le scuole) Sabato 12 novembre 2011, ore 20.30 Domenica 13 novembre 2011, ore 15.30 IL CAPPELLO DI PAGLIA DI FIRENZE Musica di Nino Rota Farsa musicale in quattro atti Libretto di Nino Rota e Ernesta Rinaldi, dalla commedia “Le Châpeau de paille d’Italie” di Eugène Labiche e Marc Michel Prima rappresentazione: Palermo, Teatro Massimo, 21 aprile 1955 Personaggi Fadinard Nonancourt La baronessa di Champigny Elena/Anaide Beaupertuis Emilio Lo zio Vezinet/Visconte Achille La modista Felice Interpreti Leonardo Cortellazzi, Fabrizio Paesano Domenico Colaianni Marianna Vinci Manuela Cucuccio, Annamaria Sarra Filippo Fontana Simone Alberti Stefano Consolini Silvia Giannetti Roberto Covatta Direttore Giovanni Di Stefano Regia Elena Barbalich Scene e Costumi Tommaso Lagattolla Light designer Michele Vittoriano ORCHESTRA SINFONICA DI SANREMO CORO ASLICO DEL CIRCUITO LIRICO LOMBARDO M° del Coro Antonio Greco Altro Maestro del Coro Diego Maccagnola Coproduzione Teatri del Circuito Lirico Lombardo, Teatro dell’Opera Giocosa di Savona, Teatro Sociale di Rovigo. Nuovo allestimento Fondazione Lirico Sinfonica Petruzzelli e Teatri di Bari Opera rappresentata con i sovratitoli NOTE DI REGIA di Elena Barbalich IL CAPPELLO DI PAGLIA DI FIRENZE Analizzando la struttura drammaturgica de Il cappello di paglia di Firenze è difficile non rilevare tutti i punti deboli della trama: dal nucleo generante la vicenda comica - il cavallo di Fadinard che mangia il cappello di paglia di Anaide - agli inverosimili equivoci sulle identità dei personaggi, ai più improbabili scambi di luogo, il più incredibile dei quali è il confondere da parte di Nonancourt, Vezinet ed Elena, a poche ore di distanza dall'aver visitato la prima, la casa di Fadinard con quella di Beaupertuis e il non riconoscere, alla fine dell'opera, Piazza Troudebì, dove si colloca l'abitazione di Fadinard. Queste incongruenze trovano la loro fedele matrice ne Un chapeau de paille d'Italie di Eugène Labiche, fonte originaria dell'opera di Rota. Già nel 1851, quando il vaudeville di Labiche andava in scena al Théâtre du Palais-Royal, il direttore del teatro, Charles Dormeuil, non volle assistere a quello che considerava un fiasco indubitabile, avendolo giudicato "delirante" e "completamente idiota". Anche De Musset definì la farsa in un crinale "tra il fantastico e l'assurdo". Lo stesso Rota, temendo che l'opera non rispettasse il principio della verosimiglianza, l'aveva serrata ancora inedita in un cassetto, dove era rimasta per nove anni prima di essere finalmente rappresentata a Palermo nel 1955. In realtà l'originario vaudeville di Labiche traccia un interessante percorso, un filo rosso che, passando per Feydeau, arriva al teatro dell'assurdo di Jarry, fino al cinema di René Clair che, non a caso, avendo realizzato film dichiaratamente surrealisti quali Entr'acte e Paris qui dort, trova in Labiche il soggetto cinematografico più adatto alla sua estetica. Con Rota, che dalla fascinazione iniziale del film di René Clair passa allo studio della fonte teatrale originaria, si chiude idealmente un cerchio. In questo breve tracciato storico sembra facilmente individuabile la ragione della riuscita della pièce originaria, riconfermata nell'opera di Rota e nel film di Clair, consistente nell'incredibile varietà di situazioni comiche che la vicenda, nel suo assurdo vortice narrativo, ha il potere di creare. Lo stesso Labiche definiva la sua commedia "un animale a mille zampe" che fa sbadigliare il pubblico, quando rallenta e lo fa fischiare, quando si ferma. In questo, più che in altri casi, la comicità è plausibile solo nell'accettazione di un codice dell'assurdo, che rende possibile tutto. Quel codice è garantito dalla mediazione dichiarata della finzione teatrale. Per questo, con lo scenografo Tommaso Lagattolla, abbiamo evidenziato la presenza filtrante del teatro attraverso un boccascena luminoso, che riconduce esteticamente agli spettacoli di varietà. La "folle giornata" non sembra tanto svolgersi nel frenetico passaggio da un luogo all'altro alla ricerca del cappello, quanto rappresentare vettorialmente una corsa a vuoto, risolta nella scoperta finale che l'agognato cappello si trovava fin dall'inizio dell'opera sotto il naso di Fadinard. Per conferire l'idea della finzione come codice essenziale di fruizione e per trasmettere al design della scena il carattere cinetico del ritmo drammaturgico abbiamo pensato di riferirci alla pittura suprematista di Malevic, al cubismo di Léger, all'orfismo di Sonia Delaunay, tutti movimenti che celebravano la libertà della forma cromatica attraverso l'astrazione. Altro riferimento sono alcune istantanee di Eli Lotar che, fotografo di Buñuel, riproduce l'immagine astratta attraverso il particolare architettonico, svincolato dai parametri del realismo fotografico. Il mondo bidimensionale di alcune correnti dell'arte figurativa dei primi decenni del Novecento è sembrato il più adatto, per la sua aderenza all'estetica cinematografica del periodo, a costituire il fondale e il commento alla folle vicenda di Fadinard, per descrivere un mondo in cui la comicità, nella sua aerea eleganza, si manifesta nell'espressione di un'esplicita dimensione giocosa. Abbiamo pensato che il parametro del gioco fosse coerente con la sottile ironia che pervade la musica di Rota, non a caso compositore prediletto da Fellini, dove sembra di intravedere la sottile traccia di un filo rosso percorrere un'estetica che riconosce nell'assurdo la sua poetica più profonda. Il Cappello di paglia di Firenze Farsa musicale in quattro atti di Nino Rota (1911-1979) libretto proprio e di Ernesta Rinaldi, dalla commedia “Le Châpeau de paille d’Italie” (1851) di Eugène Labiche e Marc Michel Prima: Palermo, Teatro Massimo, 21 aprile 1955 Personaggi: Fadinard (T), Nonancourt (B), la baronessa di Champigny (Ms), Elena (S), Beaupertuis (Bar), Anaide (S), Emilio (Bar), lo zio Vezinet (T), la modista (S), un caporale delle guardie (B), una guardia (T), Felice (T), il visconte Achille di Rosalba (T), corteo di nozze, modiste, invitati della baronessa, guardie, abitanti di piazza Troudebì. Il Cappello di paglia di Firenze è considerato il capolavoro teatrale di Nino Rota. Composta quasi per divertimento nel 1944-45, l’opera andò in scena per la prima volta il 21 aprile del 1955 al Teatro Massimo di Palermo, per volontà, pare, dell’allora sovrintendente Simone Cuccia. Fu proprio lui a convincere il compositore a concludere l’opera e a presentarla al pubblico. E ci azzeccò. Il successo della ‘prima’ fu infatti strepitoso e l’opera fu più volte ripresa in Italia e all’estero. Nell’attingere il soggetto dal vaudeville Le Châpeu de paille d’Italie di Eugène Labiche e Marc Michel, Rota opta per una musica diretta, comunicativa e lieve, richiamando – talvolta parodiando – i maestri del Sette-Ottocento, Mozart e Rossini, e nello stesso tempo riallacciandosi al Gianni Schicchi di Puccini come exemplum comico immediatamente precedente: il risultato è una farsa musicale fresca, divertente e incalzante, che rende il noto compositore un genio novecentesco al di là delle ben note colonne sonore che, grazie al sodalizio con Federico Fellini, hanno fatto conoscere la sua musica in tutto il mondo. «Ottima musica di scena», commentò Eugenio Montale nella sua veste di critico musicale alla ripresa milanese del ’58. E infatti il grande merito della partitura presso il pubblico è l’immediata comunicatività di un linguaggio piacevole e scopertamente tonale: caratteristiche che spesso la critica, in passato, non ha apprezzato, avversando questa posizione ‘attardata’ di Rota e riducendolo a ‘cinematografaro’; e ignorando così la sua pur consistente produzione non filmica (che comprende anche musica strumentale e sacra). Trama dell’opera Atto primo. Sala centrale in casa di Fadinard È il giorno delle nozze tra il giovane Fadinard e la bella Elena, figlia di Nonancourt, un rozzo contadino arricchito. Nel suo appartamento parigino, Fadinard narra a Vèzinet – zio di Elena - giunto per consegnare in dono agli sposi una cappelliera, un racconto assai strano: mentre tornava a Parigi, precedendo il corteo nuziale, il suo cavallo ha mangiato il cappello di paglia di una giovane signora che stava amoreggiando con un ufficiale. Anaide, questo il nome della giovane, ed Emilio, l’amante, irrompono poco dopo nell’appartamento di Fadinard reclamando un nuovo cappello, uguale al precedente: senza di esso la donna non può infatti tornare dal suo sospettoso e gelosissimo marito. Se Fadinard rifiuterà di procurarsi il cappello, Emilio lo sfiderà a duello. Preso dal panico, Fadinard lascia la coppia clandestina nel proprio appartamento e parte alla ricerca del cappello. Il corteo nuziale si dirige al municipio. Atto secondo. Un negozio di modista Fadinard scopre che un cappello identico a quello che sta cercando è stato venduto alla baronessa di Champigny. Egli si allontana in gran fretta. Sala centrale in casa della baronessa di Champigny Dopo avere celebrato le nozze, Fadinard si precipita dalla baronessa. La nobildonna sta attendendo il grande violinista Minardi, in onore del quale ha organizzato un grande ricevimento. Scambiandolo per il musicista, accoglie con entusiasmo Fadinard, che non esita a chiederle in dono il suo cappello di paglia di Firenze. Intanto giungono dietro a Fadinard i parenti degli sposi e, credendo di essere giunti al banchetto nuziale, si dirigono nella sala da pranzo. La confusione aumenta con l’arrivo di Minardi. Fadinard intanto scopre che il cappello che sta cercando è stato donato dalla baronessa alla nipote, la signora Beaupertuis. Avuto l’indirizzo della donna, Fadinard parte recando con sé Elena. Il corteo nuziale segue i due sposi. Atto terzo. Una stanza in casa di Beaupertuis Beaupertuis si insospettisce per l’assenza della moglie; intanto arriva Fadinard a chiedere il cappello (sempre seguito dal suocero e dagli invitati, alticci). Alla notizia che la donna è assente, non esita a frugare in tutta la casa alla ricerca del cappello. A sua volta, il suocero Nonancourt, credendosi nel nuovo appartamento degli sposi, invita tutto il corteo di nozze ad entrare nella casa. Per calmare Beaupertuis, che non può credere ai propri occhi, Fadinard spiega le vere ragioni della sua visita; dalle sue parole, però, l’uomo sospetta che la misteriosa giovane donna sia proprio sua moglie. Inseguito dal corteo nuziale e da Beaupertuis armato di pistola, Fadinard si dirige al proprio appartamento. Atto quarto. Una piazza illuminata da un lampione Nonancourt ha scoperto che nell’appartamento di Fadinard è nascosta una donna. Credendo sia un’amante del genero, egli decide di portare con sé Elena e di mandare a monte il matrimonio. Seminato Beaupertuis, Fadinard scopre che la cappelliera dello zio Vézinet contiene un cappello di paglia di Firenze proprio uguale a quello così a lungo cercato. Il giovane corre a consegnare il cappello ad Anaide, mentre lo strepito notturno del corteo nuziale, che ha invaso la piazza, attira l’attenzione della polizia, che arresta tutti gli invitati. Quando tutto sembra perduto, Anaide ottiene il cappello e può così ripresentarsi al marito. Fadinard abbraccia Elena e gli invitati, rimessi in libertà, tornano felici alle proprie case.