Autunno 2011
Gelida notte in vetta alla Motta di Scais nelle Alpi Orobie. Per realizzare questa immagine ho utilizzato iso 800, f 8.0 e una esposizione
di 9 minuti, in cui per 90 secondi è stata accesa la luce all’interno della tenda (23 novembre
2011, foto
Beno). - 1/49
©Le montagne
divertenti
Localizzazione di luo g h i e itin era ri
Zillis
Wergenstein
Bergün
Parsonz
Sufers
2115
da Arquino al pizzo Scalino
13 Alta Valle
3210
17Cech
Campodolcino
3183
Mese
Prata
Camportaccio
Gordona
S. Cassiano
Le Tre Mogge
Dongo
3032
Cima del Desegnigo
2845
17
Verceia
21
Caspano
Dubino Mantello Mello
Traona
Còlico
S. Martino
Bùglio
Ardenno
Colorina
Caiolo
Albaredo
Tartano
Geròla
Bellàno
Taceno
28 Pescegallo
Pizzo dei Tre Signori
2554
Bellagio
Introbio
Lierna
Ornica
Barzio
Carona
Cùsio
Piazzatorre
Cassiglio
Olmo
al Brembo
Pizzo Campaggio
2502
Pizzo del Diavolo
di Tenda
2829
Le Prese
3136
Ponte in Valt.
Teglio
Chiuro
Tresenda
Arigna
Pizzo Redorta
3039
TIRANO
Bianzone
Adda
Pizzo Rodes
2829
Carona
Pizzo Coca
3050
Valbondione
Gandellino
Gromo
Mazzo
Vezza
d'Oglio
Tovo
Lovero
Sernio
Aprica
Corteno
Malonno
Monte Sellero
2743
Monte Gleno
2883
Passo del Vivione
1828
Monte Fumo
3409
Garda
Berzo
Paisco
Loveno
Saviore
Valle
Capo
di Ponte
Vilminore
Colere
Passo del Tonale
1883
Adamello
3554
Sonico
Palone del Torsolazzo
2670
Pezzo
Ponte
di Legno
Edolo
Passo dell'Aprica
Monte Torena
2911
Corno dei Tre Signori
3359
Monte Tonale
2694
Incudine
Monno
Cortenedolo
Vione
Punta S. Matteo
3678
Passo del Gavia
2621
Punta di Pietra Rossa
3212
Adda
Prasomaso
Fumero
Sondalo
Grosotto
Brusio
17
S. Caterina
Le Prese
sanatori
Monte Masuccio
2816
Schilpario
Branzi
Roncorbello
3323
Albosaggia
Foppolo
Mezzoldo
Valtorta
Pasturo
Monte Cadelle
2483
Passo San Marco
1985
Cepina
Grosio
Vetta di Ron
Tresivio
Tremenico
Premana
Sondrio
T. V
enin
a
Dervio
Postalesio
Berbenno
Castione
Talamona
Bema
3
Lanzada
Caspoggio
Chiesa
in Valmalenco
Torre
di S. Maria
Corni Bruciati
3114
Sirta
Delébio Rògolo
Còsio
Regolédo
Primolo
3678
Pizzo Ligoncio
Monte Legnone
2610
Lago
di Como
Monte Disgrazia
Bagni
del Màsino
Pizzo Scalino
Monte Cevedale
3769
Monte Confinale
3370
frana
di Val Pola
Malghera
Poschiavo
S. Antonio
BORMIO
Valdisotto
34
S. Carlo
Sasso Nero
2917
T. Livrio
via “Tracce di Sangue” al monte Foscagno.
a
T. Coder
MORBEGNO
44 Alta Valle
Cima di Castello
Oga
Cima Saoseo
3263
Gran Zebrù
3851
Bagni di Bormio
Premadio
Eita
T. Mallero
38Valmalenco
25
3378
Novate
Mezzola
Lago
di Novate
38
44
T. Roasco
Chiareggio
T. Caldenno
Cime di
Montemezzo
Livo Gera
Dosso d. Liro
Lario
Redasco (m 3139)
Somaggia
3308
4050
Passo del Muretto
2562
Vicosoprano
Bondo
Villa
di Chiavenna Pizzo Badile
Pizzo Bernina
La Rösa
i
od
Lag chiavo
Pos
S. Pietro
Samòlaco
Era
Pizzo Martello
2459
Soglio
Castasegna
CHIAVENNA
34 Alta Valle
Pizzo Galleggione
3107
Passo del Bernina
Piz Palù
2323
3906
Ortles
3905
Isolaccia
Cima Piazzi
3439
T. Fo
ntana
Torrione Mezzaluna per la crepa N
Passo del Maloja
1815
Casaccia
o
T. Masin
Maloja
13
Arnoga
Forcola
di Livigno
2315
Sils
Solda
Valdidentro
Passo del
Foscagno
2291
Piz Languard
3268
Silvaplana
Juf
Prosto
d’Entova (m 3329)
28Orobie
Bivio
Trepalle
Pontresina
Julierpass
Pizzo Stella
Pizzo Quadro
3013
25Valmalenco
Spigolo SO della Sassa Cresta
Lag
3180
hi d
i Ca
nca
no
1816
3057
Fraciscio
Mera
Prati Nestrelli
Livigno
Pianazzo
Cima del Desenigo (m 2845)
21Cech
Madesimo
Isola
Cima la Casina
Samedan
Piz Nair
3392
Pizzo d'Emet
Cime di Plator (m 2910)
3378
Piz Piatta
Montespluga
Pizzo Tambò
3279
Sur
Mera
Mulegns
Stelvio
S. Maria
Lago del Gallo
T.
La
nte
rna
3062
Innerferrera
Passo dello Spluga
Inn
Montechiaro
Müstair
3159
Piz d'Err
Piz Grisch
Lago di
Lei
3Valmalenco
Curtegns 1864
Zuoz
Albulapass
2312
Reno
Ausserferrera
Piz Quattervals
3418
Julia
Splügen
Medels
Piz Kesch
Cunter
Andeer
Villa
Làveno
Monte Re di Castello
2889
© Beno 2010 - riproduzione vietata
©Le montagne divertenti - 2/49
Cresta monte foppa - pizzo Scalino
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Pizzo Scalino
(3323)
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Monte Cavaglia
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(2728)
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Monte Palino
(2686)
Monte Foppa
(2463)
La lunghissima cresta che va dal monte Foppa al pizzo Scalino è qui vista da Primolo. Il tratto più difficile della traversata, fatta in queste
condizioni di innevamento, è stato tra il monte Cavaglia e il monte Acquanegra (28 ottobre 2011).
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Bellezza
Partenza: Arquino (m 470)
Itinerario automobilistico: Montagna Arquino (imbocco strada per la val di Togno)
Fatica
Pericolosità
Itinerario sintetico: Arquino (m 475) - Mialli
(m 800) - Portola - Cao (m 1160) - Prato - Castelasc
- monte Foppa (m 2463) - bocchetta di Dagua monte Palino (m 2686) - bocchetta di Cavaglia monte Cavaglia (m 2775) - munt di Cup (m 2748) bocchetta di Acquanegra - monte Acquanegra (m
2806) - passo degli Ometti - pizzo Scalino (m 3323)
- alpe Painale - alpe Carbonera - Arquino.
Tempo previsto: 20 ore.
Attrezzatura richiesta: (con neve) piccozza,
ramponi, corda (50 m), imbrago, fettucce, cordini,
qualche protezione veloce o chiodo.
Difficoltà/dislivello: 5+ su 6 / oltre 3600 m.
Dettagli: AD+. Ho trovato passi su roccia fino
al IV e molto esposti, forse aggirabili da N per
cengette percorribili solo senza neve e ghiaccio.
L’ho giudicata AD+ in virtù dello sviluppo
lunghissimo, l’assenza di punti di appoggio e le
rocce a tratti infime.
Consiglio di percorrerla senza neve residua o si
rischia di perdere davvero tanto tempo su alcuni
passaggi.
Vi racconterò brevemente del percorrimento della
cresta che da Arquino raggiunge il pizzo Scalino, un
cresta ben visibile da tutti i paesi della Valmalenco,
ma decisamente poco percorsa, pure nella sua
variante breve, quella che parte da Caspoggio e
tocca come prima vetta il monte Palino.
La gita da Arquino è davvero una super
ravanata, una cresta lunghissima che inizia dopo
un avvicinamento lunghissimo e richiede un
lunghissimo tragitto per tornare a casa una volta
giunti in vetta al pizzo Scalino. Non ho trovato
compagnia, ma sono stato felice di percorrerla
da solo come Fausto aveva fatto nel 2008,
raccontandomi che in alcuni passaggi aveva dovuto
usare i 7 metri di corda per stendere i panni che
aveva portato con sé.
Certamente la presenza di neve ha complicato
molto le cose, costringendomi a arrampicare su
gradi che non avrei mai pensato di incontrare. Non
avrei mai detto, inoltre, che lo sviluppo fosse così
faticoso. Indicherò le tempistiche per l’alpinista
medio (400 metri di dislivello l’ora qualora non vi
siano difficoltà tecniche) e non i miei tempi di quel
giorno perché tra pisolini e tratti fatti correndo, gli
intertempi risultano completamente falsati.
Ed eccomi, il 18 ottobre alle 5 e qualcosa del mattino,
con tre ore di sonno e la strada illuminata dalla luna
piena che salgo da Arquino.
Ascoltando un po’ di musica per avre compagnia e non
continuarmi a voltare spaventato dai frequenti rumori
di rami spezzati dalle belve selvatiche (cervi sputafuoco
e scoiattoli mangiabambini credo), passo Mialli, Portola
- dove con piacere vedo che i terreni adiacenti alla
©Le montagne divertenti - 4/49
contrada sono stati recentemente bonificati da spine e infestanti - e Cao. Il cielo
comincia a rischiararsi e l’alba, dopo una breve pausa per bere al Prato, mi coglie
al Castelasc, dopo oltre 1500 metri di dislivello in salita.
I camosci, approfittando dell’assenza dei proprietari delle baite, brucano davanti
alle case come animali domestici. Appena si accorgono però che sto estraendo la
macchina per fotografarli, se la danno a gambe levate.
Con passo da vacca stanca, visto che non devo sudare (non c’è acqua lungo il
percorso) raggiungo la vetta del monte Foppa, dopo aver nuovamente riso per la
targhetta posta assieme ad una croce gigante oltre ogni buon senso sul massone di
quota 2444 (punto trigonometrico fondamentale) con scritto m 2500 circa .
Non ho nulla contro gli addobbi religiosi, ma credo che portar su con l’elicottero a
Notte a Mialli (18 ottobre 2011).
La contrada Cao a m 1150 colorata dalla mano dell’autunno (28 ottobre 2011).
©Le montagne divertenti - 5/49
L’alba al Castelasc.
fatica zero un gigantesco scheletro metallico abbia
molto meno valore simbolico e di devozione che
portarsi su a spalla e con fatica un manufatto più
minuscolo.
Il valore simbolico delle azioni, purtroppo,
pare oggigiorno valutato proporzionalmente a
quanto queste siano visibili da tutti, e così è per
lo scheletro metallico su questa anticima, simile a
quanto vien fatto sulle vicine cimette del lecchese
dove questi vengono addirittura illuminati come
decorazioni natalizie.
Ed eccomi scendere dalla vetta (monte Foppa,
m 2463, ore 5) , appoggiandomi alla traccia che
taglia il versante erboso della montagna. Arrivato
alla bocchetta del Palino (o bocchetta di Dagua),
©Le montagne divertenti - 6/49
La contrada Musci vista dalla vetta del monte Foppa: pare di stare su un elicottero!
©Le montagne divertenti - 7/49
mi abbasso a una seconda breccia che però non
permetterebbe la discesa nel vallone di Dagua.
Il sentiero bollato e con catene messe a protezione
del pascolo (!?) si sposta sul versante malenco. Saiti
oltre il secondo risalto roccioso della cresta, quando
la via segnalata taglia decisamente a sx, mi riporto
in cresta e senza alcun problema sono in vetta al
monte Palino (m 2686, ore 1:30), dove - e ci sta
anche la rima - mi faccio un bel pisolino.
Scendendo tra rocce rotte e chiazze di neve (via
bollata) arrivo alla bocchetta di Cavaglia. I colori
dell’autunno dominano le parti alte dei monti
malenchi. La val di Togno, invece, è talmente
brulla e povera di alberi, da apparire di un marrone
monotono e senza stagione.
Impressionanti sono gli scorci sulle lottizzazioni
Sguardo sulla cresta Foppa - Scalino a pochi metri dalla vetta del monte Foppa (18 ottobre).
che hanno reso il fondovalle della valmalenco
un campo di condomini e seconde case. Oramai
Chiesa, Caspoggio e Lanzada sono diventati un
tutt’uno. E, come se non bastasse, i continui boati
delle cave ribadiscono lo scarso rispetto del territorio
e dell’ambiente naturale.
Getto uno sguardo verso il Curlo, frazione di
Chiesa in Valmalenco - dove pare che si sia già
©Le montagne divertenti - 8/49
edificato tutto il possibile - e vedo chiaramente
un nuovo, l’ennesimo, piano di lottizzazione.
Appoggiandomi alla cresta e alle scarpate
erbose lato val di Togno, dopo qualche su
e giù, sono in vetta al monte Cavaglia (m
2728, ore 1:30), addobbato con un misero
ometto di pietra.
In discesa dal Cavaglia alla pietrosa bocchetta
di Sciaresa (m 2651) si inizia ad arrampicare,
ma i problemi veri e propri sono nella traversata
del mont di Cup, 5 torri e altrettanti intagli
che devo superare senza potermi appoggiare
al ghiacciato versante N. Ne seguono passi
di IV e III molto esposti, anche su placche e
rocce instabili. È faticoso, ma sono talmente
intento a osservare le reazioni del mio corpo e
della mia mente di fronte ai continui scenari
di pericolo, che quasi non mi accorgo di starli
effettivamente attraversando.
La corda risposa nello zaino: è molto tardi
e se mi mettessi a fare soste e calate prenderei
sicuramente notte in cresta.
Obbiettivamente esistono vie di fuga per
alcune vallecole che si gettano in val di Togno,
ma non ho mai la tentazione di prenderle.
Un tratto su roccia biancastra preannuncia
la vetta principale.
Appena sotto quella che pare essere la
vetta del mont di Cup trovo un piccolo
ricovero realizzato con un muretto a secco
per proteggere il riparo naturale offerto da un
grosso masso spiovente. L’avrà usato qualcuno
degli alpinisti che ha tentato questa traversata
Chiesa, Caspoggio e Lanzada - e purtroppo anche i nuovi quartieri di Primolo- sono la prova
di una scriteriata edificazione che ha rovinato il paesaggio malenco.
©Le montagne divertenti - 9/49
A sx la discesa dal monte Cavaglia alla bocchetta di Sciaresa e la frastagliata cresta che
raggiunge la vetta del mont di Cup.
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in invernale? In merito ho sentito della spedizione di Elia Negrini e, prima di
pubblicare l’articolo sulla rivista, lo vorrei intervistare per avere il suo racconto
di quella pazza avventura invernale su questa dorsale dimenticata e temuta.
Coi nervi a fior di pelle scendo dal munt di Cup e, dopo l’ennesima
successione di spuntoni impressionanti che devo scalare e avrei volentieri
aggirato, scendo alla bocchetta di Acquanegra (m 2709). Per comodo prato
con liste rocciose sono alla croce di vetta del monte Acquanegra (m 2806,
ore 3:30).
Sono le 17: disastro. Sul pizzo Scalino voglio comunque arrivarci e così
inizio a correre. Sceso per comoda via, tocco il passo degli Ometti (m 2758)
per seguire il crinale evitando le zone più impervie della cresta. Ad un certo
punto questa si impenna e con facile arrampicata (max III-) dove si alternano
i colori dei vari strati ricciosi della montagna, eccomi in vetta (pizzo Scalino,
m 3323, ore 2:30). Sono le 18:30 e il tramonto è magnifico.
Dal basso un lago di nebbia rossa irrompe nella val di Togno. In lontananza
l’intera dentatura delle Alpi saluta il giorno. È uno spettacolo magnifico che
La vetta del monte Acquanegra, pizzo Painale e punta di Vicima.
mi fa dimenticare che manca ancora un sacco di cammino per arrivare alla
macchina e che, ora che il giorno è finito, dovrò vagare nelle tenebre per
questa valle, tradizionalmente covo di orchi e streghe.
Il rientro è traumatico: vengo mangiato dalla nebbia e, sceso per il versante
S nella piana dell’alpe Painale, mi perdo tra paludi e dossoni: visibilità 1
metro, dato che la luce della lampada a manovella che ho con me mi si riflette
tutta indietro.
Qui non ci si può orientare nemmeno seguendo l’acqua che defluisce,
essendo la zona acquitrinosa e pianeggiante. Con un po’ di culo esco dalla
trappola laddove la nebbia finisce e inizia il sentiero. Bagnato fradicio inizio
a corerre come un disperato. Alle 22:30 sono alla macchina stanco morto
(Arquino, m 475, ore 5).
Pizzo Scalino, versante SO.
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Il lago del Mufulé e Acquanegra visti dal monte Acquanegra.
Tramonto dalla vetta del pizzo Scalino.
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Cime di Plator (quota 2910)
Bellezza
Fatica
Pericolosità
24 ottobre 2011: una bella salita da metà sponda settentrionale del lago di Cancano per un canalone che ci ha portato sulle quote 2910 e
2898 delle cime di Plator. Condizioni quasi invernali, ma poca neve per sciare. Bellissimo il disegno a sfoglia
rocce. divertenti - 13/49
©Ledelle
montagne
La cime di Plator sono la lunga costiera rocciosa di oltre 5 km che separa la valle di Cancano
da quella di Trela e la cui vetta culminante è alta m 2934 .
Partenza: lago di Cancano.
Itinerario sintetico: lago di Cancano - quota 2910 delle cime
tratti su roccia fino al II. Nella variante verde (incengiata) abbiamo
trovato passi di IV.
di Plator per il canale N.
Tempo previsto: 3 ore e mezza per la vetta.
Attrezzatura richiesta: scarponi, corda, piccozza, ramponi,
imbraco, fettucce.
Difficoltà/dislivello: 3.5 su 6 / circa 1000 matri.
Dettagli: PD+ in condizioni invernali. Canali nevosi fino a 45°,
©Le montagne divertenti - 14/49
Oggi è molto freddo e c’è anche vento, così optiamo per una salita lampo per lo spettacolare versante N delle cime di Plator. La morfologia di
queste stratificazioni di rocce calcaree rende l’ambiente magico. Sembra di salire una gigantesca pasta sfoglia, dove le sfoglie sono spesse vari
metri e i paesaggi trasmettono un forte senso di verticalità, tant’è che da Cancano pare impossibile poter superare la parete senza arrampicare.
©Le montagne divertenti - 15/49
Dopo varie incegiate troviamo la soluzione al versante: un ripido canale di misto che sbuca alla sella tra le quote 2898 e 2910. Qui mi vedete in
cima alla prima, la seconda (alla mia dx) la raggiungiamo per breve e facile cresta. Ultimate le vette scappiamo a Bormio per scongelare gli arti
nella piscina termale.
©Le montagne divertenti - 16/49
Cima del Desenigo (m 2845)
Bellezza
Fatica
Pericolosità
Partenza: Poira di Civo (m 1200).
Itinerario sintetico: Poira - Pre Socc - alpe
Visogno - bivacco Bottani - passo di Malvedello cima del Desenigo - Poira.
Tempo previsto: 5 ore e mezza per la vetta.
Attrezzatura richiesta: da escursionismo.
Difficoltà/dislivello: 2+ su 6 / oltre 1700 m.
Dettagli: EE.
Zoomata sul bivacco Bottani e, alle sue spalle, le cime della val Gerola (1 novembre 2011).
©Le montagne divertenti - 17/49
La salita alla cima del Desenigo da Poira è una bella gita autunnale che
porta su una delle vette più panoramiche della Valtellina. Lo sviluppo
è un po’ lungo, ma non offre difficoltà di alcun genere. Perla della gita
è anche il bivacco Bottani, posto su un gradino panoramico sopra l’alpe
Vesogno e i tre Cornini, bizzarre formazioni rocciose della costiera dei
Cech. Lungo il tracciato - bollato fino al passo di Malvedello, quindi, una
volta individuata la vetta, ovvio - abbiamo incontrato molte capre fin
troppo domestiche. Ne abbiamo munta una che probabilmente aveva
perso il capretto e abbiamo giocato con le altre vestendole con guanti
e fascetta tecnica. Loro si devono essere affezionate a noi e ci hanno
seguito fin quasi al passo.
Dal Desenigo si ha una vista a 360° che spazia dalle cime della valle
dei Ratti, con sua maestà Sasso Manduino, alle testate di Valmasino
e Valmalenco, all’intera catena delle Orobie, senza dimenticare che
siamo su un punto di vedetta sul fondovalle da Sondrio ad Ardenno, ma
anche sulla bassa valle. Le lontane vette dell’alta Valtellina e dei gruppi
di Bianco e Rosa, oltre che di remote catene Svizzere, chiudono questo
quadro pregevole in cui, in basso sotto i nostri piedi, fanno capolino il
minuscolo lago dello Spluga, e, nell’opposta direzione, i laghi di Como e
Novate.
©Le montagne divertenti - 18/49
Panoramica dalla vetta del Desenig e, sotto, due zoommate.
L’autunno colora Frasnedo nella valle dei Ratti.
Mentre all’alpe Granda è ancora quasi tutto verde.
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Panorama sulla conca a N del bivacco Bottani.
Vesogno. Sullo sfondo le vette della val Tartano.
Pozza all’alpe Vesogno. Sullo sfondo le vette della val Gerola.
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Passeggiata sopra Cino
Bellezza
Fatica
-
Partenza: Cino (m 550).
Itinerario automobilistico: da Morbegno
prendere la SS 38 in direzione Colico fino a Rogolo
(7 km), alla rotonda prendere la prima a dx.
Raggiungere Mantello. Dal paesino parte la strada
che sale a Cino (5 km). A O di Cino prendere la
strada a dx che sale al campo di calcio.
Pericolosità
Itinerario sintetico: Cino (m 550) - prati
dell’O (m 1150) - prati Nestrelli (m 1178) - Cino.
-
Tempo previsto: 3 ore e mezza.
Attrezzatura richiesta: scarponi utili.
Difficoltà/dislivello: 2 su 6 / 670 m.
Dettagli: E. Sentieri facili ma non segnalati.
Mappe consigliate:
“Costiera dei Cèch” 1: 25000, C.M. Valtellina di
Morbegno, ed. 2007 ;
“Kompass” n. 92 1: 50000.
Approfondimenti:
Mario Gianasso, Guida Turistica della Provincia di
Sondrio, B.P.S. II Edizione, Sondrio 2000
A. Gogna, G. Miotti, A piedi in Valtellina , B.P.S. e
I.G.D.A. Officine Grafiche, Novara 1985
I prati dell’O dalla strada per i prati Nestrelli (9 novembre 2011). Quella di oggi è una passeggiata propedeutica all’articolo curato da
Nicola Giana che troverete descritto nel prossimo numero della rivista: un percorso, ad anello, che passa per i maggenghi di prati dell’O
e prati Nestrelli lungo le antiche mulattiere che salivano da Cino. Sfruttati sino al recente passato dalle mandrie che vi si fermavano per
qualche settimana dirette o di ritorno dall’alpeggio della Bassetta, sono oggi quasi interamente votati a luoghi di villeggiatura, ove la
pastorizia si vede ridotta ai minimi termini, fatto denunciato anche dall’avanzamento degli arbusti e del bosco ai margini dei prati.
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La parrocchiale di Cino a sx e due scatti nei pressi dei prati dell’O.
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Il lago di Como dai prati Nestrelli.
Cino dal sentiero per i prati
Nestrelli.
©Le
montagne divertenti - 23/49
Sassa d’Entova
Bellezza
spigolo SO in condizioni pseudoinvernali
Partenza: Braciascia (m 1550)
Itinerario sintetico: Braciascia - alpe Entova - rifugio Longoni (m 2450)
- Sassa d’Entova per spigolo SO (m 3329) - ex rifugio Scerscen Entova - alpe
Entova -Braciascia.
Tempo
previsto: 7 ore per la vetta.
Attrezzatura richiesta: ramponi, corda, piccozza, imbraco, corda 50 m,
Fatica
protezioni veloci, un paio di chiodi.
Difficoltà/dislivello: 4.5 su 6 / oltre 1900 m.
Dettagli: AD. Tratti su roccia e misto fino al III+ e pendii innevati ripidi.
Pericolosità
È una gita in condizioni
invernali che mi piace
ripercorrere in ricordo
della bellissima salita che
avevamo fatto nel 2009
col nostro amico Fausto,
scomparso poche settimane
dopo quell’ascensione chiusa
con successo nonostante le
condizioni proibitive.
Abbiamo messo sulla vetta una
croce a lui dedicata, un libro
coi pensieri che gli amici hanno
scritto e oggi risalgo sulla Sassa
d’Entova per lo spigolo SO per
riportarvi assieme a Lele la
scatola col libro dopo che ne è
stata riparata la chiusura.
In foto sono impegnato sul
primo tiro della via, il più
rognoso, anche perché si arriva
all’attacco stanchi per i ben
1400 metri di dislivello con la
neve che non porta dappertutto
(11/11/11).
©Le montagne divertenti - 24/49
Partenza alle 3 da Montagna per arrivare a incontrare l’alba poco sopra
la Longoni. Qui un bellissimo scorcio su cima di Rosso e di Vazzeda.
Lele sul I tiro.
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Lele sull’ultimo tiro. Dopo una fascia di rocce bianche, una barra più scura guida fino in vetta. La discesa è da dietro, per il ghiacciaio dello
Scerscen. Arriva però la nebbia e rischiamo di rimanere tutta la notte a vagare per il ghiacciaio. Per fortuna la navigazione strumentale
(visibilità 3 m) ci fa raggiungere il rifugio da cui poi non ci si può più perdere.
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Torrione Mezzaluna (m 2333)
crepa nord con neve e ghiaccio
Bellezza
Fatica
Pericolosità
La crepa N del Torrione Mezzaluna è un labirinto di camini e cunicoli che permette, se si trova
la giusta combinazione, di uscire in vetta al poderoso monolita roccioso della val Gerola.
Partenza: Pescegallo (m 1454).
Itinerario sintetico: Pescegallo (m 1454) - valle di Tronella -
base del torrione Mezzaluna (m 2200 ca) - torrione Mezzaluna per
crepa N (m 2333) - Pescegallo.
Tempo di percorrenza previsto: 8 ore.
Attrezzatura richiesta: corda (60 m), imbraco, piccozza,
ramponi, protezioni veloci, chiodi, cordini e fettucce.
Difficoltà: 5- su 6.
Dislivello in salita: circa 900 metri.
Dettagli: AD. Passi su roccia fino al V. Con neve e ghiaccio si
tribola un po’.
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13 novembre 2011
Della neve non c’è traccia, almeno non ce n’è ancora per sciare.
L’altro ieri sulla Sassa d’Entova ho potuto apprezzare alla grande la
cresta spolverata. Queste sono le condizioni che preferisco per salire
le montagne: colori fantastici e un po’ più di impegno che d’estate.
Ho proposto a Paolo e Alex di andare a fare una bella cima
assieme. Paolo che ha un ginocchio marcio mi chiede una cosa senza
avvicinamento, lui che avrebbe voluto andare a Lecco a arrampicare
nella ressa.
Bella e senza avvicinamento. Io aggiungo: particolare e sorprendente.
Così si va al torrione Mezzaluna in val Gerola, un monolita roccioso
alto oltre 100 metri e appoggiato allo spertiacque tra la val Tronella
e la valle di Trona.
Partiamo all’alba dal parcheggio a Pescegallo. Lì incontriamo anche
Ricky Scotti, l’unico lupo mannaro che a quest’ora e in questa
stagione può trovarsi qui senza una doppietta in mano.
Raggiunta la val Tronella, ci separiamo dal sentiero per la diga di
Trona e puntiamo diretti al colletto tra il torrione Mezzaluna ( a sx)
e il pizzo del Mesdì (a dx).
C’è una traccia di sentiero che corre su per la scarpata e serpeggia
tra mughi, sassi, ghiaccio e rocce. Raggiunti alcuni ruderi sulla sx
orografica della valle, pieghiamo a sx (S) e rimontiamo la cresta
tra Mezzaluna e Mesdì a pochi metri dalla base settentrionale del
torrione.
La mia idea è quella di salire la normale, quindi di aggirare il
monolita dal lato O. La neve crostosa, tuttavia, non ci ha fatto perder
tempo e investo l’anticipo sulla tabella di marcia per entrare coi miei
compagni nella crepa N a curiosare.
Lasciamo fuori gli zaini e i vestiti perché si tratterà solo di una breve
visita. Tuttavia portiamo la corda perché se c’è ghiaccio può servirci
L’avvicinamento.
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11/07/2004. Il torrione Mezzaluna e la val Tronella. Foto Stefano Sansi. L’origine del toponimo
“Mezzaluna”, che significa spianata, o pianetta (“mesa”) a forma di luna è una piccola valle che si
stende ai piedi del complesso della Mezzaluna, a S, sul versante bergamasco, e che ospita una baita
solitaria, la baita della Mezzaluna. Una vallecola dimenticata, quasi fuori dal mondo: l’altra faccia
del corno che si disgrega sotto l’occhio sovranamente distaccato del cielo.
per uscire. L’imbraco e i ferri li abbiamo già addosso per la normale.
Si entra!
Da subito c’è un salto di tre metri che va affrontato strisciano dentro
a un cunicolo verticale ghiacciato. Battezziamo questo passaggio “il
parto”, specialmente dopo aver visto la fatica che fa Alex per passarci;
del resto è una fessura su misura per gente del Biafra.
Da qui ammiriamo già l’interno del torrione. Un labitinto di cunicoli
e camini. In fondo a qualcuno c’è la luce, altri sembran ciechi.
La parete NO del pizzo Painale.
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Racconto agli altri quanto scrive la Guida ai Monti d’Italia:
E’ curiosamente spaccato al suo interno e le fratture gigantesche
permettono d’addentrarsi nelle sue viscere in un ambiente strano che
ha del labirinto e del castello incantato .
E mentre parlo ci addentriamo nella crepa, che piega bruscamente
a sx al di sopra di un buco alto 4 metri. Una spaccata, un incastro
alla buona con le piccozze ed eccoci ad un camino verticale e buio,
alto 5-6 metri e moto stretto (V). Lo superiamo con la tecnica del
bruco. Alle imprecazioni si alternano le scitille dei ramponi che
grattano contro la roccia avara di appigli.
Segue un corridio orizzontale incassato fra altissime pareti e su
cui pendono grandi blocchi incastrati. Da uno di questi penzola
pure un cordino, che scoprirò essere usato per la folkloristica calata
diretta dalla vetta.
Pochi metri e siamo di fronte ad un salto verticale costituito da
massoni incastrati e sporchi di neve e ghiaccio (7 m, IV). Sbuco
su un nuovo coridoio nei pressi di una finestra da cui si vede la
val Tronella e da lì giù fino a Morbegno. Qui si trovano un po’ di
cordini e c’è molta più luce. Attorno a noi lame di roccia, placche
e camini. Dove passare? Proseguiamo nel corridoio e saliamo ad
un piano intermedio (sulla dx c’è una crepa che porta a sbalzo
sulla valle di Trona).
Qui Alex, goloso di placche, tenta di rimontarne una ghiacciata
che sbucherebbe direttamente sulla cresta sommitale. Nulla da
fare. Le alternative sono un lunghissimo camino/fessura o un
diedro di difficoltà insuperabili per noi con gli scarponi, così vado
in esplorazione proseguendo un corridoione che pare portarsi su
un precipizio del lato E ... ma oltre al precipizio (sono proprio
accanto al becco giallastro che si vede dalla valle di Tronella) c’è
una facile cengia che conduce alla base del placcone sul lato S che
conclude la via Normale. Meraviglioso!
Chiamo così gli altri, ma alla gioia dell’enigma risolto segue un
boato: Alex stacca dei massi che cadono proprio sulla matassa
della corda e la tagliano in tre parti. Dal cocuzzolo so che c’è una
calata di 30 metri molto esposta, ed ora anche molto pericolosa se
si sbaglia la manovra!
Fatto sta che, con la corda giuntata, supero l’aerea placca di roccia
ruvida e compatta e il diedrino che regala la vetta (30 m, IV+).
Uno sguardo attorno al paesaggio severo e innevato è d’obbligo,
ma la sosta è breve: non abbiamo nè da mangiare nè da bere.
Buttiam giù Paolo (la prima calata è già attrezzata), poi Alex
scende sul moncone di corda singola che arriva fino alla base della
placca, si lega in vita l’atra metà di corda (quella rattoppata) è lascia
scendere me facendomi da zavorra. Riusciamo così a recuperare la
preziosa fune con cui, rientrati nella crepa, con 2 doppie e un
po’ di disarrampicata, siamo di nuovo agli zaini, felici di una
esplorazione che si è imprevedibilmente conclusa con la vetta e la
soluzione del labirinto del Mezzaluna.
Mentre torniamo a casa ironizzo sulle vecchie intenzioni di Paolo
e Alex:
Bello il viaggio in auto sulle gallerie del lago per raggiungere le pareti
affollate e di unto calcare di Lecco! Certo è che se la gli arrampicatori
conoscessero il torrione Mezzaluna tutti devierebbero con la loro
auto per la val Gerola ancor prima di immettersi sulla strada del
lago, anche perché oltre a questa salita esistono numerose vie
di roccia, per lo più tracciate da Savonitto (“il Gigante”) , che
contemplano difficoltà fino al 6b.
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La crepa N del Torrione Mezzaluna.
In spaccata sopra il buco, dove la crepa devia decisamente a sx.
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Un camino molto ostico a inizio labirinto (15 m, V).
La placca finale (30 m, IV+).
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L’aerea placca finale. £0 metri, IV+.
In vetta al torrione, di fronte a noi la cima di Mezzo.
Prepariamo l’ultima calata.
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Cime di Redasco
Bellezza
Fatica
Pericolosità
La Pozza ghiacciata e, sullo sfondo, le cime di Redasco (18 novembre 2011).
Partenza: limite di transitabilità consentita nei pressi di Fiec (m 1450 ca).
Itinerario automobilistico: Da Sondalo si sale all’opedale, quindi alla pineta di Sortenna, a
Caprimale, a Meler e si seguita verso le cave di quarzo fino al limite consentito di transitabilità. Ci
sono molte deviazioni non segnalate, per cui si va un po’ a tentativi.
Itinerario sintetico: Fiec (m 1500) - Le Motte - Moregn - La Pozza (m 2358) - Le Pozze (m
2390) - Cime di Redasco (punta Maria per il versante orientale, m 3139).
Tempo
di percorrenza previsto: 5 ore emezzo per la vetta.
Attrezzatura
richiesta: corda, cordini, un paio di friend medio piccoli, piccozza e ramponi in
caso di neve, casco e acquasanta.
Difficoltà: 5 su 6 - tutte concentrate negli ultimi 100 metri
Dislivello in salita: circa 1700 metri.
Dettagli: PD+. La difficoltà non è data tanto dal grado su cui si deve arrampicare (III+ max), ma
all’inconsitenza delle rocce, friabili e pericolosissime.
Le cime di Redasco appartengono a quella categoria di vette che si vedono benissimo dal fondovalle, ma che nessuno sale. Da Sernio
a Bormio quelle due guglie di roccia incombono sopra Sondalo monopolizzando tutti gli sguardi. Esteticamente sono davvero belle, il
dislivello è accettabile, ma una cappa di terrore le circonda. Sono pericolose, si sà, sono pericolose è ciò che tutti raccontano, specialmente
chi le ha viste da vicino, chi conosce degli incidenti avvenuti lassù su quelle rocce marcissime. Ironizzando con Fabio Meraldi dopo questa
nostra salita gli ho detto: “il modo più sicuro per raggiungere le cime di Redasco è mettersi a Le Pozze (dove ha la baita Adriano Greco)
e aspettare che la montagna crolli per poterne toccare la vetta senza scalare”.
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La via di salita dal dossone su cui si trova La Pozza.
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La punta Maria, la maggiore delle cime di Redasco, vista dalla sua anticima orientale. Da qui hanno inizio le vere difficoltà. Qui, mi ha
detto Fabio, si fermano praticamente tutti. Su queste cime anche Duilio Strambini ebbe un grave infortunio. Vi assicuro che proseguire
oltre mette un grosso nodo in gola perché vien giù tutto. È stato così anche oggi, sebbene il ghiaccio tentasse di consolidare i blocchi di
roccia che le infiltrazioni di acqua continuamente staccano dalla montagna.
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18 novembre 2011
Dopo ben 3 anni che, per impegni vari, non facevamo più salite assieme, mi risento al telefono con Fabio Meraldi e organizziamo una gita
in alta valle su cime che lui ben conosce e che io, da quando mi sono
occupato di val Grosina per la rivista, sono diventate un mio chiodo
fisso. Sto parlando delle cime di Redasco, quei due denti di roccia che
dalla val Grosina ricordano quasi il Dente del Gigante. Hanno una
linea davvero intrigante, ma tutti, senza alcuna eccezione, ne ribadiscono la pericolosità.
Da Sondalo, dopo una buona colazione in compagnia anche di Giacomo, un bel numero di bivi non segnalati, siamo al tornante dove vi
è il divieto di transito ai non autorizzati. Di lì la strada proseguirebbe
fino a L’Alto. Noi la percorriamo a piedi, poi a Le Motte deviamo per
Moregn dove saliamo tra i pascoli (NO) fino in cima al dossone dov’è
La Pozza, oggi ghiacciata sebbene non faccia certo freddo. Abbiamo 3
anni di avventure da raccontarci, così il paesaggio e il dislivello scorrono veloci. Attraversata la conca della pozza N, superiamo per un canale la ripida fascia rocciosa che porta nella conca ai piedi dell’anticima
orientale della punta Maria, la più alta delle cime di Redasco.
Per rottami e rocce instabili siamo sull’anticima senza particolari problemi, ma da qui la situazione cambia.
La vista sulla punta Maria è impressionante: due torri di roccia marcia
ci separano dalla breccia oltre cui vi è la rampa finale.
Fabio mi dice che oltre questo punto non va quasi nessuno: e lo credo
bene! Poi aggiunge che con la neve almeno le rocce sono cementate e
si rischia un po’ meno. Già, oltre che infime queste rocce sono esposte
e il versante meridionale è decisamente più frantumanto in blocchetti
di varia dimensione che aspettano con poca pazienza il loro turno per
rotolare a valle.
Con 20 metri di corda e 2 friend ci lanciamo sulla cresta. Aggirata la
prima torre per il lato S, scendiamo per una rampa gelata (II) a una
breccia. La attraversiamo su blocchi appoggiati e saliamo da sx
in cima al secondo torrione.
Una disarrampicata non facile (10m, III+) e sul cui successo dubiterebbe chiunque guardasse giù da questa torretta, ci consegna
l’ultima rampa innevata per la vetta. Siamo sulla punta Maria
(m 3139, ore 5:30), paesaggio molto bello e ampio.
Vorrei proseguire nella traversata in cresta, ma Fabio deve andare a fare una lezione d’arrampicata e allora giù di corsa fino alla
macchina chiaccherando sulle bellezze e sulle perversioni dello
sport vissuto da agonisti, cosa che entrambi abbiam fatto.
Certamente l’incapacità di apprezzare la bellezza del contesto
naturale, oltre ad una malata ricerca di attrezzature inutili e
pericolose, sono gli aspetti peggiori che nascono nella cerchia
dello scialpinismo e delle skyrace e che fanno confondere mezzi
e finalità dello sport.
Alle 14 siam già alla macchina.
In vetta alla punta Maria (m 3139).
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Le Tre Mogge
Bellezza
Fatica
Pericolosità
“La Valle Malenco si apre immediatamente alle spalle di Sondrio ed il suo ingresso è vigilato, come quelle cattedrali che hanno davanti al pronao due leoni accovacciati, dalle rupi di Triangia e
di Masegra. E’ questa valle, profonda, cupa, petrosa, nel primo tratto, stringendosi i monti l’un sopra l’altro, addossati quasi accorrenti, sul canalone della valle, e nella penombra e nell’ombra che
occupa questo gran taglio, si scorgono laggiù, a nord, le torrette delle Tremogge vestite di neve, che splendono come lumi, cime emergenti in un mondo tutto in luce”. P. Rombi. .
Partenza: alpe Braciascia (m 1550 ca).
Itinerario automobilistico: da Sondrio si sale in Valmalenco lungo la SP 15. Giunti a Chiesa
in Valmalenco (km 12) si prende la biforcazione occidentale della valle. Per ripidi tornanti si arriva
a S. Giuseppe dove si sale fino al piazzale degli impianti (rifugio Sasso Nero) e da lì si prosegue
sulla strada asfaltata fino ai prati della Braciascia (indicazioni per il rifugio Longoni), dove si trova
il divieto di transito e la strada diviene ad uso escusivo di cavatori, alpeggiatori e rifugista.
Itinerario
sintetico: S. Giuseppe (Braciascia) - rifugio Longoni (m 2450) - Passo Tremogge
(m 3014) - pizzo Tremogge per spigolo SO (m 3441) - pizzo Malenco (m 3438) - Sassa d’Entova discesa per il versante O - rifugio Longoni - Braciascia.
Tempo di percorrenza previsto: 12-14 ore.
Attrezzatura richiesta: da escursionismo. Utile uno spezzone di corda.
Difficoltà: 4.5 su 6.
Dislivello in salita: oltre 2000 metri.
Dettagli: AD. Passi su roccia fino al IV (cresta SO Tremogge) e pendii glaciali impegnativi e
ripidi (oltre 50° discesa dal versante O della Sassa d’Entova.
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1 dicembre 2011
Ci sono scalate che ti restano impresse e non vedi l’ora di andarle a
ripetere. Così è stato nell’ottobre 1997 quando ho salito il pizzo Tremogge dallo spigolo SO col papà, Danilo Pedrotti e altri 2 amici.
È stata la mia prima via d’arrampicata in ambiente e, sebbene le difficoltà non fossero elevatissime, mi ricordo che ero arrivato in cima
molto stano. Un po’ per l’esposizione dell’ultimo tratto, un po’ perché
ero salito tutto slegato.
Sono passati ben 14 anni. Non ho mai trovato nè la compagnia nè il
momento giusto, ma oggi, che è quasi inverno, devo mostrare ad un
amico di Bormio, Giorgio Urbani, una delle mie montagne. Lui mi
ha portato a fare la mitica cresta Sinigalia alla cima Piazzi, e io non
posso certo rispondergli con qualcosa di meno sorprendente, così
punto a rifare quello spigolo del Tremogge, una vera e propria arrampicata su un musueo di geologia!
Ieri sera, accompagnati dalla luna piena, siamo arrivati qui in Longoni dove abbiamo dormito su pavimento della veranda. Notte tutto
sommato tranquilla, se non fosse per un maledetto topolino che mi
girava attorno per entrarmi nel sacco a pelo.
Le stelle che addobbavano i vetri della veranda si sono trasformate in
un cielo rosso fuoco. È la fantastica coreografia della nostra colazione
e, anche se non facessimo alcuna salità, questa nottata e quest’alba
basterebbero già per un ricordo indelebile.
Lasciato il rifugio alle 8 passate ci dirigiamo al passo Tremogge per
il sentiero segnalato. C’è un po’ di neve che infastidisce, ma alle 10
siamo al valico. Il sole è caldo, l’aria frizzante.
Inizia la via. Sono eccitato all’idea di ritestarmi su difficoltà che un
tempo mi erano parse alte, specialmente oggi che la cresta è innevata,
quindi più impegnativa.
Stando davanti un po’ per uno superiamo il primo settore della cresta,
Arrampicata sulla seconda delle prime tre torri della cresta ENE del pizzo Ventina.
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e siamo sulla torre scura dove il filo piega a
N. Ha inizio un tratto tra spigoli e camini
di roccia scura e eccellente, dove ci divertiamo un sacco. Dopo una bizzarra arrampicata sul dorso un grosso masso appoggiato alla
cresta (nell’intercapedine fra i due si vede
il pizzo Scalino), arrivati alla grande torre
nera, la aggiriamo in discesa per una cengia
obliqua sul suo lato orientale. Siamo al colletto a cui culmina un canalone che sfocia
nella conca tra Malenco e Tremogge.
Un tratto su sfasciumi verticali ed esposti
conduce alla zone di rocce chiare: il terzo
settore della cresta, quello delle torrette. I
contrasti di colore e l’ambiente severo sono
unici. In cima alla prima torre e ci leghiamo
per affrontare la seconda. Qui la neve fodera tutto il versante NO e, dato il precipizio
verticale di 200 metri, non si può girare da
SE. Una cengia lato NE mi fa contornare lo
spuntone, quindi salgo la terza torre da SE
(fessura splendida di ruvido calcare, IV).
Alternandoci da capo cordata, senza particolari difficoltà e appoggiandoci sempre
al versante svizzero, completiamo il tratto
pianeggiante e vinciamo l’ultima rampa per
la vetta (pizzo Tremogge, m 3441).
Scesi alla forcola Malenco, tocchiamo per
ghiacciaio la sommità del pizzo Malenco,
per ridiscentere (N) nel ghiacciaio dello
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Alba su Vazzeda e cima di Rosso.
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Scerscen inferiore, proseguire a E lambendo i contrafforti del Malenco e salire la
Sassa d’Entova (m 3329) da N per il pendio glaciale. Finalmente posso firmare il
libro di vetta che abbiamo portato su giusto pochi giorni fa!
Volendo fare la bravata scendiamo lungo lo spigolo SO, ricalcando le vecchie impronte mie e del Lele, ma oltre la fascia di rocce bianche, facciamo un’improvvisata sul versante O: chissà se si scende.
Traversiamo per neve ripidissima fino sotto alle rocce della cresta che unisce Malenco e Sassa d’Entova, quindi pieghiamo nuovamente a S e ci abbassiamo nella
conca sottostante. Da lì, puntando la vetta del Malenco raggiungiamo il canalone
più a N della conca.
Lo scendiamo per oltre cento metri, poi questo s’interrompe su un alto salto di
rocce (oltre 100 metri).
C’è un attimo di panico: sta per diventare buio perciò non possiamo più risalire, la
roccia è marcia per effettuare le calate e poi abbiamo solo 50 metri di corda.
Tentiamo comunque di abbassarci per cenge e piccoli salti da disarrampicare. Un
po’ alla volta così perdiamo dislivello finché non esiste più possibilità di proseguire, ma culo vuole, che la corda da 50 metri arrivi giusta giusta alla base della barra
rocciosa.
Una calata in corda doppia con sosta su un blocco staccato (tra l’altro la sosta
lavorava solo se tirata in diagonale) ci porta fuori pericolo, non prima però che un
grosso masso mi dia una bella botta ad una spalla.
Il tramonto s’incendia come l’alba ed è ancora la notte illuminata dalla luna ad
accompagnarci lungo la rotabile per la Braciascia.
Arrampicata sul masso staccato.
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Dalla vetta del Tremogge. A dx il Malenco.
Il pizzo Tremogge dalla vetta del Malenco.
La nostra linea di discesa dalla Sassa d’Entova.
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Tramonto sul pizzo Rachele.
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Monte Foscagno:
Tracce di Sangue
Monte Foscagno
(3058)
Il triangolo nero del monte Foscagno e le linee di salita e discesa (foto G. Meneghello).
Sul versante settentrionale del monte Foscagno si trova uno scuro avancorpo roccioso dalla forma pressochè triangolare, solcato da un
diedro e da un grosso camino su cui oggi (6 dicembre 2011) Fabio Meraldi (che ha tirato tutti i tiri duri) e io abbiamo salito una via nuova
di misto. Visto tutto il sangue che ho perso perché mi si è riaperta una vecchia ferita su un ginocchio, ho deciso di battezzarla “Tracce di
sangue”. Sono 5 tiri da 60 metri, considerando anche quello finale pianeggiante sulla cresta. Difficoltà fino all’M8 (I e II tiro). La via è ben
proteggibile con friend, cordini e nut. Si parte da una grotta alla base del canalone-camino.
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Bellezza
Fatica
Pericolosità
Partenza: tornante che guarda la Vallaccia Corta lungo la strada del
passo del Foscagno (m 2140).
Itinerario automobilistico: dalla piazza di Isolaccia,
Valdidentro, si segue la strada SS 301 del passo del Foscagno in
direzione Livigno. Percorsi una decina di chilometri si trova la prima
di una serie di gallerie aperte, e poco più avanti si vede aprirsi sulla
sx la Vallaccia Corta, in concomitanza con un ampio tornate che
precede l’ingresso in una nuova galleria (13,2 km). All’esterno del
tornante vi è lo spazio per parcheggiare. Qualora ci si fosse attardati
a partire e il parcheggio fosse stato preso d’assalto dai lettori de LMD
è possibile tornare indietro alcune centinaia di metri lungo la strada
percorsa e utilizzare una delle piazzole presenti sulla sx.
Tempo previsto: 2-4 ore per la salita.
Attrezzatura richiesta: casco, corda da 60m, ramponi,
piccozze, set di friend e di nut, cordini e fettucce..
Difficoltà/dislivello: 5.5 su 6 / 800 m.
Dettagli: TD. Arrampicata su misto fino all’M8. 5 tiri.
Mappa consigliata: Kompass n.72 - Parco Nazionale dello Stelvio,
1:50000
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Dalla grotta all’inizio della via.
La linea di “Tracce di sangue”.
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Dalla grotta si affronta un delicato strapiombo (5 m, M8) e si esce su un
canalone di neve a metà del quale si fa la sosta. Il secondo tiro supera sulla
dx una liscia fascia rocciosa (30 m, M8) molto faticoso. Il terzo tiro è su
neve ripida (50°, 80 m) e porta all’ultimo tiro nel camino. Facile la prima
parte, quindi un’uscita delicata su cengia obliqua porta in cresta (M6).
Una lunghezza sul filo di neve e roccia deposita in cima al canalone (sx) da
cui si scende a valle.
L’entrata nella grotta.
L’uscita dalla grotta.
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La barra rocciosa del II tiro.
La cresta finale.
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