RICERCA Il vettore dell’infezione virale CHIK è Aedes aldopictus, comunemente chiamata “zanzara tigre” (Seconda parte) COMMIPHORA ERYTHRAEA Isolamento e determinazione di furanosesquiterpeni ad attività antivirale Dopo l’analisi fitochimica dell’oleoresina presentata il mese scorso, nella seconda parte dell’articolo saranno prese in considerazione alcune problematiche relative alle infezioni virali e le azioni biologiche dei composti presenti in Commiphora sui virus specifici. * Laura Consalvi er quanto riguarda le infezioni virali queste hanno assunto negli ultimi anni importanza sempre maggiore soprattutto in soggetti a rischio. L’entità dell’infezione spesso dipende da vari fattori come l’età di un individuo, il P 70 natural 1 aprile 2013 suo stato immunitario, le condizioni generali dell’ospite. L’età di un individuo è un fattore importante nel determinare la suscettibilità a una infezione virale. I neonati, i bambini, gli adulti e gli anziani sono suscettibili a virus diversi e mostrano risposte diverse all’infezione dal punto di vista sintomatologico. Questo può derivare da differenze di peso, di caratteristiche tissutali, di capacità di recupero ma soprattutto dalla diversità dello stato immunitario. Per esempio i bambini acquisiscono una serie di malattie virali respiratorie perché non sono mai stati esposti a esse in precedenza e sono pertanto immunologicamente vergini nei loro confronti. I bambini più pic- coli sono particolarmente suscettibili a sviluppare forme più gravi di infezioni respiratorie. Gli anziani invece sono particolarmente suscettibili alle infezioni virali primarie e alla riattivazione di virus latenti. Dal momento che questi sono meno pronti nell’avviare nuove risposte immunitarie e nel riparare i danni a carico dei tessuti, sono anche i più suscettibili a nuovi ceppi di virus influenzali A e B. La storia immunitaria di un individuo è un altro fattore di fondamentale importanza perché da essa dipende la velocità e l’efficienza con cui una infezione virale viene risolta. Individui che per esempio si trovano in uno stato di immunodepressione a causa di una sindrome da immunodeficienza acquisita, cancro o terapia immunosoppressiva sono ad alto rischio di incorrere in forme più gravi di infezioni e con più frequenza si manifestano virus latenti. Anche il patrimonio genetico di una persona gioca un ruolo importante nel determinare la risposta del sistema immunitario alle infezioni virali (1). Le sedi più comuni di infezioni sembrano essere le vie respiratorie. I virus si diffondono attraverso gocce di aerosol, cibo, acqua e saliva; attraverso contatto stretto e attraverso le mani. Sintomi respiratori simili possono essere causati da numerosi virus. Per esempio, una bronchiolite può essere causata dal virus respiratorio sinciziale o dal virus parainfluenzale. Al contrario un solo virus può essere anche la causa di sintomi diversi in persone diverse, per esempio in alcuni individui il virus dell’influenza può causare un’infezione lieve delle alte vie respiratorie, in altri una polmonite pericolosa per la vita. Sia la faringite che il raffreddore possono essere causati da adenovirus, virus dell’influenza, virus della parainfluenza e virus respiratorio sinciziale. Nei neonati e nei bambini il virus parainfluenzale è la causa più comune di infezioni alle basse vie respiratorie, dopo il virus respiratorio sinciziale e forse dopo il metapneumovirus (hMPV) (2). Tra i patogeni di origine virale diversi membri della famiglia dei paramyxovirus, incluso il virus parainfluenzale di tipo 3 (PIV 3), sono stati riconosciuti come la causa maggiore di tali infezioni (3). Le infezioni delle basse vie respiratorie sono le cause principali della morbosità e della mortalità infantile durante i primi anni di vita negli Stati Uniti e nei bambini di 6 anni nei paesi in via di sviluppo (4). Mentre le infezioni delle alte vie respiratorie sono molto frequenti ma raramente mettono la vita in pericolo, le infezioni alle basse vie respiratorie sono responsabili di molte patologie gravi come influenza, polmonite, tubercolosi e bronchiolite che contribuiscono principalmente alla mortalità legata alle infezioni respiratorie acute (5). Le reinfezioni con alcuni virus parainfluenzali possono mettere la vita in pericolo (6), di solito nei giovani adulti possono manifestarsi con un’infezione lieve Tel. 06.92.01.20.78 - 06.92.70.20.06 Fax 06.92.01.17.58 Via Goito, 20 - 04011 Aprilia (LT) www.dialfarm.it Servizi di consulenza per prodotti dietetici e di erboristeria del tratto respiratorio superiore, ma possono causare seri problemi nei soggetti immunocompromessi (7). Il virus dell’influenza è probabilmente il virus maggiormente conosciuto e più temuto tra i comuni virus respiratori per il fatto che annualmente si può verificare la diffusione di nuovi ceppi di virus in popolazioni prive di cellule della memoria specifica. I bambini e gli anziani sono sempre quelli maggiormente colpiti, i primi perché sono universalmente suscettibili di nuovi ceppi virali, i secondi perché non sono capaci di attivare una risposta immunitaria che sia efficace. Un altro problema delle infezioni virali è legato al fatto che un nuovo ceppo virale può essere causa di epidemie e pandemie. Per esempio pandemie di influenza A si sono verificate approssimativamente ogni 10 anni come risultato della comparsa di un nuovo ceppo virale. Inoltre, recenti evidenze indicano i virus respiratori come possibili fattori di rischio nella induzione di reazioni croniche di rigetto di trapianti di polmone (8). I farmaci disponibili per la terapia specifica delle infezioni virali sono in numero limitato. Per quanto riguarda le infezioni del tratto respiratorio, le poche sostanze attualmente disponibili che presentino efficacia antivirale sono soprattutto analoghi dei nucleotidi (antimetaboliti) in grado di inibire la sintesi dell’acido nucleico virale. Queste sostanze sono caratterizzate da una elevata attività antivirale Assistenza presso il Ministero della Sanità Studio e messa a punto formulazioni Messa a punto testi di legge per etichette ed astucci Stesura schede tecniche Stesura e revisione testi materiali pubblicitari Formazione tecnico scientifica della rete di vendita Pratiche di notifica prodotti dietetici ai sensi del D.L. 111 Pratiche di autorizzazione Ministeriale per officine di produzione Ricerca fornitori qualificati Fornitura capsule gelatina molle aprile 2013 natural 1 71 RICERCA accompagnata, tuttavia, da imponenti effetti collaterali. La Ribavirina, analogo nucleotidico, è impiegata nelle infezioni da virus respiratorio sinciziale (RSV) (9) e da virus parainfluenzali (10), tuttavia presenta un alto grado di tossicità e, in caso di somministrazione orale, può provocare anemia (11). Ribavirina e Cidofovir sono impiegati nelle infezioni da adenovirus nei pazienti immunodepressi, ma stanno emergendo ceppi virali resistenti (12). Per quanto riguarda i virus influenzali la resistenza ai farmaci inibitori della neuraminidasi, in particolare Oseltamivir, è stata spesso osservata (13) anche durante la recente pandemia influenzale da virus A (H1N1) (14). Il virus parainfluenzale di tipo 3 (PIV 3) Il virus PIV3 è un membro della famiglia dei Paramixovirus. I virioni di questa famiglia inducono fusione intercellulare con formazione di sincizi e di cellule giganti multinucleate. I virus parainfluenzali causano, principalmente nei bambini, infezioni del tratto respiratorio superiore e inferiore quali faringite, laringotracheobronchite, bronchiolite e polmonite che possono anche essere letali nei neonati. I paramixovirus sono virus a RNA monocatenario a polarità negativa, sono dotati di envelope contenente una proteina di attacco virale HN (che è la glicoproteina maggiore) con attività emoagglutinante e neuramminidasica e una proteina di fusione F (che è la glicoproteina minore) che promuove la fusione tra la membrana del virus e della cellula ospite. Nel nucleocapside troviamo associate anche la nucleoproteina (NP), la fosfoproteina polimerasi (P) e la proteina grande (L). Rispetto ai virus dell’influenza, il loro genoma è più grande e non è segmentato. Il nucleocapside è 72 natural 1 aprile 2013 invece associato alla proteina della matrice (M). La proteina F per essere attivata e quindi promuovere la fusione, deve subire un taglio proteolitico che produce due glicopeptidi, F1 e F2, legati da un ponte disolfuro. Il ciclo replicativo dei paramixovirus inizia con il legame di HN a residui di acido sialico su glicolipidi della superficie cellulare, la proteina F poi promuove la fusione tra l’envelope e la membrana citoplasmatica. Poco dopo inizia la replicazione del genoma virale. Al momento dell’infezione, la RNA polimerasi è già presente all’interno del nucleocapside. La trascrizione, la sintesi proteica e la replicazione del genoma avvengono nel citoplasma della cellula ospite. Il genoma viene trascritto in singoli RNA messaggeri (mRNA) e in un RNA a polarità positiva di intera lunghezza. I genomi neoformati si associano con le proteine L e NP a formare i nucleocapsidi che, a loro volta, si associano alle proteine M inserite nella membrana citoplasmatica modificata dalle glicoproteine virali. I virioni maturi gemmano infine attraverso la membrana citoplasmatica ed escono dalla cellula. I virus inducono fusione intercellulare causando la formazione di cellule giganti multinucleate. I paramixovirus sono ubiquitari e la trasmissione del virus avviene tramite aerosol o contatto interpersonale. L’immunità cellulo-mediata causa la maggior parte dei sintomi ma è anche essenziale per il controllo dell’infezione. Il genere parainfluenzale contiene 4 sierotipi patogeni per l’uomo. I tipi 1, 2 e 3 sono preceduti solo da RSV come causa di infezioni gravi del tratto respiratorio inferiore nei neonati e nei bambini, il tipo 4 causa solo una lieve infezione delle vie respiratorie superiori. I virus parainfluenzali infettano le cellule epiteliali delle vie respiratorie superiori inducendo la formazione di cellule giganti e la successiva lisi cellulare. Questi virus non sono sistemici quindi non causano viremia. Il virus infatti rimane nelle alte vie respiratorie causando solo sintomi simili al raffreddore. Nel 25% dei casi però il virus si diffonde nelle vie respiratorie inferiori e nel 3% dei casi la malattia può diventare una forma di laringotracheobronchite, soprattutto nei bambini. Questa condizione porta anche all’ingrossamento della parte inferiore della glottide che può ostruire le vie respiratorie. In questi casi la maggior parte dei bambini viene ricoverata entro 48 ore. L’infezione induce immunità protettiva ma solo di breve durata. È proprio questa breve durata della protezione e la presenza di diversi sierotipi che rendono la reinfezione comune (23). Per lo studio dell’attività antivirale di Commiphora erythraea nei confronti del PIV 3 è stato seguito il metodo del frazionamento bioguidato che ci permette di indagare in base a test biologici solo le frazioni più attive della resina. A questo scopo l’estratto metanolico precedentemente descritto, dopo evaporazione, è stato testato nei confronti del virus PIV 3 in un saggio che mette in correlazione l’attività antivirale con la percentuale di riduzione delle unità formanti placca (UFP) di virus parainfluenzali di tipo 3 (PIV 3) su monostrati della linea cellulare Hep-2. Esperimenti preliminari sono stati fatti per verificare la possibilità che i differenti composti potessero mostrare effetti tossici su monostrati della linea cellulare impiegata nei test di valutazione dell’attività antivirale. I risultati degli esperimenti preliminari hanno indicato che l’estratto metanolico (M) della resina della Commiphora erythraea determinava una riduzione delle UFP pari in media al 74.5%. Per isolare la componente attiva responsabile dell’attività biologica abbiamo testato le due frazioni ottenute dalla separazione cromatografica dell’estratto nelle condizioni già utilizzate per l’estratto M. I dati sperimentali, riportati nella Tabella 1, hanno indicato che la maggior attività antivirale era attribuibile alla frazione polare M2, con una inibizione delle UFP pari al 33.4%, rispetto alla frazione M1 con una percentuale di inibizione del 9.7% (tabella 1). I composti più abbondanti isolati dalla frazione M2 sono stati testati singolarmente. Come si può vedere dai dati riportati in Tabella 1 i composti più attivi sono risultati essere il furanodienone 3 e il mirrhone 5, con una capacità di inibire le unità formanti placca superiore al 50%, con la Ribavirina, usata come controllo positivo, che inibiva all’80%. Per i composti più attivi è stato calcolato l’indice di selettività (SI= CC50/IC50,, Tabella 2). Per indice di selettività si intende il rapporto tra il valore della CC50 (concentrazione citotossica che provoca la morte del 50% delle cellule infettate dal virus) e della IC50 (concentrazione inibente l’effetto citopatico indotto dal virus sul 50% delle cellule infettate). Questo parametro permette di mettere in relazione l’effetto antivirale con la sua azione citotossica e quindi viene usato per meglio definire l’attività antivirale della molecola osservata. L’SI mette chiaramente in evidenza che il furanodienone 3 è molto più attivo del mirrhone 5 (tabella 2). Il virus H1N1 Il virus dell’influenza A, sottotipo H1N1, fa parte dei virus influenzali della famiglia degli Orthomyxovirus. La nuova influenza A (H1N1) è una infezione virale acuta dell’apparato respiratorio con sintomi fondamentalmente simili a quelli classici del- Tabella 1. Attività anti-PIV 3 dell’estratto, delle frazioni e dei composti isolati in base alla % di riduzione delle unità formanti placca (UFP) di virus PIV 3 su monostrati della linea cellulare Hep-2.a Tabella 2. Attività antivirale dei composti 3 e 5 in base alla % di riduzione delle unità formanti placca (UFP) di virus PIV 3 su monostrati della linea cellular Hep-2.a l’influenza: febbre a esordio rapido, tosse, mal di gola, malessere generale. Come per l’influenza classica sono possibili complicazioni gravi, quali la polmonite. Sono virus che presentano instabilità genetica che è spesso responsabile di epidemie (per mutazioni minori o DRIFT) e pandemie (per mutazioni maggiori o SHIFT) (23). Il genoma del virus influenzale di tipo A è costituito da 8 segmenti di RNA a singola elica negativa che codificano per 11 proteine, tra cui le glicoproteine di superficie emoagglutinina (H) e neuraminidasi (N). Queste due proteine sono determinanti per l’infezione delle cellule bersaglio in quanto essenziali, rispettivamente, per l’adesione del virus al recettore cellulare e per il suo rilascio, una volta completato il processo di replicazione (23). I primi casi della nuova influenza umana da virus A(H1N1) sono stati legati a contatti ravvicinati tra maiali e uomo; il nuovo virus A(H1N1) è infatti un virus di derivazione suina. Nell’uomo infezioni da virus influenzali suini sono state riscontrate occasionalmente fin dagli anni ’50 e sono legate a esposizione e contatti ravvicinati (1-2 metri) con suini, ma il nuovo virus A(H1N1) si è ora adattato all’uomo ed è diventato trasmissibile da persona a persona. L’influenza non viene trasmessa attraverso il cibo e si sottolinea come, anche se i primi casi siano stati legati a suini, soprattutto in Messico, non vi sia alcun rischio di infezione attraverso il consumo di carne suina cotta o prodotti a base di carne suina. Trattandosi di un nuovo virus influenzale, la vaccinazione con i tradizionali vaccini antinfluenzali (vaccini stagionali) molto probabilmente non è efficace; la vaccinazione contro l’influenza classica è comunque una misura raccomandata in caso di viaggi. Il virus H1N1 deriva da fenomeni di modificazioni geniche. I meccanismi infatti che danno origine a un nuovo virus con potenzialità pandemiche sono almeno due: il riassortimento genetico tra un virus influenzale umano e uno animale – reso possibile dalla segmentazione del genoma, che consente lo scambio di materiale genetico in caso di coin- aprile 2013 natural 1 73 RICERCA fezione di uno stesso individuo da parte di due virus differenti – oppure l’adattamento di un virus animale all’uomo. Quando virus influenzali di differenti specie animali infettano i suini possono andare incontro a fenomeni di “riassortimento” e nuovi virus che sono un mix di virus umani/aviari/suini possono emergere (15). Nel corso degli anni sono emerse diverse varianti di virus influenzali suini; al momento nei maiali sono stati identificati 4 sottotipi principali di virus influenzali di tipo A: H1N1, H1N2, H3N2, e H3N1. Comunque la maggior parte dei virus isolati recentemente nei maiali sono stati H1N1. Come l’influenza stagionale, l’influenza da virus influenzale A (H1N1) nell’uomo può presentarsi in forma lieve o grave e può causare un peggioramento di patologie croniche pre-esistenti. In passato sono stati segnalati casi di complicazioni gravi (polmonite e insufficienza respiratoria) e decessi associati a infezione da virus A (H1N1). La trasmissione da uomo a uomo del virus dell’influenza si può verificare per via aerea attraverso le gocce di saliva di chi tossisce o starnutisce, ma anche per via indiretta attraverso il contatto con mani contaminate dalle secrezioni respiratorie. Per questo una buona igiene delle mani e delle secrezioni respiratorie è essenziale nel limitare la diffusione dell’influenza. Nel 2009, quando è comparso il nuovo virus influenzale H1N1, il problema più grande era la preoccupazione e il rischio dello sviluppo di una influenza pandemica. Una pandemia (dal greco antico pan-demos, “tutto il popolo”) è un’epidemia determinata dalla rapida diffusione di una infezione in più aree del mondo, con un elevato numero di casi gravi appartenenti a tutti i gruppi di età e una mortalità elevata. La pandemia differisce dalle 74 natural 1 aprile 2013 influenze stagionali: mentre queste ultime sono generate da sottotipi di virus influenzali già esistenti, le pandemie sono causate da sottotipi virali nuovi o che non circolano nella popolazione da molto tempo. La comparsa di un nuovo ceppo virale non è di per sé sufficiente a causare una pandemia: occorre anche che il nuovo virus sia capace di trasmettersi da uomo a uomo in modo efficace. Nel 2009, sono state riviste le fasi descrittive di una eventuale pandemia e l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha deciso di utilizzare come metodo di misurazione una scala da 1 a 6 (16). Lo schema seguente sintetizza le fasi e i livelli di rischio di una eventuale pandemia. La fase 4 è caratterizzata dall’avvenuto passaggio del virus da uomo a uomo, ma la trasmissione interumana è limitata e la diffusione è altamente localizzata; ciò vuol dire che il virus non è ben adattato all’uomo. Tale fase è indicativa di un aumento del rischio di pandemia, ma non significa necessariamente che la pandemia ci sarà. Nella fase 4 sono già attivi tutti i sistemi di controllo e sono già predisposti tutti i provvedimenti per l’adozione delle misure in fase pandemica. In base al Piano Pandemico dell’OMS, si è nella fase 5 quando vi sono prove di trasmissione da uomo a uomo con epidemie documentate in almeno due Paesi di una stessa Regione dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. Anche se la maggior parte dei Paesi del mondo non è colpita in questa fase, la dichiarazione della Fase 5 è un forte segnale dell’imminenza della pandemia. Nella fase 5 sono già attivi tutti i sistemi di controllo e sono già predisposti tutti i provvedimenti per l’adozione delle misure nella fase di effettiva pandemia. L’OMS, dopo aver valutato le informazioni disponibili dai sistemi di sorveglianza nazionali e internazionali circa la diffusione dei casi di influenza umana da nuovo virus A (H1N1), l’11 giugno 2009 ha dichiarato il passaggio dalla fase 5, prepandemica, alla fase 6 di allerta pandemico. Il passaggio dalla fase 5 alla fase 6 era atteso quale conseguenza dell’alta trasmissibilità del virus A(H1N1) nei diversi Stati, ma l’infezione non destava preoccupazioni dal punto di vista della gravità in quanto determinava solo una sintomatologia paragonabile a quella di una lieve influenza stagionale. Comunque, nonostante la fase 6 pandemica, in Italia ci sono stati pochi casi confermati di influenza A(H1N1): 258 casi alla data del 16 luglio 2009. L’OMS, come peraltro nelle altre Fasi pandemiche, non raccomanda chiusure delle frontiere e restrizione di viaggi internazionali, anche in considerazione della manifestazione clinica della malattia, di modesta gravità. La maggior parte delle persone che ha contratto la nuova influenza è guarita anche senza la necessità di terapia farmacologica e ricovero ospedaliero. Si è visto inoltre che nel complesso i Servizi sanitari dei Paesi colpiti dalla nuova influenza A(H1N1) sono riusciti a fronteggiare l’emergenza sanitaria. La nuova influenza, anche se particolarmente contagiosa, sembra causare, soprattutto in persone generalmente sane, una malattia leggera con sintomatologia simile a quella dell’influenza stagionale. Data l’importanza epidemiologica del virus dell’influenza A, abbiamo pensato di applicare il protocollo di separazione bioguidata anche alla valutazione dell’attività antivirale nei confronti del virus H1N1. L’estratto M è stato saggiato in triplicato sempre attraverso la valutazione della % di inibizione delle UFP sul virus H1N1 incubato in cellule MDCK (Madin-Darby Canine Kidney Cells) e i risultati sono stati incoraggianti, mostrando l’estratto una diminuzione di oltre l’80% (84.2%). Purtroppo però il Prof. Cenci non è riuscito a ottenere nuove cellule virali per poter effettuare una separazione bioguidata e quindi determinare la/o le molecole attive nei confronti del virus H1N1. Il virus Chikungunya Il virus Chikungunya (CHIK) è un virus appartenente alla famiglia delle Togaviridae, del genere degli Alphavirus. La Chikun-gunya è la malattia virale causata da tale agente e trasmessa tramite la puntura di zanzare infette. Il vettore dell’infezione virale è Aedes aldopictus, comunemente chiamata “zanzara tigre”, oggi presente anche nei centri abitati del nostro paese. Aedes aegypti è un’altra specie vettore della diffusione di questo virus però solo nelle zone endemiche (la stessa che trasmette la febbre gialla e la dengue) (17). La Chikungunya è una malattia tropicale con una incubazione di 3-12 giorni e si manifesta con sintomi simili a quelli dell’influenza: febbre alta, brividi, cefalea, nausea, vomito e soprattutto importanti dolori articolari (da cui deriva il nome Chikungunya, che in lingua swahili significa “ciò che curva” o “contorce”) tali da limitare molto i movimenti dei pazienti che quindi tendono a rimanere assolutamente immobili (18). In alcuni casi si può anche avere eruzione cutanea pruriginosa. Il tutto si risolve spontaneamente, in genere in pochi giorni, anche se i dolori articolari possono persistere anche per molti mesi. Le complicazioni più gravi, anche se rare, sono di natura emorragica o neurologica soprattutto nei bambini. In rarissimi casi la Chikungunya può essere fatale più che altro in soggetti anziani che presentano già altre patologie di base. La prima epidemia nota è stata descritta nel 1952 in Tanzania (19), anche se già nel 1779 era stata osservata una epidemia in Indonesia forse attribuibile allo stesso agente virale. La malattia è endemica in diverse zone tropicali dell’Africa, del Sud-Est Asiatico e del Sud continente Indiano. A partire dal 2005 sono stati riportati ampi focolai nell’area dell’Oceano Indiano che hanno portato a una importante epidemia di Chikungunya in queste zone (India, Malaysia, La Reunion, Madagascar, Indonesia, Mauritius, Mayotte, Seychelles), tutte zone in cui il virus trova il suo habitat ideale (20). In molti paesi Europei (Francia, Germania, Norvegia e Svizzera) la febbre Chikungunya è stata diagnosticata a viaggiatori provenien- ti dalle aree epidemiche, ma la trasmissione in loco da parte delle zanzare non era mai stata riportata. Nell’agosto del 2007 sono stati notificati i primi casi autoctoni in Emilia Romagna, in particolare nella provincia di Ravenna (21). Lo sviluppo del focolaio epidemico in Italia è stato favorito dalla concomitanza di più fattori: l’elevata densità della popolazione di zanzare tigre, le caratteristiche climatiche e ambientali favorevoli (elevata umidità) e la presenza di una persona che aveva da poco contratto l’infezione all’estero in un paese dove la malattia è presente (22). Poco più tardi altri focolai LAVORAZIONI C/TERZI Di integratori alimentari liquidi e liofilizzati Si eseguono produzioni di piccoli e medi lotti - Integratori alimentari in monodose da 10 e 15 ml Integratori con contagocce da 50 e 125 ml Sciroppi e soluzioni in flaconi fino a 1000 ml Liofilizzazione in monodose con sigillatura sottovuoto Integratori di nostra produzione Lavorazione materie prime fornite dal cliente Confezionamento finale Assistenza per formulazioni personalizzate Assistenza per la procedura di notifica ministeriale Tecno-lio S.a.s. Via Riviera Berica, 258 36100 Vicenza Tel.0444530465 - fax.0444532275 E-mail: [email protected] Website: www.tecno-lio.it aprile 2013 natural 1 75 RICERCA epidemici si sono sviluppati anche a Cervia, Cesena, Bologna e Rimini. In realtà la zanzara tigre, una volta entrata in Italia, si è rapidamente adattata alle nostre latitudini, colonizzando quasi tutte le regioni del Paese con focolai discontinui. In particolare, le popolazioni della zanzara presenti nelle regioni centro-settentrionali possono risultare stagionalmente molto più abbondanti viste le condizioni ambientali favorevoli (precipitazioni e ambiente umido) che consentono uno sviluppo massivo della specie (23). Per il trattamento della febbre da Chikungunya si ricorre al solo trattamento sintomatico che si basa sul controllo delle artralgie; c’è un vaccino da virus inattivato che però è riservato solo al personale di laboratorio. L’attività antivirale della resina di Commiphora erythraea nei confronti del virus del Chikungunya è stata valutata dal Dr. P. Leyssen dell’Università di Lovanio (Rega Institute for Medical Research). Il test prevede la valutazione dell’attività antivirale di composti isolati (e non di estratti) sulla replicazione del virus Chikungunya in cellule Vero. I composti testati sono stati i metaboliti più abbondanti presenti nella resina (e quindi negli estratti) e precisamente il furanodienone (3), il furanogermacradienone (7) e i composti metossilati (9 e 10). I dati sono riportati in Tabella 3. Come si può vedere il composto che presenta una CC50 migliore è il composto 10 (concentrazione più elevata), in pratica il meno tossico per le cellule ospiti mentre il composto che è più attivo nei confronti della replicazione virale è 9, che presenta una EC50 più bassa degli altri. Ancora una volta l’SI permette di discriminare sull’attività di diversi composti. Infatti il composto che presenta il migliore 76 natural 1 aprile 2013 SI risulta essere il furanodienone 3 (SI più alto). Il virus dell’epatite C Il virus dell’epatite C rientra nella classe dei cosiddetti virus epatici, maggiori responsabili di epatiti virali. Esistono almeno 6 diversi virus responsabili di queste epatiti come il virus dell’epatite A e B che sono i più conosciuti, il virus dell’epatite C, E e G anche detti virus NON A e NON B, il virus dell’epatite D (delta), anche se di recente sono stati scoperti altri virus epatotropici quali il virus TT e ultimamente il SEN virus. I vari virus differiscono nella struttura, nel tipo di replicazione, nella via di trasmissione e nel decorso clinico della malattia che determinano. Il fegato è l’organo bersaglio del virus, si avranno quindi danni al fegato con sintomi di ittero e rilascio di enzimi epatici. Il virus dell’epatite C è un Flavivirus con un genoma a RNA ed è munito di envelope. Il genoma codifica per 10 proteine, incluse due glicoproteina (E1, E2) che possono andare incontro a variazioni durante l’infezione. L’HCV infetta solo l’uomo o lo scimpanzé. Si lega agli epatociti utilizzando il recettore di superficie CD81. Il virus si replica come altri Flavivirus ma resta nel reticolo endoplasmatico ed è associato alla cellula. Le proteine dell’HCV inibiscono l’apoptosi e l’azione dell’interferone-α legandosi al recettore del fattore di necrosi tumorale (TNF-R) e alla proteina chinasi R (PKR). Queste azioni prevengono la morte della cellula ospite e quindi promuovono l’infezione persistente con un danno epatico a lungo termine. Il virus è trasmesso per via parenterale attraverso sangue, aghi, trasfusioni (anche se oggi il controllo delle donazioni di sangue attraverso il test per la ricerca degli anticorpi Anti-HCV ha notevolmente ridotto il rischio d’infezione in seguito a trasfusioni), mediante rapporti sessuali non protetti e durante la fase perinatale. Ha un periodo di incubazione di circa 14 – 180 giorni. L’infezione colpisce circa il 3% della popolazione mondiale. Un’infezione da HCV può avere esiti diversi. Nel 15% dei casi un’epatite acuta, spesso asintomatica e anitterica, può andare incontro a risoluzione e guarigione, ma nel restante 85% dei casi può sfociare in un’infezione cronica persistente (dopo circa 10-15 anni) che può portare progressivamente a insufficienza epatica (dopo 20 anni e nel 6% dei casi), a cirrosi (nel 20% dei casi) e carcinoma epatocellulare (dopo 30 anni e nel 4% dei casi). L’alcool è un cofattore per la cirrosi indotta da HCV (23). Il trattamento per l’HCV prevede l’utilizzo di interferone-α ricombinante da solo o con la Ribavirina anche se nel maggio 2011 la Food and Drug Administration (FDA) ha approvato due nuovi farmaci, il Bocepmevir (Victrelis) e il Telaprevir (Incivek), che sono inibitori delle proteasi. A tutt’oggi non esiste un vaccino per l’epatite C. L’attività antivirale della resina di Commiphora erythraea nei confronti del virus dell’epatite C è stata valutata dal Dr. P. Leyssen dell’Università di Lovanio. Il test prevede la valutazione dell’attività antivirale dei composti isolati sulla replicazione del virus dell’epatite C in cellule Huh 5-2 di epatoma umano. I composti testati sono stati i metaboliti più abbondanti presenti nella resina (e quindi negli estratti) e precisamente il furanodienone (3), il furanogermacradienone (7) e i composti metossilati (9 e 10). I dati sono riportati in Tabella 4. Questi dati mettono in evidenza come tutti i composti testati siano in grado di inibire la replicazione del virus (EC50), in particolare il composto 9 sembra essere quello più attivo. Questo ha la CC50 migliore, che infatti è il valore più alto e quindi sarà il meno tossico per le cellule ospiti, ma ha anche la EC50 più bassa degli altri quindi è il composto più attivo perché inibisce la replicazione virale a una concentrazione minore. Occorre precisare che le molecole vengono considerate interessanti quando sono capaci di inibire la replicazione virale a concentrazioni tali da non essere citotossiche per le cellule. Tabella 3: Attività antivirale dei composti 3, 7, 9 e 10 sulla replicazione del virus Chikungunya in cellule Vero.a Conclusioni Le analisi effettuate hanno messo in evidenza come l’estratto metanolico, ottenuto per macerazione della resina di Commiphora erythraea, non presenta notevoli differenze qualitative rispetto agli estratti già ottenuti in precedenza e descritti nelle tabelle dell peima parte dell’articolo. Le maggiori differenze sono essenzialmente quantitative essendo la frazione sesquiterpenica molto più abbondante che nell’estratto esanico (42,03% dell’estratto metanolico vs 16,02% dell’estratto esanico) e quella furanosesquiterpenoidica meno abbondante (46,19% dell’estratto metanolico vs 77,87% dell’estratto esanico). È stato inoltre possibile isolare e identificare due nuovi composti: 11 e 12. Purtroppo l’analisi della letteratura ha messo in evidenza come tali composti erano già stati precedentemente isolati da Commiphora molmol per quanto riguarda il composto 11 e da Commiphora myrrha per il 12. Quindi le due molecole non erano strutturalmente nuove, ma erano comunque composti nuovi come costituenti di Commiphora erythraea. Le prove biologiche hanno fornito dati interessanti e hanno evidenziato una buona attività antivirale della resina di Commiphora eryth- Tabella 4: Attività antivirale dei composti 3, 7, 9 e 10 sulla replicazione del virus dell’epatite C in cellule Huh 5-2. a aprile 2013 natural 1 77 RICERCA raea. - La frazione M2 dell’estratto metanolico e i composti più abbondanti come il furanodienone 3 e il mirrhone 5 hanno mostrato una buona attività antivirale contro il virus PIV3. - Anche l’estratto metanolico ha dato risultati incoraggianti per quanto riguarda l’attività antivirale nei confronti del virus dell’influenza A (H1N1). In questo caso purtroppo la mancanza di nuove particelle virali non ha permesso di determinare la o le molecole attive nei confronti del virus H1N1. - I metaboliti più abbondanti presenti nella resina di Commiphora erythraea, precisamente il furanodienone 3, il furanogermacradienone 7 e i composti metossilati 9 e 10 hanno mostrato attività antivirale contro il virus Chikungunya, ma tra questi il composto 3 era il migliore con il più alto indice di selettività (SI). - Sempre i metaboliti più abbondanti presenti nella resina 3, 7, 9 e 10 hanno messo in evidenza una buona attività antivirale contro il virus dell’epatite C. Tutti erano in grado di inibire la replicazione virale ma il composto 9 sembrava essere il più attivo. Questo studio quindi ha confermato come l’attività antivirale di Commiphora erythraea, usata nella medicina tradizionale nel Corno d’Africa e nella Penisola Araba per la cura di un’ampia panoramica di patologie non è solo una credenza popolare, ma ha realmente un fondamento scientifico. * L’articolo rielabora la tesi di laurea in Farmacia svolta dall’Autrice presso la Facoltà di Farmacia dell’Università di Perugia, relatori: prof. Massimo Curini, prof.ssa Maria Carla Marcotullio. 78 natural 1 aprile 2013 Bibliografia 1) P. Murray, K. Rosenthal, G.S. Kobayashi, M.A. Pfaller, Microbiologia, 2 ed. (2007), Edises, pag 451-453/ 537-538/ 635-637. 2) R.C. Sr. Welliver, P.A. Checchia, J.H. Bauman, A.W. Fernandes, P.J. Mahadevia, C.B. Hall. Fatality rates in published reports of RSV hospitalizations among high-risk and otherwise healthy children. Current Medicinal Research Opinin (2010), 26, 2175-2181. 3) a) L. Kaiser, R.B. Coach J Galasso, W.P. Glezen, R.G. Webster, P.F. Wright, F.G. Hayden. First international symposium on influenza and other respiratory viruses: summary and overview: Kapalua, Maui, Hawaii, Antiviriral Research (1998), 42, 149-176. b) M.R. Griffin, F.J. Walker, MK. Iwane, G.A. Weinberg, M.A. Staat, D.D. Erdman. Epidemiology of respiratory infections in young children: insights from the new vaccine surveillance network. Pediatric Infecions. Diseases (2004), 23, 188-192. 4) A.B. Chang, C.C. Chang, K. O’Grady, P.J. Torzillo. Lower respiratory tract infections. Pediatric Clinics of North America (2009), 56,1303-1321. 5) B.G. Williams, E. Gouws, C. BoschiPinto, J. Bryce, C. Dye. Estimates of world-wide distribution of child deaths from acute respiratory infections. Lancet Infectious disease (2002), 2, 25-32. 6) C.B. Hall, E.E. Walsh, C.E. Long, K.C. Schnabel. Immunity to and frequency of reinfection with respiratory syncytial virus. Journal of Infectious Diseases (1991), 163, 693-698. 7) a) W.G. Nichols, L. Corey, T. Gooley, C. Davis, M. Boeckh. Parainfluenza virus infection after hematopoietic stem cell transplantation: risk factors, response to antiviral therapy, and effect on transplant outcome. Blood (2001), 98, 573-578. b) K.J. Cortez, D.D. Erdman, T.C. Peret, V.J. Gill, R. Child, A.J. Barrett, J.E. Bennett. Outbreak of human parainfluenza virus 3 infections in a hematopoietic stem cell transplant population. Journal of Infectious Diseases (2001), 184, 10931097. 8) J. Gavaldà, A. Roman. Infection in lung transplantation. Enfermedades Infecciosas y Microbiología Clínica (2007), 10, 639-649. 9) K. Ventre, A.G. Randolph. Ribavirin for respiratory syncytial virus infection of the lower respiratory tract in infants and young children. Cochrane database of systematic reviews (2007), 1. 10) R.A. Vilchez, J. Dauber, K. McCurry, A. Iacono’S. Kusne. Parainfluenza virus infection in adult lung transplant recipients: an emergent clinical syndrome with implications on allograft function. American Journal of Transplantation (2003), 2, 116-120. 11) S. Russmann, I. Grattagliano, P. Portincasa, V.O. Palmieri, G. Palasciano. Ribavirin-induced anemia: mechanisms, risk factors and related targets for future reserch. Current Medicinal Chemistry (2006), 27, 3351-7. 12) a) E.J. Anderson, J.A. GuzmanCottrill, M. Kletzel, K. Thormann, et al. High-risk adenovirus-infected pediatric allogeneic hematopoietic progenitor cell transplant recipients and preemptive cidofovir therapy. Pediatric Transplantion (2008), 2, 219-27. b) L. Lenaerts, E. De Clercq, L. Naesens. Clinical features and treatment of adenovirus infection. Reviews in Medical Virology (2008), 6, 357-74. 13) P.J. Collins, L.F. Hair, U.P. In, J. Liu, R.J. Russell, P.A. Walker et al. Structural basis for oseltamivir resistance of influenza viruses. Vaccine (2009), 45, 6317-23. 14) R.J. Garten, C.T. Davis, C.A. Russell et al. Antigenic and genetic characteristics of swine- origin 2009 A (H1N1) influenza viruses circulating in humans. Science (2009), 325, 197-201. 15) OMS-Piano nazionale di preparazione e risposta ad una pandemia influenzale. 16) S. Das, RP. Kolher, BG. Mane, JP. Singh, AP. Singh; Chikungunya epidemic: global and Indian scenario. The Journal of Communicable Diseases (2007), 39(1):37-43. 17) OMS-Guidelines on Clinical Management of Chikungunya Fever. 18)M.C. Robinson. An epidemic of virus disease in Southern Province, Tanganyika Territory, in 1952-1953. I. Clinical features. Transactions of The Royal Society of Tropical Medicine and Hygiene (1955) 49, 28-32. 19)Outbreak and spread of Chikungunya. Weekly Epidemiological Record; (2007) 82, 409-415. 20) R. Angelini, A.C. Finarelli, P. Angelini et al. An outbreak of Chikungunya fever in the province of Ravenna, Italy. Euro Surveillance (2007) 12, E070906 070901. 21) Angelini R, Finarelli AC, Angelini P, et al. Chikungunya in north-eastern Italy: a summing up of the outbreak. Euro Surveillance (2007) 12, E071122 071122. 22) ISS, Piano per gli interventi di disinfestazione nell’ambito dell’evento epidemico di Chikungunya virus in Italia, 5 settembre 2007. 23) P. Murray, K. Rosenthal, G.S. Kobayashi, M.A. Pfaller, Microbiologia, 2 ed. (2007), Edises, pag 451-453/ 537-538/ 635-637.