2009—1
Informazioni ai Soci
CLUB VEICOLI MILITARI STORICI
NOTIZIARIO
WWW.CVMS.IT
MAB
M E Z Z I
A R M I
B A T T A G L I E
LETTERA DEL PRESIDENTE
Cari soci,
sono passati dieci anni da
quando pochi “eroi” si sono
ritrovati per costituire il nostro
Club.
Le basi su cui si è fondata
l’iniziativa dovevano essere
buone se a distanza di un decennio ben cinquecento soci
iscritti hanno sempre un grande piacere nel vedersi, nel portare le nostre “vecchiette” in
esposizione o nel percorrere,
con una incontenibile grinta, i
percorsi di montagna più o meno impegnativi.
Grazie alla collaborazione di tutti siamo riusciti a
raggiungere obiettivi importanti, organizzando
raduni sempre più interessanti e con la partecipazione di un notevole numero di vetture.
Il Club nel corso degli anni è diventato un Club
ASI e successivamente è diventato membro
dell’MVPA statunitense: insomma, di più non si
poteva fare e invece l’abbiamo fatto con un sito
internet molto frequentato e forse un po’ imitato.
Ma non basta, il nostro notiziario negli ultimi anni è diventato un rivista di 32 pagine letto da molti e richiesto, per i suoi contenuti, anche dai collezionisti di altri Club. Il nostro parco vetture e moto si è allargato in maniera considerevole e, non
vorrei sparare delle cifre assurde, ma se è vero
che molti soci hanno più di un veicolo, ragione-
volmente potremmo esporre più
di mille veicoli, incredibile!!!.
Personalmente mi sono iscritto
sei anni fa, dopo l’acquisto di
una Ford GPW con la quale ho
avuto il piacere di partecipare
dopo poche settimane al raduno
di Bombardone. Ho subito visto
che era sì un Club di veicoli,
non di esaltati maniaci, ma un
Club di famiglie dove tutti potevano partecipare nel miglior
modo credessero. Questo approccio è rimasto immutato negli anni e ne sono molto felice
perché ci distingue dagli altri
club votati esclusivamente alla collezione.
In questi anni molte persone hanno fortemente
collaborato con i membri del Consiglio, tenendo
la contabilità e l’amministrazione del Club, la
segreteria, il supporto nei raduni e tanto altro, a
loro va il nostro più sincero ringraziamento perché senza di loro lo sviluppo del Club sarebbe
stato molto più arduo.
Come Vi ho già anticipato, quest’anno sarà un
anno pieno di raduni interessanti e spero di vedervi numerosi affinché il decennio del nostro Club
possa essere degnamente festeggiato.
Grazie a tutti e “ad maiora”.
Il Presidente
Enrico Paggi
CLUB VEICOLI MILITARI STORICI
INDICE DEGLI ARGOMENTI
♣Lettera del Presidente
♣Indice degli argomenti
♣Colico 2008
♣Manifestazioni 2009
♣Forte del Montecchio—Colico
♣Alcune delle vere Regine del CVMS
♣Rinnovo quote associative
♣Cartoline dai Soci: Come eravamo
♣CVMS: Programma Normandia 2009
♣Museo dello sbarco in Sicilia 1943
♣Il fallito attentato ad Hitler
♣Testimonianze
♣Lo sbarco in normandia
♣CVMS: 10 anni di Raduni
♣Storia di una ar 59
♣Cerco, Compro, Vendo
♣Foto di copertina:
Pag. 1
Pag. 2
Pag. 3
Pag. 4
Pag. 5
Pag. 6
Pag. 7
Pag. 8
Pag. 9
Pag. 10
Pag. 11-12
Pag. 13
Pag. 14-23
Pag. 24-32
Pag. 33-34
Pag. 35
Pag. 36
Redattore: Cosimo Prototipo
Articoli di carattere storico:
Enrico Paggi, Cosimo Prototipo
Resoconti delle manifestazioni: i Soci
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COLIC0 2008
L’anno si è chiuso con il raduno di Colico a
Forte Montecchio, un forte costruito durante
la Prima Guerra Mondiale per far fronte ad
eventuali attacchi di eserciti nemici dalla
Svizzera.
Il forte è un raro esempio di perfetta conservazione e le quattro cupole corazzate ancora
contengono i cannoni originali. Il clima favorevole ed il fatto che era l’ultima occasione “ufficiale” per usare i nostri amati mezzi,
ci ha permesso di radunare una bella quantità di veicoli: circa 70 che hanno fatto bella
mostra nel prato all’interno delle mura del
forte. L’amico Antonio Trotti, responsabile
del Museo della Guerra Bianca, ed i suoi
colleghi ci hanno fatto visitare il forte facendoci apprezzare i più piccoli dettagli. Dopo i discorsi delle autorità un pranzo all’aperto e ben
organizzato, all’interno del perimetro del forte,
ci ha rifocillati dalle fatiche della giornata. Per
i più “agitati” il Sindaco di Verceia ci ha permesso di visitare le gallerie da mina, da poco
riscoperte, a poca distanza dal forte, che facevano parte delle incredibili difese create dal
Generale Cadorna. Un ringraziamento particolare all’Assessore per il turismo di Colico che
ci ha molto aiutato ad organizzare l’evento e
che ci aiuterà quest’anno per un raduno che
stiamo preparando, che partirà da Como per
concludersi a Colico il giorno successivo
con l’ingresso nel lago di mezzi anfibi.
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MANIFESTAZIONI 2009
Di seguito diamo indicazioni di massima. Per informazioni più dettagliate vi invitiamo a controllare la pagina
Raduni 2009 o le News della pagina iniziale del nostro
sito, www.cvms.it, in continuo aggiornamento, o contattare la sede del Club. Non mancheranno avvisi a mezzo
posta in caso di particolare importanza dell’iniziativa in
programma.
E’ importante rammentare di comunicare sempre per
tempo eventuali vostre iniziative, al fine di consentirci
una programmazione degli eventi.
Se siete intenzionati a partecipare ad un raduno è necessario comunicare il proprio nominativo, tipo di veicolo e
numero di partecipanti almeno dieci giorni prima
dell’evento alla sede del club o, se indicati, ai numeri di
telefono degli organizzatori.
RADUNI CVMS 2009
19 Aprile 2009 :
Milano Caserma Santa Barbara
Referente: Cesare Spinardi
9—10 Maggio 2009 :
Giro del Lago di Como:
Referente: Diego Molteni
9 Giugno 2009 :
Raduno con sfilata: Filago (BG)
Referente: Cesare Spinardi
4—10 Giugno 2009 :
Normandia—Francia
28 Giugno 2009 :
Lecco
Luglio 2009 :
Valli Ossolane
Settembre 2009 :
Val Badia—V° Raduno Internazionale
Veicoli Militari Storici
È stato organizzato il trasporto dei veicoli con bisarca.
I Soci interessati contattino al più presto
la sede del Club.
Organizzazione e programma:
Werner Crazzolara
SEGNALAZIONE DI ALTRE
MANIFESTAZIONI
BORSE SCAMBIO CON STAND CVMS
30 /31 MAGGIO 2009 :
Militaria — Novegro MI
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FORTE DEL MONTECCHIO—COLICO
L’unico forte della grande guerra ancora intatto con i 4
più grandi cannoni italiani. Il forte è una delle tipiche
costruzioni progettate all’inizio del secolo dal generale
Enrico Rocchi, che è ritenuto un genio delle costruzioni
militari dell’epoca.
Si tratta di una struttura completamente in cemento e
pietra, a due piani, con gli alloggi dei militari realizzati
in un’ala separata dal corpo centrale.
I due edifici risultano collegati, grazie ad una galleria scavata nella roccia e protetta da volte dello spessore
di circa due metri. Sulla sommità
dell’edificio sono posizionati, in installazioni girevoli e protette da cupole di acciaio e ghisa, quattro cannoni. Si tratta del più moderno armamento utilizzato, nelle fortificazioni
italiane, durante la Prima Guerra
Mondiale. I quattro pezzi sono gli
unici originali conservati sino ai giorni nostri. Si tratta di armi prodotte
dalla ditta francese Schneider, in
quanto l’industria bellica italiana non
era in grado di fornire cannoni necessari per tutte le fortificazioni.
I pezzi, modello 149/35 S, oltre ad
essere i più grandi cannoni presenti
in Italia, sono ancora perfettamente
funzionanti. Anche se, chiaramente,
l’eliminazione del percussore impedisce di utilizzarli
per sparare. Ogni pezzo, oltre a ruotare su se stesso, ha
la possibilità di effettuare un alzo fra –8° e +42°. Possiede, inoltre, un freno, un recuperatore e un congegno
ad aria compressa che permette di
espellere dalla canna i gas prodotti
dalla deflagrazione.
Ogni cannone, dal peso di 3.800
Kg, poteva utilizzare proiettili di
tipo diverso. Lo shrapnel, da 52 Kg,
raggiungeva obbiettivi posti a 11.6
Km. Mentre le granate 149 S, pesanti 42 Kg, arrivavano fino a 12.1
Km. Più leggere, ma con portata
decisamente superiore, le granate
monoblocco da 37 Kg, capaci di
raggiungere distanze di 14.2 Km.
Una particolarità dei cannoni è che
non usavano cariche di lancio in
bossolo,
ma
in
sacchetto.
L’esplosivo era conservato nella
polveriera scavata sotto la montagna e, nei momenti di necessità,
veniva portato al piano superiore
grazie ad appositi montacarichi.
Una squadra di artiglieri provvedeva all’immediata confezione delle cariche da utilizzare.
Gli ufficiali, addetti al puntamento, si trovavano nella
Camera di comando. Qui calcolavano le traiettorie per
mezzo delle carte e delle tavole di tiro poi, grazie a un
sistema interfono, impartivano gli ordini agli uomini
posizionati ai pezzi. Una cupola di osservazione, infine,
consentiva di verificare l’efficacia del colpo.
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ALCUNE DELLE VERE REGINE DEL CVMS
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www.cvms.it
E’ l’indirizzo del
sito internet del nostro Club, curato e
aggiornato dal “web master” Danilo
Giacomazzi, socio del Club.
Visitate le nostre pagine sul web. La
pagina iniziale e quella dei Raduni
dell’anno in corso, sono aggiornate, con
appositi avvisi, appena possibile, con le
date dei raduni, con le informazioni necessarie per la partecipazione, e con le
foto dei raduni che nel frattempo si sono
svolti.
RINNOVO QUOTE ASSOCIATIVE
La quota associativa è scaduta il 31 dicembre 2008.
La quota associativa per l’anno 2009 è di: € 55,00.
♣Rinnovo entro il 31/01/2009:
euro 55,00;
♣Rinnovo entro il 31/03/2009:
euro 65,00;
♣Rinnovo dopo il 31/03/2009:
euro 85,00;
♣I soci che non danno disdetta per iscritto, e non
rinnovano per uno o più anni la quota, ad una successiva richiesta di rinnovo dell’iscrizione dovranno
pagare euro 55,00 per ogni anno non regolarizzato;
♣Soci Familiari e Simpatizzanti:
euro 20,00.
L’iscrizione al Club contestuale all’ASI comporta la
spesa complessiva di € 97,00.
Si avvisa che, per motivi di organizzazione, le quote ASI
saranno trasmesse dal CVMS all’ASI alla fine di ogni
mese.
Tariffe pratiche ASI (La Manovella del 06/2004):
Iscrizione al Registro Storico ( Ex Attestato di Storicità):
gratuito.
Auto, Veicoli Militari e Commerciali:
Certificato di Identità: € 105.00.
Gratuito per veicoli ante 1918.
Certificato sostitutivo delle caratteristiche tecniche:
€ 105,00.
Gratuito per veicoli in possesso di omologazione o certificato di identità o se richiesto contestualmente al certificato di identità.
Motociclette: Certificato di Identità: € 60,00.
Gratuito per veicoli ante 1918.
Certificato sostitutivo delle caratteristiche tecniche:
€ 60,00.
Gratuito per veicoli in possesso di omologazione o certificato di identità o se richiesto contestualmente al certificato di identità.
Il pagamento delle quote di iscrizione al Club e/o ASI
può essere effettuato direttamente in sede, oppure con
Assegno Bancario non trasferibile o con Vaglia Postale
intestato al Club con indicazione della causale.
Iscrizione all’MVPA
I soci interessati all’iscrizione
all’MVPA, devono versare 48 dollari annuali, pari
a circa euro 33,00 e devono compilare il coupon di
iscrizione che potrà essere richiesto in sede e che
abbiamo già allegato al Notiziario precedente.
Pertanto le quote per il 2009 sono le seguenti:
E’ possibile iscriversi solo al CVMS, oppure contestualmente all’ASI e/o all’MVPA pagando entro il 31/01/2008, le seguenti quote:
CVMS
=
CVMS + ASI
=
CVMS + MVPA =
CVMS + ASI + MVPA =
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€
€
€
€
55,00
97,00
88,00
130,00
CARTOLINE DEI SOCI : COME ERAVAMO
Spazio Soci dedicato alle foto della ….
…… “naia”.
Foto che il socio Adriano Magnani ci ha
gentilmente concesso di pubblicare.
1970: a Caserta e in Sardegna Capo Teulada , Corpo Cavalleggeri di Lodi.
CARRO ARMATO M47.
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M.A.B.
NORMANDIA 2009 CVMS: ARRIVANO !!!
Ci siamo. I preparativi per lo “ Sbarco in Normandia dei
Soci del CVMS” sono in fase di ultimazione. Alla metà di
ottobre avevamo 40 iscritti, con circa 15 veicoli comprendenti:
Camion Ford F60L canadese versione trasporto truppe
Jeep Willys versione SAS fronte europeo
2 Jeep Willys versione inglese
Dodge WC51
Moto Triumph inglese 350 cc
Dodge Command Car
Ford GPA
4 Ford GPW colorazione americana
3 Willys colorazione
americana
Assolutamente un bel
gruppo !!!
Il Presidente
Enrico Paggi
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MUSEO STORICO DELLO SBARCO IN SICILIA 1943
L’invasione della Sicilia, decisa dai capi di Stato Maggiore nel gennaio 1943, denominata operazione
“Husky”, iniziò nella notte tra il 9 e 10 luglio 1943. Per
l’operazione si impegnò un contingente costituito da
115.000 uomini inglesi e 66.000 americani, per un totale di 478.000 uomini coinvolti.
A Catania, in uno degli edifici che compongono il centro “Le Ciminiere”, è stato allestito il museo storico
dello sbarco in Sicilia.
Il museo, che ho avuto il piacere di visitare, si sviluppa
su tre livelli e occupa una superficie di circa 3000 m2. Il
visitatore, dopo l’ingresso, può assistere alla proiezione
di immagini per conoscere i fatti introduttivi alla Seconda guerra Mondiale e gli eventi precedenti lo sbarco.
Nel museo, al piano terra, è stata ricostruita una graziosa piazzetta di Sicilia.
La stessa piazzetta, ormai semidistrutta dai bombardamenti, sarà il drammatico spettacolo che apparirà agli
occhi del visitatore, dopo la sosta nella ricostruzione di
un rifugio antiaereo. Coinvolgente ed emozionante il
momento trascorso nel rifugio, nella semioscurità, scossi dalle vibrazioni delle esplosioni delle bombe e impauriti dal loro rumore.
All’interno del museo,
schermi propongono filmati realizzati da cineoperatori di guerra, spazi riservati al modellismo, con
mezzi corazzati, pezzi
d’artiglieria, aerei e navi
che parteciparono alle
battaglie.
Particolarmente curata la
realizzazione di un bunker
con militari in azione, di
una sala operatoria da
campo, di statue in cera
riproducenti grandi personaggi della seconda guerra
mondiale e di tanti altri
particolari per ricordare
questo importante evento.
A disposizione del visitatore, infine, un bel volume con
foto dell’epoca e riferimenti storici relativi allo sbarco.
Riccardo Sansottera
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1944 IL FALLITO ATTENTATO A HITLER
La storia dell’attentato
La giornata di Hitler si stava svolgendo, a partire dalle 10
di mattino, con le rituali consultazioni dello stato maggiore tedesco, quando, alle 12,42, nel cuore della riunione
militare, una terrificante deflagrazione scuoteva
l’ambiente, seminando morte e terrore tra i presenti; tra
l’urlo dei feriti, alcuni dei quali sbalzati violentemente
fuori dalla finestra e tra i diversi corpi giacenti a terra, un
fuhrer sconvolto e sotto shock riuscì miracolosamente a
salvarsi e a cavarsela soltanto con qualche escoriazione,
tanto che solo poche ore più tardi, alle 16, fu persino nelle
condizioni di ricevere il
duce Benito Mussolini, che
verificò, stupefatto, di persona,
la
potenza
dell’esplosione.
Ancora una volta Adolf
Hitler era uscito indenne e
miracolato
dall’appuntamento con la
morte, come durante il
primo conflitto mondiale
quando si creò, intorno alla
sua figura, una sorta di
mito dell’incolumità, per
l’attitudine a sfuggire, lui combattente di prima linea, alle
spaventose carneficine che caratterizzarono la grande
guerra; addirittura una volta un proiettile gli staccò la manica dell’uniforme lasciandolo indenne, mentre in un’altra
occasione fu il conferimento della croce di ferro a salvarlo: proprio per quell’avvenimento e per la gran massa di
persone presenti alla cerimonia, all’interno della tenda del
comando supremo, Hitler e compagni furono costretti ad
uscire dalla stessa, che, solo pochi minuti più tardi, venne
centrata in pieno da una granata nemica.
I cospiratori
L'uomo deputato a compiere materialmente l'attentato fu
il cattolico Oberst Claus Philipp Maria Schenk Graf von
Stauffenberg Si rammenti che il venti luglio era l'anniversario del Concordato con la Chiesa Cattolica.
Fra le principali personalità che si esposero nell'estremo
tentativo del 20 luglio 1944 vi sono:
• Ludwig Beck: già capo di stato maggiore dell'esercito, esonerato nel 1938 . Nei piani dei cospiratori sarebbe
divenuto capo provvisorio dello stato.
• Wilhelm Canaris: già ammiraglio, capo del servizio
segreto militare (Abwehr).
• Hans Oster: maggior generale della Wehrmacht, era il
sostituto di Canaris.
• Conte Helmuth von Moltkee: uno dei più prestigiosi
congiurati civili, era per una soluzione non violenta.
• Heinrich von Stülpnagel, colonnello generale che, per
il suo incarico di governatore militare della Francia, avrebbe avuto una posizione chiave per la riuscita del colpo di stato.
• Friedricht Olbricht: intendente generale dell'esercito
territoriale. Anch'egli avrebbe avuto un ruolo chiave, essendo in grado di muovere truppe in posizioni ottimali per
la riuscita dell'impresa in tutto il paese.
• Henning
von
Tresckow: colonnello
generale e capo di
stato maggiore del
gruppo d'armate di
centro sul fronte orientale. Fu l'ideatore
di un altro tentativo,
fallito per poco, di
assassinare Hitler nel
1943.
• Conte
Claus
Schenk von Stauffenberg: colonnello e
capo di stato maggiore dell'esercito territoriale. Fu lui ad offrirsi
per portare a termine
l'attentato ponendo le
basi per l'attuazione
del Piano Walküre.
Altre personalità, quali il feldmaresciallo von Witzleben,
che era designato a divenire comandante supremo dell'esercito, rimasero ai margini del complotto.
Tra gli altri partecipanti alla pianificazione, o sospetti tali,
vi furono anche personalità di spicco quali Erwin Rommel
e Alfred Delp.
Il piano prevedeva l'uso di due chilogrammi di esplosivo
al plastico innescato ad orologeria ed opportunamente
occultato in una valigetta; von Stauffenberg avrebbe piazzato l'ordigno sotto il tavolo intorno al quale Hitler teneva
la quotidiana riunione con lo Stato maggiore sulla situazione militare, in un edificio all'interno del complesso del
Führerhauptquartier "Wolfsschanze" ("tana del lupo"),
nei pressi di Rastenburg, nel cuore della foresta di Goerlitz nella Prussia orientale. Dopo aver abbandonato la
riunione ed essersi accertato dell'avvenuta esplosione, von
Stauffenberg avrebbe avviato il Piano Walküre, la seconda fase decisiva per il colpo di stato, avvisando i complottisti a Berlino della avvenuta riuscita dell'attentato, e raggiungendoli immediatamente per via aerea.
Continua pag. 12
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1944 IL FALLITO ATTENTATO AD HITLER
A causa di circostanze impreviste Hitler sopravvisse
all'attentato: Claus von Stauffenberg e Werner von
Haeften, giunti nella "Wolfsschanze", furono disturbati
durante la preparazione degli inneschi dell'esplosivo.
Hitler anticipò infatti di 30 minuti la riunione poiché,
di lì a poco, si sarebbe dovuto incontrare con Benito
Mussolini, convocato proprio dallo stesso Führer. Per
questo motivo i due congiurati riuscirono a preparare
solo uno dei due chilogrammi di esplosivo previsti per
l'attentato. La fretta nella preparazione fu fatale: l'ordigno, di potenza dimezzata rispetto al previsto, non riuscì neanche a ferire gravemente Hitler, il quale si trovava distante rispetto all'ordigno e fu protetto dal massiccio tavolo da conferenza in legno di quercia e dalle
pesanti mappe militari; inoltre, poiché l'intenso caldo
aveva fatto spostare la riunione dall'abituale bunker,
l'esplosione risultò meno devastante del previsto. Nonostante quattro persone rimanessero uccise e quasi
tutti i presenti feriti, Hitler riportò solo leggere ferite.
Von Stauffenberg apprese del fallimento solo in seguito, a Berlino.
Si dice anche che Mussolini, che viaggiava in treno per
raggiungere Hitler a Rastenburg, dopo lo stop del convoglio per la presenza di bombardieri nemici, fosse
stato invitato da due uomini a bordo di un'auto, che
indossavano divise da ufficiali tedeschi e si qualificarono come tali, a seguirli per raggiungere Hitler. Il
Duce rifiutò, e in seguito si scoprì che questi due uomi-
ni erano complici di von Stauffenberg.
Dopo il fallimento del colpo di Stato, la notte stessa del
20 luglio 1944, il colonnello Claus von Stauffenberg, il
generale Friedrich Olbricht, il colonnello Albrecht
Mertz von Quirnheim e il tenente Werner von Haeften,
vennero catturati e fucilati nel cortile del BendlerBlock
La maggior parte degli altri cospiratori al complotto
ricevettero un processo puramente simbolico e vennero
impiccati in un magazzino abbandonato di Berlino con
un sistema di cappi collegati tra loro e concepito in
modo tale che il peso del corpo di ogni vittima soffocasse a sua volta le altre vittime. Le esecuzioni furono
filmate e poi trasmesse alla popolazione per mostrare
la fine di coloro che avrebbero osato attentare alla vita
di Hitler. Il filmato scomparve alla fine degli anni cinquanta
Oggi a Berlino, nel magazzino dove furono eseguite le
condanne a morte, c'è un museo commemorativo per le
vittime del processo.
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TESTIMONIANZE
Intervista alla Signora Goi Porta
Premetto che quello che descrivo è esattamente la pura
verità e fatti veramente avvenuti.
Ritorniamo all’anno 1943 (penso fine novembre) quando alle ore tre di notte sentii
suonare il citofono della portineria, io ero a casa sola con il
mio bambino di 3 anni ed
all’epoca io ne avevo 22.
Aprii la porta di casa e vidi 2
uomini, uno in divisa fascista
con in spalla un mitra e l’altro
in borghese. Il Fascista con
tono arrogante mi intimò di
rivelare dove era mio marito,
non avendolo trovato in casa.
Ero terrorizzata, perché in passato, a chi non rivelava dove
era il marito, veniva portato via
il figlio. Questa consuetudine di
portare via i bambini cambiò
solo dopo l’intervento del Cardinale Schuster, al quale vanno i miei più sentiti ringraziamenti, che ridusse notevolmente i soprusi. I due
uomini rimasero nella mia abitazione sino alle 7 e misero a soqquadro tutto l’appartamento. Dopo questo
fatto, circa sei mesi dopo (siamo alla fine di novembre
inizio
dicembre
del
1944,
mio
marito
(incoscientemente) mi portò in casa un distinto signore
dicendomi che dovevo ospitarlo per un periodo e non
dovevo più ricevere in casa nessuno, tutto doveva apparire come se fossi in casa sola con il mio bambino.
Purtroppo venni a sapere tramite un caro amico, che il
mio ospite era un famoso colonnello delle SS fuggito
dopo l’ultimo attentato a Hitler (era presente e complice dell’attentato). Ricercato in tutta Milano, era segnalato proprio nella zona dove abitavo.
Ero talmente terrorizzata che mi preparavo mentalmente alla morte con l’angoscia per la fine che avrebbe
fatto il mio bambino di tre anni e per il bimbo di 8 mesi che portavo in grembo. Il colonnello si era unito al
gruppo di partigiani dove mio marito era un commissario politico (46° brigata Matteotti). Il colonnello fu con
me sempre un gentiluomo. Una sera venne un signore
a prelevarlo, ma prima lo travestirono per non renderlo
riconoscibile. Lo portarono in un famoso Hotel di Milano e lo fecero incontrare con qualche donna compiacente. Ritornò da me al mattino alle 6, ubriaco. Mentre
saliva le scale incontrò una signora che si stava recando a messa (a quei tempi le signore andavano presto a
messa) e la fece spaventare tanto da farla urlare. Quando suonò il campanello oltre ad essere ubriaco aveva
anche una pistola in mano, entrò in casa e cercò di spa-
rare ai barattoli che avevo sopra la cucina. Mi spaventai così tanto che persi le acque e cominciai il travaglio
del parto. Telefonai ad un ex collega di mio marito,
pensando che sapesse dove trovarlo ed infatti dopo due
ore vennero a prelevarlo. Il giorno dopo venne alla
luce la mia bambina era il 15 febbraio 1945. Seppi più
tardi che era talmente pericoloso ospitarlo, che furono costretti a portarlo in
Svizzera, dove per
sicurezza e per non
mettere più in pericolo nessuno lo misero in una prigione.
Dopo il 25 aprile
1945 seppi che si
salvò e venne a Milano, dove raggiunse
la moglie ed i figli,
nascosti a Gignese
un paesino del Lago
Maggiore.
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M.A.B.
LO SBARCO IN NORMANDIA
Il contesto
L’operazione Overlord iniziò all’alba del 6 giugno
1944 e fu, senza ombra di dubbio la più grande operazione anfibia di tutti i tempi. Non era la prima volta
che gli alleati affrontavano
un’operazione del
genere: il 19 agosto
1942 tentarono a
Dieppe l’operazione
Jubilee che si trasformò in un disastro, per poi seguire
con una fortunata
serie di sbarchi in
quanto contrastati
quasi sempre da una debole resistenza: in Sicilia con
l’operazione Husky il 10 luglio 1943, a Salerno con
l’operazione Avalanche il 9 settembre 1943, ad Anzio
con l’operazione Shingle il 20 gennaio 1944. Dopo
l’operazione Overlord gli americani, per alleggerire il
fronte italiano, effettuarono un’ultima operazione in
Provenza, l’operazione Dragon il 15 agosto 1944.
La pianificazione dell’operazione Overlord prese il via
all’inizio del 1942 ed il generale Eisenhower, Comandante Supremo della Forza di Spedizione Alleata ebbe
il suo bel da fare per scegliere la zona più adeguata ad
un sbarco ed all’organizzazione della logistica di una
quantità inimmaginabile di uomini e mezzi.
La Germania si aspettava uno sbarco a Calais, che offriva delle spiagge migliori, un più immediato accesso
al territorio tedesco,una maggiore vicinanza alla costa
inglese; di conseguenza, Hitler fece pesantemente fortificare la costa, aiutando Eisenhower nella scelta delle
spiagge
della
Normandia
come
obiettivo
dell’invasione. Stabilire la reale dimensione delle forze
messe a disposizione dagli alleati per l’invasione è
molto arduo, perché in ogni pubblicazione in circolazione compaiono numeri differenti, ma per dare
un’idea della dimensione si potrebbero considerare i
seguenti:
50.000 uomini per l’attacco iniziale;
2.700.000 di uomini sbarcati nei giorni successivi pari
a 86 divisioni, fino ad arrivare a 4.500.000 nell’ottobre
1944;
55.000 veicoli sbarcati nei primi sei giorni (ne furono
portati in totale circa 500.000);
138 navi da battaglia e 221 tra cacciatorpediniere, corvette, fregate etc.;
1.000 dragamine e 300 unità ausiliarie;
6.500 navi e mezzi da sbarco;
805 navi mercantili;
9.000 aerei e 4.900 alianti;
100.000 tonnellate di materiali sbarcati nei primi sei
giorni;
100.000 partigiani francesi
organizzati.
Il 6 giungo 1944, alla Camera dei Comuni, Churchill sta
parlando
ai
deputati
sull’andamento della campagna d’Italia. E’ mezzogiorno, il primo ministro ha appena comunicato che il generale Alexander ha occupato Roma. Mentre il “Big Ben” scandisce i rintocchi
delle ore 12 Churchill con la tipica flemma britannica
comunica ai presenti:” Debbo pure annunciare alla
Camera, che durante la notte e nelle prime ore di stamattina ha avuto inizio il primo della serie di sbarchi in
forze sul continente europeo. Stavolta l’attacco libera-
tore si è abbattuto sulla costa francese. Un’immensa
flotta con parecchie migliaia di navi ha attraversato la
Manica. Massicci sbarchi di paracadutisti sono stati
effettuati con successo dietro le linee nemiche, mentre
sbarchi sulle spiagge sono in corso in questo momento
in vari punti della costa. Le unità anglo americane sono
appoggiate da più di 11.000 aerei di prima linea. Questa gigantesca operazione è senza dubbio la più complessa e difficile che mai abbia avuto luogo. La battaglia testè iniziata aumenterà continuamente di ampiezza e di intensità durante le prossime settimane”.
Segue pag. 15
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LO SBARCO IN NORMANDIA
Furono necessari due anni e mezzo di studi per organizzare l’invasione e iniziare la liberazione
dell’Europa. La prima idea concreta di uno sbarco in
Europa aveva preso corpo a Washington alla fine del
dicembre 1941, durante la conferenza fra Churchill e
Roosvelt, ma il primo vero e proprio piano di sbarco
era stato studiato a metà del 1942. Nel giugno del 1942
Eisenhower venne convocato in Inghilterra allo scopo
di intraprendere la preparazione e lo studio di un piano
di attacco contro la “fortezza europea”, al quale gli
Stati Uniti avrebbero partecipato in forze. Il gruppo di
lavoro comprendeva da parte britannica l’ammiraglio
Ramsay, il generale Paget ed il Maresciallo dell’aria
Douglas. Emerse subito la preferenza di uno sbarco
sulle coste della Normandia. In agosto Churchill si
recò a Mosca per mettere al corrente Stalin del progetto cercando di rassicurarlo della buona volontà degli
alleati ad aprire un secondo fronte ed alleggerire
l’Armata rossa dalla supremazia tedesca. Nel luglio
1943 il progetto Overlord era pronto per essere sottoposto all’esame dei capi di stato maggiore alleati. In
agosto durante la conferenza di Quebec Churchill e
Roosvelt approvarono il piano ed a Teheran il 28 novembre 1943 venne discusso con Stalin il coordinamento strategico del piano stabilito, in via preliminare,
per il 1° di maggio 1944 ed i movimenti l’armata rossa. Il 12 febbraio 1944 Eisenhower venne nominato
comandante supremo alleato delle forze d’invasione.
Nella direttiva di nomina tra le altre era scritto”Vi porterete sul continente europeo e con le altre nazioni unite, inizierete le operazioni miranti al cuore della Germania ed alla distruzione delle sue forze armate. La
data per lo sbarco su continente è il mese di maggio
1944”.
Il comandante supremo alleato stabilì il suo quartier
generale a St.James Square; qui, nel cuore di Londra
vennero messi a punto i dettagli dell’operazione; successivamente il comando fu trasferito sul Tamigi a
Kingstone. La stesura definitiva del piano prevedeva
l’attacco alle coste della Normandia, nel Calvados e
nel Cotentin. La zona prescelta aveva un’estensione di
circa novanta chilometri. Nel primo giorno si riteneneva di poter sbarcare centrotrentamila uomini e ventimila veicoli. Il commodoro Hallet era incaricato di preparare l’operazione Neptune, sezione marittima del piano
Overlord. L’operazione prevedeva, fra l’altro, la costruzione di porti prefabbricati, formati da grosse strutture di calcestruzzo rimorchiabili a sezioni attraverso la
Manica fino alle zone di invasione.
Gli Alleati, dopo l’esperienza a Dieppe, preferirono
evitare di dover conquistare i porti francesi, che erano
tutti fortemente fortificati. L’intero litorale da Brest a
Ostenda era stato munito di casematte, ostacoli anti
sbarco, fortilizi, cannoni da marina, mine anticarro. Il
“Vallo occidentale” come i tedeschi definivano
l’insieme delle difese costiere dell’Atlantico, venne
rafforzato con ritmo febbrile, soprattutto nell’inverno
1943, dopo la nomina di Rommel a comandante supremo del gruppo operativo B e responsabile di tutto il
settore costiero del fronte francese settentrionale.
Rommel, il “re” della guerra in movimento, per difendere il settore costiero ed in particolare il tratto di
spiaggia che durante l’alta marea era coperto
dall’acqua, inventò i cavalli di Frisia con mine e seghe
d’acciaio su cui i battelli da sbarco avrebbero dovuto
naufragare. Fece portare dai vecchi depositi cecoslovacchi centinaia di migliaia di “ricci cechi” (ostacoli
con travi di ferro) e li fece sistemare sulle spiagge.
Escogitò le più incredibili costruzioni con mine esplosive e nell’immediato entroterra fece conficcare nel
suolo migliaia di pali che avrebbero dovuto impedire
l’atterraggio degli alianti e degli aerei. Purtroppo per i
tedeschi, nell’estate del 1944 il Vallo Atlantico era
completato solo nella zona di Calais a protezione della
regione reputata più importante per difendere la Germania. Il resto del Vallo era formato da capisaldi distanziati e in alcuni casi incompiuti, delle batterie pesanti, solo pochissime sufficientemente fortificate ed
armate e la maggior parte dotate di cannoni presi al
nemico ed inadatti a sparare su bersagli navali mobili.
Per riuscire a completare le fortificazioni nel più breve
tempo possibile, Rommel utilizzò come operai anche i
soldati che presidiavano gli sbarramenti, non permettendo loro di addestrarsi nella difesa in caso di attacco.
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LO SBARCO IN NORMANDIA
Le truppe presenti lungo la costa erano principalmente formate da personale straniero (russi, cechi, polacchi etc.)
disertori o “convertiti” alla nuova causa dopo la cattura,
che avevano a disposizione le più disparate armi leggere
catturate durante le conquiste in Europa dell’esercito tede-
su tutti questi fattori: la marea montante all’alba per consentire la demolizione degli ostacoli, quindi un po’ più
tardi, l’alta marea perché i mezzi da sbarco potessero arrivare fino alla spiaggia, una bella luce lunare per facilitare
l’atterraggio dei paracadutisti, almeno un’ora di visibilità
anteriormente all’approdo delle prime imbarcazioni affinché la flotta potesse effettuare un ultimo bombardamento”.
L’unico punto negativo durante i preparativi rimaneva il
tempo meteorologico. Per settimane e settimane i meteorologi si erano esercitati a fare previsioni nel raggio di 48 ore.
Il colonnello Stagg ogni mattina proponeva le sue previsioni a due o tre giorni che si rilevavano sempre esatte, ma
nonostante questo era impossibile prevedere il tempo del
giorno dello sbarco con maggiore anticipo.
La decisione finale fu presa il 4 giugno all’alba. Il mare era
in tempesta, le truppe già imbarcate, gli aerei pronti al decollo, il colonnello Stagg consigliò Eisenhower di prendere
tempo perché in quella condizione i mezzi da sbarco sarebbero stati distrutti. Eisenhower rimandò la missione di 24
ore, creando non pochi problemi: centinaia di migliaia di
uomini concentrati nel Sud dell’Inghilterra, rinchiusi sulle
navi, nei campi, isolati dal mondo esterno per mantenere il segreto venivano ulteriormente logorati dall’attesa
con una notevole caduta del morale. Alle ore 4,15 del 5
giugno 1944 Il Comandante Supremo alleato dopo aver
sentito il colonnello Stagg, prese la decisione:
“Attaccheremo domani”.
Per mantenere la segretezza dell’operazione e convincere i tedeschi che l’invasione sarebbe avvenuta a Calais, gli alleati organizzarono l’operazione Fortitude.
Venne costituito un fittizio Gruppo d’armate USA dotato di carri armati finti, aerei finti, personale con segni
di riconoscimento finti, ma tutto fatto per garantire ai
tedeschi che tutto fosse rigorosamente vero e tramite
agenti segreti che facevano il doppio gioco o che vennero raggirati, tutto faceva credere che l’invasione fosse programmata dove i tedeschi da tempo se la aspettavano. Stesso inganno, anche questa volta riuscito, era
stato attuato prima dell’invasione della Sicilia, quando
i tedeschi la aspettavano in Grecia.
Segue pag. 17
sco, con il notevole problema che anche il munizionamento
era il più disparato. Insomma, era un esercito arrangiato in
qualche modo, perché le “vere” truppe tedesche già combattevano in Italia ed in Russia ed in particolare in
quest’ultimo paese c’era un continuo e disperato consumo
di mezzi e di uomini.
La data dello sbarco era inizialmente stata fissata per il 1°
maggio, poi spostata al 31 maggio e poi al 5 giugno, per
subire un ulteriore ritardo di 24 ore. Gli spostamenti erano
subordinati alla situazione delle maree, della luna, delle ore
di oscurità e di luce che dovevano corrispondere ai tempi
previsti per l’invasione e come disse Eisenhower: “
l’operazione sarebbe riuscita soltanto se potevamo contare
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I paracadutisti
I paracadutisti furono dei veri eroi a farsi paracadutare di
notte sul territorio nemico con lanci imprecisi, sotto il
fuoco della contraerea e delle armi leggere. Erano i reparti della 6° divisione britannica, unitamente alla
101° ed all’82° americana.
Solo una minima parte fu
lanciata nelle zone previste
ed i reparti si ritrovarono a
vagare dispersi in un territorio ostile.
Gli sbarchi
Radio Londra che aveva già comunicato il 1° giugno
1944 un breve brano di una poesia di Verlaine “Les sanglots long des violons de l’automne” per avvisare i gruppi
partigiani francesi che l’invasione era prossima, alle ore
21,15 del 5 giugno aveva messo in azione i sabotaggi in
tutta la Francia completando la poesia:”blessent mon coeur d’une languer monotone”.
Il primo aliante Orsa effettuò l’atterraggio alle ore 00,16
del 6 giugno 1944 (ora legale inglese che era due ore avanti rispetto ai tedeschi), lungo un canale di Caen a circa
50 metri dal ponte da catturare. Il 1° plotone della compagnia D, Reggimento di fanteria leggera Oxfordshire e
Buckinhamshire della 6° divisione britannica aviotrasportata
aveva dato inizio all’operazione
Overlord.
Omaha
navale si spostò verso l’interno non appena gli Higgins
toccarono terra e,
non appena il fumo e
la foschia iniziarono
a diradarsi, i tedeschi
iniziarono a sparare
su uomini impauriti, sofferenti per il mal di mare, disorientati e senza ripari. La maggior parte delle perdite avvenne sul “bagnasciuga” dove i fanti all’assalto contro le
mitragliatrici ricordavano più la battaglia della Somme
nella Prima Guerra Mondiale che la guerra moderna. Un
soldato di questo reparto anni dopo commentò: “La nostra
aspettativa di sopravvivenza era intorno allo zero. Eravamo troppo carichi, sembravamo bestie da soma. Io ero
molto giovane ed in perfetta forma fisica: ero in grado di
camminare per chilometri e sopportare anche dure privazioni fisiche, ma soffrivo a tal punto il mal di mare che
pensavo di morire. In effetti, avrei voluto davvero morire.
Ero completamente esausto.”
Moltissimi soldati morirono affogati a causa dei piloti dei
mezzi da sbarco che, spaventati dalla reazione dei tedeschi, scaricavano uomini e mezzi dove l’acqua era ancora
alta, facendoli inghiottire dai flutti. Un altro grande problema era l’enorme quantità di mine e di ostacoli che ancora insidiava le truppe da sbarco durante
l’avvicinamento e che per mille motivi non erano state
rimosse. Il mare era, probabilmente, rosso di sangue.
Già alle 6,41 una nave d’appoggio trasmetteva alla nave
comando
un
messaggio:
“L’intera prima ondata è andata
distrutta”.
Alle 7,10 255 rangers americani
del 2° e 5° battaglione al comando del colonnello Rudder diedero l’assalto a Pointe du Hoc, una
impervia scogliera in cima alla
quale dovevano essere installate
delle batterie costiere pesanti.
Solo 90 ranger sopravvissero e
di cannoni neppure l’ombra,
erano
stati
spostati
nell’entroterra e furono successivamente trovati e resi inutilizzabili dai rangers.
Alle ore 9.00 comparse finalmente la Luftwaffe con due
FW 190 pilotati dal colonnello Priller e dal sergente Wodarczyk (citati ne: Il giorno più lungo). Volavano bassissimi e tutti gli sparavano addosso, ma riuscirono ad allontanarsi.
Fu il caos più assoluto. Ad Omaha il 16° reggimento di fanteria
della
1°
divisione
(soprannominata il Grande Uno
Rosso), che era la sola unità
d’assalto della prima ondata con
esperienza di combattimento avendo partecipato allo sbarco in Nord Africa nel 1942 ed in Sicilia nel 1943, si rese
subito conto che questo sbarco non aveva nulla a che fare
con i precedenti. Sbarcarono lontano dal punto stabilito,
sotto un intenso fuoco di armi leggere ed artiglieria, i varchi tra gli ostacoli non erano stati aperti ed i tedeschi uccisero con precisione in pochi minuti quasi tutti gli ufficiali che erano stati i primi a sbarcare. Il bombardamento Segue pag. 18
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Utah
Il piano prevedeva che i primi a sbarcare fossero i 32
carri DD anfibi alle 6,30. Le correnti, il fumo, le onde
sparpagliarono in punti diversi gli invasori. Diverse
unità saltarono sulle mine, un mezzo con 4 carri saltò
su una mina e si inabissò in pochi minuti. Fu il caos.
Anche i tedeschi furono molto sorpresi a vedere i cari
armati che galleggiavano e pensavano di avere le allucinazioni. Quando si ripresero tentarono, con i carri
demolitori Goliath, di reagire all’attacco ma si resero
conto che i telecomandi erano stati tutti danneggiati
dagli intensi bombardamenti e resi inutilizzabili. Alle
6,45 i 14 carri anfibi stavano ancora tentando di aprirsi un varco sulla spiaggia.I tedeschi vennero alla fine
sopraffatti con molte perdite da parte alleata. I prigionieri tedeschi facevano parte del battaglione Ost, della
Georgia in Unione Sovietica.
Quel giorno gli americani fecero sbarcare a Utah in 15
ore, 20.000 soldati e 1.700 veicoli.
Gold
netrati per circa 10 chilometri all’interno e si erano
uniti ai canadesi. Avevano sbarcato 25.000 uomini e
riportato solo 400 perdite.
Juno
Lo sbarco a Juno fu effettuato da truppe canadesi e fu
affidato in particolare alla terza divisione di fanteria
canadese e alla seconda brigata corazzata canadese e
da una piccola unità di ranger americani. Queste forze
nella prima fase dell’invasione (fino al luglio 1944)
operarono alle dipendenze del comando britannico. Lo
sbarco incontrò inizialmente
una forte resistenza tedesca,
simile a quella di Omaha. Nella prima ora dello sbarco le
perdite furono circa il 50%
delle forze impiegate. Nella
fase successiva i canadesi avanzarono tuttavia molto più
agevolmente di quanto poterono fare gli statunitensi sbarcati
a Omaha. La 3° divisione canadese era composta da boscaioli, pescatori, minatori, agricoltori, tutti volontari temprati nel
fisico e nel morale. Dovevano
sbarcare alle 7,45 ma ci fu, anche qui, un ritardo dovuto al mare grosso. Il problema era superare il frangiflutti: per far ciò furono messi in azione i veicoli speciali britannici con i carri gettaponti, i carri con le
fascine, i carri sminatori e i carri Churchill con i lanciafiamme e 1.800 litri di carburante infiammabile da
usare contro le fortificazioni ed i nidi delle mitragliatrici.. Dopo le 18.00 i canadesi erano già penetrati di
10 chilometri nell’entroterra e sulla spiaggia erano già
stati sbarcati 900 carri. 240 cannoni campali, 280 cannoni anticarro e 4.000 tonnellate di materiali vari.
I soldati dell’Underwater Demolition Team ed i Royal
Engineers sbarcarono alle ore 7,35 seguiti dai mezzi Segue pag. 19
che trasportavano i carri armati e le squadra di assalto.
C’era un forte vento che creava delle grosse onde che
coprivano gli ostacoli. Il ritardo rispetto all’ora prevista fu di circa un ora che permise, però, di bombardare
più a lungo la costa. Quando i primi soldati raggiunsero la riva i cecchini spararono con precisione sui demolitori inglesi e gli ostacoli non poterono essere rimossi.
Venti mezzi da sbarco urtarono le mine e gli altri rinunciarono ad arenarsi mettendo in pratica la direttiva
che suggeriva di affrontare gli ostacoli in piena velocità.
Al calar della notte del 6 giugno gli inglesi erano pe-
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Sword
Il litorale era disseminato di villette ed impianti turistici. I tedeschi difendevano la spiaggia con i cannoni
da 75 mm. della batteria di Merville e quelli da 155
mm. di Le Havre. I soldati della 6° aviotrasportata
distrussero la batteria di Merville ma quelli di Le Havre rimasero attivi, ma inefficaci a difendere la spiaggia, poiché gli inglesi riempirono di fumogeni la
spiaggia per rendere difficile la mira e secondariamente perché la batteria, incredibilmente, concentrò il
fuoco sulla corazzata Warspite senza, tra l’altro, colpirla. I carri anfibi dovevano sbarcare per primi, ma
non vi riuscirono; le prime truppe giunsero alle 7,35.
Alle 8.00 i combattimenti sulla spiaggia cessarono, ma
lo scontro continuava all’interno.
Perdite
Anche in questo caso non esistono dati precisi, ma si
può valutare che nei primi giorni dallo sbarco le perdite alleate furono di 226.700 tra morti e feriti; da parte
tedesca 200.000 tra morti e feriti più circa 200.000
prigionieri. A questi vanno aggiunti da parte alleata i
piloti e gli equipaggi degli aerei caduti nella fase di
preparazione e successiva che si aggirano sui 17.000
contro gli 800 dei tedeschi.
Non sapremo mai i numeri esatti, essi sono probabilmente superiori a quelli precedentemente indicati.
Curiosità ed informazioni
Le divisioni aviotrasportate e di fanteria degli eserciti
della Seconda Guerra Mondiale erano composte da:
squadre: 9 o 10 uomini;
plotoni: tre squadre;
compagnie: tre o quattro plotoni;
battaglioni: tre o quattro compagnie;
reggimenti: tre o quattro battaglioni;
divisioni: tre o quattro reggimenti a cui si aggiungevano personale del genio, artiglieria, sanità e di altro
personale di supporto.
Le divisioni di fanteria americane, britanniche e canadesi erano composte da 15.000 a 20.000 uomini nel DDay.
Le divisioni alleate aviotrasportate erano composte da
circa le metà degli uomini.
Le divisioni tedesche più numerose erano composte da
meno di 10.000 uomini.
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LO SBARCO IN NORMANDIA
LCVP (Landing Craft, Vehicle, Personnel) detti
“Higgins” poteva trasportare un plotone o una jeep ed
una squadra. Lungo 11 metri e largo
3,5, motorizzato con un motore diesel,
sembrava una scatola di fiammiferi e
navigava molto male. Era costruito in
legno di mogano per non utilizzare
materiali più preziosi. Quando Mr.
Higgins vinse la commessa per la costruzione degli LCVP comprò tutto il
raccolto di mogano del 1939 delle Filippine. Alle fine della guerra ne erano
stati prodotti 20.000. Venivano trasportati nella zona di sbarco dagli
LSVP le cui gru dovettero essere modificate dopo una
lunga discussione tra Higgins e la Marina,
quest’ultima inizialmente montava sugli LSVP delle
gru che potevano sbarcare mezzi lunghi fino a 9 metri
e voleva che Higging modificasse ed accorciasse gli
LCVP.
LCT (Landing Craft Tank) Mezzi anfibi di medie
dimensioni per il trasporto dei carri armati e dei veicoli pesanti.
LCTR Mezzi anfibi dotati di rastrelliere per il lancio
di razzi (1.000). Quando veniva avviata la serie di
lancio il mezzo era scosso da enormi fremiti, fumo e
fiamme e l’equipaggio doveva preoccuparsi di spegnere i focolai di incendio che i razzi provocavano
partendo. L’effetto sulla spiaggia dell’impatto concentrato degli ordigni era impressionante e devastante.
LCI (Landing Craft Infrantry) mezzi da sbarco per
fanteria lunghi 40 metri e pesanti 264 tonnellate, in
grado di trasportare una compagnia di quasi 200 uomini facendoli sbarcare da passerelle laterali. Erano
armati con 5 mitragliere da 20mm. e due calibro 12,5
mm.
LCM (Landing Craft Medium) mezzi da sbarco di
media portata di 105 tonnellate. Poteva trasportare un
carro armato o personale. Era armato con due mitragliatrici da 12,5 mm.
DDTank (Duplex Drive Tank) erano carri Sherman a
doppia propulsione con due eliche nella parte posteriore dello scafo azionate dal motore principale. Una
protezione in tela gonfiabile veniva agganciata alla
scafo per farlo galleggiare. La maggior parte di questi
carri durante lo sbarco venne ammarata troppo lontana
dalla spiaggia ed il mare grosso fece affondare la maggior parte dei carri prima che raggiungessero la riva.
Mulberry porti prefabbricati rimorchiati attraverso la
manica. Erano un insieme di cassoni galleggianti in
cemento armato alti come una casa di sei piani che
venivano affondati con funzione di frangiflutti allineati con pontili galleggianti che seguivano i flussi ed i
deflussi delle maree. I Mulberry non restarono operativi a lungo, una terribile tempesta che si scatenò due
settimane dopo il D-Day distrusse il Mulberry americano
e danneggiò gravemente quello
inglese.
Axis Sally (nota ai soldati come la “puttana di Berlino”) era
la radio di propaganda e guerra
psicologica tedesca che, inframmezzando musica e notizie avvertiva gli alleati che i
tedeschi sapevano tutto: “un
saluto agli uomini della compagnia E, 506° reggimento fanteria paracadutisti, 101°
aviotrasportata ad Aldbourne. Spero vi siate divertiti
in visita a Londra lo scorso week end. Oh, a proposito,
dite ai funzionari della città che l’orologio della chiesa
va tre minuti indietro”. Questi messaggi rendevano
molto nervosi i soldati in attesa dello sbarco che non
sapevano che il controspionaggio inglese aveva già
sgominato la rete di spie tedesche nel 1940 e le notizie
che arrivavano in Germania erano già filtrate. La voce
che parlava alla radio era quella di Midge Gillars, una
ragazza dell’Ohio, modella di Parigi, che allo scoppio
della guerra era diventata disc-jockey. Era popolare
per la sua voce sexy e dolce e perché mandava in onda
le novità musicali, inframmezzate dalla propaganda.
Dopo la guerra fu processata e condannata per tradimento. Fu liberata nel 1961 e divenne insegnante di
musica alla Columbus in Ohio. Morì a 87 anni nel
1988.
Asparago di Rommel: palo lungo tre metri conficcato nel terreno sulla cui cima dovevano essere poste
delle granate. Le granate arrivarono da Parigi dopo il
D-Day ed i pali, senza le granate, non furono sufficienti per squarciare gli alianti in atterraggio.
Oleodotto Pluto (Pipeline Under The Ocean): gli
americani stesero subito dopo lo sbarco, per approvvigionare di carburante I veicoli impiegati al fronte, un
oleodotto che attraversava la manica e che un po’ alla
volta si sviluppò in Francia per 780 miglia e forniva
un milione di galloni al giorno di carburante.
Apparati radio: durante il D-Day l’80% delle trasmittenti in dotazione alla fanteria era andato perduto
e quelle rimaste erano inadeguate sulle distante che
dovevano coprire.
Thompson: il famoso mitra americano era stato migliorato come potenza di fuoco in occasione dello
sbarco, aumentando la capacità del caricatore a 30
colpi. Purtroppo diventava troppo pesante e facilmente
si staccava senza preavviso dall’arma.
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La situazione tedesca
Il 18 Maggio 1944 il Comandante supremo del Fronte
Occidentale Generale von Rundtstedt passò tutta la giornata in trepidazione. Su oltre seimila chilometri di costa
atlantica occupati dalla Germania, a partire dalla Norvegia fino alla regione di Bordeaux in Francia, le truppe
della Wehrmacht erano state allertate. I servizi
d'intelligence tedeschi avevano comunicato nei giorni
precedenti che il 18 sarebbe stata la data dell'attacco alleato. La giornata si era presentata come ideale per un'invasione: marea alta, mare calmo, cielo limpido e terso come
in piena estate. Le ore trascorsero lente nell'attesa di un
segnale dal mare o dall'aria che annunciasse l'inizio di
quella che in seguito si sarebbe scoperta essere l'operazione Overlord. Nulla accadde. Arrivò il tramonto e Von
Rundtstedt anziché rallegrarsi per lo scampato pericolo si
adirò profondamente per l'inefficienza dei gruppi d'informazione in Inghilterra. La proverbiale calma di questo
militare di carriera scomparve per alcuni minuti, trasformandosi in un torrente in piena che riversava maledizioni
e improperi su tutti i componenti del suo staff. Effettivamente, la sua inquietudine era più che giustificata. I servizi segreti del Terzo Reich fin dall'inizio del 1944 avevano
rilasciato innumerevoli comunicati con cui, di volta in
volta, designavano come probabili località di sbarco la
Norvegia, la Zelanda nei Paesi Bassi, le bocche della
Schelda in Belgio, la regione intorno a Brest in Bretagna
e persino la neutrale Spagna che con i propri porti poteva
garantire un veloce rifornimento delle truppe alleate. Tutti
gli allarmi si erano rivelati infondati. L'unica cosa certa
era che in Gran Bretagna si stava preparando qualcosa di
grosso. Del resto, era davvero impossibile non notare il
monumentale spostamento di truppe tra gli Stati Uniti e
l'isola d'Albione.La Francia era il vero obiettivo. Radio
Londra tempestava continuamente di messaggi il territorio occupato e si sapeva che buona parte di essi era diretta
ai maquis, i partigiani francesi. L'aumento d'attività delle
forze di resistenza clandestine, segnalava una volontà
superiore di destabilizzare le retrovie tedesche in Francia.
Eppure rimanevano due punti oscuri, entrambi fondamentali: dove e quando l'invasione avrebbe avuto luogo? Hitler aveva definito gli Stati Uniti e la Gran Bretagna due
"democrazie piene di chiacchiere", eppure nessuno era
riuscito a carpire un segreto che invece non avrebbe dovuto essere tale. Alcuni arrivarono a pensare che fosse
tutto un bluff, o al più che ci si trovasse di fronte ad un'altra azione dimostrativa come quella avvenuta nel 1942 in
prossimità di Dieppe. Solo la zona di Calais era stata pesantemente fortificata in aggiunta ai grandi porti di Cherbourg nel Cotentin e di Brest in Bretagna, per il resto il
Vallo era rimasto sulla carta. Nel 1942 Albert Speer e la
sua organizzazione Todt avevano promesso 15.000 Blo-
ckhaus (casematte)
sulla costa francese
entro il 1° Maggio
1943. Un anno dopo, solo poco più
della metà erano
effettivamente disponibili. La Wehrmacht era diventata famosa nel mondo per l'abilità con
cui aveva condotto la Blitzkrieg, la guerra lampo, nei primi mesi della seconda guerra mondiale. Ora con la povertà di materiale a disposizione, la guerra di posizione sembrava l'unica soluzione. Segue pag. 22
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LO SBARCO IN NORMANDIA
Le divisioni disponibili in Francia non erano solo o troppo
vecchie o troppo provate dal fronte russo, in molti casi non
erano
neppure
tedesche.
Hitler
all'inizio
della
guerra aveva solennemente procla-
mato che "nessuno che non fosse stato
tedesco avrebbe portato le armi nella
Wehrmacht". Nel Maggio-Giugno
1944, a difesa delle coste francesi, tra il
15 e il 20 % dei soldati non era nato in Germania. Tra questi circa i 2/3 erano Osttruppen (truppe orientali) costituite
da uomini delle nazioni orientali alleate o occupate. Nel
momento di massima pressione tedesca sulle forze armate
sovietiche, Hitler aveva pensato di creare un esercito nazionalista russo. Aveva persino trovato il personaggio adatto a comandarlo, il generale russo Vlassov che, dopo
essere stato fatto prigioniero e essersi convertito alla causa
nazista, era rimasto tranquillamente a Berlino ad attendere
l'evolversi della situazione. Il tracollo progressivo della
Wehrmacht in Russia, aveva reso altamente insicuro utilizzare quelle truppe sul
suolo russo. La fedeltà alla bandiera
tedesca non era la
qualità migliore delle
Osttruppen. Eppure
ci si fidò abbastanza
da trasportarle in
blocco sul fronte
occidentale. A questi "forzati" militari si aggiungevano i
Volksdeutschen, soldati originari della Polonia, Curlandia,
Cecoslovacchia e delle nazioni baltiche che nel proprio
passato potevano vantare degli antenati tedeschi. Era loro
concessa la cittadinanza tedesca in prova per dieci anni e
come premio per l'onore offerto loro, essi potevano combattere per difendere la Germania. Nel 1944 in Francia si
trovavano soldati di 26 nazionalità differenti con indosso
la divisa tedesca. Tra essi anche divisioni di volontari nazisti di Francia (la "Legione") e Spagna (divisione "Azul")
che sarebbero diventati famosi come i più crudeli rappresentati delle SS. Rommel però era, forse, ancor meno otti-
mista di von Rundtstedt. Sapeva che tutto l'onere della
difesa sarebbe pesato sulla Wehrmacht, perché sia la Luftwaffe sia la Kriegsmarine erano praticamente inesistenti.
Addirittura la Marina era ridotta a pochi motosiluranti denominati dagli alleati E-Boat (dove E significa Enemy,
nemico, i tedeschi le chiamavano S-bootes cioè Schnellbootes, navi veloci) più adatte alla guerra corsara che non a
impedire un'invasione (le piccole imbarcazioni, nonostante le loro dimensioni, furono le sole ad affondare delle
navi alleate durante il D-Day. La Luftwaffe era solo l'ombra di se stessa.
Sul fronte occidentale nel Marzo 1944
vi erano solo 497 aerei pronti per il
combattimento. Dei 1000 Me 262 a
reazione promessi da Speer e Göring
non ve ne era uno solo. Il Gruppo di
Armate B che era comandato da Rommel aveva un fronte che andava dalla
Danimarca alla Spagna e, evidentemente, un compito impossibile da espletare. Il generale si
sforzò per tutto il tempo che gli fu concesso di migliorare
le difese statiche. Fece costruire delle Blockhaus improvvisate con il cemento ricavato dalle distruzioni provocate dai
bombardamenti alleati, fece posare circa cinque milioni di
mine su molte centinaia di chilometri di costa e inventò
anche mezzi di difesa contro le imbarcazioni da sbarco.
Segue pag. 23
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LO SBARCO IN NORMANDIA
Il tempo era brutto sulla Manica, molte persone chiave
come Rommel erano lontane dal fronte perché, nonostante gli evidenti segni dell’imminente invasione, tutti
forse non volevano credere che ciò potesse veramente
avvenire, sottovalutando probabilmente l’enorme dispiegamento di forse e di tecnologia che gli Stati Uniti erano
già all’epoca in grado di fornire anche ai loro alleati.
Solo alle 2,11 del 6 giungo il generale tedesco Marks del
44°
Corpo
d’armata
ricevette
informazioni
sull’atterraggio di paracadutisti ad Est del fiume Orne e
telefonò subito al Capo di stato maggiore generale Pemsel che svegliò il comandante dell’armata generale Dollmann. Alle 2,35 fu avvisato Il Capo di stato maggiore di
Rommel. Alle 2,35 solo
la 15° Armata era in stato
di allarme. I tedeschi
erano
completamente
confusi, ad aumentare la
confusione contribuirono
anche i lanci dei fantocci
di tela e gomma che simulavano altri lanci di
paracadutisti. Alle 3.00 il
generale Pemsel era convinto che era iniziata
l’invasione e che l’area
era la Normandia.
Quando Rommel
fu, finalmente, avvisato, lo stesso non fu del tutto
convinto della gravità della situazione e si incominciò a pensare fosse solo un diversivo. Alle
3.00 iniziarono nuovamente dei pesanti bombardamenti contro le difese tedesche ed al 3.20 iniziarono i lanci dei materiali pesanti dei paracadutisti. Alle 4,30 gli americani preseso la cittadina di
Saint Mere-Eglise che rappresentava un importantissimo snodo per il fianco occidentale
dell’invasione. Alle 6.00 l’alto comando delle
forze armate tedesche chiese la disponibilità delle
divisioni corazzate SS di riserva. Hitler era l’unico che
poteva dare l’autorizzazione, ma dormiva ed essendo a
quel tempo sempre un po’ nervoso , nessuno osò svegliarlo.
Il 15 luglio Rommel scrive a Hitler: “La situazione sul
fronte della Normandia si fa di giorno in giorno più difficile, avvicinandosi ad un momento di acuta crisi. Data la
durezza dei combattimenti, l’enorme impiego di materiale da parte del nemico, soprattutto artiglieria e carri armati e l’efficacia della aviazione avversaria, che ha
l’assoluto predominio nel limitato settore dei combattimenti, le nostre perdite sono così alte , che la forza combattiva delle divisioni scema con grandissima rapidità.
Dalla madrepatria, rifornimenti e rinforzi giungono in
misura ridottissima, pervenendo al fronte, in seguito alla
difficile situazione dei trasporti, solo dopo settimane.
Mentre le perdite ammontano a 97.000 uomini di cui
2.160 ufficiali, dei quali 28 generali e 354 comandanti,
con una media di 2.500-3.000 uomini al giorno, i rinforzi
finora pervenuti, ammontano a 6.000 uomini. Anche le
perdite di materiale da parte delle nostre truppe sono
straordinariamente alte e, finora, risultano compensate
solo in misura ridottissima; così, ad esempio, contro 225
carri armati perduti, ne sono stati inviati 17 nuovi. Le
divisioni di rincalzo avviate al fronte, sono formate da
elementi non abituati al fuoco e che, data la scarsità di
artiglierie e di armi anticarro, individuali e collettive,
non sono in grado di respingere, a lungo andare, i pesanti
attacchi nemici, che fanno seguito a ore di bombardamenti d’artiglieria e a forti attacchi aerei. Come ha dimostrato l’andamento dei combattimenti, di fronte alla vastità dell’impiego di materiale avversario anche le truppe
più agguerrite finiscono per soccombere. La situazione
dei rifornimenti, in seguito alle distruzioni della rete
ferroviaria ed ai gravi danni riportati dalle strade provinciali e statali entro un raggio di 150 chilometri dal fronte
in seguito ad azioni aeree nemiche, è di tale gravità che
soltanto le cose assolutamente indispensabili possono
essere fatte pervenire alle truppe combattenti e si devono
risparmiare al massimo soprattutto i proiettili
d’artiglieria e
munizioni da
lancio. Risulta
ormai impossibile avviare al
fronte di Normandia ulteriori rinforzi in
numero cospicuo. Al nemico, pervengono nel frattempo, ogni giorno che passa, nuove forze e fiumi di materiali e le vie di
rifornimento avversarie non vengono minimamente disturbate dalla nostra aviazione. La pressione avversaria
si fa sempre più intensa. In tali condizioni è da prevedere
che il nemico riuscirà in breve tempo, tra quattordici
giorni, al massimo tra tre settimane, a sfondare le nostre
deboli posizioni di difesa, dilagando nella vastità della
pianura francese, con conseguenze imprevedibili. Le
truppe combattono eroicamente in tutti i settori, ma la
lotta ineguale ormai volge alla fine. Sento il dovere di
pregarla di trarre e subito, le debite conseguenze di tale
situazione. Non posso fare a meno di esporre tutto questo, senza mezzi termini, anche al comandante supremo
del gruppo operativo”.
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CVMS: 10 ANNI DI RADUNI
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STORIA
DI UNA
AR 59
CVMS:
10 ANNI
DI RADUNI
La mia storia comincia nel aprile del 1971 quando sono
nata da mamma FIAT.
Dimenticavo mi chiamo Campagnola AR 59, cittadinanza
italiana, livrea verde, corporatura torpedo, cilindrata
1901cm³, segni particolari: cannoniera.
Dopo lo svezzamento sono stata affidata all’ESERCITO
ITALIANO, dove ho prestato servizio per circa 30 anni
con incarico auto da ricognizione.
Dopo il congedo mi hanno posteggiato in un piazzale, in
compagnia di altre AR, qualche ACL e delle bighe.
Ero lì inutilizzata a farmi rosicchiare dalla ruggine e depredare dai vandali, mi tolsero il mio 106, la mia pala, la
luce attenuata e qualche accessorio.
Un giorno nel 1993 si sparse una voce sentita dalla radio
montata su una vecchia AR 55: un’asta …saremmo andati
tutti all’asta!
Ci radunarono in gruppi, ci scrissero sui vetri dei numeri
e via; fui caricata su un camion con altre AR, destinazione Ardesio in val Seriana in provincia di Bergamo.
Pensavo: magari sarà meglio che stare in quel piazzale a
fare la ruggine.
Arrivati a destinazione ci rimisero in un piazzale con delle macchine civili … macchine rottami, poi alcune AR
vennero vendute altre posteggiate;
io portata in
un’officina dove mi hanno tolto i fari da guerra e la dinamo; montato fari civili e un alternatore.
Ah! Mi hanno anche dato una sporcata con della vernice
verde lucida e messo una targa nuova.
Mi aveva tenuta per se il padrone dell’officina, dormivo a
tetto e quando mi si rompeva qualcosa me lo cambiava
togliendolo dalle AR nel piazzale, se non era per quella
vernice lucida che mi dava prurito, i fari civili e la mancanza di pala e picco non avrei avuto di che lamentarmi.
Mi usava per andare a caccia o in baita la domenica, su e
giù per i sentieri di montagna dove incontravo le altre AR
comprate dai boscaioli e fatte lavorare come muli. Ma
incontrai anche una WILLYS MB (cugina d’oltre oceano
che ha fatto la guerra) seguita da una AR 59, erano in
assetto militare e tutte e due sfoggiavano una targhetta
luccicante color oro. Un sabato pomeriggio della primavera 2006, mentre facevo il mio solito riposino sotto il
portico, sognando di essere anch’io come quella AR 59
della targhetta color oro, arrivò il mio padrone con un
ragazzo che mi guardò attentamente e disse:
”Solo un aggancio per l’avvio lancio! Ma è militare?”
“Si!” Rispose il mio padrone “L’ho ritirata all’asta!”
Aprirono il cofano
“E la dinamo?”
“È meglio l’alternatore!”
“Ma non è originale, e la pala il picco, il cric, i fari da
guerra, la tanica!”
“Il picco dovrei averlo!”
“È autovettura o autocarro?”
“Autovettura.”
“Di che anno è?”
“Non lo so è stata immatricolata nel 1993.”
“E l’anno di costruzione?”
“Quace laur che ta ölet saì, al so mia!” (quante cose che
vuoi sapere, non lo so!)
Sono del 1971!!! ma non mi sentivano.
Ma cosa voleva, come mai tante domande? Solo una cosa
era certa: di AR 59 se ne intendeva.
Il discorso continuava:
“Farò la ricerca, alura sa ölet?” (allora cosa vuoi?)
“Dimlo te!” (dimmelo tu!)
“Ta se te öl vendidur !” (sei te il venditore!)
Ora è tutto chiaro e dopo una brevissima trattativa e una
stretta di mano l’affare era concluso, spiacente la trattativa è riservata.
“Ti preparo il passaggio!”
“Aspetta che faccio la ricerca storica , intanto tieni
l’acconto, ricordati il motore di scorta e i ricambi.”
Si salutarono e prima di andare mi disse che ora ero sua.
Continua pag. 34
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M.A.B.
STORIA DI UNA AR 59
Passò qualche mese, si vede che per fare la ricerca ci vuol
tempo, poi una sera era l’8 settembre sotto la minaccia di
un gran temporale venne con un pick up rosso a
ritirare i ricambi e mi disse che l’indomani
m’avrebbe portato via.
Non dormii tutta notte, ero agitata mi ribolliva
l’acqua e mi era scesa la pressione dell’olio (a motore freddo), non che col meccanico stessi male
anzi, ma da quel che avevo capito dai loro discorsi
il mio nuovo padrone voleva riportarmi al mio stato
originale, esaudendo il mio più grande sogno: diventare come quella AR 59 dalla targhetta luccicante color oro.
Il 9 settembre è arrivato e alle 8, 30 sono partita
con lui per Pontasio un paesino in val Camonica in
provincia di Brescia.
Una passeggiata di circa 40Km e siamo arrivati, via il telo
e gli orrendi copri sedili, una pulita alla bene meglio, mi
si è riempito il cassone di bambini e sul sedile del capomacchina uno con in braccio una bambina che continuava
a ripetere a tutti gli atri che ero la sua.
Con a bordo la mia nuova truppa via a fare un giro in un
sentiero nel bosco per poi essere messa in un garage dove
nei giorni successivi mi ha completamente smontata. Mi
ha portata a sabbiare e subito riportata nel garage per tagliare e ricostruire parti di carrozzeria con l’aiuto di un
cognato, una bella mano di fondo epossidico per proteggermi dalla ruggine e già non sentivo più il prurito della
vernice lucida, qualche piccolissima stuccatura, una mano
di fondo e via dal carrozziere per la finitura colorata.
Tornata in garage ci sono volute molte sere per rimontarmi, mi ha rifatto l’impianto elettrico, nuovo telo in cotone
sedili rifatti a nuovo, mi ha regalato i fari da guerra e tutti
gli accessori, anche la radio e l’antenna con la base in
ceramica e il supporto marchiato Mp-50, scritte 24 volt,
atm1,60 e atm 2,00 sui parafanghi, vetrofanie norme capomacchina, regole conducente, limiti velocità, fregi Artiglieria Alpina Tridentina, adesivi 33° batteria Gruppo
Bergamo: il mio padrone ha fatto la naia a Silandro.
Ed uno dei primi giorni di marzo 2007 finalmente pronta!
Facendo il primo giro in montagna mi specchiai in un
laghetto e quasi non mi riconobbi, ero come quella AR 59
dalla targa color oro solo che mi mancava un particolare.
Andavamo a tutti i raduni degli alpini per portare i reduci,
dove ho incontrato una AR 55 molto bella di Zambla e il
suo simpatico padrone con la barba, lei la targa color oro
mi disse che l’aveva.
Un'altra mia amica è la Beba e il suo padrone, sempre con
noi ai raduni.
Dopo tanti raduni e l’impianto frenante nuovo arriva il 10
maggio 2008. Si parte per Bassano del Grappa Adunata
Nazionale Alpini, autocolonna io, la Beba, la 55di Zambla e un camper.
La sfilata è stata bellissima, ho conosciuto un CL 51 ed
un CM 52 e i loro simpatici padroni che hanno convinto il
mio padrone a iscriversi
al
CVMS e far
richiesta
all’ASI
della targa
oro;
ho
anche conosciuto una
WILLYS e
il suo padrone che,
dopo avermi visionato, ha detto che con qualche piccolo accorgimento la targa oro me la sarei meritata, e se lo dice lui che
è il presidente della Commissione Tecnica Nazionale per i
veicoli militari…….
Ritornati da Bassano subito sverniciata la testa, verniciato
i radiatori di nero e montato la dinamo, fatto le foto per la
documentazione, mentre aspetto il 26 ottobre per andare
al raduno di Colico per la verifica dei commissari del
CVMS ho fatto le sfilate degli alpini in zona.
E le passeggiate con i bambini nel cassone; la solita bambina seduta davanti che dice a tutti che sono sua e chiama
il mio padrone papi; ogni tanto sale anche una ragazza
che chiama mamma, ma ho capito che alla ragazza non
sono molto simpatica, forse è gelosa?!
È il 26 ottobre, 150 Km tutti d’un fiato, sola; la Beba non
è potuta venire, l’Aprica chiusa, facciamo una stradina
secondaria e alle ore 9, 00 siamo a Colico; aspetto la AR
55 di Zambla che arriva assieme a molti altri mezzi militari. Poco dopo si parte con una lunga auto colonna, tappa
sul lago e via fino al Fronte Linea Cadorna. Consegnata la
documentazione al padrone di una AR 76, visionata da lui
che è il commissario delle AR e dal padrone di una
WILLYS anche lui commissario, dopo aver salutato siamo partiti.
Colico è stata l’ultima uscita del 2008, adesso vi sto raccontando la mia storia dal mio garage. Ringrazio il padrone della FORD GPA anfibia, che è anche il presidente del
CVMS, per avermi dato la possibilità di raccontarvela
mentre aspetto impazientemente quella targhetta dal color
oro.
Ringrazio anche tutti gli appassionati di auto storiche che
ci danno la possibilità di testimoniare la nostra esistenza
adottandoci e facendoci evitare la temuta rottamazione.
Concluderò con una frase della mia vecchia zia ALFA
MATTA:
“ RESTAURARE VUOL DIRE AMARE “
Giampi.
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