Les Dogon “In uno dei più stupefacenti caos di rocce dell’Africa vive un popolo di contadini guerrieri che fu uno degli ultimi nel dominio francese a perdere la sua indipendenza. ….. sono uomini pericolosi, forse i più arretrati della federazione. Hanno fama di praticare ancora sacrifici umani… …..vivono su una cosmologia, su una metafisica e su una religione che li pongono sullo stesso piano dei popoli dell’antichità…” Le parole di Marcel Griaule, 1951, sono tra le più titolate a definire il popolo Dogon. Siamo in Mali, ai piedi della Falesia di Bandiagara (una depressione rocciosa di 300 metri che taglia l’Africa occidentale per una lunghezza di circa cento Km) dove a poca distanza l’uno dall’altro sono situati i villaggi del popolo Dogon. Questo popolo considerato uno dei più isolati e schivi dalle tentazioni della cosiddetta civiltà vivono ancora oggi grazie ad una economia di sussistenza, basata principalmente sull’allevamento e sull’agricoltura. I contadini coltivano piccoli campi e orti strappati alla roccia e alla siccità. Il lavoro è diviso in base al sesso. Mentre l’agricoltura è occupazione sia maschile che femminile, gli uomini si occupano anche di caccia, pesca, della pastorizia e della tessitura (arte sacra riservata a pochi eletti). Le donne invece si occupano anche di faccende domestiche, di cucinare, allevare i figli, lavorare la farina di miglio e della digitaria (cereale alla base dell’alimentazione Dogon) e di preparare la birra. Tutto nel mondo Dogon (qualsiasi oggetto o azione umana) è simbolico e si ricollega alla mitologia della creazione dell’universo Dogon e alla metafisica. Nel mondo dogon non si fa nulla in modo casuale. Ed esempio, la base di un granaio è tonda perché rappresenta il sole e il tetto quadrato perché rappresenta la luna. La digitaria, il cereale dai piccolissimi grani, simboleggia il germe della vita proprio per la forza interna che lo anima e che gli fa spezzare per nascere il sottile strato che l'avvolge. Così il tamburo rappresenta la lingua umana e il campo la volta celeste che deve essere coltivato per otto solchi che rappresentano gli otto antenati del popolo Dogon. Tutto nella società dogon è simbolo e significato. Spiritualità e rispetto delle più antiche tradizioni regolano la vita del villaggio. Niente corrente elettrica e niente orologi; la giornata inizia all’alba e termine al tramonto. I giorni di mercato (uno ogni cinque) scandiscono il susseguirsi delle settimane. Il mercato non è solo luogo di compravendita ma anche luogo di incontro per i membri della stessa famiglia dispersi nei diversi villaggi della falesia. Niente macchine in aiuto al lavoro nei campi; la mattina presto, lontano dalle ore torride della giornata, donne e giovani sono chini a zappare e innaffiare con le calabas i campi di ortaggi. Ogni gesto, ogni oggetto, ogni individuo ha un preciso ruolo nella società Dogon, per tale ruolo è rispettato e in armonia con ciò che lo circonda. In un contesto simile gli spunti fotografici sono diversi. Le immagini d’insieme o di dettagli di vita quotidiana presenti in questa mostra cercano di raccontare questa gente e la loro terra, nel rispetto della loro estrema riservatezza.