RICERCA
Il vettore dell’infezione virale
CHIK è Aedes aldopictus,
comunemente chiamata
“zanzara tigre”
(Seconda parte)
COMMIPHORA ERYTHRAEA
Isolamento e determinazione
di furanosesquiterpeni ad attività antivirale
Dopo l’analisi fitochimica dell’oleoresina presentata il mese scorso, nella seconda parte dell’articolo saranno prese in considerazione alcune problematiche relative alle infezioni virali
e le azioni biologiche dei composti presenti in Commiphora sui virus specifici.
* Laura Consalvi
er quanto riguarda le infezioni virali queste hanno assunto negli ultimi anni importanza sempre maggiore soprattutto in soggetti a rischio. L’entità dell’infezione spesso dipende da vari
fattori come l’età di un individuo, il
P
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suo stato immunitario, le condizioni generali dell’ospite.
L’età di un individuo è un fattore
importante nel determinare la
suscettibilità a una infezione virale. I neonati, i bambini, gli adulti e
gli anziani sono suscettibili a virus
diversi e mostrano risposte diverse
all’infezione dal punto di vista sintomatologico. Questo può derivare
da differenze di peso, di caratteristiche tissutali, di capacità di recupero ma soprattutto dalla diversità
dello stato immunitario. Per esempio i bambini acquisiscono una
serie di malattie virali respiratorie
perché non sono mai stati esposti a
esse in precedenza e sono pertanto
immunologicamente vergini nei
loro confronti. I bambini più pic-
coli sono particolarmente suscettibili a sviluppare forme più gravi di
infezioni respiratorie. Gli anziani
invece sono particolarmente
suscettibili alle infezioni virali primarie e alla riattivazione di virus
latenti. Dal momento che questi
sono meno pronti nell’avviare
nuove risposte immunitarie e nel
riparare i danni a carico dei tessuti, sono anche i più suscettibili
a nuovi ceppi di virus influenzali
A e B.
La storia immunitaria di un individuo è un altro fattore di fondamentale importanza perché da essa
dipende la velocità e l’efficienza
con cui una infezione virale viene
risolta. Individui che per esempio
si trovano in uno stato di immunodepressione a causa di una sindrome da immunodeficienza acquisita, cancro o terapia immunosoppressiva sono ad alto rischio di
incorrere in forme più gravi di
infezioni e con più frequenza si
manifestano virus latenti.
Anche il patrimonio genetico di
una persona gioca un ruolo importante nel determinare la risposta
del sistema immunitario alle infezioni virali (1).
Le sedi più comuni di infezioni
sembrano essere le vie respiratorie. I virus si diffondono attraverso
gocce di aerosol, cibo, acqua e saliva; attraverso contatto stretto e
attraverso le mani. Sintomi respiratori simili possono essere causati da numerosi virus. Per esempio,
una bronchiolite può essere causata dal virus respiratorio sinciziale
o dal virus parainfluenzale. Al contrario un solo virus può essere
anche la causa di sintomi diversi in
persone diverse, per esempio in
alcuni individui il virus dell’influenza può causare un’infezione
lieve delle alte vie respiratorie, in
altri una polmonite pericolosa per
la vita. Sia la faringite che il raffreddore possono essere causati da
adenovirus, virus dell’influenza,
virus della parainfluenza e virus
respiratorio sinciziale.
Nei neonati e nei bambini il virus
parainfluenzale è la causa più
comune di infezioni alle basse vie
respiratorie, dopo il virus respiratorio sinciziale e forse dopo il
metapneumovirus (hMPV) (2).
Tra i patogeni di origine virale
diversi membri della famiglia dei
paramyxovirus, incluso il virus
parainfluenzale di tipo 3 (PIV 3),
sono stati riconosciuti come la
causa maggiore di tali infezioni
(3). Le infezioni delle basse vie
respiratorie sono le cause principali della morbosità e della mortalità infantile durante i primi anni
di vita negli Stati Uniti e nei bambini di 6 anni nei paesi in via di sviluppo (4). Mentre le infezioni delle
alte vie respiratorie sono molto
frequenti ma raramente mettono
la vita in pericolo, le infezioni alle
basse vie respiratorie sono responsabili di molte patologie gravi
come influenza, polmonite, tubercolosi e bronchiolite che contribuiscono principalmente alla mortalità legata alle infezioni respiratorie acute (5). Le reinfezioni con
alcuni virus parainfluenzali possono mettere la vita in pericolo (6),
di solito nei giovani adulti possono
manifestarsi con un’infezione lieve
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del tratto respiratorio superiore,
ma possono causare seri problemi
nei soggetti immunocompromessi
(7).
Il virus dell’influenza è probabilmente il virus maggiormente
conosciuto e più temuto tra i
comuni virus respiratori per il
fatto che annualmente si può verificare la diffusione di nuovi ceppi
di virus in popolazioni prive di cellule della memoria specifica. I
bambini e gli anziani sono sempre
quelli maggiormente colpiti, i
primi perché sono universalmente
suscettibili di nuovi ceppi virali, i
secondi perché non sono capaci di
attivare una risposta immunitaria
che sia efficace.
Un altro problema delle infezioni
virali è legato al fatto che un nuovo
ceppo virale può essere causa di
epidemie e pandemie. Per esempio
pandemie di influenza A si sono
verificate approssimativamente
ogni 10 anni come risultato della
comparsa di un nuovo ceppo virale. Inoltre, recenti evidenze indicano i virus respiratori come possibili fattori di rischio nella induzione
di reazioni croniche di rigetto di
trapianti di polmone (8).
I farmaci disponibili per la terapia
specifica delle infezioni virali sono
in numero limitato. Per quanto
riguarda le infezioni del tratto
respiratorio, le poche sostanze
attualmente disponibili che presentino efficacia antivirale sono
soprattutto analoghi dei nucleotidi
(antimetaboliti) in grado di inibire
la sintesi dell’acido nucleico virale.
Queste sostanze sono caratterizzate da una elevata attività antivirale
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Fornitura capsule gelatina molle
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accompagnata, tuttavia, da imponenti effetti collaterali. La
Ribavirina, analogo nucleotidico, è
impiegata nelle infezioni da virus
respiratorio sinciziale (RSV) (9) e
da virus parainfluenzali (10), tuttavia presenta un alto grado di tossicità e, in caso di somministrazione orale, può provocare anemia
(11). Ribavirina e Cidofovir sono
impiegati nelle infezioni da adenovirus nei pazienti immunodepressi, ma stanno emergendo ceppi
virali resistenti (12). Per quanto
riguarda i virus influenzali la resistenza ai farmaci inibitori della
neuraminidasi, in particolare
Oseltamivir, è stata spesso osservata (13) anche durante la recente
pandemia influenzale da virus A
(H1N1) (14).
Il virus parainfluenzale di
tipo 3 (PIV 3)
Il virus PIV3 è un membro della
famiglia dei Paramixovirus. I virioni di questa famiglia inducono
fusione intercellulare con formazione di sincizi e di cellule giganti
multinucleate. I virus parainfluenzali causano, principalmente nei
bambini, infezioni del tratto
respiratorio superiore e inferiore
quali faringite, laringotracheobronchite, bronchiolite e polmonite che possono anche essere
letali nei neonati.
I paramixovirus sono virus a RNA
monocatenario a polarità negativa,
sono dotati di envelope contenente una proteina di attacco virale
HN (che è la glicoproteina maggiore) con attività emoagglutinante e
neuramminidasica e una proteina
di fusione F (che è la glicoproteina
minore) che promuove la fusione
tra la membrana del virus e della
cellula ospite.
Nel nucleocapside troviamo associate anche la nucleoproteina
(NP), la fosfoproteina polimerasi
(P) e la proteina grande (L).
Rispetto ai virus dell’influenza, il
loro genoma è più grande e non è
segmentato. Il nucleocapside è
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invece associato alla proteina della
matrice (M). La proteina F per
essere attivata e quindi promuovere la fusione, deve subire un taglio
proteolitico che produce due glicopeptidi, F1 e F2, legati da un ponte
disolfuro.
Il ciclo replicativo dei paramixovirus inizia con il legame di HN a
residui di acido sialico su glicolipidi della superficie cellulare, la proteina F poi promuove la fusione tra
l’envelope e la membrana citoplasmatica. Poco dopo inizia la replicazione del genoma virale. Al
momento dell’infezione, la RNA
polimerasi è già presente all’interno del nucleocapside. La trascrizione, la sintesi proteica e la replicazione del genoma avvengono nel
citoplasma della cellula ospite. Il
genoma viene trascritto in singoli
RNA messaggeri (mRNA) e in un
RNA a polarità positiva di intera
lunghezza. I genomi neoformati si
associano con le proteine L e NP a
formare i nucleocapsidi che, a loro
volta, si associano alle proteine M
inserite nella membrana citoplasmatica modificata dalle glicoproteine virali. I virioni maturi gemmano infine attraverso la membrana citoplasmatica ed escono dalla
cellula.
I virus inducono fusione intercellulare causando la formazione di
cellule giganti multinucleate. I
paramixovirus sono ubiquitari e la
trasmissione del virus avviene tramite aerosol o contatto interpersonale. L’immunità cellulo-mediata
causa la maggior parte dei sintomi
ma è anche essenziale per il controllo dell’infezione.
Il genere parainfluenzale contiene
4 sierotipi patogeni per l’uomo. I
tipi 1, 2 e 3 sono preceduti solo da
RSV come causa di infezioni gravi
del tratto respiratorio inferiore nei
neonati e nei bambini, il tipo 4
causa solo una lieve infezione delle
vie respiratorie superiori. I virus
parainfluenzali infettano le cellule
epiteliali delle vie respiratorie
superiori inducendo la formazione
di cellule giganti e la successiva lisi
cellulare. Questi virus non sono
sistemici quindi non causano viremia. Il virus infatti rimane nelle
alte vie respiratorie causando solo
sintomi simili al raffreddore. Nel
25% dei casi però il virus si diffonde nelle vie respiratorie inferiori e
nel 3% dei casi la malattia può
diventare una forma di laringotracheobronchite, soprattutto nei
bambini. Questa condizione porta
anche all’ingrossamento della
parte inferiore della glottide che
può ostruire le vie respiratorie. In
questi casi la maggior parte dei
bambini viene ricoverata entro 48
ore. L’infezione induce immunità
protettiva ma solo di breve durata.
È proprio questa breve durata
della protezione e la presenza di
diversi sierotipi che rendono la
reinfezione comune (23).
Per lo studio dell’attività antivirale
di Commiphora erythraea nei
confronti del PIV 3 è stato seguito
il metodo del frazionamento bioguidato che ci permette di indagare in base a test biologici solo le
frazioni più attive della resina.
A questo scopo l’estratto metanolico precedentemente descritto,
dopo evaporazione, è stato testato
nei confronti del virus PIV 3 in un
saggio che mette in correlazione
l’attività antivirale con la percentuale di riduzione delle unità formanti placca (UFP) di virus
parainfluenzali di tipo 3 (PIV 3) su
monostrati della linea cellulare
Hep-2.
Esperimenti preliminari sono stati
fatti per verificare la possibilità che
i differenti composti potessero
mostrare effetti tossici su monostrati della linea cellulare impiegata nei test di valutazione dell’attività antivirale.
I risultati degli esperimenti preliminari hanno indicato che l’estratto metanolico (M) della resina
della Commiphora erythraea
determinava una riduzione delle
UFP pari in media al 74.5%.
Per isolare la componente attiva
responsabile dell’attività biologica
abbiamo testato le due frazioni
ottenute dalla separazione cromatografica dell’estratto nelle condizioni già utilizzate per l’estratto M.
I dati sperimentali, riportati nella
Tabella 1, hanno indicato che la
maggior attività antivirale era
attribuibile alla frazione polare
M2, con una inibizione delle UFP
pari al 33.4%, rispetto alla frazione
M1 con una percentuale di inibizione del 9.7% (tabella 1).
I composti più abbondanti isolati
dalla frazione M2 sono stati testati
singolarmente.
Come si può vedere dai dati riportati in Tabella 1 i composti più attivi sono risultati essere il furanodienone 3 e il mirrhone 5, con una
capacità di inibire le unità formanti placca superiore al 50%, con la
Ribavirina, usata come controllo
positivo, che inibiva all’80%.
Per i composti più attivi è stato
calcolato l’indice di selettività (SI=
CC50/IC50,, Tabella 2).
Per indice di selettività si intende il
rapporto tra il valore della CC50
(concentrazione citotossica che
provoca la morte del 50% delle cellule infettate dal virus) e della IC50
(concentrazione inibente l’effetto
citopatico indotto dal virus sul
50% delle cellule infettate).
Questo parametro permette di
mettere in relazione l’effetto antivirale con la sua azione citotossica
e quindi viene usato per meglio
definire l’attività antivirale della
molecola osservata. L’SI mette
chiaramente in evidenza che il
furanodienone 3 è molto più attivo
del mirrhone 5 (tabella 2).
Il virus H1N1
Il virus dell’influenza A, sottotipo
H1N1, fa parte dei virus influenzali
della
famiglia
degli
Orthomyxovirus.
La
nuova
influenza A (H1N1) è una infezione virale acuta dell’apparato respiratorio con sintomi fondamentalmente simili a quelli classici del-
Tabella 1. Attività anti-PIV 3 dell’estratto, delle frazioni e dei composti isolati in base alla % di riduzione delle unità formanti placca (UFP) di virus PIV 3 su monostrati della linea cellulare Hep-2.a
Tabella 2. Attività antivirale dei composti 3 e 5 in base alla % di riduzione delle unità formanti
placca (UFP) di virus PIV 3 su monostrati della linea cellular Hep-2.a
l’influenza: febbre a esordio rapido, tosse, mal di gola, malessere
generale. Come per l’influenza
classica sono possibili complicazioni gravi, quali la polmonite.
Sono virus che presentano instabilità genetica che è spesso responsabile di epidemie (per mutazioni
minori o DRIFT) e pandemie (per
mutazioni maggiori o SHIFT)
(23).
Il genoma del virus influenzale di
tipo A è costituito da 8 segmenti di
RNA a singola elica negativa che
codificano per 11 proteine, tra cui
le glicoproteine di superficie
emoagglutinina (H) e neuraminidasi (N). Queste due proteine sono
determinanti per l’infezione delle
cellule bersaglio in quanto essenziali, rispettivamente, per l’adesione del virus al recettore cellulare e
per il suo rilascio, una volta completato il processo di replicazione
(23).
I primi casi della nuova influenza
umana da virus A(H1N1) sono
stati legati a contatti ravvicinati tra
maiali e uomo; il nuovo virus
A(H1N1) è infatti un virus di derivazione suina. Nell’uomo infezioni
da virus influenzali suini sono state
riscontrate occasionalmente fin
dagli anni ’50 e sono legate a esposizione e contatti ravvicinati (1-2
metri) con suini, ma il nuovo virus
A(H1N1) si è ora adattato all’uomo
ed è diventato trasmissibile da persona a persona. L’influenza non
viene trasmessa attraverso il cibo e
si sottolinea come, anche se i
primi casi siano stati legati a suini,
soprattutto in Messico, non vi sia
alcun rischio di infezione attraverso il consumo di carne suina cotta
o prodotti a base di carne suina.
Trattandosi di un nuovo virus
influenzale, la vaccinazione con i
tradizionali vaccini antinfluenzali
(vaccini stagionali) molto probabilmente non è efficace; la vaccinazione contro l’influenza classica è
comunque una misura raccomandata in caso di viaggi. Il virus H1N1
deriva da fenomeni di modificazioni geniche. I meccanismi infatti
che danno origine a un nuovo
virus con potenzialità pandemiche
sono almeno due: il riassortimento
genetico tra un virus influenzale
umano e uno animale – reso possibile dalla segmentazione del genoma, che consente lo scambio di
materiale genetico in caso di coin-
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fezione di uno stesso individuo da
parte di due virus differenti – oppure l’adattamento di un virus animale all’uomo.
Quando virus influenzali di differenti specie animali infettano i
suini possono andare incontro a
fenomeni di “riassortimento” e
nuovi virus che sono un mix di
virus umani/aviari/suini possono
emergere (15).
Nel corso degli anni sono emerse
diverse varianti di virus influenzali
suini; al momento nei maiali sono
stati identificati 4 sottotipi principali di virus influenzali di tipo A:
H1N1, H1N2, H3N2, e H3N1.
Comunque la maggior parte dei
virus isolati recentemente nei
maiali sono stati H1N1.
Come l’influenza stagionale, l’influenza da virus influenzale A
(H1N1) nell’uomo può presentarsi
in forma lieve o grave e può causare un peggioramento di patologie
croniche pre-esistenti. In passato
sono stati segnalati casi di complicazioni gravi (polmonite e insufficienza respiratoria) e decessi associati a infezione da virus A
(H1N1).
La trasmissione da uomo a uomo
del virus dell’influenza si può verificare per via aerea attraverso le
gocce di saliva di chi tossisce o
starnutisce, ma anche per via indiretta attraverso il contatto con
mani contaminate dalle secrezioni
respiratorie. Per questo una buona
igiene delle mani e delle secrezioni
respiratorie è essenziale nel limitare la diffusione dell’influenza. Nel
2009, quando è comparso il nuovo
virus influenzale H1N1, il problema più grande era la preoccupazione e il rischio dello sviluppo di una
influenza pandemica. Una pandemia (dal greco antico pan-demos,
“tutto il popolo”) è un’epidemia
determinata dalla rapida diffusione
di una infezione in più aree del
mondo, con un elevato numero di
casi gravi appartenenti a tutti i
gruppi di età e una mortalità elevata. La pandemia differisce dalle
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influenze stagionali: mentre queste
ultime sono generate da sottotipi
di virus influenzali già esistenti, le
pandemie sono causate da sottotipi virali nuovi o che non circolano
nella popolazione da molto tempo.
La comparsa di un nuovo ceppo
virale non è di per sé sufficiente a
causare una pandemia: occorre
anche che il nuovo virus sia capace di trasmettersi da uomo a uomo
in modo efficace. Nel 2009, sono
state riviste le fasi descrittive di
una eventuale pandemia e
l’Organizzazione Mondiale della
Sanità ha deciso di utilizzare come
metodo di misurazione una scala
da 1 a 6 (16). Lo schema seguente
sintetizza le fasi e i livelli di rischio
di una eventuale pandemia. La fase
4 è caratterizzata dall’avvenuto
passaggio del virus da uomo a
uomo, ma la trasmissione interumana è limitata e la diffusione è
altamente localizzata; ciò vuol dire
che il virus non è ben adattato
all’uomo. Tale fase è indicativa di
un aumento del rischio di pandemia, ma non significa necessariamente che la pandemia ci sarà.
Nella fase 4 sono già attivi tutti i
sistemi di controllo e sono già predisposti tutti i provvedimenti per
l’adozione delle misure in fase pandemica. In base al Piano
Pandemico dell’OMS, si è nella
fase 5 quando vi sono prove di trasmissione da uomo a uomo con
epidemie documentate in almeno
due Paesi di una stessa Regione
dell’Organizzazione
Mondiale
della Sanità. Anche se la maggior
parte dei Paesi del mondo non è
colpita in questa fase, la dichiarazione della Fase 5 è un forte segnale dell’imminenza della pandemia.
Nella fase 5 sono già attivi tutti i
sistemi di controllo e sono già predisposti tutti i provvedimenti per
l’adozione delle misure nella fase
di effettiva pandemia. L’OMS, dopo
aver valutato le informazioni
disponibili dai sistemi di sorveglianza nazionali e internazionali
circa la diffusione dei casi di
influenza umana da nuovo virus A
(H1N1), l’11 giugno 2009 ha
dichiarato il passaggio dalla fase 5,
prepandemica, alla fase 6 di allerta
pandemico. Il passaggio dalla fase
5 alla fase 6 era atteso quale conseguenza dell’alta trasmissibilità del
virus A(H1N1) nei diversi Stati,
ma l’infezione non destava preoccupazioni dal punto di vista della
gravità in quanto determinava solo
una sintomatologia paragonabile a
quella di una lieve influenza stagionale. Comunque, nonostante la
fase 6 pandemica, in Italia ci sono
stati pochi casi confermati di
influenza A(H1N1): 258 casi alla
data del 16 luglio 2009. L’OMS,
come peraltro nelle altre Fasi pandemiche, non raccomanda chiusure delle frontiere e restrizione di
viaggi internazionali, anche in considerazione della manifestazione
clinica della malattia, di modesta
gravità. La maggior parte delle persone che ha contratto la nuova
influenza è guarita anche senza la
necessità di terapia farmacologica
e ricovero ospedaliero. Si è visto
inoltre che nel complesso i Servizi
sanitari dei Paesi colpiti dalla
nuova influenza A(H1N1) sono
riusciti a fronteggiare l’emergenza
sanitaria. La nuova influenza,
anche se particolarmente contagiosa, sembra causare, soprattutto
in persone generalmente sane, una
malattia leggera con sintomatologia simile a quella dell’influenza
stagionale.
Data l’importanza epidemiologica
del virus dell’influenza A, abbiamo
pensato di applicare il protocollo
di separazione bioguidata anche
alla valutazione dell’attività antivirale nei confronti del virus H1N1.
L’estratto M è stato saggiato in triplicato sempre attraverso la valutazione della % di inibizione delle
UFP sul virus H1N1 incubato in
cellule MDCK (Madin-Darby
Canine Kidney Cells) e i risultati
sono stati incoraggianti, mostrando l’estratto una diminuzione di
oltre l’80% (84.2%). Purtroppo
però il Prof. Cenci non è riuscito a
ottenere nuove cellule virali per
poter effettuare una separazione
bioguidata e quindi determinare
la/o le molecole attive nei confronti del virus H1N1.
Il virus Chikungunya
Il virus Chikungunya (CHIK) è un
virus appartenente alla famiglia
delle Togaviridae, del genere degli
Alphavirus. La Chikun-gunya è la
malattia virale causata da tale
agente e trasmessa tramite la puntura di zanzare infette.
Il vettore dell’infezione virale è
Aedes aldopictus, comunemente
chiamata “zanzara tigre”, oggi
presente anche nei centri abitati
del nostro paese. Aedes aegypti è
un’altra specie vettore della diffusione di questo virus però solo
nelle zone endemiche (la stessa
che trasmette la febbre gialla e la
dengue) (17).
La Chikungunya è una malattia
tropicale con una incubazione di
3-12 giorni e si manifesta con sintomi simili a quelli dell’influenza:
febbre alta, brividi, cefalea, nausea,
vomito e soprattutto importanti
dolori articolari (da cui deriva il
nome Chikungunya, che in lingua
swahili significa “ciò che curva” o
“contorce”) tali da limitare molto
i movimenti dei pazienti che quindi tendono a rimanere assolutamente immobili (18). In alcuni
casi si può anche avere eruzione
cutanea pruriginosa. Il tutto si
risolve spontaneamente, in genere
in pochi giorni, anche se i dolori
articolari possono persistere anche
per molti mesi. Le complicazioni
più gravi, anche se rare, sono di
natura emorragica o neurologica
soprattutto nei bambini. In rarissimi casi la Chikungunya può essere
fatale più che altro in soggetti
anziani che presentano già altre
patologie di base.
La prima epidemia nota è stata
descritta nel 1952 in Tanzania
(19), anche se già nel 1779 era
stata osservata una epidemia in
Indonesia forse attribuibile allo
stesso agente virale. La malattia è
endemica in diverse zone tropicali
dell’Africa, del Sud-Est Asiatico e
del Sud continente Indiano. A partire dal 2005 sono stati riportati
ampi focolai nell’area dell’Oceano
Indiano che hanno portato a una
importante
epidemia
di
Chikungunya in queste zone
(India, Malaysia, La Reunion,
Madagascar, Indonesia, Mauritius,
Mayotte, Seychelles), tutte zone in
cui il virus trova il suo habitat
ideale (20).
In molti paesi Europei (Francia,
Germania, Norvegia e Svizzera) la
febbre Chikungunya è stata diagnosticata a viaggiatori provenien-
ti dalle aree epidemiche, ma la trasmissione in loco da parte delle
zanzare non era mai stata riportata.
Nell’agosto del 2007 sono stati
notificati i primi casi autoctoni in
Emilia Romagna, in particolare
nella provincia di Ravenna (21).
Lo sviluppo del focolaio epidemico
in Italia è stato favorito dalla concomitanza di più fattori: l’elevata
densità della popolazione di zanzare tigre, le caratteristiche climatiche e ambientali favorevoli (elevata umidità) e la presenza di una
persona che aveva da poco contratto l’infezione all’estero in un
paese dove la malattia è presente
(22). Poco più tardi altri focolai
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epidemici si sono sviluppati anche
a Cervia, Cesena, Bologna e
Rimini.
In realtà la zanzara tigre, una volta
entrata in Italia, si è rapidamente
adattata alle nostre latitudini,
colonizzando quasi tutte le regioni
del Paese con focolai discontinui.
In particolare, le popolazioni della
zanzara presenti nelle regioni centro-settentrionali possono risultare stagionalmente molto più
abbondanti viste le condizioni
ambientali favorevoli (precipitazioni e ambiente umido) che consentono uno sviluppo massivo
della specie (23).
Per il trattamento della febbre da
Chikungunya si ricorre al solo trattamento sintomatico che si basa
sul controllo delle artralgie; c’è un
vaccino da virus inattivato che
però è riservato solo al personale
di laboratorio.
L’attività antivirale della resina di
Commiphora erythraea nei confronti del virus del Chikungunya è
stata valutata dal Dr. P. Leyssen
dell’Università di Lovanio (Rega
Institute for Medical Research). Il
test prevede la valutazione dell’attività antivirale di composti isolati
(e non di estratti) sulla replicazione del virus Chikungunya in cellule Vero. I composti testati sono
stati i metaboliti più abbondanti
presenti nella resina (e quindi
negli estratti) e precisamente il
furanodienone (3), il furanogermacradienone (7) e i composti
metossilati (9 e 10). I dati sono
riportati in Tabella 3.
Come si può vedere il composto
che presenta una CC50 migliore è
il composto 10 (concentrazione
più elevata), in pratica il meno tossico per le cellule ospiti mentre il
composto che è più attivo nei confronti della replicazione virale è 9,
che presenta una EC50 più bassa
degli altri. Ancora una volta l’SI
permette di discriminare sull’attività di diversi composti. Infatti il
composto che presenta il migliore
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SI risulta essere il furanodienone 3
(SI più alto).
Il virus dell’epatite C
Il virus dell’epatite C rientra nella
classe dei cosiddetti virus epatici,
maggiori responsabili di epatiti
virali. Esistono almeno 6 diversi
virus responsabili di queste epatiti
come il virus dell’epatite A e B che
sono i più conosciuti, il virus dell’epatite C, E e G anche detti virus
NON A e NON B, il virus dell’epatite D (delta), anche se di recente
sono stati scoperti altri virus epatotropici quali il virus TT e ultimamente il SEN virus. I vari virus differiscono nella struttura, nel tipo
di replicazione, nella via di trasmissione e nel decorso clinico
della malattia che determinano.
Il fegato è l’organo bersaglio del
virus, si avranno quindi danni al
fegato con sintomi di ittero e rilascio di enzimi epatici.
Il virus dell’epatite C è un
Flavivirus con un genoma a RNA
ed è munito di envelope. Il genoma
codifica per 10 proteine, incluse
due glicoproteina (E1, E2) che
possono andare incontro a variazioni durante l’infezione. L’HCV
infetta solo l’uomo o lo scimpanzé.
Si lega agli epatociti utilizzando il
recettore di superficie CD81. Il
virus si replica come altri
Flavivirus ma resta nel reticolo
endoplasmatico ed è associato alla
cellula. Le proteine dell’HCV inibiscono l’apoptosi e l’azione dell’interferone-α legandosi al recettore
del fattore di necrosi tumorale
(TNF-R) e alla proteina chinasi R
(PKR). Queste azioni prevengono
la morte della cellula ospite e quindi promuovono l’infezione persistente con un danno epatico a
lungo termine.
Il virus è trasmesso per via parenterale attraverso sangue, aghi, trasfusioni (anche se oggi il controllo
delle donazioni di sangue attraverso il test per la ricerca degli anticorpi Anti-HCV ha notevolmente
ridotto il rischio d’infezione in
seguito a trasfusioni), mediante
rapporti sessuali non protetti e
durante la fase perinatale. Ha un
periodo di incubazione di circa 14
– 180 giorni.
L’infezione colpisce circa il 3%
della popolazione mondiale.
Un’infezione da HCV può avere
esiti diversi. Nel 15% dei casi un’epatite acuta, spesso asintomatica e
anitterica, può andare incontro a
risoluzione e guarigione, ma nel
restante 85% dei casi può sfociare
in un’infezione cronica persistente
(dopo circa 10-15 anni) che può
portare progressivamente a insufficienza epatica (dopo 20 anni e nel
6% dei casi), a cirrosi (nel 20% dei
casi) e carcinoma epatocellulare
(dopo 30 anni e nel 4% dei casi).
L’alcool è un cofattore per la cirrosi indotta da HCV (23).
Il trattamento per l’HCV prevede
l’utilizzo di interferone-α ricombinante da solo o con la Ribavirina
anche se nel maggio 2011 la Food
and Drug Administration (FDA) ha
approvato due nuovi farmaci, il
Bocepmevir (Victrelis) e il
Telaprevir (Incivek), che sono
inibitori delle proteasi. A tutt’oggi non esiste un vaccino per l’epatite C.
L’attività antivirale della resina di
Commiphora erythraea nei confronti del virus dell’epatite C è
stata valutata dal Dr. P. Leyssen
dell’Università di Lovanio.
Il test prevede la valutazione dell’attività antivirale dei composti
isolati sulla replicazione del virus
dell’epatite C in cellule Huh 5-2 di
epatoma umano. I composti testati sono stati i metaboliti più abbondanti presenti nella resina (e quindi negli estratti) e precisamente il
furanodienone (3), il furanogermacradienone (7) e i composti
metossilati (9 e 10). I dati sono
riportati in Tabella 4.
Questi dati mettono in evidenza
come tutti i composti testati siano
in grado di inibire la replicazione
del virus (EC50), in particolare il
composto 9 sembra essere quello
più attivo. Questo ha la CC50
migliore, che infatti è il valore più
alto e quindi sarà il meno tossico
per le cellule ospiti, ma ha anche la
EC50 più bassa degli altri quindi è
il composto più attivo perché inibisce la replicazione virale a una
concentrazione minore. Occorre
precisare che le molecole vengono considerate interessanti
quando sono capaci di inibire la
replicazione virale a concentrazioni tali da non essere citotossiche per le cellule.
Tabella 3: Attività antivirale dei composti 3, 7, 9 e 10 sulla replicazione del virus Chikungunya in
cellule Vero.a
Conclusioni
Le analisi effettuate hanno messo
in evidenza come l’estratto metanolico, ottenuto per macerazione
della resina di Commiphora erythraea, non presenta notevoli differenze qualitative rispetto agli
estratti già ottenuti in precedenza
e descritti nelle tabelle dell peima
parte dell’articolo.
Le maggiori differenze sono essenzialmente quantitative essendo la
frazione sesquiterpenica molto più
abbondante che nell’estratto esanico (42,03% dell’estratto metanolico vs 16,02% dell’estratto esanico)
e quella furanosesquiterpenoidica
meno abbondante (46,19% dell’estratto metanolico vs 77,87% dell’estratto esanico).
È stato inoltre possibile isolare e
identificare due nuovi composti:
11 e 12.
Purtroppo l’analisi della letteratura ha messo in evidenza come tali
composti erano già stati precedentemente isolati da Commiphora
molmol per quanto riguarda il
composto 11 e da Commiphora
myrrha per il 12.
Quindi le due molecole non erano
strutturalmente nuove, ma erano
comunque composti nuovi come
costituenti di Commiphora
erythraea.
Le prove biologiche hanno fornito
dati interessanti e hanno evidenziato una buona attività antivirale
della resina di Commiphora eryth-
Tabella 4: Attività antivirale dei composti 3, 7, 9 e 10 sulla replicazione del virus dell’epatite C in
cellule Huh 5-2. a
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RICERCA
raea.
- La frazione M2 dell’estratto
metanolico e i composti più
abbondanti come il furanodienone
3 e il mirrhone 5 hanno mostrato
una buona attività antivirale contro il virus PIV3.
- Anche l’estratto metanolico ha
dato risultati incoraggianti per
quanto riguarda l’attività antivirale
nei confronti del virus dell’influenza A (H1N1). In questo caso purtroppo la mancanza di nuove particelle virali non ha permesso di
determinare la o le molecole attive
nei confronti del virus H1N1.
- I metaboliti più abbondanti presenti nella resina di Commiphora
erythraea, precisamente il furanodienone 3, il furanogermacradienone 7 e i composti metossilati 9 e
10 hanno mostrato attività antivirale contro il virus Chikungunya,
ma tra questi il composto 3 era il
migliore con il più alto indice di
selettività (SI).
- Sempre i metaboliti più abbondanti presenti nella resina 3, 7, 9 e
10 hanno messo in evidenza una
buona attività antivirale contro il
virus dell’epatite C. Tutti erano in
grado di inibire la replicazione
virale ma il composto 9 sembrava
essere il più attivo.
Questo studio quindi ha confermato come l’attività antivirale di
Commiphora erythraea, usata
nella medicina tradizionale nel
Corno d’Africa e nella Penisola
Araba per la cura di un’ampia
panoramica di patologie non è solo
una credenza popolare, ma ha
realmente un fondamento scientifico.
* L’articolo rielabora la tesi di
laurea in Farmacia svolta
dall’Autrice presso la Facoltà di
Farmacia dell’Università di
Perugia, relatori: prof. Massimo
Curini, prof.ssa Maria Carla
Marcotullio.
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