Principi base - Medri Giovanni Fisioterapista

MANIPOLAZIONE FASCIALE
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Luigi Stecco
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PRINCIPI DI BASE
Il termine fascia indica spesso formazioni del tessuto connettivo molto diverse tra loro e
con funzioni differenti. Occorre quindi definire per primo il significato di fascia superficiale,
fascia profonda e fascia epimisiale.
Queste formazioni connettivali sono disposte a
strati(Fig.1); procedendo dall’esterno all’interno
del tronco, troviamo:
1) la cute, formata dall’epidermide e dal
derma;
2) lo
strato
superficiale
dell’ipoderma,
formato dal connettivo lasso ricco di
cellule
adipose
e
intersecato
dal
retinaculum cutis superficiale;
3) la
fascia
membranoso),
superficiale
formata
(strato
da
fibre
collagene e fibre elastiche;
4) lo strato profondo dell’ipoderma, formato
dal connettivo lasso e dal retinaculum
cutis profondo;
5) la fascia profonda che contiene al suo
interno i muscoli larghi del tronco e le
Figura 0. Suddivisione macroscopica delle fasce.
fibre aponevrotiche degli arti;
6) la fascia epimisiale che negli arti si nasconde sotto quella profonda;
7) la gabbia toracica, la pelvi e al loro interno le fasce viscerali.
Prima di esaminare nei dettagli la fascia superficiale, sono presentati i diversi tessuti
biologici con cui si interagisce durante la Manipolazione Fasciale.
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I tessuti
Il tessuto connettivo propriamente detto comprende il tessuto connettivo lasso e il
tessuto connettivo denso.
Il tessuto connettivo lasso è abbondante al
disotto della cute (ipoderma o tessuto
connettivo sottocutaneo, ricco di cellule
adipose) e negli spazi fra i muscoli.
Il tessuto connettivo fibroso può essere
suddiviso in regolare e irregolare, a seconda
della disposizione delle fibre collagene che
si trovano al suo interno. Nel primo caso i
fasci delle fibre collagene sono paralleli tra
Figura 0 Fibre collagene del lacertus fibrosus.
loro, stipati ed inestensibili con funzione di
trasmettere la forza muscolare, come troviamo nei tendini e nelle aponeurosi (Fig.2) . Nel
secondo caso i fasci di fibre collagene possono essere parallele e sovrapposte in più strati
come troviamo nei retinacoli e nella fascia
profonda
degli
arti,
oppure
parallele
ondulate (Fig.3) ed estensibili in grado di
trasmettere
una
lieve
tensione
come
vediamo nelle fasce epimisiali e nella parte
esterna delle fasce degli arti.
Il
tessuto
muscolare
scheletrico
è
costituito da un insieme di fasci di fibre
muscolari associati tra loro per mezzo del
Figura 0 Fibre ondulate della fascia posta fra le cellule
adipose e le fibre muscolari del quadricipite.
tessuto connettivo, che forma quindi lo
scheletro connettivale del muscolo.
Il tessuto nervoso è formato da due tipi di cellule: i neuroni, che sono le cellule
specializzate per ricevere e trasmettere gli impulsi nervosi, e le cellule delle glia
(nevroglia), che svolgono importanti funzioni di supporto per i neuroni. Esiste anche uno
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stroma connettivale, essenziale per la sopravvivenza del tessuto nervoso. Nel preparato
istologico (Fig.4) si vede la sezione di un nervo
mentre passa in mezzo alla fascia brachiale; in
questo caso la fascia forma una guaina di
isolamento
che
protegge
il
nervo
dagli
stiramenti circostanti. Quando invece il nervo
sfiocca nei suoi recettori finali, ecco allora che
molte fibre collagene si uniscono alla capsula
nervosa o alle terminazioni nervose libere per
Figura 0 Nervo all’interno della fascia.
poterle stirare durante il movimento.
Fascia superficiale
Il sottocutaneo o ipoderma può essere suddiviso in tre strati (Fig.5): uno superficiale , uno
intermedio
o
fascia
superficiale
e
uno
profondo. Nel primo ci sono fasci di fibre
collagene, detti anche legamenti cutanei, che
vanno dal derma allo strato intermedio. Le
cavità circoscritte da questi setti trasversi
contengono lobuli adiposi (pannicolo adiposo).
Figura 0 Schema del tessuto connettivo lasso
sottocutaneo visto in sezione trasversa.
L’insieme di questi legamenti, o setti trasversi,
forma il retinaculum cutis. Lo strato intermedio,
o strato membranoso, o tela sottocutanea, ha le fibre disposte quasi parallele alla cute
tanto da formare una vera fascia lamellare (fascia superficialis).
Lo strato profondo è molto sottile e consiste in tessuto connettivale lasso di scorrimento.
Anche a tale livello esistono dei setti connettivali che collegano la fascia superficiale e
quella profonda (retinaculum cutis profondus), essi sono però più radi, sottili e con una
inclinazione più obliqua a quelli formanti il retinaculum cutis superficialis.
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Fascia profonda
La fascia profonda si distende sotto la fascia superficiale. Con la sua parte esterna essa si
distende in modo uniforme in tutto il corpo, con la sua faccia interna si collega con i
muscoli sottostanti (fig.6). Questo collegamento è diverso nel tronco rispetto quello degli
arti.
Figura 6 Continuità delle fibre muscolari con
l’endomisio e la fascia epimisiale.
Fisiologia delle fasce
La fisiologia delle fasce non è comprensibile se non la si esamina assieme al muscolo.
La fascia superficiale permette:
a)ai muscoli di contrarsi scorrendo sotto la pelle. Quando una cicatrice da ustione fa
aderire la pelle alla fascia muscolare, il movimento è compromesso;
b)la separazione fra la percezione cutanea (esterocezione) e quella della fascia profonda
muscolare (propriocezione);
c)l’azione di più muscoli posti in serie e che attuano lo spostamento di un arto nella stessa
direzione (sequenza miofasciale).
La sincronia motoria di muscoli posti in segmenti diversi è gestita dalle loro inserzioni sulla
fascia profonda.
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I CENTRI DI COORDINAZIONE
La metodica che qui si propone trova la sua spiegazione in due aspetti fondamentali della
fascia:
1) recenti ricerche danno alla fascia un ruolo fondamentale nella coordinazione e
propriocezione (Huijing P, 2001) e quindi nel controllo posturale e gestuale;
2) la fascia è il tessuto più plastico (modifica la sua consistenza se sovrastimolato) ed
è il tessuto più malleabile (ritorna all’elasticità fisiologica se manipolato).
L’unità mio-fasciale
Recenti esperimenti (Smeulders M, 2005) hanno dimostro che il 37% della forza
muscolare è trasmessa alle strutture adiacenti
e non solo al tendine di inserzione. La fascia
collega in parallelo tutte le unità motorie che
agiscono
su
unica
articolazione.
Nelle
dissezioni noi vediamo che la realtà anatomica
è diversa da quella disegnata in alcuni atlanti;
infatti in questi (Fig.7) sono tralasciati tutti i
ponti di fibre collagene che vanno dalla fascia
di un muscolo a quella del muscolo vicino.
Dalla faccia interna della fascia partono
numerosi setti che si collegano con la fascia
epimisiale, la quale a sua volta si continua con
il perimisio e questo con l’endomisio. Anche
Huijing afferma: ”Si conclude che il tessuto
Figura 7 Dopo aver sezionato e uncinato in fuori la
fascia lata della regione anteriore della coscia, si
notano numerose aderenze epimisiali.
connettivo
extramuscolare
ha
una
stretta
connessione con il connettivo intramuscolare
tale da essere in grado di trasmettere forze”.
La fascia non si limita a collegare passivamente queste fibre muscolari, ma interagisce
attivamente sui fusi neuromuscolari; questi essendo inseriti sull’endomisio, vengono stirati
passivamente quando il muscolo viene allungato e trazionano attivamente l’endomisio
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quando le fibre nervose gamma attivano i muscoli intrafusali (Baldisserra F. 1996). Solo un
sistema fasciale elastico permette questo adattamento, cioè permette alla fascia di
assecondare lo stiramento dei fusi e quindi di accorciarsi e di chiudere il circuito alfagamma.
Fisiologia dell’unità mio-fasciale
L’impulso nervoso che colpisce un’unità motoria attiva tutte le fibre muscolari ad esso
connesse; nella realtà queste fibre non si contraggono tutte assieme in contemporanea,
ma si attivano in base ai gradi dell’articolazione da loro mossa. Ci deve essere all’interno
di ogni unità mio-fasciale (mf) una retroazione continua: a seconda del grado articolare si
ha una diversa tensione della fascia e questo determina un suo diverso adattamento allo
stiramento dei fusi con un diverso reclutamento delle fibre muscolari collegate.
Affinché ci sia una sincronia fra tutte le fibre muscolari che spostano un’articolazione in
una direzione, ci deve essere anche un punto di riferimento unico: questo punto a cui
fanno riferimento tutti i fusi neuro muscolari, collegati ad uno specifico settore di fascia, si
chiama centro di coordinazione (cc). Riassumendo possiamo dire che l’unità miofasciale è formata dalle unità motorie coinvolte nello spostamento di un segmento in una
specifica direzione e dalla sovrastante fascia. Nella fascia, che si collega alle fibre
muscolari di ogni unità mio-fasciale (mf), troviamo il centro di coordinazione (cc), mentre
nella fascia stesa sopra l’articolazione troviamo il centro di percezione (cp).
Ogni centro di coordinazione ha una collocazione ben precisa in tutti gli esseri umani, in
quanto esso si localizza nel punto dove convergono le trazioni sulla fascia delle unità
motorie coinvolte in uno specifico movimento. Il centro di percezione si localiza
nell’articolazione mossa dall’unità mio-fasciale. Quando la fascia contenente il centro di
coordinazione si densifica, si ha una scoordinazione motoria con irritazione dei nocicettori
articolari (area del dolore riflesso). In questo caso il cc diventa l’origine del dolore e
l’articolazione (cp) è il punto dove si manifesta il dolore (conseguenza).
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Dolore riflesso e centro di percezione
Il trigger point o centro di coordinazione (cc) determina un’afferenza nocicettiva, che attiva
una scarica nervosa, con conseguente contrazione della catena muscolare a cui
appartiene il cc (Fig.8). Questa contrazione muscolare riflessa antalgica non è ben
Figura 8 Relazione del punto trigger con la zona di proiezione del dolore. La compressione del CC crea
un dolore con conseguente contrattura antalgica e distrazione delle terminazioni nervose articolari.
coordinata, in quanto la fascia è densificata e di conseguenza la sua azione
sull’articolazione è fuori asse. I recettori periarticolari, non essendo stirati secondo linee
fisiologiche, mandano un’afferenza nocicettiva. I nervi che conducono la sensazione
dolorosa, non rientrano nello stesso punto dove è localizzato il cc, ma nel segmento
connesso con l’articolazione mossa in forma anomala (cp). Se la fascia che contiene il cc
è elastica, cioè in situazione normale, la compressione del cc non determina dolore e
contrazioni antalgiche, ma da solo la sensazione tattile locale.
In presenza di un dolore articolare non si deve trattare l’articolazione (area del dolore
riflesso), ma si deve risalire al suo motore (muscolo contenente il cc). Il dolore miofasciale
è il disturbo più frequente dell’apparato locomotore, ciononostante esso è poco
considerato in campo medico. Ad esempio in presenza di un dolore di spalla si comincia
con la radiografia per escludere microfratture, poi si passa all’ecografia per escludere la
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borsite calcarea, si passa quindi alla risonanza magnetica per vedere se ci sono lesioni
alla cuffia dei rotatori. Se questi esami sono negativi, allora si fa la densitometria ossea
per escludere la decalcificazione; assieme a queste indagini si eseguono sempre gli esami
di laboratorio per escludere processi infettivi o maligni… Nel frattempo il nostro paziente
continua a soffrire; se invece fosse stato sottoposto subito alla manipolazione fasciale,
facilmente il suo dolore si sarebbe risolto e quindi si sarebbe fatta subito la diagnosi di
dolore mio-fasciale. Qualsiasi fisioterapista, che dopo due o tre sedute non ottiene una
variazione della sintomatologia, invierà il paziente ad altri specialisti per ulteriori indagini.
IL TRATTAMENTO DEI CC
Una seduta di manipolazione fasciale segue un
protocollo ben preciso. Prima occorre raccogliere i dati:
sede del dolore del paziente e movimento doloroso. Il
paziente spesso, invece di riferire il suo dolore, riporta
la diagnosi del medico. La diagnosi fa riferimento al
danno articolare. La manipolazione non può modificare
il danno anatomico, ma può agire sulla disfunzione che
genera il dolore articolare. Per questo motivo una volta
registrata la diagnosi medica, occorre procedere ad
una valutazione funzionale del problema e solo dopo
aver impostato un piano terapeutico si passa al
trattamento. Fondamentali sono la verifica motoria e la
verifica palpatoria.
La verifica motoria serve per evidenziare l’unità
miofasciale compromessa, per questo occorre far
Figura 9 Unità miofasciale di extrascapola: a) sede del dolore e sua
origine b) verifica motoria c)
trattamento.
muovere l’articolazione sofferente nei tre piani dello
spazio. La verifica palpatoria deve essere eseguita sui
cc delle unita mf che erano risultate dolenti alla verifica
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motoria, punto di origine della sintomatologia. Questo punto normalmente è silente, cioè
non manifesta dolore spontaneo dove si localizza; esso è dolente se viene compresso. La
palpazione spesso trova due alterazioni:
•
la presenza di una rugosità del tessuto connettivo (fascia);
•
la presenza di fibre muscolari tese o contratte.
La densificazione o rugosità della fascia si crea come conseguenza di traumi, stiramenti,
sovrauso (posturale o lavorativo); la contrattura muscolare si crea invece come
conseguenza dell’alterazione del circuito alfa-gamma. In fase acuta, ad esempio nel colpo
della strega, sono molto più evidenti le contratture muscolari; in fase cronica è più
reperibile la rugosità. Quando si va a trattare un cc con le due alterazioni non si deve
mirare a rilasciare le contratture muscolari, ma a fluidificare la fascia; il tono muscolare si
normalizza quando le afferenze fasciali sono normali e non più nocicettive.
Il trattamento è rivolto a punti ben precisi della fascia. Solo la manipolazione di un’area
ristretta può trasformare l’attrito in calore e quindi modificare la consistenza della sostanza
fondamentale della fascia, che è termosensibile. La manipolazione fasciale agisce di volta
in volta su tessuti diversi:
•
mobilizza l’ipoderma o connettivo lasso sottocutaneo;
•
modifica la consistenza della sostanza fondamentale della fascia profonda;
•
ripristina lo scorrimento fra le fibre collagene endofasciali;
•
rompe le aderenze fra i vari strati delle fasce profonde del tronco;
•
ricrea l’elasticità dello scheletro connettivale del muscolo (epimisio, endomisio).
Indicazioni e controindicazioni
Molto spesso sia medici che pazienti chiedono se la manipolazione fasciale può essere
utile per risolvere una determinata patologia oppure se essa può creare danni. Le
indicazioni di queste metodiche comprendono ogni tipo di disfunzione dell’apparato
locomotore. Si sottolinea il termine “disfunzione” in quanto la fascia interviene nelle
funzioni motorie sia dei muscoli volontari che involontari (Schleip R, 2006), ma non è
efficace nei casi di danno e alterazione strutturale. Questo non vuol dire che la
manipolazione fasciale sia un palliativo, anzi essa è valida per molti dolori che altrimenti
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verrebbero trattati solo con analgesici. Il dolore è lo strumento che il corpo utilizza per
indicare che una sua parte è in disfunzione; se non interveniamo in questa prima fase,
l’uso anomalo di un’articolazione o di un organo evolve verso l’artrosi o verso la fibrosi
tissutale, con danni che sono poi riparabili solo chirurgicamente. La controindicazione
principale della manipolazione fasciale è la scarsa preparazione del fasciaterapeuta. Se
questi conosce bene l’anatomia, sa dove premere e quanto premere per non lesionare i
tessuti nobili, quali i nervi o i vasi. Quando il fasciaterapeuta fa i suoi primi trattamenti,
come qualsiasi persona che si avvicina alla terapia manuale, ha poco sviluppato la
sensibilità tattile e quindi è indotto a investire più forza del necessario. Con l’esercizio
capisce che una volta individuato il punto giusto, deve premere con la minor forza
necessaria per arrivare alla fascia profonda e poi aspettare con pazienza la modifica
improvvisa della sua consistenza.
Liberamente tratto da:
Manipolazione Fasciale – parte pratica, Luigi e Carla Stecco, 2007, Piccin.
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