NEUROSCIENZE COGNITIVE, Gazzaniga CAPITOLO 1 Breve storia delle neuroscienze cognitive La disciplina della neuroscienza cognitiva fu battezzata a New York, negli anni Settanta, a seguito di un simposio di scienziati che sentì la necessità di nominare quel particolare campo di studio che si preoccupa di capire come dal funzionamento del cervello possa scaturire la mente. Strano pensare che la Terra si sia formata 5 miliardi di anni fa, la vita 3,5 miliardi di anni fa e il cervello umano nella sua forma attuale soltanto da 100000 anni. Inizialmente occupata alla sopravvivenza quotidiana e ad attività pratiche, soltanto più tardi l'uomo incominciò a dedicare tempo anche alla costruzione di teorie complesse sulle motivazioni sottostanti all'agire umano. Fra i primi tentativi di capire il mondo e il posto in esso occupato dall'uomo figurano l'Edipo Re – antica tragedia greca incentrata sul conflitto genitori-figli – e le teorie egizie e mesopotamiche sulla natura di religione e universo. L'ostacolo era l'impossibilità di esplorare la mente attraverso la sperimentazione. Con la scuola del pensiero moderno si inizia a osservare, a manipolare, a misurare e a determinare pertanto come il cervello agisca. Certo, la filosofia può essere un'altra strada, la speculazione astratta un'altra ancora. Ma soltanto il metodo scientifico può far progredire su tale argomento. Sappiamo che il cervello, massa di tessuto biologico, è capace di pensare, ricordare, risolvere problemi, desiderare il sesso, scrivere romanzi e molto altro. Le domande da porsi sono: questa massa gelatinosa funziona nel suo complesso come un'unità, in cui ogni parte contribuisce al funzionamento del tutto? Oppure è un insieme di tante singole parti, che funzionano ognuna per conto proprio esplicando attività specifiche, e il risultato finale è qualcosa che pare funzionare come un'unità integrata? La mente scaturisce dal funzionamento integrato dell'intero cervello o dal funzionamento indipendente delle sue diverse parti? Questo il quesito della ricerca moderna. Tutto iniziò nel XIX secolo, quando i frenologi – i capiscuola Franz Joseph Gall e Spurzheim – sostennero che l'organizzazione del cervello era incentrata su circa 35 funzioni specifiche. Ritenevano che tali funzioni – variabili da capacità cognitive quali il linguaggio e la percezione dei colori, la speranza e l'autostima – dipendessero dall'attività di specifiche regioni cerebrali. Ritenevano poi che, se una persona utilizzava una facoltà con maggiore frequenza, questa aumentava di grandezza; un aumento del volume cerebrale che causerebbe la formazione di una bozza nella scatola cranica. Quella che Gall definì personologia anatomica è la tecnica con la quale si deducono molte informazioni sulla personalità di un soggetto in seguito a un'attenta analisi del cranio. L'errore di Gall? Non sottopose le proprie teorie a verifica sperimentale. Fu Flourens a mettere in discussione l'ipotesi localizzazionista di Gall, ovvero l'idea per la quale le differenti funzioni cerebrali fossero localizzate in regioni distinte del cervello. Compiendo studi su animali, soprattutto su uccelli, scoprì che le lesioni in particolari aree del cervello non causavano deficit di comportamenti specifici. Si deve a Flourens la concezione che l'intero cervello partecipi al comportamento, una teoria più tardi definita come campo aggregato: La capacità di sentire, percepire e volere è essenzialmente un'unica facoltà. Ricerche compiute in Inghilterra contribuirono a riportare in auge la teoria localizzazionista. Il neurologo Jackson, ad esempio, notò che all'inizio dei loro attacchi alcuni pazienti epilettici compivano movimenti così caratteristici da far pensare che la crisi stimolasse, a livello cerebrale, una sorta di mappa prefissata nel corpo. Le contrazioni muscolari miocloniche e miotoniche, prodotte nei soggetti epilettici dalle scariche anomale di neuroni cerebrali, si diffondevano con ordine da una parte del corpo a un'altra. Jackson ipotizzò che la corteccia cerebrale avesse un'organizzazione topografica: ogni data area corticale rappresentava una sorta di mappa in una data regione corporea. Più tardi però, anche Jackson giunse alla conclusione che molte regioni cerebrali contribuiscono a uno stesso comportamento – nell'osservare, ad esempio, come pazienti incapaci di raggiungere con la mano una determinata parte del loro corpo la raggiungessero se questa prudeva. Nel mentre, in Francia, Paul Broca esaminò il caso più famoso nella storia della neurologia. Nel 1861 trattò un uomo che aveva subito un colpo apoplettico ed era in grado di comprendere il linguaggio ma non di produrlo – articolava qualche suono, per esempio “tan”. Tali pazienti tendono ad avere un eloquio automatico; se alla domanda “Chi è lei?” potrebbero rispondere “tan, tan, tan”, dall'altra potrebbero benissimo contare da uno a dieci. Nel paziente di Broca, la parte del cervello danneggiata era il lobo frontale sinistro, regione che sarà denominata area di Broca: la scoperta fu che una specifica alterazione del linguaggio aveva come causa una specifica lesione. Il neurologo tedesco Wernicke riprese, nel 1876 il medesimo tema. Il paziente da lui osservato, colpito da ictus, era ancora in grado di parlare con scioltezza, ma ciò che diceva non aveva senso. Inoltre, aveva perso la capacità di comprendere il linguaggio, parlato e scritto. La lesione era in una regione più posteriore dell'emisfero sinistro, una zona intorno alla quale il lobo temporale e quello parietale sono a contatto. Ecco che Broca e Wernicke scoprirono queste differenze nel tipo di risposte che il cervello dà a una malattia focale – oggi ben note a tutti gli scienziati, ma allora era cosa sensazionale. Una lesione focale causa un deficit specifico, questo il dato stupefacente. A quel tempo la possibilità per un ricercatore di identificare la lesione del paziente era molto limitata: doveva aspettarne la morte. Oggi vi sono le tecniche di neurovisualizzazione che effettuano la scansione del cervello in vivo e ne producono un'immagine al computer. Dopo la scoperta di Broca, i fisiologi tedeschi Fritsch e Hitzig stimolarono elettricamente particolari aree del cervello di un cane e osservarono che la stimolazione produceva nell'animale specifici movimenti. Si pensò che poiché svolgevano funzioni differenti, le regioni cerebrali dovevano apparire differenti anche a livello cellulare: i neuroanatomisti tedeschi iniziarono ad analizzare il cervello al microscopio, per osservare i tipi cellulari che ne componevano le diverse regioni. Brodmann analizzò l'organizzazione cellulare della corteccia e ne caratterizzò 52 regioni distinte. Fu coniato il termine citoarchitettura, ovvero di architettura cellulare, per indicare le differenze di organizzazione cellulare nelle varie regioni cerebrali. Si scoprì che le varie aree del cervello, distinte in base alla loro citoarchitettonica, effettivamente rappresentano regioni cerebrali distinte dal punto di vista funzionale. La vera rivoluzione nella comprensione del sistema nervoso si stava verificando a Sud, in Italia e in Spagna, teatro di un aspro scontro tra due grandi neuroanatomisti che però collaborarono l'uno alle intuizioni dell'altro. Camillo Golgi sviluppò una colorazione che impregnava d'argento i singoli neuroni, permettendone la visualizzazione al microscopio – la cosiddetta reazione nera. Usando la colorazione di Golgi, lo spagnolo Ramòn y Cajal – forse il padre delle moderne neuroscienze scoprì che i neuroni erano unità discrete. Golgi aveva proposto che l'intero cervello fosse un sincizio, ovvero una massa di tessuto i cui elementi costitutivi avevano in comune il citoplasma. Cajal fu il primo a scoprire che i neuroni erano entità unitarie, e che la trasmissione delle informazioni nervose, di natura elettrica, avveniva in una sola direzione: dai dendriti verso l'apice terminale dell'assone. In occasione della cerimonia per l'assegnazione dei Nobel ad entrambi, Golgi si rivelò un egoista, irrigidito sulle proprie posizioni – continuava a vedere il suo sincizio di neuroni come un'unica entità – mentre Cajal vedeva in ogni neurone quell'unità indipendente che si era rivelato. A questa dottrina del neurone contribuirono altri brillanti ingegni, come Purkinje, che per primo descrisse la struttura di una cellula nervosa e che inventò lo stroboscopio. Anche Freud condivise l'idea del neurone come un'unità fisiologica distinta e separata. Hermann von Heimholtz – uno dei più grandi scienziati di tutti i tempi – diede un importante contributo anche alle prime ricerche sul sistema nervoso. Suggerì che gli invertebrati potessero essere ottimi modelli dei meccanismi cerebrali dei vertebrati. ● Gordon Shepherd nel suo saggio Foundations of Neuron Doctrine nota come l'esplosione di ricerche sul sistema nervoso sia iniziata nel XVIII secolo. Furono inventate la macchina a vapore, si scoprì l'elettromagnetismo. Leeuwenhoek si era servito di un microscopio per studiare un tessuto animale: osservò che la sezione trasversale di un nervo di mucca presentava dei vasi molto piccoli. Tale osservazione era in accordo con l'idea di Descartes che i nervi contenessero fluidi o “spiriti”, e che questi spiriti fossero responsabili del flusso di informazioni sensoriali e motorie attraverso il corpo. Il XX secolo comprese, superando le iniziali confusioni, l'importanza del singolo neurone. Sapere come funziona il sistema nervoso significa sapere come interagiscono e come si comportano i singoli neuroni. Non vi era bisogno di chiamare in causa processi olistici, reti nervosi e processi sinciziali: il sistema nervoso non è un grande ammasso indistinto, bensì è composto di unità discrete. Comprendendo come tali unità funzionano diviene possibile risolvere il problema di come il funzionamento del cervello dia origine alla mente. Ma all'inizio del XX secolo, nonostante il fisiologo inglese Sherrington indagasse il comportamento del neurone inteso come singola unità e arrivasse a coniare il termine di sinapsi per descrivere la giunzione tra due neuroni, gli scienziati restavano convinti di avere a che fare con processi olistici. Vi erano quindi discordanze di vedute che dividevano tale scienza ai suoi inizi. Ancora oggi alcuni studiosi si rifiutano di accettare che il funzionamento dei singoli neuroni, o di piccole aree cerebrali, sia in grado di spiegare il funzionamento dell'intero cervello. All'inizio del XX secolo praticamente tutti gli studiosi di tale campo erano disposti a riconoscere un certo grado di localizzazione funzionale nella corteccia cerebrale. I critici cominciarono a sostenere l'impossibilità di localizzare le funzioni corticali superiori, come il pensiero e la memoria, variante della versione originale della teoria sull'assenza di localizzazione funzionale nel cervello. Questo si aggiungeva al concetto di Jackson, cioè che occorre distinguere tra evidenze della localizzazione di sintomi e concetto della localizzazione di funzioni: posto quindi che una lesione cerebrale produca un sintomo particolare, da ciò non consegue che l'area danneggiata sia specializzata soltanto in quella funzione. La lesione potrebbe infatti influire anche su altre strutture cerebrali, poiché potrebbe aver danneggiato neuroni connessi con altre regioni. Questo un primo avviso sul fatto che i comportamenti consistono in costellazioni di attività indipendenti, cioè non sono entità unitarie. All'inizio del secolo si formò un movimento a favore della dottrina della Gestalt, scuola di psicologia fondata sull'idea che l'intero sia diverso dalla somma delle sue parti – quindi dottrine antilocalizzazioniste e approccio olistico. Scrive il biologo francese Bernard: Se si disseziona il corpo, l'aver isolato tutte le sue parti in modo da poterne studiare la struttura e le connessioni non equivale a ciò che avviene nell'organismo vivo, dove tutte le parti cooperano per uno scopo comune. Un organo non può vivere da solo. Ciò che vive, ciò che esiste, è l'Intero. Possiamo smontare un organismo in tutte le parti che lo compongono, ma non potremmo mai afferrare l'Intero. Tale concezione ha motivato il lavoro di due neurologi. Monakow concepisce il concetto di diaschisi, cioè l'idea che un danno in una parte del cervello sia in grado di generare problemi anche a un'altra parte. Head vedeva il cervello come un sistema dinamico, interconnesso e mutevole; riteneva che, nel caso di una lesione, il comportamento risultante fosse il prodotto del malfunzionamento dell'intero sistema. Vedeva cioè il cervello danneggiato come un nuovo sistema, e non come il vecchio sistema con una parte mancante. I punti sollevati dai fautori dell'approccio olistico restano comunque validi. Con il lavoro di Lashley, psicologo sperimentale, l'importanza dei singoli neuroni e della loro localizzazione funzionale fu messa in dubbio. Egli sosteneva che singole lesioni, prodotte nelle varie parti del cervello, non sembravano creare problemi all'apprendimento o all'esecuzione di un compito – utilizzò il ratto e il labirinto. Più tardi le teorie di Lashley vennero smontate: i compiti da eseguire in un labirinto coinvolgono un numero talmente alto di diverse modalità di apprendimento e quindi una parte talmente estesa del cervello, da far sì che nessuna lesione singola possa causare un deficit di apprendimento. Si ritornò verso la teoria localizzazionista non appena le ricerche di neurofisiologia cominciarono a mettere in luce certe regolarità nell'organizzazione della corteccia cerebrale. A partire dagli anni '30 del Novecento, Woolsey e Bard iniziarono a scoprire nel cervello “mappe” sensoriali e motorie. Divenne chiaro che a ciascuna modalità sensoriale corrispondeva più di una mappa. Negli anni '70 e '80 si scoprì che per ogni modalità sensoriale esistono molteplici mappe, e che il picco della complessità in tal senso è rappresentato dal sistema visivo dei primati. In seguito si scoprì che aree cerebrali estremamente localizzate sono altamente specializzate nell'elaborazione dell'informazione visiva relativa al movimento. In breve, le neuroscienze stanno sempre più rivelando la straordinaria complessità e specializzazione della corteccia cerebrale. Kosslyn, uno dei padri fondatori delle neuroscienze cognitive, sintetizza così il conflitto tra localizzazionismo e olismo: L'errore dei primi localizzazionisti stava nel tentativo di mappare comportamenti e percezioni in singole aree della corteccia cerebrale. Qualsiasi percezione o comportamento specifico è il prodotto di molte aree, localizzate in varie parti del cervello. La chiave per dirimere la questione sta nel comprendere che funzioni complesse come la percezione, la memoria, il ragionamento e il movimento sono il risultato di una miriade di processi sottostanti, ognuno dei quali è sostenuto da una distinta area cerebrale. Ogni capacità complessa non è il prodotto di una singola parte del cervello: in questo senso i sostenitori dell'olismo avevano ragione. I vari tipi di funzioni postulati dai frenologi non sono localizzati in una singola regione del cervello. Ma i processi semplici sono localizzati: in questo senso i sostenitori del localizzazionismo avevano ragione. Nel mentre, nel campo della psicologia si iniziava a dichiarare di poter misurare il comportamento e studiare la mente. Fino alla nascita della psicologia come scienza sperimentale, il territorio della mente era stato appannaggio dei filosofi, che si muovevano in due differenti posizioni. Il razionalismo, frutto del periodo storico dell'Illuminismo, prese il posto della religione e divenne l'unico approccio culturale con cui considerare il mondo. Attraverso il corretto ragionamento, i razionalisti determinavano le vere credenze che erano però indifendibili e superstiziose. Razionalismo non è pensiero logico, poiché prende in considerazione anche temi quali il significato della vita. L'empirismo è la corrente di pensiero secondo la quale ogni conoscenza deriva dall'esperienza sensoriale, diretta, che produce idee e concetti semplici. Quando tali idee semplici si associano e interagiscono tra loro hanno origine idee e concetti complessi. Non sorprende che una delle scuole della psicologia sperimentale si sia sviluppata proprio intorno al concetto di associazionismo. Uno dei primi sostenitori della teoria dell'associazionismo fu Ebbinghaus, sul finire dell'Ottocento. Affermò che processi complessi come la memoria erano suscettibili di essere analizzati e misurati. Seguiva le orme dei maestri della psicofisica, Fechner e Weber, impegnati a chiarire la relazione fra le proprietà di particolari stimoli fisici – luce e suono – e le esperienze psicologiche dell'osservatore. Ebbinghaus capì che anche processi mentali più profondi, come la memoria, potevano comunque essere misurati. Più forti le ripercussioni di una monografia scritta da Thorndike – L'intelligenza animale: Uno studio sperimentale dei processi associativi negli animali. Egli spiegava la sua legge dell'effetto, il principio riguardante la natura delle associazioni. Osservò che una risposta seguita da una ricompensa restava impressa nell'organismo che la produceva, trasformandosi in una risposta abituale. La ricompensa costituiva un meccanismo responsabile dello stabilirsi di una risposta più adattativa – concetto che richiama alla mente la selezione naturale di Darwin. Il concetto di associazionismo è legato a una visione divulgata dallo psicologo americano Watson, il quale amava sostenere che avrebbe potuto prendere un bambino qualsiasi e trasformarlo a suo piacimento in qualunque cosa avesse desiderato. Secondo Watson, l'apprendimento è la chiave di tutto e ognuno è dotato alla nascita dell'equipaggiamento nervoso che consente il verificarsi dell'apprendimento. Idea che pervase tutta la psicologia americana. Qui la confusione tra associazionismo e innatismo che si protrasse nella psicologia comportamentista. La corazza del comportamentismo iniziò a cedere quando gli psicologi della Gestalt iniziarono a sostenere che il modo migliore per capire le percezioni stava nel metterle in relazioni con proprietà emergenti degli stimoli. Il moto apparente, ad esempio, era una tipica proprietà emergente degli stimoli fisici, poiché esisteva solo in funzione di proprietà innate del cervello. Non era una capacità appresa. La fine del predominio del comportamentismo arrivò verso la fine degli anni '50. Si iniziò a ragionare in termini di cognizione e non solo di comportamento. È Miller a proporre il rifiuto dell'idea che la psicologia debba occuparsi solo del comportamento: il mio risveglio cognitivo, dice lo psicologo, deve essere avvenuto negli anni Cinquanta. E riporta la data esatta di tale risveglio cognitivo: l'11 settembre 1956, durante il Secondo Simposio sulla Teoria dell'Informazione. Sempre in quell'anno Miller pubblicò il suo capolavoro The Magical Number Seven, Plus-or-Minus Two, in cui dimostrava che vi era un limite alle quantità di informazioni che potevano essere apprese in un breve periodo di tempo. Il contributo più importante fu quello che venne da Noam Chomsky: il lavoro che egli compì trasformò lo studio del linguaggio quasi da un giorno all'altro. Il messaggio era che la teoria dell'apprendimento – ovvero dell'associazionismo – non poteva spiegare come viene appreso il linguaggio. La complessità del linguaggio faceva parte del cervello ed era basata su regole e principi che trascendevano le singole persone e le diverse lingue, assumendo un carattere di universalità. Vi furono poi tentativi di sottoporre a verifica la teoria neuropsicologica degli assemblaggi neuronali di Hebb, secondo la quale un qualsiasi gruppo di neuroni è in grado di apprendere una qualsiasi cosa. Quindi, riallacciandosi a quanto detto all'inizio, negli anni '70 le neuroscienze stavano scoprendo come era organizzata la corteccia cerebrale e come funzionava in risposta a stimoli semplici; erano inoltre in grado di descrivere meccanismi specifici, come quelli coinvolti nella percezione visiva. Ad esempio, Hubel e Wiesel, dimostrarono come singoli neuroni della corteccia visiva producano risposte costanti a specifiche forme di stimoli visivi. Si stava superando il metodo della lesione. Anche scienziati come Miller abbandonarono l'approccio comportamentista per cercare di individuare tutta la gamma delle rappresentazioni relative al linguaggio: considerato non più come un semplice prodotto dell'apprendimento e dell'associazionismo, il linguaggio cominciò a essere visto come un costrutto complesso, realizzato dall'attività cerebrale. Dopo la svolta di Chomsky, divenne chiaro che la grammatica ne costituisce un aspetto istintuale, innato, mentre il lessico è appreso. Fu David Marr a tracciare le linee generali di come avrebbero potuto essere le neuroscienze cognitive, superando il solco che ancora divideva i meccanismi cerebrali dalla percezione. Sostenne che esistono vari livelli di analisi e spiegazione della computazione neurale. Postulò l'esistenza di una gerarchia di livelli, fondata sull'idea che il cervello effettua delle computazioni. Suddivise il livello funzionale in due livelli, uno relativo al “che cosa” viene computato e l'altro al “come” viene eseguita la computazione (il livello degli algoritmi) e dimostrò come questi livelli fossero correlati al livello più basso, quello dell'implementazione. Furono idee accolte poiché suggerivano che fosse possibile comprendere il livello cognitivo con la sola ragione. Ma le teorie che pretendevano di spiegare abilità mentali come il linguaggio, la memoria o l'attenzione, richiedevano un'analisi più approfondita, tale da comprendere anche gli algoritmi con cui descrivere come i processi neurofisiologici arrivano a produrre lo stato cognitivo. Le idee di Marr presentavano punti deboli: la distinzione tra i vari livelli era troppo debole. Incredibile la velocità dell'ascesa delle tecniche di brain imaging (o neurovisualizzazione). Perché? Molte cose hanno avuto origine in Italia, come le ricerche del fisiologo Angelo Mosso. Presso un reparto di neurochirurgia, studiò i pazienti che presentavano difetti al cranio e notò che le pulsazioni a livello locale nella corteccia aumentavano durante particolari attività mentali. Riuscì a stabilire che vi era una correlazione tra flusso sanguigno e attività neurale. Solo dopo la Seconda Guerra Mondiale la relazione fra flusso sanguigno e funzionamento neurale iniziò ad essere quantificata – dalle sperimentazioni su animali di Kety e Sokoloff scaturirono i primi apparecchi per la generazione di immagini del cervello. Prima, un elmetto che abbracciava la testa del soggetto e permetteva di misurarne le variazioni di flusso ematico durante l'attività mentale – tale tecnica darà origine alla PET, la tomografia a emissione di positroni, che permette misurazioni del flusso sanguigno del metabolismo. Più tardi, le misurazioni del metabolismo hanno lasciato il posto a quelle del flusso sanguigno. Ben presto, la possibilità di studio della cognizione umana aperta dalla PET si è esteso al campo della psicologia cognitiva. A partire dagli anni '80, si arriva al metodo della sottrazione, derivato da un lavoro del 1868 di Donders, ma rilanciato da Posner, Peterson in collaborazione con Reichle, è un metodo che implica la sottrazione di un'immagine tomografica del cervello, ottenuta durante un particolare stato comportamentale, da un'altra immagine ottenuta durante uno stato comportamentale differente. Ad esempio, l'immagine ottenuta mentre il soggetto sta osservando uno schermo bianco può essere sottratta dall'immagine ottenuta mentre la stessa persona sta guardando lo stesso schermo, sul quale è però proiettata una parola. L'immagine risultante dalla sottrazione permette di isolare il processo associato alla lettura. La neurovisualizzazione iniziava a fondarsi anche su un altro principio fisico: il comportamento degli atomi di idrogeno - dei protoni - in un campo magnetico. Lauterbur intuì la possibile applicazione di certi lavori di fisica alla generazione di immagini biologiche; da questa intuizione ha avuto origine la MRI. Inizialmente usata per ottenere immagini che rappresentavano l'anatomia del cervello – immagini strutturali – fu usata poi per ottenere immagini degli stati funzionali del cervello. Partendo dalla scoperta che la quantità di ossigeno trasportata dall'emoglobina influisce sul grado di perturbazione del campo magnetico causato dall'emoglobina stessa, l'idea di misurare il flusso sanguigno è divenuta una realtà grazie alla MRI. Tale segnale, chiamato BOLD – segnale dipendente dal livello ematico di ossigeno – è alla base di quasi tutti gli studi di brain imaging. CAPITOLO 2 Le basi cellulare e molecolari della cognizione Per cercare di capire l'intero partendo dall'identificazione delle parti, spesso gli scienziati applicano un metodo riduzionista. Dagli studi di biologi sui corpi e sulla materia emerse la teoria cellulare, secondo la quale il corpo è composto di unità elementari, o cellule. Prevalse la concezione di Cajal che il sistema nervoso fosse composto da singole unità neuronali. Osservò che, sebbene siano vicini tra loro, i neuroni sono separati da sottili interstizi (gap) e giunse a individuare due principi fondamentali dell'organizzazione dei neuroni. 1) la specificità delle connessioni (o connessionismo cellulare) → i neuroni sono entità separate, i loro citoplasmi non sono continui, e le connessioni tra neuroni non sono casuali, ma particolari circuiti veicolano le informazioni lungo vie specifiche; 2) la polarizzazione dinamica → certe parti dei neuroni sono specializzate nella ricezione delle informazioni, altre sono specializzate nell'invio di informazioni ad altri neuroni o a muscoli. Questi i principi della dottrina del neurone. Il sistema nervoso è formato da due tipi di cellule: i neuroni, che hanno proprietà morfologiche e fisiologiche peculiari e le cellule gliali, che assolvono una funzione di sostegno, meccanico e trofico, del sistema nervoso. I neuroni, unità fondamentali della segnalazione, si distinguono per forma, funzione, localizzazione e interconnessioni all'interno del sistema nervoso. I neuroni ricevono informazioni e in merito ad esse prendono decisioni; poi le trasmettono ad altri neuroni. Il neurone consiste di un corpo cellulare (soma o pirenoforo), che contiene l'apparato metabolico che sostiene le funzioni vitali del neurone, apparato del quale fanno parte il nucleo, il reticolo endoplasmatico, i ribosomi, i mitocondri, l'apparato di Golgi e altri organuli intracellulari. Queste strutture sono circondate dalla membrana plasmatica (o plasmalemma) del neurone, composta di un doppio strato lipidico, e sono sospese nel citoplasma, il liquido intracellulare presente in tutte le cellule del corpo. I neuroni possiedono due tipi di processi citoplasmatici specializzati, i dendriti e l'assone (o neurite), che si dipartono dal pirenoforo. I ruoli di tali strutture riflettono il principio della polarizzazione dinamica. I dendriti sono prolungamenti grandi e ramificati che ricevono impulsi da altri neuroni, a livello di siti detti sinapsi. Sono detti postsinaptici poiché rispetto al flusso dell'informazione sono dietro le sinapsi; l'assone è detto presinaptico perchè si trova a monte della sinapsi rispetto al flusso dell'informazione. Dunque, un neurone può essere pre- o postsinaptico rispetto a una sinapsi, tuttavia nella stragrande maggioranza i neuroni sono sia preche postsinaptici, ovvero un neurone è presinaptico in quanto il suo assone stabilisce connessioni con altri neuroni, ed è postsinaptico in quanto altri neuroni formano connessioni con i suoi dendriti. Sebbene i segnali prodotti dai neuroni siano di natura elettrica, a livello delle sinapsi la trasmissione dei segnali da un neurone all'altro è in genere mediata da processi di natura chimica, come pensava Cajal. Tuttavia, in circostanze particolari, alcuni neuroni si scambiano segnali mediante una trasmissione elettrica a livello di speciali sinapsi elettriche: anche Golgi aveva ragione. I dendriti possono assumere numerose forme: come grandi arborizzazioni (come nelle strutture del cervelletto) e forme più semplici (i dendriti dei motoneuroni spinali). Sui dendriti possono essere presenti anche processi citoplasmatici specializzati denominati spine, piccole protuberanze fissate alla superficie dei dendriti tramite un peduncolo; le spine sono siti di sinapsi. Le sinapsi possono essere presenti in qualsiasi altra localizzazione, compreso il soma del neurone! L'assone rappresenta l'output, la via d'uscita del neurone, per la quale i segnali elettrici scendono fino alle terminazioni assoniche, dove si trovano le sinapsi. Le terminazioni assoniche sono dotate di morfologia e strutture specializzate che rendono possibile la comunicazione tramite il rilascio di neurotrasmettitori, sostanze che trasmettono il segnale da un neurone a un altro a livello delle sinapsi chimiche. I dendriti e l'assone sono prolungamenti del corpo cellulare del neurone; il loro volume è riempito dello stesso citoplasma che occupa il pirenoforo: ecco perchè corpo, dendriti e assone sono tutte componenti di una singola cellula neuronale. La continuità dello spazio intracellulare in queste componenti è essenziale per l'attività di segnalazione elettrica del neurone. La variabilità morfologica dei neuroni è impressionante e in genere si raggruppano i neuroni in tre o quattro categorie, basate su distinzioni di orientamento reciproco di dendriti e assone, e di questi processi rispetto al soma. Neuroni con morfologia simile tendono a localizzarsi in particolari regioni del sistema nervoso e ad avere ruoli funzionali simili. 1) il neurone unipolare ha soltanto un prolungamento, che si diparte dal soma e può ramificarsi a formare dendriti e terminazioni assoniche; è comune negli invertebrati; 2) i neuroni bipolari partecipano ai processi sensoriali, come i neuroni che trasportano le informazioni nel sistema uditivo, visivo o olfattivo. Possiedono due processi citoplasmatici, un assone e un dendrite e sono in un certo senso il prototipo del neurone. L'informazione arriva a un polo della cellula tramite il dendrite ed esce attraverso l'assone. Questi neuroni elaborano le informazioni in processi tutti interni alla retina e non inviano proiezioni all'esterno. 3) i neuroni pseudounipolari hanno l'aspetto di neuroni unipolari, mentre in realtà sono neuroni sensoriali originariamente bipolari, nei quali in un secondo tempo è avvenuta la fusione tra dendriti e assone. Costituiscono i gangli della radice dorsale del midollo spinale. Sono cellule somatosensoriali che raccolgono l'informazione proveniente da recettori localizzati nelle giunture, nei muscoli e nella pelle e la convogliano nel sistema nervoso centrale; 4) i neuroni multipolari prendono parte all'elaborazione dell'informazione sensoriale e motoria. Hanno un solo assone, ma possono avere alcuni o molti dendriti emergenti dal corpo cellulare. Comprendono i motoneuroni spinali, i neuroni sensoriali corticali, le cellule piramidali. Pensando ai neuroni del cervello, è a questa classe che si pensa. Le altre cellule che compongono il sistema nervoso sono le cellule gliali (o cellule della neuroglia, o nevroglia o glia); neuroglia, letteralmente “colla del nervo”: ruolo di sostegno strutturale nel SN. Più numerose nei neuroni, possono rappresentare la metà del volume cerebrale; in loro assenza la funzionalità dei neuroni diminuirebbe drasticamente. Le cellule gliali sono presenti nel sistema nervoso centrale (encefalo e midollo spinale) e nel sistema nervoso periferico (vie afferenti ed efferenti, sensoriali e motorie da e per l'encefalo e midollo spinale). Nel SNC gli elementi della glia sono di tre tipi: 1) astrociti → grandi cellule gliali con forma arrotondata a simmetria radiale; circondano i neuroni ed entrano in stretto contatto con i vasi sanguigni cerebrali. I piedi degli astrociti, siti specializzati in cui prendono contatto con i vasi, consentono a queste cellule di trasportare i loro ioni attraverso la parete vascolare e di generare una barriera tra il sangue e i tessuti del SNC. Tale barriera formata dagli astrociti, detta barriera ematoencefalica (BEE o BBB, da blood-brain barrier), protegge il SNC da agenti o composti chimici veicolati dal sangue che potrebbero danneggiare l'attività neuronale. Questa incapacità di superare la BBB assume grande importanza nel trattamento di disturbi quali il morbo di Parkinson, in cui la perdita della dopamina, neurotrasmettitore nei gangli della base, porta a disfunzioni nel movimento. La dopamina perduta non può essere reintegrata iniettandola direttamente nel tessuto sanguigno, perchè la BBB ne impedisce l'assorbimento nei tessuti cerebrali. Ma molecole di precursori nella sintesi della dopamina, come la L-dopa, immesse nel circolo sanguigno, sono in grado di attraversare la barriera, quindi assorbite dai neuroni e convertite in dopamina nel tessuto cerebrale. 2) microglia → è composta da cellule piccole e di forma irregolare, ha un ruolo importante nei tessuti che hanno subito un danno. La regione danneggiata è invasa da questo tipo di cellule gliali. Assolvono anche la funzione di fagociti, in quanto divorano le cellule danneggiate e le eliminano. Può proliferare negli adulti, mentre i neuroni del SNC sono incapaci di farlo. Il ruolo più importante delle cellule gliali consiste nella produzione di mielina, sostanza grassa che circonda i neuriti di molti neuroni. Nel SNC la produzione di questa sostanza è opera degli oligodedrociti; nel SNP, i responsabili della mielinizzazione degli assoni sono le cellule di Schwann. Entrambi questi tipi di cellule gliali producono mielina avvolgendo il plasmalemma in strati concentrici intorno all'assone, durante lo sviluppo e maturazione cellulare; il citoplasma viene spremuto fuori e poi eliminato. Ciò che resta è il doppio strato lipidico della membrana cellulare da qui l'aspetto della mielina, che appare come sostanza grassa. In diversi modi però gli oligodendrociti e le cellule di Schwann producono mielina. Un oligodendrocita nel SNC può formare guaine di melina intorno a più assoni. Una cellula di Schwann nel SNP può formare una guaina di mielina per un solo assone. L'obiettivo è simile in entrambi i casi: fornire al neurite uno strato isolante che modifica il flusso delle correnti elettriche intracellulari all'interno dei neuriti stessi. Negli assoni mielinici la guaina è interrotta da certe posizioni, dette nodi (i nodi di Ranvier); a livello dei nodi delle specializzazioni della membrana consentono la generazione di potenziali d'azione, che poi si propagano fino alla fine del neurite. Entrambe le regioni dell'assone (quelle mieliniche e quelle a livello dei nodi) hanno un ruolo importante per la capacità dei neuroni di generare segnali elettrici. ● La SEGNALAZIONE NEURONALE, ovvero come i neuroni trasmettono le informazioni. Ovviamente, un requisito fondamentale per questo è la disponibilità di energia: in quale modo i neuroni producono energia necessaria per la segnalazione? E in che modo l'energia viene usata per generare un segnale all'interno del neurone? Ogni neurone comunica con altre cellule nervose a livello delle sinapsi, in genere localizzate sui dendriti o sul corpo cellulare o su entrambe le regioni. Rispetto al flusso delle informazioni in uscita, le sinapsi si trovano nelle terminazioni assoniche. Scopo dell'elaborazione neuronale è acquisire informazioni, valutarle e trasmettere un segnale ad altri neuroni. In primo luogo, i neuroni ricevono un segnale in forma chimica – un neurotrasmettitore o una sostanza chimica presente nell'ambiente che stimola una modalità sensoriale, come l'odorato – o in forma fisica – il tatto per i recettori somatosensoriali della pelle, o la luce per i fotorecettori dell'occhio, o i segnali elettrici a livello delle sinapsi elettriche. Questi segnali innescano cambiamenti nella membrana del neurone postsinaptico, che portano alla circolazione di correnti elettriche nella cellula nervosa. Queste correnti, all'interno del neurone, fungono da segnali che agiscono sulla membrana cellulare, anche in siti lontani e sono mediate da correnti ioniche, dovute ad atomi dotate di carica elettrica – ioni – quali sodio, potassio e cloro, disciolti nel liquido all'interno e all'esterno dei neuroni. Le correnti ioniche non sono, a differenza di quelle elettriche, mediate da elettroni. I segnali a lunga distanza – potenziali d'azione – vengono generati in una zona d'innesco del potenziale a punta (spike triggering zone), cioè in una regione del neurone in cui le correnti create da input sinaptici vengono integrate. Il risultato è un segnale che discende lungo l'assone fino alle sue terminazioni, dove causa il rilascio di neurotrasmettitori a livello delle sinapsi. La membrana neuronale è costituita da un doppio strato di molecole lipidiche, che separa lo spazio intracellulare da quello extracellulare. Essendo composta di lipidi, non è solubile negli ambienti acquosi presenti all'interno e all'esterno del neurone: da ciò la capacità di conservare la propria integrità e di controllare i flusso delle sostanze solubili in acqua. La membrana impedisce dunque ad alcune sostanze di attraversarla: è una barriera per gli ioni, le proteine e altre molecole. La membrana del neurone contiene anche proteine transmembrana che danno origine a una varietà di strutture specializzate, come i canali ionici e i meccanismi di trasporto attivo o pompe. È necessario definire alcune proprietà dei canali ionici e delle pompe per capire come il plasmalemma di un neurone sia in grado di generare il potenziale di riposo della membrana, ovvero la differenza di potenziale elettrico che si stabilisce tra le due facce della membrana plasmatica di un neurone. I canali ionici sono formati da proteine transmembrana che costituiscono i pori, veri e propri passaggi nello spessore della membrana attraverso i quali possono muoversi gli ioni – atomi in soluzione dotati di carica elettrica – di sodio Na, potassio K e cloro Cl. La membrana di un neurone possiede migliaia di canali ionici, alcuni passivi – nongated – e si trovano aperti a certi ioni, altri sono gated, ad accesso regolato, ovvero possono essere aperti o chiusi da stimoli elettrici, chimici o fisici. Il termine permeabilità indica l'entità del passaggio di ioni attraverso un canale della membrana. La membrana è più permeabile ad alcuni ioni (K) che ad altri (Na, Cl), perciò è detta selettivamente permeabile. Le pompe transmembrana sono messe in moto da delle molecole di adenosina trifosfato (ATP), una sorta di riserva energetica utilizzata dal neurone. Le pompe consistono in molecole enzimatiche (proteine) incastonate nella membrana, capaci di rompere un legame chimico nella molecola dell'ATP, liberando energia che fa muovere gli ioni Na verso l'esterno della cellula e gli ioni K verso l'interno. Col passare del tempo, il funzionamento della pompa modifica il rapporto fra le concentrazioni di Na e di K all'interno e all'esterno del neurone, dando origine a gradienti di concentrazione ionica attraverso la membrana. La relativa impermeabilità della membrana tende a impedire agli ioni di rifluire all'indietro. Nella condizione di riposo, all'esterno del neurone vi è una concentrazione maggiore di ioni Na, mentre all'interno è maggiore la concentrazione di K. La permeabilità selettiva della membrana e i gradienti di concentrazione ionica agiscono sinergicamente, dando origine a differenze di carica tra le due facce della membrana. Si sviluppa poi un'altra forza, un gradiente elettrico, dovuta al fatto che gli ioni potassio, attraversando la membrana, portano con sé all'esterno del neurone un'unità di carica positiva. L'ambiente esterno del neurone diventa più positivo dell'ambiente interno. Quindi, mentre ioni K con carica positiva escono dal neurone, l'ambiente sempre più negativo che si crea all'interno della cellula rende più difficile l'uscita di altri K. A un dato momento si raggiunge un punto in cui la forza del gradiente di concentrazione viene a essere eguale alla forza del gradiente elettrico che trattiene gli ioni K dentro la cellula; si dice che le due forze opposte hanno raggiunto l'equilibrio elettrochimico. La piccola differenza di carica è alla base del potenziale di riposo. La differenza fra interno ed esterno del neurone può variare da -40 a -90 millivolt. I valori del potenziale di membrana si possono quantificare tramite l'equazione di Nernst, che indica come un'ineguale distribuzione degli ioni in soluzione porta allo stabilirsi di una differenza di potenziale tra le due facce di una membrana permeabile. Agli inizi del XX secolo, Bernstein si servì di tale equazione per risolvere il problema di come un tessuto biologico, il muscolo, riesca a produrre potenziali elettrici (pensa a Galvani e i muscoli della rana). Dimostrò che differenze nella concentrazione ionica intra- ed extracellulare portano a una differenza di potenziale tra le due facce del plasmalemma neuronale. Dall'equazione di Nernst si può calcolare il potenziale di equilibrio per K, cioè il valore del potenziale di membrana in corrispondenza del quale non vi è flusso netto di ioni, né verso l'interno né verso l'esterno. Nei neuroni il potenziale di riposo della membrana è approssimativamente uguale al potenziale di equilibrio per K. Tuttavia, bisogna considerare anche gli ioni Na e Cl. Goldman sviluppò negli anni '40 un'equazione che consente di effettuare questo calcolo: l'equazione di Goldman tiene conto della permeabilità della membrana a tutte le specie ioniche importanti. I risultati delle simulazioni basate sulle equazioni di Nernst e Goldman sono stati saggiati negli studi condotti da Hodgkin e Huxley. Questi immettevano nella cellula correnti elettriche allo scopo di studiare le modificazioni del potenziale e di identificare le correnti transmembrana a esse associate. I neuroni godono di due proprietà per la segnalazione: la conduzione di volume, per cui le correnti elettriche possono scorrere all'interno di queste cellule e attraversarne la membrana e la capacità di generare una grande varietà di correnti elettriche, ovvero potenziali di recettore, potenziali sinaptici e potenziali d'azione. Per registrare la differenza di potenziale tra le due facce della membrana neuronale, è necessario disporre di un elettrodo molto piccolo – un filo molto fine o una sottilissima micropipetta – inserito all'interno del neurone e di un altro elettrodo all'esterno; la differenza di potenziale fra i due elettrodi rappresenta il valore del potenziale di membrana. Una seconda tecnica è quella di immettere nel neurone una corrente, inserendo fra i due elettrodi un generatore. ■ Proprietà elettriche passive dei neuroni In quale modo il potenziale di membrana permette ai neuroni di comunicare tra loro? I neuroni possiedono un'eccellente conduzione di volume, essendo dei sacchetti di liquido elettricamente conduttivo – citoplasma – delimitati da un isolante elettrico – la membrana cellulare. Per questo se metto il dito nella corrente mentre ho i piedi nell'acqua schiatto! Nel liquido extracellulare, la conduttività è simile a quella del citoplasma. Quindi, elementi conduttori sono citoplasma e liquido extracellulare, mentre gli elementi isolanti sono le membrane, dotate anche di capacitanza – capacità di immagazzinare la carica elettrica per breve tempo. Come fanno ad essere percorsi passivamente da corrente in seguito a stimolazione sensoriale o ad attività sinaptica? (vedi 2.13) Quando una sinapsi viene attivata, attraverso la membrana del neurone postsinaptico in corrispondenza della sinapsi si generano correnti elettriche attive, che generano potenziali sinaptici. Questo flusso di corrente – in una regione ben localizzata della membrana postsinaptica! - provoca una corrente che scorre per conduzione passiva attraverso il neurone: questa la conduzione elettrotonica. Le correnti passive percorrono i dendriti e il soma del neurone. Se forti, possono avviare potenziali d'azioni nella zona d'innesco del potenziale a punta. Il potenziale d'azione è un processo attivo della membrana ma il suo risultato è la generazione di correnti passive che fluiscono lungo l'assone. Queste correnti passive possono depolarizzare alcune zone adiacenti all'assone, causando altri potenziali d'azione; il processo continua e si propaga fino ai terminali, dove ha luogo il rilascio dei neurotrasmettitori e i passaggi si ripetono nel neurone successivo. Le correnti che scorrono nel neurone sono considerate attive in prossimità dei processi di membrana attivi, cioè dei processi che implicano l'apertura di canali ionici. Le stesse correnti possono però fluire passivamente; sono correnti passive perchè il loro passaggio attraverso la cellula non è mediato dall'apertura di canali ionici, ma dalle proprietà fisiche della membrana e dalla natura dei circuiti elettrici. In assenza di potenziali d'azione, fino a quale distanza le correnti ioniche passive possono propagarsi lungo un dendrite, un assone o un corpo cellulare? La distanza è in funzione di tre proprietà fisiche del neurone: 1. l'ampiezza della corrente originale; 2. la resistenza (e la capacitanza) della membrana neuronale; 3. la conduttività dei liquidi intracellulari ed extracellulari. È possibile effettuare registrazioni dell'attività elettrica interna ai neuroni e immettere al loro interno delle correnti per studiarne gli effetti. Un elettrodo di stimolazione inserito nell'assone può immettere nella cellula una corrente, imitando l'azione di input sinaptico. Lungo l'assone sono inseriti vari elettrodi di registrazione. Quando l'elettrodo introduce in quell'area corrente positiva, questa si trasmette lungo l'assone e ne emerge attraverso la membrana, generando correnti di ritorno che fluiscono all'indietro verso l'elettrodo situato nel liquido extracellulare. La corrente ha il massimo della forza nei pressi dell'elettrodo inserito nel neurite, mentre le correnti elettrotoniche passive diventano sempre più deboli all'aumentare della distanza della sorgente. Il cambiamento di voltaggio della membrana è dovuto alla minore ampiezza della corrente nei siti più distanti – al decremento del segnale -, perciò la conduzione elettrotonica è detta conduzione decrementale. Si può ricavare che I = V/R: l'intensità della corrente diminuisce con l'aumentare della resistenza – riprendendo la legge di Ohm, per la quale il voltaggio è uguale all'intensità della corrente moltiplicata per la resistenza. La conduzione elettrotonica passiva è sufficiente a permettere la comunicazione tra neuroni? No, può funzionare su brevi distanze. Dunque, maggiore è l'ampiezza della corrente originale, più lontano arriverà la corrente. Tale ampiezza è determinata da fattori fisiologici – intensità dello stimolo fisico o numero degli input sinaptici che giungono al neurone. Inoltre, all'aumentare della resistività della membrana, più corrente sarà inviata lungo l'assone, meno ne uscirà fuori [ penso a un tubo di gomma per innaffiare il giardino: se la gomma è integra, allora l'acqua introdotta deve scendere lungo il tubo, per uscirne dall'altra parte. Ma se il tubo è pieno di buchi – ha, cioè, scarsa resistenza – l'acqua fuoriesce prima]. Analogamente, la resistività della membrana neuronale influenza la distanza a cui una corrente può arrivare lungo l'assone. Anche la conduttività dello spazio intracellulare influisce sulla distanza che una corrente può percorrere all'interno del neurone. Di solito i liquidi intra ed extracellulari hanno un'alta conduttività. La resistività dei dendriti e degli assoni cambia in funzione alle loro dimensioni [in un tubo di grosso diametro l'acqua scorre facilmente, ma in un tubo sottile la pressione dell'acqua – la resistività – aumenta a causa del flusso limitato]. Analogamente, se l'assone è grande, il flusso di corrente è maggiore. Quindi, l'ampiezza elevata delle correnti di recettore o sinaptiche, l'alta resistenza della membrana e le vie intracellulari a bassa resistenza fanno aumentare la conduzione elettrotonica delle correnti, consentendo di arrivare a influenzare la membrana neuronale in loci più distanti dal sito di generazione. In 2.16b è rappresentata la natura decrementale delle correnti elettriche passive: il cambiamento del potenziale di membrana cala esponenzialmente. La costante di lunghezza è la distanza lungo l'assone, alla quale il potenziale è circa un terzo del suo valore originale. Un millimetro consente la comunicazione neurone-neurone. ᴥ Sentimi, sto urlando! Dal momento che le correnti sono decrementali, ovvero la loro forza diminuisce man mano che ci si allontana dalle sinapsi in cui sono generate, come possono gli input sui dendriti più lontani esercitare una qualsiasi influenza sul comportamento del neurone? Magee e Cook hanno trovato che l'attività sinaptica lungo i dendriti, sia in prossimità del pirenoforo sia lontano da esso, provocava nel corpo cellulare depolarizzazioni di uguale entità. E livello del corpo cellulare gli input davano effetti equivalenti, nonostante la distanza. Perché? L'equivalenza dipende dalla diversa forza elle correnti sinaptiche in regioni differenti del dendrite. In altre parole, per farsi sentire le sinapsi più lontane devono urlare più forte. ■ Proprietà elettriche attive dei neuroni Visto che la conduzione elettrotonica è sufficiente solo per la comunicazione su distanze brevi, la segnalazione a lunga distanza richiede segnali elettrici attivi o rigenerativi: i potenziali d'azione. Per comprendere i potenziali d'azione, si deve tener conto che: 1. come i potenziali elettrotonici decrementali, implicano cambiamenti del potenziale di membrana nel tempo, ma sono cambiamenti diversi; 2. bisogna distinguere tra potenziale di membrana a riposo e il potenziale nel momento in cui è attraversata dalla corrente – come durante un potenziale d'azione; 3. il potenziale di membrana può diventare più negativo – iperpolarizzato – o meno negativo – depolarizzato – rispetto al potenziale di riposo. 4. i potenziali d'azione sono originati da correnti elettrotoniche passive che alterano localmente il potenziale di membrana, innescando potenziali d'azione in specifiche regioni della membrana neuronale. Ecco perchè i due tipi di conduzione elettrica nei neuroni – passiva elettrotonica e attiva rigenerativa – sono intimamente connessi. Per registrare i potenziali d'azione, i ricercatori ricorrono alla registrazione e alla stimolazione intracellulare. Applicando a un assone una stimolazione continua con correnti di ampiezza progressivamente crescente, si arriva a evocare un potenziale d'azione. Il potenziale d'azione consiste in una rapida depolarizzazione e in un altrettanto rapida ripolarizzazione di un'area localizzata della membrana. Il valore fino a cui occorre depolarizzare il potenziale di membrana dell'assone perchè possa esserci potenziale d'azione è detto soglia. Le depolarizzazioni che non raggiungono la soglia non evocano potenziali d'azione; quelle che la raggiungono, portano a potenziali d'azione caratteristici chiamati potenziali a punta o spike. Il potenziale d'azione soggiace alla legge del tutto-o-nulla: la sua ampiezza non dipende dall'entità della depolarizzazione iniziale e dunque la sua grandezza non cambia. Questo perchè è generato da processi attivi della membrana, che sono indipendenti dall'ampiezza delle correnti che lo innescano. Ritornando a quanto già detto sulle membrane neuronali, si sa che queste sono dotate di canali ionici dotati di una struttura specializzata per il passaggio selettivo di certe specie ioniche. Possono poi essere gated o nongated; i canali gated, ad accesso regolato, se aperti, sono attraversati dagli ioni sotto la spinta dei gradienti elettrici e della concentrazione ionica. I canali nongated sono sempre nella stessa condizione, aperti. I canali ionici ad accesso controllato del voltaggio hanno un ruolo di primaria importanza nella generazione dei potenziali d'azione. I canali ionici voltaggiodipendenti si aprono e si chiudono a seconda del potenziale di membrana. Quando il potenziale di membrana è quello di riposo, sono chiusi; si aprono non appena la membrana si depolarizza. Quando una corrente passiva attraversa la membrana del neurone in seguito a un potenziale di recettore oppure sinaptico, la membrana si depolarizza e ciò influisce sui canali Na ad accesso regolato di voltaggio: alcuni cominciano a lasciar passare ioni Na all'interno del neurone, che si depolarizza ulteriormente. Si aprono quindi altri canali del sodio voltaggiodipendenti, con conseguente e ulteriore depolarizzazione; il ciclo si perpetua con l'apertura di altri canali Na. Questo il ciclo di Hodgkin-Huxley, processo che si autoalimenta e che dà origine alla forte depolarizzazione che costituisce la prima porzione del potenziale d'azione. La depolarizzazione della membrana porta all'apertura dei canali ionici del K ad accesso regolato; ciò permette agli ioni K di uscire dal neurone dando inizio alla ripolarizzazione e al ristabilirsi del potenziale di membrana a riposo. L'efflusso di K senza afflusso di Na innesca la seconda fase del potenziale d'azione, la ripolarizzazione, che riporta il potenziale di membrana al valore di riposo; ma l'uscita degli ioni K fa dapprima scendere il potenziale di membrana fino a un valore inferiore a quello iniziale – verso il potenziale di equilibrio per K che è più negativo del potenziale a riposo. Di conseguenza il potenziale d'azione scende al di sotto del potenziale di riposo della membrana – questo lo sconfinamento in discesa. A ciò segue una fase di un paio di millisecondi di iperpolarizzazione transitoria – la membrana è iperpolarizzata, il suo interno è più negativo dell'esterno a riposo. Il neurone viene a trovarsi in un periodo refrattario, cioè in una condizione in cui è temporaneamente più difficile generare un potenziale d'azione; questo perchè, quando la membrana è iperpolarizzata, il potenziale di membrana è molto più basso per innescare un potenziale d'azione. Ma anche un altro fattore impedisce al neurone di generare un potenziale d'azione. I canali del Na per un certo tempo sono inattivati e non possono aprirsi. Questa inattivazione dei canali di sodio dà luogo al periodo refrattario assoluto, a cui segue il periodo refrattario relativo durante il quale il neurone può generare potenziali d'azione, ma solo con correnti depolarizzanti superiori alla normale soglia. Ne segue che la velocità del neurone per generare potenziali d'azione è limitata, e ciò si riflette nella codificazione temporale del neurone [u n esempio è la codifica della frequenza dei suoni nel canale uditivo]. Per comprendere come i potenziali d'azione possono propagarsi anche in assoni che arrivano a misurare metri di lunghezza, ricordo che le correnti elettrotoniche depolarizzano la membrana fino al valore di soglia. Tale depolarizzazione innesca un potenziale d'azione che genera altre correnti passive, che discendono lungo l'assone depolarizzando nuove aree della membrana, perpetuando il processo. La rigenerazione dei potenziali d'azione è necessaria perchè le correnti elettrotoniche si estingono rapidamente. La propagazione dei potenziali d'azione dipende dalla continua interazione tra correnti elettrotoniche e correnti attive. ■ Conduzione saltatoria e ruolo della mielina Come già detto, un aspetto fondamentale della comunicazione neuronale è la velocità di trasmissione del segnale fra neuroni, o fra neuroni e muscoli. Le proprietà fisiche dei neuroni influenzano il modo in cui le correnti fluiscono al loro interno; a tale riguardo, sono di primaria importanza le resistenze dovute al liquido intracellulare e alla membrana neuronale. Se la resistenza della membrana aumenta, o quella dell'assone diminuisce, le correnti fluiscono lungo il neurite più efficacemente. Un fattore che abbassa la resistenza interna all'assone è l'aumento del suo diametro: maggiore è il diametro della fibra, più veloce è la conduzione dei potenziali lungo essa. Nel calamaro questo meccanismo permette la velocità necessaria per la rapida contrazione dei muscoli, quindi la fuga dei predatori. Ma per una giraffa? Quanto grande deve essere il diametro dell'assone perchè sia raggiunta la velocità necessaria alla trasmissione di segnali dal cervello ai motoneuroni delle zampe posteriori? La chiave di tutto è la mielinizzazione: la mielina avvolta intorno agli assoni dei neuroni centrali e periferici accresce la resistenza della membrana. Questo perchè la mielina consiste in molteplici strati concentrici della membrana di cellule gliali, avvolta intorno all'assone; in questa parte della cellula gliale praticamente tutto il citoplasma è stato espulso, per cui non restano che strati e strati di membrana cellulare l'uno sull'altro, ovvero la mielina. Il maggiore isolamento elettrico prodotto dalla mielina fa sì che le correnti possano essere inviate a maggiore distanza lungo l'assone. Ne deriva che i potenziali d'azione non devono essere generati tanto spesso, e possono diffondersi lungo l'assone a intervalli più distanziati. In effetti, negli assoni mielinici i potenziali d'azione compaiono solo a livello dei nodi di Ranvier, in cui la mielinizzazione si interrompe. In questi nodi i canali del sodio voltaggio-dipendenti possono innescare potenziali d'azione che rigenerano veloci correnti elettrotoniche le quali fluiscono fino al nodo successivo, dove viene generato un altro potenziale d'azione. Il potenziale d'azione sembra saltare lungo l'assone da un nodo all'altro: ecco la conduzione saltatoria, grazie alla quale i nervi dei mammiferi riescono a trasmettere segnali alla velocità di circa 120 m/s! ■ Proteine transmembrana: canali ionici Come detto, due tipi di proteine transmembrana: le pompe (proteine di trasporto attivo) che usano energia per pompare ioni attraverso la membrana, originando gradienti di concentrazione ionica e i canali ionici, che contribuiscono alla permeabilità agli ioni propria della membrana. I canali ionici consistono di proteine, ovvero di polipeptidi. I peptidi a loro volta sono formati da unità molecolari costitutive, gli amminoacidi. Un peptide si forma dall'unione di due amminoacidi qualsiasi; quando il numero di amminoacidi è maggiore si formano proteine, piccole o grandi. Le proteine sono dunque lunghe catene di amminoacidi dotate di una struttura tridimensionale, determinante ai fini della loro funzione. Nelle proteine si possono distinguere vari livelli strutturali: 1) la struttura primaria consiste nell'ordine degli amminoacidi; 2) la struttura secondaria si riferisce al modo in cui le catene di amminoacidi si avvolgono su se stesse, dando origine a strutture caratteristiche – come l'alfa elica; 3) la struttura terziaria riflette il fatto che i lunghi filamenti amminoacidi spiralizzati possono ripiegarsi su se stessi a formare strutture tridimensionali complesse. 4) la struttura quaternaria riflette il fatto che molte proteine si compongono di subunità, ognuna delle quali è una proteina terziaria che si riunisce con altre per creare una struttura finale. Studi hanno rivelato che i canali ionici sono composti di subunità, fatto che conferisce loro un'importante struttura quaternaria tridimensionale. MacKinnon, Doyle e colleghi hanno identificato la struttura tridimensionale di un canale ionico, che risulterebbe formato da quattro subunità. Hanno proposto che il canale ionico abbia la forma di una V rovesciata, o di una teepee [tenda indiana]. All'estremità più larga vi è una regione che funge da filtro e che conferisce permeabilità soltanto verso lo ione per il quale è selettiva. Il filtro selettivo si apre su uno spazio centrale pieno d'acqua, comunicante col citoplasma. L'ambiente chimico e le dimensioni del poro facilitano il passaggio degli ioni K attraverso la membrana, lungo il loro gradiente di concentrazione. Altri ioni, come quelli sodio, non riuscirebbero ad attraversare la membrana usando i canali K, poiché l'ambiente chimico all'interno del poro non consentirebbe il loro passaggio. I canali ionici possono essere passivi o nongated (ad accesso non regolato) oppure attivi o gated (l'accesso è regolato da stimoli elettrici, chimici o fisici). I canali del K e del Na coinvolti nella generazione del potenziale d'azione sono ad accesso regolato del voltaggio. Le correnti elettrotoniche che attraversano la membrana neuronale per poi uscirne possono depolarizzarla, inducendo i canali ad aprirsi come cancelli (gate). L'apertura consente agli ioni per i quali i canali sono selettivi di passare attraverso i pori, spinti dai gradienti elettrici e di concentrazione presenti in tutto lo spessore della membrana. I cambiamenti nel potenziale transmembrana influenzano la struttura molecolare delle proteine che compongono i canali, modificando la configurazione tridimensionale della regione del poro. I canali ad accesso regolato da stimoli chimici fungono da recettori dei neurotrasmettitori e sono situati nella membrana postsinaptica. Le sostanze chimiche – ligandi – consistono in neurotrasmettitori quali la glicina, la dopamina, l'acetilcolina quindi i ricettori sono canali ionici specializzati, che mediano i segnali a livello delle sinapsi. I recettori postsinaptici si suddividono in due categorie generali. 1) i recettori accoppiati direttamente sono quelli che legano i neurotrasmettitori sulle loro superfici extracellulari. Questo legame induce nel recettore mutamenti strutturali che consentono il passaggio degli ioni; 2) i recettori accoppiati indirettamente non si aprono in modo da generare un poro; il legame col neurotrasmettitore induce la generazione di un segnale all'interno della cellula postsinaptica, segnale che poi attiva i canali ionici della membrana, aprendoli. Questo meccanismo coinvolge le proteine G – proteine intracellulari che legano il GTP, il guanosintrifosfato e secondi messaggeri come il Ca2+, nucleotidi ciclici tra cui il guanosinmonofosfato ciclico e l'adenosinmonofosfato ciclico. I sistemi a secondo messaggero consentono l'amplificazione del segnale. In tale modo un segnale (il neurotrasmettitore) relativamente piccolo diventa in grado di innescare una grande risposta postsinaptica. TRASMISSIONE SINAPTICA Scopo ultimo della segnalazione neuronale è il passaggio di segnali – comunicazione – da un neurone a un altro neurone o a un muscolo. Le cellule, per poterlo fare, devono trasmettere segnali mediante la trasmissione sinaptica – che avviene a livello delle sinapsi, strutture che possono essere di due tipi fondamentali: chimiche o elettriche. ■ Trasmissione chimica Nella maggior parte dei casi, un potenziale d'azione deve per prima cosa arrivare alle terminazioni dell'assone, dove sono localizzate le sinapsi. Una volta giunto, il potenziale d'azione causa la depolarizzazione delle terminazioni assoniche; ciò provoca un afflusso di ioni Ca2+ nella regione della terminazione, mediato da canali del Ca2+ ad accesso regolato del voltaggio. Il Ca2+ funge da messaggero intracellulare e innesca il successivo passaggio della trasmissione neurale. In conseguenza all'aumento della concentrazione intracellulare di Ca2+, piccole vescicole contenenti il neurotrasmettitore si fondono con la membrana a livello della sinapsi e rilasciano il trasmettitore nella fessura sinaptica, cioè lo spazio compreso fra le membrane neuronali pre- e postsinaptiche. Il trasmettitore diffonde attraverso la fessura e si lega con le molecole proteiche incorporate nella membrana, dando il via a modificazioni della membrana. L'interazione chimica tra il neurotrasmettitore e il recettore postsinaptico dà il via a eventi che portano alla depolarizzazione – eccitazione – e alla iperpolarizzazione – inibizione – della cellula postsinaptica. Se la cellula è un neurone, il potenziale postsinaptico eccitatorio (EPSP) può portare alla generazione di potenziali d'azione. In tanti neuroni, quasi tutti, i potenziali d'azione hanno inizio all'interfaccia fra il corpo cellulare e l'assone, dove le correnti sinaptiche si sommano elettricamente. Questa sommazione ci fa capire come la regione del cono di emergenza del neurite nella membrana postsinaptica possa acquisire depolarizzazione sufficiente a raggiungere la soglia per generare potenziali d'azione. Se la cellula è una cellula muscolare, l'EPSP induce potenziali d'azione nel muscolo, quindi porta alla contrazione muscolare. Se il neurotrasmettitore ha un'azione inibitoria sul neurone postsinaptico, può avere luogo l'iperpolarizzazione della membrana, che dà origine a un potenziale postsinaptico inibitorio (IPSP). Gli input sinaptici inibitori possono anche portare a una leggera depolarizzazione del neurone postsinaptico, e però impedire che altri input depolarizzino il neurone fino al raggiungimento della soglia. ▪ Rilascio dei neurotrasmettitori Responsabili molecolari per il rilascio dei neurotrasmettitori sono un gruppo di proteine intracellulari specializzate, alcune attaccate alle vescicole, altre alla membrana del neurone nelle terminazioni sinaptiche. Queste proteine fungono da elementi strutturali che trasportano la vescicola fino alla membrana e la ormeggiano a essa, come una nave attraccata a un porto. Poi, attraverso processi biochimici, la vescicola si fonde con la membrana del neurone; ciò porta al rilascio del neurotrasmettitore nella fessura sinaptica. ■ Trasmissione elettrica Alcuni neuroni comunicano attraverso sinapsi elettriche, diverse dalle sinapsi chimiche in quanto i neuroni non sono separati da una fessura sinaptica. Le membrane delle due cellule nervose sono a diretto contatto e i loro citoplasmi sono contigui. La contiguità è garantita da canali transmembrana specializzati, detti giunzioni serrate, che danno origine a pori i quali mettono tra loro in comunicazione i citoplasmi dei due neuroni. Ne segue che le due cellule sono isopotenziali – hanno lo stesso potenziale – e i cambiamenti elettrici in un neurone si ripercuotono nell'altro all'istante. Tuttavia, le correnti passive che scorrono tra i due neuroni diminuiscono quando uno di essi è depolarizzato o iperpolarizzato. Le sinapsi elettriche sono utili quando la trasmissione delle informazioni deve essere molto rapida, come per il riflesso di fuga di alcuni invertebrati – gruppi di neuroni con tale sinapsi possono attivare velocemente i muscoli, così che un animale può scappare: il riflesso di flessione della coda dell'astice ne è un esempio. L'importanza di tali sinapsi si riscontra anche nella retina e in alcuni nuclei subcorticali dei mammiferi. È stato dimostrato – Connors e Gibson – tramite la solita tortura sui poveri ratti che nel cervello dei mammiferi la comunicazione neuronale può essere sia di natura chimica che elettrica. ■ Neurotrasmettitori Otto Loewi, scienziato attivo in Germania agli inizi del XX secolo, dimostrò il possibile verificarsi della trasmissione chimica. Preparò il cuore di due rane. Stimolò elettricamente il nervo vago di una rana, causando un rallentamento del battito cardiaco, e raccolse il liquido di perfusione - perfusato - di quel cuore. Trasferì tale liquido dal cuore stimolato all'altro cuore, non stimolato e il risultato fu sorprendente: il secondo cuore, nonostante non stimolato, rallentò la frequenza del battito, esattamente come l'altro. Loewi ipotizzò l'effetto come mediato da un agente chimico e lo chiamo vagusstoff – materia del vago. Più tardi isolò la sostanza, che si rivelò consistere in ACh (acetilcolina). Assurdo pensare che tutto ciò fu frutto di un sogno. Alcuni anni dopo, Dale dimostrò che l'ACh era il neurotrasmettitore anche nei muscoli scheletrici, non solo in quelli cardiaci o in altre parti del sistema nervoso autonomo . Così nelle neuroscienze ebbe inizio l'età dei neurotrasmettitori. I neurotrasmettitori oggi noti sono più di cento. Sono molecole molto variabili, per grandezza e composizione chimica, che condividono però alcune proprietà comuni. Ovvero, tutti i neurotrasmettitori sono sintetizzati dal neurone presinaptico; vengono trasportati alle terminazioni assoniche, dove sono immagazzinati in vescicole; dopo che si sono legati alla cellula postsinaptica, vengono rimossi o degradati dall'azione di enzimi. Un neurotrasmettitore deve: 1. essere sintetizzato dal neurone presinaptico, essere localizzato al suo interno e restare immagazzinato nella terminazione presinaptica prima del rilascio; 2. essere rilasciato dal neurone presinaptico quando i potenziali d'azione invadono la terminazione e la depolarizzano; 3. provocare la stessa risposta che deriverebbe dalla stimolazione del neurone presinaptico, visto che è applicato artificialmente alla cellula postsinaptica. Inoltre il neurone postsinaptico deve contenere recettori specifici per quella sostanza. In base a criteri biochimici, li si può classificare in sostanze particolari come l'ACh; amminoacidi (come l'aspartato, il GABA acido gamma-amminobutirrico, il glutammato e la glicina); ammine biogene, tra cui la dopamina, la noradrenalina, l'adrenalina, la serotonina e l'istamina e neuropeptidi. Ricorda che i peptidi sono catene di amminoacidi e possono essere ulteriormente suddivisi in cinque gruppi. 1) tachichinine (peptidi del cervello e dell'intestino), come la sostanza P che influenza la vasocostrizione ed è un neurotrasmettitore spinale coinvolto nella trasmissione del dolore; 2) ormoni neuroipofisali ossitocina e vasopressina: il primo è coinvolto nelle ghiandole mammarie, il secondo ha azione antidiuretica; 3) fattori di rilascio ormonale ipotalamici; 4) peptidi oppioidi come le endorfine e le encefaline: così chiamati per la loro somiglianza agli oppiacei e si legano ai recettori degli oppiacei; 5) gli altri, che non rientrano in una precisa categoria. Ogni neurone produce tipicamente uno, due o più neurotrasmettitori, i quali possono essere liberati insieme o separatamente, a seconda delle condizioni di stimolazione. L'azione svolta da un neurotrasmettitore sul neurone postsinaptico è determinata dalla natura del neurone piuttosto che dal trasmettitore: lo stesso neurotrasmettitore rilasciato dallo stesso neurone presinaptico su due diverse cellule postsinaptiche può causare in una un aumento dei potenziali, nell'altra la diminuzione. I neurotrasmettitori eccitatori comprendono l'ACh, il glutammato, l'istamina, la serotonina. I neurotrasmettitori inibitori includono il GABA, la glicina e alcuni peptidi. Oltre a influire sul neurone postsinaptico in modo da eccitarlo o inibirlo, alcuni neurotrasmettitori agiscono solo di concerto con altri fattori, e sono chiamati neurotrasmettitori condizionali. La sintesi dei neurotrasmettitori di notevoli dimensioni molecolari – i peptidi – avviene nel corpo cellulare del neurone; quella dei piccoli trasmettitori ha luogo nelle terminazioni sinaptiche. Gli enzimi necessari per la sintesi dei trasmettitori di piccole dimensioni vengono prodotti nel corpo cellulare; poi discendono lungo l'assone attraverso la via di trasporto lento, fino alle terminazioni dove vengono sintetizzati i piccoli trasmettitori. Invece i peptidi vengono racchiusi in vescicole che scendono lungo l'assone per la via di trasporto rapido. La sintesi delle catecolammine ha importanti implicazioni nel trattamento del morbo di Parkinson, malattia in cui neuroni dopaminergici in un nucleo mesencefalo – la sostanza nera o locus niger – portano a una perdita di dopamina nei gangli della base, a cui consegue un disturbo neurologico. Dopo che è stato rilasciato nella fessura sinaptica e si è legato ai ricettori sulla membrana postsinaptica, il neurotrasmettitore deve essere rimosso. Questo può avvenire tramite: 1. il suo riassorbimento nella terminazione presinaptica; 2. la sua degradazione enzimatica entro la fessura sinaptica; 3. la semplice diffusione lontano dalla regione della sinapsi o dal sito d'azione. Sono meccanismi mediati da proteine di trasporto attivo, proteine transmembrana che pompano il neurotrasmettitore all'indietro, attraverso la membrana presinaptica. Un esempio di neurotrasmettitore eliminato dalla fessura sinaptica tramite l'azione di enzimi è l'ACh. Per controllare il livello di neurotrasmettitore presente nella fessura sinaptica, i neuroni presinaptici sono forniti di autorecettori che regolano tale quantità. Questi si legano alle molecole di neurotrasmettitore rilasciate, consentendo al neurone presinaptico di regolarne la sintesi e il rilascio. ● Vie anatomiche delle ammine biogene La distribuzione cerebrale dei neurotrasmettitori può essere sia concentrata localmente che diffusa. Il glutammato si trova quasi dovunque nel cervello (!), mentre le ammine biogene tendono a essere localizzate in siti specifici. Le ammine biogene costituiscono sistemi di neurotrasmissione a partire da nuclei formati da corpi cellulari concentrati nel mesencefalo. I loro assono proiettano su vaste aree della corteccia e possono svolgere un ruolo chiave nella modulazione. Ne è un esempio il sistema noradrenergico. Le proiezioni del sistema della noradrenalina sono coinvolte nello stato di attivazione fisiologica e nell'attenzione. Molte sostanze farmacologiche agiscono modificando la neurotrasmissione, perciò sono utili nel trattamento di disturbi neurologici e psichiatrici. Altre sostanze sono in grado di indurre depressione, psicosi e altri sintomi di disturbi psichiatrici. L'abuso di anfetamine, ad esempio, fa aumentare il rilascio di dopamina e di noradrenalina e causa una psicosi da amfetamine. Secondo alcune ipotesi, i disturbi mentali potrebbero riflettere il malfunzionamento di specifici sistemi cerebrali di neurotrasmissione: da qui l'utilità del farmaco. Le sostanze farmacologiche possono influenzare direttamente la neurotrasmissione imitando l'azione dei trasmettitori sui recettori postsinaptici, aumentandone il rilascio o impedendone il riassorbimento (sostanze agoniste). Oppure, una sostanza può agire riducendo la capacità del neurotrasmettitore di legarsi ai recettori postsinaptici (sostanze antagoniste). I sistemi di neurotrasmissione implicati nei disturbi psichiatrici e neurologici spesso coinvolgono trasmettitori condizionali: in questi casi le sostanze farmacologiche possono contribuire alla modulazione della trasmissione neurale. Le sostanze che influiscono sui meccanismi di riassorbimento, come gli inibitori selettivi del riassorbimento di serotonina, sono causate per trattare la depressione, l'ansia e il disturbo ossessivo-compulsivo. Altre sostanze impediscono la degradazione della dopamina e della serotonina a opera dell'enzima MAO: ciò porta a un maggiore livello di trasmettitore nella fessura sinaptica. La schizofrenia? L'eccesso di dopamina può contribuire alla comparsa del disturbo. Le sostanze neurolettiche, dette sostanze antipsicotiche, alleviano la paranoia e le allucinazioni connesse sia con la psicosi che caratterizza la schizofrenia, sia con la psicosi indotta dalle amfetamine. Sono sostanze antagoniste della dopamina. Ma anche le sostanze agoniste del glutammato, un trasmettitore eccitante, possono essere efficaci nel trattamento della schizofrenia. La schizofrenia causa la disgregazione della normale funzionalità dei neurotrasmettitori cerebrali. CAPITOLO 3 Anatomia strutturale e funzionale della cognizione Da sempre vi è stato interesse per le relazioni tra l'anatomia del cervello e la cognizione. Analizzando, dopo sua morte, il cervello di Einstein, si è scoperto che la scissura di Silvio – il solco che separa il lobo temporale dai lobi frontali e parietale – mostrava nello scienziato un'organizzazione insolita. Confrontandola con altri cervelli di persone “normali”, si notava un'insolita confluenza tra la scissura di Silvio e il solco centrale sulla superficie laterale dell'encefalo; nella maggior parte dei cervelli la scissura di Silvio si prolunga posteriormente. Inoltre, il lobo parietale inferiore si presentava più grande e più ispessito in direzione lateralemediale. Forse da qui le capacità intellettive dello scienziato. La funzione scaturisce dalla forma, afferma uno dei principi della biologia; analizzare l'anatomia del cervello e del sistema nervoso può essere utile per svelarne la funzionalità. ■ Neuroanatomia Studia la struttura del sistema nervoso e ha come scopo identificare varie parti del sistema nervoso e descriverne le interconnessioni. Lo studio avviene a due livelli: 1) il livello della neuroanatomia macroscopica: incentrato su strutture generali e sulle connessioni visibili a occhio nudo; 2) il livello della neuroanatomia microscopica: descrive l'organizzazione, le connessioni e la struttura subcellulare dei neuroni. La neuroanatomia funzionale consiste nell'organizzazione anatomica delle cellule, dei circuiti e dei sistemi che sostengono una particolare funzione, come la percezione degli oggetti. Ci sono metodi diversi per analizzare il sistema nervoso ai vari livelli. ▪ Dissezione anatomica Prima delle tecniche di brain imaging, per studiare l'anatomia cerebrale a livello macroscopico si praticava la dissezione anatomica, ovvero la rimozione del cervello dalla scatola cranica e l'intromissione di questo in un contenitore riempito di formalina – soluzione conservante. Si procedeva poi alla rimozione della dura madre, uno strato ispessito formato da tessuto connettivale fibroso, e si mostravano così molte strutture particolarmente evidenti: le circonvoluzioni – o giri cerebrali – e i solchi primari, la struttura della corteccia cerebrale ripiegata. Proseguendo la dissezione, si rivelano i principi organizzativi. Si rivela, ad esempio, la dicotomia fra la materia grigia - forma un rivestimento corticale continuo ed è grigiastra nel cervello conservato, mentre in vivo è rossastra - che contiene i corpi cellulari dei neuroni e delle cellule gliali e la materia bianca, più chiara a causa della mielina. La dissezione neuroanatomica del cervello fornisce poi indicazioni sull'organizzazione dei suoi sistemi. È possibile ad esempio seguire il percorso degli assoni raggruppati in grossi tratti, o fascicoli di fibre che decorrono nel cervello collegando regioni differenti. Si rivela poi il fascicolo arcuato, un tratto di fibre che connette le aree di Wernicke e di Broca e che sostiene le funzioni del linguaggio. ▪ Microanatomia e istologia: tecniche di colorazione cellulare e di rivelazione dei tratti È l'istologia quella disciplina che studia la struttura dei tessuti mediante tecniche microscopiche. Uno degli scopi fondamentali dei neuroanatomisti è identificare i pattern della connettività all'interno del sistema nervoso – ovvero le “autostrade” neurali che permettono la trasmissione delle informazioni da una localizzazione all'altra. Il problema risiede nel fatto che i neuroni non sono connessi tra di loro formando circuiti semplici, ma due neuroni comunicano tra di loro da luoghi parecchio distanti tra di loro. La straordinarietà del SN è che è dovuta a una convergenza e a una divergenza, per cui un singolo neurone può proiettare a una molteplicità di neuroni bersaglio situati in regioni diverse. Le connessioni fra due regioni della corteccia sono chiamate connessioni cortico-corticali: il primo termine identifica la fonte e il secondo il bersaglio. Le fibre che hanno origine da strutture subcorticali come il talamo sono definite connessioni talamocorticali; nel caso inverso si parla di connessioni cortico-talamiche o di proiezioni corticofugali. Le nuove tecniche di colorazione si fondano su sostanze chimiche che vengono assorbite da specifici elementi neurali. Con a colorazione si possono colorare sezioni di tessuto nervoso per rivelare l'organizzazione della retina, o per evidenziare singole cellule. Si possono poi esaminare organuli subcellulari, come le vescicole sinaptiche in una terminazione assonica, per mezzo del microscopio elettronico che sfrutta un fascio di elettroni e non la luce. I metodi per la rivelazione dei tratti consentono di identificare le connessioni tra neuroni e ragioni cerebrali differenti. Una tecnica è il metodo della degenerazione, utilizzato per identificare il decorso di assoni in fase degenerativa in seguito a lesione o malattia. Il metodo consiste nel trovare quali assoni mielinici sono mancanti oppure si utilizza una tecnica con la quale la mielina degli assoni in via di degenerazione si colora di scuro. Un metodo più moderno, enzimatico, è basato sulla perossidasi di rafano o HRP, che può essere usata come sostanza tracciante retrograda che viene assorbita dagli assoni e da lì risale fino al corpo cellulare, oppure come tracciante anterogrado, assorbito dal soma per poi diffondere negli assoni. Tale metodo fornisce un mezzo per visualizzare l'origine delle afferenze a una particolare regione neurale, o il sito a cui una regione proietta i propri assoni. L'associazione di traccianti retrogradi e anterogradi permette ai ricercatori di identificare le afferenze a una specifica regione e le aree di proiezione degli assoni che si dipartono da una data regione; grazie a tali metodi gli studiosi riescono a costruire mappe di proiezione delle connessioni per circuiti e sistemi. Le tecniche istologiche permettono di classificare i neuroni, suddividendoli in categorie sulla base della loro morfologia. I neuroni – nonostante la comunanza di corpo, assoni e dendriti – sono molto eterogenei: variano per forma e grandezza. Questo livello di analisi fine fu portata dai neuroanatomisti fin dai primordi di questa disciplina – fu Golgi a sviluppare il metodo basato sull'impregnazione con sali d'argento, per visualizzare un'intera cellula nervosa a livello di dettaglio. Mediante i metodi che rivelano la distribuzione dei corpi cellulari – come la colorazione di Nissl specifica per il reticolo endoplasmatico ruvido o la colorazione di Weigert, che colora la mielina e rivela gli assoni dei neuroni – si possono classificare i tipi di citoarchitettura e la stratificazione delle cellule in regioni diverse del cervello. Brodmann si avvarrà di tale tecnica per realizzare la sua mappa citoarchitettonica del cervello, un quadro complessivo delle variazioni regionali nell'architettura cellulare. Ha poi suddiviso la corteccia in aree e ha introdotto un sistema di numerazione. ■ Anatomia macroscopica e funzionale del SN Il sistema nervoso si suddivide in sistema nervoso centrale (SNC), costituito dall'encefalo e dal midollo spinale, è la porzione del sistema nervoso responsabile del comando e del controllo; sistema nervoso periferico (SNP), è una grande rete di distribuzione che trasmette le informazioni sensoriali al SNC, del quale poi veicola i comandi motori ai muscoli scheletrici. In tale modo viene controllata l'attività dei muscoli volontari del corpo – il sistema somatico – e l'attività involontaria dei muscoli lisci, del cuore e delle ghiandole – sistema nervoso autonomo. ▪ La corteccia cerebrale comprende due emisferi simmetrici, formati da regioni mantellari costituite da neuroni organizzati in strati. Poggia sopra strutture che comprendono parti del sistema limbico e i gangli della base e circonda le strutture del diencefalo. Corteccia cerebrale, gangli della base e diencefalo formano il prosencefalo. Nei mammiferi e negli esseri umani la corteccia presenta pieghe o circonvoluzioni – che nella corteccia si distinguono in solchi e giri. In molte specie di mammiferi, come il ratto, la corteccia è più liscia, meno ripiegata, con pochi solchi e giri. Nell'uomo, le pieghe della corteccia (o circonvoluzioni) assolvono uno scopo funzionale: aumentare la superficie corticale che può essere contenuta nella scatola cranica. Se la corteccia umana fosse distesa e liscia come quella del ratto, ad esempio, gli esseri umani dovrebbero avere una testa molto grande per poterla contenere. Le circonvoluzioni portano a risparmiare un botto di spazio. Un altro vantaggio dell'avere una corteccia ripiegata è che i neuroni vengono a trovarsi più vicini tra di loro nello spazio tridimensionale, con un risparmio nelle distanze che gli assoni devono coprire, quindi del tempo necessario perchè la conduzione nervosa lungo l'assone si trasmetta da una regione a un'altra. Ripiegandosi, inoltre, la corteccia porta regioni già vicine ad essere ancora più vicine. Benché composta da più strati di cellule, il suo spessore è di appena 3 mm. La corteccia comprende i corpi cellulari dei neuroni, i loro dendriti e alcuni assoni; comprende inoltre le terminazioni assoniche dei neuroni che proiettano alle aree corticali da altre regioni del cervello, per esempio dal talamo, struttura subcorticale. Appare di colore grigiastro a causa della densità di corpi cellulari, rispetto alle regioni sottostanti, più chiare perchè contenenti fibre. Ogni emisfero cerebrale si suddivide in 4 regioni o lobi, cui se ne aggiunge un quinto, il lobo limbico. Si distinguono l'una dall'altra per la presenza di confini anatomici, costituiti da solchi, e hanno proprietà differenti. I nomi dei lobi cerebrali derivano dai nomi assegnati alle ossa del cranio a essi soprastanti. Il solco centrale (o scissura di Rolando) divide il lobo frontale dal lobo parietale e il solco laterale (o scissura di Silvio) separa il lobo temporale dai lobi frontali e parietali. Il lobo occipitale è separato dai lobi parietale e temporale dalla scissura parietooccipitale sulla superficie dorsale dell'encefalo e dall'incisura preoccipitale sulla superficie ventreolaterale. L'emisfero cerebrale destro è separato dal sinistro dalla scissura interemisferica (scissura longitudinale). Le interconnessioni tra i due emisferi cerebrali sono dovute a quegli assoni di neuroni corticali che attraversano il corpo calloso, la più grande commessura di sostanza bianca presente nel sistema nervoso (commessura indica i tratti di sostanza bianca che passano da sinistra a destra). Il corpo calloso è di consistenza fibrosa e svolge funzione di integrazione tra i due emisferi. Nella corteccia cerebrale si possono distinguere suddivisioni più fini di quelle dei 4 lobi, per esempio suddivisioni funzionali: queste caratteristiche sono indicate con il nome di citoarchitettura, termine che fa riferimento alla morfologia delle cellule e ai loro rapporti specifici. Lo scopo degli studi di citoarchitettura è definire l'estensione delle regioni che sembrano avere un'architettura cellulare simile; un'area omogenea di corteccia potrebbe essere omogenea anche da un punto di vista funzionale. Lo studio di citoarchitettonica ha avuto inizio con Brodmann (1909), che ha identificato nella corteccia cerebrale circa 52 regioni distinte, classificate in base a differenze nella morfologia e nell'organizzazione cellulare, poi contrassegnate con un numero. Altri anatomisti hanno individuato circa 200 aree diversificate dal punto di vista citoarchitettonico, forse sbagliando però. Nonostante il sistema di Brodmann sembra mancare di sistematicità, in alcune regioni la numerazione mostra una vaga corrispondenza con le relazioni fra aree che svolgono la stessa funzione, per esempio la visione (aree 17, 18, 19). Visto che non esiste un unico sistema di nomenclatura per la corteccia, il nome usato per indicare una regione può essere quello assegnatole da Brodmann, oppure essere basato sulla sua citoarchitettura o sulla sua anatomia macroscopica. Ad esempio, la prima area corticale che riceve gli input visivi dal talamo, la corteccia sensoriale primaria per la visione, è denominata da Brodmann come area 17, dalla terminologia anatomica come corteccia calcarina e dalla citoarchitettura come corteccia striata, mentre il termine funzionale è corteccia visiva primaria, o area V1 (visiva1). Ma i termini usati da nomenclature differenti possono non corrispondere alla stessa area. La corteccia cerebrale può essere suddivisa in regioni anche in base ai pattern generali di stratificazioni. Gran parte della corteccia consiste nella neocorteccia (o neocortex), composta da sei strati cellulari con alto grado di specializzazione dell'organizzazione neuronale. La neocorteccia comprende la corteccia motoria primaria e la corteccia sensoriale primaria, e le aree di associazioni. La mesocorteccia (o mesocortex) indica la regione paralimbica e si interpone tra la neocorteccia e l'allocorteccia (o allocortex) che contiene da uno a quattro strati di neuroni e il complesso dell'ippocampo e la corteccia olfattiva primaria. Nella corteccia cerebrale si possono distinguere alcune regioni principali che differiscono rispetto al grado di complessità nella stratificazione dei neuroni. Una delle caratteristiche principali dell'organizzazione dei sistemi cognitivi sta nel fatto che essi consistono in reti di componenti localizzate in vari lobi della corteccia: i sistemi cerebrali coinvolgono più lobi. La maggior parte delle funzioni cerebrali – che si tratti di processi sensoriali, motori o cognitivi – dipendono dall'attività sia di componenti corticali che subcorticali. Aree motorie del lobo frontale. Il lobo frontale ha un ruolo importante nella progettazione e nell'esecuzione dei movimenti. Si suddivide in: 1) corteccia motoria → che comprende il giro precentrale o striscia motoria (area 4 di Brodmann) davanti al solco centrale. Questo rappresenta la corteccia motoria primaria; anteriormente, altre due aree motorie corticali, la corteccia premotoria e la corteccia motoria supplementare. Sono composte di motoneuroni i cui assoni si prolungano fino al tronco encefalico e al midollo spinale. Lo strato 5 della corteccia motoria primaria contiene i neuroni piramidali, detti cellule di Betz: sono i più grandi della corteccia cerebrale e sono l'origine delle vie discendenti dei segnali motori; 2) corteccia prefrontale → partecipa alle funzioni superiori del controllo motorio e alla pianificazione e attuazione dei comportamenti. Comprende tre o più aree principali: corteccia prefrontale dorsolaterale, area frontale mediale e corteccia cingolata anteriore. La corteccia orbitofrontale si estende in senso mediale verso le strutture del lobo limbico, su cui proietta fibre di interconnessione. Aree somatosensoriali del lobo parietale. La corteccia somatosensoriale è localizzata nel giro postcentrale e aree adiacenti (aree 1, 2 e 3 di Brodmann). Sono aree che ricevono fibre provenienti da relè somatosensoriali situate nel talamo, afferenze che veicolano l'informazione relativa alla sensibilità tattile, dolorifica e termica e al senso della posizione. La corteccia somatosensoriale primaria (SI) è posteriore al solco centrale; la corteccia somatosensoriale secondaria (SII) riceve le informazioni attraverso proiezioni provenienti dall'area SI. L'informazione somatosensoriale che giunge al talamo e da qui va alla corteccia somatosensoriale primaria segue due vie: il sistema anterolaterale – per la sensibilità termica e dolorifica – e il sistema colonna dorsale-lemnisico – per le informazioni relative al tatto e al movimento. I recettori periferici effettuano la trasduzione degli stimoli fisici in impulsi neurali, che vengono poi condotti al midollo spinale e al cervello tramite la formazione di sinapsi. Aree dell'elaborazione visiva nel lobo occipitale. La corteccia visiva primaria (area 17 di Brodmann) riceve l'informazione visiva dal relè costituito dal nucleo genicolato laterale del talamo. Nell'uomo è localizzata sulla superficie mediale degli emisferi cerebrali; è nascosta nella scissura tra i due emisferi. È composta di sei strati e dà inizio alla codifica corticale delle caratteristiche fisiche degli stimoli visivi: colore, luminosità, frequenza spaziale, orientamento e movimento. L'informazione visiva raccolta dal mondo esterno viene elaborata da strati di cellule che formano la retina, quindi è trasmessa attraverso il nervo ottico al nucleo genicolato laterale del talamo e da qui all'area V1, lungo una via chiamata via ottica primaria (retino-genicolo-striata). Il collicolo superiore del mesencefalo prende parte alle funzioni visuo-motorie come i movimenti oculari. Intorno alla corteccia striata vi è una corteccia visiva extrastriata (aree 18 e 19 di Brodmann) che nei primati comprende tre dozzine di aree visive distinte, le quali contengono mappe spaziali del mondo reali ognuna specializzata in particolari aspetti della scena visiva: il colore, il movimento, la posizione e la forma degli oggetti. Due vie veicolano l'informazione visiva dalla corteccia striata alle regioni extrastriate: una, la via ventrale (o via “what”, la via del “che cosa”) e corrisponde alle informazione derivante dall'analisi delle caratteristiche dello stimolo e delle loro reciproche relazioni e serve per discriminare la forma e identificare l'oggetto. L'altra, la via dorsale (o via “where”, la via del “dove”) veicola l'informazione relativa al movimento e alla posizione dello stimolo nello spazio visivo. Aree dell'elaborazione uditiva nel lobo temporale. La corteccia uditiva si trova nella parte superiore del lobo temporale, sepolta nella scissura di Silvio. La proiezione che ha origine dalla coclea (organo uditivo nell'orecchio interno) si trasmetto al nucleo genicolato mediale del talamo e alla corteccia sovratemporale, a una regione chiamata giro temporale traverso di Heschl. Questa la corteccia uditiva primaria AI e AII. L'area 22 contribuisce alla percezione degli stimoli acustici. La corteccia associativa comprende le porzioni di neocorteccia che non hanno funzioni sensoriali o motorie, ed è composta da regioni che ricevono impulsi relativi a una o più modalità. Diciamo che i processi mentali superiori dipendono dalle aree corticali associative, tramite l'interazione con le aree motorie e sensoriali della corteccia. È vero, ade esempio, che la corteccia visiva primaria è necessaria per la sensazione cosciente della visione, ma non è l'unica sede della percezione visiva: le regioni di associazione visiva sono essenziali per la corretta percezione del mondo visivo. ■ Sistema limbico Il lobo limbico è una parte del prosencefalo che comprende diverse strutture che formano una sorta di bordo, un limbus appunto: tali strutture sono il nucleo anteriore del talamo, l'ipotalamo e l'ippocampo. Fu Popez, negli anni '30 del Novecento, ad avanzare l'ipotesi che il sistema limbico fosse responsabile del comportamento emozionale. Oggi si sa che l'amigdala, un gruppo di neuroni situati anteriormente all'ippocampo è componente chiave del sistema. Le strutture del lobo limbico rappresentano una porzione encefalica più rilevante nelle classi di Vertebrati diverse dai mammiferi. Il sistema limbico prende parte ai processi di elaborazione, apprendimento e memorizzazione connessi con le emozioni. ▪ Gangli della base Sono un insieme di aggregati subcorticali di neuroni, localizzati nel prosencefalo, e svolgono un ruolo importante nel controllo del movimento. Sono formati da tre principali strutture: il globo pallido, il nucleo caudato e il putamen. I gangli della base, il nucleo subtalamico e la sostanza nera fanno parte, insieme alla corteccia e al talamo, di circuiti che mediano sia aspetti del controllo motorio sia funzioni cognitive, quali i processi di memoria a breve termine e alcune funzioni esecutive, che coinvolgono cioè il controllo del comportamento a livello superiore. Il nucleo caudato e il putamen sono deputati alla ricezione degli input. Le principali efferenze dai gangli della base si dirigono dal globo pallido ai nuclei talamici e da qui alla corteccia, alle aree motoria e premotoria: quindi partecipano a un circuito motorio corticale-subcorticale, deputato al controllo della coordinazione temporale fra attività motoria e funzioni non motorie. → la corea di Huntington è una malattia che comporta sintomi di natura sia motoria che cognitiva (si perde l'uso della parola, si cammina come se si fosse ubriachi); i sintomi sono causati dalla perdita di cellule nei gangli della base e da lesioni in neuroni corticali. Non esiste cura. ▪ Formazione dell'ippocampo e lobo temporale mediale L'ippocampo si trova nella regione prosencefalica, lungo la superficie del lobo temporale, e comprende le aree ad esso collegate: il giro dentato, la corteccia entorinica e il giro paraippocampale. I neuroni piramidali dell'ippocampo inviano efferenze all'esterno della formazione ippocampale attraverso il fornice, tratto di sostanza bianca. La maggior parte delle fibre formano una proiezione arcuata che prende contatto con i corpi mammillari e alcune regioni del talamo. L'ippocampo è coinvolto nell'elaborazione delle emozioni e nei processi della memoria. ▪ Diencefalo Nel prosencefalo, talamo e ipotalamo formano il diencefalo; sono nuclei subcorticali composti da gruppi di cellule specializzate e connesse a numerose aree cerebrali. ▪ Talamo È localizzato all'estremità rostrale del tronco encefalico, nella porzione dorsale del diencefalo di ciascun emisfero. In alcune persone il talamo dell'emisfero sinistro è connesso con quello dell'emisfero destro tramite la massa intermedia, un ponte di sostanza grigia. È chiamato “la porta d'ingresso della corteccia”, perchè tutte le modalità sensoriali – ad eccezione di alcune afferenze olfattive – sinaptano nel talamo prima di proseguire verso le aree sensoriali primarie. I vari nuclei che compongono il talamo fungono da stazioni dell'informazione sensoriale in entrata – uno riceve informazioni dalle cellule della retina e invia assoni alla corteccia visiva primaria, un altro riceve informazioni dall'orecchio interno e invia assoni alla corteccia uditiva primaria. Il talamo non funge da stazione di scambio soltanto per l'informazione sensoriale primaria, perchè riceve impulsi anche dai gangli della base, dal cervelletto, dalla neocorteccia e dal lobo temporale mediale. Un'importante struttura talamica è il pulvinar, nucleo posteriore, che svolge un ruolo critico nei processi attentivi e di riconoscimento degli oggetti. I nuclei talamici che fungono da relè sensoriali non solo inviano efferenze alla corteccia, ma ricevono afferenze dall'area corticale su cui sinaptano le loro proiezioni che terminano in uno strato di cellule chiamato nucleo reticolare del talamo. ▪ Ipotalamo Si trova al di sotto del talamo, ed è un piccolo aggregato di nuclei e di tratti. È una struttura importante per il sistema nervoso autonomo e il sistema endocrino: controlla le funzioni necessarie per il mantenimento dell'omeostasi, cioè il mantenimento dello stato corporeo normale. È inoltre coinvolto nei processi emozionali e nel controllo della ghiandola pituitaria. Gli ormoni prodotti dall'ipotalamo controllano gran parte del sistema endocrino: i peptidi ipotalamici provocano o inibiscono il rilascio nel circolo sanguigno di una vasta gamma di ormoni come l'ormone della crescita, il tireotropo e altri. Alcuni neuroni dell'ipotalamo inviano proiezioni assoniche che stimolano una porzione di una ghiandola, l'ipofisi, a rilasciare nel sangue la vasopressina e l'ossitocina, ormoni che regolano l'assorbimento dell'acqua a livello dei reni, e la produzione di latte o la contrattilità uterina. A parte le proiezioni dirette, l'ipotalamo riesce a influenzare l'attività di altri neuroni tramite la neuromodulazione, ovvero processi che implicano la secrezione di ormoni peptidici nel sangue. ■ Tronco encefalico Questa regione del sistema nervoso contiene gruppi di nuclei sensoriali e motori, nuclei dei sistemi diffusi per la modulazione con neurotrasmettitori e tratti di sostanza bianca, vie ascendenti per l'informazione sensoriale e discendenti per i segnali motori. Qualsiasi lesione al tronco encefalico mette in serio pericolo la sopravvivenza dell'individuo, in parte per le sue piccole dimensioni e poi perchè i nuclei qui presenti controllano la respirazione e persino gli stati di coscienza, come il sonno e la veglia. ▪ Mesencefalo Circonda l'acquedotto cerebrale che mette in comunicazione il terzo e il quarto ventricolo e contiene i neuroni responsabili delle funzioni visuo-motorie, dei riflessi visivi, le stazioni lungo la via acustica e i nuclei del tegmenti, coinvolti nella coordinazione motoria – il nucleo rosso. Gran parte del mesencefalo è occupata dalla formazione reticolare, un insieme di nuclei sensoriali e motori del tronco encefalico che prendono parte ai processi connessi con l'attivazione fisiologica, la respirazione, la modulazione dell'attività cardiaca e di quella muscolare e la sensazione de dolore. Un'altra importante struttura mesencefalica è la sostanza nera; i neuroni che contengono come neurotrasmettitore la dopamina hanno i corpi cellulari in una suddivisione della sostanza nera e proiettano i loro assoni ai gangli della base, sinaptando sui neuroni del caudato e del putamen. I nuclei del mesencefalo proiettano sulla corteccia, e usano come trasmettitore la serotonina. ▪ Il ponte e il midollo allungato formano insieme il romboencefalo. 1) il ponte consiste in un sistema di tratti nervosi frammisti ad aggregati neuronici, i nuclei pontini. Le fibre sono la continuazione delle proiezioni corticali al midollo spinale, al tronco encefalico e al cervelletto e al ponte esplodono in fasci più piccoli. I nuclei localizzati nel ponte assolvono funzioni uditive e vestibolari – di equilibrio: gli assoni provenienti dai sensori periferici uditivi e vestibolari formano le sinapsi primari entro il SNC . Nel ponte sono localizzati anche nuclei motori e sensoriali che ricevono afferenze dalla faccia e dalla bocca, e anche nuclei visuo-motori che controllano muscoli extraoculari. 2) il bulbo (o midollo allungato) contiene la continuazione del midollo spinale. Sulla superficie ventrale del bulbo le proiezioni motorie cortico-spinali si raggruppano formando fasci compatti di fibre nervose i fasci piramidali. Nel bulbo, questi assono motori diretti al midollo spinale si incrociano scavalcando la linea mediana; i sistemi motori dell'emisfero destro controllano così il lato sinistro del corpo. Vi sono poi i nuclei, di grandi dimensioni, che formano il complesso dell'oliva. I nuclei sensoriali che elaborano l'informazione vestibolare e parte degli input sensoriali provenienti dalla faccia, dalla bocca e dalla gola e dell'addome, si trovano nel bulbo. Sono poi presenti nuclei motori che innervano il cuore e i muscoli del collo, della lingua e della gola. I neuroni del tronco encefalico sono responsabili di numerosi processi sensoriali e motori, in particolare delle funzioni visuo-motorie, uditive e vestibolari e della sensibilità e del controllo motorio relativi a faccia, bocca, gola, apparato respiratorio e cuore. ■ Cervelletto Il cervelletto è una struttura neurale molto grande in realtà e poggia sui peduncoli cerebellari, che consistono in grossi fasci di fibre afferenti ed efferenti. Le afferenze al cervelletto sinaptano sui nuclei profondi; provengono dalle aree cerebrali che partecipano all'elaborazione dell'informazione sensoriale e motoria, quindi veicolano i segnali motori in uscita e gli input sensoriali relativi alla posizione del corpo. Le proiezioni afferenti vestibolari, coinvolte nel senso dell'equilibrio, e inoltre gli input uditivi e visivi, proiettano al cervelletto da stazioni nel tronco encefalico. Il cervelletto è una struttura chiave per il mantenimento della postura, della deambulazione e la coordinazione dei movimenti. ■ Midollo spinale Il midollo spinale si allunga dal bulbo fino alla sua estremità terminale, la cauda equina alla base della colonna vertebrale. Conduce ai muscoli i segnali motori finali e porta al cervello l'informazione sensoriale raccolta dai recettori periferici. È formato da tratti ascendenti e discendenti di sostanza bianca che veicolano le informazioni di natura sensoriale o motoria e da corpi cellulari di neuroni riuniti in una massa centrale di sostanza grigia. È protetto dalle ossa che formano la colonna vertebrale. ■ SISTEMA NERVOSO AUTONOMO Il sistema nervoso autonomo fa parte del SNP ed è coinvolto nel controllo della muscolatura liscia, del cuore e di varie ghiandole. È suddiviso in due sezioni: simpatica e parasimpatica, che hanno azioni antagoniste. Nel sistema simpatico il neurotrasmettitore è la noradrenalina; nelle fibre parasimpatiche è l'acetilcolina. L'attivazione del sistema simpatico fa aumentare, ad esempio, la frequenza del battito cardiaco e prepara il corpo all'azione, stimolando le ghiandole surrenali a rilasciare l'adrenalina. L'attivazione del parasimpatico, invece, rallenta la frequenza del battito cardiaco, stimola la digestione e aiuta il corpo a svolgere tutte le funzioni inerenti al suo stesso mantenimento. Un afflusso costante di sangue al cervello è necessario, perchè l'encefalo non ha possibilità di immagazzinare il glucosio o di ottenere energia in assenza di ossigeno. Un'interruzione del flusso di sangue ossigenato al cervello può provocare incoscienza e infine la morte. Un aumento dell'attività neuronale porta a un aumento del flusso sanguigno in quella regione cerebrale e accelera la rimozione dei sottoprodotti metabolici.