COLLABORAZIONI IBR: RINOTRACHEITE di Sandro Cavirani * INFETTIVA DEL BOVINO L’EVOLVERSI delle conoscenze, lo sviluppo di presìdi immunizzanti innovativi, la dinamica e la difformità delle strategie di controllo dell’infezione che connotano, in particolare, il panorama europeo, costituiscono tutti elementi a far sì che la problematica Rinotracheite Infettiva del Bovino (IBR) debba essere a pieno titolo considerata di attualità. Allorché si parla di IBR è opportuno precisare come sotto detto acronimo venga, di frequente ed impropriamente, indicato un complesso di patologie che comprendono la forma classica di rinotracheite associata, o meno, a cheratocongiuntivite, forme respiratorie profonde, aborto, vulvovaginite (IPV) e balanopostite (IPB), entrambe a carattere pustoloso, metritre ed infertilità, quest’ultima nella più vasta accezione del termine, episodi mastitici, meningoencefalite dei giovani bovini. Dal punto di vista eziologico, Bovine herpesvirus 1 (BoHV-1) è riconosciuto essere causa del complesso di patologie sopra indicate ad eccezione della meningoencefalite del vitello, la cui causalità è attualmente attribuita ad una specie virale a sé stante, indicata come BoHV-5. Pur salvaguardando l’unicità antigenica di BHV-1, sulla base dell’analisi del genoma virale, si riconoscono più sottotipi virali: BoHV-1.1 e BHV1.2a sono isolati prevalentemente in corso di malattia respiratoria, BoHV1.2b in corso di patologia genitale. Tale dato travalica l’aspetto meramente tassonomico trovando riscontro in situazioni di carattere epidemiologico correlate all’evoluzione dei quadri clinici osservati nelle diverse aree geografiche. Il prevalere, in determinati distretti territoriali, di determinate manifestazioni cliniche è stato infatti associato con il riscontro di specifici sottotipi virali. Va tuttavia rimarcato come l’esistenza di Aspetti ezio-patogenetici ed epidemiologici della rinotracheite infettiva del bovino (IBR), che impongono rigorose misure di controllo nel comparto riproduttivo. sottotipi virali non sia da correlare con differenze antigeniche tali da inficiare l’efficacia degli antigeni vaccinali comunemente in uso. Sebbene si annoveri la segnalazione di isolamento di BoHV-1 da insetti vettori, si è portati a ritenere che l’infezione naturale avvenga, di regola, per contatto diretto del virus con le mucose dell’ospite. La penetrazione del virus nel tratto respiratorio avviene attraverso aerosol o contatto diretto con particelle virali presenti nelle secrezioni nasali degli animali infetti, escretori. Non esistono elementi tali da accreditare rilevanza epidemiologica alla trasmissione a lunga distanza del virus. Tuttavia, sulla base di studi epidemiologici è stata ipotizzata la trasmissione di BHV-1 a distanze anche superiori a 8-10 chilometri, fatto salvo il verificarsi di condizioni climatiche (umidità, correnti aeree) favorenti la persistenza e la veicolazione delle particelle virali. La trasmissione genitale dell’infezione si verifica invariabilmente per contatto diretto o attraverso seme infetto.Al riguardo, il virus risulterebbe associato con la membrana cellulare degli spermatidi e non si troverebbe all’interno delle cellule spermatiche. Trascorsi due o tre giorni dall’avvenuta infezione si assiste alla comparsa dei sintomi, la cui gravità è funzione della virulenza dello stipite virale, dello stato immunitario specifico e/o aspecifico dell’animale, della presenza di elementi stressanti in grado di condizionarne la risposta immune, dell’età del soggetto colpito. L’infezione dei monociti circolanti da parte di BHV-1 comporta un’infezione sistemica che, nella bovina gravida, esita in aborto; aborto che si può verificare anche a seguito di infezione subclinica, quindi senza preavviso sintomatologico. Dopo la replicazione primaria a livello di mucose respiratoria e/o genitale, BoHV-1 si diffonde al sistema nervoso entrando nelle cellule nervose periferiche, poste alla terminazione dei nervi, e raggiungendo, sottoforma di nucleocapside nudo, i gangli dei nervi trigemino e sacrali, attraverso il flusso assonale retrogrado. Qui il virus instaura una condizione di latenza: il DNA virale circolarizza e rimane nel nucleo cellulare sotto forma episomale, vale a dire non integrato con il genoma cellulare. Oltre al sistema nervoso, anche i macrofagi e le cellule epiteliali possono costituire siti di latenza. In questa fase, l’espressione dei geni virali appare limitata a poche proteine e non ha pertanto luogo una attiva stimolazione del sistema immunitario. Ne consegue che animali infetti, con infezione latente, possano risulatare negativi agli accertamenti sierologici. Gli animali con infezione latente, soprattutto se sieronegativi (infetti occulti), rappresentano un costante rischio epidemiologico.A seguito del verificarsi di eventi stressanti, infezioni o infestioni intercorrenti, trattamenti farmacologici a base di glucocorticoidi – eventi che, comunque, compromettono l’omeostasi del sistema immunitario – il virus latente si può riattivare, il che comporta riescrezione virale (anche attraverso il seme), pauci o asintomatica, associata a risposta anamnestica da parte dell’animale. L’evento si traduce in un aumento del tasso anticorpale specifico. Il fenomeno della latenza virale * Istituto di Malattie Infettive, Profilassi e Polizia Veterinaria - Facoltà di Medicina Veterinaria - Università di Parma. BIANCO NERO . FEBBRAIO ’99 K Y C M - p. 19 19 non è da circoscrivere agli stipiti virali selvaggi ma coinvolge anche quelli vaccinali vivi-attenuati, i quali, ad onor del vero, tendono comunque a mantenere le originali caratteristiche di attenuazione. La bovina, divenuta immune verso BoHV-1 in seguito ad infezione naturale o vaccinazione, attraverso il colostro conferisce al vitello anticorpi passivi, in grado di proteggerlo dall’insorgenza di forme cliniche che nel neonato tendono a generalizzare divenendo letali. Si stima che nel vitello il tempo di dimezzamento (emivita) degli anticorpi passivi, di origine materna, sia di circa 20 giorni e, nel caso specifico di BoHV-1, il vitello diventi sieronegativo entro un periodo variabile tra 90 e 230 giorni di vita. La durata di detto periodo è da correlare al titolo anticorpale conferito dalla madre e, non da ultimo, alla sensibilità del test sierologico impiegato per la rilevazione degli anticorpi. L’infezione nel vitello provvisto di anticorpi materni non induce comparsa di sintomi, ma esita comunque in uno stato di latenza virale, essendo l’azione degli anticorpi rivolta al controllo della malattia, ma non in grado d’impedire l’infezione. La presenza di anticorpi materni maschera l’avvenuta infezione che, di conseguenza, non si traduce nella produzione di anticorpi attivi i quali una volta prodotti, tendono a persistere. La conseguenza diretta è il realizzarsi della possibilità – tutt’altro che remota, stante l’ampia circolazione di BoHV-1 nei nostri allevamenti – di ritrovare animali sieronegativi a 4-6 mesi (esaurita la quota di anticorpi materni), ma portatori di infezione latente, quindi tali da essere ritenuti a pieno titolo infetti. Lo stesso quadro di negatività sierologica si può osservare in animali adulti con infezione latente acquisita in seguito ad infezione primaria di vecchia data e che non abbiano subìto ulteriori, recenti riattivazioni. Per quanto attiene allo specifico comportamento dell’infezione da BoHV-1 nel bovino maschio, è dimostrato come il virus induca una infezione genitale localizzata al prepuzio che esita in balanopostite a carattere pustoloso (IPB). Sono, inoltre, segnalati casi di orchite specifica. Nei tori infetti l’escrezione di virus attraverso il seme si verifica con elevata frequenza anche in assenza di sintomatologia, assumendo un carattere intermittente. Di qui, in assenza di mi- sure sanitarie atte ad escludere dall’attività riproduttiva i maschi infetti, discende il rischio che si realizzi la trasmissione dell’infezione attraverso monta naturale e fecondazione artificiale. In quest’ultimo caso, le basse temperature utilizzate per il congelamento e la conservazione del seme Nuovo protocollo operativo Diviene ogni giorno più importante la necessità di garantire l’indennità dei tori da adibire alla F.A. nei riguardi della IBRBHV1. Come riteniamo sia noto a tutti gli allevatori il rischio più grave è quello dei tori che, avendo l’infezione in stato di latenza, non evidenziano reazioni anticorpali e pertanto sembrerebbero indenni, ma che in condizioni particolari, possono riattivare l’infezione e quindi trasmetterla anche agli altri riproduttori. Per evitare tale rischio bisogna garantirsi che un soggetto sia sempre negativo ai test, dal momento della nascita fino alla sua eliminazione fisica. È quindi fondamentale l’uso di colostro privo di anticorpi BHV1 (IBR) nei primissimi giorni di vita e successivamente l’isolamento fisico e l’adozione di tutte le normali norme di profilassi per garantirsi che il torello non contragga l’infezione. Il Centro Genetico, in accordo e su proposta di Assogene, l’organizzazione dei Centri di F.A. italiani, ha pertanto stabilito che per i soggetti nati dal 1o gennaio 1999, che entreranno dal mese di luglio prossimo, dovrà essere effettuato un test per l’IBR nei primi 4-5 mesi di vita. I torelli che evidenzieranno la presenza di anticorpi, anche di origine colostrale, o che non saranno stati sottoposti al test entro tale età, non potranno essere ammessi al Centro Genetico. Quanto sopra sarà una garanzia in più per tutti i fruitori del seme congelato dei tori italiani, che accompagnano l’elevato valore genetico ad uno standard sanitario di assoluta sicurezza. FRANCESCO BRUN direttore Centro Genetico Anafi producono una ottimale conservazione della relativa carica virale infettante. La ricerca degli anticorpi verso BoHV-1 può essere esguita utilizzando tecniche diverse, tra le quali ELISA indiretta o blocking e Sieroneutralizzazione, per i relativi caratteri di elevata sensibilità e specificità, vengono indicati come test sierologici di elezione. In genere, si ritiene che dette metodiche siano entrambe idonee a svelare stati d’infezione, tuttavia, qualora si menzioni la tecnica ELISA non si fa riferimento ad un test univoco. Indagini volte a comparare test ELISA diversi, del commercio e non, mediante saggio sugli stessi sieri, hanno evidenziato risultati discordanti.Al riguardo, è ritenuto opportuno addivenire ad una standardizzazione delle metodiche, impiegando sieri di riferimento ed ad una sorta di accreditamento dei laboratori adibiti alla certificazione. Ancora oggi la Sieroneutralizzazione è considerata la tecnica sierologica di referenza. In particolare, si ritiene che un periodo d’incubazione di 18-24 ore della miscela siero virus, prima dell’aggiunta del sistema rivelatore, costitutita da cellule, implementi la sensibilità del test. Ora, la situazione europea nei riguardi dell’IBR si connota per differenti livelli d’attenzione nei confronti della problematica verso cui, ad onor del vero, si deve rilevare un diffuso, crescente interessamento. Non a caso è stato istituito, in seno al Comitato Scientifico Veterinario dell’Unione Europea, un apposito Sottocomitato IBR con il precipuo compito di procedere alla rilevazione dei vari provvedimenti restrittivi la movimentazione degli animali, tendendo al loro miglioramento ed armonizzazione. Rimane, comunque, di stretta pertinenza dei singoli Stati o Regioni apportare eventuali modifiche alla normativa nazionale e porre in essere qualsivoglia programma di controllo o eradicazione nei riguardi dell’IBR. Si tratta di un atteggiamento che, pur nell’intendimento di rispettare la volontà sovrana dei singoli Stati membri, potrebbe celare la reale impossibilità di supportare economicamente un programma organico di eradicazione che assuma respiro comunitario. Attualmente, nell’ambito del territorio europeo, a fianco di Stati che hanno perseguito, da tempo e con successo, politiche di eradicazione dell’infezione (Danimarca, Austria, BIANCO NERO . FEBBRAIO ’99 K Y C M - p. 20 20 Svezia, Finlandia, Norvegia, Svizzera), troviamo Paesi comunitari, con i quali intratteniamo intensi scambi commerciali nel settore zootecnico, che stanno compiendo o si accingono a compiere scelte dirette in tal senso. Ci si riferisce in particolare a Germania, Francia, Olanda e Belgio che hanno promosso campagne di eradicazione verso l’IBR, talora con il connotato di una regionalizzazione degli interventi. A differenza del caso precedente, in questi ultimi Paesi, connotati da una elevata prevalenza d’infezione, è fatto ricorso alla vaccinazione con presìdi marker. Nel nostro Paese l’infezione è largamente diffusa tra i bovini da latte: si stima che oltre il 60% dei nostri allevamenti siano infetti. Attualmente sono in corso programmi di eradicazione che si limitano a coinvolgere province (Bolzano,Trento), non a caso, confinanti con Paesi già indenni e connotate da ridotta prevalenza d’infezione. Stante l’eterogeneità del panorama nazionale ed internazionale inerente il controllo dell’IBR e la presenza di situazioni epidemiologiche disomogenee, ma comunque caratterizzate da alta prevalenza dell’infezione e, conseguente, alto rischio di diffusione, al fine di controllare la diffusione dell’infezione, tutelando stati di acquisita indennità, si deve ritenere assolutamente strategica la rigorosa gestione del comparto riproduttivo. I provvedimenti comunitari sono, appunto, espressione di un fermo convincimento del ruolo cardine svolto dal comparto riproduttivo nella diffusione e controllo dell’infezione. Convincimento che ha portato ad imporre lo stato di indennità da IBR sia per i centri di produzione dello sperma da adibire a fecondazione artificiale che per i centri di trapianto embrionale. Ne consegue che la necessità di ottenere tori indenni da IBR risulta inderogabile ed impellente. In tal senso va rigorosamente salvaguardata la richiesta di sieronegatività per i torelli introdotti nei centri di selezione genetica. Il controllo sierologico precoce degli animali, prima dell’introduzione e già a 3-5 mesi di età, è volto a garantire quanto ben indicato in precedenza relativamente alla possibilità che anticorpi materni mascherino avvenute infezioni e stati d’infezione latente. L’ampia diffusione dell’infezione e l’alta prevalenza di bovine provviste di anticorpi da vaccinazione rendono assai comune il riscontro di giovani maschi sieropositivi, in quanto provvisti di anticorpi passivi, di origine colostrale. D’altro canto è attualmente impensabile destinare alla riproduzione solo animali provenienti da allevamenti indenni, peraltro oggi non certificabili ufficialmente. A rendere realistica la valutazione sierologica precoce dei torelli, anche appartenenti ad allevamenti infetti e/o vaccinati, si configura la possibilità di alimentare i maschi destinati ad attività riproduttiva esclusivamente con colostro artificiale, surrogato di quello materno. La presenza di Paesi indenni da IBR rende agevole la produzione e commercializzazione di colostro privo di anticorpi specifici. Si tratta, a questo punto, di validare i singoli prodotti attraverso un’azione di certificazione mirata e, parallelamente, produrre adeguate sperimentazioni di campo atte a comprovare l’efficacia zootecnica di tal pratica. BIANCO NERO . FEBBRAIO ’99 K- p. 21 21