caratterizzazione di due anticorpi monoclonali umani cross

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UNIVERSITA’ POLITECNICA DELLE MARCHE
FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA
Dottorato di Ricerca in
Patologie Immunometaboliche, degenerative e infettive
CARATTERIZZAZIONE DI DUE ANTICORPI
MONOCLONALI UMANI
CROSS-NEUTRALIZZANTI DIRETTI CONTRO
LA GLICOPROTEINA E2 DEL VIRUS
DELL’EPATITE C
Coordinatore: Prof. Pietro E. Varaldo
Tutor: Prof.ssa Patrizia Bagnarelli
Tesi di Dottorato di:
ROBERTA ANTONIA DIOTTI
Anno Accademico 2009-2010
Per la mia famiglia
CONSULTAZIONE TESI DI LAUREA
La sottoscritta
nata a
ROBERTA ANTONIA DIOTTI
TREVIGLIO (BG)
il 11/10/1982
autore della tesi dal titolo
CARATTERIZZAZIONE DI DUE ANTICORPI MONOCLONALI
UMANI CROSS-NEUTRALIZZANTI DIRETTI CONTRO LA
GLICOPROTEINA E2 DEL VIRUS DELL’EPATITE C
NON AUTORIZZA
la consultazione della tesi stessa.
Data.........................
Firma………………………
UNIVERSITA' POLITECNICA DELLE MARCHE
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Dottorato di Ricerca in Patologie Immunometaboliche, degenerative e infettive
Tesi di Laurea di: Roberta Antonia Diotti
Coordinatore: Prof. Pietro E. Varaldo
Tutor: Prof.ssa Patrizia Bagnarelli
CARATTERIZZAZIONE DI DUE ANTICORPI MONOCLONALI
UMANI CROSS-NEUTRALIZZANTI DIRETTI CONTRO LA
GLICOPROTEINA E2 DEL VIRUS DELL’EPATITE C
Nell’80% dei casi di infezione, il virus dell’epatite C (HCV) supera le difese
dell’ospite e stabilisce un’infezione persistente, che espone il paziente al rischio di
sviluppare cirrosi e epatocarcinoma. La terapia basata su ribavirina e interferone è
costosa, poco efficace e gravata da effetti collaterali. Nonostante la grande variabilità
genetica del virus, concentrata soprattutto a livello delle glicoproteine E1E2
dell’envelope, sono state descritte alcune regioni di E2 conservate tra i diversi genotipi,
suggerendo che la scarsa variabilità di tali regioni è necessaria per mantenere alcune
funzioni cruciali della glicoproteina nel ciclo virale. Pertanto l’identificazione e la
caratterizzazione di anticorpi diretti contro queste porzioni conservate di E2 potrebbe
fornire un contributo per lo sviluppo di una valida immunoterapia passiva e per la
realizzazione di un vaccino efficace.
In questa tesi sono stati caratterizzati due frammenti anticorpali monoclonali umani
(Fab e20 e Fab e137) diretti contro la glicoproteina E2. e20 ed e137 sono stati clonati
dal repertorio linfocitario di una paziente infetta in modo cronico da HCV genotipo 1b.
Per selezionare dei cloni potenzialmente cross-reattivi, la library anticorpale ottenuta
dalla paziente è stata screenata contro una glicoproteina E2 ricombinante derivata da un
sottotipo diverso: 1a. Tramite studi di binding, e20 ed e137 sono risultati in grado di
legare E2 di tutti i genotipi (tranne il genotipo 5 per il Fab e137). Esperimenti condotti
con peptidi lineari, saggi di competizione con anticorpi diretti contro epitopi noti e la
generazione di mutanti sito-specifici di E2 hanno dimostrato che e20 ed e137 sono
diretti contro un epitopo conformazionale. In particolar modo, l’epitopo del Fab e20
coinvolge i residui aminoacidici: W437, F442, W529, G530 e D535; mentre quello del
Fab e137 coinvolge: T416, W420, W437, L438, L441, F442, W529, G530 e D535.
I residui W529, G530, D535 risultano essere conservati fra i vari genotipi e coinvolti
nel legame di E2 al CD81. Saggi di competizione fra il Fab e20 o il Fab e137 e CD81
confermano che i Fab sono diretti contro una regione di E2 importante per il legame del
virus al recettore cellulare.
Si è osservato che i Fab riconoscono dei residui contenuti della porzione della
glicoproteina E2 che va dall’aminoacido 436 al 447, regione descritta in letteratura
come quella riconosciuta dagli anticorpi non neutralizzati in grado di interferire con
l’attività dei cloni neutralizzanti. I nostri dati sembrerebbero contrastare questa
affermazione, infatti i Fab e20 ed e137 non solo sono in grado di riconoscere alcuni
residui contenuti in questa regione, ma possiedono anche un’attività neutralizzante
rilevante.
Inoltre il legame del Fab e137 viene abrogato anche da due mutazioni a livello
dell’epitopo riconosciuto dall’anticorpo murino AP33, descritto in letteratura come il
clone con un ampia cross-reattività ed un’elevata attività neutralizzante.
I Fab e20 ed e137 possiedono una potente attività cross-neutralizzante. Nel saggio di
neutralizzazione con pseudovirus, e20 ed e137 neutralizzano i genotipi 1a, 2a e 4 (IC50
intorno ai 7 µg/mL) e meno efficientemente i genotipi 1b e 2b. L’attività neutralizzante
è stata confermata in un saggio di neutralizzazione basato sull’uso di un particolare
isolato virale in grado di replicare in vitro (IC50 intorno ai 2 µg/mL).
Grazie agli studi di cinetica di neutralizzazione è emersa la capacità dei Fab e20 ed
e137 di inibire l’infettività virale agendo dopo il binding del virus alle cellule bersaglio;
in particolare interferiscono con gli eventi immediatamente successivi al legame tra
virus e recettori a bassa affinità.
Analizzando questi dati, possiamo concludere che abbiamo identificato e
caratterizzato due frammenti anticorpali con un ampia cross-reattività ed una potente
attività cross-neutralizzante, in quanto sono in grado di legare dei residui aminoacidici
sulla glicoproteina E2 che svolgono un ruolo chiave nel ciclo virale e che risultano
essere conservati tra i vari genotipi. Per cui questi Fab risultano essere fondamentali per
lo sviluppo di una immunoterapia passiva efficace e per lo studio dell’interazione virusospite.
UNIVERSITA' POLITECNICA DELLE MARCHE
Facoltà di Medicina e Chirurgia
Dottorato di Ricerca in Patologie Immunometaboliche, degenerative e infettive
Tesi di Dottorato di: Roberta Antonia Diotti
Coordinatore: Prof. Pietro E. Varaldo
Tutor: Prof.ssa Patrizia Bagnarelli
CHARACTERIZATION OF TWO HUMAN MONOCLONAL
ANTIBODIES CROSS-NEUTRALIZING DIRECTED AGAINST THE
E2 ENVELOPE GLYCOPROTEIN OF HEPATITIS C VIRUS
In approximately 80% of the cases of infection, hepatitis C virus (HCV) overcomes
the host immune response, leading to a chronic infection associated with an increased
risk of severe liver diseases. Current therapy (ribavirin and interferon) is expensive, can
have adverse side effects and is ineffective for approximately 50% of patients.
Despite the genetic variability of the virus at the level of E1E2 envelope
glycoproteins, some regions conserved among different E2 genotypes have been
described, suggesting that no variability at this level is required to maintain critical
functions of the glycoprotein in the life cycle of the virus. Therefore, the identification
and characterization of antibodies directed against these regions can theoretically
provide a valuable contribution to the creation of an effective vaccine and to the
development of passive immunotherapy.
In this thesis, two human monoclonal antibody fragments (Fab e20 and Fab e137)
directed against the HCV E2 glycoprotein, have been characterized. The antibodies
were cloned from lymphocytes of a patient chronically infected with HCV genotype 1b.
In order to select cross-reactive clones, the library obtained from the patient was
screened against a recombinant glycoprotein E2 derived from a different subtype: 1a. In
binding experiment, e20 and e137 are capable of binding E2 of all genotypes (e137 is
not able to bind genotype 5). Several studies with linear peptides representing different
portions of E2, competition assays with antibodies directed against known epitopes and
the generation of site-specific mutants of E2 showed that e20 and e137 are directed
against a conformational epitope. In particular, the epitope of Fab e20 includes the
amino acids: W437, F442, W529, G530 e D535; whereas the epitope of Fab e137
includes the amino acids: T416, W420, W437, L438, L441, F442, W529, G530 e D535.
The residues W529, G530, D535 are conserved between different genotypes and
involved in the binding of E2 to CD81. Additional tests of competition, between e20 or
e137 and CD81, confirmed that the Fabs are directed against a region of E2 important
for the binding of virus to cellular receptor.
Fab e20 and e137 are able to recognize amino acids within the region 436-447, that
is described to bind unneutralizing antibodies, that interfere with the neutralizing
antibodies. Furthermore, the data highlight that the epitope of e137 includes two
conserved residues (aa 416 and 420) that were described to be within the epitope
recognized by mouse monoclonal antibody AP33.
The Fab e20 and Fab e137 have a potent cross-neutralizing activity. In the
neutralization assay with pseudovirus e20 and e137 neutralize genotypes 1a, 2a and 4
(IC50 approximately 7 µg/mL) and less efficiently genotypes 1b and 2b. The
neutralizing activity was also confirmed in a different neutralization assay based on a
particular virus isolate that can replicate in vitro (IC50 approximately 2 µg/mL).
Finally, the kinetic of neutralization study has shown the ability of the Fab e20 and
Fab e137 to inhibit viral infectivity by acting after viral binding to target cells, in
particular they are capable of interfering with the events immediately after the binding
between virus and low affinity receptor.
The data highlight that we identified and characterized two different broadly crossreacting and neutralizing human monoclonal antibody fragments direct against highly
conserved residues of E2 glycoprotein, that are crucial for CD81 binding and HCVpp
infectivity.
Overall, the availability of cross-reactive monoclonal antibodies with strong
neutralizing activity (i) allows a better understanding of the virus-host interplay, (ii)
provides new opportunities to develop antigens potentially able to elicit a broadly
neutralizing immune response, and (iii) may assist in the development of an effective
passive immunotherapy for HCV infection.
SOMMARIO
1. INTRODUZIONE .................................................................................................. 3
1.1 Il virus dell’epatite C (HCV) ............................................................................. 3
1.2 Il ciclo replicativo di HCV............................................................................... 16
1.3 Variabilità genetica di HCV............................................................................. 29
1.4 Storia naturale dell’epatite C ........................................................................... 32
1.5 Epidemiologia dell’epatite C ........................................................................... 36
1.6 Diagnostica dell’infezione da HCV ................................................................. 37
1.7 Trattamento farmacologico dell’epatite C ....................................................... 39
1.8 Modelli in vitro utilizzati per lo studio di HCV............................................... 42
1.9 La risposta immunologica nei confronti delle infezioni virali......................... 53
1.10 Gli anticorpi: struttura e funzione .................................................................. 56
1.11 La risposta immunitaria nei confronti del virus dell’epatite C ...................... 63
1.12 Razionale dello studio.................................................................................... 82
2. MATERIALI E METODI................................................................................... 86
2.1 Costruzione della library anticorpale............................................................... 86
2.2 Panning della library anticorpale fagica .......................................................... 88
2.3 Produzione dei Fab e20 ed e137 ...................................................................... 90
2.4 Purificazione dei Fab e20 ed e137 ................................................................... 91
2.5 Titolazione e calcolo dell’affinità dei Fab e20 ed e137 mediante ELISA ....... 92
2.6 Valutazione del legame dei Fab e20 ed e137 sulla glicoproteina E2 derivante
dai diversi genotipi di HCV................................................................................... 94
2.7 Determinazione dell’epitopo riconosciuto dai Fab e20 ed e137...................... 97
2.8 Valutazione della capacità dei Fab e20 ed e137 di inibire il legame fra il
recettore CD81 e la glicoproteina E2................................................................... 100
2.9 Valutazione dell’attività biologica dei Fab e20 ed e137................................ 103
2.10 Saggio di cinetica di neutralizzazione dei Fab e20 ed e137 ........................ 108
3. RISULTATI........................................................................................................ 112
3.1 Panning della library su HCV/E2.................................................................. 112
1
3.2 Analisi di sequenza dei Fab e20 ed e137 .......................................................113
3.3 Valutazione della cross-reattività dei Fab e20 ed e137 ..................................115
3.4 Studio dell’affinità dei Fab e20 ed e137 mediante saggio ELISA .................118
3.5 Definizione dell’epitopo riconosciuto dai Fab e20 ed e137...........................119
3.6 Valutazione della capacità dei Fab e20 ed e137 di inibire il legame fra il
CD81-LEL umano e la glicoproteina E2 ricombinante (genotipo 1a, H77) ........123
3.7 Valutazione della attività biologica dei Fab e20 ed e137...............................124
3.8 Valutazione della cinetica di neutralizzazione dei Fab e20 ed e137 su
pseudovirus HCV/MLV esprimenti sulla superficie le glicoproteine E1E2 di
genotipo 1a (isolato H77).....................................................................................128
4. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI..................................................................132
5. BIBLIOGRAFIA ................................................................................................141
2
1. INTRODUZIONE
1.1 Il virus dell’epatite C (HCV)
1.1.1 Flaviviridae
Il virus dell’epatite C (HCV, Hepatitis C virus), agente eziologico dell’epatite non A,
non B (NANB), (Feinstone et al., 1975), è stato identificato nel 1989 da Choo e colleghi
grazie all’impiego di tecniche di biologia molecolare. La disponibilità di grandi quantità
di plasma di uno scimpanzé infetto con l’agente eziologico di un’epatite virale NANB,
ha permesso di costruire, mediante l’impiego del fago λ, una libreria di DNA
complementare (cDNA), a partire dagli acidi nucleici estratti dal plasma, e di
identificare, successivamente, un clone di E. Coli che esprimeva una proteina
ricombinante virus-specifica (Choo et al., 1989; Choo et al., 1991). In seguito è stato
clonato l’intero genoma virale, che attraverso analisi di sequenza, ha permesso di
classificare HCV come membro di un distinto genere, chiamato Hepacivirus, all’interno
della famiglia delle Flaviviridae a cui appartengono anche il genere Flavivirus (virus
della febbre gialla, virus della febbre Dengue, virus West Nile e virus dell’encefalite
giapponese), il genere Pestivirus (virus della diarrea virale bovina e virus della febbre
classica suina) e i virus non classificati: il GB virus A (GBV-A), il GB virus B (GBVB) e il GB virus C (GBV-C)/virus dell’epatite G (HGV) (Figura 1) (Bartenschlager and
Lohmann, 2000; Murphy, 1995).
Il virus dell’epatite C presenta un’organizzazione genomica e un profilo di
idrofobicità della poliproteina da esso codificata che sono simili a quelli dei Pestivirus e
dei Flavivirus (Miller and Purcell, 1990).
3
Figura 1 | Albero filogenetico della famiglia Flaviviridae basato sull’analogia della regione dell’elicasi
NS3. In particolare sono mostrati i membri dei generi Flavivirus (YF: virus della febbre gialla; DEN-1 e
DEN-2: Dengue virus 1 e 2; WN: virus West Nile; JE: virus dell’encefalite giapponese), Pestivirus
(BVDV: virus della diarrea virale bovina; CSFV: virus della febbre classica suina) e alcuni isolati degli
Hepacivirus (HCV) e i virus non classificati GBV-A, GBV-B e GBV-C(Fields, 2001).
1.1.2 Il virus dell’epatite C
La particella virale di HCV ha una morfologia sferica e un diametro di circa 55 nm,
presenta un envelope, in cui sono inserite le glicoproteine di superficie virali E1 ed E2,
che circonda un nucleocapside a simmetria icosaedrica costituito dalla proteina Core la
quale racchiude il genoma virale (Figura 2).
Figura 2 | Particella virale di HCV, la quale presenta una densità di 1.15-1.17 g/ml e una morfologia
sferica con un diametro di circa 55 nm (Wakita et al., 2005).
4
Ultracentrifugando il siero dei pazienti con epatite C acuta e cronica si rileva la
presenza di una popolazione di particelle di HCV eterogenea con una densità che va da
1,03 a 1,34 g/ml (Andre et al., 2005). Le particelle di HCV a bassa densità sono
associate principalmente alle lipoproteine e rappresentano il virus infettivo, mentre le
particelle di HCV ad alta densità sono associate alle immunoglobuline, sottoforma di
immunocomplessi che risultano essere meno infettive (Aiyama et al., 1996; Andre et al.,
2002; Dienstag et al., 1979; Thomssen et al., 1993). Solo una piccola popolazione delle
particelle sieriche ha proprietà corrispondenti al virione di HCV descritto
precedentemente, poi troviamo altre forme del virus: le virolipoparticelle (LVPs)
composte da virioni e lipoproteine ricche di trigliceridi, gli exosomi cioè vescicole
membranose in cui si rilevano proteine dell’envelope virale ed infine troviamo i
nucleocapsidi di HCV non ricoperti da envelope (Andre et al., 2002; Diaz et al., 2006;
Maillard et al., 2001; Masciopinto et al., 2004; Nielsen et al., 2006; Petit et al., 2005).
Il genoma dell’HCV è costituito da un singolo filamento di RNA a polarità positiva
della lunghezza di circa 9.500 nucleotidi che presenta alle estremità due regioni non
tradotte (UTR, UnTranslated Region) e contiene un’unica Open Reading Frame (ORF)
che codifica per una poliproteina di circa 3.010 aminoacidi (Choo et al., 1991;
Feinstone and Purcell, 1983; Trestard et al., 1998; Yoshikura et al., 1996). La
poliproteina virale è processata sia da proteasi cellulari che virali a formare 10 specifici
prodotti genici virali: le proteine strutturali (Core, E1, E2 e p7) collocate nella porzione
N-terminale della poliproteina e le proteine non strutturali (NS2, NS3, NS4A, NS4B,
NS5A e NS5B) derivanti dalla rimanente porzione della poliproteina (Grakoui et al.,
1993; Penin et al., 2004) . Le proteine strutturali sono rilasciate dalla poliproteina dopo
il taglio da parte da signal peptidasi presenti nel reticolo endoplasmatico della cellula
ospite mentre le proteine non strutturali sono rilasciate dalla poliproteina dopo il
clivaggio da parte delle proteasi virali (NS2-3 e NS3-4A) (Figura 3) (Reed and Rice,
2000).
5
Figura 3 | Struttura del genoma di HCV. (A) Il genoma consiste in un’unica ORF che codifica per una
poliproteina di circa 3010 aminoacidi, fiancheggiata alle estremità da due sequenze non codificanti. La
sequenza 5’-UTR contiene un Internal Ribosome Entry Site (IRES) ed insieme all’estremità 3’-UTR è
coinvolta nella traduzione dell’RNA virale. (B) La poliproteina tradotta è processata da proteasi cellulari
e virali. Nell’immagine, i numeri al di sotto della poliproteina indicano i residui aminoacidici in cui
avviene il clivaggio. (C) Rappresentazione delle risultanti 10 proteine virali: strutturali e non strutturali
(Rehermann, 2009).
1.1.2.1 La regione 5’-UTR
La regione 5’-UTR di HCV è costituita dai primi 341 nucleotidi del genoma virale ed
è una delle regioni più conservate tra i diversi genotipi del virus e tra i diversi generi
della famiglia, sia in termini di sequenza nucleotidica sia in termini di struttura
secondaria (Bukh et al., 1992; Choo et al., 1991; Han et al., 1991). La struttura di tale
regione contiene 4 domini altamente strutturati che formano numerose conformazioni a
forcina importanti sia per la traduzione sia per la replicazione del genoma virale (Brown
et al., 1992; Wang et al., 1995).
6
1.1.2.2 La regione 3’-UTR
A seguito del codone di stop della ORF si trova la regione non tradotta dell’estremità
3’, lunga 225 nucleotidi. Questa regione è coinvolta nella traduzione e nella replicazione
attraverso l’interazione con proteine cellulari e sembra essere molto importante per
l’infettività (Ito and Lai, 1997; Ito and Lai, 1999).
1.1.2.3 La regione Core
I primi 191 aminoacidi della poliproteina costituiscono il nucleocapside o Core
(p21), che mostra un peso molecolare che va dai 17 ai 23 kDa. Le varie isoforme sono
dovute alla presenza di diverse forme immature della proteina e la forma maggiormente
rappresentata è quella matura di 21 kDa (Yasui et al., 1998).
La proteina è molto conservata e include molti epitopi che vengono riconosciuti dalla
risposta immune specifica (linfociti T e B) (Goeser et al., 1994).
Il Core non solo è importante per la formazione del nucleocapside icosaedrico virale,
ma è coinvolto anche in differenti processi cellulari quali: il metabolismo lipidico,
l’apoptosi, la trasformazione e la proliferazione cellulare ed è inoltre implicato nel
danno tissutale e nella progressione della fibrosi (Fukutomi et al., 2005; McLauchlan,
2000; Nunez and Soriano, 2004; Suzuki et al., 1995). In particolare, la proteina può
fungere da attivatore in trans di alcuni oncogeni cellulari (come ras) e può modulare in
vivo l’azione di p53 e di p73 nei meccanismi dell’apoptosi epatocitaria (Chou et al.,
2005; Kountouras et al., 2003; Meyer et al., 2005; Moriya et al., 1997) e questo
potrebbe spiegare come un virus, quale HCV, incapace di integrarsi nel genoma
cellulare possa essere coinvolto direttamente nell’oncogenesi epatica in corso di
infezione cronica (Moriya et al., 1998; Smirnova et al., 2006).
La proteina del nucleocapside di HCV è composta da tre distinti domini: il dominio
idrofilo D1 di 120 aminoacidi all’N-terminale, il dominio idrofobico D2 di circa 50
aminoacidi al C-terminale e il peptide segnale (di circa 20 aminoacidi) per la proteina
E1 (Grakoui et al., 1993; Harada et al., 1991; Santolini et al., 1994). Il dominio D1 è
idrofilico e ricco di aminoacidi basici conservati. In questo dominio sono presenti: tre
segnali di localizzazione nucleare, un motivo legante il DNA e un motivo legante
l’RNA; tutto questo potrebbe suggerire la traslocazione di questa proteina all’interno del
nucleo, ma non vi sono dati che confermano questa supposizione (Barba et al., 1997;
7
Chang et al., 1994; Suzuki et al., 1995; Suzuki et al., 2005). Il dominio D2 è
principalmente responsabile dell’associazione della proteina virale con alcune
membrane cellulari, tra cui: le membrane del reticolo endoplasmatico, la membrana
esterna dei mitocondri e le membrane delle vescicole lipidiche (Barba et al., 1997;
Nolandt et al., 1997). Alcuni studi hanno evidenziato che nella porzione del dominio D2
(una regione compresa tra gli aminoacidi 82 e 102) è presente una sequenza ricca in
triptofano, la quale sembra acconsentire l’associazione di più proteine Core p21 e che
quindi permetterebbe la formazione del capside virale (Nolandt et al., 1997). Altri studi
hanno però dimostrato che l’espressione in batteri dei primi 75 aminoacidi della
porzione N-terminale (dominio D1) sono sufficienti per la formazione delle particelle
nucleocapsidiche (Klein et al., 2005; Majeau et al., 2004). È ancora quindi da chiarire
quali siano effettivamente i residui critici per la formazione delle particelle virali.
1.1.2.4 La regione F
La regione F (dall’inglese Frameshift) codifica per la alternate reading frame protein
(ARFP) generata in seguito ad uno slittamento ribosomiale di -2/+1 nucleotidi a livello
della regione codificante per la porzione N-terminale della proteina Core. ARFP è
prodotta durante l’infezione, infatti nei pazienti con infezione cronica da HCV sono stati
rilevati anticorpi diretti verso questa proteina (Walewski et al., 2001). L’esatto
meccanismo traduzionale alla base della frequenza di slittamento e della produzione
della proteina F durante le diverse fasi dell’infezione sono ad oggi completamente
ignote (Xu et al., 2003). Il ruolo di ARFP non è noto, si pensa che possa essere
coinvolta nei meccanismi di persistenza del virus (Baril and Brakier-Gingras, 2005).
1.1.2.5 Glicoproteine di superficie E1 ed E2
Il genoma di HCV codifica per le due glicoproteine dell’envelope, denominate E1 ed
E2, rispettivamente di 33-35 e 70-72 kDa (Deleersnyder et al., 1997). Esse sono
componenti essenziali dell’envelope e sono necessarie per le prime fasi del ciclo virale
(Bartosch et al., 2003c).
Per lungo tempo non è stato possibile caratterizzare tali proteine a causa della
mancanza di un sistema efficiente di coltura cellulare per la replicazione e
8
l’assemblaggio delle particelle virali. Sistemi di espressione transiente hanno permesso
di analizzare le fasi della biogenesi di tali glicoproteine e i primi stadi dell’ingresso nel
ciclo vitale virale (Op De Beeck, 2001). Grazie allo sviluppo delle pseudoparticelle
retrovirali esprimenti sull’envelope le glicoproteine native di HCV è stato possibile, per
la prima volta, caratterizzare l’assemblaggio e la funzionalità di tali glicoproteine
(queste particelle sono state denominate HCV pseudovirus, HCVpp) (Bartosch et al.,
2003b; Drummer et al., 2003; Flint et al., 1999a; Hsu et al., 2003).
1.1.2.5.1 Traduzione e folding delle glicoproteine
E1 ed E2 sono glicoproteine transmembrana di tipo I e sono indirizzate al reticolo
endoplasmatico da peptidi segnale presenti nella porzione N-terminale (Dubuisson et
al., 1994; Grakoui et al., 1993). È stato dimostrato che tali proteine vengono tradotte a
livello dei ribosomi associati al reticolo endoplasmatico, dove vengono processate.
Le due glicoproteine presentano a livello della porzione C-terminale un dominio
idrofobico transmembrana lungo circa 30 aminoacidi, mentre all’N-terminale
posseggono un dominio extracellulare lungo 160 e 334 aminoacidi rispettivamente per
la glicoproteina E1 ed E2 (Figura 5) (Flint et al., 1999a; Flint et al., 1999b). I domini
transmembrana delle due glicoproteine sono composti da due segmenti idrofobici
separati da una corta regione polare, che contiene residui aminoacidici carichi
conservati. I domini transmembrana sono importanti per l’ancoraggio alle membrane, la
localizzazione e ritenzione a livello del reticolo endoplasmatico e l’assemblaggio in
eterodimeri tra E1 ed E2. Questo è stato dimostrato grazie a studi in cui la regione
transmembrana viene deleta o mutagenizzata (Cocquerel et al., 1998; Cocquerel et al.,
2000).
Le glicoproteine dell’envelope di HCV si assemblano in modo non covalente
formando eterodimeri di E1-E2 (Deleersnyder et al., 1997). Il folding di E1 dipende
dalla co-espressione di E2 e viceversa, quindi il corretto ripiegamento di E1 e di E2
dipende dalla espressione reciproca delle due glicoproteine, indicando che entrambe
cooperano per la formazione di un complesso funzionale (Cocquerel et al., 2003; Duvet
et al., 1998; Michalak et al., 1997; Patel et al., 2001). È stato dimostrato che il processo
di ripiegamento delle glicoproteine procede lentamente e che grazie ai glicani
interagiscono con la calnexina, una proteina chaperone del reticolo endoplasmatico
9
(Brazzoli et al., 2005; Deleersnyder et al., 1997; Dubuisson and Rice, 1996; Duvet et
al., 1998; Merola et al., 2001).
1.1.2.5.2 Glicosilazione delle glicoproteine
I domini extracellulari delle glicoproteine E1 ed E2 di HCV sono altamente Nglicosilati. La N-glicosilazione è una delle modificazioni post-traduzionali più frequenti
delle proteine e avviene attraverso il trasferimento di un oligosaccaride da un intermedio
lipidico ad un residuo di asparagina a livello della sequenza consenso Asn-X-Thr/Ser di
una proteina neosintetizzata, dove X può essere qualsiasi aminoacido eccetto la prolina
(Gavel and von Heijne, 1990; Kornfeld and Kornfeld, 1985). La catena polipeptidica in
via di sintesi emerge all’interno del lume del reticolo endoplasmatico ed è in tale sede
che avviene questa modificazione post-trascrizionale catalizzata da oligosaccaril
transferasi (Silberstein and Gilmore, 1996).
La glicoproteina E1 presenta 4 siti di glicosilazione altamente conservati tra i diversi
genotipi di HCV e un quinto sito di glicosilazione (in posizione 250) poco conservato,
presente solo nei genotipi 1b e 6. La glicoproteina E2 presenta invece 11 siti di
glicosilazione, 9 di questi siti sono altamente conservati, mentre i 2 rimanenti (N5 e N7)
presentano dei livelli di conservazione rispettivamente del 75% e dell’89% tra i vari
genotipi (Figura 4) (Goffard and Dubuisson, 2003; Zhang et al., 2004b).
Il processo di glicosilazione esercita un ruolo importante nel folding corretto della
proteina, nella sua funzione e nel modulare la risposta immunitaria (Hebert et al., 1997;
Ohuchi et al., 1997a; Ohuchi et al., 1997b; van Kooyk and Geijtenbeek, 2003; von
Messling and Cattaneo, 2003).
Come detto precedentemente, la glicosilazione modula il ripiegamento delle
glicoproteine permettendo l’interazione con la calnexina nel reticolo endoplasmatico
durante la maturazione. Studi di mutagenesi sito-diretta hanno dimostrato che l'assenza
di alcuni glicani in E1 (posizione N1 e N4) ed E2 (posizione N8 e N10) porta ad un
misfolding delle glicoproteine (Goffard et al., 2005; Meunier et al., 1999). È stato
sottolineato il fatto come questa alterazione non sia dovuta alla mancata interazione tra
le glicoproteine e la calnexina, suggerendo l’effetto diretto della glicosilazione sul
corretto ripiegamento delle glicoproteine. Infatti la presenza di un saccaride polare ad
10
alto peso molecolare legato ad un segmento peptidico influenza almeno localmente il
ripiegamento di tale segmento (Imperiali and O'Connor, 1999; Wormald and Dwek,
1999).
La mutazione di alcuni siti di glicosilazione nelle glicoproteine dell’envelope di HCV
può ridurre o abolire l’infettività degli HCVpp apparentemente senza incidere sul
ripiegamento e sull'incorporazione delle glicoproteine nelle pseudoparticelle. I glicani in
posizione N2 e N4 di E2 hanno effettivamente dimostrato di essere essenziali per le
funzioni di entry svolta dalle glicoproteine virali. Altri glicani (N2 di E1 e N5, N6 e
N11 di E2) sembrano modulare l’ingresso degli HCVpp (Goffard et al., 2005).
Infine la glicosilazione permette di mascherare alcuni epitopi conservati nei vari
genotipi virali a livello delle glicoproteine importanti per la fitness virale, rendendoli
inaccessibili agli anticorpi e permettendo quindi al virus di evadere la risposta umorale.
11
Figura 4 | Rappresentazione schematica delle glicoproteine E1 e E2. I siti di N-glicosilazione sono
indicati dalla lettera N a livello dell’aminoacido target di questa modifica post-traduzionale. I glicani
coinvolti nell’entry di HCVpp sono evidenziati da un quadrato nero mentre i siti di glicosilazione che
mutati alterano il ripiegamento di E1-E2 sono evidenziati da un cerchio grigio (Goffard et al., 2005). La
regione ipervariabile 1 (HVR1) di E2 è rappresentata dal box grigio. Le sequenze dei domini
transmembrana delle glicoproteine dell’envelope di HCV sono indicati nelle corrispondenti regioni Cterminali di E1 e E2 (TMD), i due segmenti idrofobici interni a tali domini sono sottolineati. In ultimo le
frecce indicano le posizioni dove l’inserzione di alanina blocca l’eterodimerizzazione fra E1 e E2 (Op De
Beeck, 2001).
1.1.2.5.3 Regioni funzionali delle glicoproteina E2
Le attuali conoscenze sulla fisiologia del virus suggeriscono che la glicoproteina E2
potrebbe essere il principale anti-recettore di HCV (la principale molecola virale che
interagisce con i recettori cellulari per permettere al virus di infettare le cellule target).
Le regioni funzionali di E2 importanti in quanto capaci di interagire con le molecole
cellulari finora definite sono due.
La prima regione è rappresentata da almeno tre segmenti discreti della proteina E2
(aminoacidi 480-493, 522-551 e 613-618) che durante il ripiegamento di questa
glicoproteina si uniscono a formare un unico dominio importante per l’interazione tra
E2 e il CD81 (Clayton et al., 2002; Flint et al., 1999a; Forns et al., 2000a; Forns et al.,
2000b; Hsu et al., 2003; Owsianka et al., 2001; Yagnik et al., 2000).
La seconda regione dotata di un ruolo fondamentale nel legame alla cellula ospite è
situata nella porzione N-terminale della proteina E2. Questa regione è caratterizzata da
un’alta variabilità aminoacidica, denominata per questo motivo HVR1 (dall’inglese
12
hypervariable region 1), è costituita da 27 aminoacidi ed è localizzata tra gli aminoacidi
384 e 410 della poliproteina (Penin et al., 2001; Scarselli et al., 2002; Weiner et al.,
1991). Virus deleti della regione HVR1, perdono la capacità infettiva, suggerendo che
HVR1 gioca un ruolo nell’infettività di HCV (Forns et al., 2000b). Per questo motivo,
nonostante l’alta variabilità della sequenza aminoacidica, le proprietà chimico-fisiche di
alcuni residui sono altamente conservate. In particolare, HVR1 è una regione composta
soprattutto da residui aminoacidici basici, che risultano localizzati in specifiche
posizioni. Studi condotti attraverso HCVpp che presentano mutazioni a livello di questa
regione, indicano che l’infettività aumenta con il numero di residui basici presenti in
tale regione. Inoltre, il cambiamento della posizione dei residui carichi modula
l’infettività del virus (Callens et al., 2005). Tali dati, indicano quindi che HVR1 è una
regione coinvolta nell’interazione con molecole cellulari, tra cui il CD81 e il SR-B1,
implicate nel favorire l’ingresso di HCV. HVR1 è una regione virale immunodominante
ed è stata infatti identificata come il principale bersaglio della risposta immune
anticorpale. Gli anticorpi diretti contro tale regione non hanno potere neutralizzante e
non hanno un ruolo nell’eliminazione del virus, questo a causa della forte variabilità di
HVR1, che determina la formazione di varianti virali geneticamente diverse, ma
strettamente correlate, chiamate quasispecie, che sono in grado di sfuggire alle difese
del sistema immunitario (Forns et al., 1999).
1.1.2.6 La regione p7
Il gene p7, localizzato tra i geni E2 ed NS2, codifica per una proteina idrofobica a
basso peso molecolare di 63 aminoacidi il cui taglio è mediato da signal peptidasi
cellulari presenti nel reticolo endoplasmatico. p7 è una proteina integrale di membrana
con due domini transmembrana organizzati in α-eliche connessi da un segmento
citoplasmatico, con le code N- e C-terminali della proteina orientate verso il lume del
reticolo endoplasmatico (Figura 5) (Carrere-Kremer et al., 2002). Studi in vitro
suggeriscono che questa proteina appartenga alla famiglia delle viroporine (proteine
importanti per l’assemblaggio e il rilascio delle particelle virali) e che oligomerizzando
formi un canale ionico in grado di trasportare ioni dal reticolo endoplasmatico al
citoplasma delle cellule infettate (Gonzalez and Carrasco, 2003) p7 sembra essere
essenziale per il ciclo virale, in quanto mutazioni o delezioni a livello del segmento
13
citoplasmatico, sopprimono l’infettività durante la transfezione intra-epatica con il
cDNA di HCV negli scimpanzé (Sakai et al., 2003).
1.1.2.7 Le proteine non strutturali di HCV
A valle delle proteine strutturali appena descritte, il genoma di HCV presenta una
serie di geni codificanti proteine non strutturali. Analizzandole dal 5’ al 3’ troviamo:
La proteina non strutturale NS2 (21-23 kDa). È una proteina transmembrana non
glicosilata con l’estremità C-terminale localizzata nel reticolo endoplasmatico e la
porzione N-terminale posta nel citoplasma (Figura 5) (Santolini et al., 1995; Yamaga
and Ou, 2002). La proteina NS2 fa parte del complesso NS2-3, una metalloproteasi
zinco-dipendente specifica per il sito di clivaggio NS2/NS3. Oltre a possedere una
funzione autocatalitica, questa proteina non strutturale potrebbe svolgere un ruolo
importante nei processi di assemblaggio del virus, favorendo le interazioni fra il
nucleocapside e le glicoproteine dell’envelope (Grakoui et al., 1993; Hijikata et al.,
1993a).
La proteina non strutturale NS3 (70 kDa) è una proteina multifunzionale, infatti a
livello dell’estremità N-terminale è presente un dominio con attività serin proteasica,
mentre a livello dell’estremità C-terminale è presente un dominio con attività elicasica e
NTPasica (Figura 5) (Bartenschlager et al., 1993; Bartenschlager et al., 1994). L’attività
proteasica di NS3 richiede la presenza di un cofattore chiamato NS4A. La proteasi
NS3/4A è essenziale per il ciclo virale di HCV, infatti catalizza il taglio della
poliproteina virale a livello delle giunzioni NS3/4A, NS4A/4B, NS4B/5A e NS5A/5B
(Bartenschlager et al., 1995; Lin et al., 1995; Tanji et al., 1995). Recentemente è stato
evidenziato da studi in vitro come il complesso NS3/4A proteasi possa essere usato dal
virus per evadere la risposta innata nelle prime fasi dell’infezione antagonizzando la
produzione dell’interferone (Foy et al., 2003).
La regione NS4 codifica per due proteine virali: NS4A, che funge da cofattore per
NS3, e NS4B, la cui funzione non è stata ancora chiarita (Failla et al., 1994). Da recenti
studi NS4B sembra esser coinvolta nella formazione di “reti membranose” importanti
14
per la replicazione virale, inoltre è in grado di modulare l’attività del RNA polimerasi
RNA dipendente virale (NS5B) (Egger et al., 2002; Elazar et al., 2004; Gretton et al.,
2005; Kadoya et al., 2005; Piccininni et al., 2002).
Infine troviamo la regione NS5 che codifica per due proteine virali: NS5A e NS5B.
NS5A è coinvolta nei meccanismi di resistenza all’interferone (Gale et al., 1999;
Gale et al., 1997) ed è in grado di interagire con molte proteine cellulari (Macdonald et
al., 2004; Macdonald et al., 2003; Shelton and Harris, 2008; Tan et al., 1999).
Attraverso una regione all’estremità N-terminale che presenta una struttura ad α-elica, la
proteina è capace di associarsi alle membrane, meccanismo cruciale per la formazione
del complesso replicativo di HCV connesso ai lipid rafts (Figura 5) (Moradpour et al.,
2005).
Invece NS5B è una RNA polimerasi RNA-dipendente, essenziale per la replicazione
virale in quanto permette la sintesi di un intermedio replicativo (RNA a singolo
filamento a polarità negativa). Questo viene poi utilizzato come stampo per la
produzione di nuove molecole a singolo filamento di RNA a polarità positiva, il quale
sarà utilizzato per la traduzione di altre poliproteine, per la sintesi di nuovi intermedi
replicativi oppure sarà impacchettato nella progenie virale prodotta dalla cellula infetta
(Lesburg et al., 1999). Tale proteina non strutturale, insieme alla risposta immune antiHCV dell’ospite, è la principale responsabile della variabilità del virus. Essa infatti
manca dell’attività proof-reading che permette di eliminare i nucleotidi incorporati per
errore durante la sintesi del filamento di RNA (Behrens et al., 1996; Ferrari et al.,
1999).
Figura 5 | Rappresentazione schematica della topologia e dell’orientamento intracellulare a livello della
membrana del reticolo endoplasmatico delle proteine virali di HCV (Dustin and Rice, 2007).
15
1.2 Il ciclo replicativo di HCV
Essendo parassiti intracellulari obbligati, i virus hanno sviluppato strategie per
infettare e replicarsi nelle cellule bersaglio. Il primo passo per l'ingresso del virus è il
riconoscimento delle cellule ospite attraverso recettori cellulari di superficie. Questa
interazione è importante per definire il tropismo di un virus per un particolare
organismo, tessuto e tipo cellulare. Nei virus con envelope sono le glicoproteine
presenti sulla superficie ad adempire questo ruolo. Dopo il legame del virus alla cellula
target, l'ingresso del patogeno all'interno dell’ospite richiede la fusione dell’envelope
virale con la membrana cellulare mediante un processo che è sempre guidato dalle
glicoproteine virali. Per adempiere a queste funzioni, le glicoproteine virali devono
adottare conformazioni diverse durante il ciclo vitale del virus; inoltre questi
cambiamenti conformazionali devono aver luogo in un preciso momento del ciclo virale
e quindi devono essere finemente modulati.
La mancanza di sistemi cellulari che permettano ad HCV di replicarsi in vitro ha
ostacolato la conoscenza delle varie fasi del ciclo replicativo del virus. Tuttavia grazie a
studi condotti su proteine ricombinanti e allo sviluppo di modelli surrogati di infezione,
è stato possibile analizzare le fasi iniziali del processo infettivo, quali l’adesione e
l’internalizzazione del virus nelle cellule bersaglio. La conoscenza di queste fasi
dell’infezione ha un’importanza cruciale per lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche.
Come detto precedentemente l’ingresso del virus nella cellula bersaglio è un
processo che prevede diverse fasi rappresentate dall’adesione alla superficie cellulare
(docking), l’interazione con molecole presenti sulla membrana cellulare, che
costituiscono i fattori di ingresso e infine l’internalizzazione del virus mediante
endocitosi (Blanchard et al., 2006; Meertens et al., 2006).
Per quanto riguarda HCV l’adesione alla superficie cellulare sembra essere mediata
dall’interazione delle glicoproteine dell’envelope con diversi glicosaminoglicani
presenti sulla membrana cellulare, tra cui in particolare l’eparansolfato (Barth et al.,
2003; Barth et al., 2006).
Successivamente alla fase di adesione, l’interazione del virus con altre molecole di
superficie con maggiore affinità per HCV, favorisce l’internalizzazione della particella
virale. Ad oggi si ritiene che almeno tre molecole cellulari svolgano la funzione di
16
fattori di ingresso: la tetraspanina CD81, il recettore scavenger di classe B di tipo I (SRBI) e la proteina delle tight junction Claudina-1 (CLDN1) (Figura 6) (Bartosch et al.,
2003c; Evans et al., 2007; Grove et al., 2007; Kapadia et al., 2007; Pileri et al., 1998;
Scarselli et al., 2002).
1.2.1 Molecole importanti per l’adesione
1.2.1.1 Glicosamminoglicani (GAGs)
I glicosamminoglicani (GAGs) sono dei polisaccaridi lineari espressi sulla superficie
cellulare. I GAGs altamente solfatati e ampiamente espressi svolgono un ruolo come
recettori primari a bassa affinità coinvolti nell’iniziale interazione dei virus con la
superficie cellulare, prima che il patogeno si leghi a recettori ad alta affinità. Sono tre le
regioni della glicoproteina E2 considerate fondamentali per il legame ai GAG; la prima
regione è quel che va dall’aa 398 all’aa 403, la seconda dall’aa 412 all’aa 423 e la terza
che va dall’aa 516 all’aa 530 (Barth et al., 2003; Germi et al., 2002).
1.2.1.2 DC-SIGN e L-SIGN
Le lectine sono un’altra classe di molecole coinvolte nel legame e nell’entry di
diversi virus. DC-SIGN (Dendritic Cell-Specific Intercellular adhesion molecule-3Grabbing Non-integrin) e L-SIGN (liver specific- SIGN) sono proteine di membrana
omotetrameriche di tipo II appartenenti alla famiglia delle lectine di tipo C. DC-SIGN è
espressa dalle cellule di Kuppfer, dalle cellule dendritiche e dai linfociti, mentre LSIGN è espressa dalle cellule endoteliali sinusoidali epatiche.
Esse contengono un dominio in grado di riconoscere i carboidrati nella loro regione
extracellulare C-terminale; questo dominio permette quindi il legame ai carboidrati
virali in modo calcio-dipendente. Entrambe le lectine sono coinvolte nel legame,
nell’internalizzazione e nell’eliminazione di una grande varietà di patogeni (Cambi et
al., 2005; van Kooyk and Geijtenbeek, 2003). DC-SIGN e L-SIGN sono in grado di
legare la glicoproteina E2 solubile ricombinante (residui aminoacidici dal 388 al 644),
HCVpp e virus wild-type provenienti dal siero di individui infetti (Gardner et al., 2003;
Lozach et al., 2004; Pohlmann et al., 2003).
17
1.2.2 Recettori ad alta affinità per HCV
1.2.2.1 La tetraspanina CD81
Il CD81 è una molecola di 25 kDa che appartiene alla famiglia delle tetraspanine
nonché alla superfamiglia delle proteine transmembrana di tipo 4. Si ritiene che questo
recettore si trovi in forma omo o eterodimerica sulla superficie di molti tipi cellulari
(Kitadokoro et al., 2001a; Kitadokoro et al., 2001b).
Il CD81 fa parte di un complesso di recettori presenti sui linfociti T e B ed è
coinvolto nella fusione delle vescicole (Hemler, 2003; Levy and Shoham, 2005). Esso è
richiesto per la normale espressione del CD191 e svolge ruoli multipli nel
processamento, nel traffico intracellulare e nel funzionamento di membrana del CD19
(Shoham et al., 2006).
Si pensa che l’epatotropismo di HCV sia dovuto all’assenza naturale negli epatociti
di un ligando del CD81 chiamato EWI-2wint (un partner cellulare di CD81 espresso
sulla superficie); infatti si è osservato che EWI-2wint è in grado di bloccare
efficientemente l’entry virale inibendo l’interazione fra HCV e CD81 (Rocha-Perugini
et al., 2008).
Il CD81 contiene 4 regioni transmembrana idrofobiche (TM1-TM2-TM3-TM4) e
due segmenti extracellulari, rispettivamente di 28 aa (denominato piccolo segmento
extracellulare SEL, dall’inglese small extracellular loop) e 80 aa (denominato grande
segmento extracellulare LEL, dall’inglese large extracellular loop) (Kitadokoro et al.,
2001b). I domini intracellulari e transmembrana del CD81 sono molto conservati tra le
diverse specie, mentre il segmento LEL risulta variabile eccetto che tra l’uomo e gli
scimpanzé, le uniche due specie permissive all’infezione da parte di HCV (Major et al.,
2004; Walker, 1997). L’espressione del CD81 umano in cellule umane derivanti da
epatoma deficenti per tale recettore (quali le cellule: HepG2 e HH29), le rende
permissive all’infezione da parte di HCVpp e virus derivanti da HCV cell culture
(HCVcc), mentre esperimenti di RNA silencing del CD81 ne riducono l’infezione,
confermando il ruolo essenziale di questa molecola nell’internalizzazione del virus
1
Il CD19 è essenziale per il corretto funzionamento dei linfociti B, in particolar modo per la maturazione, il
differenziamento e per la risposta anticorpale (Pier, 2006).
18
(Flint et al., 2006; Lavillette et al., 2005b; Lindenbach et al., 2005; McKeating et al.,
2004; Zhang et al., 2004a).
Numerose osservazioni suggeriscono che il dominio LEL sia coinvolto nel legame
tra il CD81 e la glicoproteina E2 di HCV (Pileri et al., 1998); infatti vari studi hanno
evidenziato la capacità di anticorpi specifici per il dominio LEL del CD81 di inibire
l’infezione da parte di HCVpp e HCVcc (Bartosch et al., 2003a; Bartosch et al., 2003b;
Cormier et al., 2004; Flint et al., 2006; Hsu et al., 2003; Lavillette et al., 2005a; Zhang
et al., 2004a). In particolare si ritiene che due ponti disolfuro ed il coinvolgimento dei
residui 163, 186, 188 e 196 del recettore cellulare siano necessari per l’interazione
CD81-HCV (Flint et al., 1999a; Meola et al., 2000; Petracca et al., 2000).
La regione della glicoproteina E2 coinvolta nel legame con il CD81 rimane
controverso; le regioni critiche per l’interazione tra la glicoproteina E2 e il CD81 sono
state inizialmente identificate utilizzando specifici anticorpi monoclonali diretti contro
E2 e in grado di inibire il legame tra sE2 e il CD81 espresso sulla superficie cellulare,
oppure mutagenizzando la proteina E2 a livello dei siti conservati, e quindi considerati
cruciali per il ciclo vitale del virus (Callens et al., 2005; Drummer et al., 2006;
Falkowska et al., 2007; Flint et al., 1999a; Forns et al., 2000a; Hsu et al., 2003;
McCaffrey et al., 2007; Morikawa et al., 2007; Owsianka et al., 2001; Owsianka et al.,
2006; Patel et al., 2000; Roccasecca et al., 2003). Questi studi hanno evidenziato che
aminoacidi critici della glicoproteina E2 per il legame al CD81 si trovano: i) all’interno
della regione ipervariabile 1 (HVR1) dell’E2, che va dall’aminoacido 384 al 410; ii) in
una regione adiacente all’HVR1 compresa tra i residui 480 e 493 e iii) in una regione
che include i residui 522-551, 613-618 e 476-480 (Callens et al., 2005; Drummer et al.,
2006; Flint et al., 1999a; Flint et al., 1999b; Hsu et al., 2003; Owsianka et al., 2001;
Owsianka et al., 2006; Roccasecca et al., 2003; Yagnik et al., 2000).
Molti studi suggeriscono che il CD81 sia importante come “post-binding entry
molecule” e altri fattori cellulari agiscano insieme al CD81 nel mediare il legame e
l’ingresso di HCV negli epatociti (Cormier et al., 2004; Flint et al., 2006). Il CD81 non
è da considerarsi come un semplice recettore con ruolo passivo, ma esso promuove
attivamente l’infezione innescando un pathway intracellulare importante per l’entry
virale. Infatti, in seguito al legame virus-recettore si ha l’attivazione della proteina G
monomerica Rho e la ricollocazione dell’actina nelle aree di contatto cellula-cellula in
19
prossimità delle giunzioni strette (tight junction) e delle proteine Occludina e Claudina1
(molecole descritte recentemente come co-recettori di HCV (Brazzoli et al., 2005). In
fine il coinvolgimento del recettore CD81 porta all’attivazione del signaling
Raf/MEK/ERK influenzando gli step post-entry del ciclo virale (Brazzoli et al., 2005).
Il CD81 risulta essere importante non solo per l’ingresso del virus nella cellula
ospite, ma sembra avere un ruolo nel modulare la risposta immune adattativa. Infatti,
sE2 è in grado di legare il CD81 presente sulla superficie delle cellule NK e tale
interazione inibisce la citotossicità, nonché la produzione di citochine (Crotta et al.,
2002). sE2 è in grado di legare il CD81 presente sulla superficie dei linfociti T e tale
interazione può indurre segnali co-stimolatori, inoltre interagisce con cellule epatiche
stellate aumentando i livelli di espressione della metallo-proteinasi della matrice di tipo
2 importanti nei processi di cicatrizzazione (Mazzocca et al., 2005). Si è osservato che il
legame di E2 al CD81 presente sulla superficie dei linfociti B induce la formazione di
mutazioni a livello delle regioni variabili delle immunoglobuline che può favorire la
produzione di autoanticorpi, e la degenerazione neoplastica di tali cellule; questo
meccanismo è alla base di due complicanze extraepatiche associate all’infezione cronica
da HCV come la crioglobulinemia e i linfomi non-Hodgkin a cellule B (Laskus et al.,
1998; Lerat et al., 1996; Mayo, 2003).
20
1.2.2.2 Il recettore scavenger di classe B di tipo I
Il recettore scavenger di classe B di tipo I (SR-BI) è stato proposto come recettore
per HCV. La prima evidenza del ruolo di SR-BI nell’internalizzazione virale è stata la
dimostrazione che sE2, derivante dai genotipi 1a e 1b di HCV, era in grado di legare
cellule HepG2 (che normalmente non esprimono il CD81), attraverso l’interazione con
una glicoproteina di 82 kDa, SR-BI (Scarselli et al., 2002).
SR-BI è una glicoproteina acilata di 509 aa formata da due domini citoplasmatici,
due domini transmembrana e un grande loop extracellulare (LEL) con 9 potenziali siti
di N-glicosilazione. Esso è localizzato in corrispondenza dei lipid rafts, mediante sia
l’estremità C-terminale che quella N-terminale (Acton et al., 1994; Krieger, 2001;
Rhainds and Brissette, 2004). È il principale recettore per le lipoproteine ad alta densità
(HDL) ed è coinvolto nel trasporto del colesterolo all’interno degli epatociti (Rhainds
and Brissette, 2004; Rigotti et al., 2003; Silver and Tall, 2001). A differenza del CD81,
che è espresso in maniera ubiquitaria, SR-BI è espresso in particolar modo a livello
delle cellule epatiche e a livello dei tessuti steroidogenici (soprattutto nel surrene)
(Babitt et al., 1997; Krieger, 2001).
Il legame virale appare esser altamente specie-specifico: cellule di roditore
esprimenti SR-BI murino (identità aminoacidica con SR-BI umano del 88%) che sono
incapaci di legare sE2, risultano in grado di legare tale glicoproteina dopo la trasfezione
con SR-BI umano. In particolar modo, il LEL di SR-BI sembra esser responsabile del
legame e HVR1 è stata identificata come la regione di E2 coinvolta nell’interazione
(Bartosch et al., 2003c; Scarselli et al., 2002; Voisset et al., 2005); infatti anticorpi
specifici per SR-BI e la delezione dell’HVR1 annullano l’interazione sE2/SR-BI,
inibendo l’infettività da parte di HCVpp e HCVcc (Bartosch et al., 2005; Bartosch et al.,
2003c; Callens et al., 2005; Catanese et al., 2007; Dreux and Cosset, 2007; Grove et al.,
2007; Kapadia et al., 2007; Scarselli et al., 2002). Si pensa che tale interazione sia
mediata soprattutto dalla conformazione della HVR1 e non da specifiche sequenze,
poiché la sostituzione degli aa che ne cambiano drasticamente la conformazione
modificano significativamente il legame a SR-BI (Bartosch et al., 2005; Callens et al.,
2005).
Simile a quanto visto per il CD81, SR-BI sembra agire come recettore “postbinding”; infatti anticorpi contro entrambi i recettori inibiscono l’infezione quando
21
vengono aggiunti fino a 60 minuti dopo il binding virale (Cormier et al., 2004; Zeisel et
al., 2007b). Degno di nota è il fatto che le HDL (il ligando principale di SR-BI)
facilitano l’entry di HCVpp e HCVcc, mentre altri ligandi del recettore, mostrano un
effetto inibitorio (Bartosch et al., 2005; Maillard et al., 2006).
Recentemente si è visto come lo stato infiammatorio possa influenzare l’interazione
tra il virus e SR-BI, infatti la proteina amiloide sierica A (SAA), una proteina di fase
acuta prodotta principalmente dagli epatociti durante l’infezione, è in grado di legare
SR-BI e ed è in grado di inibire l’entry di HCV nelle cellule Huh-7.5 e che la
produzione degli interferoni portano ad una diminuita espressione di SR-BI negli
epatociti (Cai et al., 2007; Murao et al., 2008).
1.2.2.3 Le proteine delle tight junction (Claudina1 e Occludina)
Un’ulteriore molecola cellulare che sembra essere importante per l’internalizzazione
di HCV è la proteina Claudina1 (CLDN1) un membro della famiglia genica delle
Claudine (Evans et al., 2007). CLDN1 è espressa in tutti gli epiteli, ma predomina a
livello epatico come membro delle tight junctions (Tsukita and Furuse, 1998). Le tight
junctions sono contatti cellulari continui, che si trovano sulla superficie laterale delle
membrane cellulari importanti per la determinazione della polarità cellulare e coinvolte
nella formazione di una barriera, la cui funzione è quella di regolare il transito di soluti
(Stevenson and Keon, 1998).
La molecola è composta da 211 aminoacidi con 2 loops extracellulari, 4 segmenti
transmembrana e 3 domini intracellulari; esse sono in grado di formare omo- o
eteropolimeri con le Claudine di altre cellule (Van Itallie and Anderson, 2006). Il
dominio molto conservato a livello del primo loop extracellulare (EC1) sembra essere
coinvolto nell’entry di HCV, come evidenziato da studi di mutagenesi e utilizzando
anticorpi anti CLDN1 (Evans et al., 2007).
L’espressione di CLDN1 in linee cellulari non epatiche non permissive all’infezione
virale (quali cellule HEK 293T e SW13, in cui sono espressi gli altri recettori ad alta
affinità descritti precedentemente) conferisce suscettibilità all’infezione mediata da
HCVpp e HCVcc; mentre il silenziamento di CLDN1 mediante siRNA in cellule di
epatoma permissive (Huh-7.5) riduce l’infezione virale (Evans et al., 2007).
22
Studi funzionali indicano che CLDN1 può giocare un ruolo nella fase post-binding
dell’infezione, dopo il legame di HCV al CD81 e a SR-B1 (Evans et al., 2007). Infatti
l’interazione tra il virus e CD81 e SR-B1 avvia una cascata di segnali che portano una
ri-localizzazione actina-dipendente a livello delle tight junctions dove si avrà poi
l’endocitosi del virus (Coyne and Bergelson, 2006). Gli esperimenti finora citati hanno
quindi permesso di validare il ruolo di CLDN1 come co-recettore per HCV.
Altri due membri della famiglia delle Claudine, CLDN6 e CLDN9, sembrano agire
come co-recettori per l’internalizzazione di HCV (Meertens et al., 2008; Zhang et al.,
2007). Come CLDN1, queste molecole sono espresse a livello epatico, ma a differenza
esse sono espresse anche dalle cellule mononucleate del sangue periferico, un altro
target cellulare dove si è osservata la replicazione virale. Gli EC1 di queste due
molecole sono importanti per l’attività co-recettoriale come dimostrato da studi di
mutagenesi e dall’elevata omologia di sequenza con la regione EC1 di CLDN1 (Zheng
et al., 2007).
Linee cellulari come HeLa e HepH (CD81 e SR-B1 positive) rimangono resistenti ad
HCV quando sovra-esprimono CLDN1, suggerendo che altri fattori addizionali sono
necessari per l’entry virale (Evans et al., 2007). Studi successivi, evidenziano il ruolo
per le fasi iniziali del ciclo virale della proteina Occludina (OCLN): un’altra
componente transmembrana delle tight junctions strutturalmente correlata alle Claudine
(Liu et al., 2009). OCLN è presente sia nelle giunzioni cellula-cellula a livello
extracellulare sia nel complesso giunzionale dei filamenti di actina del citoscheletro
(Peng et al., 2003).
Il silenziamento di CLDN1 e OCLN mediante siRNA portano ad una riduzione
dell’entry di HCVpp e HCVcc (Liu et al., 2009). Analisi di microscopia confocale
evidenziano la co-localizzazione dell’OCLN con la glicoproteina E2 di HCV e questo
dimostrerebbe che OCLN può interagire direttamente con E2 facilitando l’entry virale
nell’epatocita attraverso le tight junctions (Benedicto et al., 2008). Ulteriori studi
evidenziano che negli epatociti infetti da HCV si osserva una minor espressione delle
proteine delle tight junction, questo potrebbe spiegare la refrattarietà alla superinfezione
da HCV e alcuni sintomi epatici (quali la colestasi) dovuti ad un alterata espressione
delle tight junctions che ricordiamo essere critiche per la polarità e funzionalità
fisiologica dell’epatocita (Benedicto et al., 2008; Liu et al., 2009).
23
Come detto precedentemente, grazie al fatto che HCV in vivo è presente anche
associato alle lipoproteine, il recettore per le LDL (LDLR) sembra essere
potenzialmente coinvolto nell’ingresso nell’epatocita del complesso virus-LDL
(Agnello et al., 1999; Andre et al., 2002; Molina et al., 2007).
1.2.3 Il ciclo virale
Il ciclo di replicazione del virus dell’epatite C comprende le seguenti tappe: legame
del virus alla superficie della cellula ospite, fusione della membrana virale con la
membrana cellulare, disassemblaggio del nucleocapside e rilascio dell’RNA virale,
traduzione e maturazione della poliproteina, replicazione dell’RNA, assemblaggio del
nucleocapside e gemmazione delle particelle virali, trasporto alla superficie della cellula
e rilascio delle nuove particelle virali (Figura 6 e 7).
1.2.3.1 Entry virale
Dopo l’adesione di HCV ai recettori precedentemente descritti, il virus è trasportato a
livello delle tight junctions dove interagisce con CLDN1 e OCLN ed entra all’interno
dell’epatocita. In analogia con gli altri Flavivirus, HCV entra attraverso un processo di
endocitosi clatrina-dipendente. Il nucleocapside è rilasciato nel citoplasma grazie alla
fusione tra envelope virale e membrana dell’endolisosoma.
Il processo dell’entry è controllato dalle glicoproteine virali di superficie che
richiedono dei cambiamenti strutturali per mediare la fusione. Le glicoproteine di HCV
sono proteine di fusione di II classe, ma a differenza di queste hanno la peculiarità di
non richiedere il taglio proteolitico mediato da proteasi cellulari durante il loro trasporto
attraverso il pathway secretorio (Op De Beeck et al., 2004). Il processo di entry di HCV
è pH-dipendente, con un pH ottimale di 5.5, infatti l’utilizzo di sostanze capaci di
bloccare l’acidificazione dell’endolisosoma bloccano l’entry di HCVpp e HCVcc
(Blanchard et al., 2006; Meertens et al., 2006). L’identificazione del peptide fusogeno di
HCV rimane controversa, infatti la glicoproteina E1 sembra esser il candidato migliore
in quanto analisi di sequenza hanno evidenziato la presenza di un peptide fusogeno
nell’ectodominio di questa proteina (Flint and McKeating, 2000; Rosa et al., 1996)
d’altro canto la glicoproteina E2 mostra un’omologia strutturale con le proteine di
24
fusione di II classe (Lescar et al., 2001; Yagnik et al., 2000). Dati recenti indicano che
tre regioni distinte di entrambe le glicoproteine partecipano alla fusione (Lavillette et
al., 2007). Ricordiamo che l’entry di HCV è dipendente anche dalla presenza di un
network di microtubuli, importanti per il trasporto nel virus dal sito di attacco al sito di
fusione e per il rilascio del nucleocapside nel citoplasma (Figura 6) (Perez-Berna et al.,
2008).
1.2.5 Traduzione dell’RNA virale e processamento della poliproteina virale
In seguito alla decapsidazione del nucleocapside, il genoma virale viene liberato nel
citoplasma e successivamente trasportato a livello del reticolo endoplasmatico rugoso, a
questo punto l’RNA virale a singolo filamento positivo può essere tradotto direttamente
nella poliproteina. Come descritto precedentemente la traduzione del genoma di HCV è
guidata dall’IRES situato a livello dell’ 5’UTR. La traduzione genera una poliproteina
di circa 3010 aminoacidi che viene processata da proteasi cellulari e virali, con
conseguente produzione delle proteine strutturali e non strutturali (Figura 7).
25
Figura 6 | Rappresentazione grafica dei principali recettori utilizzati da HCV durante il binding, il postbinding e l’entry. In vivo il virus circola prevalentemente associato alle lipoproteine (LP), inizialmente
prende contatto con i recettori a bassa affinità LDLR e GAG; successivamente con i recettori ad alta
affinità CD81, SR-BI. Infine il virus viene trasportato a livello tight junctions dove interagisce con
CLDN1 e OCLN (non presente nell’immagine) ed entra all’interno dell’epatocita attraverso un processo
di endocitosi clatrina e pH-dipendente (Burlone and Budkowska, 2009).
1.2.3.2 Replicazione di HCV
L’infezione con virus con genoma a singolo filamento di RNA a polarità positiva
porta a dei riarrangiamenti delle membrane intracellulari, un prerequisito per la
formazione del complesso replicativo dove si associano proteine virali, componenti
cellulari e l’RNA virale nascente. La proteina virale NS4B sembra essere sufficiente a
indurre la formazione di un complesso di vescicole ricoperte da membrana che deriva
dal reticolo endoplasmatico (Bartenschlager, 2004; Egger et al., 2002; Gretton et al.,
26
2005). Non è noto se NS4B recluti proteine cellulari responsabili della formazione di
vescicole o se induca la formazione di vescicole di per sé polimerizzando. Tali vescicole
sono ricche in colesterolo e acidi grassi e la loro quantità relativa influenza la fluidità
delle membrane e la replicazione di HCV (Kapadia and Chisari, 2005). La
compartimentalizzazione della sintesi dell’RNA virale a livello di vescicole ricoperte da
membrana potrebbe avere un ruolo sia nel proteggere il macchinario replicativo
dall’intervento di proteine cellulari che riconoscono l’RNA virale, sia nel fornire un
ambiente stabile per la replicazione (Egger et al., 2002). Il preciso meccanismo della
replicazione di HCV non è noto. In analogia con gli altri virus con genoma a singolo
filamento di RNA a polarità positiva, la replicazione di HCV è asimmetrica e prevede
due passaggi entrambi catalizzati dalla RNA polimerasi RNA dipendente virale (NS5B).
Infatti, NS5B, insieme alle altre proteine virali che fanno parte del complesso
replicativo associato alle membrane cellulari, avvia in un primo tempo la sintesi di un
filamento di RNA antigenomico con orientamento negativo (intermedio replicativo),
utilizzando come stampo il genoma virale. In un secondo tempo l’enzima catalizza,
sulla base dell’intermedio replicativo, la sintesi di numerosi filamenti di RNA genomico
con orientamento positivo, i quali verranno utilizzati per la traduzione di altre
poliproteine, per la sintesi di nuovi intermedi replicativi, oppure verranno impacchettati
nelle nuove particelle virali (Figura 7) (Bartenschlager, 2004).
1.2.7 Rilascio della progenie virale di HCV
La produzione delle nuove particelle virali avviene mediante l’interazione della
proteina Core con il genoma (Suzuki et al., 1995). Le nuove particelle virali
acquisiscono l’involucro esterno da membrane intracellulari del reticolo endoplasmatico
e del Golgi, e non dalla membrana citoplasmatica, come avviene per la maggior parte
degli altri virus dotati di envelope. I virioni raggiungono infine la superficie cellulare
mediante un complesso di vacuoli che sono coinvolti nei normali meccanismi di
secrezione della cellula ospite (Figura 7) (Fields, 2001).
27
A
B
Figura 7 | (A) e (B) Ciclo replicativo di HCV. Le particelle virali, vengono internalizzate attraverso
endocitosi mediata da recettore. A seguito dell’uncoating del virus, il genoma virale viene liberato nel
citoplasma e trasferito nel reticolo endoplasmatico rugoso, dove il virus induce la formazione di una
“rete” di vescicole di membrana denominata “membranous web”, sede della sua replicazione. Il sito di
assemblaggio dei virioni non è stato ancora ben definito, ma sembra avvenire a livello di membrane
intracellulari derivanti dal reticolo endoplasmatico o dall’apparato del Golgi. (B) Rappresentazione
grafica della replicazione del genoma virale che avviene attraverso la sintesi di una forma replicativa a
doppio filamento (RF) e un intermedio replicativo (RI) (Bartenschlager et al., 2004).
28
1.3 Variabilità genetica di HCV
HCV presenta un alta variabilità genetica a causa della mancanza dell’attività proofreading del RNA polimerasi RNA dipendente virale (NS5B) e dell’alto tasso replicativo
del virus in vivo (con una produzione giornaliera di 1011-1013 virioni, che hanno
un’emivita di circa 2,7 ore, e quindi con un rinnovamento della popolazione virale di
almeno 3 volte nel corso delle 24 ore). L’insorgenza di varianti di sequenza è casuale e
possono interessare qualsiasi segmento genomico, ma la frequenza di mutazioni
riscontrabili a livello di una determinata regione genetica è fortemente influenzata dalla
funzione della proteina codificata dalla regione in esame. Se le mutazioni avvengono in
regioni le cui funzioni sono determinanti per la replicazione virale, si produrranno delle
particelle virali difettive incapaci di dare infezioni produttive e destinate ad esser
eliminate. Da ciò deriva che le regioni 5’UTR, Core, NS3 e NS5 sono particolarmente
conservate nei vari isolati di HCV, mentre i geni la cui eterogeneità non determina
perdita di funzione della corrispondente proteina, come i geni codificanti per le
glicoproteine E1 ed E2, mostrano sequenze notevolmente mutate fra i vari isolati virali.
L’alta variabilità genetica di HCV ha portato alla suddivisione in genotipi, sottotipi,
isolati e quasispecie a seconda dal grado di analogia di sequenza del virus. Esistono
infatti sei diversi genotipi di HCV (identificati con numeri arabi) e numerosi sottotipi
(circa 70, identificati con le lettere dell’alfabeto). I genotipi mostrano un’identità
nucleotidica di almeno il 70%, mentre per i sottotipi è dell’80%.
I genotipi di HCV inoltre, presentano una precisa distribuzione geografica. In
particolare, i genotipi 1a, 1b, 2a e 2b sono ubiquitari, il genotipo 3a si trova in Sud
America, in Europa e in Asia, e soprattutto circola tra alcune categorie di soggetti a
rischio, quali i tossicodipendenti, il genotipo 4 è endemico in Africa Centrale e
Settentrionale e nei Paesi del Medio Oriente, mentre i genotipi 5 e 6 sono predominanti
nel Sud-Est asiatico e nel Sud Africa. Il genotipo 6 è prevalente ad Hong Kong (Figura
8) (Antonelli, 2008; Bukh et al., 1995a).
29
A
B
Figura 8 | Distribuzione geografica dei maggiori genotipi e sottotipi di HCV a livello mondiale (A) e in
Italia (B) (Zein, 2000).
30
L’analisi del genotipo infettante ha un’importanza rilevante ai fini prognostici e
predittivi. Infatti i pazienti infettati dal genotipo 1a e 1b rispondono in maniera meno
efficace alla terapia e presentano un aumentato rischio di rapida progressione della
malattia epatica (Bukh et al., 1995b). Nell’ospite infetto da HCV, l’analisi genomica ha
dimostrato che il virus è presente come popolazione eterogenea in continua evoluzione
in funzione della risposta immunitaria dell’ospite e della pressione selettiva data dal
trattamento farmacologico. Da ciò deriva che alcune varianti possono diventare
predominanti rispetto ad altre e che HCV si può considerare una quasispecie virale. La
quasispecie risulta costituita da un insieme eterogeneo di genomi contenenti
innumerevoli sequenze minoritarie che vengono eliminate dal sistema immunitario e dai
farmaci e da una sequenza dominante (sequenza master) in grado di sfuggire alle difese
immunitarie dell’ospite e di stabilire quindi un’infezione persistente (Antonelli, 2008).
31
1.4 Storia naturale dell’epatite C
L’esposizione accidentale a sangue infetto proveniente da soggetti con epatite acuta o
cronica è la principale modalità d’ingresso del virus nell’ospite (Alter, 1999). La
trasmissione parenterale viene definita apparente quando il virus penetra attraverso
punture con aghi o strumenti infetti o inoculazione di sangue o emoderivati, mentre
viene definita inapparente quando la penetrazione del virus avviene attraverso
microlesioni difficilmente individuabili della cute o delle mucose (orale, genitale, ecc.).
In passato la principale modalità di trasmissione parenterale apparente era
rappresentata dalle trasfusioni di sangue e dagli emoderivati provenienti da donatori
infetti; oggi, grazie allo screening sierologico e molecolare dei marcatori di HCV nei
donatori, tale rischio si è notevolmente ridotto. Nei paesi industrializzati il rischio
residuo di trasmissione del virus secondo questa modalità è di 0,1- 2,33 per un milione
di donazioni (Alter, 1990). Attualmente, la principale modalità di trasmissione
parenterale apparente consiste nell’assunzione di droghe con scambio di siringhe. Un
peso notevole nella trasmissione di HCV è anche rappresentato dal trapianto da donatori
infetti, dagli interventi odontoiatrici, dalle apparecchiature sanitarie contaminate,
dall’agopuntura e dai trattamenti estetici (Bronowicki et al., 1997). Sebbene con
frequenza di gran lunga inferiore a quella del virus dell’epatite B e/o dell’HIV, HCV si
trasmette anche per via sessuale. Non sono infettanti né lo sperma né la saliva, né le
secrezioni vaginali, ma la trasmissione per via sessuale avviene solo se durante l'atto vi
è scambio di sangue.
Fattori potenzialmente in grado di aumentare il rischio di trasmissione sessuale di
HCV sono: la coinfezione HIV–HCV, la presenza di altre malattie sessualmente
trasmissibili, rapporti sessuali traumatizzanti (rapporti anali passivi) e mancato uso del
condom. Per quanto riguarda la via materno–fetale, si può stimare che il rischio di
infezione sia inferiore al 5%, ma può aumentare in certi casi, ad esempio se la madre è
tossicodipendente attiva o affetta anche da infezione da HIV. Non è mai stata dimostrata
l'utilità del taglio cesareo elettivo (cioè eseguito prima della rottura delle membrane) per
ridurre tale rischio. Anche l'allattamento al seno è permesso in quanto non associato a
trasmissione del virus (Brettler et al., 1992; Hallam et al., 1993).
32
Il virus raggiunge poi attraverso il sangue il fegato, principale organo bersaglio in cui
si moltiplica attivamente. Altre sedi individuate in cui il virus si moltiplica sono le
cellule mononucleate del sangue periferico (PBMC) ed in particolare nei linfociti e nelle
cellule della serie monicito-macrofagica (Lerat et al., 1996).
L’HCV causa un’infezione acuta che evolve in epatite clinicamente evidente nel 2030% dei casi, mentre nei restanti casi si ha un’infezione subclinica asintomatica. Il
periodo di incubazione varia da 2 a 26 settimane (mediamente 7 settimane) e la
sintomatologia include astenia, anoressia e ittero. I livelli di alanino-aminotransferasi
sierici (ALT) e l’espressione di necrosi epatica raggiungono valori 10 volte superiori la
norma mediamente dopo 2-8 settimane. L’HCV-RNA è invece evidenziabile
precocemente nel siero del paziente da 1 a 2 settimane dopo il contatto con il virus. Nel
20% dei casi l’epatite acuta evolve in guarigione, si osserverà quindi la normalizzazione
delle ALT e la negativizzazione dell’HCV-RNA. Nel 80% dei casi l’epatite acuta
evolve in cronica caratterizzata dalla persistenza del genoma virale nel sangue per
almeno 6 mesi dall’insorgenza dell’infezione acuta, mentre le ALT possono rimanere
elevate, normalizzarsi o avere un andamento intermittente. Gli anticorpi anti-HCV sono
presenti sia nei soggetti con epatite acuta sia cronica e risultano presenti circa 70 giorni
dopo l’infezione e non distinguono tra malattia in atto o pregressa e per questo motivo
non vengono ricercati a scopo diagnostico (Figura 9). La percentuale di cronicizzazione
dipende da una serie di fattori, come l’età al momento dell’infezione (minore di 25
anni), il sesso maschile, la razza, l’assenza di ittero nel corso dell’infezione acuta, il tipo
di inoculo e la carica virale infettante, la coinfezione con altri virus come HIV e HBV
(che condividono la modalità di trasmissione per via ematica), l’abuso di alcol e la
presenza di una sindrome metabolica da insulino-resistenza. Dalla condizione di epatite
cronica, specie in presenza di spiccata necroinfiammazione e/o cofattori di danno
epatico, la malattia potrà poi evolvere nel 20-35% dei casi, nell’arco di 10-30 anni,
verso la cirrosi epatica e infine verso un epatocarcinoma (Figura 10).
L’infezione cronica da HCV è stata correlata a numerose manifestazioni
extraepatiche, solamente la crioglobulinemia mista è stata associata inequivocabilmente
all’infezione cronica da HCV essendo stata riscontrata in oltre il 40% dei soggetti HCVpositivi; le manifestazioni cliniche quali rash cutaneo, vasculiti, artralgie sembrano
33
essere causate dalla deposizione di immunocomplessi nei vari organi (Afdhal et al.,
2004; Antonelli, 2008; www.cdc.gov/hepatitis/HCV).
Figura 9 | Visualizzazione grafica dei livelli dell’RNA virale, della transaminasi ALT e degli anticorpi
anti-HCV nel tempo nei pazienti con epatite acuta e cronica (www.cdc.gov/hepatitis/HCV).
34
Figura 10 | Storia naturale nei soggetti infetti con HCV (www.epatitec.info).
35
1.5 Epidemiologia dell’epatite C
L’organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha stimato che nel mondo circa 240
milioni di soggetti (fra il 3 e il 4% della popolazione globale) hanno un’infezione
cronica da HCV e che, ogni anno, circa 3-4 milioni hanno un’infezione acuta da HCV
(Shepard et al., 2005; Wasley and Alter, 2000). La prevalenza e l’incidenza
differiscono, comunque, significativamente nelle diverse aree geografiche. La minore
prevalenza di infezione (0,01-0,1%) si riscontra in Inghilterra e in Scandinavia, seguite
dal Nord America, dall’Europa Occidentale, dall’Australia e dal Sud Africa (0,2-0,5%),
dal Brasile, dall’Europa Orientale, dai Paesi del Bacino del Mediterraneo e dal Medio
Oriente (1-5%), mentre la maggiore prevalenza di infezione si osserva in Egitto (18.1%)
(Wasley and Alter, 2000). La differente circolazione del virus è sicuramente associata
alle condizioni igienico-sanitarie e socio-demografiche, che possono modificare
l’efficienza delle vie di trasmissione. Il tasso d’incidenza è notevolmente sottostimato,
dal momento che i casi notificati si riferiscono, per la maggior parte, a soggetti con
infezione clinicamente evidente, mentre i casi asintomatici costituiscono la maggior
parte delle infezioni acute da HCV (Antonelli, 2008).
36
1.6 Diagnostica dell’infezione da HCV
La determinazione di anticorpi specifici nei confronti di antigeni dell’HCV è il primo
approccio per lo screening e per la diagnosi di infezione da HCV. I test
immunoenzimatici (ELISA) attualmente in uso contengono come determinanti
antigenici le proteine ricombinanti codificate dalle regioni NS3, NS4, NS5 e Core,
relativamente conservate nei diversi genotipi virali. Questo test per la ricerca degli
anticorpi è disponibile dal 1989 e permette di stabilire se il soggetto è entrato in contatto
con l’HCV e se ha quindi sviluppato anticorpi contro il virus, ma non distingue tra
malattia pregressa o in atto. Inoltre la ricerca di anticorpi anti-HCV può dare risultati
falsamente negativi se avviene nel cosiddetto “periodo finestra”, che è l’intervallo di
tempo, di circa 70 giorni, compreso tra l’esposizione dell’individuo al virus e la
formazione degli anticorpi specifici, in cui nel paziente risultano rintracciabili solo la
proteina Core e il genoma di HCV.
Assume allora particolare significato la ricerca diretta del virus mediante due
differenti approcci: i) la ricerca della proteina Core di HCV mediante test
immunoenzimatici o ii) del genoma virale (HCV-RNA) mediante una reazione
polimerasica a catena, preceduta da una reazione di retrotrascrizione (RT-PCR) in cui
vengono utilizzati primers che riconoscono una regione del 5’UTR altamente
conservata. Se questi test risultano positivi, significa che sussiste una replicazione virale
e quindi la presenza di un‘infezione.
Di particolare importanza è la valutazione virologica del paziente con epatite cronica
in corso di terapia antivirale. In questo caso è necessario valutare all’inizio del
trattamento antivirale il genotipo virale e l’entità della replicazione, cioè la carica virale
(mediante dosaggio della proteina Core o del genoma virale) (Abbott diagnostics). Per
quanto riguarda la carica virale si è visto che minore è la carica virale all’inizio del
trattamento farmacologico, maggiore è la probabilità di successo della terapia, in
secondo luogo si è visto che risulta inutile continuare il trattamento farmacologico nei
pazienti in cui non si ha una negativizzazione dell’HCV-RNA entro le prime dodici
settimane dall’inizio della terapia. Per quanto riguarda il genotipo è importante
sottolineare che esso influenza notevolmente la risposta del paziente al trattamento, e in
particolar modo i genotipi 2 e 3 sono quelli maggiormente responsivi.
37
È inoltre possibile valutare lo stato di infiammazione del fegato sia in modo indiretto
determinando i livelli delle transaminasi epatiche (alanina transaminasi o ALT/GPT e
aspartato transaminasi o AST/GOT) sia in modo diretto, per avere un quadro preciso
sull’entità e sul tipo di danno al fegato, tramite analisi istologica di una biopsia epatica
(Antonelli, 2008; www.cdc.gov/hepatitis/HCV; www.epatitec.info).
38
1.7 Trattamento farmacologico dell’epatite C
Dato che la patogenesi del danno epatico e l’evoluzione dell’infezione sono il
risultato della combinazione tra fattori legati al virus e la risposta immune dell’ospite, è
pienamente giustificato affrontare la terapia sia con farmaci con attività antivirale diretta
sia con strategie di immunomodulazione. L’obiettivo della terapia dell’epatite C è di
eliminare in modo definitivo il virus.
Studi di valutazione della cinetica di decadimento della viremia dimostrano che la
stimolazione della risposta immunitaria dell’ospite e l’eliminazione immunomediata
degli epatociti infettati svolgono un ruolo fondamentale nel raggiungimento di una
risposta virologica alla fine del trattamento (ETR: End of Treatment Response con
HCV-RNA non rilevabile alla fine del trattamento) e nel suo consolidamento a lungo
termine (SVR: sustained virological response con HCV-RNA non rilevabile al termine
del follow up a 21 settimane dopo la fine del trattamento).
Per quanto riguarda la terapia dell’epatite C la strategia terapeutica fino ad ora
maggiormente utilizzata si avvale dell’utilizzo di interferone α (IFNα) ricombinante
associato a ribavirina.
L’interferone, legandosi a specifici recettori posti sulla cellula bersaglio, stimola una
cascata di segnali intracellulari che terminano con l’espressione di un numero definito di
geni indotti (interferon stimulated genes; ISG). I prodotti proteici derivanti
dall’espressione degli ISGs hanno la funzione di controllare l'infezione virale: alcuni
hanno un ruolo antivirale diretto all’interno delle cellule infettate, altri promuovono la
risposta immune adattativa e altri ancora controllano la proliferazione cellulare (vedi
paragrafo 1.11.1). L’efficacia del trattamento con solo IFNα, misurata in termini di SVR
risulta pari al 16% (Figura 11). Vari studi condotti nella seconda metà degli anni 90
hanno dimostrato che la combinazione dell’IFNα con la ribavirina, un analogo
nucleosidico a somministrazione orale, permette l’incremento della SRV (da 16% a
40%) rispetto all’utilizzo del solo IFNα in monoterapia (Poynard et al., 1998) (Figura
11) ed è stata pertanto assunta come terapia standard dell’epatite C nel 1999. Per quanto
riguarda la durata della terapia di combinazione si differenzia in base al genotipo: 24
settimane per i genotipi 2 e 3 che sono maggiormente responsivi, 48 settimane per i
genotipi 1 e 4 che sono meno responsivi. La ribavirina è un nucleoside purinico
sintetico avente la capacità, come monofosfato (RMP; ribavirina monofosfato), di
39
inibire gli enzimi inosina monofosfato (IMP)-deidrogenasi e l’adenilosuccinasi,
implicati nella biosintesi dei nucleotidi purinici GTP e ATP, fondamentali per la
trascrizione e per la replicazione del virus. Come trifosfato (RTP; ribavirina trifosfato)
invece inibisce l’RNA-polimerasi di HCV ed il 5’-capping dell’RNA messaggero
virale. Alcuni studi del 2002 hanno ipotizzato anche un ruolo immunomodulante della
ribavirina capace di indurre uno shift della risposta dei linfociti CD4+ da Th2 a Th1 con
produzione di IFNγ, TNFα e IL-2 (Lau et al., 2002), che attivano le cellule T
citotossiche CD8+ e reclutano macrofagi e le cellule NK, con conseguente lisi delle
cellule infettate dal virus. Sono emersi dati sempre più evidenti su alcuni limiti
dell’IFNα tradizionale, legati ad alcune caratteristiche di farmacocinetica. L’IFNα
presenta una breve emivita (4-6 ore) e, nonostante venga somministrato tre volte alla
settimana, già il giorno successivo alla somministrazione non è più dosabile in circolo.
Per aumentare l’emivita della molecola sono stati sintetizzati gli interferoni PEGilati,
caratterizzati dal legame covalente con il glicole polietilenico (PEG). La coniugazione
di farmaci con il 23 PEG, detta PEGilazione, rallenta l’assorbimento del farmaco e
quindi ne prolunga l’emivita, impedendo la degradazione enzimatica e la clearance
renale. Ciò ha permesso di ottenere molecole di interferone caratterizzate da una lunga
emivita, da una maggiore solubilità, da una maggiore stabilità e biodisponibilità e ad
una somministrazione meno frequente (una volta alla settimana). L’utilizzo di IFN
PEGilati ha consentito un ulteriore incremento dell’efficacia terapeutica (incremento
della SRV) sia somministrando il farmaco in monoterapia (Heathcote et al., 2000) sia in
combinazione con la ribavirina (Figura 11) (Hadziyannis et al., 2004).
Figura 11 | Tasso di SVR
(sustained
response)
virological
in
relazione
ai
differenti regimi terapeutici
anti-HCV utilizzati (IFN =
interferone,
PEG
=
interferone PEGilato, RBV =
ribavinina)(Smith, 2003).
40
Nonostante i notevoli traguardi raggiunti nel trattamento e nella gestione dei pazienti
con infezione da HCV restano ancora numerose problematiche irrisolte, prima tra tutte
la gestione dei pazienti che non rispondono al trattamento.
Emerge quindi l’esigenza di ricercare nuovi farmaci alternativi attivi nei confronti di
tutti i genotipi di HCV. Ciò potrebbe essere reso possibile dall’utilizzo di anticorpi
neutralizzanti diretti contro epitopi virali conservati fra i vari genotipi e importanti per
la fitness virale. I principali vantaggi nell’utilizzo degli anticorpi (Ab) come presidio
terapeutico sono: l’alta specificità per l’antigene target dell’agente eziologico e di
conseguenza la bassa cross-reattività nei confronti delle cellule sane, l’elevata quantità e
purezza con cui vengono prodotti e infine la possibilità di utilizzarlo coniugato ad un
altro farmaco (antibiotico, antivirale, chemioterapico, radioisotopo). L’utilizzo di
anticorpi come farmaci è già stato introdotto in differenti patologie neoplastiche
(Tabella 1).
Nome Ab
Tipo
Origine
Target
Indicazioni
Approvato
terapeutiche
FDA
Rituximab
IgG1
chimerico
CD20
Linfoma B
1997
Herceptin
IgG1
umanizzato
HER2/neo
Carcinoma mammella
1998
Alemtuzumab
IgG1
umanizzato
CD52
Leucemia linfatica
2001
cronica
Cetuximab
IgG1
chimerico
EGFR
Carcinoma colonrettale
2004
Tabella 1 | Anticorpi monoclonali terapeutici approvati per l’uso in oncologia.
41
1.8 Modelli in vitro utilizzati per lo studio di HCV
La ricerca su HCV risulta ampiamente rallentata dalle difficoltà incontrate nello
sviluppo di efficienti modelli sperimentali. In seguito, sono riportati i differenti modelli
in vitro di HCV che si sono sviluppati negli anni e hanno contribuito all’ottenimento
delle attuali conoscenze sul ciclo virale.
1.8.1 Infezione di culture cellulari primarie e linee cellulari
L’unica fonte di particelle infettive di HCV sono i sieri ottenuti da pazienti e da
scimpanzé infetti. La purificazione di tali virioni risulta difficile a causa
dell’eterogeneità di densità delle particelle virali. Infatti troviamo sia particelle di HCV
a bassa densità in cui il virione è associato alle lipoproteine, sia particelle di HCV ad
alta densità in cui il virione è libero o associato alle immunoglobuline (Andre et al.,
2002; Hijikata et al., 1993b; Thomssen et al., 1993). Poiché gli epatociti sono il
principale sito di replicazione del virus, diversi gruppi hanno valutato la capacità dei
virioni ottenuti dai sieri infetti di replicarsi in epatociti primari in vitro.
Si è visto che sia epatociti umani che provenienti da scimpanzé sono in grado di
supportare l’infezione e la replicazione di HCV in vitro, ma con un tasso replicativo
molto basso (0,01-0,1 copie di RNA per cellula). Alcune prove che dimostrano
l’infezione sono: la presenza a livello cellulare del filamento a polarità negativa di RNA
di HCV, la sensibilità al trattamento con IFNα e la secrezione di progenie virale
infettiva (Castet et al., 2002; Rumin et al., 1999).
Alcuni gruppi si sono focalizzati nella ricerca di linee cellulari che permettano una
replicazione virale ad alto titolo (Bartenschlager and Lohmann, 2001). Tra quelle
testate, HepG2 (Human hepatocellular liver carcinoma cell line), Huh-7 (Human
Hepatoma cell line) e PH5CH (non-neoplastic hepatocyte line) risultano esser le linee
più suscettibili all’infezione e alla replicazione virale.
Recentemente si sono prodotti epatociti immortalizzati con i geni E6 ed E7 del Virus
del Papilloma Umano (HPV); questa linea mantiene un buon livello di differenziazione
epato-specifico ed è suscettibile all’infezione da HCV (Aly et al., 2007). In tali modelli
però il tasso replicativo del virus è molto basso (0,0001-0,01 copie di RNA per cellula)
ed è inferiore al sistema basato sugli epatociti primari. Alcune prove che dimostrano
42
l’infezione sono: la presenza a livello cellulare del filamento a polarità negativa di RNA
di HCV, la sensibilità al trattamento con IFNα e agli anticorpi anti-CD81, la secrezione
di progenie virale infettiva (Aly et al., 2007; Bartenschlager and Lohmann, 2001).
Poiché nei pazienti infetti l’intermedio replicativo virale non si trova solamente negli
epatociti, ma anche nelle cellule ematopoietiche (Lerat et al., 1996), alcuni gruppi hanno
valutato la capacità virale di infettare e replicare in tali cellule in vitro. Le PBMC
(Peripheral Blood Mononuclear Cell) e alcune linee cellulari di linfociti B (Daudi) e T
(MT-2 e MOLT-4) sono sensibili all’infezione con sieri HCV positivi, permettendo la
replicazione virale, ma con un’efficienza molto bassa (Cribier et al., 1995).
In conclusione, l’infezione e la replicazione virale in vitro è inefficace a causa di
molteplici problemi. Bisogna ricordare infatti che i sieri dei pazienti non sempre sono
infettivi (probabilmente a causa del ruolo delle lipoproteine e dei recettori per le
lipoproteine nel modulare l’entry virale) e non esiste una correlazione diretta tra
infettività e titolo dell’ RNA virale o presenza di anticorpi anti-HCV nel siero. Inoltre
HCV mostra una bassa efficacia replicativa in vitro con un basso titolo della progenie
virale infettante prodotta ed esistono molteplici difficoltà tecniche nel mantenere in
cultura le varie tipologie di cellule presentate.
1.8.2 Modello dei repliconi
Un importante scoperta fu lo sviluppo di un sistema di cultura cellulare basato sulla
selezione delle cellule che supportano una replicazione stabile dell’RNA subgenomico
di HCV (replicone).
Il primo replicone subgenomico è stato costruito a partire dalla sequenza virale del
genotipo 1b proveniente da un paziente cronicamente infetto. Da tale sequenza
nucleotidica è stata tolta la regione che va dal Core a p7 e sostituita con il gene della
resistenza alla neomicina seguito dall’IRES eterologa del virus dell’encefalomiocardite.
Il risultato ottenuto è stato un replicone subgenomico bicistronico in cui in direzione 5’3’ troviamo IRES di HCV seguito dal gene della resistenza alla neomicina e poi IRES
del virus dell’encefalomiocardite seguito dalla regione del genoma di HCV che codifica
le proteine non strutturali (NS2, NS3, NS4A, NS4B, NS54, NS5B). Tale costrutto viene
utilizzato per trasfettare le cellule Huh-7 e grazie alla presenza della resistenza vengono
selezionate le cellule in cui è presente il costrutto (Figura 12) (Lohmann et al., 1999).
43
Si è visto che la comparsa di mutazioni adattative a livello dei geni codificanti le
proteine non strutturali porta un aumento dell’efficienza di replicazione di 10 mila volte
(Blight et al., 2000). Tali mutazioni sono localizzate nella regione N-terminale
dell’elicasi NS3, in due distinte posizioni di NS4B, al centro di NS5A e nella regione Cterminale di NS5B; è importante sottolineare il fatto che tali mutazioni normalmente
non sono state osservate nel virus wild-type (Blight et al., 2000; Krieger et al., 2001;
Lohmann et al., 2001). Trattando con IFN le cellule selezionate è possibile “curare” le
cellule, eliminando la replicazione dei repliconi di HCV; con tale trattamento è stato
possibile selezionare dei subcloni cellulari, chiamati Huh-7-Lunet, Huh-7.5 e Huh-7.5.1,
in cui si osserva una maggior replicazione dell’RNA virale rispetto alle cellule non
trattate (Blight et al., 2002; Zhong et al., 2005). Molto probabilmente tali cellule
presentano mutazioni a carico delle proteine coinvolte nel pathway che individua
dsRNA e porta alla produzione dell’IFN (Lanford et al., 2003).
In seguito sono stati sviluppati repliconi subgenomici dei genotipi 1a e 2a (Blight et
al., 2003; Kato et al., 2003).
Successivamente sono stati generati anche repliconi genomici bicistronici in cui in
direzione 5’-3’ troviamo l’IRES di HCV seguito dal gene della resistenza alla
neomicina e poi troviamo l’IRES del virus dell’encefalomiocardite seguito dall’intero
genoma di HCV. In questo caso nelle cellule Huh-7 trasfettate e selezionate con
neomicina si osserva la replicazione dell’RNA virale (con un’efficienza inferiore
rispetto il modello dei repliconi subgenomici) e la produzione dell’intera poliproteina,
non accompagnata però dalla produzione di progenie virale (Figura 12,) (Blight et al.,
2002; Ikeda et al., 2002; Pietschmann et al., 2002). Solo trasfettando le cellule con
l’isolato JFH1 (genotipo 2a) si osserva la produzione di progenie virale infettiva (vedi
poi modello dell’HCV Cellular Clone, paragrafo1.8.5).
Complessivamente il modello dei repliconi permette di studiare il processo e il
complesso di replicazione virale, le interazioni virus-ospite e di saggiare l’efficacia di
farmaci antivirali che hanno come target la replicazione (Bartenschlager, 2004;
Lindenbach et al., 2005).
44
Figura 12 | Rappresentazione schematica del modello dei repliconi. Repliconi subgenomici e genomici
sono costituiti dal HCV 5’UTR, dal gene che codifica la neomicina fosfotransferasi2 (NeoR), l’IRES del
virus dell'encefalomiocardite, la regione che codifica le proteine di HCV e HCV 3’UTR. (Ba) Cellule
Huh-7 elettroporate con il replicone genomico di HCV. I cloni cellulari dove il replicone di HCV si
replica in modo efficiente sono selezionati per la loro resistenza al G418 (neomicina). (Bb) In parallelo,
subcloni di cellule Huh-7 altamente permissive per quanto riguarda la replicazione del replicone
subgenomico di HCV possono essere ottenute trattando le cellule trasfettate con G418. Le cellule
vengono poi trattate con IFN per eliminare i repliconi di HCV e in questo modo vengono selezionati cloni
cellulari (Huh-7-Lunet, Huh-7.5 e Huh-7.5.1) dove si osserva una maggior efficienza replicativa dei
repliconi subgenomici di HCV (Regeard et al., 2007).
2
Nonostante nel costrutto del replicone sia presente il gene della resistenza alla neomicina, le cellule eucariote
transfettate vengono selezionate utilizzando un’elevata quantità di G418 (geneticina) in quanto sono intrinsecamente
resistenti alla neomicina e alla kanamicina.
45
1.8.3 Modello delle HCV like particles
Le HCV like particles sono generate dall’autoassemblaggio delle proteine strutturali
di HCV (Core, E1 e E2) e rispecchiano la morfologia del virus wild-type, ma sono
incapaci di replicare.
La prima generazione di HCV like particles è stata prodotta usando cellule d’insetto
infettate con baculovirus ricombinante contenente il cDNA di HCV codificante le
proteine strutturali del genotipo 1a o 1b. Le particelle prodotte sono trattenute a livello
intracellulare (assenza di gemmazione) e per il rilascio è quindi necessario lisare le
cellule e purificare i virioni mediante centrifugazione in gradiente di densità (Baumert et
al., 1998).
La seconda generazione di HCV like particles è stata prodotta usando cellule di
mammifero (BHK21) infettate con Semliki Forest Virus ricombinante contenente il
cDNA di HCV codificante le proteine strutturali. In tale sistema le particelle prodotte
vanno incontro ad una gemmazione abortiva a livello del reticolo endoplasmatico. A
causa dell’assenza di un completo budding, questo modello non può essere usato per
studiare gli steps successivi dell’assemblaggio di HCV in cellule eucariote (Blanchard
et al., 2002).
In generale il modello dell’HCV like particles viene utilizzato per studiare il processo
di legame e per sviluppare un vaccino efficace.
Il legame specifico di HCV like particles si ha con differenti tipi cellulari: epatociti,
linfociti, cellule dendritiche; indipendentemente dall’espressione del CD81 (Barth et al.,
2003; Triyatni et al., 2002).
Per quanto riguarda lo sviluppo del vaccino si è visto che HCV like particles sono
capaci di indurre l’attivazione di una risposta immune umorale e cellulare nei topi e
negli scimpanzé. Gli animali vaccinati con HCV like particles non sono però protetti
dall’infezione, ma semplicemente dopo un’infezione con HCV di genotipo omologo (lo
stesso usato per produrre HCV like particles) sviluppano una forma di epatite meglio
controllabile rispetto agli animali di controllo non vaccinati (Elmowalid et al., 2007;
Murata et al., 2003).
46
1.8.4 Modello degli pseudovirus
Recentemente è stato possibile riprodurre in vitro le prime fasi dell’infezione da
HCV, mediante la produzione di pseudoparticelle virali funzionali (HCVpp). Gli
pseudovirus sono particelle ricombinanti in grado di esprimere sulla propria superficie
proteine virali eterologhe; in particolare negli HCVpp, le glicoproteine E1 ed E2
vengono espresse sulla superficie di altri virus, denominati scaffold, sostituendone le
loro naturali proteine di superficie (Bartosch et al., 2003b). Come virus scaffold si
possono utilizzare sia i virus della stomatite vescicolare (VSV) che i retrovirus, come ad
esempio il virus dell’immunodeficienza umana (HIV) ed il virus della leucemia murina
(MLV).
Gli pseudovirus sono capaci di un singolo ciclo d’infezione, cioè sono in grado di
infettare, ma incapaci di replicare nelle cellule bersaglio (Bartosch et al., 2003b; Hsu et
al., 2003; Lagging et al., 1998; Matsuura et al., 2001). In generale essi vengono
utilizzati per studiare la struttura tridimensionale delle glicoproteine E1 e E2,
identificare i recettori e co-recettori usati da HCV, studiare l’ingresso del virus in vitro e
condurre test di neutralizzazione.
La prima generazione di HCVpp sono stati sviluppati a partire dal virus della
stomatite vescicolare (VSV), in cui il gene per la glicoproteina G è stato sostituito dal
gene per la proteina verde fluorescente (GFP) (VSV-GFP∆G) (Matsuura et al., 2001).
Infettando con questo virus una linea cellulare CHO (Chinese Hamster Ovary)
esprimente le proteine E1-G ed E2-G, viene prodotto uno pseudovirus VSV/HCV che
presenta sulla superficie le proteine E1 ed E2 (Takikawa et al., 2000). Tuttavia affinché
le proteine E1-E2 vengano incorporate nello pseudovirus, le glicoproteine devono
subire una modifica (Matsuura et al., 2001): poiché la formazione e la gemmazione delle
particelle virali di VSV avviene a livello della membrana citoplasmatica, le proteine E1E2 vengono private della regione C-terminale (dove si trova la sequenza segnale che
trattiene queste proteine a livello del reticolo endoplasmatico) che viene sostituita con il
dominio transmembrana e citoplasmatico della glicoproteina G di VSV. In questo modo
E1-E2 vengono espresse sulla superficie cellulare e possono così essere incorporate a
livello dell’envelope dello pseudovirus VSV/HCV.
Questo artefatto può causare alcune importanti alterazioni per quanto riguarda il
ripiegamento e la glicosilazione; infatti le glicoproteine E1-E2 dello pseudovirus
47
HCV/VSV derivando dalla membrana plasmatica vanno incontro a modificazioni posttraduzionali diverse rispetto a ciò che accade nel reale ciclo vitale del virus, dove le
glicoproteine sono assemblate all’interno del reticolo endoplasmatico (Buonocore et al.,
2002; Hsu et al., 2003). Un profilo di glicosilazione diverso rispetto al fisiologico
processo di infezione in vivo e la mancanza del dominio transmembrana responsabile
della formazione dell’eterodimero E1-E2 possono determinare delle modifiche di
conformazione, che rendono tale sistema poco affidabile sia per valutare il tropismo di
HCV sia per svolgere test di neutralizzazione e studiare l’attività biologica degli
anticorpi diretti contro HCV. Infatti tali pseudovirus mostrano un tropismo molto ampio
che può essere influenzato dall’infettività di VSV e quindi dal fatto che tali pseudovirus
non presentano le glicoproteine E1 e E2 di HCV wild-type (Buonocore et al., 2002).
La seconda generazione di HCVpp è stata sviluppata a partire da retrovirus e risulta
essere un sistema più vicino alla reale fisiologia di HCV. I retrovirus sono in grado di
incorporare a livello della loro superficie molti tipi di glicoproteine cellulari e virali
(Ott, 1997; Sandrin et al., 2002) e integrano facilmente geni reporter (Negre and Cosset,
2002). Queste proprietà sono state sfruttate per la produzione di pseudoparticelle virali
che esprimono E1E2 sulla loro superficie e che trasportano un gene reporter che
permette di monitorare l'infezione delle cellule bersaglio. In particolare la realizzazione
di pseudoparticelle virali derivate da MLV si basa sulla co-trasfezione di cellule
(solitamente HEK293T, Human Embryonic Kidney) con tre differenti vettori
d’espressione: i) un vettore di packaging, contente tutto il genoma del retrovirus tranne
la zona codificante per le proteine dell’envelope ed il segnale di incapsidamento, in
modo che il genoma virale non venga inserito nei virioni prodotti, ii) un secondo
costrutto, codificante per le glicoproteine dell’envelope di HCV (E1 ed E2) e iii) un
terzo costrutto, che codifica per un gene reporter, generalmente GFP o luciferasi, che
permette di individuare le cellule infettate. Infatti il gene reporter, essendo l’unico a
possedere la sequenza di incapsidamento, viene inserito nella particella nascente (Figura
13) (Bartosch et al., 2003b; Sandrin and Cosset, 2006).
A differenza del sistema di pseudovirus HCV/VSV, le glicoproteine E1-E2 presenti
sull’envelope degli pseudovirus HCV/MLV derivano soprattutto dalle membrane
intracellulari e non dalla membrana plasmatica. Infatti è stato dimostrato che la
48
gemmazione di HCV/MLV avviene attraverso membrane intracellulari (Sandrin et al.,
2005). Nel dettaglio, analizzando mediante immunofluorescenza l’espressione delle
glicoproteine E1-E2 e la proteina del Core di MLV nelle cellule trasfettate è stato
evidenziato che queste proteine tendono a co-localizzare in corrispondenza di strutture
vescicolari intracitoplasmatiche che costituiscono il cosiddetto multivesicular body
(MVB), un compartimento intracellulare coinvolto nell’endocitosi e nel trasporto ai
lisosomi. Le HCVpp sono veicolate attraverso questo sistema di vescicole a livello della
membrana plasmatica per essere successivamente rilasciate all’esterno della cellula, in
seguito alla fusione delle membrane dei MVB con la membrana plasmatica (Lavillette
et al., 2006).
In conclusione, il processo di formazione delle HCV/MLVpp potrebbe essere molto
simile a quello che si verifica in vivo per HCV, rendendo questo un valido modello per
lo studio di HCV in vitro. Il tropismo delle HCV/MLVpp risulta essere epato-specifico,
grazie a tale strumento è stato possibile identificare i recettori più importanti per l’entry
virale, studiare come HCV viene internalizzato e allestire test di neutralizzazione in
vitro per valutare l’attività biologica di anticorpi anti-HCV.
Lo svantaggio principale di questo modello è che le pseudoparticelle virali sono
assemblate a livello delle cellule HEK293T, cioè cellule di rene, e quindi anche in
questo caso potrebbero verificarsi alcune alterazioni del ripiegamento e di glicosilazione
di E1-E2 rispetto a ciò che si verifica nei virioni derivati dal plasma (Keck et al., 2007).
Infatti, HCVpp presentano delle dimensioni maggiori rispetto ai virioni presenti nel
siero e questo potrebbe essere dovuto alla presenza di un numero maggiore di
glicoproteine a livello dell’envelope; infatti l’assenza della proteina NS2 nel modello di
HCVpp, può causare alterazioni nell’assemblaggio delle particelle virali (Clayton et al.,
2002). Inoltre, il diverso profilo di glicosilazione può essere alla base di cambiamenti
conformazionali che modificano l’esposizione di epitopi sulla superficie di E2. In
ultimo, con questo sistema vengono prodotti pseudovirus non associati a lipoproteine,
cosa differente rispetto a quello che si osserva in vivo e tutto questo potrebbe
influenzare i test di neutralizzazione che vengono attuati in vitro.
49
Figura 13 | Produzione delle HCV/MLVpp. Le cellule 293T vengono trasfettate con tre differenti vettori
di espressione. Il primo (a) è il costrutto di packaging che codifica per le proteine retrovirali Gag e Pol. Il
secondo vettore (b), codifica un gene reporter che rappresenta il genoma delle HCV/MLVpp in quanto è
l’unico costrutto che contiene la sequenza retrovirale d’incapsidamento (Y). Il terzo vettore (c) codifica le
glicoproteine E1 ed E2 di HCV. La capacità degli HCVpp di infettare linee cellulari di epatoma è stata
analizzata valutando l'espressione del gene reporter (CMV: promotore del citomegalovirus) (Regeard et
al., 2007).
1.8.5 Modello dell’HCV cellular clone (HCVcc)
Un importante passo avanti è stato ottenuto con lo sviluppo di un clone cellulare di
HCV (HCVcc) capace di propagarsi in vitro. Questo sistema è basato sull'utilizzo di un
particolare isolato virale che ha la particolarità di replicare in vitro. Tale isolato è stato
ottenuto nel 2001 da un paziente giapponese con un’epatite fulminante (JFH1
dall’inglese Japanese Fulminant Hepatitis), appartenente al genotipo 2a, ed ha come
peculiarità quella di presentare alcune mutazioni assenti negli altri isolati dello stesso
genotipo, soprattutto a livello del 5’-UTR e delle regioni Core, NS3, NS5A(Kato et al.,
2001).
50
I primi risultati con questo clone sono stati ottenuti utilizzando il modello dei
repliconi subgenomici. Il replicone subgenomico JFH1 dimostra una straordinaria
capacità di replicarsi in modo efficace in linee cellulari umane di origine epatica, in
linee cellulari umane non epatiche (IMY-N9, HeLa, HEK 293) e nei fibroblasti
embrionali di topo (Date et al., 2004; Kato et al., 2005). Successivamente Wakita et al.
hanno descritto come trasfettando la linea cellulare Huh-7 con l’intera sequenza di RNA
dell’isolato JFH1, si osserva la produzione di progenie virale capace di infettare sia in
vitro le cellule Huh-7 sia in vivo lo scimpanzé (Figura 14) (Wakita et al., 2005). Inoltre
si è visto che usando cellule Huh-7.5 o Huh-7.5.1 si ottimizza la cinetica di replicazione
e secrezione di particelle virali HCVcc (Lindenbach et al., 2005; Zhong et al., 2005).
Grazie a tale modello si è visto che i virioni prodotti dalle cellule Huh-7 hanno un
diametro simile al virus wild-type (circa 55 nm) e risultano avere una densità eterogenea
ad indicare la produzione sia di virioni liberi che di virioni associati alle lipoproteine
(Gastaminza et al., 2006; Lindenbach et al., 2005; Wakita et al., 2005; Zhong et al.,
2005). Sono necessarie ulteriori analisi per caratterizzare l'associazione tra HCVcc e le
lipoproteine e vedere se quello che si osserva in vitro, riflette le caratteristiche dei
complessi HCV-lipoproteine presenti nei sieri dei pazienti.
I tentativi di riprodurre questo modello con altri cloni molecolari dei diversi genotipi
di HCV hanno mostrato risultati piuttosto limitati, con il rilascio di un titolo virale
molto basso (Kato et al., 2007; Sakai et al., 2007; Yi et al., 2006). Di conseguenza per
allargare lo spettro di genotipi studiati con il modello di HCVcc, sono state costruite
chimere intergenotipiche e intragenotipiche di HCV. In tali chimere sono state
mantenute le proteine non strutturali del clone JFH1, e sostituite quelle strutturali del
clone JFH1 con quelle di altri isolati virali (Pietschmann et al., 2006). In questo modo è
stato possibile produrre HCVcc dei genotipi 1a (H77), 1b (CG1b), 2a (J6) e 4a (ED43),
in grado di replicare in vitro (Kato et al., 2007; Lindenbach et al., 2005; Scheel et al.,
2008; Yi et al., 2006). Nonostante questi costrutti chimera abbiano un’elevata
importanza nello studio dell’attività neutralizzante degli anticorpi contro i diversi
genotipi, non mostrano nessuna rilevanza biologica per quanto riguarda lo studio del
ciclo replicativo di HCV.
Pertanto JFH1 rappresenta l’unico isolato virale attualmente in grado di replicare in
maniera robusta in vitro, ed ha permesso di confermare dati ottenuti con l’utilizzo degli
51
HCVpp. Tuttavia non può essere dimostrato se tale variante virale sia altamente
rappresentativa della biologia di HCV.
Figura 14 | Il modello di HCVcc. La linea cellulare Huh-7 viene elettroporata con l’RNA genomico
dell’isolato JFH1. Pochi giorni dopo la trasfezione, i virus vengono secreti nel surnatante. La loro
infettività e capacità replicativa viene valutata su linee cellulari Huh-7 analizzando l'espressione di
proteine virali o quantificando l’RNA virale intracellulare (Regeard et al., 2007).
52
1.9 La risposta immunologica nei confronti delle infezioni virali
I virus sono microrganismi intracellulari obbligati, cioè devono compiere il ciclo
vitale all’interno della cellula ospite e sono dipendenti dal suo metabolismo. Nonostante
la continua esposizione ai virus, l’infezione è spesso contrastata dall’azione del sistema
immunitario.
La risposta antivirale immunitaria può rappresentare un’arma a doppio taglio, avente
un ruolo non solo nella clearance del virus ma spesso anche nella patogenesi. Infatti, il
sistema immunitario uccidendo le cellule infettate, elimina l’agente infettivo, ma allo
stesso tempo causa un danno tissutale nell’ospite. Inoltre molti segni e sintomi clinici
che si manifestano durante l’infezione virale non sono una conseguenza della
replicazione virale, ma piuttosto della reazione immunitaria; ad esempio citochine
rilasciate in seguito all’infezione possono causare sintomi sistemici quali febbre,
mialgia, anoressia, perdita di peso, ecc… . In particolare, durante le infezioni croniche,
possono formarsi complessi antigene-anticorpo con conseguenti manifestazioni di
malattia da immuno-complessi. Infine, la risposta immunitaria, attivata in seguito
all’infezione, può estendersi focalizzandosi non più soltanto sul virus, ma anche sulle
proteine self dell’ospite causando una malattia di tipo autoimmune.
La risposta immune antivirale si divide nelle due componenti: immunità innata e
immunità adattativa. La risposta indotta dall’immunità innata o naturale è aspecifica e
stereotipata, si attua in pochi giorni e non determina nessun tipo di memoria
immunologica specifica. La finalità dei meccanismi attivati è quella di permettere un
primo contenimento del patogeno e parallelamente favorire la maturazione di una
risposta più specifica da parte dell’immunità adattativa. In questa fase, grazie alla
capacità dell’ospite di possedere strutture recettoriali chiamate PRR (dall’inglese
pattern-recognition receptor) in grado di riconoscere i determinanti molecolari comuni
nei patogeni, chiamati PAMPs (dall’inglese pathogen-associated molecular patterns), si
ha l’attivazione delle cellule dell’immunità innata, quali neutrofili, macrofagi, cellule
NK, attivazione del sistema del complemento e la produzione di citochine proinfiammatorie e degli interferoni (Antonelli, 2008).
La risposta immunitaria adattativa o acquisita è diretta in modo specifico verso
alcune strutture caratteristiche del patogeno ed è dotata di memoria immunologica.
L’immunità adattativa è rappresentata dai linfociti, che si dividono principalmente in
53
cellule T e B. I linfociti B, una volta maturati in plasmacellule, sono responsabili della
produzione di anticorpi, i quali agiscono soprattutto diminuendo l’infettività dei virus,
mentre i linfociti T si dividono in CD8 o linfociti T citotossici, i quali sono coinvolti
principalmente nel riconoscimento e nell’uccisione delle cellule infettate, e CD4 o
linfociti helper, la cui funzione consiste soprattutto nella secrezione di citochine per
promuovere la maturazione delle cellule B (Janeway, 2001).
L’infezione primaria da parte di un virus, in molti casi, induce una rapida ed
individuabile risposta antivirale sia di tipo anticorpale, che mediata dai linfociti T. Al
momento della fase più intensa della risposta T mediata (spesso dopo 7-10 giorni
dall’esposizione), circa il 50-60% dei linfociti T CD8 sono virus-specifici e tale
percentuale in seguito diminuisce (spesso in parallelo con la risoluzione dell’infezione)
e dopo 3-4 settimane dall’infezione, sono presenti meno del 5% dei linfociti CD8 virusspecifici, che rappresentano le cellule della memoria (Butz and Bevan, 1998; MuraliKrishna et al., 1998).
La risposta anticorpale è spesso identificabile in una fase più tardiva rispetto alla
risposta T mediata; infatti gli anticorpi sono spesso assenti nella fase acuta (sintomatica)
dell’infezione, ma compaiono generalmente al termine della malattia e per questo
sembrano essere maggiormente coinvolti nella protezione nei confronti di una eventuale
reinfezione, rispetto alla risposta T-mediata (Janeway, 2001).
Tuttavia, numerose osservazioni suggeriscono che gli anticorpi sono importanti per
combattere l’infezione primaria da parte dei virus. Infatti tale teoria è convalidata da
numerosi studi che dimostrano che gli anticorpi hanno un ruolo cruciale nella
prevenzione e trattamento di molte infezioni virali (Enria et al., 1984; Groothuis and
Simoes, 1993; Lin et al., 1988; Maiztegui et al., 1979; Shouval and Samuel, 2000).
Per quanto riguarda l’infezione con virus persistenti ad RNA, il ruolo protettivo
svolto dagli anticorpi è ancora poco chiaro e largamente dibattuto. Come evidenziato da
alcuni studi, nel caso dell’infezione da HCV, la presenza di una intensa risposta
anticorpale non è correlata con la capacità di eliminare il virus e di proteggere da
successive reinfezioni (Antipa et al., 1996; Bukh et al., 2008; Major et al., 2004).
Nell’ambito della risposta anticorpale nelle infezioni virali, un ruolo importante
sembra essere svolto dagli anticorpi neutralizzanti, cioè in grado di inibire la capacità
infettiva del virus. In realtà, anche anticorpi privi di capacità neutralizzante in vitro,
54
possono essere protettivi in vivo, attraverso altri meccanismi di clearance del patogeno,
come l'interazione con le cellule effettrici attraverso la porzione Fc (Burton, 2002;
Janeway, 2001).
Molti virus mettono in atto strategie per eludere le difese del sistema immunitario,
compresa la risposta anticorpale. Alcuni virus, come il virus della rosolia o del morbillo,
raggiungono questo obiettivo riuscendo ad infettare altri ospiti prima della produzione
degli anticorpi. Quindi il virus non è sottoposto ad alcuna pressione evolutiva che lo
spinge a trovare una strategia per sfuggire alla risposta neutralizzante. Infatti, in questi
patogeni non si registra la presenza di un elevato numero di mutanti, proprio perché le
mutazioni introdotte dalle polimerasi virali durante la replicazione del genoma del virus,
non comporterebbero alcun vantaggio evolutivo, ma causerebbero solo una riduzione
della capacità replicativa (fitness). In questo modo, il genoma del virus rimane stabile,
nella forma che conferisce la migliore fitness possibile (Antonelli, 2008; Fields, 2001).
Una situazione diversa è presente nel caso di virus a RNA che causano infezioni
persistenti, come HCV. Infatti, in questo caso, la modalità di trasmissione del virus ad
altri ospiti, richiede la presenza persistente del virus in grado di replicare efficacemente.
Pertanto, soggetti che sono in grado di eliminare il virus dopo l’infezione acuta, non
hanno alcun ruolo nella trasmissione del virus, che invece dipende da pazienti che
sviluppano un’infezione persistente. In questo modo il virus deve convivere con il
sistema immunitario e ottiene un grande vantaggio nel trovare una strategia per sfuggire
alle difese dell’ospite. HCV, così come altri virus ad RNA, raggiunge questo obiettivo
attraverso una elevata variabilità antigenica. Di conseguenza, ogni ospite infettato
presenta una popolazione di varianti virali distinte, ma strettamente correlate, chiamate
quasispecie e questa notevole variabilità influenza notevolmente la persistenza del virus
nell’ospite infettato (Taguchi et al., 2004; Thimme et al., 2002; Thimme et al., 2001).
Ricordiamo che i meccanismi di difesa influenzano non solo l’esito di un’infezione
nel singolo paziente, ma anche l’evoluzione delle caratteristiche biologiche del
patogeno stesso. Si può concludere quindi che l’evoluzione virale è guidata, almeno in
parte, dai tentativi della risposta immune di eradicare l’infezione. La stessa strategia
attuata dal virus è però rispecchiata, anche se molto più lentamente, negli ospiti, dove la
risposta immunitaria è si modella in base ai microrganismi che incontra l'individuo
(Antonelli, 2008).
55
1.10 Gli anticorpi: struttura e funzione
L’anticorpo o immunoglobulina (Ig) è una molecola lunga 240 Angstrom (Å), ha un
peso molecolare di 150 kDa ed è un complesso proteico tetramerico costituito da quattro
catene glicoproteiche: due catene uguali fra di loro a maggior peso molecolare chiamate
pesanti (HC) e due catene anch'esse uguali fra di loro a minor peso molecolare chiamate
leggere (LC) unite da ponti di solfuro.
HC e LC presentano un dominio variabile (V) all’estremità N-terminale e mentre le
LC hanno un singolo dominio costante (CL), le HC presentano un numero di domini
costanti, diverso nelle varie classi di immunoglobuline (CH1, CH2, CH3, CH4), situati
all’estremità C-terminali (Figura 15).
All’interno delle regioni variabili si trovano corte sequenze ipervariabili, dette
regioni che determinano la complementarietà (CDR, dall’inglese complementarity
determining regions), che definiscono la specificità di ogni anticorpo nei confronti di un
antigene. Esse sono separate tra loro da regioni relativamente più conservate, le
framework regions (FR), indispensabili per mantenere la conformazione del sito
combinatorio antigene-anticorpo. Esistono tre CDR e quattro FR, sia nelle HC che nelle
LC.
Le quattro catene formano una struttura ad “Y”, dove la porzione assiale è detta
frammento cristallizzabile (Fc) ed i due bracci costituiscono i frammenti che legano
l’antigene (Fab, dall’inglese fragment antigen binding site). È possibile scindere
l’anticorpo in 2 Fab identici e il segmento Fc mediante la digestione con l’enzima
papaina.
Il Fab è la porzione dell’anticorpo deputata al legame con l’antigene e comprende
l’intera catena leggera unita al dominio variabile ed il primo dominio costante della
catena pesante.
La porzione Fc è costituita dalla regione costante (escluso il dominio CH1) delle due
catene pesanti unite da ponti disolfuro ed è la parte che interagendo con recettori
presenti a livello della membrana delle cellule effettrici è responsabile delle funzioni
biologiche. Le principali funzioni biologiche degli anticorpi sono: i) l’attivazione della
via classica del complemento che porta in primo luogo al rilascio di fattori solubili del
complemento chiamati anafilotossine in grado di modulare la risposta immune e in
56
secondo luogo all’assemblaggio del complesso di attacco alla membrana (MAC) a
livello della cellula infettata causandone la sua lisi, ii) favorire la fagocitosi del
patogeno agendo come opsine ed infine iii) l’attivazione della citotossicità cellulare
mediata dall’anticorpo (ADCC, dall’inglese Antibody-Dependent Cell Cytotoxicity) che
porta al rilascio, principalmente dai macrofagi e dalle cellule NK, di perforina e
granzima responsabili della morte delle cellule infette.
Ogni anticorpo nella sua forma monomerica è bivalente, presenta cioè due siti di
legame per l’antigene. Un anticorpo generalmente riconosce solo una regione limitata
(6-10 aa) sulla superficie di una molecola (antigene). Tale regione è detta determinante
antigenico o epitopo. I determinanti antigenici possono dividersi principalmente in due
categorie: gli epitopi conformazionali o discontinui, dove la struttura riconosciuta
dall’anticorpo è formata da segmenti della proteina che non sono contigui nella
sequenza aminoacidica dell’antigene, ma vengono riuniti nella conformazione
tridimensionale, e gli epitopi lineari o continui, composti da una porzione della
sequenza primaria di una proteina (Alberts, 2003; Antonelli, 2008; Pier, 2006).
Figura 15 | (A) Rappresentazione grafica di un anticorpo (IgG) formato da quattro catene polipeptidiche:
due identiche catene leggere e due identiche catene pesanti, unite da ponti disolfuro. (B) Domini della
catena leggera delle immunoglobuline (Alberts, 2003).
57
Sulla base della diversa sequenza costante della catena pesante, il numero e la
posizione dei legami disolfuro intercatenari, il numero di catene oligosaccaridi attaccate,
il numero di domini C e la lunghezza della regione cerniera, le immunoglobuline sono
suddivise in classi e sottoclassi (isotipi). Più precisamente nell’uomo, esistono cinque
classi di immunoglobuline: IgG, IgM, IgA, IgD e IgE, determinate rispettivamente dalle
catene pesanti γ, μ, α, δ e ε (Figura 16). Le catene pesanti delle IgM e delle IgE
contengono un dominio C in più che sostituisce la regione cerniera che si trova nelle
catene degli altri isotipi. In particolare, quattro sono le sottoclassi di IgG (catene pesanti
γ1, γ2, γ3 e γ4) e due sono le sottoclassi di IgA (α1 e α2). Le catene leggere, invece,
possono essere di due tipi, κ o λ, e ciascuna di esse può associarsi a qualsiasi tipo di
catena pesante, dando origine ad un numero elevatissimo di combinazioni.
Le IgG costituiscono la classe più abbondante nel siero e rappresentano circa l’80%
delle Ig circolanti. È l’unica classe ad oltrepassare la barriera placentare e quindi si
trovano in concentrazione elevata già alla nascita, conferendo al neonato una certa
protezione durante i primi mesi di vita. Le IgG sono in grado di attivare il complemento,
vengono prodotte dopo lo switch isotipico ed hanno un ruolo centrale nella risposta
immunitaria secondaria (quando l’ospite viene nuovamente a contatto con l’antigene
che ha scatenato la risposta primaria). Come detto precedentemente, in base alla
sequenza del frammento Fc e il numero di ponti S-S, sono state distinte 4 sottoclassi:
IgG1, IgG2, IgG3, IgG4.
Per quanto riguarda le IgA ne esistono due tipi: le IgA sieriche monomeriche
rappresentanti circa il 13% delle Ig circolanti e le IgA secretorie dimeriche (due
molecole di IgA sieriche unite) presenti principalmente nella saliva, nelle lacrime, nel
liquido seminale, nei tratti genito-urinari e gastro-intestinali e nel latte umano.
Anch’esse vengono prodotte dopo lo switch isotipico. Le IgA secretorie forniscono una
prima linea di difesa contro i patogeni che penetrano a livello mucosale (immunità
mucosale) ed inoltre hanno un ruolo importante nella protezione neonatale in quanto
sono presenti nel latte materno e vengono quindi trasportate nel lume intestinale del
bambino.
58
Le IgM sono il primo isotipo secreto nel corso della risposta immunitaria primaria e
principalmente sono presenti nel siero come pentameri (5 molecole di IgM unite a
livello dello stelo Fc). Hanno una scarsa affinità per l’antigene specifico, tipicamente
sono polireattive ed essendo presenti come pentameri hanno a disposizione 10 siti di
legame per l’antigene, per questo motivo presentano un’elevata avidità. Inoltre attivano
molto efficientemente la reazione del complemento e non sono in grado di oltrepassare
la barriera placentare. Le IgM sono presenti, se pur a concentrazione inferiore rispetto
alle IgA, nelle secrezioni a livello delle mucose e nel latte materno.
Nel siero le IgD sono presenti nel siero come monomeri in concentrazione bassa e la
loro funzione biologica non è ancora nota.
Infine le IgE sono presenti nel siero in bassissima concentrazione. Il principale ruolo
fisiologico consiste nella protezione nei confronti dei parassiti. Il frammento Fc delle
IgE si lega ad alta affinità ai recettori di membrana presenti sui mastociti e sui
granulociti basofili; qui le IgE, dopo combinazione con gli antigeni corrispondenti,
inducono la liberazione da parte delle stesse cellule dei mediatori (soprattutto istamina)
responsabili delle reazioni allergiche di I tipo.
59
Figura 16 | Rappresentazione grafica delle varie classi anticorpali (Pier, 2006).
Il repertorio anticorpale è dato da tutte le specificità anticorpali disponibili in un
individuo e nell’uomo il numero totale si aggira intorno a 1011. Il numero di anticorpi
con specificità diversa presenti in un dato momento in un individuo dipende dal numero
totale di cellule B che esso possiede e anche dal numero di antigeni con cui è venuto in
contatto. La diversità del repertorio anticorpale è data dalla combinazione di almeno tre
meccanismi diversi:
1) la presenza nel genoma di molteplici geni che codificano la catena anticorpale.
Infatti l’intera sequenza della regione variabile N-terminale (V) della catena pesante e
leggera di una immunoglobulina, è contenuta in più segmenti genici.
Il dominio V della catena leggera è codificato da due segmenti separati di DNA. Il
primo codifica i primi 95-101 aminoacidi ed è chiamato segmento genico V
(dall’inglese Variable) perché corrisponde alla maggior parte del dominio V, la parte
rimanente (fino a 13 aminoacidi) è codificata dal secondo segmento, detto J
60
(dall’inglese Joining) o di legame. L’unione dei segmenti genici V e J crea un unico
esone che codifica per l’intera regione V di una catena leggera. Inoltre poiché nel DNA
non riarrangiato i segmenti genici V e C sono lontano tra di loro mentre il segmento J si
trova vicino alla regione C, l’unione del segmento V con un segmento genico J porta V
vicino al segmento C.
Il dominio V della catena pesante è codificato invece da tre segmenti genici. Oltre ai
segmenti V e J vi è un terzo segmento detto D (dall’inglese Diversity). Nel caso della
catena pesante il segmento D viene riunito al segmento J, quindi il segmento V si
riarrangia con DJ in modo da completare l’intero esone che codifica per l’intera regione
V di una catena pesante. Così come avviene per i geni delle catene leggere, la
ricombinazione porta la regione V in vicinanza della regione C.
Poiché nel DNA genomico vi sono molte copie di ciascuno dei segmenti genici, la
grande variabilità fra tutte le regioni V delle immunoglobuline è possibile perché,
quando si forma un singolo segmento V, avviene una selezione casuale fra i vari tipi di
segmenti. I riarrangiamenti del DNA precedentemente descritti sono regolati da
sequenze conservate di DNA non codificante, che sono adiacenti al punto in cui avviene
la ricombinazione
I segmenti genici delle immunoglobuline sono organizzati in tre cluster o loci genici:
il locus K localizzato sul cromosoma 2, il locus λ localizzato sul cromosoma 22 e il
locus per le catene pesanti localizzato sul cromosoma 14. I geni umani V possono essere
raggruppati in famiglie, dove i componenti di ciascuna famiglia condividono almeno
l’80% della sequenza genica. Infine le famiglie che presentano similitudini tra di loro
possono essere raggruppate in clan.
Ricordiamo che il meccanismo di riarrangiamento del DNA, avviene a livello del
genoma dei linfociti B naive in fase di maturazione nel midollo osseo dell’ospite, ed è
simile per i loci delle catene pesanti e leggere, anche se per creare il gene per la catena
leggera è necessario un solo evento di ricombinazione, mentre ne servono due per avere
il gene completo delle catene pesanti.
2) la diversità giunzionale, dovuta al fatto che durante la ricombinazione dei
segmenti V(D)J vengono sottratti o aggiunti nucleotidi e che le regioni V delle catene
pesanti e leggere possono combinarsi in vari modi quando queste si appaiano per
61
formare il sito di legame per l’antigene sull’immunoglobulina. Sia nelle catene pesanti
che nelle catene leggere, la diversità tra le varie regioni CDR3, che sono localizzate nel
punto di giunzione tra il segmento V e il segmento J e nelle catene pesanti è in parte
sintetizzata dal segmento D, è incrementata notevolmente dall’aggiunta e dalla
delezione di nucleotidi che avviene durante la formazione della giunzione tra i segmenti
genici.
Il meccanismo responsabile della diversità di combinazione e giunzionale, è attivo
durante il riarrangiamento dei segmenti genici che ha luogo nelle prime fasi di
maturazione dei linfociti B negli organi linfatici centrali.
3) A livello degli organi linfatici periferici invece esiste un meccanismo chiamato di
ipermutazione somatica che genera diversità nella regione V dopo che sono stati
assemblati i geni funzionali delle immunoglobuline. Questo processo è l’unico
meccanismo “antigene dipendente”, ovvero introduce un numero considerevole di
mutazioni puntiformi nelle regioni V dei geni riarrangiati delle catene pesanti e leggere,
dando origine in questo modo a recettori mutati sulla superficie delle cellule B. Alcune
delle molecole di immunoglobuline mutate legano l’antigene meglio del recettore
originale, e le cellule B che le esprimono vengono selezionate positivamente per
diventare cellule mature secernenti gli anticorpi, dando origine ad un fenomeno
chiamato maturazione per affinità.
Ricordiamo che durante la risposta immunitaria, eccetto il meccanismo di
ipermutazione somatica, non avvengono più modificazioni a carico della regione V dei
linfociti B differenziati, ma nella stessa progenie possono essere espressi geni diversi
per la regione C (switch anticorpale: meccanismo specifico di ricombinazione non
omologa guidato da sequenze ripetute di DNA non codificante conosciute come regioni
di cambio).
Concludendo, la variabilità genetica anticorpale, si suddivide in isotipica (presente in
ogni individuo di una certa specie), allotipica (o allelica, presente in singoli individui di
una certa specie) e idiotipica (a carico del dominio variabile, soprattutto ipervariabile,
delle catene). L’idiotipo è unico per ogni singolo clone linfocitario B e determina la
specificità per l’antigene (Janeway, 2001).
62
1.11 La risposta immunitaria nei confronti del virus dell’epatite C
Nella maggioranza degli individui infetti da HCV (80% dei casi) l’infezione
cronicizza nonostante il virus venga riconosciuto e sia bersaglio dei meccanismi
dell’immunità innata e adattativa. Questo vuol dire che HCV è in grado di evadere la
risposta immunologica dell’ospite usando molteplici strategie.
1.11.1 La risposta immunitaria innata
Le cellule di mammifero rispondono alle infezioni virali attivando una “risposta
dell’ospite” caratterizzata dalla produzione di interferone (IFN) e dall’induzione di uno
stato cellulare antivirale. Il virus dell’epatite C attraverso una combinazione complessa
di interazioni patogeno-ospite compromette la “risposta dell'ospite” attenuando sia la
produzione dell’IFN sia l’attività antivirale (Gale, 2003).
La “risposta dell'ospite” si attiva quando le cellule infettate, grazie a specifici
recettori proteici noti come PRR (dall’inglese pattern recognition receptor),
riconoscono determinanti molecolari associati al patogeno conosciuti come PAMP
(dall’inglese patogen associated molecular pattern). L’interazione PAMP/PRR porta
all’attivazione di un signaling intracellulare che ha come effetto finale l'espressione di
geni effettori antivirali (O'Neill, 2004).
Anche HCV attiva la “risposta dell'ospite” attraverso questo meccanismo: i PAMP
specifici di HCV sono stati individuati all’interno del genoma virale e consistono nel
tratto poliuridinico al 3’UTR e nelle regioni a forcina all’interno del dsRNA (Simmonds
and Gough, 2004; Tuplin et al., 2002). Mentre i PRR coinvolti sono: i) TLR3
(dall’inglese Toll Like Receptor 3) che riconosce le regioni a forcina all’interno del
dsRNA all’interno dell’endosoma e ii) RIG1 (dall’inglese Retinoic Acid-Inducible Gene
1) che riconosce il tratto poliuridinico al 3’UTR a livello citoplasmatico (Saito et al.,
2008). Queste interazioni PAMP/PRR portano all’attivazione di una cascata di eventi
intracellulari che si concludono con l’attivazione e traslocazione nucleare di due
importanti fattori trascrizionali che sono: NF-kB (dall’inglese Nuclear Factor kappa-B)
che inducendo l’espressione di chemochine e citochine proinfiammatorie amplifica la
risposta immunitaria e IRF3 (dall’inglese Interferon Regulatory Factor 3) che induce
l’espressione dell’IFNβ (Kawai and Akira, 2008; Tai et al., 2000).
63
Durante l’infezione del virus dell’epatite C la fonte cellulare dell’IFN non è certa.
L’ipotesi più probabile, grazie a studi condotti su scimpanzé infetti, è che l’IFN
inizialmente venga prodotto dagli epatociti infetti e successivamente venga prodotto
dalle cellule circostanti, tra cui le cellule del sistema immunitario (Bigger et al., 2001).
L’IFNβ secreto induce uno stato antivirale che si estende non solo alle cellule infette
(stimolazione autocrina) ma anche alle cellule adiacenti (stimolazione paracrina) e il suo
effetto principale è quello di bloccare la replicazione e la diffusione del virus. Il legame
dell’ IFNβ al recettore IFNα/β attiva il pathway JAK/STAT. STAT attivata si associa
con IRF9 (dall’inglese Interferon Regulatory Factor 9) per generare il complesso
proteico chiamato ISGF3 (dall’inglese Interferon Stimulated Gene Factor 3).
Quest’ultimo trasloca a livello nucleare, dove si comporta come fattore trascrizionale
promuovendo l’espressione, ad alti livelli, dei geni inducibili dall’IFN chiamati ISGs
(dall’inglese Interferon Stimulated Genes) (Sen, 2001).
Il genoma umano codifica alcune centinaia di ISGs (Der et al., 1998). I prodotti
proteici derivanti dall’espressione degli ISGs hanno la funzione di controllare
l'infezione virale: alcuni hanno un ruolo antivirale diretto all’interno delle cellule
infettate, altri promuovono la risposta immune adattativa e altri ancora controllano la
proliferazione cellulare. È stato dimostrato che gli ISGs espressi sono in grado
d’interrompere la replicazione di HCV attraverso processi che includono sia l’inibizione
della sintesi delle proteine virali sia l’inibizione della sintesi del filamento negativo, che
ricordiamo essere importante come intermedio della replicazione virale (Guo et al.,
2001; Prabhu et al., 2004a; Shimazaki et al., 2002; Wang et al., 2003).
È importante ricordare che molti ISGs sono espressi normalmente a livelli basali per
facilitare la sorveglianza nei confronti dei patogeni e che l’espressione aumenta in
risposta all’IFN prodotto in seguito all’infezione. L’induzione degli ISGs amplifica la
risposta IFN mediata (feed-back positivo) e studi recenti hanno mostrato che il loop di
amplificazione dipende dall’attivazione del fattore trascrizionale IRF7 (dall’inglese
Interferon Regulatory Factor 7) (Honda et al., 2005). IRF7 è un ISG e la sua
espressione epatica è IFN-dipendente (Honda et al., 2005; Smith, 2003). IRF7
promuove l’espressione di diversi sottotipi di IFNα che inducendo una produzione
prolungata di IFN, promuovono l’amplificazione della “risposta dell’ospite” (Honda et
al., 2005). È questo il meccanismo parafisiologico che viene attivato con la
64
somministrazione terapeutica di IFN nei pazienti con infezione di HCV (McHutchison
and Patel, 2002).
Ricordiamo che IFNα è un potente immunodominante importante per: i) l’attivazione
delle cellule NK stimolando queste a produrre IFNγ (importante per i suoi effetti
antivirali) e ii) una corretta maturazione delle cellule dendritiche (DC) necessaria sia per
indurre l’attivazione dei linfociti CD4 verso il fenotipo Th1 (che si è visto essere
importante per la clearance virale) sia per il priming3 dei CD8+ stimolando questi a
produrre IFNγ (Biron et al., 1999; Colonna et al., 2004; Loza and Perussia, 2004).
I più importanti ISGs prodotti in seguito alla stimolazione indotta dagli IFN sono:
1) Il complesso 2’,5’ OAS 1 (dall’inglese 2',5'-Oligo Adenylate Synthetase )/
RNAse L. 2’,5’ OAS 1 è attivato dal dsRNA ed induce la polimerizzazione 2’,
5’ dell’ATP in modo che si formino oligoadenilati di differenti lunghezze capaci
a loro volta di indurre la dimerizzazione e l’attivazione dell’RNAse L, una
ribonucleasi capace di degradare RNA virale e cellulare (Guo et al., 2004)
2) ADAR 1 (dall’inglese Adenosine Deaminase Acting on RNA) che riconosce i
residui di adenosina presenti nel dsRNA convertendoli in residui di inosina; tali
mutazioni hanno un effetto destabilizzante sulle strutture secondarie presenti nel
genoma virale (Taylor et al., 2005)
3) P56 lega e blocca l’attività del fattore d’inizio della traduzione eIF3, inibendo di
conseguenza la traduzione dell’RNA virale e cellulare (Hui et al., 2003)
4) PKR è una protein chinasi che fosforilando il fattore d’inizio della traduzione
eIF2 ne inibisce la sua attività, bloccando di conseguenza la traduzione
dell’RNA virale e cellulare (Pflugheber et al., 2002) (Figura 17).
3
Per priming s’intende la prima attivazione dei linfociti naive, esse richiede la presenza non solo dell’interazione
fra BCR (per i linfociti B) o TCR (per i linfociti T) e antigene libero (per i linfociti B) o antigene presentato dalle DC
(per i linfociti T) ma anche l’interazione fra molecole costimolatorie (es: CD80, CD86, ICOSL) e la secrezione di
determinate citochine (es: IL2).
65
Figura 17 | Rappresentazione schematica della “risposta dell'ospite” attivata in seguito all'infezione da
HCV. PAMP virali (HCV RNA) legano i PRR cellulari RIG1 e TLR3 (1), tale interazione porta
all’attivazione di una cascata di eventi intracellulari che culmina con l’attivazione del fattore
trascrizionale IRF3 che stimola l’espressione dell’IFNβ (2). L’IFN prodotto si lega al recettore IFN α/β
(3) portando all’attivazione del pathway JAK/STAT che si conclude con la formazione del complesso
trascrizionale ISGF3 che stimola l’espressione dei geni inducibili dall’IFN chiamati ISGs (4) (Li et al.,
2005).
Molti studi però suggeriscono che le cellule infettate da HCV presentano dei difetti
nell’induzione dell’IFN e nei suoi effetti. Inoltre prodotti genici di HCV hanno come
bersaglio diversi meccanismi della risposta immunitaria innata permettendo al virus di
instaurare un’infezione persistente, malgrado venga riconosciuto da recettori del sistema
immune.
I principali meccanismi con cui il virus evade la “risposta dell’ospite” sono:
66
1) NS3/4A è in grado di clivare e quindi inattivare IPS1 (dall’inglese Interferon-β
Promoter Stimulator 1), un adattatore mitocondriale recentemente identificato e
che si è visto essere importante per l’attivazione dei fattori trascrizionali IRF3 e
NF-kB (Li et al., 2005; Meylan et al., 2005). Si è visto che un blocco prolungato
di IRF3 induce nelle cellule infettate un fenotipo tumorale; questo potrebbe in
parte spiegare il collegamento esistente tra epatite C cronica ed epatocarcinoma
(Liang and Heller, 2004). Inoltre NS3/4A è in grado di clivare e quindi inattivare
TRIF (dall’inglese TIR-domain-containing adapter-inducing interferon-β) un
adattatore importante per il signaling del TLR3 (Li et al., 2005)
2) La proteina Core di HCV è in grado di interferire con l’attivazione del pathway
JAK/STAT e con l’espressione degli ISGs (Heim et al., 1999; Lin et al., 2006)
3) NS5A è in grado sia di inibire l’attività enzimatica di 2’,5’ OAS sia di indurre
l’espressione di IL8, interleuchina volta ad attenuare l’espressione degli ISGs
(Polyak et al., 2001; Taguchi et al., 2004)
4) NS5A e la glicoproteina E2 stimolano la traduzione del genoma virale in
quanto sono in grado di legare e bloccare l’attività di PKR. Da alcuni studi
emerge che l’interazione da queste proteine e PKR sia direttamente dipendente
dalla sequenza della proteine virali; questo potrebbe spiegare come mai il
genotipo 1 sia maggiormente resistente alla terapia con IFN, rispetto ai genotipi
3 e 4 (Asahina et al., 2001; Puig-Basagoiti et al., 2005; Taylor et al., 1999).
5) Il genoma di HCV si è evoluto perdendo i siti di-nucleotidici UU e UA che
vengono riconosciuti e clivati da RNAse L, in modo da essere protetto
dall’attività antivirale di tale ISG. Una dimostrazione di questo è la minore
presenza di siti di taglio a livello genotipo 1, maggiormente resistente alla
terapia con IFN, rispetto ai genotipi 3 e 4 (Han and Barton, 2002; Han et al.,
2004).
IFNs di tipo I (α e β) sono prodotti anche da cellule non parenchimali, in particolare
dalle DC plasmacitoidi (pDC) presenti nei tessuti infiammati e nei relativi linfonodi
drenanti (Cella et al., 1999). Nell’infezione da HCV, la frequenza di pDC nel sangue è
minore come risulta essere anche la loro capacità di produrre IFNα (valutata in vitro)
(Dolganiuc et al., 2006). Per spiegare questo sono stati proposti due meccanismi. In
primo luogo, studi in vitro dimostrano che le proteine Core e NS3 di HCV sono in grado
67
di attivare monociti a produrre TNFα, che a sua volta inibisce la produzione di IFNα e
induce l'apoptosi delle pDC (Dolganiuc et al., 2006). In secondo luogo, si è visto che il
virus stesso in vitro è in grado di inibire la produzione di IFNα mediata dalle pDC
(Yoon et al., 2009). L’effetto inibitorio è esercitato sia dal virus infettivo che inattivato,
e non viene abrogato incubando il virus con anticorpi neutralizzanti (Yoon et al., 2009),
suggerendo che HCV non necessita né di infettare né di replicarsi nelle pDC. Questo è
coerente con il fatto che le pDC esprimono il CD81 ma non Claudina-1, e di
conseguenza HCV non può essere propagato in queste cellule in vitro (Marukian et al.,
2008). HCV può attenuare la produzione di IFNα sia da parte degli epatociti grazie ad
un meccanismo infezione dipendente, sia da parte delle pDC grazie ad un interazione
diretta indipendente dall’infezione di tali cellule dendritiche.
Un secondo gruppo di cellule dendritiche sono quelle denominate convenzionali
(cDC) che risiedono nei tessuti e che dopo aver incontrato l’antigene vengono
trasportate attraverso la via linfatica ai linfonodi drenanti dove presenteranno l’antigene
ai linfociti T permettendone l’attivazione. Una difettosa funzione delle cDC potrebbe
portare ad una insufficiente attivazione dei linfociti T e di conseguenza all’innesco
ritardato della risposta cellulare HCV-specifica. Infatti si è osservato che sia la
maturazione sia la differenziazione funzionale delle cDC risultano essere alterate in
alcuni pazienti con infezione da HCV. Tali cellule dendritiche sono caratterizzate in
vitro da una diminuita produzione della IL-12 e da una maggiore produzione della IL-10
(Auffermann-Gretzinger et al., 2001; Bain, 2001). Quello che realmente accade in vivo
alla funzionalità delle cDC rimane dubbio, infatti in altri pazienti con infezione da HCV
si osserva una funzionalità normale delle cDC e finora non sono stati riportati quadri
clinici caratterizzati da una risposta immunitaria globale compromessa associata ad un
maggior rischio di infezioni opportunistiche che evidenzierebbe un difetto funzionale di
tali cellule dendritiche (Rollier et al., 2003; Longman et al., 2004).
Per quanto riguarda le cellule NK, queste sono molto abbondanti nel fegato e sono
importanti in quanto in grado di mediare la lisi delle cellule infettate (sistema perfoninagranzima e ADCC) e di produrre IFNγ che a sua volta è in grado di controllare
direttamente la replicazione virale e di promuovere l'accumulo locale di linfoidi e delle
cellule infiammatorie. Inoltre le cellule NK attivate sono in grado di stimolare la
maturazione di DC, in parte attraverso TNFα e IFNγ, e quindi fornire un collegamento
68
diretto tra immunità innata ed acquisita (Racanelli and Rehermann, 2006). La soglia di
attivazione delle cellule NK dipende dall’interazione fra il complesso maggiore di
istocompatibilità (MHC dall’inglese Major Histocompatibility Complex) presente sulle
cellule target e una serie di recettori attivatori (KAR dall’inglese activating receptors on
human NK cells) e inibitori (KIR dall’inglese inhibitory receptors on human NK cells)
presenti sulla superficie delle NK.
Le cellule NK sono inoltre importanti nella risoluzione dell'infezione da HCV come
mostrato in un ampio studio di immunogenetica in cui si è visto che la presenza di
alcune varianti alleliche del KIR e del MHC sono correlate con la clearance di HCV
(Khakoo et al., 2004). In particolar modo si è evidenziato che i pazienti, in cui si osserva
la clearance virale, presentano varianti alleliche KIR/MHC protettive; ad indicare una
soglia di attivazione delle cellule NK bassa, come dimostrato dalla veloce
degranulazione e rilascio di IFNγ da parte di tali cellule studiate in vitro (Ahlenstiel et
al., 2008).
Si è osservato che proteine di HCV sono in grado di inibire la funzionalità delle
cellule NK; infatti è stato anche che cellule NK provenienti da pazienti HCV-infetti, ma
non da controlli sani producono citochine, come TGFβ e IL 10, in grado di attenuare la
risposta del sistema immunitario adattativo in vitro (Jinushi et al., 2004). Inoltre è
emersa la capacità della glicoproteina E2 ricombinante di inibire direttamente ad alte
concentrazioni la funzionalità delle cellule NK, interagendo con il CD81 espresso sulla
loro superficie (Crotta et al., 2002; Tseng and Klimpel, 2002). Questi però sono dati
preliminari che devono esser confermati. Tuttora infatti non è noto se la glicoproteina
E2 possa avere effetti sull’attività delle cellule NK in vivo.
1.11.2 La risposta immunitaria adattativa
Anche se la risposta innata e l'induzione di IFN si osservano precocemente dopo
l'infezione da HCV, la risoluzione dell’infezione dipende dall’attivazione dell'immunità
adattativa.
Cellule T HCV-specifiche sono tipicamente rilevabili 5-9 settimane dopo l'infezione
mentre gli anticorpi HCV-specifici sono rilevati 8-31 settimane dopo l'infezione. Un
69
possibile meccanismo per spiegare questo ritardo nell’innesco della risposta
immunitaria adattativa, sembra essere un difettoso priming dei linfociti T e B
(Logvinoff et al., 2004; Thimme et al., 2001).
1.11.2.1 La risposta immunitaria adattativa cellulare
Durante le prime settimane di infezione da HCV si ha un aumento esponenziale del
carico virale nel siero, senza evidenza di danno epatico. I linfociti T HCV-specifici sono
fondamentali per l’eliminazione di HCV (Lechner et al., 2000; Thimme et al., 2001) e a
conferma di questo vi è il fatto che la diminuzione del titolo virale coincide proprio con
la comparsa dei linfociti T HCV-specifici e l’espressione di IFN nel fegato. Tuttavia,
l’attivazione dei linfociti T HCV-specifici può essere rilevata, almeno transitoriamente,
anche quando HCV stabilisce un'infezione persistente. Nella maggior parte dei pazienti
l'immunità cellulo-mediata non riesce ad eradicare l'infezione e nella totalità dei casi
non conferisce un immunità protettiva duratura nel tempo. Infatti nei pazienti e negli
scimpanzé guariti, la reinfezione con ceppi di HCV omologhi ed eterologi è possibile ed
è caratterizzata da un maggior controllo della viremia virale, dovuta alla protezione
immunitaria sviluppatasi durante l’infezione primaria (Major et al., 2002). I linfociti T
CD4+ HCV-specifici, grazie al loro ruolo di helper, sono essenziali per la generazione
di una efficace risposta immunitaria e la loro presenza o assenza ha un importante ruolo
predittivo dell’evoluzione dell’infezione. Al momento della presentazione clinica, nel
sangue dei pazienti che poi guariranno dall'infezione è possibile rilevare una
proliferazione vigorosa delle cellule T CD4+ HCV-specifiche, con concomitante
produzione di IL 2 e IFNγ (Missale et al., 1996; Urbani et al., 2006; Kaplan et al.,
2007). Al contrario, nei pazienti in cui la viremia virale non diminuisce e che
successivamente svilupperanno l'infezione cronica, i linfociti CD4+ HCV-specifici sono
poco presenti o assenti.
In contrasto con i CD4+ HCV-specifici, le cellule T CD8+ sono rilevabili nel sangue
e a livello epatico dei pazienti con infezione acuta indipendentemente dall’outcome
virologico (Kaplan et al., 2007). Tali cellule mostrano attività citotossica e sono in
grado di produrre IFNγ in risposta a peptidi virali (Cooper et al., 1999; Lechner et al.,
2000). Anche durante l’infezione cronica i CD8+ HCV-specifici risultano essere
70
abbondanti, ma molte di queste cellule sono funzionalmente carenti e mostrano un
fenotipo “stunned” caratterizzato da una compromissione della proliferazione, della
produzione di IFNγ, della citotossicità e un aumento dei livelli di una proteina
proapoptotica
chiamata
PD-1
(dall’inglese
programmed
death-1).
Inoltre
la
maggioranza di tali cellule hanno vita breve: sono cellule effettrici antigene-dipendente
e non cellule della memoria (Kasprowicz et al., 2008; Urbani et al., 2002). I CD8+
mostrano un fenotipo “stunned” anche nei pazienti che vanno incontro alla risoluzione
dell’infezione e questo sembrerebbe essere associato al recupero del fenotipo wild-type
da parte di tali linfociti (Thimme et al., 2001). I deficit descritti nei CD8+ ricordano
l'esaurimento delle cellule T CD8+ che si è osservata in diversi modelli murini con
infezione persistente (Castellino et al., 2006). L’esaurimento dei CD8+ è tipico nelle
infezioni in cui il virus si replica rapidamente e vi è una alta e persistente viremia
(Moskophidis et al., 1993; Wherry et al., 2003). Nel caso dell’epatite C, la proteina
Core sembra essere l’antigene principalmente responsabile della stimolazione cronica
dei linfociti T portando ad una ridotta funzionalità di tali cellule (Yao et al., 2004).
Ricordiamo che i CD4 helper sono fondamentali per il mantenimento delle risposte
mediate dai CD8+ durante le infezioni croniche; quindi l’esaurimento dei CD8+ e
l'infezione persistente hanno una maggiore probabilità di svilupparsi in mancanza dei
CD4 helper (Kalams and Walker, 1998; Matloubian et al., 1994).
Il controllo dell’infezione acuta di HCV è associato ad una robusta e duratura
risposta delle cellule T e con la produzione intraepatica di IFN (Cooper et al., 1999;
Lechner et al., 2000; Thimme et al., 2001). Una risposta immune cellulare per essere
effettiva deve essere specifica per un set molto ampio di epitopi virali, che vengono
riconosciuti come bersagli dell’immunità contemporaneamente. L’ampio numero di
epitopi riconosciuti dai CD4+ e CD8+ è tipica dei pazienti con infezione da HCV
risolta, in forte contrasto con il numero molto limitato di epitopi riconosciuti da parte
dei linfociti T nei pazienti con infezione cronica (Day et al., 2002; Lauer et al., 2002).
I principali fattori che possono influenzare la risoluzione dell'infezione da HCV
comprendono: la precedente esperienza immunologica dell’ospite che influenza il
repertorio dei linfociti T della memoria, una differenziazione incompleta dei linfociti T
effettrici e/o dei linfociti T della memoria, un esaurimento delle cellule immunitarie
derivante dalla presenza di un'alta e persistente viremia e infine le caratteristiche
71
dell'ambiente epatico che potrebbero limitare l’attivazione e/o la funzionalità dei
linfociti T. Diversi gruppi hanno anche riferito la capacità di alcune proteine di HCV, in
particolare E2 e la proteina Core, di interferire con l’attivazione immunitaria (Kadoya et
al., 2005; Kittlesen et al., 2000; Rosa et al., 2005).
La comparsa di varianti del virus che sfuggono alla risposta immunitaria cellulomediata è fortemente associata alla progressione verso un’infezione cronica, viceversa
tali varianti escape sono meno presenti nelle infezioni autolimitanti (Erickson et al.,
2001). L'alto tasso replicativo e la mancanza dell’attività proof-reading della RNA
polimerasi virale consentono ad HCV di mutare, generando così una popolazione virale
eterogenea (quasispecie) in grado di replicarsi nonostante la pressione selettiva
esercitata dagli anticorpi e dai linfociti T HCV-specifici (Farci and Purcell, 2000; Timm
et al., 2004). Inoltre nel caso in cui la risposta immunitaria è diretta verso un basso
numero di epitopi del virus, l’insorgenza di varianti virali mutate è più probabile.
Le varianti escape presentano mutazioni a livello delle proteine virali che possono
comprometterne: il processamento e la presentazione da parte delle DC, l’interazione
con MHC ed il riconoscimento da parte del TCR dei linfociti T (Bowen and Walker,
2005). Le mutazioni possono avere anche conseguenze negative per la fitness virale,
questo è il motivo per cui in assenza di una forte selezione immunitaria, le sequenze
virali rimarranno relativamente statiche o revertiranno alla sequenza originaria (Cox et
al., 2005).
Il repertorio dei linfociti T attivati durante l’infezione da HCV è stabilito nelle prime
fasi, e la capacità di reclutare nuovi linfociti T in grado di combattere il virus che si è
evoluto risulta essere molto limitata. Questa può essere una manifestazione del "peccato
originale antigenico” secondo cui il virus si evolve sotto la pressione immunologica, ma
la risposta immunitaria cellulare rimane focalizzata sul virus incontrato all'inizio
dell'infezione. Viceversa la risposta immunitaria umorale è meno statica e più flessibile
nei confronti delle varianti escape generate durante l’infezione.
72
1.11.2.2 La risposta immunitaria adattativa umorale
È stato ben documentato che la presenza di una potente, multi-specifica e duratura
risposta immunitaria cellulo-mediata è importante per il controllo dell'infezione virale
acuta dell’epatite C (Thimme et al., 2001). Il ruolo esercitato dalla risposta umorale
nell’infezione da HCV e nella progressione della malattia sono rimasti oscuri per lungo
tempo, essenzialmente a causa della mancanza di un sistema che permettesse di
comprendere l’attività degli anticorpi durante l’infezione.
Gli individui infettati da HCV hanno spesso livelli di RNA virale individuabili nel
siero già dopo una settimana, mentre gli anticorpi contro il virus compaiono più
tardivamente (8-31 settimane dopo l’infezione). Durante il corso naturale dell'infezione,
sono prodotti un gran numero di anticorpi anti-HCV. Differenti studi hanno poi
documentato la comparsa di anticorpi diretti sia contro le proteine strutturali (proteina
Core, glicoproteine E1 ed E2) sia contro le proteine non strutturali (NS3, NS4 e NS5)
(Tanaka et al., 1993).
La stragrande maggioranza degli anticorpi indotti non hanno attività antivirale: o
perché sono indotte da proteine virali intracellulari, degradate o non completamente
processate rilasciate dagli epatociti morenti, o perché sono diretti contro epitopi che non
giocano alcun ruolo nel processo di ingresso del virus (Hangartner et al., 2006; Parren
and Burton, 2001).
Solo una piccola parte di anticorpi, chiamati anticorpi neutralizzanti, ha un ruolo
importante nella guarigione e nella prevenzione. Essi sono in grado di inibire
l’infettività delle particelle virali. Inoltre l’epitopo che stimola la produzione di tali
anticorpi potrebbe essere utilizzato con successo come vaccino.
Sono stati proposti differenti meccanismi per spiegare la capacità neutralizzante
mediata dagli anticorpi nei confronti dei virus. Gli anticorpi neutralizzanti possono
mediare i loro effetti o legando direttamente le particelle virali e quindi bloccando le
successive interazioni del virus con i suoi recettori o inibendo gli eventi che seguono,
come l’internalizzazione, la fusione fra virus e cellula, la decapsidazione del
nucleocapside o la replicazione virale. Tali meccanismi di inibizione possono avvenire o
inducendo cambiamenti conformazionali a livello dell’envelope del virus che non
permettono l’infezione, o per ingombro sterico, mascherando siti importanti per le
interazioni virus-recettore (Figura 18) (Zeisel et al., 2007a). L’azione degli anticorpi
73
neutralizzanti nell’infezione da HCV deve ancora essere chiarita, ma studi recenti
indicano che le maggior parte degli anticorpi derivanti dal siero di pazienti
neutralizzano l’infettività inibendo le interazioni tra il virus e il CD81 (Lesniewski et
al., 1995).
In realtà, anche anticorpi privi di capacità neutralizzante in vitro, possono essere
protettivi in vivo, attraverso altri meccanismi di clearance del patogeno (Burton, 2002;
Janeway, 2001). Gli anticorpi possono avere ulteriori ruoli nell’infezione oltre a quello
di neutralizzare le particelle virali, infatti anticorpi che legano ma non sono in grado di
neutralizzare direttamente il virus possono comunque contrastare l’infezione fissando il
complemento, opsonizzando le particelle virali favorendone la fagocitosi e la
presentazione degli antigeni (Burton, 2002).
Figura 18 | Visualizzazione di un modello di infezione da HCV in cui vengono mostrate le potenziali fasi
del ciclo vitale bersaglio degli anticorpi neutralizzanti. Gli anticorpi neutralizzanti possono mediare i loro
effetti o legando direttamente le particelle virali e quindi bloccando le successive interazioni del virus con
i suoi recettori (1) o inibendo gli eventi che seguono, come l’internalizzazione (2), la fusione fra virus e
cellula (3), decapsidazione del nucleocapside o la replicazione virale (Zeisel et al., 2007a).
74
1.11.2.2.1 Evidenze dell’importanza degli anticorpi neutralizzanti nell’epatite C
I primi studi che hanno dimostrato il potenziale neutralizzante degli anticorpi hanno
mostrato che il siero di pazienti con infezione cronica è in grado di neutralizzare
l'infettività di HCV in un modello animale di scimpanzé (Farci et al., 1994).
Il ruolo potenziale della risposta anticorpale nel controllare la progressione della
malattia è stato dimostrato in soggetti con ipogammaglobulinemia primaria, i quali
presentano una rapida progressione della malattia e una bassa risposta al trattamento con
IFN (Bjoro et al., 1994).
Recentemente, studi condotti in una vasta coorte di pazienti infettati con lo stesso
isolato di HCV, hanno evidenziato che una rapida induzione di anticorpi neutralizzanti
durante le fasi iniziali dell’infezione correla con una diminuzione della viremia e la
risoluzione dell’infezione. Inoltre si è visto che nei pazienti che hanno eliminato il virus,
anticorpi con un’ampia attività cross-neutralizzante ad alto titolo sono presenti durante
l’infezione acuta (Lavillette et al., 2005a; Pestka et al., 2007). È stato inoltre riportato
che il ritardo nella comparsa di anticorpi neutralizzanti sembra essere associato
all’impossibilità di risolvere l’infezione spontaneamente (Lavillette et al., 2005a; Pestka
et al., 2007). Una ridotta capacità di neutralizzare rapidamente varianti virali emergenti
durante l'infezione acuta, può quindi contribuire all'evasione virale dalla risposta
neutralizzante e all’instaurarsi di una infezione persistente (Pestka et al., 2007).
Questi risultati suggeriscono che una forte, precoce e ampia produzione di anticorpi
neutralizzanti può contribuire al controllo dell’infezione da HCV nella fase acuta
integrandosi con le risposte immunitarie cellulo-mediate nella clearance virale (Pestka
et al., 2007).
Recentemente alcuni autori hanno caratterizzato l’attività ceppo-specifica e crossneutralizzante di anticorpi provenienti da un paziente con infezione cronica da HCV, in
cui era noto il tempo di infezione e prelevati in diversi periodi. Tali anticorpi sono stati
confrontati per quanto riguarda l’attività neutralizzante verso l’infezione da HCVpp
esprimenti le glicoproteine di HCV dello stesso ceppo infettante, clonate di volta in
volta, oppure glicoproteine di altri genotipi. La risposta anticorpale verso lo stesso
genotipo infettante è stata rilevata all’inizio della sieroconversione (8 settimane dopo
l’infezione), mentre anticorpi cross-neutralizzanti non sono stati rilevati fino a 33
settimane dopo l’infezione. Inoltre si è notato che il titolo e l’estensione degli anticorpi
75
con attività cross-neutralizzante verso le glicoproteine di superficie di HCV aumentano
durante la progressione della malattia (Logvinoff et al., 2004).
Risulta quindi che la maggior parte dei pazienti con infezione cronica presentano
anticorpi cross-neutralizzanti e ad alto titolo ma paradossalmente questi anticorpi non
sono in grado di controllare l'infezione da HCV (Logvinoff et al., 2004; Meunier et al.,
2005).
Molteplici sono i meccanismi ipotizzati con cui HCV è in grado di sfuggire
all’azione protettiva della componente umorale della risposta immunitaria.
Innanzitutto, l’elevata replicazione virale insieme all’alta frequenza di mutazioni
introdotte dalla RNA polimerasi RNA-dipendente priva della capacità proof-reading,
determinano un’elevata variabilità soprattutto a livello della glicoproteina E2, bersaglio
principale della risposta anticorpale neutralizzante. Tale variabilità risulta essere
concentrata in una regione chiamata HVR1 (Aiyama et al., 1996; Ray et al., 1999). Tale
regione è costituita da 27 aminoacidi e si trova a livello della porzione N-terminale di
E2 (aa 384-410) e, come detto precedentemente, essa è coinvolta nella fase di adesione
del virus alla cellula ospite e pertanto, dovendo interagire con specifici ligandi cellulari
(tra cui CD81 e SR-B1), rappresenta uno dei punti deboli del virus (Bartosch et al.,
2005; Callens et al., 2005; Penin et al., 2001; Roccasecca et al., 2003; Scarselli et al.,
2002; Weiner et al., 1991). Ricordiamo che virus deleti della regione HVR1 perdono la
capacità infettiva, suggerendo che la HVR1 gioca un ruolo fondamentale nell’infettività
di HCV (Forns et al., 2000a). Per questo motivo, nonostante l’alta variabilità della
sequenza aminoacidica, le proprietà chimico-fisiche di alcuni residui sono altamente
conservate. In particolare, HVR1 è una regione composta soprattutto da residui
aminoacidici basici, che risultano localizzati in specifiche posizioni. Studi condotti
attraverso HCVpp mutanti a livello della regione HVR1 indicano che l’infettività
aumenta con il numero di residui basici presenti in tale regione. Inoltre, il cambiamento
della posizione dei residui carichi modula l’infettività del virus (Callens et al., 2005).
HVR1 risulta essere particolarmente esposta sulla superficie della proteina e di
conseguenza accessibile anche alla risposta anticorpale (Aiyama et al., 1996; Farci et
al., 1996; Mondelli et al., 2003; Puntoriero et al., 1998; Zibert et al., 1997). Tuttavia,
solo un numero limitato di aminoacidi risulta avere un ruolo cruciale per l’adesione e
76
l’ingresso del virus nella cellula ospite (Callens et al., 2005; Penin et al., 2001); pertanto
il virus riesce ad accumulare numerose mutazioni che permettono di eludere il legame
di anticorpi neutralizzanti prodotti durante l’infezione, senza compromettere la capacità
infettiva del virus (Ray et al., 1999). In questo modo, il virus utilizza questa regione per
allontanare la risposta del sistema immunitario da altri siti cruciali per il proprio ciclo
vitale, ma che non possono essere eccessivamente mutati senza compromettere la
capacità replicativa (Ray et al., 1999).
Un’altra regione particolarmente esposta è rappresentata da almeno tre segmenti
discreti (aminoacidi 480-493, 522-551 e 613-618) della proteina E2 che durante il
ripiegamento di questa glicoproteina si uniscono a formare un unico dominio importante
per l’interazione tra E2 e CD81 (Clayton et al., 2002; Flint et al., 1999b; Forns et al.,
2000a; Hsu et al., 2003; Owsianka et al., 2001; Yagnik et al., 2000). Numerosi residui
di questa regione sono stati decritti come altamente conservati tra i diversi genotipi e
quindi dotati di un ruolo chiave nel ciclo vitale del virus (Drummer et al., 2006). Infatti,
esperimenti di mutagenesi in alanina di E2 hanno dimostrato che queste regioni sono
fondamentali per il legame del virus al CD81 e per l’infettività (Owsianka et al., 2006).
In particolare, pseudoparticelle virali che esprimono sulla superficie glicoproteine E1E2 mutate a livello di residui compresi tra le posizioni 474-494, 522-551 e 612-620,
perdono totalmente la capacità di infettare le cellule bersaglio (Owsianka et al., 2006).
In questo caso, una strategia per eludere la risposta immunitaria consiste nel nascondere
tali residui mediante l’aggiunta di zuccheri. Infatti, E2 è una proteina altamente
glicosilata di cui sono stati descritti 11 siti di glicosilazione altamente conservati (Helle
et al., 2007; Zhang et al., 2004b). Alcuni di questi glicani risultano avere un ruolo
fondamentale per mantenere un corretto folding della proteina in modo da interagire con
i diversi recettori e co-recettori presenti nella cellula ospite (Slater-Handshy et al.,
2004). La glicosilazione a livello dell’aa 532 invece risulta essere importante in quanto
maschera regioni importanti per la fitness virale; infatti esso è compreso in una delle
regioni (aa 522-551) coinvolte nel legame con il CD81; inoltre è contiguo ai residui
529, 530 e 535 che studi di mutagenesi, precedentemente decritti, hanno dimostrato
essere cruciali per l’infettività del virus (Owsianka et al., 2006). La perdita di tali siti di
glicosilazione aumenta notevolmente la sensibilità del virus all’azione neutralizzante di
77
anticorpi prodotti nel corso dell’infezione da HCV (Helle et al., 2007; Zhang et al.,
2004b) Tuttavia, questa strategia di difesa comporta un costo per la fitness virale, infatti
la presenza di zuccheri, se da un lato ostacola il legame di anticorpi neutralizzanti,
dall’altro riduce anche l’accessibilità di E2 al dominio di legame del CD81 (SlaterHandshy et al., 2004). Pertanto HCV per eludere l’azione protettiva della risposta
immunitaria, ricorre ad un compromesso tra una ridotta cinetica di legame con i
recettori cellulari e una ridotta sensibilità all’azione neutralizzante anticorpale. La
glicosilazione contribuisce anche a creare delle aree “silenti” sulla superficie della
proteina, in modo tale da ridurne l’immunogenicità (Helle et al., 2007; Zhang et al.,
2004b).
La protezione di epitopi conservati cruciali per la capacità infettiva del virus, può
essere ottenuta anche mediante l’interazione con lipoproteine. Infatti, il virus risulta
essere presente nel siero associato con le LDL, le VLDL e le HDL (Dreux et al., 2006;
Huang et al., 2007; Nielsen et al., 2006). La presenza di tali molecole sulla superficie
virale, oltre a nascondere residui critici, facilita l’ingresso delle particelle virali nella
cellula bersaglio, mediante l’interazione con recettori cellulari, come SR-BI e LDLR
(Agnello et al., 1999; Bartosch et al., 2005; Dreux et al., 2006).
Una strategia alternativa per sfuggire all’attività neutralizzante della risposta
anticorpale è rappresentata dalla presenza sulla superficie di E2 di diverse regioni in
grado di interagire in maniera del tutto indipendente con specifici recettori cellulari.
Infatti, sebbene il CD81 sia stato descritto come il principale recettore cellulare,
numerosi studi hanno dimostrato che in realtà questa tetraspanina rappresenta un fattore
necessario, ma non sufficiente per l’ingresso del virus nella cellula bersaglio.
D’altronde, è ormai ampiamente riconosciuto che anche altre molecole, tra cui in
particolare SR-BI e CLDN1, sono necessarie per l’internalizzazione del virus.
Recentemente poi, è stato dimostrato che la proteina E2 è in grado di legare queste
molecole mediante regioni distinte (Bartosch et al., 2003a; Evans et al., 2007; Zheng et
al., 2007). Pertanto la mancanza di un’azione protettiva della risposta umorale può
essere anche dovuta all’incapacità di neutralizzare simultaneamente l’interazione di E2
con i diversi recettori cellulari (Heo et al., 2004).
78
Inoltre il virus potrebbe sfruttare un meccanismo di mimetismo molecolare per
evadere dalla risposta del sistema immunitario, infatti è stata dimostrata un’analogia tra
la sequenza aminoacidica di E2 e degli anticorpi umani, soprattutto per quanto riguarda
la catena leggera (Hu et al., 2005). Questo potrebbe spiegare come mai la risposta
anticorpale diretta contro le proteine non strutturali di HCV è rilevabile dopo 3-4
settimane dall’infezione, mentre anticorpi diretti contro le glicoproteine E1-E2, i
principali bersagli di un’attività neutralizzante, sono rilevabili con un ritardo maggiore
(Chien et al., 1999; Chien et al., 1993; Chien et al., 1992).
Infine, l’incapacità di eliminare il virus, nonostante la presenza di una intensa
risposta anticorpale cross-neutralizzante, può essere attribuita all’estrema eterogeneità
della risposta anticorpale diretta contro HCV. Molti studi hanno dimostrato che
nell’ambito della risposta anticorpale anti-HCV, anticorpi neutralizzanti sono presenti
insieme ad anticorpi privi di un ruolo protettivo (Burioni et al., 2001; Burioni et al.,
1998b; Zheng et al., 2007). In questo modo, anticorpi privi di attività neutralizzante
possono riconoscere epitopi sovrapponibili alle regioni legate da anticorpi neutralizzanti
interferendo con l’attività protettiva (Burioni et al., 2002). In questo caso, la risposta
compiuta dal sistema immunitario risulta essere inutile in quanto volta a produrre
anticorpi non efficaci che potrebbero interferire con anticorpi neutralizzanti che talvolta
potrebbero essere in grado di favorire l’ingresso del virus nelle cellule bersaglio
(Burioni et al., 2002; Zhang et al., 2007; Zhang et al., 2009).
1.11.2.2.2 Specificità degli epitopi della risposta anticorpale
Le glicoproteine dell’envelope di HCV, E1 ed E2, svolgono una funzione chiave
nell’ambito del ciclo vitale del virus e sono responsabili dell’adesione e quindi
dell’ingresso del virus nelle cellule bersaglio e poiché sono esposte sulla superficie del
virione sono stati descritti come obiettivi degli anticorpi neutralizzanti monoclonali e
policlonali (Allander et al., 1997; Farci et al., 1996; Kato et al., 1993; Keck et al., 2004;
Logvinoff et al., 2004; Netski et al., 2005; Steinmann et al., 2004). Per lungo tempo, la
sequenza HVR1 di E2 è stata proposta come la principale regione target degli anticorpi
neutralizzanti (Farci et al., 1996; Kato et al., 1993).
79
Si è osservato che il 43% degli individui che spontaneamente risolvono l’infezione
sviluppano anticorpi specifici verso la regione HVR1 di E2 entro 6 mesi dall’infezione,
rispetto al 13% dei pazienti che invece non riescono ad eliminare il virus (Dittmann et
al., 1991). Al contrario, non ci sono differenze significative tra i due gruppi di pazienti
per quanto riguarda il tempo di comparsa degli anticorpi verso la proteine non strutturali
o la proteina Core (Zibert et al., 1997).
E’ interessante osservare che i dati ottenuti con il modello degli HCVpp e HCVcc
indicano che esistono anche epitopi neutralizzanti, sia conformazionali sia lineari, situati
al di fuori di HVR1. Diversi epitopi virali riconosciuti da anticorpi neutralizzanti sono
stati individuati: un epitopo della E2 all’interno della HVR-1 (aa 384-410), due epitopi
al N-terminale adiacenti all’HVR1 (aa 408-422 e aa 412-419), due epitopi che
costituiscono la regione di E2 coinvolta nel legame con il CD81 (aa 474-494 e aa 522551) ed epitopi conformazionali all'interno della glicoproteina E2. Recentemente è stato
descritto un epitopo (aa 416-430) della glicoproteina E2 importante nel processo di
fusione fra envelope virale e membrana dell’endosoma, importante come bersaglio per
gli anticorpi neutralizzanti (Babitt et al., 1997; Bartosch et al., 2003a; Bartosch et al.,
2003c; Hsu et al., 2003; Keck et al., 2004; Op De Beeck et al., 2004).
1.11.2.2 .3 Sistemi per studiare gli anticorpi neutralizzanti
Negli ultimi anni, diversi modelli in vitro sono stati sviluppati per studiare sia
l’interazione fra cellula ospite e virus, sia la neutralizzazione anticorpo-mediata di
HCV.
Inizialmente l’attività neutralizzante di anticorpi diretti contro HCV era testata
indirettamente usando la metodica di neutralizzazione del legame (NOB, dall’inglese
Neutralization Of Binding), in cui veniva analizzata la capacità degli anticorpi di
prevenire il legame della glicoproteina E2 ricombinate solubile alle cellule di
mammifero (linfociti MOLT-4) esprimenti il CD81 (Rosa et al., 1996).
Alcuni ricercatori hanno invece utilizzato il sistema delle VLP per studiare la
reattività degli anticorpi e l’inibizione dell’interazione VLP-cellula (Baumert et al.,
1998; Baumert et al., 2000).
80
Con il sistema degli HCVpp è stato possibile valutare la capacità degli anticorpi di
inibire l’infezione virale a carico di linee cellulari di epatoma. Una prova della validità
del sistema nel valutare la funzionalità degli anticorpi è che i titoli di neutralizzazione
dell’infezione da HCVpp correlano con quelli degli anticorpi utilizzati negli studi di
protezione dall’infezione condotti sugli scimpanzé (Bartosch et al., 2003a; Hsu et al.,
2003). Quindi, la metodica che utilizza gli HCVpp ha permesso di analizzare l’attività
neutralizzante di anticorpi monoclonali e policlonali derivanti da diverse fonti (come
sieri di pazienti o animali immunizzati) (Bartosch et al., 2003a; Hsu et al., 2003;
Logvinoff et al., 2004).
La recente scoperta dell’isolato JFH1 di HCV ha permesso inoltre ai ricercatori di
stimare maggiormente la sensibilità delle particelle virali di HCV alla neutralizzazione
da parte degli anticorpi (Lindenbach et al., 2005; Zhong et al., 2005). Ad oggi,
l’infezione da HCVcc è neutralizzata da: anticorpi derivanti da sieri umani diretti contro
la proteina E2, anticorpi murini E1-specifici e da un pannello di anticorpi monoclonali
diretti contro entrambe le glicoproteine di HCV (Lindenbach et al., 2005; Pietschmann
et al., 2006; Zhong et al., 2005). Inoltre è importante sottolineare che i titoli
neutralizzanti degli anticorpi testati sono considerevolmente inferiori per gli HCVcc che
esprimono le glicoproteine derivanti dall’isolato JFH1 (genotipo 2a) o dell’isolato J6
(genotipo 2a) rispetto a quelli per gli HCVpp che esprimono le glicoproteine derivati dai
medesimi isolati; suggerendo quindi una differenza nel livello di glicoproteine
incorporate dalle particelle virali nei due sistemi.
Lo scimpanzé risulta essere l'unico modello animale per lo studio della infezione da
HCV in vivo. Il decorso clinico dell'infezione è generalmente più mite negli scimpanzé
che negli esseri umani. Tuttavia, questi animali hanno fornito una opportunità unica per
studiare le risposte immunitarie adattative di HCV (Bukh, 2004). Grazie al modello
dello scimpanzé è stato possibile per la prima volta descrivere le proprietà degli
anticorpi neutralizzanti (Farci et al., 1994; Farci et al., 1996). Gli scimpanzé sono stati
utilizzati anche per studiare l’immunità protettiva contro le ri-esposizioni. Studi di
vaccinazione e l’immunizzazione passiva con anti-sieri di coniglio hanno dimostrato
che anticopri anti-E1 e anti-E2 non forniscono una completa immunità protettiva,
semplicemente la re-infezione di tali animali vaccinati ha un decorso più mite (Farci et
al., 1992; Prince et al., 1992).
81
1.12 Razionale dello studio
Mentre numerosi studi suggeriscono che una vigorosa e multispecifica risposta
immune cellulo-mediata nelle fasi iniziali dell’infezione sembra avere una grande
importanza nel controllo dell’infezione da HCV, il ruolo svolto dagli anticorpi in corso
di infezione da HCV non è ancora completamente chiaro. Infatti, l’incapacità di soggetti
infettati di eliminare il virus e la possibile reinfezione dopo la clearance del virus,
sembrano mettere in dubbio il ruolo protettivo della risposta anticorpale nei confronti di
HCV. Tuttavia è stato recentemente dimostrato che anticorpi neutralizzanti sono
prodotti nel corso dell’infezione da HCV e che una rapida induzione di anticorpi
neutralizzanti nelle fasi iniziale dell’infezione può contribuire al controllo dell’infezione
da HCV (Pestka et al., 2007). Si è osservato che il repertorio anticorpale diretto contro
HCV risulta composto da anticorpi neutralizzanti che sono presenti insieme a altre
molecole anticorpali prive di un ruolo protettivo nei confronti del virus (Burioni et al.,
1998b; Zhang et al., 2007). In questo caso lo sforzo compiuto dal sistema immunitario
risulta per buona parte inutile in quanto volto a produrre anticorpi non efficaci che
interferiscono con anticorpi neutralizzanti e talvolta in grado di favorire l’ingresso del
virus nelle cellule bersaglio. Pertanto un approccio promettente per studiare la risposta
anticorpale consiste nell’eseguire una dissezione molecolare della risposta immune
umorale, in modo da analizzare le singole componenti. In questo modo è possibile
identificare anticorpi monoclonali in grado di legare regioni cruciali per il ciclo vitale
del virus che non possono essere mutate senza compromettere la fitness, cioè la capacità
replicativa del virus.
Nell’ambito della risposta anticorpale contro un virus un ruolo importante sembra
svolto da anticorpi neutralizzanti, cioè in grado di legare strutture cruciali per la
fisiologia del virus, ostacolando così l’ingresso del virus nella cellula bersaglio. Tra le
varie proteine di HCV, la glicoproteina E2 sembra essere una di queste strutture
cruciali, in particolare E2 rappresenta la molecola fondamentale per mediare l’ingresso
del virus nella cellula bersaglio. Pertanto la produzione di anticorpi monoclonali umani
neutralizzanti diretti contro la glicoproteina E2 potrebbe rappresentare la base per lo
sviluppo di nuovi approcci di immunoterapia contro HCV.
82
Una delle tecniche per la produzione di tali anticorpi è rappresentata
dall’immortalizzazione dei linfociti B tramite il virus di Epstein-Barr (EBV) (Steinitz et
al., 1977). In questo modo si ottengono cellule immortalizzate che producono anticorpi
monoclonali, ma la quantità di anticorpi prodotta è minima e la secrezione non supera
gli 8 mesi a causa della instabilità delle cellule immortalizzate.
Una fonte alternativa utilizzata per produrre anticorpi umani monoclonali sono gli
ibridomi umani, essi vengono ottenuti dalla fusione di linfociti B umani specifici per
l’antigene d’interesse e cellule di mieloma umano che conferiscono l’immortalità
all’ibridoma.
Attualmente le metodica che trova più credito si basa sul tentativo di clonare tutti i
geni umani codificanti gli anticorpi coinvolti nella risposta immune. Tale tecnica
prevede la costruzione di una library combinatoriale in cui è rappresentato l’intero
repertorio anticorpale di un individuo, solitamente come frammenti Fab. In questa
tecnica i geni per le catene pesanti e leggere sono clonate separatamente in un apposito
vettore, nel quale si associano in modo casuale. Uno dei vettori più utilizzato per il
clonaggio è il pComb3/TIG (Burioni et al., 1997), un fagemide.
I fagemidi sono dei vettori che oltre a possedere le caratteristiche di un plasmide,
hanno anche un’origine di replicazione e geni di origine fagica. Inoltre, il gene per la
catena pesante è clonato in fusione con il gene per la cpIII (capsid protein III), una
proteina fagica che possiede nel dominio N-terminale, un sito di legame per il pilo F’ di
E.coli, fondamentale nel processo infettivo del fago M13. Trasformando con questo
vettore cellule elettrocompetenti, si ottiene la produzione della catena pesante, che sarà
veicolata insieme alla cpIII verso lo spazio periplasmico rimanendo ancorata alla
membrana batterica, e della catena leggera, che una volta raggiunto lo spazio
periplasmico, si associa alla catena pesante dando origine al Fab completo (Figura 19).
L’aggiunta del fago helper M13, che nel proprio genoma possiede i geni per la
sintesi delle proteine strutturali fagiche, porta alla formazione di particelle virali
complete, alcune delle quali caratterizzate dalla presenza sulla propria superficie di un
singolo Fab.
83
Ogni particella virale avrà al suo interno il vettore in cui sono clonati i geni
codificanti le catene anticorpali del Fab che è espresso sulla superficie del fago stesso.
Si passa così dalla library fagemidica alla library fagica, costituita da fagi sulla cui
superficie sono espressi i Fab dell’intero patrimonio anticorpale clonato come descritto.
Questo sistema definito phage display, permette attraverso una tecnica chiamata
panning di selezionare anticorpi contro qualsiasi antigene di interesse (Figura 20). I geni
per le catene del Fab così selezionati, possono essere clonati in vettori appositi, in modo
da produrre frammenti Fab solubili, o eventualmente anticorpi interi (Burioni et al.,
1997).
Per questo motivo nel nostro laboratorio sono stati clonati tramite la strategia del
phage display anticorpi diretti contro la glicoproteina E2 (Burioni et al., 1998b) e lo
scopo della mia tesi è stato quello di caratterizzare due di questi anticorpi, i Fab e20 ed
e137.
Figura 19 | Espressione ed assemblaggio del frammento Fab all’interno di E.Coli. (Hc: gene della catena
pesante; Lc: gene della catena leggera; amp: gene per la resistenza all’ampicillina; pel B: sequenza
leader).
84
Figura 20 | Rappresentazione dei processi della fase di panning della library fagica. (Da Ph.D.-12TM
Phage Display Peptide Library Kit – Instruction Manual).
85
2. MATERIALI E METODI
2.1 Costruzione della library anticorpale
I Fab anti-E2/HCV e20 ed e137 caratterizzati in questa tesi, sono stati
precedentemente selezionati da una library combinatoriale di esposizione fagica
costituita dal repertorio anticorpale di una donna di 58 anni con infezione persistente da
HCV di genotipo 1b, associata a crioglobulinemia (Burioni et al., 1998b).
Brevemente verranno descritti i metodi utilizzati per il clonaggio.
Prima della costruzione della library, lo status immunologico anti-HCV della
paziente è stato valutato in ELISA mediante kit disponibili commercialmente (Ortho
Diagnostics, Raritan, NJ). Infine il siero è stato testato anche sulla glicoproteina
ricombinante HCV/E2, utilizzata successivamente per la selezione dei Fab monoclonali.
Dalla stessa paziente sono stati quindi prelevati, previo consenso informato, 10 mL
di sangue midollare; dal campione ottenuto è stata quindi separata la componente
linfocitaria secondo la metodica di Chomczynski e Sacchi (Chomczynski and Sacchi,
1987). Dai linfociti è stato estratto l’mRNA, che quindi è stato retrotrascritto in cDNA,
mediante primer di poliT (Gubler and Hoffman, 1983; Gubler et al., 1983).
Il cDNA ottenuto è stato successivamente amplificato mediante primer specifici per
la regione costante e variabile delle catene pesanti e leggere delle immunoglobuline. Il
DNA amplificato è stato corso su gel di agarosio al 2% ed estratto da gel mediante
elettroeluizione.
Si è proceduto quindi ad un’ulteriore amplificazione con primer, costruiti in modo da
rendere più efficiente il taglio degli enzimi di restrizione a livello dei siti introdotti dalla
prima amplificazione.
Successivamente le catene amplificate sono state sottoposte a digestione ad opera di
enzimi di restrizione (Sac-XbaI per le catene leggere e XhoI-SpeI per le catene pesanti).
I geni per le catene anticorpali sono state così clonati nel vettore fagemidico
pComb3/TIG (Burioni et al., 1997), analogamente digerito, procedendo dapprima al
86
clonaggio delle catene leggere e poi a quello delle pesanti. Per distinguere facilmente il
vettore linearizzato da quello tagliato da entrambi gli enzimi, nei siti di clonaggio delle
catene il vettore pComb3/TIG presenta dei frammenti di circa 1000 bp (stuffer).
A valle del sito SpeI si trova, in fusione con la catena pesante, il gene per la proteina
strutturale fagica cpIII necessaria per il processo infettivo del fago M13. La catena
pesante grazie alla presenza di una sequenza leader (pelB) viene veicolata verso lo
spazio periplasmico, mentre grazie alla presenza della cpIII rimane ancorata a livello
della membrana citoplasmatica interna. La catena leggera dell’anticorpo, espressa in
maniera indipendente da quella pesante (le due catene sono sotto il controllo di due
distinti lac promoter) è veicolata anch’essa, grazie alla presenza della sequenza leader
(pelB), verso lo spazio periplasmico dove si associa alla catena pesante costituendo il
Fab monovalente.
La library fagemidica così ottenuta è stata usata per trasformare, mediante
elettroporazione, cellule di E. coli disponibili commercialmente (XL1-Blue,
Stratagene). L’aggiunta di un fago helper (VCSM 13, 1012 pfu, Stratagene) ha
permesso di convertire la library fagemidica in library fagica, ovvero in una
popolazione di fagi, caratterizzata dall’esposizione sulla propria superficie di cloni
anticorpali.
87
2.2 Panning della library anticorpale fagica
Dalla library fagica, precedentemente descritta, e rappresentante l’intero repertorio
anticorpale umano, diretto contro HCV, sono stati precedentemente selezionati in
laboratorio, mediante una procedura chiamata panning, una serie di Fab, tra cui i Fab
e20 ed e137 caratterizzati in questa tesi (Burioni et al., 1998b).
La library fagica è stata messa a contatto con la glicoproteina ricombinante E2
solubile (aminoacidi 388-644) priva della sua porzione transmembrana a livello della
estremità C-terminale, derivante dal genotipo 1a, isolato H77. Nel dettaglio, la piastra
per ELISA (Costar 3690) è stata ricoperta con 25 μL per pozzetto di una soluzione
contenente 300 ng di E2 in tampone ECB (Envelope Coating Buffer, 0.1 M NaHCO3 pH
8.6) (concentrazione finale 12 μg/mL) ed incubata a 4°C per tutta la notte. Il giorno
seguente la piastra è stata lavata con acqua distillata e bloccata con una soluzione di
PBS/BSA 1% per un’ora a 37°C. Dopo una incubazione con la library fagica a 37°C per
2 ore e opportuni lavaggi in PBS-Tween-20 0.5% (Sigma), si è provveduto ad eluire il
fago ancora legato all’antigene usando un tampone a pH acido (EB: glicina-HCl 100
mM, pH 2.5).
Il fago eluito è stato usato per infettare E. coli e, in seguito all’aggiunta del fago
helper, si è ottenuta una popolazione fagica arricchita in cloni specifici per l’antigene
usato che è stata successivamente selezionata tramite kanamicina (resistenza ottenuta
dall’infezione con il fago helper) ed amplificata lasciando in incubazione e in agitazione
a 30°C per tutta la notte. In questo modo sono stati compiuti cinque cicli di panning
(Figura 19). In occasione dell’ultimo ciclo non è stato più usato il fago helper, ma si è
provveduto a estrarre e purificare i fagemidi selezionati dalle cellule infettate.
Successivamente i fagemidi così recuperati sono stati digeriti con gli enzimi SpeI e
NheI (Roche) in modo da convertire il sistema phage display in un sistema secretore di
Fab solubili (pComb3/expr.) (Burioni et al., 1998a). Infatti in questo modo la proteina
fagica pIII viene rimossa, e la catena pesante del Fab, solitamente espressa in fusione ad
essa, non è più ancorata alla membrana batterica ma rimane libera nello spazio
periplasmico dove si assocerà alla catena leggera a dare Fab monovalenti che è possibile
recuperare rompendo la parete batterica (Williamson et al., 1997). I Fab solubili,
ottenuti rompendo la parete batterica tramite cicli di congelamento e scongelamento,
sono stati quindi ulteriormente testati in ELISA, preparando la piastra come descritto
88
precedentemente. I cloni che risultano essere in grado di riconoscere l’antigene sono
stati prodotti e purificati, in modo tale da poter essere meglio caratterizzati. In particolar
modo, in questa tesi verrà descritta la caratterizzazione dei cloni denominati e20 ed
e137. Le analisi di sequenza riguardanti la catena pesante e leggera di questi due Fab è
stata
eseguita
mediante
il
programma
on
line
IMGT
(ImMunoGeneTics,
www.imgt.org).
89
2.3 Produzione dei Fab e20 ed e137
Per la produzione dei Fab monoclonali, inoculare gli specifici cloni batterici
trasformati con il plasmide pComb3/expr., contenente i geni delle catene pesanti e
leggere dei Fab e20 ed e137 ed il gene per la resistenza all’antibiotico ampicillina, in 10
mL di Super Broth (SB: 35 g Triptone, 20 g Estratto di lievito e 5 g NaCl) a cui viene
aggiunta ampicillina (Sigma) e tetraciclina (Sigma) ad una concentrazione finale di 100
µg/mL e 10 µg/mL rispettivamente.
Il giorno seguente sub inoculare la coltura in una beuta con 1 L di SB contenente le
stesse concentrazioni finali di tetraciclina ed ampicillina e farla crescere a 37°C, per il
tempo necessario a raggiungere una densità ottica (O.D. - optical density) a 600 nm di
0,8-1, in un incubatore dotato di agitatore (circa 260g). Successivamente indurre la
coltura con IPTG (Isopropil β-D-1tiogalactopiranoside, Sigma) alla concentrazione
finale di 1 mM e incubarla per tutta la notte a 30°C.
Centrifugare la coltura batterica a 3900g a 4°C per 15 minuti (Allegra X-22R
Centrifuge, Beckman Coulter), risospendere il pellet cellulare in 25 mL di PBS
(Phosphate Buffered Saline: 137 mM NaCl, 2.7 mM KCl, 10 mM Na2HPO4, 1.8 mM
KH2PO4, pH 7.4) aggiungendo l’inibitore delle serin-proteasi PMSF (fluoruro di
fenilmetansulfonile) alla concentrazione finale di 0.2 mM, e infine sonicare la
sospensione cellulare (MISONIX, Microson). Eliminare i detriti cellulari centrifugando
il sonicato a 15000g a 4°C per 30 minuti (Allegra X-22R Centrifuge, Beckman Coulter)
e filtrare il surnatante chiarificato, contenente il Fab, mediante filtri da 0.22 μm
(MILLIPORE) (Bugli et al., 2001; Burioni et al., 1998a).
90
2.4 Purificazione dei Fab e20 ed e137
Purificare
il
frammento
anticorpale
prodotto
tramite
cromatografia
per
immunoaffinità utilizzando la resina GammaBind G Sepharose (Amersham Biosciences)
coniugata con la proteina G di Streptococco in grado di legare il siero policlonale,
costituito in questo caso da IgG di capra anti-human Fab (Sigma). Dopo aver preparato
la resina (Bugli et al., 2001; Burioni et al., 1998a), scorrere il campione chiarificato
attraverso la colonna cromatografica precedentemente equilibrata con 20-30 mL di PBS.
Dopo il lavaggio della colonna con circa 50 mL di PBS, eluire il Fab monoclonale
legato alla colonna con 10 mL di tampone di eluizione a pH acido, neutralizzarlo in
seguito con il tampone di neutralizzazione (Tris 1 M, pH 9) fino a raggiungere un pH di
circa 7.5.
In seguito analizzare il Fab monoclonale purificato tramite SDS-PAGE 12% per
valutarne la purezza, indicata dalla presenza di un'unica banda di 50 kDa e dosarlo con
la stessa metodica usando come controllo standard quantità note di BSA (Bovine Serum
Albumin, Sigma). Successivamente confermare la concentrazione del Fab quantificando
il campione mediante lettura spettrofotometrica al Nanodrop 8000 (Thermo Scientific).
91
2.5 Titolazione e calcolo dell’affinità dei Fab e20 ed e137 mediante
ELISA
Per la titolazione e la valutazione del legame alla proteina E2 di HCV, testare il Fab
in esame mediante ELISA (Enzyme-Linked Immunosorbent Assay). Ricoprire la piastra
per ELISA (Costar 3690) con 25 μL per pozzetto di una soluzione contenente 100 ng
della glicoproteina ricombinante E2 (genotipo 1a, H77) in tampone ECB
(concentrazione finale 4 µg/mL) ed incubarla a 4°C per tutta la notte. Il giorno seguente
lavare la piastra con acqua distillata e bloccarla con una soluzione di PBS/BSA 1% per
un’ora a 37°C. In seguito aggiungere 40 μL per pozzetto delle varie diluizioni
(diluizioni seriali in base 3, da 30 µg/mL a 0.0003 µg/mL) del Fab e20 o e137 in
PBS/BSA 1% e incubare per un’ora a 37°C. Successivamente lavare le piastre,
mediante lavatore (ETI-System Washer, DiaSorin), 5 volte con una soluzione
PBS/Tween-20 0.1%, a seguito dei quali aggiungere 40 μL per pozzetto di una
diluizione 1:4000 in PBS/BSA 1% di IgG di capra anti Fab umano coniugate con la
perossidasi di rafano (concentrazione iniziale 1 mg/mL, Sigma). Incubare la piastra per
45 minuti a 37°C. Lavare la piastra come descritto precedentemente ed aggiungere 40
μL per pozzetto del substrato per la perossidasi (o-fenilendiammina e H2O2, TMB Pierce) ed infine incubare la piastra per circa 15 minuti a 37°C al buio, successivamente
bloccare la reazione con una soluzione di H2SO4 1 N (Carlo Erba). Quindi misurare gli
O.D. dei singoli pozzetti mediante lettura a 450 nm (Gralis Microplate Reader, SLT Lab
Instruments).
Per ogni esperimento introdurre anche l’antigene BSA come controllo negativo la cui
O.D.450 è utilizzata per rilevare un’eventuale aspecificità del nostro Fab. Come controllo
positivo utilizzare l’anticorpo murino monoclonale H60 (Deleersnyder et al., 1997)
gentilmente donato dal Dr Jean Dubuisson (Molecular and Cellular Virology of
Hepatitis C, Institiut Pasteur de Lille, France), già descritto in letteratura come
anticorpo in grado di legare un epitopo conformazionale della glicoproteina E2.
Per il calcolo dell’affinità si usa il protocollo descritto precedentemente e dal grafico
che pone in relazione l’O.D. a 450 nm/concentrazione; ricavare la concentrazione del
92
Fab che mostra la metà del segnale rispetto a quello massimo (O.D.450 50%) e applicare
la seguente formula:
M (affinità) = ([Fab] g/L O.D.450(50%) x 1000 μL) / (peso molecolare Fab 50000 Dalton x 1
mL) (Raghava and Agrewala, 1994).
93
2.6 Valutazione del legame dei Fab e20 ed e137 sulla glicoproteina E2
derivante dai diversi genotipi di HCV
2.6.1 Analisi mediante immunofluorescenza
Crescere le cellule renali HEK 293T in terreno DMEM (Dulbecco’s Modified
Eagles’ Medium, Invitrogen Carlsbad, CA), addizionato con il 10% di siero bovino
fetale (FBS-Foetal Bovine Serum, Sigma), il 5% di aminoacidi non essenziali (GIBCO),
streptomicina (100 µg/mL), penicillina (100 U/mL) e 200 mM di L-glutammina (il
DMEM addizionato in questo modo verrà di seguito riportato con il termine DMEM
completo) in un incubatore a 37°C al 5% di CO2.
Quando la coltura cellulare raggiunge l’80% di confluenza, seminare 2x106 cellule in
piastre Petri da 10 cm (Corning 430167) e dopo 24 ore transfettare con 3 μg del vettore
del vettore d’espressione pcDNA3.1 in cui sono state precedentemente clonate
all’interno i geni delle glicoproteine E1-E2 di HCV dei diversi genotipi: 1a (isolato
H77), 1b (UKN1B12.16), 2a (UKN2A1.2), 2b (UKN2B2.8), 3 (UKN3A1.28), 4
(UKN4.21.16), 5 (UKN5.15.11) e 6 (UKN6.5.8) (Lavillette et al., 2005b) mediante
lipofectamina 2000 (Invitrogen), seguendo il protocollo del produttore.
Dopo 16 ore dalla trasfezione cambiare il terreno ed incubare le cellule a 37°C, 5%
CO2 per 24 ore. In seguito rimuovere il terreno, lavare le cellule 2 volte con PBS e
iniziare la preparazione di vetrini mediante Cytospin (Cytospin4, Shandon Southern
Products); ovvero centrifugare 2x105 cellule di ogni preparazione a 900g per 3 minuti.
Le cellule sono state quindi fissate e permeabilizzate con una soluzione di metanoloacetone ad un rapporto 1:1 (conservato a –20°C) per 10 minuti a temperatura ambiente.
Dopo 3 lavaggi in PBS, le cellule sono state incubate con il Fab e20 o e137 (10 µg/mL)
per 30 minuti a 37°C in camera umida e lavate ulteriormente per 3 volte in PBS. Le
cellule sono state successivamente incubate per 30 minuti a 37°C al buio in camera
umida con anti Fab umano coniugato con fluoresceina isotiocianato (FITC) (Sigma
cat.F5512) diluito in PBS, seguendo le indicazioni del produttore. I vetrini sono stati
controcolorati in blu di Evans (0,01% in PBS) e osservati al microscopio a fluorescenza
(Olympus).
Lo stesso protocollo è stato eseguito anche per le cellule trasfettate con lo stesso
vettore in cui al posto delle glicoproteine di HCV è stata clonata l’emoagglutinina del
94
virus influenzale, esse rappresenteranno il background di legame del nostro Fab. Mentre
per valutare l’efficienza di trasfezione e quindi il livello di espressione e il corretto
ripiegamento della glicoproteina E2, è stato usato come controllo positivo l’anticorpo
monoclonale murino AP33 (Tarr et al., 2006), diretto contro la regione aminoacidica
412-423 di E2, e descritto in letteratura come anticorpo con il più ampio spettro di
cross-reattività e cross-neutralizzazione.
2.6.2 Analisi mediante citofluorimetria
L’analisi di legame dei Fab è stata effettuata anche mediante citofluorimetria.
Brevemente, le cellule trasfettate, come descritto precedentemente, sono state
utilizzate per la preparazione di campioni da analizzare mediante l’approccio della
metodica del FACS.
Dopo 16 ore dalla trasfezione cambiare il terreno ed incubare le cellule a 37°C, 5%
CO2 per 24 ore. In seguito rimuovere il terreno, lavare le cellule 2 volte con PBS e
incubarle a 37°C per 5 minuti con 5 mL di Cell Dissociation Solution-Non Enzymatic
1X (Sigma). Poi lavare le cellule 2 volte con PBS e centrifugarle a 2000g per 5 minuti
(Allegra X-22R Centrifuge, Beckman Coulter), dopodiché aggiungere 1,2 mL di
reagente di fissazione (medium A; Fix and Perm, Invitrogen) al pellet cellulare
corrispondente ad ogni piastra. Incubare le cellule per 15 minuti a temperatura
ambiente. Infine lavare i campioni con 5 mL di PBS/FBS 5% e centrifugarli a 2000g per
5 minuti (Allegra X-22R Centrifuge, Beckman Coulter). Aggiungere 100 μL del
reagente di permeabilizzazione (medium B; Fix and Perm, Invitrogen) contenente il Fab
e20 o e137 alla concentrazione finale di 10 µg/mL e incubare per 20 minuti a
temperatura ambiente. Lavare i campioni con 5 mL di PBS/FBS 5% ed incubare per 20
minuti a temperatura ambiente con una soluzione di 100 μL di PBS/FBS 5% contenente
l’anti Fab umano coniugato FITC (Sigma cat.F5512) diluito in PBS/FBS 5%, seguendo
le istruzioni del produttore. Lavare nuovamente le cellule con PBS/FBS 5% e una volta
rimosso il surnatante risospendere il pellet cellulare in 300 μL di PBS/FBS 5% e
analizzare i campioni mediante citofluorimetria.
L’attività di legame viene espressa in termini di percentuale considerando come
100% il segnale di fluorescenza ottenuto dalle cellule esprimenti le glicoproteine E1E2
95
del genotipo 1a, H77 di HCV (in quanto la selezione dei Fab è avvenuta su tale
genotipo).
Lo stesso protocollo è stato eseguito anche per le cellule trasfettate con lo stesso
vettore in cui al posto delle glicoproteine di HCV è stata clonata l’emoagglutinina del
virus influenzale, esse rappresenteranno il background di legame del nostro Fab. Mentre
per valutare l’efficienza di trasfezione e quindi il livello di espressione e il corretto
ripiegamento della glicoproteina E2, è stato usato come controllo positivo l’anticorpo
monoclonale murino AP33.
96
2.7 Determinazione dell’epitopo riconosciuto dai Fab e20 ed e137
2.7.1 Valutazione del legame di e20 ed e137 su peptidi lineari derivati da E2
Generare mediante PCR frammenti codificanti porzioni della glicoproteina E2 di
HCV (genotipo 1a, H77) e inserirli nel vettore pMal-C2 vector (New England Biolabs).
In particolare, sono stati generati costrutti codificanti i seguenti peptidi di E2:
•
E2a - aa 1-61 (384-445);
•
E2ab - aa 1-129 (384-513);
•
E2abc - aa 1-200 (384-584);
•
E2abcd - aa 1-285 (384-669).
Trasformare con questi costrutti ceppi di E.coli disponibili commercialmente, DH5a
(GIBCO/BRL/Life Sciences, USA) e purificare i peptidi espressi mediante cromatografia
su apposite colonne (New England Biolabs) seguendo le istruzioni fornite dal
produttore. Adsorbire su piastra ELISA (Costar 3690) questi peptidi lineari derivati
dalla glicoproteina E2 ad una concentrazione di 1 µg/mL e incubare la piastra a 4°C
overnight. Successivamente eseguire il test ELISA come precedentemente descritto,
usando il Fab e20 o il Fab e137 ad una concentrazione di 10 µg/mL e come secondario
una diluizione 1:4000 di IgG di capra anti Fab umano coniugate con la perossidasi di
rafano (concentrazione iniziale 1 mg/ml, Sigma). Come controllo positivo sono stati
utilizzati gli anticorpi murini 7/59, 7/16b e 6/53 che rispettivamente riconoscono le
regioni aminoacidiche 384-391, 436-447 e 544-551 di HCV/E2 (Owsianka et al., 2001);
mentre come controllo negativo è stato usato il Fab umano c33-3 diretto contro
HCV/NS3 (Prabhu et al., 2004b).
2.7.2 Valutazione del legame di e20 ed e137 mediante peptidi multipli derivati dalla
regione ipervariabile (HVR1)
Peptidi multipli derivati dalla regione HVR1 e denominati: MAP 291, MAP 313,
MAP 442 , MAP 455, e MAP 1013 sono stati gentilmente forniti da A.Nicosia (IRBM,
Pomezia, Italia) (Puntoriero et al., 1998).
Adsorbire su piastra ELISA (Costar 3690) questi peptidi multipli derivati dalla
regione ipervariabile ad una concentrazione di 1 µg/mL e incubare la piastra a 4°C
97
overnight. Successivamente eseguire il test ELISA come precedentemente descritto,
usando il Fab e20 o e137 ad una concentrazione di 10 µg/mL e come secondario una
diluizione 1:4000 di IgG di capra anti Fab umano coniugate con la perossidasi di rafano
(concentrazione iniziale 1 mg/ml Sigma). Come controllo positivo sono stati utilizzati
gli anticorpi murini 7/59 e 9/27 che rispettivamente riconoscono le regioni
aminoacidiche 384-391 e 396-407; mentre come controllo negativo è stato usato il Fab
umano c33-3 diretto contro HCV/NS3.
2.7.3 Esperimenti di competizione con anticorpi monoclonali murini e di ratto
È stata valutata la possibilità di identificare l’epitopo riconosciuto dal Fab e20 ed
e137 mediante test ELISA di competizione tra i Fab e anticorpi monoclonali murini e di
ratto diretti contro epitopi noti della proteina E2 di HCV (Flint et al., 1999b). Ricoprire
la piastra per ELISA (Costar 3690) con 25 μL per pozzetto di una soluzione contenente
100 ng della glicoproteina ricombinante E2 (genotipo 1a, H77) in tampone ECB ed
incubarla a 4°C per tutta la notte. Il giorno seguente lavare la piastra con acqua distillata
e bloccarla con una soluzione di PBS/BSA 1% per un’ora a 37°C. Aggiungere ad ogni
pozzetto 40 µL di ogni anticorpo competitore (murino o di ratto) usato a concentrazione
di saturazione (30 µg/mL, ovvero la concentrazione che permette di ottenere il massimo
segnale in termini di O.D.450). Dopo 2 ore di incubazione a 37°C (senza lavare la
piastra) aggiungere 40 µL per pozzetto di Fab e20 o e137 al 50% della concentrazione
di legame saturante della proteina E2 (tale per cui l’O.D. a 450 nm risultava pari al 50%
dell’O.D. a 450 nm massima, ovvero una concentrazione di 0,3 µg/mL e di 2 µg/mL di
e20 ed e137 rispettivamente) ed incubare la miscela per altri 30 minuti. Quindi lavare la
piastra mediante lavatore (ETI-System Washer, DiaSorin), 5 volte con una soluzione
PBS/Tween-20 0.1% e rilevare il legame dei Fab all’antigene mediante l’aggiunta di 40
µL per pozzetto di una diluizione 1:4000 in PBS/BSA 1% di IgG di capra anti Fab
umano coniugate con la perossidasi di rafano (concentrazione iniziale 1 mg/ml, Sigma).
Dopo un’incubazione di 45 minuti a 37°C lavare la piastra come descritto
precedentemente. Aggiungere 40 μL per pozzetto di substrato per la perossidasi (ofenilendiammina e H2O2, TMB - Pierce) ed incubare la piastra per circa 15 minuti a
37°C al buio, successivamente bloccare la reazione con una soluzione di H2SO4 1 N
98
(Carlo Erba). Quindi quantificare gli O.D. dei singoli pozzetti mediante lettura a 450
nm (Gralis Microplate Reader, SLT Lab Instruments).
Il valore di O.D.450 ottenuto per il Fab in competizione con l’anticorpo murino o di
ratto è stato confrontato con O.D.450 ottenuto per il Fab (in assenza dell’anticorpo
competitore) ed è stata calcolata la % d’inibizione del legame dei Fab alla glicoproteina
E2 mediante la seguente formula:
% inibizione = 100 X [(O.D.450 Fab da solo – O.D.450 Ab murino o di ratto + Fab)/
O.D.450 Fab da solo] (Bugli et al., 2001).
2.7.4 Analisi del legame di e20 ed e137 su un pannello di E2 mutate
Per identificare i residui aminoacidici critici di E2 per il legame, i Fab sono stati
testati su un pannello di glicoproteine mutate derivate dal genotipo 1a (isolato H77). In
particolare, alcuni residui della glicoproteina E2 sono stati mutati in alanina. Parte di
questi mutanti sono stati gentilmente concessi da A. W. Tarr (Università di Nottingham,
UK) (Owsianka et al., 2006). Altri sono stati generati utilizzando Gene Taylor
Mutagenesis kit (Invitrogen) usando dei primers specifici disegnati seguendo le
istruzioni fornite dal produttore.
Effettuare l’analisi del legame dei Fab mediante FACS come precedentemente
descritto. In questo esperimento il background di legame dei nostri Fab è stato valutato
su cellule trasfettate con l’emoagglutinina del virus influenzale. Mentre per valutare
l’efficienza di trasfezione quindi il livello di espressione e il corretto ripiegamento dei
diversi mutanti della glicoproteina E2, è stato usato come controllo positivo l’anticorpo
monoclonale murino H60 (Deleersnyder et al., 1997) diretto contro un epitopo
conformazionale esterno alla regione mutata.
99
2.8 Valutazione della capacità dei Fab e20 ed e137 di inibire il legame
fra il recettore CD81 e la glicoproteina E2
2.8.1 Purificazione e titolazione del grande loop extracellulare del CD81 (CD81-LEL
Large Extracellular Loop) umano
Per questi esperimenti è stato utilizzato il vettore pGEX-2T contenente la sequenza
nucleotidica del CD81-LEL umano fusa all’estremità N-terminale con l’enzima
glutatione S transferasi (GST), gentilmente fornito da A.W.Tarr (Università di
Nottingham, UK).
Trasformare con questo vettore cellule di E. coli disponibili commercialmente (XL1Blue, Stratagene), per produrre il CD81-LEL inoculare il clone batterico trasformato in
10 mL di SB contenente ampicillina (Sigma) e tetraciclina (Sigma) ad una
concentrazione finale rispettivamente di 100 µg/mL e di 10 µg/mL.
Il giorno seguente sub inoculare la coltura (2,5 mL) in una beuta con 250 mL di SB
contenente la stessa concentrazione finali di ampicillina e tetraciclina e farla crescere a
37°C circa 3 ore, il tempo necessario a raggiungere una O.D. a 600 nm di 0.6-0.8, in un
incubatore dotato di agitatore (circa 260g). Successivamente indurre la coltura con
IPTG (Isopropil β-D-1-tiogalactopiranoside, Sigma) alla concentrazione finale di 1 mM
e incubarla per 4 ore a 37°C. Centrifugare la coltura batterica a 3900g a 4°C per 15
minuti (Allegra X-22R Centrifuge, Beckman Coulter), risospendere il pellet cellulare in
10 mL di B-PER Reagent (B-PER® GST Fusion Protein Spin Purification Kit - Thermo
Scientific) a cui è stato aggiunto l’inibitore delle serin-proteasi PMSF (fluoruro di
fenilmetansulfonile) alla concentrazione finale di 0.2 mM. Per omogeneizzare la
sospensione cellulare e permettere la lisi dei batteri mantenere in agitazione per 10
minuti, successivamente per eliminare i detriti cellulari centrifugare il lisato a 19600g a
4°C per 15 minuti (Allegra X-22R Centrifuge, Beckman Coulter).
Raccogliere il surnatante, contenente la proteina di nostro interesse, e aggiungervi 1
mL di resina legata al glutatione; mantenere in agitazione per 10 minuti per permettere
l’interazione e il legame fra la resina e il GST-CD81-LEL. Recuperare la resina
centrifugando a 1200g a 4°C per 5 minuti (Allegra X-22R Centrifuge, Beckman Coulter)
e successivamente risospenderla in 250 μL di Wash Buffer (B-PER® GST Fusion
Protein Spin Purification Kit - Thermo Scientific). Trasferire la resina in un tubo da 2
100
mL contenente una colonnina dotata di filtro (fornita dal Kit) in grado di trattenere la
resina, centrifugare a 2000g a 4°C per 2 minuti (Allegra X-22R Centrifuge, Beckman
Coulter). Trasferire la colonnina con filtro in un nuovo tubo da 2 mL e preparare il
buffer di eluizione aggiungendo 15 mg di glutatione in 2 mL di Wash Buffer.
Aggiungere alla resina 500 μL di eluente, incubare per 5 minuti, centrifugare a 2000g a
4°C per 2 minuti (Allegra X-22R Centrifuge, Beckman Coulter) e raccogliere l’eluato.
Ripetere questo passaggio per 3 volte, unire le 4 frazioni eluite e per allontanare il
glutatione dializzarle (Standard RC Dialysis Tubing Pre Treated Spectra/Por
6,SpectrumLabs.com) in 2 L di PBS a 4°C tutta la notte. In seguito analizzare il GSTCD81-LEL purificato tramite SDS-PAGE 12% per valutarne la purezza, indicata dalla
presenza di un'unica banda di 30-35 kDa.
Per la titolazione e la valutazione del legame alla proteina E2 di HCV, testare il
recettore purificato mediante ELISA (Lesniewski et al., 1995). Ricoprire la piastra per
ELISA (Costar 3690) con 25 μL per pozzetto di una soluzione contenente 100 ng della
glicoproteina ricombinante E2 (genotipo 1a, H77) in tampone ECB ed incubarla a 4°C
per tutta la notte. Il giorno seguente lavare la piastra con acqua distillata e bloccarla con
una soluzione di PBS/BSA 1% per un’ora a 37°C. In seguito aggiungere 40 μL per
pozzetto delle varie diluizioni del CD81-LEL in PBS/BSA 1% e incubare per un’ora a
37°C. Successivamente lavare le piastre, mediante lavatore (ETI-System Washer,
DiaSorin), 5 volte con una soluzione PBS/Tween-20 0.1%, a seguito dei quali
aggiungere 40 μL per pozzetto dell’anticorpo monoclonale murino anti CD81 (10
µg/mL – clone 2B7, Abnova) diluito in PBS/BSA 1%. Incubare la piastra per un’ora a
37°C, lavare la piastra come descritto precedentemente e aggiungere 40 μL per pozzetto
di una diluizione in PBS/BSA 1% di IgG di capra anti IgG murine coniugate con la
perossidasi di rafano (Sigma), seguendo le indicazioni del produttore. Incubare la piastra
per 45 minuti a 37°C, lavare la piastra come descritto precedentemente ed aggiungere
40 μL per pozzetto del substrato per la perossidasi (o-fenilendiammina e H2O2, TMB Pierce) ed infine incubare la piastra per circa 15 minuti a 37°C al buio, successivamente
bloccare la reazione con una soluzione di H2SO4 1 N (Carlo Erba). Quindi quantificare
gli O.D. dei singoli pozzetti mediante lettura a 450 nm (Gralis Microplate Reader, SLT
Lab Instruments). Per ogni esperimento introdurre anche l’antigene BSA come controllo
101
negativo il cui O.D.450 è utilizzato per rilevare un’eventuale specificità del recettore
purificato.
2.8.2 Valutazione della capacità dei Fab e20 ed e137 di inibire il legame fra il CD81LEL e la glicoproteina E2 ricombinante mediante ELISA
L’attività inibente dei Fab in esame è stata valutata mediante un ELISA di
competizione (Forns et al., 2000a). Fare il coating e il blocking come descritto
precedentemente, in seguito aggiungere 40 μL per pozzetto delle varie diluizioni del
Fab e20 o e137 in PBS/BSA 1% e incubare per 2 ore a 37°C. Aggiungere poi (senza
lavare) 40 μL di CD81-LEL al 50% della concentrazione di legame saturante della
proteina E2 (che corrisponde alla concentrazione di 12 µg/mL) diluito in PBS-BSA 1%
ed incubare per 30 minuti a 37°C. Successivamente lavare la piastra come descritto
precedentemente ed aggiungere 40 μL per pozzetto dell’anticorpo monoclonale murino
anti CD81 (10 µg/mL – clone 2B7, Abnova) diluito in PBS/BSA 1%. Incubare la piastra
per un’ora a 37°C, lavare la piastra e aggiungere 40 μL per pozzetto di una diluizione in
PBS/BSA 1% di IgG di capra anti IgG murine coniugate con la perossidasi di rafano,
seguendo le istruzioni del produttore (Sigma). Incubare la piastra per 45 minuti a 37°C,
lavare la piastra come descritto precedentemente ed aggiungere 40 μL per pozzetto del
substrato per la perossidasi (o-fenilendiammina e H2O2, TMB - Pierce) ed infine
incubare la piastra per circa 15 minuti a 37°C al buio, successivamente bloccare la
reazione con una soluzione di H2SO4 1 N (Carlo Erba). Quindi quantificare gli O.D. dei
singoli pozzetti mediante lettura a 450 nm (Gralis Microplate Reader, SLT Lab
Instruments). I valori di O.D.450 ottenuti per le varie concentrazioni del Fab in
competizione con il CD81-LEL sono stati confrontati con l’O.D.450 ottenuto per il
CD81-LEL (in assenza del Fab) ed è stata calcolata la % d’inibizione del legame del
CD81-LEL alla glicoproteina E2 mediante la seguente formula:
% inibizione = 100 X [(O.D.450 CD81 da solo – O.D.450 Fab + CD81)/ O.D.450 CD81
da solo] (Bugli et al., 2001).
Come controllo negativo si è utilizzato un Fab anti-E2/HCV, clonato dalla stessa
library da cui sono stati selezionati i Fab e20 ed e137, di cui era già noto il fatto che non
fosse in grado di inibire il legame della glicoproteina virale con il recettore CD81.
102
2.9 Valutazione dell’attività biologica dei Fab e20 ed e137
2.9.1 Valutazione dell’attività neutralizzante mediante HCVpp di genotipo 1a (isolato
H77), 1b (UKN1B12.16), 2a (UKN2A1.2), 2b (UKN2B2.8), 3 (UKN3A1.28), 4
(UKN4.21.16), 5 (UKN5.15.11) e 6 (UKN6.5.8)
L’attività neutralizzante dei Fab è stata valutata mediante saggio di neutralizzazione
dell’infezione da parte di HCVpp derivati dal virus della leucemia murina (MLV)
esprimente le glicoproteine E1E2 full-length rappresentative dei vari genomi di HCV.
Seminare 2.5x106 cellule HEK293T, provenienti da una coltura con una confluenza
pari all’80%, in una piastra Petri di 10 cm (Corning 430167) (Bartosch et al., 2003b). Il
giorno seguente co-transfettare le cellule (che avranno raggiunto una confluenza di circa
il 40%) con:
i)
3 μg del vettore d’espressione pcDNA3.1 in cui sono state precedentemente
clonate all’interno le sequenze codificanti le glicoproteine E1E2 di HCV,
ii) 8 μg del vettore pCMV-Gag-Pol-MLV codificante le proteine Gag e Pol del
MLV e
iii) 8 μg del vettore pMLV-luc codificante il gene reporter luciferasi,
mediante lipofectamina 2000 (Invitrogen) seguendo il protocollo fornito dal produttore.
Tutti i vettori per l’allestimento del saggio con gli HCVpp sono stati gentilmente forniti
da François-Loïc Cosset (Human Virology Department, Ecole Normale Supérieure de
Lyon, France).
Dopo 16 ore dalla transfezione sostituire il terreno di coltura con 5 mL di terreno
fresco contenente HEPES (acido 4-2-idrossietil-1-piperazinil-etansolfonico, Invitrogen)
alla concentrazione finale di 10 mM. Dopo 24 ore raccogliere il terreno della coltura e
centrifugare a 2000g per 10 minuti (Allegra X-22R Centrifuge, Beckman Coulter) e
successivamente filtrare il surnatante con filtri da 0.45 μm (MILLIPORE) per eliminare
eventuali detriti cellulari. Conservare a 4°C fino al giorno dell’infezione il surnatante
contenente gli eventuali pseudovirus prodotti dalle cellule co-transfettate.
Il giorno precedente l’infezione, seminare in una piastra da 24 pozzetti (Corning
3524), 5x104 cellule di epatoma umano Huh-7 in ogni pozzetto, cresciute in terreno
DMEM completo, esse costituiranno le cellule permissive all’infezione da parte degli
HCVpp.
103
Quindi il giorno successivo, addizionare 100 μL del terreno contenente gli HCVpp
avente un titolo di circa 1000 unità relative di luminescenza (RLU) con 100 μL
contenenti diluizioni (diluizioni in base 2, da 20 µg/mL a 0.3 µg/mL) di e20 o e137 ed
incubare la miscela per 1 ora a 37°C. Aggiungere tale miscela alle cellule Huh-7 e
metterle ad incubare per 3 ore a 37°C. In seguito alla rimozione dell’inoculo e al
lavaggio delle cellule con PBS, aggiungere 1 mL di terreno fresco ad ogni pozzetto ed
incubare le cellule per 4 giorni a 37°C, trascorsi i quali lavare le cellule 2 volte con PBS
e lisarle con 100 μL di tampone di lisi (Glo-Lysis Buffer-Promega) seguendo le
istruzioni del produttore.
Trasferire il lisato cellulare in una piastra da 96 pozzetti (Nunc 437111) e aggiungere
100 μL di tampone contenente il substrato della luciferasi (Bright-Glo Luciferase
Promega) per ogni pozzetto. Valutare l’infezione delle cellule misurando la
luminescenza dei singoli pozzetti (Victor3, Perkin Elmer) espressa in RLU.
Determinare l’attività neutralizzante del Fab valutando la luminescenza ottenuta nelle
cellule infettate in presenza del Fab in esame in rapporto a quelle infettate senza la
presenza di alcun anticorpo (100% d’infezione). L’eventuale attività neutralizzante
aspecifica data dalla presenza di un qualsiasi Fab viene determinata utilizzato come
controllo negativo il Fab c33-3 specifico per NS3. Inoltre per valutare se l’attività
neutralizzante mostrata dai Fab fosse esclusiva per il virus dell’epatite C, gli anticorpi
sono stato utilizzati anche in saggi di neutralizzazione con MLV/VSVpp4.
2.9.2 Valutazione della attività neutralizzante mediante HCVcc JFH1 (genotipo 2a)
L’attività neutralizzante del Fab e20 ed e137 è stata valutata anche mediante saggio
di neutralizzazione dell’infezione con un clone cellulare di HCV (HCVcc) capace di
propagarsi in vitro. Questo sistema è basato sull'utilizzo di un particolare isolato virale
che ha la particolarità di replicare in vitro.
Tale isolato è stato ottenuto nel 2001 da un paziente giapponese con un’epatite
fulminante (JFH1 dall’inglese Japanese Fulminant Hepatitis), appartiene al genotipo
4
MLV/VSVpp sono pseudovirus che mostrano sulla loro superficie la proteina G del Virus della Stomatite
Vescicolare. Tale glicoproteina ha un tropismo molto ampio quindi MLV/VSVpp sono in grado di infettare le cellule
Huh-7. Se l’attività di e20 ed e137 è specifica per HCV/E2 non si osserverà inibizione dell’infezione mediata da
MLV/VSVpp.
104
2a, ed ha peculiarità di presentare alcune mutazioni assenti negli altri isolati dello stesso
genotipo, soprattutto a livello del 5’-UTR e delle regioni Core, NS3, NS5A (Kato et al.,
2001; Wakita et al., 2005).
Successivamente viene descritto come sono stati ottenuti i virioni HCVcc e come si è
svolto il test di neutralizzazione.
Linearizzare il plasmide pJFH1 (16 μg), gentilmente concesso da T. Wakita
(National Institute of Infectious Diseases, Tokio, Japan), con l’enzima di restrizione
XbaI 50U (Roche), incubandolo tutta la notte a 37°C. Il giorno seguente controllare il
digerito in elettroforesi su gel d’agarosio 1% e successivamente incubarlo per 30 minuti
a 30°C con Mung bean nuclease 100U (New England Biolabs) per eliminare le
estremità “appiccicose” ottenute dopo la digestione con XbaI. Incubare poi il
linearizzato per 30 minuti a 50°C con 40 μg di proteinasi K per rimuovere i detriti
proteici e con SDS 10% per inattivare la nucleasi precedentemente utilizzata. Estrarre il
DNA con il metodo fenolo-cloroformio-alcool isoamilico (25:24:1), successivamente
centrifugare a 14000g per 15 minuti a 4°C (Allegra X-22R Centrifuge, Beckman
Coulter) e poi recuperare il surnatante in una nuova eppendorf. Indurre la precipitazione
del DNA con 3 volumi di etanolo 100% e 1/10 volume di sodio acetato 5M. Incubare
per 30 minuti a -20°C, poi centrifugare a 14000g per 15 minuti (Allegra X-22R
Centrifuge, Beckman Coulter), far evaporare l’etanolo e far asciugare il pellet di DNA
per poi risospenderlo in 20μL H20 nuclese-free. Procedere con la trascrizione in vitro e
successiva purificazione dell’RNA ottenuto utilizzando rispettivamente le istruzioni
contenute nel kit MEGAscript (Applied Biosystems) e nel kit MEGAclear (Ambion).
Fare una mix con 10 μg dell’RNA ottenuto (rappresentante il genoma del clone di HCV
JFH1) e 3x106 cellule Huh-7 risospese in 400 μL di PBS e trasferirla in una cuvetta
(Biorad 165-2088) per elettroporazione. Elettroporare le cellule con l’apparato Gene
Pulser II (Biorad) alle condizioni di 260 V e 950 μF. Trasferire in una piastra Petri di 10
cm (Corning 430167) le cellule trasfettate con 8 mL di DMEM completo. Dopo 24 ore
a 37°C, rimuovere il terreno, lavare le cellule 2 volte con PBS e aggiungere nuovo
terreno. Dopo 72 ore raccogliere il terreno della coltura e centrifugarlo a 2000g per 10
minuti (Allegra X-22R Centrifuge, Beckman Coulter) e successivamente filtrare il
surnatante con filtri da 0.45 μm (MILLIPORE), per eliminare eventuali detriti cellulari.
105
Valutare l’efficienza della transfezione mediante immunofluorescenza osservando se
le cellule elettroporate esprimano le proteine di HCV. Per la preparazione dei vetrini
utilizzare il protocollo descritto precedentemente, e poiché viene valutata la presenza di
una proteina non strutturale (NS3), utilizzare come anticorpo primario il Fab umano
c33-3 anti HCV/NS3 (10 µg/mL) e come anticorpo secondario l’anti Fab umano
coniugato FITC (Sigma cat.F5512) usato 1:100 diluito in PBS, seguendo le istruzioni
del produttore.
La determinare del titolo virale avviene tramite immunofluorescenza, come descritto
precedentemente, su cellule infettate con varie diluizioni di virioni ottenuti dal
surnatante delle cellule trasfettate, come detto prima. In dettaglio, è necessario il giorno
precedente l’infezione, seminare in una piastra da 24 pozzetti (Corning 3524) 5x104
cellule di epatoma umano Huh-7 in ogni pozzetto che costituiscono le cellule
permissive all’infezione da parte degli HCVcc. Quindi il giorno successivo, infettare le
cellule con varie diluizioni di medium contente gli eventuali virioni e lasciare ad
incubare per 3 ore a 37°C. Dopo 4 giorni si osserva l’eventuale infezione mediante
immunofluorescenza usando la medesima procedura descritta sopra. Tramite
microscopio a fluorescenza contare le cellule positive (le cellule che sono state infettate)
e applicare la seguente formula per determinato il titolo virale:
unità formanti foci (FFU)/ml = (media dei nuclei positivi osservati sul vetrino) X
(rapporto tra 1 mL e μL usati per l’infezione) X (diluizione del medium contente gli
HCVcc).
Per la valutazione dell’attività neutralizzante di e20 ed e137, seminare 5x104 cellule
Huh-7 per pozzetto in una piastra da 24 (Corning 3524). Il giorno seguente, addizionare
100 μL del terreno contenente gli HCVcc (100 FFU) con 100 μL contenenti diluizioni
progressive dei Fab in esame ed incubare la miscela per 1 ora a 37°C. Aggiungere tale
miscela alle cellule Huh-7 e metterle ad incubare per 3 ore a 37°C. In seguito alla
rimozione dell’inoculo e al lavaggio delle cellule con PBS, aggiungere 1 mL di terreno
fresco ad ogni pozzetto ed incubare le cellule per 4 giorni a 37°C.
Per determinare l’attività neutralizzante di e20 ed e137 analizzare il numero di
cellule positive in immunofluorescenza presente nei pozzetti in cui il virus è stato
106
addizionato al Fab di interesse rispetto a quelle infettate senza l’anticorpo (100%
d’infezione). L’eventuale attività neutralizzante aspecifica data dalla presenza di un
qualsiasi Fab è stata valutata incubando il virus con un Fab non neutralizzante antiHCV/E2 presente in laboratorio e anch’esso selezionato dalla stessa library
combinatoriale di esposizione fagica da cui derivano e20 ed e137 (Burioni et al.,
1998b). Il dato osservato tramite microscopio a fluorescenza è stato confermato anche
utilizzando un sistema di lettura di fluorescenza robotizzato (GE healthcare, IN Cell
Analizer Sistem 1000), strumento che è in grado di distinguere automaticamente le
cellule positive per la fluorescenza rispetto al background, dando quindi un valore più
oggettivo alla lettura della fluorescenza.
107
2.10 Saggio di cinetica di neutralizzazione dei Fab e20 ed e137
Gli esperimenti riportati in seguito sono stati progettati sulla base degli studi sulla
cinetica di neutralizzazione svolti da Haberstroh et al, 2008 (Haberstroh et al., 2008). Il
saggio di cinetica di neutralizzazione permette di valutare se anticorpi anti HCV e altri
inibitori interferiscano con il binding virale e con gli eventi post-binding.
La capacità di inibire il binding virale viene valutata mantenendo le cellule con
HCVpp e l’inibitore in esame per 1 ora a 4°C, temperatura che permette il legame del
virus alle cellule ma non i cambiamenti conformazioni a livello delle glicoproteine di
HCV richiesti per mediare gli step successivi del ciclo virale. Mentre la capacità di
inibire gli eventi post-binding viene valutata aggiungendo gli inibitori, alle cellule a cui
gli HCVpp si sono già legati ai recettori a bassa affinità, e lasciandoli per 4 ore a 37°C,
temperatura che permette i cambiamenti conformazioni a livello delle glicoproteine di
HCV richiesti per mediare gli step successivi del ciclo virale.
2.10.1 Protocollo 1
Il protocollo 1 ci permette di valutare se l’interferenza avviene durante il binding.
In dettaglio, seminare in una piastra da 96 pozzetti (Corning 3596) 1x104 cellule di
epatoma umano Huh-7 in ogni pozzetto. Successivamente aggiungere alle cellule le
seguenti mix contenenti:
• HCVpp e Fab e20 (100 µg/mL),
• HCVpp e Fab e137(100 µg/mL),
• HCVpp e Fab c33.3 anti-HCV/NS3 (100 µg/mL) come controllo negativo, per
valutare un eventuale attività neutralizzante aspecifica data dalla presenza del
frammento anticorpale
• HCVpp ed AP33 (100 µg/mL) come controllo positivo degli eventi postbinding, come descritto da Haberstroh et al, 2008.
• HCVpp ed eparina (10 e 50 µg/mL) come controllo positivo del binding dato
che in letteratura è già stata descritta la capacità dell’eparina di interferire con gli
step pre-binding dell’infezione da HCV (Burlone and Budkowska, 2009).
Centrifugare per 1 ora a 2000g a 4°C (MULTIFUGE 3S-R Heraeus), lavare le cellule
con PBS freddo (4°C) per rimuovere i virus eventualmente non legati; e aggiungere
108
DMEM completo contenente gli inibitori in esame alle stesse concentrazioni usate
precedentemente. Dopo 4 ore a 37°C rimuovere gli inibitori dalle cellule, aggiungere
150 μL di terreno completo ad ogni pozzetto e incubare per 3 giorni a 37°C. Lavare le
cellule 2 volte con PBS e lisarle con 100 μL di tampone di lisi (Glo-Lysis Buffer,
Promega) seguendo le istruzioni del produttore. Trasferire il lisato cellulare in una
piastra da 96 pozzetti (Nunc 437111) a cui vengono aggiunti per ogni pozzetto 100 μL
di substrato della luciferasi (Bright-Glo Luciferase, Promega).
Valutare l’infezione delle cellule misurando la luminescenza dei singoli pozzetti
(Victor3, Perkin Elmer) espressa in unità relative di luminescenza (RLU). Determinare
l’attività neutralizzante degli inibitori valutando la luminescenza ottenuta nelle cellule
infettate in presenza dell’inibitore in rapporto a quelle infettate senza la presenza di
alcun inibitore (100% d’infezione) (Figura 21).
La determinazione dell’eventuale attività inibente specifica per il binding viene
valutata in rapporto ai dati ottenuti con il protocollo 2.
2.10.2 Protocollo 2
Il protocollo 2 permette di valutare se anticorpi anti HCV dotati di attività
neutralizzante, esercitano tale effetto in quanto capaci di interferire con gli eventi virali
post-binding.
In dettaglio, seminare in una piastra da 96 pozzetti (Corning 3596) 1x104 cellule di
epatoma umano HuH-7 in ogni pozzetto. Infettare immediatamente le cellule con
HCVpp ad alto titolo di RLU. Centrifugare per 1 ora a 2000g a 4°C (MULTIFUGE 3SR Heraeus), lavare le cellule con PBS freddo (4°C) per rimuovere i virus non legati;
successivamente aggiungere DMEM completo contenente gli inibitori in esame: Fab
e20 (100 µg/mL), Fab e137 (100 µg/mL), AP33 (100 µg/mL), anti-NS3 c33-3 (100
µg/mL), eparina (10 µg/mL). Dopo 4 ore a 37°C, rimuovere gli inibitori, e aggiungere
150 μL di terreno completo ad ogni pozzetto e incubare le cellule per 3 giorni a 37°C,
trascorsi i quali rilevare l’attività della luciferasi come precedentemente descritto
(Figura 21).
109
2.10.3 Protocollo 2 con diverse diluizioni degli inibitori
Il protocollo 2 con diverse diluizioni degli inibitori permette di valutare come varia
l’attività neutralizzante di anticorpi anti HCV a diverse concentrazioni.
In dettaglio, seminare in una piastra da 96 pozzetti (Corning 3596) 1x104 cellule di
epatoma umano HuH-7 in ogni pozzetto. Infettare immediatamente le cellule con
HCVpp ad alto titolo di RLU. Centrifugare per 1 ora a 2000g a 4°C (MULTIFUGE 3SR Heraeus), lavare le cellule con PBS freddo (4°C) per rimuovere i virus non legati;
successivamente aggiungere DMEM completo contenente gli inibitori in esame:
eparina, Fab e20, Fab e137 ed AP33 a diverse concentrazioni (100 µg/mL, 50 µg/mL,
25 µg/mL, 12 µg/mL, 6 µg/mL, 3 µg/mL e 1 µg/mL). Dopo 4 ore a 37°C, rimuovere gli
inibitori, e aggiungere 150 μL di terreno completo ad ogni pozzetto e incubare le cellule
per 3 giorni a 37°C, trascorsi i quali rilevare l’attività della luciferasi come
precedentemente descritto.
2.10.4 Protocollo 2 aggiunta degli inibitori a diversi time point
Il protocollo 2 aggiunta degli inibitori a diversi time point permette di valutare se
anticorpi anti HCV dotati di attività neutralizzante post-binding, esercitano tale effetto
in quanto capaci di interferire nelle fase precoce o tardiva.
In dettaglio, seminare in una piastra da 96 pozzetti (Corning 3596) 1x104 cellule di
epatoma umano HuH-7 in ogni pozzetto. Infettare immediatamente le cellule con
HCVpp ad alto titolo di RLU. Centrifugare per 1 ora a 2000g a 4°C (MULTIFUGE 3SR Heraeus), lavare le cellule con PBS freddo (4°C) per rimuovere i virus non legati;
successivamente aggiungere DMEM completo contenente gli inibitori in esame: Fab
e20 (100 µg/mL), Fab e137 (100 µg/mL), AP33 (100 µg/mL), eparina (10 µg/mL) ogni
20 minuti fino a 120 minuti dopo il binding virale. Dopo 4 ore a 37°C, rimuovere gli
inibitori, e aggiungere 150 μL di terreno completo ad ogni pozzetto e incubare le cellule
per 3 giorni a 37°C, trascorsi i quali rilevare l’attività della luciferasi come
precedentemente descritto (Figura 22).
110
Figura 21 | Rappresentazione schematica dei protocolli 1 e 2 degli studi di cinetica di neutralizzazione.
Le linee rosse indicano la presenza degli anticorpi in esame.
Figura 22 | Rappresentazione schematica del protocollo 2 aggiunta degli inibitori a diversi time point. Le
linee rosse tratteggiate indicano la presenza degli anticorpi in esame.
111
3. RISULTATI
3.1 Panning della library su HCV/E2
I Fab e20 ed e137, descritti in questa tesi, sono stati selezionato da una library
combinatoriale di esposizione fagica costituita dai geni anticorpali di una donna di 58
anni con infezione cronica da HCV di genotipo 1b.
La library è stata selezionata mediante una metodica chiamata panning su una
glicoproteina E2 ricombinate di genotipo 1a (isolato H77).
In questo modo è stato possibile selezionare anticorpi prodotti durante il decorso
naturale dell’infezione da HCV, ma diretti contri un antigene che il sistema immunitario
non ha incontrato, in quanto diverso (genotipo 1, sottotipo a) da quello a cui appartiene
l’isolato virale presente nella paziente (i vari sottotipi di uno stesso genotipo presentano
diversità pari al 20-25% a livello nucleotidico).
Pertanto, questo approccio è risultato esser vantaggioso in quanto ha permesso di
favorire la selezione di anticorpi potenzialmente cross-reattivi diretti contro epitopi
conservati tra i vari genotipi, e che molto probabilmente possono avere un ruolo critico
nel ciclo vitale del virus (Plaisant et al., 1997).
112
3.2 Analisi di sequenza dei Fab e20 ed e137
L’analisi di sequenza della catena pesante di e20 ed e137, eseguita mediante IMGT,
suggerisce che questi anticorpi hanno subito un processo di mutazione somatica, cioè
quel processo che si verifica in seguito alla continua stimolazione dei linfociti B da
parte dell’antigene, che ha lo scopo di aumentare l’affinità di legame dell’anticorpo.
Infatti la sequenza nucleotidica della catena pesante per quanto riguarda il gene V
presenta una omologia del 87.91% e del 87,59%, per il Fab e20 ed e137
rispettivamente, a confronto della propria sequenza germline e un pattern di
distribuzione di mutazioni compatibili con il processo di mutazione somatica. Infatti la
variabilità risulta presente soprattutto a livello dei CDR mentre le regioni FR risultano
più conservate.
Per il Fab e20, la porzione variabile della catena pesante deriva dal riarrangiamento
del gene V appartenete alla sottofamiglia IGHV1-69 (che risulta essere largamente
rappresentata nell’ambito della risposta anticorpale anti-HCV) con il gene D della
sottofamiglia IGHD 3-16 e J appartenente alla sottofamiglia IGHJ 4. Per il Fab e137, la
regione variabile della catena pesante deriva dal riarrangiamento del gene V appartenete
alla sottofamiglia IGHV1-69 con il gene D della sottofamiglia IGHD 2- 2 e J
appartenente alla sottofamiglia IGHJ 6.
Analogamente la catena leggera dei due anticorpi, appartenente all’isotipo K, deriva
da un processo di maturazione antigene-indotto. Infatti la parte variabile della catena
leggera per quanto riguarda il gene V presenta una omologia del 93.19% e del 94,27%
per il Fabe20 ed e137 rispettivamente, a confronto della propria sequenza germline e un
pattern di distribuzione di mutazioni compatibili con il processo di mutazione somatica.
La porzione variabile della catena leggera deriva dal riarrangiamento del gene V
appartenente alla sottofamiglia IGKV3-15 e del gene J della sottofamiglia IGKJ 5;
mentre quella del Fab e137 risulta formato dal riarrangiamento del gene V appartente
alla sotto famiglia IGKV1-9 e del gene J della sottofamiglia IGKJ 1.
113
e20 HC
CTGCTCGAGCAGTCAGGGGCTGAGGTGAAGAAGCCTGGGTCCTCGGTGAAGGTCTCCTGCAAGGCTTCTG
GAGACCACTATGGTATCAACTGGGTGCGACAGGCCCCTGGACAAGGGCTGGAGTGGATGGGCGGTATCAT
CCCTGTCTTTGGCACAACTACCTACGCACAGAAGTTCCAGGGCAGAGCCACCATTACCGCGGACGACTCC
ACGGGGACGGCCTTTTTGGAGCTGACCAGACTGACATTTGACGACACGGCCGTCTATTTCTGTGCGACAC
CTCACCAACTGCATGTCCTCCGGGGCGGTAAAGCCCTCTCCCCCTGGGACTACTGGGGCCAGGGAACC
e20 LC
ATGGCCGAGCTCACCCAGTCTCCAGCCACCCTGTCTGTGTCTCCAGGGGAAAGAGCCACCCTCTCCTGCA
GGGCCAGTCAGAGTGTTAGCAGTAACTTAGCCTGGTACCAGCAGAAACGTGGCCAGGCTCCCAGTCTCCT
CATCTACGGAACATCTACCAGGGCCACTGGTATCCCAGCCAGGTTCAGTGGCAGTGGGTCTGGGACAGAG
TTCACTCTCACCATCAGCAGCCTGCAGTCTGAAGATTTTGCAGTTTATTACTGTCAGCAGTATAATGATT
GGCCCTCCACCTTCGGCCAAGGGACA
e137 HC
CTGCTCGAGCAGTCTGGGTCTGAAGTAAAAGTGCCCGGGTCCTCGTTGAAGGTCTCCTGCAAGACTTCTG
GAGGCACCTTCAGCACCTATACTTTCAGCTGGGTGCGACAGGCCCCTGGACAGGGACTTGAGTGGATGGG
GGGGATCACCCCTATCATTGGCATCGCAAACTACGCACGGAACTTCCAGGACAGAGTCACCATCACCGCG
GACGAATCCACGAGCACGGTCTACATGGAGGTGAGGAGGCTGAGATCTGAGGACACGGCCGTATATTATT
GTGCGAAAACTTCGGAAGTAACAGCCACTAGAGGGCGGACTTTCTTCTACTCCGCTATGGACGTCTGGGG
TCAAGGGACC
e137 LC
ATGGCCGAGCTCACCCAGTCTCCATCCTTCCTGTCTGCATCTGTAGGAGACAGAGTCACCATCACTTGCC
GGGCCAGTCAGGGCATAAGCAATTATTTAGCCTGGTATCAGCAAAAACCAGGGAAAGCCCCTAAGCTCCT
GATCTATGCTGCATCCACTTTGCAAAGTGGGGTCCCATCGAGGTTCAGCGGCAGTGGATCTTGGACAGAA
TTCACTCTCACAATCAGCCGCCTCCAGCCTGAAGATTTTGCAACTTATTACTGTCAACACCTTAATACTT
ACCCGTGGACGTTCGGCCAAGGGACC
Sequenze delle catene pesanti e leggere dei Fab e20 ed e137.
114
3.3 Valutazione della cross-reattività dei Fab e20 ed e137
Per caratterizzare la cross-reattività dei Fab e20 ed e137 le cellule HEK 293T
sono state trasfettate con un vettore codificante le glicoproteine E1E2 dei diversi
genotipi di HCV. In questo modo mediante immunofluorescenza è stato possibile
documentare l’ampia cross-reattività dei Fab. In particolar modo si è osservato che il
Fab e20 è in grado di legare E2 di tutti i genotipi (Figura 23), un simile pattern di
legame si è osservato anche per il Fab e137, in cui però non si è osservata alcuna
reattività per le glicoproteine E1E2 derivate dal genotipo 5.
115
6
Figura 23 | Analisi di legame del Fab e20 mediante immunofluorescenza, su cellule HEK 293T che
esprimono E1E2 dei diversi genotipi di HCV: a) genotipo 1a (isolato H77, ingrandimento 20X), b)
genotipo 1b (UKN1B12.16, ingrandimento 20X), c) genotipo 2a (UKN2A1.2, ingrandimento 20X), d)
genotipo 2b (UKN2B2.8, ingrandimento 20X), e) genotipo 3 (UKN3A1.28, ingrandimento 20X), f)
genotipo 4 (UKN4.21.16, ingrandimento 40X), g) genotipo 5 (UKN5.15.11, ingrandimento 20X) e h)
genotipo 6 (UKN6.5.8, ingrandimento 20X). In verde
le cellule positive al legame E2-Fab e20-
αHFabFITC, le cellule risultano rosse grazie alla contro colorazione con blu di Evans.
L’immunofluorescenza ottenuta usando come anticorpo primario il Fab e137 ha mostrato lo stesso pattern
di fluorescenza, ma non ha dato risultati sulle cellule che esprimevano sulla membrana le glicoproteine
E1E2 del genotipo 5.
116
Questi dati sono stati confermati da una successiva analisi citofluorimetrica, in cui
sono state analizzate cellule HEK 293T esprimenti le glicoproteine E1E2 clonate da
diversi isolati virali appartenenti ai vari genotipi (Figura 24).
Figura 24 | Analisi di legame dei Fab e20 ed e137 mediante citofluorimetria, su cellule HEK 293T che
esprimono E1E2 dei diversi genotipi di HCV (stessi isolati analizzati in immunofluorescenza). Il legame è
espresso come percentuale, considerando come 100% il segnale ottenuto dal legame di e20 o di e137 con
le cellule trasfettate con la glicoproteina E2 di genotipo 1a (H77), utilizzata come detto precedentemente
durante la procedura di panning per selezionare i Fab in esame.
117
3.4 Studio dell’affinità dei Fab e20 ed e137 mediante saggio ELISA
L’affinità dei Fab e20 ed e137 è stata determinata analizzando il legame di diverse
concentrazioni di Fab (da 30 µg/mL a 0,0003 µg/mL, facendo diluizioni seriali 1:3)
sulla glicoproteina E2 ricombinante di genotipo 1a (H77) mediante test ELISA ed
applicando la seguente formula:
M (affinità) = ([Fab] g/L O.D.450(50%) x 1000 μL) / (peso molecolare Fab 50000 Dalton x 1
mL) (Raghava and Agrewala, 1994).
O.D.450 (100%) Fab e20 = 0,959
O.D. 450 (50%) Fab e20 = 0,4795
→ ricavata da O.D. 450 (100%)
[Fab] g/L O.D.450(50%) = 0,0000003 g/L
→ ricavata mediante interpolazione grafica
M (affinità) = (0,0000003 g/L x 1000 μL) / (50000 Dalton x 1 mL) = 6 nM (Figura 25).
Il Fab e20 mostra quindi un’affinità di 6 nM.
O.D.450 (100%) Fab e137 = 1,650
O.D. 450 (50%) Fab e137 = 0,825
[Fab] g/L O.D.450(50%) = 0,000002 g/L
→ ricavata da O.D. 450 (100%)
→ ricavata mediante interpolazione grafica
M (affinità) = (0,000002 g/L x 1000 μL) / (50000 Dalton x 1 mL) = 40 nM (Figura 25).
Il Fab e137 mostra quindi un’affinità di 40 nM.
1.1
1.0
0.9
O.D. 450 nm
0.8
0.7
0.6
0.5
0.4
0.3
0.2
0.1
30
ug
/m
10
L
ug
/m
3.
L
3
ug
/m
1.
L
1
ug
/m
0.
L
3
ug
/m
0.
L
1
ug
/m
0.
03
L
ug
/m
0.
01
L
ug
0.
00 /mL
3
ug
0.
00 /mL
1
u
0.
00 g/m
03
L
ug
/m
L
0.0
concentrazione Fab e20
Figura 25 | Analisi del legame del Fab e20 ed e137 sulla glicoproteina E2 ricombinante di genotipo 1a
(H77) mediante ELISA. La linea tratteggiata indica la concentrazione di Fab che ha un segnale di O.D.450
(50%)
118
3.5 Definizione dell’epitopo riconosciuto dai Fab e20 ed e137
3.5.1 Valutazione del legame dei Fab e20 ed e137 su peptidi lineari derivati da E2 e su
peptidi multipli derivati dalla regione ipervariabile (HVR1)
Nel tentativo di definire l’epitopo legato da e20 ed e137, i Fab sono stati testati in
ELISA su peptidi lineari rappresentanti l’intera sequenza della glicoproteina E2 e su
peptidi rappresentanti la regione HVR1. In nessun caso è stato possibile rilevare il
legame di e20 ed e137, pur evidenziando una notevole reattività sulla proteina intera.
Questo approccio ci ha permesso di concludere che i nostri Fab riconoscono un
epitopo conformazionale all’esterno della regione HVR1
3.5.2 Esperimenti di competizione con anticorpi monoclonali murini e di ratto
Si è utilizzata una strategia alternativa per definire in quali regioni della proteina E2
fossero situati gli epitopi di e20 ed e137, in particolar modo si è condotto un ELISA di
competizione per il legame alla glicoproteina E2 ricombinante (genotipo 1a, H77) dei
nostri Fab con un panello di anticorpi murini e di ratto diretti contro epitopi noti.
Le % d’inibizione ottenute per il pannello di anticorpi competitori analizzati sono
riportati nella tabella seguente (Tabella 2).
In particolare il legame dei Fab e20 ed e137 è inibito dal anticorpo di ratto 9/75
(inibizione pari al 76% e del 81% rispettivamente) diretto contro un epitopo lineare di
E2 che comprende la regione aminoacidica 528-535. Inoltre il legame del Fab e20 viene
inibito per il 57% dall’anticorpo di ratto 1/39 che riconosce la regione compresa dal
residuo aminoacidico 436 al 443, mentre l’anticorpo di ratto 2/64a, il cui epitopo è
contenuto all’interno della regione 524 e 531, inibisce per il 45% il legame del Fab
e137. Parzialmente e20 ed e137 competono per il legame alla glicoproteina E2 con
AP33 (inibizione del legame del 40% e il 55% rispettivamente) l’anticorpo monoclonale
murino diretto contro la regione aa 412-423 di E2, che attualmente rappresenta
l’anticorpo con il più ampio spettro di cross-reattività e cross-neutralizzazione. Infatti
AP33 è in grado legare E2 di tutti i genotipi di HCV ed è in grado di neutralizzare anche
a basse concentrazioni l’infettività di pseudovirus che esprimono E1E2 di tutti i
genotipi.
119
mAbs
Epitopo
competitori
HCV/E2
di
%
inibizione
di
legame del Fab e20
%
inibizione
di
legame del Fab e137
7/59
384-391
3
25
3/11
412-423
5
21
AP33
412-423
40
55
1/39
436-443
57
33
11/20
436-447
4
3
7/16 b
436-447
5
5
H47
452-459
4
2
6/1 a
464-471
2
⇑
6/41 a
480-493
5
⇑
2/64 a
524-531
32
45
9/75
528-535
76
81
6/53
544-551
4
0
H62
644-655
2
8
Tabella 2 | Inibizione del legame del Fab e20 ed e137 sulla glicoproteina E2 ricombinante di genotipo 1a
(H77) mediante ELISA di competizione utilizzando un panello di anticorpi monoclonali murini e di ratto
diretti contro epitopi noti. I dati sono espressi come percentuale d’inibizione del legame. In verde sono
stati evidenziati gli anticorpi (AP33, 1/39, 9/75 e 2/64a) che inibiscono maggiormente il legame di e20 ed
e137 su E2.
3.5.3 Analisi del legame dei Fab e20 ed e137 su un pannello di E2 mutate
In secondo luogo per definire meglio i residui aminoacidici di E2 che risultano critici
per il legame di e20 ed e137, è stata valutata mediante citofluorimetria la capacità dei
Fab di legare un pannello di mutati in alanina derivati da E2 di genotipo 1a (H77)
espressi su cellule trasfettate con le glicoproteine E1E2.
Si è deciso di mutare i residui aminoacidi che vanno dal:
•
412 al 423 in quanto questa regione risulta essere importante per il legame
dell’anticorpo monoclonale murino AP33;
120
•
436 al 447 in quanto questa regione risulta essere importante per il legame
dell’anticorpo 1/39 e inoltre è stata descritta in letteratura essere coinvolta nel
legame di anticorpi non neutralizzanti che sono in grado di interferire con
l’attività degli anticorpi neutralizzanti (Zhang et al., 2009);
•
483 al 550 in quanto questa regione risulta essere importante per il ciclo
virale, in quanto coinvolta con il legame della glicoproteina al CD81 e inoltre
include l’epitopo riconosciuto dagli anticorpi di ratto 9/75 e 2/64a.
Tramite questo approccio si è osservato che le mutazioni a livello dei residui, W529,
G530 e D535 hanno totalmente abrogato il legame dei Fab. Questi dati indicano che
l’epitopo conformazionale riconosciuto dai Fab e20 ed e137 risulta centrato a livello di
questi residui che hanno un ruolo cruciale per l’interazione con CD81, quindi importanti
per il ciclo vitale del virus. Inoltre si è osservato che il legame del Fab e20 viene quasi
completamente abrogato dalla glicoproteina E2 mutata anche in posizione W437 e
F442; mentre il legame del Fab e137 viene inibito, oltre che a livello del residuo W437,
anche dalle mutazioni nelle posizioni L438, L441 e F442. Tutti questi residui sono
contenuti all’interno della regione descritta come riconosciuta dagli anticorpi non
neutralizzanti, che interferiscono con i cloni che hanno un’attività neutralizzante. Infine
si è notato che il legame del Fab e137 viene impedito anche delle mutazioni della
glicoproteina E2 a livello del residuo T416 e W420, aminoacidi contenuti all’interno
della regione riconosciuta dall’anticorpo murino AP33 (Figura 26).
121
e20
e137
Figura 26 | Analisi del legame dei Fab e20 ed e137 mediante citofluorimetria, su cellule HEK 293T
che esprimono un pannello di glicoproteine E2 mutate. Il legame è espresso come percentuale del
legame, considerando come 100% il segnale ottenuto dal legame di e20 con le cellule trasfettate con la
glicoproteina E2 di genotipo 1a (H77) non mutata, utilizzata come detto precedentemente durante il
panning per selezionare i Fab in esame.
122
3.6 Valutazione della capacità dei Fab e20 ed e137 di inibire il legame
fra il CD81-LEL umano e la glicoproteina E2 ricombinante (genotipo
1a, H77)
È stata valutata la capacità dei Fab e20 ed e137 di inibire il legame fra uno dei
principali recettore cellulare per l’entry di HCV (CD81) e la glicoproteina virale. In
particolar modo si è condotto un saggio ELISA di competizione fra i nostri Fab e il
CD81-LEL umano per il legame alla glicoproteina E2 ricombinante (genotipo 1a, H77).
A partire dai valori di O.D.450 osservati, si è stata calcolata la % d’inibizione del legame
del CD81-LEL alla glicoproteina E2 alle differenti concentrazione di e20 ed e137
(Figura 27).
Analizzando il grafico si è osservato come la capacità di inibizione del legame mostri
un andamento dose-dipendende, ovvero ad alte concentrazioni (30 µg/mL) del Fab e 20
e del Fab e137, la percentuale di inibizione è pari al 72 % e al 43% rispettivamente.
Invece non si osserva inibizione del legame facendo competere il CD81-LEL con il Fab
anti-E2 di controllo, il cui epitopo è stato dimostrato essere esterno alla regione
importante per il legame fra glicoproteina virale e il recettore cellulare. Questi dati
confermano che i Fab e20 ed e137 sono diretti contro una regione della glicoproteina E2
importante per il legame del virus al CD81.
Figura 27 | Rappresentazione grafica delle percentuali d’inibizione di legame del CD81-LEL alla
glicoproteina E2 ricombinante (genotipo 1a, H77) calcolate per le varie concentrazione del Fab e20,
del Fab e137 e del Fab anti E2 di controllo.
123
3.7 Valutazione della attività biologica dei Fab e20 ed e137
3.7.1 Valutazione dell’attività neutralizzante dei Fab e20 ed e137 su pseudovirus
HCV/MLV esprimenti sulla superficie le glicoproteine E1E2 dei diversi genotipi
La capacità di e20 ed e137 di riconoscere i diversi genotipi ha reso
particolarmente interessante la caratterizzazione dell’attività neutralizzante di questi
Fab, che è stata analizzata mediante il modello di pseudovirus.
Gli pseudovirus virali usati derivano dal virus della leucemia murina, mostranti
sulla superficie le glicoproteine E1E2 di HCV dei diversi genotipi.
Questo approccio ha mostrato che il Fab e20 ed e137 hanno una potente attività
neutralizzante nei confronti di HCV di genotipo 1a, infatti risultano in grado di
inibire il 50% dell’infettività (IC50) di HCVpp esprimenti sulla superficie le
glicoproteina E1E2 di genotipo 1a alla concentrazione di 7,5 µg/mL.
Il Fab e20 è in grado di neutralizzare HCVpp del genotipo 2a e 4 con un IC50
rispettivamente di 7,5 µg/mL e 1,6 µg/mL. Infine e20 è in grado di neutralizzare, con
minore efficienza, l’infezione data da HCVpp di genotipo 1b e 2b con un IC50
rispettivamente di 15 µg/mL e 30 µg/mL (Tabella 3, Figura 28).
Anche il Fab e137 è in grado di neutralizzare con maggiore efficacia HCVpp del
genotipo 2a e 4 (IC50 rispettivamente di 7,5 µg/mL e 5 µg/mL) e con minore efficacia
HCVpp del genotipo 1b e 2b (infatti si è rilevata una IC50 di 20 µg/mL in entrambi i
casi)
Non è stata osservata attività neutralizzante nei confronti del genotipo 5 e non è
stato possibile attuare il saggio di neutralizzazione con i genotipi 3 e 6 a causa della
bassa infettività e non riproducibilità osservata per questi isolati virali.
124
Genotipo
Sottotipo
IC50 e20
IC50 e137
1a
H77
7,5 µg/mL
7,5 µg/mL
1b
UKN1B12.16
15 µg/mL
20 µg/mL
2a
UKN2A1.2
7,5 µg/mL
7,5 µg/mL
2b
UKN2B2.8
30 µg/mL
20 µg/mL
4
UKN4.21.16
1,6 µg/mL
5 μg/mL
Tabella 3 | IC50 dei Fab e20 ed e137 ricavate mediante test di neutralizzazione dell’infettività di
pseudovirus HCV/MLV derivanti dai genotipi 1a, 1b, 2a, 2b e 4.
125
Figura 28 | A titolo esemplificativo sono state riportate le curve dose-risposta dell’attività
neutralizzante del Fab e20 sui pseudovirus HCV/MLV derivanti dai genotipi 1a, 1b, 2a, 2b e 4. Curve
dose-risposta dell’attività neutralizzante del Fab e137 risultano avere un andamento analogo.
126
3.5.2 Valutazione dell’attività neutralizzante dei Fab e20 ed e137 su HCVcc, JFH1
(genotipo 2a)
L’attività neutralizzante è stata confermata anche testando i Fab e20 ed e137 nel
sistema degli HCVcc, valutando la capacità neutralizzante sull’isolato JFH1 (genotipo
2a). Sia per il Fab e20 che e137, si è osservato che IC50 rilevata mediante questa
strategia risulta inferiore di quella ottenuta con HCVpp per lo stesso genotipo e
sottotipo, infatti in questo caso IC50 è pari a circa 2 μg/mL, mentre quella osservata con
HCVpp di genotipo 2a è di 7,5 μg/mL (Figura 29). Si è considerato come controllo
negativo l’incubazione dei HCVcc con un Fab anti-E2/HCV non neutralizzante.
Figura 29 | Curva dose-risposta dell’attività dei Fab e20 e e137 su HCVcc JFH1 (genotipo 2a).
127
3.8 Valutazione della cinetica di neutralizzazione dei Fab e20 ed e137
su pseudovirus HCV/MLV esprimenti sulla superficie le glicoproteine
E1E2 di genotipo 1a (isolato H77).
Per poter comprendere a quale livello del ciclo virale (binding o post-binding) i Fab
e20 ed e137 interagissero, sono stati condotti esperimenti di cinetica di neutralizzazione
sulla base di quelli svolti da Haberstroh et al, 2008.
Brevemente, la capacità di inibire il binding virale viene valutata incubando gli
inibitori da testare con le cellule permissive all’infezione insieme ad HCVpp per 1 ora a
4°C; temperatura che permette il legame del virus alle cellule, ma non i cambiamenti
conformazioni a livello delle glicoproteine di HCV richiesti per mediare gli step
successivi del ciclo virale. Mentre la capacità di inibire gli eventi post-binding viene
valutata aggiungendo le varie molecole da testare dopo che le cellule permissive sono
state incubate con HCVpp per 1 ora a 4°C, e lasciandoli per 4 ore a 37°C; temperatura
che permette i cambiamenti conformazioni a livello delle glicoproteine di HCV richiesti
per mediare gli step successivi del ciclo virale.
3.8.1 Protocollo 1 e 2
Il protocollo 1, in cui gli anticorpi vengono aggiunti sia durante il binding virale che
dopo, ha semplicemente evidenziato la capacità dei Fab e20 ed e137 di inibire
l’infettività virale ma non ci permette di sapere la fase in cui esercita tale effetto, se non
tramite il confronto dei risultati ottenuti con il protocollo 2.
Il protocollo 2, in cui gli anticorpi vengono aggiunti solamente dopo il legame virale
ai recettori a bassa affinità, ha evidenziato la capacità dei Fab e20 ed e137 di inibire
l’infettività virale agendo proprio dopo il binding virale. Da tali esperimenti si evidenzia
anche l’effetto specifico dei nostri Fab, in quanto non si osserva neutralizzazione
utilizzando il Fab c33.3 diretto contro la proteina NS3.
Come atteso l’eparina esercita il suo effetto neutralizzante agendo durante il binding
virale ed è stato valutato anche il suo effetto dose dipendente (a 10 e 50 μg/mL). Per le
successive prove, si è deciso di utilizzare l’eparina alla sola concentrazione di 10 μg/mL
in quanto già a questa concentrazione si evidenzia la sua capacità di interferire a livello
del legame virale.
128
Come già descritto da Habertosch et al, AP33 mostra la sua capacità neutralizzante
durante gli avvenimenti post-binding (Figura 30).
Tramite la comparazione dei risultati ottenuti con i due protocolli si riesce a definire
se il composto ha la capacità d’interagire con HCVpp di genotipo 1a durante il legame
alle cellule oppure negli steps successivi.
Figura 30 | Rappresentazione grafica che mostra la capacità dei vari inibitori (Fab c.33.3, AP33, eparina,
Fab e20, Fab e137) di neutralizzare l’infezione mediata da HCV/MLV pseudovirus applicando il
protocollo 1 e il protocollo 2, descritti da Habertosch et al..
129
3.8.2 Protocollo 2 con diverse diluizioni degli inibitori
Nel protocollo 2 con diverse diluizioni degli inibitori viene valutato come varia
l’attività neutralizzante di e20 ed e137 al variare della loro concentrazione. Inoltre si
vuole osservare tramite questo protocollo fino a quale concentrazione i Fab mostrano la
loro capacità neutralizzante. Dai dati ottenuti risulta che l’attività neutralizzante di e20
ed e137 ha un andamento dose dipendente, in cui la capacità neutralizzante aumenta
all’aumentare della concentrazione del Fab. Anche AP33 (controllo positivo) mostra
una attività neutralizzante dose dipendente, l’eparina (controllo negativo) invece non
agendo durante gli eventi post-binding non mostra una variazione della sua capacità
inibente in funzione alla sua concentrazione (Figura 31).
Figura 31 | Curva dose-risposta della capacità neutralizzante del Fab e20, Fab e137, l’eparina e AP33 su
HCV/MLV pseudovirus applicando il protocollo 2 usando diverse diluizioni dell’inibitore.
130
3.8.3 Protocollo 2 aggiunta degli inibitori a diversi time point
Il protocollo 2 in cui i vari composti vengono aggiunti a diversi time point, ci ha
permesso di valutare se l’azione neutralizzante osservata avvenisse nelle fasi precoci o
tardive del post-binding.
Tramite questa metodica, viene evidenziato che i Fab e20 ed e137 esercitano tale
effetto neutralizzante in quanto capaci di interferire con gli eventi immediatamente
successivi al legame virus-cellula (azione neutralizzante rilevante nei primi 20 minuti).
Anche AP33 (controllo positivo) ha un comportamento simile ai Fab in esame. Inoltre
viene evidenziato nuovamente che l’eparina (controllo negativo) esercita i suoi effetti
neutralizzanti durante il binding (protocollo 1) e perde tale capacità se aggiunta durante
gli steps post-binding indipendentemente dai vari time point (Figura 32).
Figura 32 | Valutazione della cinetica di neutralizzazione dei Fab e20, Fab e137, l’eparina e AP33 su
HCV/MLV pseudovirus applicando il protocollo 1 e il protocollo 2 diversi time point.
131
4. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI
In questo lavoro viene descritta la caratterizzazione di due anticorpi monoclonali
umani diretti contro la glicoproteina E2 di HCV, molecola che svolge un ruolo cruciale
nell’ingresso del virus nelle cellule bersaglio.
La grande variabilità genetica di HCV, dovuta all’alto tasso replicativo e alla
mancanza dell’attività di proof-reading della RNA polimerasi virale (NS5B),
soprattutto a livello delle glicoproteine E1 ed E2 dell’envelope, rappresenta una
strategia che il virus mette in atto per sfuggire alla risposta del sistema immunitario
dell’ospite, instaurando nei pazienti una forma di epatite cronica nell’80% dei casi, e ha
ostacolato lo sviluppo di un vaccino efficace.
Tuttavia sono state descritte alcune regioni di E2 altamente conservate tra i diversi
genotipi, suggerendo che la scarsa o assente variabilità a questo livello è necessaria per
mantenere alcune funzioni cruciali della glicoproteina nel ciclo vitale del virus. Pertanto
l’isolamento e la caratterizzazione di anticorpi diretti contro queste regioni e in grado di
legare e neutralizzare diversi genotipi, può teoricamente fornire un aiuto per lo sviluppo
di una valida immunoterapia passiva. Inoltre l’identificazione di epitopi in grado di
stimolare una risposta anticorpale protettiva, può fornire un importante contributo per la
realizzazione di un vaccino efficace.
Lo studio della attività neutralizzante di anticorpi diretti contro il virus dell’epatite C
è stato a lungo ostacolato dalla mancanza di un sistema in vitro in grado di propagare il
virus. Tuttavia, grazie al recente sviluppo di validi sistemi surrogati di infezione, è stato
possibile analizzare in vitro il ruolo protettivo degli anticorpi nei confronti di HCV.
In questo lavoro grazie a tecniche di biologia molecolare, come la costruzione di
library anticorpali combinatoriali di esposizione fagica, l’espressione ad alta efficienza
in linee cellulari eucariotiche delle glicoproteine E1E2 di tutti i genotipi di HCV e lo
sviluppo di pseudovirus in grado di mostrare sulla loro superficie eterodimeri funzionali
di E1E2, è stato possibile documentare la cross-reattività e l’attività neutralizzante di
due anticorpi monoclonali umani (Fab e20 ed e137) diretti contro la glicoproteina E2.
In particolare, i Fab e20 ed e137 sono stati precedentemente clonati come frammenti
anticorpali dal repertorio linfocitario di una paziente infetta in modo cronico da HCV di
genotipo 1b e, con lo scopo di selezionare dei cloni potenzialmente cross-reattivi, la
132
library anticorpale ottenuta dalla paziente è stata screenata contro una glicoproteina E2
ricombinante derivata da un sottotipo diverso: 1a (Burioni et al., 1998b).
I dati descritti in questo lavoro documentano la presenza, nel repertorio anticorpale
durante l’infezione persistente da HCV, di anticorpi ampiamente cross-reattivi e crossneutralizzanti. Infatti, grazie a studi di immunofluorescenza e citofluorimetria su cellule
trasfettate con E1E2 dei vari isolati virali rappresentanti i diversi genotipi, emerge la
capacità di e20 ed e137 di legare le glicoproteine di tutti i sei genotipi di HCV (tranne il
genotipo 5 per il Fab e137). Tra i genotipi legati è compreso il genotipo 2 che è il più
distante filogeneticamente, indicando la capacità di questi Fab di riconoscere un epitopo
potenzialmente conservato tra i diversi genotipi e sottotipi. Inoltre si può anche
concludere che i Fab e20 ed e137 mostrano un’elevata affinità (6 nM e 40nM,
rispettivamente) calcolata mediante ELISA, nei confronti della glicoproteina E2
ricombinante di genotipo 1a (isolato H77).
Per questo motivo sono stati condotti esperimenti volti a definire quali fossero i
residui aminoacidici coinvolti nel legame tra la glicoproteina e questi anticorpi.
I primi studi di legame di e20 e di e137 condotti in ELISA con peptidi lineari,
rappresentanti tutta la glicoproteina E2, e con peptidi multipli derivati da HVR1 hanno
dato esiti negativi, indicando quindi che i Fab riconoscessero un epitopo
conformazionale esterno a HVR1 della glicoproteina E2.
Di conseguenza è stata utilizzata una strategia alternativa per lo studio dell’epitopo di
e20 ed e137. In particolare si è condotto un saggio ELISA di competizione per il legame
alla glicoproteina E2 ricombinante (genotipo 1a, H77) dei Fab con un pannello di
anticorpi murini e di ratto diretti contro epitopi noti. Si è osservato che il legame dei Fab
e20 ed e137 viene bloccato dall’anticorpo di ratto 9/75 (diretto contro un epitopo lineare
della glicoproteina E2 che comprende la regione che inizia dal residuo 528 e finisce al
residuo 535) con una inibizione del legame del 76% e 81% rispettivamente. Il legame
del Fab e20 viene ostacolato per il 57% dall’anticorpo di ratto 1/39, che riconosce la
regione aminoacidica 436-443; mentre il legame del Fab e137 viene inibito per il 45%
dall’anticorpo di ratto 2/64a, il cui epitopo lineare comprende i residui tra la posizione
524 e la posizione 535 sulla glicoproteina E2. Inoltre si è osservato che e20 ed e137
competono parzialmente con AP33 (inibizione del legame del 40% e del 55%,
rispettivamente), l’anticorpo monoclonale murino diretto contro la regione aminoacidica
133
412-423 di E2 e che attualmente risulta essere l’anticorpo con il più ampio spettro di
cross-reattività e cross-neutralizzazione.
Questi dati sono stati confermati anche dallo studio condotto, mediante
citofluorimetria su un pannello di glicoproteine E1E2 mutante in singoli residui
aminoacidici in alanina. Tramite questa strategia sembrerebbe che l’epitopo
conformazionale del Fab e20 e del Fab e137 sia incentrato a livello delle regioni
aminoacidiche che vanno dal residuo 528 al 535 e dal residuo 436 al 443, e per il solo
e137 dal residuo 412 al 423, tutte regioni esterne a HVR1.
Analizzando la prima regione, i residui che mutati abrogano totalmente il legame di
e20 ed e137 alla glicoproteina sono gli aminoacidi: W529, G530 e D535. Questi residui
sono localizzati all’interno dell’epitopo riconosciuto dall’anticorpo monoclonale 9/75.
Tramite l’allineamento parziale delle sequenze aminoacidiche dei vari isolati di HCV,
utilizzanti nello studio, si evidenzia che tali residui sono conservati nei vari genotipi e
sottotipi, dando forse una spiegazione dell’ampia cross-reattività dei Fab (Figura 33). Di
notevole rilevanza risulta anche il fatto che questi residui sono fondamentali per il
legame della glicoproteina E2 al recettore cellulare CD81.
Figura 33 | Allineamento parziale di una sequenza aminoacidica degli isolati di HCV usati in questo
studio. Il genotipo di ogni isolato è riportato a sinistra. I residui W529, G530 e D535 conservati tra i vari
isolati sono stati evidenziati in grigio.
Analizzando la seconda regione, i residui che mutati inibiscono il legame di e20 a E2
risultano essere gli aminoacidi W437 e F442; mentre per il Fab e137 emergono essere i
residui W437, L438, L441 e F442. Tutti questi residui sono localizzati all’interno
dell’epitopo riconosciuto dall’anticorpo monoclonale 1/39, e sono contenuti nella
regione descritta in letteratura come quella riconosciuta dagli anticorpi non neutralizzati
134
in grado di interferire con l’attività dei cloni neutralizzanti (Zhang et al., 2009). I nostri
dati sembrerebbero contrastare con le osservazioni descritte da Zhang et al., infatti i
nostri Fab non solo sono in grado di riconoscere alcuni residui contenuti in questa
regione, ma possiedeno anche un’attività neutralizzante rilevante, come verrà discusso
in seguito. Quindi in vivo si potrebbe sia sfruttare l’attività neutralizzante di e20 ed
e137, sia la capacità di legare tale regione mascherandola ed ostacolando il legame di
anticorpi non neutralizzanti.
Si è inoltre constatato che i residui aminoacidi T416 e W420, contenuti all’interno
della regione riconosciuta dall’anticorpo murino AP33, inibiscono il legame del Fab
e137. Nessuna delle mutazioni a livello di questa regione abolisce il legame di e20 alla
glicoproteina, questo suggerisce che gli epitopi riconosciuti dal Fab e dall’anticorpo
murino sono prossimali ma non sovrapposti, come invece suggerito dall’ELISA di
competizione. L’inibizione del legame, osservata può essere dovuta o ad un ingombro
sterico (infatti ricordiamo che e20 è un frammento anticorpale mentre AP33 è un
anticorpo intero, che è bivalente ed ha un peso molecolare pari a tre volte quello del
Fab) o ad un cambiamento conformazionale della glicoproteina indotto dal legame di
AP33 in grado di impedire il legame di e20. Le stesse argomentazioni possono essere
usate per spiegare il fatto che nessuna mutazione all’interno della regione riconosciuta
dall’anticorpo 2/64a (regione aminoacidica dal 524 al 535) è in grado di abrogare il
legame del Fab e137.
Complessivamente grazie a questi studi deduciamo che il Fab e20 ed il Fab e137
sono diretti contro un epitopo conformazionale; in particolare l’epitopo del Fab e20
coinvolge 5 residui aminoacidici: W437, F442, W529, G530 e D535; mentre quello del
Fab e137 coinvolge 9 residui aminoacidici: T416, W420, W437, L438, L441, F442,
W529, G530 e D535.
Avendo osservato il fatto che i nostri Fab riconoscono residui aminoacidici sulla
glicoproteina E2 essenziali per il legame al CD81, si è deciso di valutare la capacità dei
Fab di inibire il legame fra uno dei recettori cellulari importante per l’entry di HCV e la
glicoproteina virale. In particolar modo si è condotto un saggio ELISA di competizione
per il legame alla glicoproteina E2 ricombinante (genotipo 1a, H77) dei nostri Fab con il
CD81-LEL umano. Analizzando le percentuali d’inibizione di legame del CD81-LEL
alla glicoproteina E2 calcolate per le varie concentrazione di e20 ed e137 testate, si è
135
osservato come tale capacità mostri un andamento dose-dipendende, ovvero ad alte
concentrazioni (30 μg/mL) del Fab e20, la percentuale di inibizione è pari al 72%;
mentre nel caso del Fab e137, la percentuale di inibizione è pari al 43%. Viceversa non
si osserva inibizione del legame facendo competere il CD81-LEL con un Fab anti-E2 di
controllo, il cui epitopo è esterno alla regione importante per il legame fra glicoproteina
virale e il recettore cellulare.
Questi dati confermano che i Fab e20 ed e137 sono diretti contro una regione della
glicoproteina E2 importante per il legame del virus al CD81. Questa regione inoltre è
conservata tra i diversi genotipi, suggerendo che la scarsa o assente variabilità a questo
livello è necessaria per mantenere alcune funzioni cruciali della glicoproteina nel ciclo
vitale del virus (fase dell’entry). Tutto questo indicherebbe il fatto che varianti virali
aventi mutazioni a tale livello, e per questo in grado di sfuggire al legame con
l’anticorpo, potrebbero avere una ridotta capacità replicativa.
Vista la capacità del Fab e20 ed e137 di riconoscere i diversi genotipi di HCV e di
inibire il legame fra E2-CD81 si è deciso di valutare l’attività biologica di questi
anticorpi.
Il primo approccio è stato di caratterizzare l’attività neutralizzante di e20 ed e137 nei
confronti dell’infettività di pseudovirus HCV/MLV mostranti sulla superficie le
glicoproteine E1E2 dei diversi genotipi. Questo approccio ha mostrato che i Fab hanno
una potente attività neutralizzante nei confronti dei genotipi 1a, 2a e 4; infatti il Fab e20
mostra IC50 di 7,5 μg/mL per HCVpp genotipo 1a e 2a e di 1,6 μg/mL per HCVpp
genotipo 4; mentre il Fab e137 mostra IC50 di 7,5 μg/mL per HCVpp genotipo 1a e 2a e
di 5 μg/mL per HCVpp genotipo 4. I Fab e20 ed e137 sono stati in grado di
neutralizzare con minore efficienza anche il genotipo 1b (IC50=15 μg/mL e 20 μg/mL,
rispettivamente) e il genotipo 2b (IC50=30 μg/mL e 20 μg/mL, rispettivamente). Non è
stato possibile attuare il saggio di neutralizzazione con i genotipi 3 e 6 a causa della
bassa infettività e non riproducibilità osservata per tali genotipi. Un aspetto interessante
è il fatto che nonostante il Fab e20 risulti in grado di legare la glicoproteina E2 di
genotipo 5 espressa sulle cellule trasfettate, non è stata osservata attività neutralizzante
nei confronti di HCVpp mostrante la stessa glicoproteina (stesso isolato virale usato
negli esperimenti di cross-reattività); questo può esser dovuto al ruolo giocato dai
residui aminoacidici esterni al sito di legame del CD81 e non testati nel pannello di
136
mutanti, ma ugualmente importanti per l’attività neutralizzante di e20 nei confronti del
genotipo 5.
Il secondo approccio è stato quello di caratterizzare l’attività neutralizzante di e20 ed
e137 nei confronti dell’infettività di un autentico isolato infettivo di HCV (sistema del
HCVcc, basato sull’isolato JFH1, genotipo 2a). Anche con questo sistema, l’attività
neutralizzante è stata confermata. Inoltre si è osservato che l’IC50 ricavata mediante
questa strategia risulta inferiore di quella ottenuta con HCVpp per lo stesso genotipo e
sottotipo, infatti in questo caso l’IC50 è pari a circa 2 μg/mL, mentre quella osservata
con HCVpp di genotipo 2a è di 7,5 μg/mL. Come descritto in letteratura (Keck et al.,
2007), la discrepanza osservata tra le IC50 può essere attribuita alle differenze nel profilo
di neutralizzazione tra i due sistemi, soprattutto relativamente al diverso pattern di
glicosilazione di E1E2 e al differente assemblaggio delle particelle virali; fattori che
possono modificare l’organizzazione delle glicoproteina dell’envelope e rendere in
alcuni casi l’epitopo meno accessibile ai Fab. Tuttavia attualmente non è possibile
stabilire quale dei due modelli sia più predittivo della attività neutralizzante in vivo.
Ricordiamo che le particelle che si vengono a formare attraverso il sistema delle colture
cellulari (HCVcc) sembrerebbero più simili ai virioni isolati da plasma, rispetto a quelle
che si formano con il sistema degli HCVpp; infatti si è visto che i virioni prodotti dalle
cellule Huh-7 hanno un diametro simile al virus wild-type (circa 55 nm) e risultano
avere una densità eterogenea ad indicare la produzione sia di virioni liberi che di virioni
associati alle lipoproteine (Gastaminza et al., 2006; Lindenbach et al., 2005; Wakita et
al., 2005; Zhong et al., 2005). Quindi sono necessari ulteriori studi per caratterizzare
l’associazione tra HCVcc e le lipoproteine per vedere se quello che si osserva in vitro
riflette le caratteristiche dei complessi HCV-lipoproteine presenti nei pazienti. A
tutt’oggi non può quindi essere dimostrato se tale variante virale (JFH1) sia altamente
rappresentativa della biologia di HCV in vivo.
Infine per poter comprendere a quale livello del ciclo virale (binding o post-binding)
i Fab e20 ed e137 interagissero, sono stati condotti esperimenti in cui è stata valutata la
cinetica di neutralizzazione dell’infettività di pseudovirus HCV/MLV esprimenti sulla
superficie le glicoproteine E1E2 del genotipo 1a (H77) sulla base degli studi svolti da
Haberstroh et al, 2008.
137
Il protocollo 1, in cui l’anticorpo viene aggiunto sia durante il binding virale che
dopo, ha evidenziato la capacità dei Fab e20 ed e137 di inibire l’infettività virale, ma
non ci permette di comprendere quale sia la fase in cui esercita tale effetto, se non
tramite il confronto dei risultati ottenuti con il protocollo 2. Il protocollo 2, in cui
l’anticorpo viene aggiunto solamente dopo il legame dei HCVpp ai recettori a bassa
affinità (principalmente glicosamminoglicani), ha evidenziato la capacità dei Fab e20 ed
e137 di inibire l’infettività virale agendo dopo il binding virale.
Inoltre dai dati ottenuti eseguendo il protocollo 2 con diverse concentrazioni di Fab
risulta che l’attività neutralizzante di e20 ed e137 mostra un andamento dose
dipendente, in cui la capacità neutralizzante aumenta all’aumentare della concentrazione
dei Fab, come osservato nei saggi di neutralizzazione classici. Inoltre mediante il
protocollo 2 in cui viene aggiunto l’anticorpo a diversi time point, si è osservato che i
Fab sono capaci di interferire con gli eventi immediatamente successivi al legame viruscellula. Questo comportamento lo si può dedurre anche confrontando le curve dei Fab
e20 ed e137, dell’anticorpo murino AP33 e dell’eparina, ottenute con questo protocollo.
Come descritto in letteratura, l’eparina esercita il suo effetto neutralizzante durante il
binding, infatti essendo un glicosamminoglicano è ingrado di competere con gli altri
recettori a bassa affinità per il legame degli pseudovirus (Burlone and Budkowska,
2009); mentre AP33 esercita il suo effetto neutralizzante durante gli step post-binding
(Haberstroh et al., 2008) interferendo con il legame degli pseudovirus ai recettori ad alta
affinità (CD81, SR-BI, Claudina1 e Occludina). Il Fab e20, il Fab e137 e l’anticorpo
AP33 mostrano la stessa cinetica di neutralizzazione con il protocollo 2 a diversi time
point, indicando quindi il fatto che agiscano durante gli stessi step dell’infezione, ciò
può essere dovuto al fatto che tutte queste molecole siano dirette contro porzioni della
glicoproteina E2 importanti per il legame con i recettori cellulari ad alta affinità.
Il Fab e20 ed il Fab e137 sono alcuni dei pochi anticorpi monoclonali umani di cui è
stato dimostrata un ampia capacità reattiva e una attività cross-neutralizzante. Infatti,
nonostante siano stati descritti molti anticorpi monoclonali umani diretti contro HCV, i
dati relativi alla cross-reattività e alla cross-neutralizzazione sono ancora molto limitati
(Tabella 4).
138
HmAb
Residui cruciali su E2
IC50(μg/mL)
(IgG1)
(H77)
sistema utilizzato
Referenze
e genotipo usato
1:7
G523,W529,G530,D535
0,06 (HCVcc 2a)
Johansson (2007)
A8
G523,W529,G530,D535
0,56 (HCVcc 2a)
Johansson (2007)
CBH-5
C494,V497,G523,P525,
1,77 (HCVpp 1b),
Owsianka(2008),
G530,D535,N540,R614,
0,1 (HCVpp 2a),
Iacob(2008),
H617,Y618,P619,T621,
13 (HCVpp 2b),
Keck(2004,2007,2008)
F624
0,056(HCVcc 2a),
0,04 (HCVcc 2b)
CBH-7
C494,V497,N540,W549,
25,58(HCVcc 2a),
Owsianka(2008),
R614,H617,Y618,P619,
1,3 (HCVcc 2b)
Iacob(2008),
T621,F624
Keck(2004,2007,2008)
Tabella 4 | Anticorpi monoclonali umani anti-HCV/E2 attualmente pubblicati. I residui sottolineati sono
in comune con l’epitopo riconosciuto dal Fab e20 ed e137.
I dati ottenuti in termini di IC50 per questi anticorpi non possono esser paragonati con
l’IC50 del Fab e20 e del Fab e137, in quanto differenti sono: gli isolati virali utilizzati, le
condizioni sperimentali adottate, i residui importanti per il legame della molecola
anticorpale con la glicoproteina E2 e soprattutto perché tali anticorpi sono stati testati
sotto forma di IgG intera, che ricordiamo esser bivalente, a differenza dei Fab. Inoltre
nonostante le IC50 ottenute per CBH-5 e CBH-6 siano promettenti, tali anticorpi non
sono stati in grado di neutralizzare HCV di genotipo 1a (Op De Beeck et al., 2004), che
insieme al genotipo 1b sono i genotipi più diffusi e che presentano una minore
percentuale di successo alla terapia attuale con IFNα-PEGilato e ribavirina.
Ricordiamo che un anticorpo per poter essere utilizzato in una sperimentazione
clinica deve aver un IC50 facilmente raggiungibile in vivo, a questo proposito una
recente sperimentazione clinica ha valutato l’uso di un anticorpo monoclonale diretto
contro E2 di HCV come supporto nella prevenzione della re-infezione di pazienti
sottoposti a trapianto di fegato in seguito a infezione cronica da HCV (Schiano and
139
Martin, 2006). Questo studio ha dimostrato una efficacia limitata, che può essere
spiegata dal fatto che la molecola testata ha mostrato una scarsa attività neutralizzante in
vitro nei confronti del genotipo 1a, con una IC50 pari a 20 µg/mL (Eren et al., 2006);
una concentrazione abbastanza difficile da raggiungere in vivo.
Considerando il fatto, che l’attività biologica di e20 ed e137 è stata valutata come
frammento anticorpale (monovalente) e non come immunoglobulina intera (bivalente) e
come è stato già descritto in letteratura, l’attività di un anticorpo può aumentare anche
di sessanta volte quando presente nel suo formato di IgG (Lamarre and Talbot, 1995;
Zhang et al., 2004c). Se la neutralizzazione di HCV valutata nel sistema di coltura
cellulare rappresentasse una proiezione fedele della attività protettiva in vivo, e l’attività
di e20 ed e137 nella forma di IgG intera fosse 10 volte più alta, la somministrazione
degli anticorpi monoclonali derivati da e20 ed e137 potrebbe facilmente raggiungere in
vivo livelli terapeutici e quindi potrebbe rappresentare un valido strumento per
l’immunoterapia passiva.
Inoltre la somministrazione di e20 ed e137 in combinazione con altri anticorpi
neutralizzanti potrebbe portare complessivamente ad un aumento dell’attività
neutralizzante e ad un ampliamento degli isolati di HCV neutralizzati.
In conclusione la disponibilità di anticorpi monoclonali umani cross-reattivi con una
forte capacità cross-neutralizzante può fornire un grande aiuto nella comprensione del
complicato rapporto ospite-virus in quanto, permette di determinare i residui che
svolgono un ruolo fondamentale per il ciclo virale. Inoltre, l’identificazione di epitopi
conservati tra i vari genotipi che se somministrati nell’uomo stimolano la produzione di
anticorpi protettivi, può offrire nuove opportunità per lo sviluppo di un vaccino efficace.
140
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6. RINGRAZIAMENTI
Non c’è ombra di dubbio che il primo grosso GRAZIE lo devo alla mia famiglia:
mamma, papà, la mia piccola sorellina ballerina Miriam e il mio angioletto Osvaldo.
Tutto quello che ho, e tutto quello che ho imparato lo devo a loro, che mi sono sempre
stati accanto, in ogni momento, bello o brutto che sia stato.
Ringrazio anche i miei zii ‘di sopra’ , che ormai fanno parte della mia famiglia
allargata con la ‘cuoca-infermiera’ Stefania e con ‘la tuttofare’ Martina (altre due
sorelline).
Un grazie lungo dall’Italia all’Olanda, per una persona speciale: Gabriele; che con la
sua pazienza e perseveranza mi è sempre stato vicino.
Ringrazio i Professori Clementi Massimo e Roberto Burioni per avermi dato la
possibilità di svolgere il mio progetto di tesi nel Laboratorio di Microbiologia e
Virologia di Laboraf. Ringrazio la Dott.ssa Laura Solforosi e il Dott.re Nicasio Mancini
per i validi consigli e per la loro disponibilità.
Un grazie speciale alla mia compagna di viaggio: Donata; e a tutti i miei colleghi che
hanno lavorato con me in questi anni: Gisella, Giuseppe, Chiara, Monica, Alice e
Nicola, non potrò mai dimenticare i bei momenti passati in laboratorio e fuori insieme.
Grazie anche a voi due e a ‘san palo’…almeno questo non potete criticarmelo…!!
Lo so che non sono brava con le parole, ma tutti questi ringraziamenti sono stati
veramente fatti con il cuore….GRAZIE.
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