TERRA Cos`è la terra: composizione dello strato superficiale del

TERRA
Cos’è la terra: composizione dello strato superficiale del terreno,
dinamica esogena e modellamento della superficie terrestre,
cenni di dinamica endogena
di Emanuele Piccioni
1. INTRODUZIONE
1.1 Cenni storici
1.2 L’approccio didattico
2. UNITÀ TEORICHE
2.1 La struttura interna della Terra
2.2 La Tettonica delle Placche Litosferiche
2.2.1 Placche divergenti.
2.2.2 Faglie trasformi.
2.2.3 Placche convergenti.
2.2.3.a Margini di subduzione.
2.2.3.b Margini di collisione.
2.2.4 Hot spots.
2.3 Le conseguenze della tettonica delle placche: Vulcani e Terremoti
2.3.1 I fenomeni sismici.
2.3.2 I fenomeni vulcanici.
2.4 Lo strato superficiale della crosta: il terreno o suolo
2.4.1 Composizione del terreno.
2.4.1.a La fase solida
2.4.1.b La fase liquida
2.4.1.c La fase aeriforme
2.4.2 Proprietà fisiche e chimiche dei suoli.
2.4.2.a Proprietà fisiche dei suoli
2.4.2.b Proprietà chimiche dei suoli
2.4.3 Le rocce ed i cicli litogenetici
2.4.3.a I minerali.
2.4.3.b Le rocce.
2.5 La dinamica esogena
2.5.1 Processi di dinamica esogena.
2.5.1.a Erosione.
2.5.1.b Trasporto.
2.5.1.c Deposizione.
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Terra
1. INTRODUZIONE
Oltre ad “alzare lo sguardo verso il cielo”, l’uomo da sempre ha sentito la
necessità di “stare con i piedi piantati a terra”, interrogandosi, oltre che su origine,
storia e trasformazioni proprie del pianeta su cui si trova a vivere, anche sulla sua
struttura e morfologia, sulla possibilità di capirne, interpretarne e prevederne i
fenomeni ed utilizzarne le risorse.
Le Scienze della Terra che si studiano nella scuola secondaria di primo grado
comprendono un vasto ambito di studio, che considera l’astronomia, la geologia, la
meteorologia, ecc.
Lo studio della Terra, a sua volta, può prendere in considerazione le diverse
“sfere” che caratterizzano il pianeta, come l’involucro di gas e vapori che la circonda,
definito atmosfera, oppure lo strato di acqua liquida che ne ricopre la maggior parte,
che insieme a laghi, fiumi e tutte le acque superficiali prende il nome di idrosfera, o
ancora la cosiddetta “terra solida”, il sistema di rocce e minerali che ne costituisce la
massa prevalente. Per quanto riguarda questa trattazione, prenderemo in
considerazione esclusivamente i fenomeni che interessano lo strato solido più
superficiale della Terra, ovvero la litosfera, comprendente la crosta terrestre e l’ultimo
strato del mantello, e le sue interazioni con la idrosfera e atmosfera ai fini del
morfologia del paesaggio.
1.1 Cenni storici
Un primo tentativo di interpretazione e rappresentazione della realtà morfologica
terrestre si può identificare con una pianta topografica incisa su un osso di mammut
rinvenuta presso il fiume Dnepr, tributario del Mar Nero, risalente ad una comunità
preistorica vissuta 15.000 anni fa. Essa rappresenta una prima testimonianza del
pensiero e dell'immaginazione rappresentativa (grafia) della terra (geo) con alberi,
abitazioni, il fiume. Ben più dettagliato è il frammento egiziano del Papiro delle Miniere
risalente alla XX Dinastia (XII°-XI° secolo AC), attualmente conservato al Museo
Egizio di Torino, dove si distinguono rilievi, corsi d’acqua e la posizione descritta da
apposite legende di miniere aurifere effettivamente ritrovate. La carta raffigura
addirittura cinque gruppi diversi di rocce: graniti, altre rocce vulcaniche, rocce
metamorfiche, arenarie, rocce sedimentarie alluvionali. Questi lontani, ancorché
straordinari, precursori di cartografia e geografia rappresentano un primo modo di
intendere l’aspetto superficiale della Terra ed i suoi materiali, ovvero la sua ipotetica
staticità che può (e comunque deve) essere solo accuratamente descritta.
Molti secoli dopo, nel XVII secolo, Niels Steensen (latinizzato Nicolaus Steno,
meglio noto come Stenone) con grande intuizione ed applicando un attento
ragionamento su dati raccolti attraverso l’osservazione dell’ambiente geologico
toscano, diede allo studio della geologia, in particolare della cristallografia e della
stratigrafia, spunti di straordinaria modernità, che lo fanno definire, forse
impropriamente, come il “padre della geologia”. Relativamente agli studi di
stratigrafia, Stenone intuì che la disposizione superficiale di un territorio e lo studio
stratigrafico delle rocce che lo compongono rivelano un “incessante cambiamento delle
cose naturali” (Prodromus, 1669). Nonostante le sue teorie vennero riconosciute solo
decenni dopo la sua morte, esse ebbero il merito di introdurre l’idea di dinamicità e
cambiamento proprio della terra e dei fenomeni geologici, contro una certa idea di
costanza e staticità del modello della superficie terrestre diffusa fino a (e dopo) quel
momento.
Gli unici “movimenti” della Terra riconosciuti e studiati fin dall’antichità sono i
fenomeni vulcanici (basti pensare alla civiltà minoica duramente colpita dall’esplosione
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del vulcano dell’isola di Santorini nel 1600 a.C., descritta da Platone come la perduta
Atlantide) e quelli sismici, ma occorre attendere fino al XIX secolo con Charles Lyell e
Robert Mallett, i padri della geologia e della sismologia moderna per avere finalmente
un approccio scientifico allo studio dei meccanismi alla base di questi fenomeni.
Saranno infine gli studi di Alfred Wegener (1880-1930) sulla “deriva dei continenti” ad
aprire le porte alla individuazione di uno schema esplicativo unico, che si concretizzerà
solo nella seconda metà del XX secolo con il modello globale detto della Tettonica delle
Placche.
1.2 L’approccio didattico
Nell’approcciare la didattica delle Scienze della terra, occorre distinguere due
piani: il primo riguarda i materiali che interessano i materiali di cui lo stato superficiale
della Terra è fatta (minerali e rocce); il secondo coinvolge i grandi fenomeni
geomorfologici esogeni ed endogeni che coinvolgono territori grandi e piccoli,
immense masse rocciose, oppure addirittura intere masse crostali.
Come è intuibile, il secondo piano è quello più complesso.
L’excursus storico citato non ha solo l’obiettivo di collocare lo studio delle Scienze
della terra in una prospettiva di evoluzione culturale, ma in qualche modo
“simboleggia” anche la progressione dell’apprendimento: i primi approcci allo studio
dello strato più superficiale della Terra devono necessariamente essere di carattere
osservativo, geo-grafico (nel senso letterale di descrizione della Terra) e solo dopo
costruttivo e modellistico.
In tale prospettiva, l’indagine scientifica manifesta tutta la sua difficoltà, in
quanto le Scienze della Terra sono meno sperimentabili direttamente rispetto ad altre
scienze, dato che molto spesso non è possibile studiarne eventi riproducibili sotto il
controllo diretto.
Un primo motivo è il fattore dimensionale dei fenomeni. Infatti, non è possibile
riprodurre fedelmente in laboratorio le dimensioni della Terra, né le temperature e le
pressioni presenti dentro la camera magmatica di un vulcano, né la scansione
temporale di fenomeni geologici.
Un secondo motivo è la complessità dei fenomeni che coinvolgono la Terra, sia
per la dinamica esogena che interessa la superficie, sia per quella endogena che
produce cambiamenti sia all’interno che all’esterno della Terra.
Pertanto, è necessario adottare un approccio basato su osservazioni ripetute di
esempi significativi ed elaborazione di modelli e rappresentazioni, che tuttavia deve
anche sfruttare la connessione intuitiva dello studente, che deve poter estendere il
fenomeno osservato o il modello a scale maggiori, geologiche o addirittura planetarie.
È prioritario, pertanto, operare scelte significative sia di contenuto che di metodo
laboratoriale, comprendente sia attività pratiche da fare in classe, sia necessarie
osservazioni in esterno.
Uno dei problemi più delicati nell’approccio scientifico-sperimentale con gli
adolescenti è la creazione di un sapere condiviso, basato sia sull’acquisizione di
concetti strutturanti il sapere scientifico, sia nella formazione, negli stessi, di un
metodo “scientifico” di apprendimento, adeguato alle risorse intellettive degli allievi.
Ciò implica da una parte il superamento dell’approccio esclusivamente
nozionistico e quantitativo, privo di rinforzo operativo-manuale, e dall’altra l’evitare di
cadere nel rischio di una “didattica attivista” spinta all’eccesso, con numerose
esperienze e manipolazioni non seguite (né precedute) da adeguate fasi di
(ri)elaborazione critica e riflessione per la costruzione di concetti scientifici di base.
Molte volte, infatti, anche l’approccio operativo ai fenomeni naturali, se guidato
esclusivamente dalla volontà di dimostrare alcune leggi già citate, priva gli alunni del
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piacere della “scoperta”, intesa come “novità della conoscenza”; ancora, far osservare
fenomeni senza premesse e percorsi logici ben definiti, magari senza trarre nessuna
conclusione, con l’idea che l’attività manuale comunque “attivi la mente”, è destinato
all’inconcludenza, così come ricorrere a spiegazioni difficilmente dimostrabili che
coinvolgano il mondo microscopico o astronomico, spesso ineffabile ed astratto per i
ragazzi.
In questo contesto vengono presentati a titolo esemplificativo una serie di
percorsi incentrati prevalentemente su fenomeni e strutture geologiche di superficie
(rocce e minerali, il terreno, esempi di modellamento della superficie terrestre)
prediligendo ciò che è più facilmente “osservabile” e “sperimentabile”, per dare agli
utenti una metodologia di indagine che poi potrà permettere di ampliare il campo di
competenza ed estendere il livello di descrizione dei processi.
L’attività proposta è destinata all’organizzazione di due percorsi didattici. A
seguire, vengono proposti due percorsi secondo l’ordine che si ritiene opportuno
nell’approccio didattico programmatico. Essi partono pertanto da ciò che è più
facilmente osservabile per arrivare poi alle cause principali. L’approccio teorico,
viceversa, parte dalle cause per individuare poi le possibili conseguenze. Pertanto, le
unità teoriche descritte di seguito sono precedute da un’ampia trattazione delle cause
prime, endogene, che portano a gran parte dei fenomeni visibili in superficie.
Percorso 1 - Composizione dello strato superficiale del terreno
Il primo percorso ha come oggetto d’indagine lo strato più superficiale della
crosta terrestre, il suolo o terreno: esso dovrà portare da una parte all’individuazione
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delle sue principali componenti, dall’altra alla trattazione dei principali fenomeni che
portano alla formazione del suolo e delle sue componenti, in particolare delle rocce e
dei minerali, dell’humus e delle frazioni minute. Esso sarà accompagnato da processi
di concettualizzazione dei principali oggetti di studio (concetto di “terreno”; concetto
di “miscuglio eterogeneo ed omogeneo”; concetto di roccia; concetto di minerale).
Percorso 2 - Dinamica esogena e modellamento della superficie terrestre
Il secondo percorso ha come obiettivo l’individuazione degli agenti che modellano
il paesaggio (energia solare; gravità; atmosferili; ecc.), con conseguente studio dei
principali fenomeni che determinano l’aspetto del territorio (processi di erosione,
trasporto, deposito; processo sedimentario) ed osservazione guidata di eventi. Al
riguardo, uno dei principali strumenti da utilizzare riguarderà la modellizzazione dei
fenomeni.
La strategia adottata dovrà comprendere fasi di didattica laboratoriale, uso del
disegno e di altre attività creative e ludiche, schemi e mappe riassuntive, tecniche di
concettualizzazione individuale e di gruppo.
2. UNITÀ TEORICHE
2.1 La struttura interna della Terra
Nell’intento di dare una visione d’insieme della struttura solida della Terra, a seguire si
descrive in modo molto sintetico la disposizione dei diversi strati concentrici, di natura
rocciosa e spessore variabili, di cui è formata.
La zona centrale della Terra è definita dal nucleo, una enorme sfera di circa 3470 km
di raggio (più della metà dell’intero raggio terrestre, pari a circa 6370 km) costituita
per lo più da ferro puro con tracce di altri elementi (nichel, silicio e zolfo). Il nucleo
terrestre sembra distinto1 in due ampie zone concentriche: il nucleo interno,
prevalentemente solido, ed il nucleo esterno, di consistenza più fluida, i cui movimenti
ciclici creano una geodinamo, probabile origine del campo magnetico del nostro
pianeta.
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Gli strati della Terra solida vengono convenzionalmente delimitati e separati da superfici caratterizzerete da proprietà
fisiche particolari, che corrispondono a bruschi cambiamenti nella modalità della propagazione delle scosse sismiche,
dette appunto superfici di discontinuità. Tra la crosta ed il mantello superiore vi è la superficie di discontinuità di
Mohorovičić (detta anche più semplicemente Moho), mentre fra il mantello ed il nucleo esterno vi è la superficie di
discontinuità di Gutemberg, ed infine fra nucleo esterno e nucleo interno è indicata la superficie di discontinuità di
Lehmann.
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Il nucleo è avvolto dal mantello, un ampio involucro di circa 2900 km di spessore,
caratterizzato fin quasi alla superficie da rocce con una notevole rigidità, con
l’eccezione, più avanti descritta, della zona sottostante l’ultimo strato, detto del
mantello superiore.
La crosta costituisce lo strato più esterno, ed ha uno spessore variabile a seconda del
tipo di crosta e della conformazione superficiale della stessa. La crosta continentale,
tipica dei continenti, ovvero di quelle zone della superficie che comunemente sono
definite come “terre emerse”, ha uno spessore che va dai 30-35 Km fino a 70 Km in
corrispondenza delle catene montuose. La crosta oceanica, che forma il pavimento
degli oceani, ha uno spessore molto minore, fino ad un massimo di 7-10 Km. È da
sottolineare che la crosta continentale non si limita all'estensione delle terre emerse,
ma comprende le zone sommerse (scarpata continentale) oltre la linea di costa che
congiunge la zona emersa ai pavimenti oceanici, fino a profondità di circa 2500-3000
metri.
La crosta terrestre si unisce allo strato superiore del mantello, che da essa si distingue
soprattutto per la tipologia di rocce che lo formano, in un unico strato caratterizzato
da una notevole rigidità delle rocce, chiamato litosfera. La litosfera forma, in pratica,
un unico “guscio rigido” fratturato in porzioni più o meno estese chiamate placche o
zolle litosferiche, che galleggiano, grazie alla minore densità dei materiali, su uno
strato caratterizzato da maggiore plasticità, detto astenosfera. Questo è uno strato
sottile (100-200 km) di mantello parzialmente fuso, che costituisce una zona di
“scivolamento” delle placche litosferiche che pertanto sono in continuo movimento,
con velocità variabili da pochi mm a diversi cm l'anno, secondo le zone.
Sono proprio questi movimenti delle zolle, organizzati in un unico “modello globale”
definito tettonica delle placche litosferiche, a deformare continuamente la sovrastante
crosta terrestre, ed a costituire il “primo motore” della dinamica endogena, che si
rivela in superficie con diverse manifestazioni, le più note delle quali sono i fenomeni
vulcanici ed i sismi.
2.2 La Tettonica delle Placche Litosferiche
La placche litosferiche sono simili ad immense “zattere” che si estendono per
migliaia di chilometri, che galleggiano sull’astenosfera. Tali placche possono contenere
solo crosta oceanica, come la placca del Pacifico, che praticamente forma l’intero
pavimento del più grande oceano terrestre, oppure solo crosta continentale, come è
per l’enorme placca asiatica, oppure da entrambi i tipi di crosta, come le altrettanto
estese placche nordamericana, sudamericana e africana. Otre a placche di grande
estensione, come quelle citate, le placche possono supportare zone di superficie
terrestre anche piuttosto piccole, come è il caso della placca di Nazca, ad ovest del
Sudamerica o della microplacca dell’adriatico.
È il movimento di enormi masse plastiche dell’astenosfera, spinte in inesorabili
moti convettivi generati da gradiente di temperatura nei diversi strati terrestri, a
provocare un incessante, anche se lentissimo, spostamento di tutto l’insieme delle
placche.
La zona di contatto (o di frattura) fra una placca ed un’altra è chiamato margine
di placca. I margini di placca rappresentano le zone della Terra dove maggiormente si
manifesta l’effetto della dinamica endogena, ovvero sismi e fenomeni vulcanici.
Secondo il moto relativo delle placche l’una sull’altra, si hanno diversi effetti:
2.2.5 Placche divergenti. Se due placche si allontanano l’una dall’altra, la frattura che
costituisce il margine subisce una continua divaricazione, con i due lembi che
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vengono tirati in due versi opposti. Si scopre di continuo, quindi, il sottostante
strato astenosferico, con facile e continua risalita del magma direttamente dal
mantello. Lungo questi margini, definiti “divergenti”, data l’incessante risalita di
materiale si costruiscono sempre lunghissime catene vulcaniche, attraversate
longitudinalmente da una fessura in diretto collegamento con l’astenosfera, detta
rift valley. Dato che tipicamente queste catene vulcaniche si formano sui fondali
oceanici, esse vengono chiamate “dorsali oceaniche”. Lungo le dorsali si viene a
formare continuamente nuova crosta oceanica, grazie alla solidificazione del
magma che tappezza e richiude di continuo la faglia aperta della rift valley. Per
questo, i margini divergenti vengono anche definiti margini “costruttivi”, ed è
questo anche uno dei motivi per cui alcuni oceani (ad esempio, l’Oceano Atlantico)
si stanno espandendo. Nei casi (meno frequenti) in cui il fenomeno della
divergenza avvenga all’interno di una placca con crosta continentale, il margine
produce un avvallamento tettonico (rift) che progressivamente si abbasserà
sempre più fino ad essere invaso dall’acqua, trasformandosi in fondale oceanico
(come sta accadendo nel caso della rift valley africana).
2.2.6 Faglie trasformi. Se le placche scorrono con moto relativo parallelo l'una
rispetto all'altra, “strisciando” lungo il margine, tale margine è definito
“trascorrente” o “trasforme”, ed è sede di eccezionali attriti, che accumulano
grandi quantitativi di energia che viene liberata a volte in modo improvviso,
attraverso potenti terremoti. Un tipico esempio è la faglia di Sant'Andreas, in
California (USA), margine di contatto fra la placca nordamericana, che scorre verso
sud, e quella pacifica, che scivola verso nord. In questo caso, dato che non si ha né
la costruzione né la distruzione di crosta, questi margini sono anche detti
“conservativi”.
2.2.7 Placche convergenti. Se due placche litosferiche, invece, si muovono una contro
l’altra, si ha un margine convergente. In questo caso, possono avvenire diversi
fenomeni a seconda del tipo di crosta che è trasportata dalla due placche
convergenti, per cui i margini convergenti vengono distinti in margini di subduzione
e margini di collisione.
2.2.3.a Margini di subduzione. Se una delle due zolle trasporta crosta oceanica,
questa si incunea sotto l'altra, indipendentemente dal fatto che anch’essa sia
oceanica o che, a maggior ragione, continentale, quindi costituita da rocce
meno dense della prima. Tale sprofondamento, detto subduzione, è visibile
anche sul fondale marino, dove sono visibili lunghe e profondissime fosse più o
meno riempite di sedimenti a seconda della distanza dalla terra emersa (es.
fossa delle Marianne, creata dalla subduzione della placca del Pacifico sotto la
placca delle Filippine, il cui punto più profondo arriva fino a quasi 11 km sotto il
livello del mare). A causa dell’apparente “consumo” di crosta, i margini
convergenti sono anche detti “distruttivi”. Il processo di subduzione, all’interno
della crosta, può proseguire fino a far arrivare la placca che subduce
all'astenosfera. La placca scorre sotto l’altra lungo un piano inclinato, di 10-15
km di spessore, detto Piano di Benioff, rilevabile attraverso la profondità degli
ipocentri dei terremoti che vi si generano a causa dell’attrito. Inoltre, in
profondità si creano condizioni che favoriscono la formazione di magma a
partire dalle rocce della placca subducente, che portando con sé grandi quantità
di detriti e sedimenti fa sì che il magma si arricchisca di gas e vapori ad enormi
pressioni. Questo magma risale provocando eruzioni prevalentemente di tipo
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esplosivo. In superficie, pertanto, si formano degli archi magmatici, ovvero
catene vulcaniche curve che seguono il margine di subduzione, ovvero si
sviluppano parallelamente alle fosse (sistemi arco-fossa). Qualora gli archi
magmatici si formino dal fondale oceanico, si parla di archi vulcanici insulari.
Tale vulcanismo è sempre di tipo esplosivo. Infatti, gran parte dei vulcani attivi
sulla superficie della terra si trovano in corrispondenza delle zone di
subduzione. Oltre allo sviluppo di vulcani, l’attrito legato alla subduzione può
anche strappare lembi di crosta alla placca che subduce, provocando il
cosiddetto accrescimento crostale che risulta in catene montuose formate da
frammenti crostali anche di diversa natura (es. le Montagne rocciose
nordamericane).
2.2.3.b Margini di collisione. Quanto le due placche che si scontrano contengono
crosta di tipo continentale, non esiste sufficiente differenza di densità fra le due
masse e non si verifica il fenomeno della subduzione. L'impatto fra i due
continenti (collisione continentale) provoca una loro sovrapposizione e
“saldatura”: lembi di crosta si accavallano l’uno all’altro, dando così origine a
catene montuose interne ai continenti stessi (orogenesi). Ne è un esempio
l’imponente sistema orogenetico alpino-himalayano, che inizia dai Pirenei,
proseguendo con le Alpi, i Balcani, i monti della penisola anatolica, i sistemi
dell’Hindukush e del Karakorum fino all’Himalaya. Esso è la manifestazione
molto evidente dell’imponente scontro avvenuto (ed ancora in atto) tra il blocco
euroasiatico e le placche africana e indiana.
2.2.8 Hot spots. A conclusione di questo argomento, è utile citare un ultimo caso di
attività legata alla tettonica delle placche, detta degli hot spots. A partire da alcuni
punti del mantello profondo (secondo alcune teorie, addirittura a partire dal nucleo
terrestre) si assiste ad una risalita colonnare di magma ad altissima temperatura
(detta “pennacchio”), che sfocia in un punto preciso, detto appunto hot spot, che
fora la placca litosferica soprastante come un “trapano” generando un vulcano. Il
punto caldo è però indipendente dal movimento della placca, perché deriva dalle
profondità del mantello, e quindi non segue lo spostamento della placca stessa.
Pertanto, quando questa si muove, la risalita di magma perfora un altro punto
della litosfera limitrofo, generando un nuovo vulcano ed abbandonando il
precedente, che si estingue. Man mano che la zolla si sposta sopra il punto caldo,
si origina così tutta una serie di vulcani di diversa età, di cui solo il più giovane è
ancora attivo. È questo il caso dell’arcipelago delle Isole Hawaii, che è
caratterizzato da una serie di isole vulcaniche messe in linea retta di circa 3500
km, dall'Isola di Hawaii fino alle Isole Midway e Kure, in direzione sud-est → nordovest. L’isola di Hawaii ospita il Mauna Loa, il vulcano più grande sulla Terra (oltre
4000 m sul livello del mare; considerando il fondo oceanico da cui si innalza, di
oltre 5000 m di profondità, il Mauna Loa potrebbe esser considerato la montagna
più alta della Terra).
2.3 Le conseguenze della tettonica delle placche: Terremoti e Vulcani
Come detto, i movimenti delle placche danno origine a tutta una serie di
fenomeni che possono sinteticamente essere riassunti in due grandi categorie: la
liberazione di energia meccanica mediante vibrazioni di porzioni più o meno ampie di
litosfera (terremoti o sismi) e l’emissione in superficie di materiale ad alta
temperatura dalle profondità della crosta (vulcanismo). Entrambi sono spiegabili
grazie all’applicazione del modello globale della tettonica delle placche.
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2.3.1 I fenomeni sismici. I terremoti, nonostante quanto si pensi (o si speri) non sono
fenomeni che avvengono sporadicamente o casualmente. I sismi che colpiscono
ogni giorno una qualche parte del globo terrestre sono decine. Nonostante la loro
numerosità, essi si concentrano prevalentemente in alcune aree della superficie
terrestre, dette sismicamente attive o, più semplicemente, sismiche, mentre
mancano o sono molto rari in altre aree dette asismiche, le quali, pur non
generandovisi terremoti, possono comunque risentire degli effetti di vicine zone
sismiche.
Un terremoto è, in effetti, una vibrazione più o meno accentuate delle rocce di una
zona della crosta terrestre causata da una rapida liberazione di energia meccanica
in un qualche punto al suo interno. Il punto di origine da cui l'energia si libera,
all'interno della terra, è detto ipocentro (o fuoco) del terremoto. La proiezione
dell’ipocentro sulla perpendicolare alla superficie della Terra (in pratica, il primo
punto da dove si percepiscono le onde sismiche) è detto epicentro.
Secondo il modello più accreditato, detto “del rimbalzo elastico”, l’energia che si
accumula nella crosta e che darà origine ad un sisma è generata dal lento, ma
inesorabile, movimento delle placche litosferiche, che provocano una deformazione
elastica delle rocce sottoposte a tensioni fortissime, che improvvisamente si
rompono (rottura della faglia) e liberano l’energia accumulata.
Ecco perché individuando su una carta geografica la localizzazione dei terremoti più
frequenti è possibile constatare che essi si concentrano nelle zone marginali delle
placche, in particolare sui margini trasformi e nelle zone di collisione continentale,
oltre che sopra al piano di Benioff delle zone di subduzione.
Esistono due scale con cui vengono quantificati i terremoti: la scala MercalliCancani-Sieberg (Scala MCS), divisa in 12 gradi, che indica l’intensità del
terremoto sulla base dei potenziali danni che esso potrebbe generare, e la scala
Richter, la quale rapporta l’intensità di un sisma con un terremoto standard di
riferimento secondo una scala logaritmica (magnitudo). Le due scale non sono
direttamente convertibili, in quanto valutano due diverse conseguenze del sisma.
La prima, infatti, è correlata agli effetti che il terremoto provoca su persone,
manufatti e terreno, la seconda misura la magnitudo del sisma, quindi l’effetto
meccanico che il sisma stesso fa registrare agli strumenti di rilevamento (misura
strumentale). Un sisma con magnitudo maggiore può provocare meno danni di uno
di valore minore, ad esempio, a seconda del tipo di manufatti che vengono colpiti.
2.3.2 I fenomeni vulcanici. Come detto, il vulcanismo corrisponde alla risalita in
superficie di materiali caldi provenienti dalle profondità della crosta. Tali materiali
possono essere allo stato solido, liquido o semifuso ed aeriforme (gas e vapori). Il
materiale composto di minerali e rocce fusi che all’interno della crosta prende il
nome di magma, una volta in superficie viene definito lava. Esso tende a perdere
gli eventuali componenti gassosi e vapori che contiene solidificandosi più o meno
rapidamente a seconda della temperatura iniziale.
I vulcani hanno struttura, forma e dimensione variabili a seconda del tipo di
vulcanismo che li caratterizza, soprattutto legati alla viscosità del magma in risalita
ed al contenuto di aeriformi, che conferisce maggiore esplosività a causa delle forti
pressioni generate. I vulcani possono essere:
- ad attività effusiva dominante, tipico del vulcanismo delle dorsali oceaniche e
degli hot spots, caratterizzato da abbondanti effusioni di lave molto fluide che
danno origine ai vulcani a scudo (un tipico esempio sono i vulcani hawaiani e
islandesi);
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ad attività effusiva prevalente, con magma meno fluido, con attività esplosiva
ricorrente legata all'eventuale accumulo di gas (es., lo Stromboli nelle Eolie)
ad attività mista, con lava molto più viscosa e frequenti formazioni di “tappi”
lungo il condotto vulcanico che possono favorire l’accumulo di forti pressioni ed
eruzioni più forti (es., come Vulcano, sempre nelle Eolie, o la Montagna Pelée,
sull’isola della Martinica);
ad attività prevalentemente esplosiva, caratterizzate dall'emissione di lava ad
altissima viscosità e da temperature relativamente basse, con eruzioni
caratterizzate da estrema violenza, soprattutto in fase iniziale, con gas e vapori
che escono a velocità elevatissime formando nubi ardenti o piroclastiche con
enorme potenza distruttiva, che portano in sospensione grandi quantità di
ceneri ed altro materiale piroclastico (come il Vesuvio nella celebre eruzione del
79 dC).
Similmente per quanto visto sui terremoti, anche i vulcani recenti non sono
distribuiti a caso sulla superficie terrestre, ma secondo precise fasce geografiche.
La maggior parte dei vulcani posti su terre emerse si trova lungo gli archi insulari
ai margini dei continenti che fiancheggiano le fosse oceaniche (es. Ande). Si tratta
di vulcani altamente esplosivi. Il sistema vulcanico più importante è, però, quello
formato dagli innumerevoli punti di emissione allineati lungo le dorsali oceaniche,
che alimentano un imponente vulcanismo sottomarino: solo raramente tali edifici
arrivano ad emergere (tipicamente nel caso dell’Islanda o delle isole Azzorre), ma
l'attività vulcanica fissurale (cosi detta a causa della particolare conformazione
lineare delle rift valleys) è in pratica ininterrotta lungo tutto il sistema delle dorsali.
2.4 Lo strato superficiale della crosta: il terreno o suolo
Quando parliamo di Terra (con la lettera maiuscola) intendiamo il terzo pianeta in
ordine di distanza dal Sole, su cui insiste quello straordinario fenomeno chiamato
“vita”. Tuttavia, nell’uso comune il termine “terra” (con la lettera minuscola) viene
spesso utilizzato in modo indifferenziato per indicare il suolo sotto i nostri piedi, la
polvere accumulata su una superficie, il pavimento di una abitazione. In questo
contesto, “terra” verrà utilizzato per descrivere il “terreno”, o “suolo”, che è lo strato
detritico superficiale delle terre emerse, utilizzabile dalle piante e dagli altri organismi
come fonte di acqua, sali nutritivi e come sostegno.
2.4.1 Composizione del terreno. I detriti che compongono il terreno sono ottenuti dalla
disgregazione e alterazione delle rocce mediante un processo detto pedogenesi,
che può essere interamente naturale (terreno naturale) oppure con l’aggiunta
dell’attività dell’uomo per l’attività agricola (terreno agrario) o di altra natura
(terreno artificiale). Il terreno è l’ecosistema più importante per la vita dell’uomo e
degli animali terrestri: in esso infatti si compiono e si concludono fondamentali cicli
biologici. Possiamo quindi distinguere tre fasi che compongono questo miscuglio
particolare: una fase solida, una liquida ed una aeriforme.
2.4.1.a La fase solida è composta dalle particelle terrose e dagli organismi viventi
presenti nel terreno. La natura chimica delle particelle terrose è in parte
mineralogica, in parte organica, in parte chimica. Le particelle di origine
minerale sono quelle derivate dal processo pedogenetico di disgregazione delle
rocce. La composizione chimico-mineralogica è composita nei terreni alloctoni,
in particolare quelli alluvionali, mentre è ridotta a pochi elementi nei terreni
autoctoni, originatisi dalla roccia madre sottostante. Lo studio del tipo di
particelle che compongono il terreno può dare quindi un’importante chiave di
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lettura sulla natura del territorio e sulla sua storia geologica. Le particelle di
origine organica sono composte da materiale organico derivato in gran parte dai
rifiuti degli organismi e dalle loro spoglie morte. Nel terreno agrario, tuttavia, è
presente in quantità talvolta considerevole anche materiale organico
incorporato artificialmente dall'uomo. Le particelle organiche si distinguono in
due gruppi: sostanza organica in decomposizione e humus. Quest'ultimo,
dotato di proprietà colloidali, è derivato da un processo microbico di
trasformazione (umificazione).
2.4.1.b La fase liquida del terreno è composta dalla soluzione circolante, composta
per lo più da acqua e dai sali minerali in essa disciolti. Questa fase è soggetta
ad un processo particolarmente dinamico a causa delle precipitazioni, delle
risalite per capillarità dalle falde, dell’evapotraspirazione e della percolazione
profonda. La presenza di soluzione circolante
determina anche diverse
proprietà meccaniche del terreno (adesione, coesione, tenacità), oltre
ovviamente ad essere determinante nel permettere la vita degli organismi che
vivono nel e sopra il suolo. Una delle componenti più frequenti e diffuse della
soluzione circolante sono i carbonati e bicarbonati di calcio - CaCO3 e Ca(HCO3)2
- che formano la frazione calcarea che determina molte conseguenze a livello
pedologico (come ad esempio la cementazione dei detriti nella formazione delle
rocce sedimentarie clastiche).
2.4.1.c La fase aeriforme del terreno è composta dall’aria tellurica, che occupa tutta
la frazione volumica non occupata dai solidi e dai liquidi, di composizione
variabile a seconda dell’attività biologica e microbiologica che può consumare
l’ossigeno presente (O2) mediante metabolismo respiratorio, oppure
trasformare alcuni gas in altre forme chimiche (es., processi di nitrificazione
dell’azoto atmosferico N2, ecc.)
2.4.2 Proprietà fisiche e chimiche dei suoli. Tra le varie proprietà del terreno che
possono essere oggetto di valutazione abbiamo proprietà fisiche e chimiche.
2.4.2.a Proprietà fisiche dei suoli
- Granulometria o tessitura del suolo. Le dimensioni delle particelle che
caratterizzano il suolo possono avere diametro maggiore di 2 mm (ghiaie),
oppure appartenere alla cosiddetta terra fine con granuli di diametro inferiore ai
2 mm. Le ghiaie possono essere con spigoli vivi e non arrotondati, sinonimo di
breve trasporto e scarso arrotondamento, oppure con ciottoli rotondi ed angoli
smussati, che corrisponde ad una maggiore "maturità tessiturale", ed anche di
fenomeni di trasporto più lungo che la ghiaia ha subito. La terra fine è suddivisa
in quattro classi che corrispondono alla sabbia grossa (0.2-2 mm), sabbia fine
(0.02-0.2 mm), limo (0.002-0.02 mm) e infine argilla (< 0.002 mm).
- Porosità. Equivale al volume complessivo dei vuoti di un terreno, rapportata in
percentuale al volume totale. Esistono due tipi di porosità: la microporosità, o
porosità capillare, che è il volume totale dei pori con diametro di 8-10 µm nei
quali l'acqua permane a lungo, rappresentando perciò l'aliquota idrica disponibile
in un terreno; la macroporosità è il volume dei pori a diametro superiore a 10 µm
e rappresenta la riserva in aria di un terreno, elemento indispensabile per lo
sviluppo, ad esempio, degli apparati radicali delle piante, oltre che per la vita di
gran parte degli organismi tellurici (con esclusione degli anaerobi). L'elevata
macroporosità di un terreno comporta una buona aerazione, ma una scarsa
capacità di trattenere l'acqua. Per contro, una elevata microporosità diminuisce il
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potere drenante del terreno: l'acqua riempie tutti i pori disponibili, anche quelli
destinati all'aria, compromettendo così la circolazione aerea (asfissia).
- Struttura. Rappresenta l'aggregazione fra le particelle che costituiscono il terreno
ed è di fondamentale importanza per la fertilità del suolo. La struttura di tipo
glomerulare è propria di terreni in cui la ricchezza in humus (particelle organiche
colloidali) permette la cementazione di particelle fini, quali argilla e limo, fino al
costituirsi di glomeruli. In tal caso si formano parecchi macropori tra un
glomerulo e l'altro che si trovano in equilibrio con i micropori all'interno del
glomerulo. A tale tipo dì struttura si contrappone quella a particelle isolate in cui
scarseggiano i macropori per scarsa presenza di sostanze cementanti (terreni
poco humici).
2.4.2.b Proprietà chimiche dei suoli
- Il pH. Questo indice misura il grado di acidità di una soluzione secondo una scala
logaritmica. Per una soluzione neutra il pH è pari a 7; un pH inferiore a 7 indica
una soluzione acida, mentre un pH maggiore di 7 indica una soluzione basica. È
possibile pertanto determinare il pH della soluzione circolante nel terreno. Da
questo parametro chimico di rilievo dipende la disponibilità in sali minerali per la
vegetazione e il differente grado di vivibilità per i diversi organismi tellurici. Il
grado di assorbimento di sali attraverso gli apparati radicali raggiunge un livello
massimo ad un definito intervallo di pH, specifico per ciascun tipo di sale o ione.
Ad esempio, l'azoto, al di sotto di un valore di pH 5, risulta essere assorbito in
quantità trascurabili, mentre l'assorbimento massimo si ha per 6<pH<7.5.
- Salinità. Rappresenta la quantità di sali disciolta nella frazione liquida del suolo.
Essa è in stretto rapporto al tipo di sale, alla sua solubilità, nonché alla quantità
di acqua presente nel terreno.
- Il contenuto idrico. Viene definita capacità idrica massima di un terreno la quantità
di acqua che satura tutta la porosità disponibile. L'acqua raccolta da un terreno
idricamente saturo, lasciato sgocciolare sotto l'azione del campo di gravità è
detta acqua gravitazionale. L'acqua che rimane trattenuta all'interno dei
micropori è detta acqua capillare, ed è quella disponibile per la vegetazione che
cresce su quel terreno.
2.4.3 Le rocce ed i cicli litogenetici
I suoli si originano e poggiano sempre su giacimenti litologici, che ne possono o
meno costituire l’origine (roccia madre). Le rocce formano praticamente la totalità
della crosta terrestre, dato che lo strato detritico del suolo è insignificante da un punto
di vista ponderale. Le rocce si definiscono come aggregati eterogenei di minerali.
Esse si distinguono sia per la tipologia di minerali che li formano (composizione
mineralogica) sia per l’ambiente e le modalità della loro genesi.
2.4.3.a I minerali. I minerali sono sostanze naturali inorganiche, generalmente allo
stato solido, formatesi attraverso processi geologici, fisici e chimici. Un minerale
può essere costituito da un solo elemento chimico, come l'oro (elemento nativo)
oppure da un composto, come ad esempio il quarzo (SiO2). Ciascun minerale è
caratterizzato quindi da una specifica composizione chimica, ma anche da una
propria struttura cristallina, che corrisponde alla forma del reticolo costituito dalla
disposizione spaziale degli atomi. Ciascuna unità mineralogica può avere una forma
geometrica ben definita (cella unitaria), che poi si ripete innumerevoli volte fino a
dare un aspetto anche macroscopicamente distinto e specifico al cristallo visibile
(fenocristallo) di ciascun minerale (ad es., la struttura cubica del salgemma –
cloruro di sodio - è visibile anche nei cristalli del comune sale grosso da cucina).
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Alcune specie minerali si presentano allo stato liquido, come il mercurio, mentre
altri, come l'opale, hanno una struttura amorfa, ovvero non possiedono una
struttura cristallina. La struttura cristallina influenza notevolmente le proprietà
fisiche di un minerale: per esempio, diamante e grafite hanno la medesima
composizione chimica (sono elementi nativi formati da carbonio puro), ma le loro
differenti strutture cristalline rendono la grafite nera e molto tenera, ed il diamante
incolore e molto duro (è il materiale più duro conosciuto).
I minerali conosciuti e classificati ad oggi sono oltre 4.000.
2.4.3.b Le rocce. Una roccia è un miscuglio di più specie minerali in diverse
proporzioni e pertanto, diversamente da un minerale, la composizione chimica di
una roccia non è esprimibile con una formula chimica.
Le rocce si distinguono, oltre che in base ai minerali di cui sono costituite, anche in
funzione dell’ambiente e delle modalità della loro formazione, Pertanto, esse si
distinguono in magmatiche (o ignee o vulcaniche), che derivano direttamente dal
raffreddamento del magma profondo (rocce magmatiche intrusive), sia da quello
della lava in superficie (rocce magmatiche effusive); sedimentarie, che si originano
dalla deposizione e successiva compattazione dei prodotti di disgregazione e
alterazione di rocce preesistenti; metamorfiche, che derivano da rocce preesistenti
che subiscono modificazioni cristalline dovute in genere ad aumenti di temperatura
(senza fusione) e/o ad enormi pressioni.
- Rocce magmatiche. Questo tipo di rocce si forma per il raffreddamento e la
cristallizzazione di un magma fuso. Tale magma, che può avere origine anche a
200 Km di profondità, può solidificarsi molto lentamente all’interno della crosta,
diventando una roccia intrusiva, dall’aspetto tipicamente granulare con cristalli
grandi e ben evidenti (struttura granitica). Questo tipo di roccia non verrebbe
mai alla luce se i movimenti tettonici della crosta non li portasse in superficie e
gli agenti atmosferici non ne erodessero la copertura. Se invece il magma
fuoriesce sotto forma di lava, a causa del brusco raffreddamento che subisce si
solidifica velocemente dando luogo alle rocce effusive.
- Rocce sedimentarie. Queste rocce sono il risultato finale di un processo che
inizia con l'alterazione e la disgregazione di rocce preesistenti (sia magmatiche,
sia metamorfiche, sia sedimentarie già formatesi), prosegue con il trasporto dei
detriti così prodotti e termina con la loro deposizione e diagenesi (ovvero
trasformazione in roccia mediante compattazione o cementazione). Come è
chiaro, il processo sedimentario è strettamente legato a tutti gli altri fenomeni
di che determinano il modellamento del paesaggio. I sedimenti (o clasti) si
formano e si accumulano in continuazione nelle cosiddette “trappole di
sedimentazione” (fondali marini o lacustri, fondovalle, ecc). Non appena il loro
accumulo raggiunge un certo spessore, il materiale che si trova nella parte
inferiore viene pressato dal peso degli strati sovrastanti. Tale processo è
appunto chiamato compattazione. Se i sedimenti vengono cementati da
sostanze minerali che precipitano chimicamente dalla soluzione circolante nei
pori tra i singoli clasti, tale processo è chiamato cementazione. Cementazione e
compattazione sono appunto due forme di diagenesi, che dà luogo alla roccia
sedimentaria. Le rocce sedimentarie rappresentano meno del 10% in volume
dei primi 16 Km di crosta. Tuttavia, l'importanza di questo gruppo di rocce è
notevole visto che costituiscono il 75% delle rocce che affiorano in superficie.
- Rocce metamorfiche. Il processo metamorfico, o metamorfismo, comporta la
trasformazione allo stato solido di rocce preesistenti. Una roccia metamorfica si
può infatti formare da una roccia ignea, sedimentaria, o da una stessa roccia
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metamorfica. Il cambiamento di forma della roccia è provocato da innalzamenti
di temperatura e da pressioni molto elevate. Questi cambiamenti ambientali
coinvolgono sia la struttura mineralogica che la composizione chimica della
roccia. In alcuni casi la roccia subisce solo dei modesti cambiamenti, in altri si
può arrivare ad un cambiamento radicale: qualora, però, si arrivi una sua nuova
fusione si tornerebbe a parlare di roccia ignea. Perchè si possa parlare di
metamorfismo la roccia deve rimanere allo stato solido. Le rocce che si trovano
in queste condizioni sono quindi piuttosto calde e si comportano in modo
plastico durante la deformazione Le rocce metamorfiche si formano a profondità
variabili da alcuni Km fino al confine del mantello, ed a temperature comprese
tra 150-200°C e 600°-800°C e valori di pressioni generalmente elevate.
2.5 La dinamica esogena
Per “dinamica esogena” si intendono tutti quei fenomeni che avvengono sulla
superficie di contatto fra lo strato esterno della litosfera con atmosfera e idrosfera.
Questa superficie è sede di tutta una serie di processi geomorfologici che modificano il
paesaggio, ovvero la fisionomia stessa del territorio.
Gli agenti modellatori del paesaggio si possono distinguere in “endogeni” (di cui è
già parlato, come fenomeni tettonici, sismici e vulcanici, che creano rilievi ed altre
formazioni caratteristiche) ed “esogeni”, che operano sui rilievi determinando
fenomeni di erosione, trasporto e deposito. I processi esogeni possono essere
considerati sia “distruttivi”, demolendo rilievi ed altre geostrutture, o costruttivi,
originando, ad esempio, forme d’accumulo (cordoni litorali, cumuli morenici, dune
ecc.)
Gli agenti principali del modellamento sono mossi da forze esogene,
principalmente riconducibili alla gravità ed all’energia solare: la prima fa muovere
verso il basso le acque, depositare e compattare i sedimenti, franare i fianchi dei
rilievi, mentre la seconda innesca il ciclo dell’acqua, mette in moto i venti, crea in
generale le condizioni climatiche di una certa zona.
In ogni clima predominano alcune forme di degradazione fisica e/o chimica, di
accumulo o di erosione. Inoltre, anche il tipo di copertura vegetale e tutto il
biosistema insistente su un territorio può influenzare tale dinamica, ad esempio
proteggendo dall’erosione o avviando processi di alterazione chimica delle rocce.
In generale, il paesaggio è caratterizzato da tre componenti fondamentali: un
fattore strutturale o plastico (tipo di roccia, tipo di rilievo o di altra formazione
geostrutturale), un insieme di agenti di modellamento (forze endogene ed esogene,
componente idrografica, biosistema, venti, ecc.) e le condizioni climatiche
(temperature, precipitazioni, ecc.). Una costa a picco sul mare può essere generata da
una faglia su rocce arenacee (fattori strutturali), può subire scalzamenti erosivi e
processi di arretramento ad opera delle onde e della gravità (agenti del
modellamento), in ambiente litorale temperato (condizione climatica).
2.5.1 Processi di dinamica esogena. Come detto, le fasi della dinamica esogena
possono essere suddivise in erosione, trasporto e deposito.
2.5.1.a Erosione. In questa sede, vengono indicati insieme sia i processi di
disgregazione meccanica delle rocce (clastismo) che quelli di alterazione chimica. Nei
primi prevale l’azione fisica di frantumazione di tipi litologici compatti, nei secondi è
prevalente una azione chimica.
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I principali fenomeni erosivi di tipo meccanico sono:
- il crioclastismo, determinato dalle pressioni che esercita l’acqua quando congela
all’interno di pori e fessure della roccia. I frammenti rocciosi prodotti,
generalmente con spigoli vivi, la topografia è pianeggiante possono depositarsi
oppure, se interviene la gravità, sui pendii di una certa pendenza si
accumulano, in falde o coni, ai piedi dei versanti (azione di trasporto operata
dalla gravità). Le zone geografiche dove maggiore è l’intensità del crioclastismo
sono quelle con climi sub-polari marittimi (esempio l’Islanda) o quelle
temperate montane, quando in certe stagioni si verificano frequenti passaggi al
di sotto e al di sopra dello zero.
- il termoclastismo, che consiste nella frantumazione della roccia ad opera delle
variazioni di temperatura. Il riscaldamento diurno e il raffreddamento notturno
determinano fenomeni di dilatazione e contrazione termica che nel tempo
portano alla frammentazione della roccia. L’intensità di questo processo dipende
dalla frequenza ed entità delle escursioni termiche che sono massime nelle
regioni desertiche e di alta montagna a scarso tasso di umidità atmosferica e
prive o quasi di vegetazione.
- l’idroclastismo è il processo di disgregazione delle rocce ad opera dell’acqua che
penetra nei pori della roccia e la sottopone a ripetute alternanze di
umidificazione ed essiccazione. L’ambiente litorale marino è particolarmente
sensibile a questo tipo di disgregazione.
- l’aloclastismo è un processo di frammentazione delle rocce ad opera di sali che
cristallizzano o si rigonfiano all’interno delle fessure rocciose. Le rocce che si
trovano presso i litorali marini sono quelle più soggette a questo processo.
- il bioclastismo indica la formazione di frammenti, detti bioclasti, in seguito
all’attività degli organismi viventi. Le piante attraverso le radici penetrano nel
terreno frazionandolo, gli animali scavano gallerie ecc.
- la deflazione è lo spogliamento delle rocce provocato dal vento, a volte
coadiuvato da particelle abrasive di sabbia (in questo caso è detta corrasione).
- l’erosione fluviale è un processo che può interessare ampie aree, che vengono
scavate dall’azione incessante delle acque che, insistendo con maggiore velocità
ed intensità soprattutto nella parte centrale dell’alveo, tendono a scavare
tipiche formazioni a “V” (valli fluviali)
- l’erosione glaciale, processo di escavazione sui fianchi rocciosi operato da
blocchi glaciali più o meno grandi che scivolano lungo le pendici per effetto della
gravità, operando solchi vallivi dalle forme più arrotondate ed aperte, ad “U”
(valli glaciali)
- l’abrasione marina è l’attività erosiva del mare, che si esplica soprattutto per
azione delle onde, ma anche delle maree e delle correnti, ovviamente solo nelle
zone costiere.
I principali fenomeni erosivi di tipo chimico sono:
- La soluzione è un processo di alterazione chimica ad opera dell’acqua che si
manifesta sui minerali solubili e sulle rocce che ne sono costituite. Tra i minerali
molto solubili possiamo ricordare il salgemma (NaCl), meno solubili l’anidrite
(CaSO4) e il gesso (CaSO4 x 2H2O). I carbonati di calcio sono insolubili, tuttavia
in particolari condizioni vengono trasformati in bicarbonati che invece lo sono.
- l’anidride carbonica (CO2), gas presente nell’aria e nel suolo, può sciogliersi
nell’acqua piovana e in quella circolante nel terreno, determinando la
formazione dell’acido carbonico: questo può attaccare i carbonati calcite e
dolomite e trasformarli in bicarbonati. In forma semplificata si può scrivere
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-
-
-
-
questa reazione nel modo seguente: CO2+H2O+CaCO2 ↔ Ca(HCO3)2 La doppia
freccia indica che la reazione può procedere sia verso destra con formazione del
bicarbonato e relativo trasporto in soluzione, che verso sinistra con
rideposizione della calcite. Si producono fenomeni di erosione con cavità e
solchi di soluzione, oppure processi di deposizione sotto forma di incrostazioni,
cementazioni, sculture naturali (stalattiti, stalagmiti, ecc). Questi fenomeni
danno luogo al carsismo.
l’idrolisi è uno dei più importanti fenomeni di alterazione chimica, che trasforma
rocce ricche di silicati. Questi minerali vengono infatti attaccati dall’acqua e
scomposti in minerali solubili, che sono trasportati dall’acqua di circolazione, e
in altri insolubili che rimangono a formare prodotti residuali sul posto. È questo
uno dei modi di formazione delle argille.
l’idratazione è un processo tipico di alcuni sali inorganici che aumentano di
volume e cambiano la loro forma cristallina assumendo acqua. Tipico il caso
dell’anidrite, cioè solfato di calcio anidro (CaSO4) che assumendo acqua si
trasforma in gesso, ovvero solfato di calcio biidrato (CaSO4.2H2O). Il processo
comporta un aumento di volume dei minerali, che provoca una fessurazione o
una deformazione delle rocce che li contengono.
l’ossidazione è una reazione chimica di alcuni minerali con l’ossigeno presente
nell’atmosfera e nell’acqua, ne risulta la produzione di ossidi e idrossidi; tra i
più importanti ricordiamo quelli del ferro e del manganese che determinano,
nelle rocce alterate, caratteristiche colorazioni giallastre, rossastre, nere, brune
o ruggine.
le azioni biochimiche sono processi legati alla presenza degli organismi viventi
che oltre a processi meccanici determinano anche fenomeni di tipo chimico.
Esse arricchiscono il terreno di sostanze organiche e producono acidi che
intaccano chimicamente la roccia.
2.5.1.b Trasporto. L’azione di trasporto dei sedimenti più meno grandi può essere
effettuata da una varietà di agenti: l’acqua dei fiumi, i venti e le correnti d’aria, i
ghiacciai, le correnti marine e le maree. I processi di trasporto possono avvenire
sostanzialmente in due modi: nel primo, il mezzo trasportante e i sedimenti sono
indipendenti (ad esempio, il trasporto di sabbie e altri sedimenti operato dai fiumi o
dalle correnti marine), che viene definito trasporto particellare; nel secondo, il
sedimento e il mezzo trasportante hanno un comportamento d'insieme, come di unico
corpo (ad esempio, le frane di fango, le correnti di torbida), che viene definito
trasporto di massa.
Di tutti i processi, il più importante è quello operato dall’acqua, in particolare
dall’attività fluviale. Tale trasporto può essere operato in soluzione, in sospensione e
sul fondo, secondo le dimensioni e le caratteristiche dei sedimenti. I ciottoli più grandi,
trasportati per rotolamento, strisciamento e saltazione sul fondo del fiume, perdono
gli spigoli aguzzi, vengono arrotondati ed appiattiti. La capacità di trasporto dell’acqua
varia in base all’energia della corrente. Nel primo tratto, il fiume ha pendenze e
velocità notevoli, per cui riesce a trasportare detriti anche di grandi dimensioni
insieme alle sostanze in soluzione e sospensione. Con il diminuire della corrente, la
capacità di trasporto diminuisce, con conseguenze anche nella successiva fase di
deposizione.
Un agente di trasporto altrettanto importante è il ghiaccio, ovvero le grandi masse dei
ghiacciai che scivolano per gravità delle pendici dei rilievi. Come già detto, essi
operano una potente attività di erosione, ma sono anche formidabili mezzi di
trasporto di grandi quantità di detriti, tra cui fango (limo glaciale), sabbie, ghiaie,
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detriti grossolani e addirittura enormi blocchi di roccia (massi erratici). Tali cumuli
detritici glaciali prendono il nome di morene, e possono essere trasportati dal fronte
del ghiacciaio (m. frontali), dai lati dello stesso (m. laterali) o anche sul fondo (m. di
fondo).
2.5.1.c Deposizione. In tutti i casi di trasporto sopra citati, la conseguente
deposizione delle particelle avviene quando il mezzo trasportante rallenta il suo moto,
a tal punto da non essere più in grado di sostenere anche il movimento dei sedimenti
(a maggior ragione se si arresta del tutto). Questi infatti, per gravità, abbandonano il
mezzo che li aveva fin li trasportati e si accumulano l'uno sopra l'altro sul fondo del
fiume o del bacino, oppure rimangono in situ dopo che l’agente di trasporto è
scomparso (es. con la fusione del ghiacciaio). Tale fenomeno può avvenire anche in
presenza di trappole o bacini di sedimentazione, ovvero luoghi di accumulo privilegiato
dei sedimenti (fondovalle, allargamenti di alvei fluviali, laghi o il fondo del mare) in
fondo ai quali si stratificano i sedimenti che possono poi anche andare incontro a
diagenesi.
Ogni anno i fiumi trasportano miliardi di tonnellate di sedimenti. La loro deposizione
(depositi alluvionali) segue un ordine selettivo, secondo la granulometria degli stessi
frammenti. I detriti più grossolani e di maggiori dimensioni vengono depositati per
primi, sul fondo del letto fluviale o ai lati. Quando il corso d'acqua abbandona le alte
quote e i rilievi più scoscesi, il pendio (gradiente) decresce gradualmente e la corrente
non ha più la forza di trasportare neanche i ciottoli più grossi, ma soltanto ghiaia,
sabbia, limo. Nei bassopiani l’acqua del fiume decresce di velocità, aumentando il
deposito di sabbia e fango ai propri lati. Di conseguenza vengono a costituirsi con il
tempo delle barriere naturali (argini) su entrambe le sponde.
Quando un fiume trasporta grandi quantitativi di sedimenti fino allo sbocco nel mare,
in un lago o in un fiume più grande, generalmente crea un delta, ovvero una distesa
più o meno ampia di terreno alluvionale. Presso il delta il fiume si apre a ventaglio,
disperdendosi nelle sue stesse alluvioni e dividendosi in numerosi canali secondari,
che cercano uno sbocco attraversando la superficie dei sedimenti accumulati. La
presenza di un delta provoca sempre un progressivo spostamento della linea di costa,
che si inoltra nel mare estendendo il confine della terraferma. Il lungo e protratto
deposito alluvionale di grandi bacini fluviali porta alle formazione di pianure alluvionali
anche molto estese (es. Pianura Padana). Gran parte dei fiumi però non trasporta
sedimenti sufficienti a costituire un delta, ma sfocia nel mare con un estuario: si tratta
d'una zona di transizione nella quale l'acqua dolce del fiume si unisce e si mescola con
quella salata del mare sotto l'azione delle maree. Gli estuari costituiscono gli habitat di
varie specie di animali e forniscono siti ben riparati dove molto spesso vengono creati
i porti.
La deposizione dei sedimenti morenici portati dai ghiacciai, invece, forma cumuli
anche di notevoli dimensioni che evidenziano una tipologia di detriti spesso
eterogenea, secondo l’area di provenienza dei sedimenti. La forma di deposito è
spesso rappresentata da un anfiteatro morenico, formato da archi quasi concentrici
(cordoni frontali) con cumuli laterali e centrali (cordoni laterali e docce
intermoreniche), depositati dal ghiaccio in avanzamento ed arretramento a fasi
intermittenti, a seconda dell’andamento climatico che ha determinato la scomparsa
della lingua glaciale. Spesso questi anfiteatri contengono laghi glaciali, anche di
notevole estensione.
Le maggiori quantità di sedimenti, tuttavia, si depositano sui fondali marini, dove
pervengono le maggiori quantità di detriti trasportati dai fiumi. Tali materiali possono
essere trasportati delle correnti e dalle maree anche a notevole distanza dalla costa,
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per poi precipitare sui fondali, oppure essere ridepositati lungo i litorali formando le
spiagge ed anche accumuli paralleli alle rive chiamati cordoni litoranei.
In tutti gli ambienti di deposizione potranno quindi formarsi strati sedimentari,
potenzialmente soggetti a successiva diagenesi, il cui studio può offrire interessanti
spunti di indagine sulla storia che ha contrassegnato un determinato territorio. Tali
strutture possono poi essere sottoposte di nuovo a deformazioni di origine tettonica
(endogena) che possono ulteriormente trasformarli, in un processo ricorrente ed
infinito di modellamento del paesaggio.
Bibliografia
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Loescher Editore, Torino 2008
- Ingaramo, A. (2007) Natura imprevedibile e imprevidenza umana. Le Scienze
Naturali nella Scuola, 31(II - Anno XV), pp. 7-16.
- Lupia Palmieri, E., Parotto M. (2008) Il globo terrestre e la sua evoluzione.
Zanichelli Editore, Bologna 2008
Sitografia
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http://www.geoitalia.org/
- Sito Ufficiale della Società Geologia Italiana http://www.socgeol.it/
- U.S. Geological Survey Earthquake Hazards Program http://earthquake.usgs.gov/
- Space Science and Engineering Centre. Volcano Watch
http://www.ssec.wisc.edu/data/volcano.html
- Smithsonian National Museum of Natural History. Worldwide Holocene Volcano and
Eruption Informations. Global Volcanism Program. http://www.volcano.si.edu/
- International Mineralogical Association http://www.ima-mineralogy.org/
- Istituto Museo di Storia della Scienza (Firenze) http://www.imss.fi.it/
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