19 aprile 2013 — numero 16 POSTE ITALIANE SPED. IN A.P. - D.L. 353/2003 CONV. L. 46/2004 ART. 1, C. 1, DCB MILANO - PUBBLICAZIONE SETTIMANALE IL VENERDÌ CON IL CORRIERE DELLA SERA € 1.70 (SETTE € 0.50 + CORRIERE DELLA SERA € 1.20) - NEI GIORNI SUCCESSIVI € 1.50 + IL PREZZO DEL QUOTIDIANO. NON VENDIBILE SEPARATAMENTE Vanessa Incontrada. Quel giorno che Miguel Bosé mi baciò sulle labbra... Poi l’avventura italiana, dove la tv è ancora maschilista Una ragazza del Malawi fotografata nell’ospedale Masuku di Mangochi poche ore dopo il parto. di Vittorio Zincone SETTEGREEN Nella giornata della Terra, tra disastri e sprechi, c’è poco da festeggiare. Con un’intervista al teorico dello sviluppo sostenibile di Stefano Rodi e Sara Gandolfi programmi dal 20 al 26 aprile A rischio il telefilm Smash È un musical studiato così bene che lo chiudono alla prima serie Il caso Come mai i ballerini funzionano nei talent-show molto più che nelle serie? Intervista La coreografa Per i bambini Il cartone Celentano: «Amici è e la sit-com che fanno un’agenzia di collocamento» sognare con la danza SETTETV Smash, il musical a rischio, e i ballerini protagonisti nei talk-show Un giorno nella vita degli orfani dell’Aids Il nostro inviato tra i ragazzi del Malawi, Paese africano con il record di morti. A trent’anni esatti dalla scoperta del virus Reportage di Ettore Mo con un articolo di Franca Porciani e immagini di Luigi Baldelli 1 12-04-2013 20:53:27 A scuola, per continuare a vivere Una bambina in mezzo alla classe in una scuola del distretto rurale di Mabala, in Malawi: immagine emblematica dei tanti piccoli che l’Aids ha lasciato soli, ma anche degli sforzi che si compiono per consentire loro una vita il più possibile normale. REPORTAGE DAL MALAWI Nel Paese degli orfani dell’Aids A trent’anni dalla scoperta del virus, viaggio nel cuore dell’Africa dove la popolazione è decimata dalla malattia e i bimbi senza genitori sono un esercito. Ma la collaborazione tra ong e governo locale comincia a dare qualche risultato. E a regalare un barlume di speranza di Ettore Mo / Foto di Luigi Baldelli 32 sette | 16 — 19.04.2013 T ra le regioni più povere dell’Africa, il Malawi non aveva certo bisogno dell’Aids per accelerare lo sfoltimento della sua popolazione (più di 13 milioni di abitanti), già decimata dalla fame. Ma l’implacabile virus continua a far vittime al ritmo – secondo dati recenti – di mille persone la settimana, aggiudicando al Paese il primato di 55mila decessi l’anno. Non so quanto lo sgomento possa essere alleviato dalla nozione che soltanto qualche anno fa il totale si aggirava sui 70mila. L’epidemia colpisce soprattutto donne e bambini, che affollano i Dream Center nell’area rurale intorno a Lilongwe – la capitale – e nelle altre città, inverosimilmente gremite da gente che “campa d’aria”, ridotta alla miseria estrema. Non deve quindi trarre in inganno la parola Dream, che in questo caso non significa affatto “sogno”: si tratta piuttosto delle iniziali di Drug Resources Enhancement against Aids and Malnutrition, ed è uno degli interventi di Project Malawi, l’iniziativa promossa dalla Fondazione Cariplo e da Intesa Sanpaolo per prevenire e combattere la diffusione dell’Aids e che sostiene organizzazioni non governative come la Comunità di Sant’Egidio e il CISP, il Comitato internazionale per lo sviluppo dei popoli. «È comunque un fatto», sostiene la signora Harrima Daudi, viceministro della Sanità, «che nel Malawi oggi più di un milione di per- Così si cerca di prevenire ulteriori danni Nella pagina accanto, il controllo del peso e dell’altezza dei bambini nati da donne sieropositive nel villaggio di Maliana. Qui sopra, ragazzini giocano nel villaggio di Chizululu. Sono oltre 120.000 in Malawi i bambini che convivono con la sieropositività e mezzo milione quelli che hanno perso i genitori a causa dell’Aids. Oggi molte istituzioni si occupano di loro. sone vivono con l’Aids». Sorto nel 2005, il Dream Center (in tutti i Dream Center opera la Comunità di Sant’Egidio) di Mtengo Wanthenga dispone di una clinica che assiste attualmente 1.900 pazienti, di cui trecento bambini nati da madri sieropositive: tuttavia la maggior parte dei medici ed esperti della situazione sanitaria locale ritiene che il 94% delle donne colpite dalla malattia «non abbia trasmesso il virus» ai propri figli, grazie alla cura con medicine retrovirali. È il caso di Falesi Loyd, una signora di 36 anni, già madre di quattro figlie (tutte sane) e prossima al quinto parto: spera sia un maschietto, per il quale ha già scelto il nome, Vincenzo. Uomini “campioni” di infedeltà. Non sembra aver alcun dubbio, Falesi, che sia stato il marito a trasmetterle il virus: ma nella sua voce, quando la incontriamo convalescente nella clinica del Centro, non c’è ombra di risentimento o rancore nei riguardi del coniuge, lui stesso vittima di ciò dove l’africa è più povera Tanzania Malawi Angola Lilongwe Zimbabwe D’ARCO 34 sette | 16 — 19.04.2013 Accanto vedete dove si trova il Malawi, Paese dell’Africa orientale che si estende per 900 km. Sotto il dominio inglese fino al 1964, è diventato Repubblica nel 1966. Ha tredici milioni di abitanti: tre quarti vivono con meno di 1,25 dollari al giorno. L’etnia dominante è quella Chewa. Convivere con il virus Nella pagina accanto, a Thyolo, bambini giocano a calcio; in questa foto, una ragazzina nel villaggio di Maliana. Il maggior numero di sieropositivi in Malawi si registra fra i 13 e i 20 anni. L’effetto positivo delle cure Qui a destra, un piccolo sano viene sottoposto a uno dei controlli periodici presso il Dream Center del villaggio di Dzoole. Nella pagina accanto, in alto, nel villaggio di Chatha, Judith Bizweck, sieropositiva, con il figlio Samuel di due anni, nato sieronegativo grazie alle cure somministrate alla mamma. Un caso analogo, nell’immagine in basso, a Kapeni. del Malawi la tragica esperienza del virus è stata vissuta e positivamente risolta da una coppia di coniugi: lei, Georgina Lejani, 42 anni, Mtsuko, 48. Nel 2007 lui si ammalò e, dopo una visita in ospedale, scoprì di essere sieropositivo. Preoccupata, la moglie si sottopose ai test per ben sette volte, sempre con esito negativo. Solo nell’ultima visita (2011) a Georgina venne diagnosticata la sieropositività. Mtsuko non aveva mai comunque desistito dal proclamare la propria “verità”: e cioè di aver contaminato la moglie in seguito a rapporti intimi con altre donne. Il seguito della vita coniugale tra i due è un idillio: sveglia alle 6 del mattino con gli occhi rivolti al cielo e la preghiera, rito che viene celebrato la sera, prima di cena. Il marito riceve regolarmente i farmaci da un ospedale governativo, mentre alla moglie provvede ogni giorno il Dream Center. Atmosfera francescana in casa. Le polemiche sul controllo delle nascite. Difficile stabili- che nel Malawi viene talvolta definito «un fatale ingranaggio ereditario». Del tutto simile la vicenda di Monica Banda, sposata, con due figli piccoli e incinta di otto mesi, che però non può fare affidamento sul proprio compagno, ostinato “campione d’infedeltà” e perenne uccel di bosco. Non stupisce che pensi al divorzio come unica via d’uscita. Di tutt’altro genere, invece, la storia di una donna anziana, Zainabu Dagliya, che abbiamo incontrato nel suo remoto villaggio dopo che la nostra inchiesta, iniziata nella capitale, s’era estesa nelle immense zone agricole della regione meridionale, da Bakala a Zomba, a Blantyre e poi giù giù fino alle pozzanghere e ai campi di tè del Thyolo, nel profondo Sud. I controlli sui sieropositivi Qui accanto, un bimbo sieropositivo viene sottoposto a un esame del sangue nel villaggio di Mtengo Wanthenga. Nell’altra pagina, nel villaggio di Maliana un piccolino nato da una donna sieropositiva viene pesato (sotto un albero) nel corso di una visita medica all’interno di un programma di controlli periodici. Zainabu sta trascorrendo la sua ottantesima primavera a Mtengo Wanthenga, frazioncina di poche case in muratura a un piano, affacciate sull’unica strada. Ha avuto quattro figli e otto nipoti. L’Aids ha bussato alla sua porta e il risultato è un ragazzino di undici anni, sieropositivo, i cui genitori morirono nel 2004, stroncati dal virus. Spende tutto il tempo e tutte le energie rimaste dietro questo gracile nipotino, Joseph Kachala, sfibrato dal vomito, che però migliora, dice, «grazie anche alle medicine del Dream Center e al cibo che mi mandano a casa, riso, soia, zucchero, piselli e qualche litro d’olio... Lo vedesse, com’è in gamba. Ora è a scuola. Sa leggere, sa scrivere...». In un altro dei 28 distretti in cui è suddiviso il territorio re quante siano effettivamente le persone colpite dal virus dal momento che gran parte della popolazione è restia a sottoporsi ai controlli sanitari necessari per accertarlo: una tendenza, questa, particolarmente diffusa nelle grandi comunità rurali del Meridione, dove per altro la promiscuità e l’attività sessuale sono più intense che al Centro e nel Nord del Paese. Se non più viva, rimane certamente intensa nel Malawi la polemica sul problema del controllo delle nascite e sui rimedi legittimi da adottare per risolverlo. Il governo e altre organizzazioni laiche sostengono apertamente i promotori della campagna per il ricorso agli anticoncezionali, ancora vivacemente avversata e respinta dalla comunità cattolica; mentre al tempo stesso il Dream Center stigmatizza il sistema tradizionale della famiglia malawiana, dove il padre- i vari campi di azione di Project Malawi Project Malawi è una iniziativa di Fondazione Cariplo e Intesa Sanpaolo, nata nel 2005 con l’obiettivo di combattere l’Aids in Malawi, uno dei Paesi africani più poveri e più colpiti da questa malattia. Project Malawi si basa sulla collaborazione tra grandi ong operanti nel Paese e il governo locale, come chiave per un processo sostenibile e durevole, ed è attivo non solo sul piano sanitario ma in diverse aree di intervento: salute, nutrizione, assistenza agli orfani, prevenzione, sviluppo locale. sette | 16 — 19.04.2013 37 Immagini di ordinaria miseria A sinistra, una bambina appollaiata su un albero nel prato di fronte alla scuola, nel villaggio di Chaweta. Qui accanto, a destra, due ragazzine di fronte alla loro casa nel villaggio di Mchiramwera, nella regione di Thyolo. Il tenore di vita in Malawi è estremamente basso: tre quarti della popolazione vivono con poco più di un dollaro al giorno. padrone gode di una posizione di assoluto privilegio (tutto gli è dovuto in abbondanza, a cominciare dal cibo) a scapito dei figli, che crescono deboli e malati, privati come sono, fin dall’infanzia, di una adeguata alimentazione. Altro momento interessante. La visita a Katsukunya, un remoto villaggio in provincia dove, sempre con il sostegno di Project Malawi, si stanno realizzando una serie di progetti a beneficio della comunità e, soprattutto, dell’infanzia locale. Un tentativo di sottrarre i bambini a quella che è stata, per secoli, la loro più grande disavventura: l’analfabetismo. L’inerzia dei governanti. Il locale appena allestito dovreb- be svolgere le funzioni di asilo-nido, destinato ai piccoli dai tre ai cinque anni. Sono stati predisposti sei angoli per soddisfare tutte le tendenze: di chi ama la natura, di chi ama l’arte, la cultura, la religione e infine la danza e la musica. Ed è proprio quest’ultima che affascina un gruppetto di musicisti in erba, i quali, presi d’assalto alcuni tamburi, sprigionano un inaudito fracasso di suoni che, nella loro puerile immaginazione, dovrebbe evocare le sonore mareggiate dei Beatles e dei Rolling Stones. Landa incantevole, il Malawi, così diversa da come l’avevo immaginata, colline verdi e campi sterminati di mais fatti ondeggiare dal vento, villaggi graziosi color pastello, strade pulite. Ma per sapere in che misura l’Aids ha infierito sul Paese ricorro a uno dei suoi più importanti intellettuali, Nel 1983 la scoperta del virus hiv La terapia ora fa convivere con la malattia. Ma il vaccino è ancora lontano di Franca Porciani N ell’estate del 1981 riflettori si accesero su un improvviso aumento di casi di una strana polmonite e di un tumore raro, il sarcoma di Kaposi, in alcuni omosessuali giovani di New York, Los Angeles e San Francisco. Nel 1982 l’Aids era già un’epidemia inarrestabile, presente in cinque continenti, ma nel 1983 arrivò la prima certezza: all’origine della malattia che pareva punire la trasgressione (colpiva gay e tossicodipendenti) c’era un virus diverso, minacciosamente nuovo, ma che da allora in poi si sarebbe, forse, riusciti a governare. Il ministro della Sanità statunitense ne annunciò la scoperta a opera di Robert Gallo, del National Cancer Institute, che lo battezzò HTV-III. Prevedendo anche, incautamente, che si sarebbe arrivati a un vaccino nel giro di breve tempo (a distanza di trent’anni è ancora una speranza, nonostante le tante 38 sette | 16 — 19.04.2013 ricerche finanziate, non ultima quella di Barbara Ensoli dell’Istituto Superiore di Sanità). Lo scienziato americano arrivava secondo: il virus identificato era lo stesso di quello isolato in Francia l’anno prima da Luc Montagnier all’Istituto Pasteur di Parigi, nome di battesimo LAV. A chi dei due andava la paternità della scoperta e con questa il diritto allo sfruttamento commerciale, ovvero i guadagni dell’eventuale test di screening? La diatriba ebbe toni accesissimi ma si concluse nel 1987 con un accordo conveniente per entrambi: i due ricercatori si sarebbero divisi equamente i proventi e per il virus fu coniato un nome nuovo, HIV, acronimo di Human Immunodeficiency Virus, virus dell’immunodeficienza umana. Il premio Nobel arrivò nel 2008, ma soltanto a Montagnier, quando questi, dimentico dell’Aids, si occupava di omeopatia ed esaltava le capacità antiossidanti della papaya. Gallo da allora ha fatto sempre buon viso a cattiva sorte. Ma che cosa aveva di speciale quel virus? Riusciva ad annientare il sistema immunitario lasciando indifesi contro infezioni di ogni tipo e tumori. Ecco, allora, che germi non particolarmente cattivi provocavano polmoniti devastanti mentre comparivano sarcomi della pelle e linfomi. La gente moriva nel giro di poco tempo. Flagello frutto di un salto di specie: tutto sarebbe cominciato da un virus scappato dalle scimmie delle foreste equatoriali africane negli Anni Trenta, quando in Congo operai impegnati nella costruzione di una ferrovia mangiarono carni infette (il primo caso di Aids umano, documentato trent’anni dopo ricercando nel sangue gli anticorpi anti-Hiv, fu un uomo deceduto nel 1959 a Leopoldville). Il virus sarebbe poi approdato negli Stati il confronto in cifre Una piaga che divide il mondo Mabvuto Bamusi, che ha scritto un libro, Malawi Poverty, sui disagi della situazione socio-economica. «Per cominciare», esordisce, «affermo subito che noi non abbiamo ancora promulgato una legge contro l’Aids grazie all’inerzia dei nostri governanti, presenti e passati. Invece di finanziare un progetto che colmasse questa lacuna, il governo di Lilongwe ha speso i soldi per la residenza del capo dello Stato e per i viaggi intercontinentali dei nostri ministri. Occorre instaurare subito una nuova leadership e non dipendere più, per le decisioni economiche, dal Fondo Monetario Internazionale. Bisogna pure affrontare il tema della povertà nel nostro Paese, che coinvolge tutti gli strati sociali». Uniti all’incirca nel 1968. L’Aids negli anni successivi mieté vittime in tutto il mondo (casi illustri, Rock Hudson e Rudolf Nureyev), si fecero conferenze e campagne che attrassero un’attenzione mediatica enorme, poi nel 1995 entrò in scena una nuova classe di farmaci, gli inibitori della proteasi, che modificarono la storia della malattia trasformandola da mortale in cronica. Oggi 33 milioni di persone nel mondo convivono con il virus Hiv, ma 2 milioni ancora ne muoiono ogni anno, soprattutto nell’Africa sub-sahariana, l’area più colpita. In Italia l’Aids è sconfitto?«No, semplicemente non se ne parla più», risponde Paolo Grossi, professore di malattie infettive all’università dell’Insubria a Varese. «I casi sono 5 ogni 100.000 abitanti ogni anno e i sieropositivi 160.000. Il fenomeno più significativo è l’ascesa delle diagnosi fra gli uomini omo-bisessuali di mezza età, che sfiorano oggi il 50%. L’altro 50% dei casi è tra i giovanissimi eterosessuali». © riproduzione riservata 6 milioni 10 milioni Gli individui sieropositivi che ricevono la terapia antiretrovirale nei Paesi in via di sviluppo. I sieropositivi che “non” ricevono la terapia nei Paesi in via di sviluppo, pur avendone bisogno. 1,1 milioni 1,5 milioni Le persone che convivono con la sieropositività negli Stati Uniti attualmente. I sieropositivi che si stima vi siano oggi nell’Europa dell’Est e nell’Asia centrale. Anche sul terreno della sanità, Bamusi ha parlato di “corruzione interna” e di “contrabbando di prodotti medici”, come avviene di sovente nello Zambia e nel Mozambico, i due Paesi confinanti. E ha pure ricordato che mentre il presidente del Malawi festeggiava il giorno di San Valentino innaffiando gli ospiti con lo champagne, il carburante scarseggiava mettendo in difficoltà autoambulanze e generatori di corrente negli ospedali. Testimonianze di sofferenza. Ultimo appuntamento nel villaggio di Chibwan, nella regione del Thyolo, dove il 40% della popolazione è sieropositiva e tutti si guadagnano da vivere sguazzando negli acquitrini delle immense piantagioni di tè. Anche qui le donne che incontro hanno dovuto fare i conti con l’Aids, che ha sconvolto la loro esistenza. Testimonianze quasi sussurrate, fatte comunque a bassa voce per non turbare l’incanto del paesaggio. La prima a confidarsi è Violet Paulo, 32 anni, che non può più camminare perché azzoppata dalla malattia e che recentemente ha perso il marito. Ed ecco Patuma Kauda, sieropositiva dal 2009, pure lei paralizzata e immobilizzata tre anni or sono da un cancro, conseguenza dell’Aids, ora accudita dall’anziana madre, rimasta vedova con tre figli grandi che vede di sfuggita quando emergono dal pantano, neri di fango. E infine Stazia Amusa, 48 anni, sposata e con tre figli (ma uno di essi naturalmente scomparso), che nel 2003 aveva scoperto di essere sieropositiva e che l’implacabile virus le era stato trasmesso dalla propria figlia, aggredita poi mortalmente dall’Aids. Il dramma del Malawi, che si sarebbe sviluppato a tappe durante il nostro soggiorno su palcoscenici diversi, era già tutto specchiato negli occhi di Memory Chiguguza, una signora di 36 anni, malata di Aids, sdraiata su una stuoia e per sempre immobilizzata da un tumore che nel 2008 («secoli fa» avverte) l’aveva colpita alle gambe. È stata la nostra prima intervista e anche la più breve. Poche parole, accompagnate da lunghi sguardi che raccontavano una sofferenza infinita. Era lei il Malawi. Ettore Mo © riproduzione riservata sette | 16 — 19.04.2013 39