Storia ed evoluzione dei principali modelli di sistema planetario elaborati a partire dai primi filosofi greci fino al periodo rinascimentale. Scienza e filosofia hanno formato un connubio indissolubile durante la maggior parte della storia greca. Uno dei compiti principali della filosofia greca è stato, infatti, quello di spiegare razionalmente eventi naturali che precedentemente erano stati trattati nella mitologia. Vi sono stati alcuni filosofi greci che meritano di essere ricordati quanto meno per alcune geniali deduzioni scientifiche che hanno avuto; in particolare citerei due pensatori della scuola di Mileto, ossia Talete e Anassimandro, ed il fisico pluralista Empedocle. Con Talete e Anassimandro abbiamo il vero e proprio inizio della trattazione scientifica in Grecia, specialmente per quanto riguarda l'astronomia. La maggior parte delle conclusioni che Talete trasse dalle osservazioni astronomiche, erano già note agli Egizi, ma la loro importanza risiede nel fatto che con esse si trasferì in Grecia la tradizione di queste osservazioni. Il fatto che poi Anassimandro si sia servito di un modello meccanico per illustrare le dimensioni e i movimenti dei corpi celesti, costituisce un enorme progresso rispetto alle allegorie ed alle fantasie mitologiche fino ad allora in uso. Infatti secondo Anassimandro, per esempio, "il sole è un cerchio 28 volte più grande della terra, e simile alla ruota di un carro il cui bordo cavo è costituito da fuoco. Ad un certo punto il fuoco lampeggia attraverso un foro, come attraverso lo spiraglio di un mantice (...) si ha un'eclisse di sole quando si chiude l'apertura attraverso cui appare il fuoco". "il movimento del sole attraverso il cielo è semplicemente la conseguenza del movimento del foro dovuto alla rivoluzione della ruota." Altro grande ed influente filosofo che si occupò del pensiero scientifico è stato il fisico pluralista Empedocle. Egli fu il primo a postulare, ad esempio, l'effettiva esistenza di cause nel mondo fisico, ed a identificarle con le forze, in particolare l'esistenza simultanea delle forze di attrazione e di repulsione. Empedocle riconobbe anche che la luce si propaga attraverso lo spazio e richiede tempo per propagarsi. Questa teoria viene anche esposta da Aristotele, il quale scrive: Empedocle dice che la luce è una sostanza fluente, la quale, emessa da una sorgente luminosa raggiunge da prima la regione posta fra il cielo e la terra, e da lì proviene a noi. Noi, però, non siamo coscienti di questo movimento a causa della sua velocità." Ma questo non è stato il solo capitolo della scienza che ebbe inizio nei secoli V e VI a.C. circa; ve ne è un altro ancora maggiore per le ripercussioni che ha avuto soprattutto in campo astronomico, che è quello che ci interessa. Mi sto riferendo al primo tentativo di tradurre in numero e quindi in misura le osservazioni del cosmo, compiuto da Pitagora e dai suoi seguaci. Per i Pitagorici il numero è insito in tutti gli oggetti fisici, poiché, secondo la loro filosofia, i numeri rappresentano delle figure geometriche, ed allo stesso modo le figure geometriche potevano venire descritte attraverso i numeri. Inoltre il concetto di "cosmo" per i Pitagorici era strettamente collegato al concetto di "armonia", intesa come nozione di un ordine organizzato e numericamente esprimibile. E poiché, nella filosofia pitagorica, la scienza dell'armonia è la musica, i rapporti musicali sono il modello di tutte le armonie che si ritrovano nell'universo. Dunque tutto questo spinse i Pitagorici a proiettare nei cieli i ritrovati della loro teoria dell'armonia. Per quanto riguarda l'astronomia, essi consideravano i pianeti di forma sferica, poiché la sfera era ritenuta come la più perfetta tra le figure geometriche. Inoltre pensavano che i pianeti si muovessero nel cielo con moti circolari, a velocità differenti e a distanze diverse da un punto centrale, che non è nè la Terra nè un altro astro, ma un "fuoco centrale". Tutto ciò imprimeva nella mente dei Pitagorici di nuovo un'analogia con la musica. Infatti i movimenti dei pianeti venivano paragonati alle vibrazioni delle corde, e le loro velocità angolari alla frequenza di tali vibrazioni; pertanto i Pitagorici si convinsero che dovevano esistere dei rapporti armonici anche nelle dimensioni dei cieli, analoghi ai rapporti musicali. Concludendo il discorso su questi primi pensatori è opportuno, tuttavia, osservare come essi seguissero un procedimento scientifico simile a quello odierno, ossia: partendo da esperimenti compiuti su diversi strumenti, essi ne esprimevano i risultati in termini generali e tendevano alla formulazione matematica di leggi universalmente applicabili. Il loro amore per una mistica dei numeri non diminuisce affatto le loro capacità scientifiche, anzi, poiché tale amore servì come stimolo alla ricerca di leggi casuali della natura, esso contribuì al progresso della scienza. Il contributo dei Greci all'astronomia è particolarmente notevole nelle tre direzioni seguenti: 1) miglioramento delle misurazioni astronomiche; 2) sviluppo di modelli geometrici per la spiegazione dei moti degli astri; 3) calcolo delle dimensioni cosmiche. Riguardo al primo argomento i Greci si limitarono a proseguire le ricerche che erano state portate avanti nei secoli precedenti dagli Egiziani e dai Babilonesi. Ma negli altri due casi essi aprirono dei capitoli nella storia dell'astronomia che condussero ad enormi progressi. Il massimo grado di accuratezza nelle osservazioni astronomiche venne raggiunto dal più grande astronomo greco dell'antichità: Ipparco di Nicea. Egli compì alcune osservazioni a Rodi e ad Alessandria, e le sue scoperte furono la base del compendio elaborato da Tolomeo circa tre secoli dopo. Ipparco fu allo stesso tempo un grande matematico ed un abile costruttore di strumenti; compilò pure un catalogo contenente la descrizione della forma delle costellazioni e vi elencò circa 85o stelle delle quali aveva calcolato le coordinate. Ma il maggior risultato conseguito da Ipparco, e che gli assicura per sempre un posto d'onore nella storia dell'astronomia, fu la scoperta della "precessione degli equinozi", che può essere qui spiegata in poche righe: L'asse della Terra non è perpendicolare al piano della sua orbita, ma inclinato di un angolo di 66,5°. Pertanto il piano dell'equatore è inclinato di un angolo di 23,5° rispetto al piano dell'orbita. Quindi quest'orbita taglia la proiezione dell'equatore in due punti, che sono detti punti equinoziali di primavera ed autunno. La Terra, poi, non essendo una sfera perfetta, ma schiacciata ai poli, si comporta in modo simile ad una trottola: durante il moto di rotazione il suo asse non conserva la propria direzione nello spazio, ma ruota molto lentamente intorno ad un asse immaginario perpendicolare al piano della sua orbita, e passante per il centro. A causa di questo moto la posizione dei punti equinoziali nel cielo muta. Questo movimento è appunto detto "precessione degli equinozi". Poiché tale precessione compie un intero cerchio in 26.000 anni circa, si avrà uno spostamento annuale di un dato punto nel cielo lungo un arco di 50''. Da qui si denota l'accuratezza delle osservazioni compiute da Ipparco, il quale pervenne a questi risultati confrontando le proprie osservazioni della posizione di certe stelle fisse in relazione ai punti equinoziali con quelle compiute circa 150 anni prima dagli astronomi alessandrini. Volgiamo ora il nostro sguardo al grande contributo dato dai Greci nel campo della geometria usata per illustrare il movimento dei pianeti. I pianeti con un'orbita maggiore di quella della Terra, ossia Marte, Giove, Saturno (Urano, Nettuno, e Plutone non erano ancora stati scoperti all'epoca dei Greci), sembrano muoversi nel cielo con movimenti a guisa di laccio: il pianeta rallenta il suo moto e torna indietro (moto retrogrado), in direzione opposta; poi si arresta e riprende ad avanzare oltre il punto di inversione di marcia e così via. I pianeti posti fra noi ed il Sole, cioè Venere e Mercurio, compiono anch'essi dei simili movimenti retrogradi nella loro rivoluzione apparente intorno alla Terra, ma il centro di queste oscillazioni è il Sole: Ora la domanda che si fecero i Greci è: "come possono tutti questi movimenti a venire ridotti entro un unico sistema?". La prima soluzione al problema fu fornita da Eudosso di Cnido. Il metodo di Eudosso consiste nella famosa teoria delle "sfere concentriche" che hanno come centro comune la Terra, anch'essa una sfera, intorno a differenti assi e in diverse direzioni. Per spiegare le irregolarità del moto dei pianeti, Eudosso pensò che ogni sfera rotante planetaria fosse agganciata per i poli ad una seconda sfera, che ruota attorno a poli differenti, e questa a sua volta ad una terza sfera e così via. Ogni traiettoria "a guisa di laccio" del moto dei pianeti veniva così riprodotta dalla convoluzione delle rotazioni delle sfere. Eudosso riteneva, inoltre, che il Sole e la Luna si volgessero ciascuna in tre sfere, che diventavano quattro per tutti gli altri pianeti, e una sola per le stelle fisse che comprende e trasporta con se tutte le altre sfere. Per Eudosso erano dunque necessarie 26 sfere per poter spiegare razionalmente i fenomeni fisici in generale e quelli astronomici in particolare. Il modello delle sfere concentriche continuò a dominare l'immagine popolare dell'universo per tutto quanto il periodo che va da Aristotele a Copernico. Tuttavia gli astronomi dell'antichità si resero ben presto conto che esso non era sufficientemente duttile per venire incontro alla sempre crescente precisione delle osservazioni. Questo progresso, infatti, mostrava che le velocità del Sole e dei pianeti non sono uniformi, e ciò non poteva affatto venire spiegato con l'ipotesi che la Terra stesse al centro di tali movimenti. Questa contraddizione venne risolta con la semplice ipotesi che gli astri si muovessero effettivamente su traiettorie circolari (secondo l'originaria teoria pitagorica), e che queste traiettorie circolari fossero circoscritte alla Terra, ma che i loro centri non coincidessero propriamente col centro della Terra.. Dopo questa teoria, dobbiamo aspettare fino al 150 d.C. perché si sviluppi un secondo modello geometrico in grado di descrivere in modo realistico i movimenti planetari; tale modello fu teorizzato da Claudio Tolomeo. Egli ipotizzò che i pianeti si muovessero lungo un cerchio secondario detto "epiciclo", attorno ad un centro geometrico che a sua volta ruota lungo un cerchio primario chiamato "deferente". In questo modo, per un osservatore che si trova sulla Terra, la combinazione della rivoluzione del pianeta lungo il cerchio secondario col progredire del centro di quest'ultimo lungo la circonferenza del cerchio primario, appare come il caratteristico movimento " epiciclo". Dal secondo secolo d.C., dopo secoli e secoli di buio totale, dobbiamo arrivare fino al Rinascimento per incontrare ancora dei personaggi che idearono altri tipi di modelli per illustrare i complessi movimenti dei pianeti. Sebbene Tolomeo avesse compiuto ogni possibile sforzo per descrivere i movimenti degli astri per mezzo di orbite rigorosamente circolari, e benché questa dottrina fosse stata accolta anche dalla Chiesa perché coerente con quanto contenuto nelle Sacre Scritture, tuttavia per l'uomo del Rinascimento la realtà stava facendosi sempre più complessa e i moti dei pianeti, di fatto, erano diversi da quelli previsti. E parlare di astronomia nel Rinascimento significa riferirci alla figura di Niccolò Copernico, il quale sulla base di calcoli matematici, e ancora più dopo un lunghissimo tempo di osservazioni delle traiettorie planetarie, inferì che la Terra non si trovava al centro del sistema, nè tantomeno dell'universo, ma, invece, al centro stava il Sole e gli altri pianeti, compresa la Terra, gli ruotavano intorno. Questa teoria, però, non trovò mai largo spazio nella mentalità dell'epoca, legata alle credenze religiose, e lo stesso Copernico la lasciò per un certo tempo nell'anonimato, onde evitare di essere accusato di eresia. All'incirca nello stesso tempo un astronomo danese di nome Tycho Brahe, teorizzò un ennesimo modello planetario. Egli conosceva molto bene sia la teoria geocentrica di Tolomeo, sia quella eliocentrica di Copernico, ma non prese mai parte nè per l'una nè per l'altra; piuttosto cercò di elaborarne una intermedia. Egli ipotizzò che la Terra stesse al centro dell'universo, e che il Sole, centro di rotazione dei cinque pianeti, vi ruotasse intorno come la Luna. Brahe, il quale credeva fermamente nella sua teoria, in punto di morte affidò il compito di terminare la dimostrazione del suo sistema al suo miglior discepolo: Giovanni Keplero, cosa che, però, quest'ultimo da convinto seguace della teoria copernicana, non fece mai. Di conseguenza Keplero non si impegnò, come avevano fatto i suoi predecessori, a trovare un nuovo modello geometrico per la spiegazione dei moti planetari. Il principale e importantissimo riconoscimento che dobbiamo a Keplero è per l'aver formulato le tre famose leggi che da lui prendono il nome, e che affermano: 1) I pianeti descrivono orbite ellittiche intorno al Sole, e quest'ultimo si trova in uno dei due fuochi. 2) Le aree descritte dal raggio vettore tracciato dal Sole ai pianeti, sono proporzionali ai tempi impiegati a descriverle. 3) I quadrati dei tempi impiegati dai pianeti a descrivere le proprie orbite sono proporzionali ai cubi dei semiassi maggiori delle ellissi. Keplero pubblicò questi risultati nella raccolta "Astronomia Nova", assieme alla rivoluzionaria ipotesi che la causa dei moti dei pianeti fosse legata ad una azione del Sole, meno forte quanto più il pianeta fosse distante. Infine è importante fa notare come, con l'introduzione della prima legge di Keplero fu possibile interpretare le proprietà del moto dei pianeti, senza la teoria degli "epicicli" di Tolomeo. Per concludere, non posso non citare un figura di assoluto rilievo nella storia dell'astronomia, ma anche della scienza in generale, ossia Galileo Galilei. Anch'egli è stato un copernicano convinto, e, anzi, il più convinto tra tutti i seguaci dell'astronomo polacco, e di conseguenza anch'egli come Keplero, e del resto, ormai, come tutti i grandi astronomi che verranno dopo di lui (es. Newton), non elaborò mai un proprio modello geometrico per spiegare gli irregolari moti planetari. Ciò che vi è di importante da far notare è che questo scienziato, forse per primo, sentì il desiderio di portare gli astronomi del papa, ancora vincolati alla concezione aristotelicotolemaica, sulle sue posizioni, tentando di convincerli ad abbandonare le teorie ed i metodi descritti nelle Sacre Scritture, che egli considerava, ormai, sorpassati. Galileo per questo motivo fu condannato, e divenne vittima innocente della mentalità troppo chiusa ed arcaica quale era quella della Chiesa del tempo, e non solo della Chiesa. Tuttavia la concezione aristotelico-tolemaica, che aveva per così tanto tempo dominato il pensiero scientifico, fu costretta a soggiacere alla teoria eliocentrica di Copernico, grazie alla quale si sono gettate le basi per tutte le grandi scoperte astronomiche da parte di illustri scienziati, nei secoli successivi. 1543, 24 MARZO VIENE PUBBLICATA LA TEORIA COPERNICANA Il canonico e medico polacco NICOLÒ COPERNICO ( 1473 - 1543 ) rivoluziona la conoscenza del mondo fisico proponendo la teoria eliocentrica che pone il Sole e non la Terra al centro del mondo conosciuto. La rivoluzione copernicana del tranquillo canonico polacco, che ribalta due millenni di scienza greca, darà l 'avvio alla scienza moderna rendendo possibili le grandi scolerte di Galileo, Newton, Keplero sul moto dei pianeti e delle stelle. Basandosi su poche osservazioni del cielo e molto lavoro a tavolino, il canonico polacco si accorge che alcuni fenomeni incomprensibili sul moto di Marte, Giove e Saturno potrebbero essere facilmente spiegati togliendo la Terra al centro dell 'universo e collocandovi il Sole, con tutti i pianeti che gli ruotano attorno. Per trent 'anni ne rimanda la pubblicazione perchè consapevole che tutto il mondo religioso definisse eretica la teoria eliocentrica. Infatti la Chiesa di Roma ne mette all'indice il libro. Le premesse fondamentali della teoria copernicana, in contrasto con la concezione tolemaica, consistono nell’asserzione che la Terra ruota per la durata di un giorno sul proprio asse e per la durata di un anno attorno al sole. Copernico dimostrò inoltre che i pianeti ruotano attorno al sole e che la terra, ruotando attorno al proprio asse, effettua un moto di precessione sul suo asse. .La teoria eliocentrica sul moto dei pianeti aveva tuttavia i seguenti vantaggi: dimostrava l’apparente moto giornaliero e annuale del Sole e delle stelle, forniva una spiegazione chiara del moto retrogrado di Marte, Giove e Saturno, nonché il motivo per il quale Mercurio e Venere non superavano mai una determinata distanza dal Sole La cintura di Kuiper di Jane X. Luu e David C. Jewitt. Dopo la scoperta di Plutone nel 1930, molti astronomi rimasero affascinati dalla possibilità di trovare un decimo pianeta in orbita attorno al Sole. Nascosto dalle enormi distanze dello spazio interplanetario, il misterioso "Pianeta X" avrebbe potuto rimanere nascosto anche alla vista dei migliori telescopi, così almeno affermavano tali scienziati. Tuttavia passarono alcuni decenni senza che esso venisse identificato e la maggior parte dei ricercatori cominciò ad accettare il fatto che il sistema solare fosse limitato al consueto insieme di nove pianeti. Ma molti scienziati cominciarono seriamente a riconsiderare le loro conoscenze sul sistema solare nel 1992, quando identificammo un piccolo corpo celeste, esteso soltanto per alcune centinaia di chilometri e più lontano dal Sole di tutti i pianeti conosciuti. Da quel momento abbiamo identificato quasi tre dozzine di oggetti simili, orbitanti nel sistema solare esterno. È probabile che un gruppo di oggetti simili stia viaggiando insieme a loro, formando la coiddetta cintura di Kuiper, una regione intitolata all'astronomo americano di origine olandese Gerard P. Kuiper, che nel 1951 sostenne l'idea che il sistema solare comprendesse questa lontana famiglia. Cosa condusse Kuiper, quasi mezzo secolo fa, a credere che il disco del sistema solare fosse popolato da numerosi piccoli corpi orbitanti a grandi distanze dal Sole? La sua convinzione sorse dalla sua completa conoscenza del comportamento di certe masse cometarie di ghiaccio e roccia, che ad intervalli regolari piombano dalle estreme propaggini del sistema solare verso il suo interno, puntando verso il Sole. Molti di questi oggetti relativamente piccoli compiono periodicamente apparizioni spettacolari, quando i raggi del Sole li riscaldano abbastanza così da allontanare polveri e gas dalle loro superfici, i quali formano aloni luminosi (creando grandi chiome) e code allungate. Gli astronomi da molto tempo si sono resi conto che tali comete attive devono essere oggetti relativamente nuovi del sistema solare inteno. Un corpo come la cometa di Halley, che oscilla con una periodicità di 76 anni, perde circa un decimillesimo della sua massa in occasione di ogni visita nei pressi del Sole. Quella cometa sopravviverà soltanto per circa 10 mila orbite, mantenendosi forse per mezzo milione di anni in tutto. Comete del genere furono create durante la formazione del sistema solare, quattro miliardi e mezzo di anni fa ed adesso dovrebbero aver completamente perso i loro costituenti volatili, lasciandosi dietro nuclei rocciosi inattivi oppure correnti diffuse di polveri. Perché, allora, ci sono ancora così tante comete in giro, compreso l'ultimo spettacolo cosmico in ordine di tempo, la cometa Hyakutake, che abbagliano gli spettatori con le loro esibizioni ? Le luci guida. Le comete che sono tuttora attive si formarono nella fase iniziale della formazione del sistema solare, ma da allora sono rimaste in uno stato inattivo - la maggior parte di esse si è mantenuta all'interno di un profondo "congelatore" celeste denominato nube di Oort. L'astronomo olandese Jan H. Oort ha proposto l'esistenza di questa sfera di materiale cometario nel 1950. Egli credeva che tale nube avesse un diametro di circa 100 mila UA (un'unità astronomica - UA - è una misura di lunghezza definita come la distanza media tra la Terra ed il Sole, pari a circa 150 milioni di kilometri) e che essa contenesse parecchie centinaia di miliardi di singole comete. Secondo l'idea di Oort, una sorta di interazione gravitazionale "a spintoni", che si manifesta in modo del tutto casuale tra le stelle che passano vicine le une alle altre, fa allontanare alcune delle comete esterne della nube dalle loro orbite stabili e gradualmente fa deflettere il loro cammino verso il Sole. Per la maggior parte dello scorso mezzo secol l'ipotesi di Oort ha spiegato chiaramente le dimensioni e l'orientazione delle traiettorie che le cosiddette comete di lungo periodo (quelle che impiegano più di 200 anni per orbitare intorno al Sole) seguono. Gli astronomi hanno trovato che quei corpi cadono entro la regione planetaria secondo direzioni casuali, come ci si aspetterebbe se le comete si formassero in un deposito sferico come la nube di Oort. In contrasto, l'ipotesi di Oort non riusciva a spiegare l'esistenza delle comete di corto periodo, che normalmente occupano orbite più piccole ed inclinate soltanto leggermente rispetto al piano orbitale della Terra, un piano che gli astronomi chiamano eclittica. Molti astronomi pensano che le comete di corto periodo originariamente viaggiassero su orbite enormi, orientate a caso, come fanno oggi le comete di lungo periodo, e ritengono che esse siano state portate dall'attrazione gravitazionale dei pianeti, in primo luogo di Giove, all'interno della loro attuale configurazione orbitale. Tuttavia non tutt gli scienziati hanno sottoscritto quest'idea. Sin dal 1949 Kenneth Essex Edgeworth, un gentiluomo irlandese, scienziato per passione, che non era affiliato a nessun ente di ricerca, scrisse un articolo scientifico che suggeriva che ci sarebbe potuto essere un anello piatto di comete nel sistema solare esterno. Nel suo articolo del 1951 anche Kuiper discusse l'esistenza di quella fascia di comete, ma non fece riferimento al precedente lavoro di Edgeworth. Kuiper ed altri sostennero che il disco del sistema solare non dovrebbe terminare improvvisamente in corrispondenza di Nettuno o Plutone (che sono rivali tra loro per essere il pianeta più distante dal Sole). Egli invece previde l'esistenza di una cintura di corpi celesti posta tra Nettuno e Plutone, formata da materiale residuo, rimasto dal tempo della formazione dei pianeti. La densità di materia in questa regione esterna sarebbe così bassa che i grandi pianeti non vi si sarebbero potuti formare, mentre vi si potrebbero trovare oggetti più piccoli, forse elle dimensioni di un asteroide. Dal momento che questi residui sparsi della materia primordiale erano così lontani dal Sole, essi avrebbero mantenuto una bassa temperatura superficiale. Sembra così probabile che questi oggetti distanti fossero composti di acqua ghiacciata e di vari gas congelati - ciò che li rendeva abbastanza simili (se non identici) ai nuclei delle comete. L'ipotesi di Kuiper languì fino agli anni settanta, quando Paul C. Joss del Massachusetts Institute of Technology cominciò a chiedersi se l'attrazione gravitazionale di Giove potesse in effetti trasformare comete di lungo periodo in comete di corto periodo. Egli notò che la probabilità di una cattura gravitazionale da parte di Giove era così piccola che l'esistenza della maggior parte delle comete a corto periodo che adesso si conoscono semplicemente non avrebbe avuto possibilità di spiegazione. Altri ricercatori, tuttavia, non furono in grado di confermare questo risultato e la nube di Oort rimase l'unica origine accertata delle comete, sia di quelle di lungo periodo che di quelle di corto periodo. Ma Joss aveva seminato il seme del dubbio ed alla fine altri astronomi cominciarono a rivedere l'opinione corrente. Nel 1980 Julio A. Fernandez (allora all'Istituto Max Planck per l'Astronomia di Katlenburg - Lindau), per esempio, aveva eseguito alcuni calcoli che suggerivano che le comete di corto periodo potessro provenire dalla sorgente trans-nettuniana proposta da Kuiper. Nel 1988 Martin J. Duncan dell'Università di Toronto, Thomas Quinn e Scott Tremaine (entrambi all'Istituto Canadese di Astrofisica Teorica) adoperarono simulazioni al computer per studiare come i pianeti giganti gassosi potessero catturare le comete. Come Joss, scoprirono che tale processo funziona piuttosto male, ponendo dei dubbi circa la validità di questa concezione ormai consolidata sull'origine delle comete di corto periodo. I loro studi furono davvero come un campanello d'allarme, dal momento che essi osservarono che le poche comete che avessero potuto essere estratte dalla nube di Oort per effetto di uno "strattone" gravitazionale da parte dei pianeti maggiori, avrebbero dovuto viaggiare in sciami sferici, mentre le orbite delle comete di corto periodo tendono a disporsi su piani prossimi all'eclittica. Duncan, Quinn e Tremaine conclusero che le comete di corto periodo dovevano essere state catturate dalle loro orbite originarie, le quali si scostavano soltanto leggermente dall'eclittica, provenendo orse da una cintura di comete di forma schiacciata, posta nel sistema solare esterno. Ma la loro cosiddetta ipotesi della cintura di Kuiper non era al riparo di eventuali obiezioni. Per poter eseguire i loro calcoli, essi avevano aumentato le masse dei pianeti esterni fino a 40 volte tanto il valore reale (aumentando in questo modo l'entità dell'attrazione gravitazionale ed accelerando l'evoluzione orbitale che desideravano studiare). Altri astrofisici si chiesero allora se questo gioco di prestigio computazionale non avesse potuto condurre ad una conclusione errata. Perché non dare un'occhiatina ? Ancor prima che Duncan, Scott e Tremaine pubblicassero il loro lavoro, noi ci eravamo posti il problema se il sistema solare esterno fosse veramente vuoto, oppure pieno di piccoli corpi nascosti. Nel 1987 iniziammo una ricognizione al telescopio per affrontare in modo sistematico la questione. Il nostro piano consisteva nel cercare qualsiasi oggetto che potesse trovarsi nel sistema solare esterno servendosi della scarsa quantità di luce solare che sarebbe stata riflessa indietro da tali enormi distanze. Benché inizialmente ci servissimo di lastre fotografiche, presto decidemmo che un approccio più promettente consisteva nell'utilizzare un rivelatore elettronico (un dispositivo del tipo "charge-coupled device", o CCD), collegato ad uno dei telescopi più grandi. Conducemmo la maggior parte delle nostre indagini utilizzando il telescopio di 2.2 metri dell'Università delle Hawaii, situato a Mauna-Kea. La nostra strategia prevedeva di utilizzare un dispositivo CCD insieme al telescopio, per realizzare 4 esposizioi successive da 15 minuti di una certa porzione di cielo. Programmammo quindi un computer perché ci mostrasse le immagini in sequenza in rapida successione, un processo che gli astronomi chiamano "lampeggiamento". Un oggetto che scivoli leggermente nelle immagini contro lo sfondo del cielo stellato (che appare fisso) viene identificato come appartenente al sistema solare. Per 5 anni abbiamo continuato la nostra ricerca collezionando soltanto risultati negativi. Ma la tecnologia che avevamo a disposizione migliorava così in fretta che non era difficile mantenere in vita l'entusiasmo (se non i fondi) per continuare la caccia alla nostra sfuggente preda. Il 30 agosto 1992 stavamo realizzando la terza di una sequenza di quattro esposizioni, facendo lampeggiare le prime due immagini sullo schermo del computer. Notammo che la posizione di una debole "stella" sembrava cambiare leggermente tra due immagini successive. Entrambi rimanemmo in silenzio. Il moto era abbastanza lieve, ma sembrava ben definito. Quando confrontammo le prime due immagini con la terza, ci rendemmo conto che davvero avevamo scoperto qualcosa fuori dall'ordinario. Il suo lento moto nel cielo indicava che l'oggetto che avevamo appena scoperto stava viaggiando addirittura oltre le estreme propaggini dell'orbita di Plutone. Tuttavia sospettavamo che il misterioso oggetto potesse essere un asteroide prossimo alla Tera che si stava muovendo in parallelo con la Terra (ciò che avrebbe potuto causare anche un lento moto apparente). Ad ogni modo ulteriori misurazioni esclusero questa possibilità. Osservammo di nuovo il curioso corpo celeste nelle due notti successive ed ottenemmo accurate misure della sua posizione, della sua luminosità e del suo colore. Comunicammo quindi questi dati a Brian G. Marsden, direttore dell'Ufficio Centrale per i Telegrammi Astronomici dell'Unione Astronomica Internazionale presso l'Osservatorio Astrofisico Smithsoniano di Cambridge, Massachusetts. I suoi calcoli indicarono che l'oggetto che avevamo scoperto stava realmente orbitando intorno al Sole ad una grande distanza da esso (40 UA) - soltanto leggermente più lontano di quanto avessimo supposto inizialmente. Egli attribuì all'oggetto appena scoperto una denominazione formale, se non addirittura scialba, basandosi sul giorno della scoperta: lo battezzò infatti "1992QB1". (Avremmo preferito chiamarlo "Smiley", in omaggio al romanzo di spionaggio di John Le Carrè, ma quel nome non fece presa all'interno della conservatrice comunità degli astronomi). Le nostre osservazioni mostrarono che QB1 riflette una radiazione abbasanza ricca di toni rossastri in confronto alla luce solare che lo illumina. Questa strana colorazione si ritrova soltanto in un altro oggetto del sistema solare - un particolare asteroide o cometa, chiamato Pholus 5145. Gli astronomi planetari attribuiscono il colore rosso di Pholus 5145 alla presenza di materiali scuri, ricchi di carbonio, sulla sua superficie. La somiglianza tra QB1 e Pholus 5145 aumentò così la nostra eccitazione durante i primi giorni dopo la scoperta. Forse l'oggetto che avevamo appena localizzato era rivestito da qualche specie di materiale rossastro abbondante nei composti organici. Che dimensioni aveva questo nuovo mondo rossastro ? Dalla nostra prima serie di misurazioni stimammo che QB1 avesse un'estensione compresa tra 200 e 250 km - circa 15 volte le dimensioni del nucleo della cometa di Halley. Alcuni astronomi dapprincipio misero in dubbio il fatto che la nostra scoperta di QB1 significasse veramente la prova dell'esistenza di una popolazione di oggetti nel sistema solare estero, come Kuiper ed altri avevano ipotizzato. Ma tali dubbi iniziarono a svanire quando fu trovato un secondo corpo nel Marzo del 1993. Quest'oggetto è lontano dal Sole come QB1 ma è collocato dalla parte opposta del sistema solare. Durante questi ultimi tre anni parecchi altri gruppi di ricerca hanno affrontato la questione ed un corposo insieme di scoperte - comprese alcune osservazioni dal telescopio Hubble, che hanno confermato i precedenti risultati - ne è seguito. Il conto attuale degli oggetti trans-nettuniani della cintura di Kuiper ammonta a 32. I componenti conosciuti della cintura di Kuiper condividono un certo numero di caratteristiche. Ad esempio, essi sono tutti collocati al di là dell'orbita di Nettuno, il che suggerisce che il bordo interno della cintura si trovi in corrispondenza di tale pianeta. Tutti questi corpi celesti recentemente scoperti viaggiano lungo orbite che sono inclinate soltanto leggermente rispetto all'eclittica - un'osservazione coerente con l'esistenza di una cintura piatta i comete. Ciascun oggetto della cintura di Kuiper è milioni di volte più debole di un oggetto visibile ad occhio nudo. Il diametro dei 32 oggetti varia dai 100 ai 400 kilometri, ciò che li rende considerevolmente più piccoli sia di Plutone (che ha un'estensione di circa 2300 kilometri), che del suo satellite Caronte (che ha un'estensione di circa 1100 kilometri). Il campionamento finora effettuato è ancora abbastanza modesto, ma il numero di nuovi corpi del sistema solare fin qui rintracciati è sufficiente per dimostrare al di là di ogni ragionevole dubbio l'esistenza della cintura di Kuiper. E' anche chiaro che la popolazione complessiva della cintura deve essere piuttosto consistente. Si stima che la cintura di Kuiper contenga almeno 35000 oggetti di diametro maggiore di 100 kilometri. Di conseguenza, la cintura di Kuiper ha probabilmente una massa totale centinaia di volte superiore a quella della ben nota fascia degli asteroidi posta tra le orbite di Marte e Giove. Un freddo magazzino cometario. Può darsi che la cintura di Kuiper sia ricca di materia, ma può forse servire effettivamente come fonte di rifornimenti per le comete di corto periodo che si consumano rapidamente ? Matthew J. Holman e Jack L. Wisdom, entrambi al M.I.T., hanno affrontato questo problema adoperando simulazioni al computer. Essi hanno dimostrato che entro un lasso di tempo di 100000 anni l'influenza gravitazionale dei pianeti gassosi giganti (Giove, Saturno, Urano e Nettuno) produce comete che orbitano nelle loro vicinanze e che vengono spedite verso le estreme propaggini del sistema solare. Ma una notevole percentuale delle comete trans-nettuniane riesce a sfuggire a questo destino, rimanendo all'interno della cintura addirittura per più di 4.5 miliardi di anni. Pertanto gli oggetti della cintura di Kuiper posti a più di 40 UA di distanza dal Sole sono probabilmente rimasti in orbite stabili fin dalla formazione del sistema solare. Gli astronomi ritengono anche che ci sia nella cintura di Kuiper una massa sufficiente per rifonire tutte le comete di corto periodo che si siano finora formate. In tal modo la cintura di Kuiper sembra essere un valido candidato per il ruolo di magazzino cometario. E pure il meccanismo del trasferimento fuori da questo deposito è adesso ben compreso. Le simulazioni al computer hanno mostrato che la gravità di Nettuno lentamente erode il bordo interno della cintura di Kuiper (la regione entro 40 UA dal Sole), lanciando oggetti da quella zona verso il sistema solare interno. In ultima analisi molti di questi piccoli corpi lentamente bruciano come comete. Alcuni - come la cometa Shoemaker-Levy 9, che urtò Giove nel Luglio del 1994 - possono finire la loro esistenza improvvisamente colpendo un pianeta (o forse il Sole). Altri saranno attratti in una sorta di fionda gravitazionale, che li spedisce verso le lande lontane dello spazio interstellare. Se la cintura di Kuiper è l'origine delle comete a corto periodo, si pone un'altra ovvia domanda: in questo momento ci sono forse alcune comete che stanno andand dalla cintura di Kuiper verso il sistema solare interno ? La risposta potrebbe trovarsi nel Centauro, un gruppo di oggetti che comprende il corpo estremamente rosso denominato Pholus 5145. Gli oggetti del Centauro viaggiano lungo orbite enormi che attraversano quelle dei pianeti e sono fondamentalmente instabili. Essi possono rimanere tra i pianeti giganti soltanto per alcuni milioni di anni prima che le interazioni gravitazionali li espellano dal sistema solare oppure li trasferiscano entro orbite più strette. Con durate della vita orbitale che sono molto inferiori all'età del sistema solare, gli oggetti del Centauro non avrebbero potuto formarsi dove effettivamente sono stati rinvenuti. Tuttavia la natura delle loro orbite rende praticamente impossibile dedurre il loro luogo di origine con sicurezza. Ciononostante, il più vicino (ed il più probabile) serbatoio di tali oggetti è la cintura di Kuiper. Gli oggetti del Centauro potrebbero in tal modo essere "comete di transizione", ex oggetti della cintura diKuiper diretti verso brevi ma spettacolari esistenze entro il sistema solare interno. La più forte prova a sostegno di quest'ipotesi viene da un certo oggetto del Centauro - Chirone 2060. Benché i suoi scopritori inizialmente pensassero che fosse soltanto un asteroide un po' insolito, Chirone 2060 è adesso senza ombra di dubbio ritenuto una cometa attiva con una chioma debole ma persistente. Mentre gli astronomi continuano a studiare la cintura di Kuiper, altri hanno cominciato a chiedersi se tale serbatoio di oggetti celesti abbia potuto produrre qualcos'altro oltre alle comete. E' forse una coincidenza il fatto che Plutone, il suo satellite Caronte ed il satellite di Nettuno Tritone si trovino nelle vicinanze della cintura di Kuiper ? Questo interrogativo sorge allorché ci si renda conto che Plutone, Caronte e Tritone presentano parecchie somiglianze nelle loro proprietà più importanti, essendo per di più drasticamente diversi dagli oggetti loro vicini. Il telescopio Hubble, a questo proposito, ha recenteente fornito proprio le prime immagini dirette di Plutone e di Caronte. Un trio molto speciale. Le densità di Plutone e di Tritone, tanto per fare un esempio, sono molto maggiori di quelle dei pianeti gassosi giganti del sistema solare esterno. Anche i moti orbitali di tali corpi sono piuttosto strani. Tritone ha un moto di rivoluzione intorno a Nettuno in direzione retrograda - in senso opposto alla direzione del moto orbitale di tutti i pianeti e della maggior parte dei satelliti. L'orbita di Plutone si inclina notevolmente rispetto all'eclittica ed ha una forma così lontana da quella circolare che addirittura interseca l'orbita di Nettuno. Plutone, tuttavia, è protetto da un'eventuale collisione con il pianeta maggiore da una particolare relazione orbitale, nota con il nome di risonanza 3:2 del moto medio. In termini elementari, per ogni tre orbite di Nettuno intorno al Sole, Plutone ne completa due. I pezzi di questo enigma celeste possono incastrarsi bene tra loro se si postula che Plutone, Caronte e Tritone siano gli ultimi sopravvissuti di un insieme di oggetti celesti di analoghe dimensioni, uninsieme un tempo molto più ampio. S. Alan Stern dell'Istituto di Ricerca Southwest di Boulder ha per primo suggerito quest'idea nel 1991. Questi tre corpi avrebbero potuto essere risucchiati da Nettuno, il quale catturò Tritone e costrinse Plutone - forse con Caronte al suo seguito - nell'attuale risonanza orbitale. E' interessante il fatto che le risonanze orbitali sembrano influenzare anche la posizione di molti oggetti della cintura di Kuiper. Circa la metà degli oggetti recentemente scoperti possiede la stessa risonanza 3:2 del moto medio come Plutone e, ancora come Plutone, sembrano poter orbitare serenamente per miliardi di anni. (La risonanza impedisce che Nettuno si avvicini troppo e disturbi l'orbita dei corpi minori). Abbiamo soprannominato quei corpi della cintura di Kuiper "Plutini" - ovvero piccoli Plutoni. Considerando la piccola estensione della parte di cielo che abbiamo esaminato, stimiamo che ci debbano essere parecchie migliaia di "Plutini" di estensione superiore ai 100 kilometri. Le recenti scoperte di oggetti celesti nella cintura di Kuiper hanno aperto una nuova prospettiva di studio del sistema solare esterno. Ora come ora Plutone appare come un corpo celeste speciale soltanto perché ha dimensioni maggiori di quelle di tutti gli oggetti della cintura di Kuiper. Ci si potrebbe anche chiedere se Plutone davvero meriti l'appellativo di pianeta adulto. Pare allora abbastanza strano che un filone di ricerca avviatosi con i tentativi di trovare un decimo pianeta sia in fondo riuscito in qualche modo a ridurre il conto finale dei pianeti ad otto. Questo aspetto piuttosto ironico dell'intera faccenda, oltre alle molte interessanti osservazioni che sono state fatte degli oggetti della cintura di Kuiper, ci ricordano tuttora che il nostro sistema solare è una fonte di innumerevoli sorprese. Ulteriori letture consigliate. "The origin of short-period comets", di Martin Duncan, Thomas Quinn e Scott Tremaine, Astrophysical Journal, Vol. 328, pagg. L69-L73, 15 Maggio 1988. "The Kuiper belt objects", di J. X. Luu in Asteroids, Comets, Meteors 1993, di A. Milani, M. Di Martino e A. Cellino eds., Kluwer Academic Publishers, 1993. "The solar system beyond Neptune", di D. C. Jewitt e J. X. Luu, Astronomical Journal, Vol. 109, N. 4, pagg. 1867-1876, Aprile 1995. "The origin of Pluto's orbit: implications for the solar system beyond Neptune", di Renu Malhotra, Astronomical Journal, Vol. 110, pagg. 420-429, Luglio 1995.