UNIVERSITA’ POLITECNICA DELLE MARCHE FACOLTA’ DI MEDICINA E CHIRURGIA Dottorato di Ricerca in Patologie Immunometaboliche, degenerative e infettive CARATTERIZZAZIONE DI DUE ANTICORPI MONOCLONALI UMANI CROSS-NEUTRALIZZANTI DIRETTI CONTRO LA GLICOPROTEINA E2 DEL VIRUS DELL’EPATITE C Coordinatore: Prof. Pietro E. Varaldo Tutor: Prof.ssa Patrizia Bagnarelli Tesi di Dottorato di: ROBERTA ANTONIA DIOTTI Anno Accademico 2009-2010 Per la mia famiglia CONSULTAZIONE TESI DI LAUREA La sottoscritta nata a ROBERTA ANTONIA DIOTTI TREVIGLIO (BG) il 11/10/1982 autore della tesi dal titolo CARATTERIZZAZIONE DI DUE ANTICORPI MONOCLONALI UMANI CROSS-NEUTRALIZZANTI DIRETTI CONTRO LA GLICOPROTEINA E2 DEL VIRUS DELL’EPATITE C NON AUTORIZZA la consultazione della tesi stessa. Data......................... Firma……………………… UNIVERSITA' POLITECNICA DELLE MARCHE Facoltà di Medicina e Chirurgia Dottorato di Ricerca in Patologie Immunometaboliche, degenerative e infettive Tesi di Laurea di: Roberta Antonia Diotti Coordinatore: Prof. Pietro E. Varaldo Tutor: Prof.ssa Patrizia Bagnarelli CARATTERIZZAZIONE DI DUE ANTICORPI MONOCLONALI UMANI CROSS-NEUTRALIZZANTI DIRETTI CONTRO LA GLICOPROTEINA E2 DEL VIRUS DELL’EPATITE C Nell’80% dei casi di infezione, il virus dell’epatite C (HCV) supera le difese dell’ospite e stabilisce un’infezione persistente, che espone il paziente al rischio di sviluppare cirrosi e epatocarcinoma. La terapia basata su ribavirina e interferone è costosa, poco efficace e gravata da effetti collaterali. Nonostante la grande variabilità genetica del virus, concentrata soprattutto a livello delle glicoproteine E1E2 dell’envelope, sono state descritte alcune regioni di E2 conservate tra i diversi genotipi, suggerendo che la scarsa variabilità di tali regioni è necessaria per mantenere alcune funzioni cruciali della glicoproteina nel ciclo virale. Pertanto l’identificazione e la caratterizzazione di anticorpi diretti contro queste porzioni conservate di E2 potrebbe fornire un contributo per lo sviluppo di una valida immunoterapia passiva e per la realizzazione di un vaccino efficace. In questa tesi sono stati caratterizzati due frammenti anticorpali monoclonali umani (Fab e20 e Fab e137) diretti contro la glicoproteina E2. e20 ed e137 sono stati clonati dal repertorio linfocitario di una paziente infetta in modo cronico da HCV genotipo 1b. Per selezionare dei cloni potenzialmente cross-reattivi, la library anticorpale ottenuta dalla paziente è stata screenata contro una glicoproteina E2 ricombinante derivata da un sottotipo diverso: 1a. Tramite studi di binding, e20 ed e137 sono risultati in grado di legare E2 di tutti i genotipi (tranne il genotipo 5 per il Fab e137). Esperimenti condotti con peptidi lineari, saggi di competizione con anticorpi diretti contro epitopi noti e la generazione di mutanti sito-specifici di E2 hanno dimostrato che e20 ed e137 sono diretti contro un epitopo conformazionale. In particolar modo, l’epitopo del Fab e20 coinvolge i residui aminoacidici: W437, F442, W529, G530 e D535; mentre quello del Fab e137 coinvolge: T416, W420, W437, L438, L441, F442, W529, G530 e D535. I residui W529, G530, D535 risultano essere conservati fra i vari genotipi e coinvolti nel legame di E2 al CD81. Saggi di competizione fra il Fab e20 o il Fab e137 e CD81 confermano che i Fab sono diretti contro una regione di E2 importante per il legame del virus al recettore cellulare. Si è osservato che i Fab riconoscono dei residui contenuti della porzione della glicoproteina E2 che va dall’aminoacido 436 al 447, regione descritta in letteratura come quella riconosciuta dagli anticorpi non neutralizzati in grado di interferire con l’attività dei cloni neutralizzanti. I nostri dati sembrerebbero contrastare questa affermazione, infatti i Fab e20 ed e137 non solo sono in grado di riconoscere alcuni residui contenuti in questa regione, ma possiedono anche un’attività neutralizzante rilevante. Inoltre il legame del Fab e137 viene abrogato anche da due mutazioni a livello dell’epitopo riconosciuto dall’anticorpo murino AP33, descritto in letteratura come il clone con un ampia cross-reattività ed un’elevata attività neutralizzante. I Fab e20 ed e137 possiedono una potente attività cross-neutralizzante. Nel saggio di neutralizzazione con pseudovirus, e20 ed e137 neutralizzano i genotipi 1a, 2a e 4 (IC50 intorno ai 7 µg/mL) e meno efficientemente i genotipi 1b e 2b. L’attività neutralizzante è stata confermata in un saggio di neutralizzazione basato sull’uso di un particolare isolato virale in grado di replicare in vitro (IC50 intorno ai 2 µg/mL). Grazie agli studi di cinetica di neutralizzazione è emersa la capacità dei Fab e20 ed e137 di inibire l’infettività virale agendo dopo il binding del virus alle cellule bersaglio; in particolare interferiscono con gli eventi immediatamente successivi al legame tra virus e recettori a bassa affinità. Analizzando questi dati, possiamo concludere che abbiamo identificato e caratterizzato due frammenti anticorpali con un ampia cross-reattività ed una potente attività cross-neutralizzante, in quanto sono in grado di legare dei residui aminoacidici sulla glicoproteina E2 che svolgono un ruolo chiave nel ciclo virale e che risultano essere conservati tra i vari genotipi. Per cui questi Fab risultano essere fondamentali per lo sviluppo di una immunoterapia passiva efficace e per lo studio dell’interazione virusospite. UNIVERSITA' POLITECNICA DELLE MARCHE Facoltà di Medicina e Chirurgia Dottorato di Ricerca in Patologie Immunometaboliche, degenerative e infettive Tesi di Dottorato di: Roberta Antonia Diotti Coordinatore: Prof. Pietro E. Varaldo Tutor: Prof.ssa Patrizia Bagnarelli CHARACTERIZATION OF TWO HUMAN MONOCLONAL ANTIBODIES CROSS-NEUTRALIZING DIRECTED AGAINST THE E2 ENVELOPE GLYCOPROTEIN OF HEPATITIS C VIRUS In approximately 80% of the cases of infection, hepatitis C virus (HCV) overcomes the host immune response, leading to a chronic infection associated with an increased risk of severe liver diseases. Current therapy (ribavirin and interferon) is expensive, can have adverse side effects and is ineffective for approximately 50% of patients. Despite the genetic variability of the virus at the level of E1E2 envelope glycoproteins, some regions conserved among different E2 genotypes have been described, suggesting that no variability at this level is required to maintain critical functions of the glycoprotein in the life cycle of the virus. Therefore, the identification and characterization of antibodies directed against these regions can theoretically provide a valuable contribution to the creation of an effective vaccine and to the development of passive immunotherapy. In this thesis, two human monoclonal antibody fragments (Fab e20 and Fab e137) directed against the HCV E2 glycoprotein, have been characterized. The antibodies were cloned from lymphocytes of a patient chronically infected with HCV genotype 1b. In order to select cross-reactive clones, the library obtained from the patient was screened against a recombinant glycoprotein E2 derived from a different subtype: 1a. In binding experiment, e20 and e137 are capable of binding E2 of all genotypes (e137 is not able to bind genotype 5). Several studies with linear peptides representing different portions of E2, competition assays with antibodies directed against known epitopes and the generation of site-specific mutants of E2 showed that e20 and e137 are directed against a conformational epitope. In particular, the epitope of Fab e20 includes the amino acids: W437, F442, W529, G530 e D535; whereas the epitope of Fab e137 includes the amino acids: T416, W420, W437, L438, L441, F442, W529, G530 e D535. The residues W529, G530, D535 are conserved between different genotypes and involved in the binding of E2 to CD81. Additional tests of competition, between e20 or e137 and CD81, confirmed that the Fabs are directed against a region of E2 important for the binding of virus to cellular receptor. Fab e20 and e137 are able to recognize amino acids within the region 436-447, that is described to bind unneutralizing antibodies, that interfere with the neutralizing antibodies. Furthermore, the data highlight that the epitope of e137 includes two conserved residues (aa 416 and 420) that were described to be within the epitope recognized by mouse monoclonal antibody AP33. The Fab e20 and Fab e137 have a potent cross-neutralizing activity. In the neutralization assay with pseudovirus e20 and e137 neutralize genotypes 1a, 2a and 4 (IC50 approximately 7 µg/mL) and less efficiently genotypes 1b and 2b. The neutralizing activity was also confirmed in a different neutralization assay based on a particular virus isolate that can replicate in vitro (IC50 approximately 2 µg/mL). Finally, the kinetic of neutralization study has shown the ability of the Fab e20 and Fab e137 to inhibit viral infectivity by acting after viral binding to target cells, in particular they are capable of interfering with the events immediately after the binding between virus and low affinity receptor. The data highlight that we identified and characterized two different broadly crossreacting and neutralizing human monoclonal antibody fragments direct against highly conserved residues of E2 glycoprotein, that are crucial for CD81 binding and HCVpp infectivity. Overall, the availability of cross-reactive monoclonal antibodies with strong neutralizing activity (i) allows a better understanding of the virus-host interplay, (ii) provides new opportunities to develop antigens potentially able to elicit a broadly neutralizing immune response, and (iii) may assist in the development of an effective passive immunotherapy for HCV infection. SOMMARIO 1. INTRODUZIONE .................................................................................................. 3 1.1 Il virus dell’epatite C (HCV) ............................................................................. 3 1.2 Il ciclo replicativo di HCV............................................................................... 16 1.3 Variabilità genetica di HCV............................................................................. 29 1.4 Storia naturale dell’epatite C ........................................................................... 32 1.5 Epidemiologia dell’epatite C ........................................................................... 36 1.6 Diagnostica dell’infezione da HCV ................................................................. 37 1.7 Trattamento farmacologico dell’epatite C ....................................................... 39 1.8 Modelli in vitro utilizzati per lo studio di HCV............................................... 42 1.9 La risposta immunologica nei confronti delle infezioni virali......................... 53 1.10 Gli anticorpi: struttura e funzione .................................................................. 56 1.11 La risposta immunitaria nei confronti del virus dell’epatite C ...................... 63 1.12 Razionale dello studio.................................................................................... 82 2. MATERIALI E METODI................................................................................... 86 2.1 Costruzione della library anticorpale............................................................... 86 2.2 Panning della library anticorpale fagica .......................................................... 88 2.3 Produzione dei Fab e20 ed e137 ...................................................................... 90 2.4 Purificazione dei Fab e20 ed e137 ................................................................... 91 2.5 Titolazione e calcolo dell’affinità dei Fab e20 ed e137 mediante ELISA ....... 92 2.6 Valutazione del legame dei Fab e20 ed e137 sulla glicoproteina E2 derivante dai diversi genotipi di HCV................................................................................... 94 2.7 Determinazione dell’epitopo riconosciuto dai Fab e20 ed e137...................... 97 2.8 Valutazione della capacità dei Fab e20 ed e137 di inibire il legame fra il recettore CD81 e la glicoproteina E2................................................................... 100 2.9 Valutazione dell’attività biologica dei Fab e20 ed e137................................ 103 2.10 Saggio di cinetica di neutralizzazione dei Fab e20 ed e137 ........................ 108 3. RISULTATI........................................................................................................ 112 3.1 Panning della library su HCV/E2.................................................................. 112 1 3.2 Analisi di sequenza dei Fab e20 ed e137 .......................................................113 3.3 Valutazione della cross-reattività dei Fab e20 ed e137 ..................................115 3.4 Studio dell’affinità dei Fab e20 ed e137 mediante saggio ELISA .................118 3.5 Definizione dell’epitopo riconosciuto dai Fab e20 ed e137...........................119 3.6 Valutazione della capacità dei Fab e20 ed e137 di inibire il legame fra il CD81-LEL umano e la glicoproteina E2 ricombinante (genotipo 1a, H77) ........123 3.7 Valutazione della attività biologica dei Fab e20 ed e137...............................124 3.8 Valutazione della cinetica di neutralizzazione dei Fab e20 ed e137 su pseudovirus HCV/MLV esprimenti sulla superficie le glicoproteine E1E2 di genotipo 1a (isolato H77).....................................................................................128 4. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI..................................................................132 5. BIBLIOGRAFIA ................................................................................................141 2 1. INTRODUZIONE 1.1 Il virus dell’epatite C (HCV) 1.1.1 Flaviviridae Il virus dell’epatite C (HCV, Hepatitis C virus), agente eziologico dell’epatite non A, non B (NANB), (Feinstone et al., 1975), è stato identificato nel 1989 da Choo e colleghi grazie all’impiego di tecniche di biologia molecolare. La disponibilità di grandi quantità di plasma di uno scimpanzé infetto con l’agente eziologico di un’epatite virale NANB, ha permesso di costruire, mediante l’impiego del fago λ, una libreria di DNA complementare (cDNA), a partire dagli acidi nucleici estratti dal plasma, e di identificare, successivamente, un clone di E. Coli che esprimeva una proteina ricombinante virus-specifica (Choo et al., 1989; Choo et al., 1991). In seguito è stato clonato l’intero genoma virale, che attraverso analisi di sequenza, ha permesso di classificare HCV come membro di un distinto genere, chiamato Hepacivirus, all’interno della famiglia delle Flaviviridae a cui appartengono anche il genere Flavivirus (virus della febbre gialla, virus della febbre Dengue, virus West Nile e virus dell’encefalite giapponese), il genere Pestivirus (virus della diarrea virale bovina e virus della febbre classica suina) e i virus non classificati: il GB virus A (GBV-A), il GB virus B (GBVB) e il GB virus C (GBV-C)/virus dell’epatite G (HGV) (Figura 1) (Bartenschlager and Lohmann, 2000; Murphy, 1995). Il virus dell’epatite C presenta un’organizzazione genomica e un profilo di idrofobicità della poliproteina da esso codificata che sono simili a quelli dei Pestivirus e dei Flavivirus (Miller and Purcell, 1990). 3 Figura 1 | Albero filogenetico della famiglia Flaviviridae basato sull’analogia della regione dell’elicasi NS3. In particolare sono mostrati i membri dei generi Flavivirus (YF: virus della febbre gialla; DEN-1 e DEN-2: Dengue virus 1 e 2; WN: virus West Nile; JE: virus dell’encefalite giapponese), Pestivirus (BVDV: virus della diarrea virale bovina; CSFV: virus della febbre classica suina) e alcuni isolati degli Hepacivirus (HCV) e i virus non classificati GBV-A, GBV-B e GBV-C(Fields, 2001). 1.1.2 Il virus dell’epatite C La particella virale di HCV ha una morfologia sferica e un diametro di circa 55 nm, presenta un envelope, in cui sono inserite le glicoproteine di superficie virali E1 ed E2, che circonda un nucleocapside a simmetria icosaedrica costituito dalla proteina Core la quale racchiude il genoma virale (Figura 2). Figura 2 | Particella virale di HCV, la quale presenta una densità di 1.15-1.17 g/ml e una morfologia sferica con un diametro di circa 55 nm (Wakita et al., 2005). 4 Ultracentrifugando il siero dei pazienti con epatite C acuta e cronica si rileva la presenza di una popolazione di particelle di HCV eterogenea con una densità che va da 1,03 a 1,34 g/ml (Andre et al., 2005). Le particelle di HCV a bassa densità sono associate principalmente alle lipoproteine e rappresentano il virus infettivo, mentre le particelle di HCV ad alta densità sono associate alle immunoglobuline, sottoforma di immunocomplessi che risultano essere meno infettive (Aiyama et al., 1996; Andre et al., 2002; Dienstag et al., 1979; Thomssen et al., 1993). Solo una piccola popolazione delle particelle sieriche ha proprietà corrispondenti al virione di HCV descritto precedentemente, poi troviamo altre forme del virus: le virolipoparticelle (LVPs) composte da virioni e lipoproteine ricche di trigliceridi, gli exosomi cioè vescicole membranose in cui si rilevano proteine dell’envelope virale ed infine troviamo i nucleocapsidi di HCV non ricoperti da envelope (Andre et al., 2002; Diaz et al., 2006; Maillard et al., 2001; Masciopinto et al., 2004; Nielsen et al., 2006; Petit et al., 2005). Il genoma dell’HCV è costituito da un singolo filamento di RNA a polarità positiva della lunghezza di circa 9.500 nucleotidi che presenta alle estremità due regioni non tradotte (UTR, UnTranslated Region) e contiene un’unica Open Reading Frame (ORF) che codifica per una poliproteina di circa 3.010 aminoacidi (Choo et al., 1991; Feinstone and Purcell, 1983; Trestard et al., 1998; Yoshikura et al., 1996). La poliproteina virale è processata sia da proteasi cellulari che virali a formare 10 specifici prodotti genici virali: le proteine strutturali (Core, E1, E2 e p7) collocate nella porzione N-terminale della poliproteina e le proteine non strutturali (NS2, NS3, NS4A, NS4B, NS5A e NS5B) derivanti dalla rimanente porzione della poliproteina (Grakoui et al., 1993; Penin et al., 2004) . Le proteine strutturali sono rilasciate dalla poliproteina dopo il taglio da parte da signal peptidasi presenti nel reticolo endoplasmatico della cellula ospite mentre le proteine non strutturali sono rilasciate dalla poliproteina dopo il clivaggio da parte delle proteasi virali (NS2-3 e NS3-4A) (Figura 3) (Reed and Rice, 2000). 5 Figura 3 | Struttura del genoma di HCV. (A) Il genoma consiste in un’unica ORF che codifica per una poliproteina di circa 3010 aminoacidi, fiancheggiata alle estremità da due sequenze non codificanti. La sequenza 5’-UTR contiene un Internal Ribosome Entry Site (IRES) ed insieme all’estremità 3’-UTR è coinvolta nella traduzione dell’RNA virale. (B) La poliproteina tradotta è processata da proteasi cellulari e virali. Nell’immagine, i numeri al di sotto della poliproteina indicano i residui aminoacidici in cui avviene il clivaggio. (C) Rappresentazione delle risultanti 10 proteine virali: strutturali e non strutturali (Rehermann, 2009). 1.1.2.1 La regione 5’-UTR La regione 5’-UTR di HCV è costituita dai primi 341 nucleotidi del genoma virale ed è una delle regioni più conservate tra i diversi genotipi del virus e tra i diversi generi della famiglia, sia in termini di sequenza nucleotidica sia in termini di struttura secondaria (Bukh et al., 1992; Choo et al., 1991; Han et al., 1991). La struttura di tale regione contiene 4 domini altamente strutturati che formano numerose conformazioni a forcina importanti sia per la traduzione sia per la replicazione del genoma virale (Brown et al., 1992; Wang et al., 1995). 6 1.1.2.2 La regione 3’-UTR A seguito del codone di stop della ORF si trova la regione non tradotta dell’estremità 3’, lunga 225 nucleotidi. Questa regione è coinvolta nella traduzione e nella replicazione attraverso l’interazione con proteine cellulari e sembra essere molto importante per l’infettività (Ito and Lai, 1997; Ito and Lai, 1999). 1.1.2.3 La regione Core I primi 191 aminoacidi della poliproteina costituiscono il nucleocapside o Core (p21), che mostra un peso molecolare che va dai 17 ai 23 kDa. Le varie isoforme sono dovute alla presenza di diverse forme immature della proteina e la forma maggiormente rappresentata è quella matura di 21 kDa (Yasui et al., 1998). La proteina è molto conservata e include molti epitopi che vengono riconosciuti dalla risposta immune specifica (linfociti T e B) (Goeser et al., 1994). Il Core non solo è importante per la formazione del nucleocapside icosaedrico virale, ma è coinvolto anche in differenti processi cellulari quali: il metabolismo lipidico, l’apoptosi, la trasformazione e la proliferazione cellulare ed è inoltre implicato nel danno tissutale e nella progressione della fibrosi (Fukutomi et al., 2005; McLauchlan, 2000; Nunez and Soriano, 2004; Suzuki et al., 1995). In particolare, la proteina può fungere da attivatore in trans di alcuni oncogeni cellulari (come ras) e può modulare in vivo l’azione di p53 e di p73 nei meccanismi dell’apoptosi epatocitaria (Chou et al., 2005; Kountouras et al., 2003; Meyer et al., 2005; Moriya et al., 1997) e questo potrebbe spiegare come un virus, quale HCV, incapace di integrarsi nel genoma cellulare possa essere coinvolto direttamente nell’oncogenesi epatica in corso di infezione cronica (Moriya et al., 1998; Smirnova et al., 2006). La proteina del nucleocapside di HCV è composta da tre distinti domini: il dominio idrofilo D1 di 120 aminoacidi all’N-terminale, il dominio idrofobico D2 di circa 50 aminoacidi al C-terminale e il peptide segnale (di circa 20 aminoacidi) per la proteina E1 (Grakoui et al., 1993; Harada et al., 1991; Santolini et al., 1994). Il dominio D1 è idrofilico e ricco di aminoacidi basici conservati. In questo dominio sono presenti: tre segnali di localizzazione nucleare, un motivo legante il DNA e un motivo legante l’RNA; tutto questo potrebbe suggerire la traslocazione di questa proteina all’interno del nucleo, ma non vi sono dati che confermano questa supposizione (Barba et al., 1997; 7 Chang et al., 1994; Suzuki et al., 1995; Suzuki et al., 2005). Il dominio D2 è principalmente responsabile dell’associazione della proteina virale con alcune membrane cellulari, tra cui: le membrane del reticolo endoplasmatico, la membrana esterna dei mitocondri e le membrane delle vescicole lipidiche (Barba et al., 1997; Nolandt et al., 1997). Alcuni studi hanno evidenziato che nella porzione del dominio D2 (una regione compresa tra gli aminoacidi 82 e 102) è presente una sequenza ricca in triptofano, la quale sembra acconsentire l’associazione di più proteine Core p21 e che quindi permetterebbe la formazione del capside virale (Nolandt et al., 1997). Altri studi hanno però dimostrato che l’espressione in batteri dei primi 75 aminoacidi della porzione N-terminale (dominio D1) sono sufficienti per la formazione delle particelle nucleocapsidiche (Klein et al., 2005; Majeau et al., 2004). È ancora quindi da chiarire quali siano effettivamente i residui critici per la formazione delle particelle virali. 1.1.2.4 La regione F La regione F (dall’inglese Frameshift) codifica per la alternate reading frame protein (ARFP) generata in seguito ad uno slittamento ribosomiale di -2/+1 nucleotidi a livello della regione codificante per la porzione N-terminale della proteina Core. ARFP è prodotta durante l’infezione, infatti nei pazienti con infezione cronica da HCV sono stati rilevati anticorpi diretti verso questa proteina (Walewski et al., 2001). L’esatto meccanismo traduzionale alla base della frequenza di slittamento e della produzione della proteina F durante le diverse fasi dell’infezione sono ad oggi completamente ignote (Xu et al., 2003). Il ruolo di ARFP non è noto, si pensa che possa essere coinvolta nei meccanismi di persistenza del virus (Baril and Brakier-Gingras, 2005). 1.1.2.5 Glicoproteine di superficie E1 ed E2 Il genoma di HCV codifica per le due glicoproteine dell’envelope, denominate E1 ed E2, rispettivamente di 33-35 e 70-72 kDa (Deleersnyder et al., 1997). Esse sono componenti essenziali dell’envelope e sono necessarie per le prime fasi del ciclo virale (Bartosch et al., 2003c). Per lungo tempo non è stato possibile caratterizzare tali proteine a causa della mancanza di un sistema efficiente di coltura cellulare per la replicazione e 8 l’assemblaggio delle particelle virali. Sistemi di espressione transiente hanno permesso di analizzare le fasi della biogenesi di tali glicoproteine e i primi stadi dell’ingresso nel ciclo vitale virale (Op De Beeck, 2001). Grazie allo sviluppo delle pseudoparticelle retrovirali esprimenti sull’envelope le glicoproteine native di HCV è stato possibile, per la prima volta, caratterizzare l’assemblaggio e la funzionalità di tali glicoproteine (queste particelle sono state denominate HCV pseudovirus, HCVpp) (Bartosch et al., 2003b; Drummer et al., 2003; Flint et al., 1999a; Hsu et al., 2003). 1.1.2.5.1 Traduzione e folding delle glicoproteine E1 ed E2 sono glicoproteine transmembrana di tipo I e sono indirizzate al reticolo endoplasmatico da peptidi segnale presenti nella porzione N-terminale (Dubuisson et al., 1994; Grakoui et al., 1993). È stato dimostrato che tali proteine vengono tradotte a livello dei ribosomi associati al reticolo endoplasmatico, dove vengono processate. Le due glicoproteine presentano a livello della porzione C-terminale un dominio idrofobico transmembrana lungo circa 30 aminoacidi, mentre all’N-terminale posseggono un dominio extracellulare lungo 160 e 334 aminoacidi rispettivamente per la glicoproteina E1 ed E2 (Figura 5) (Flint et al., 1999a; Flint et al., 1999b). I domini transmembrana delle due glicoproteine sono composti da due segmenti idrofobici separati da una corta regione polare, che contiene residui aminoacidici carichi conservati. I domini transmembrana sono importanti per l’ancoraggio alle membrane, la localizzazione e ritenzione a livello del reticolo endoplasmatico e l’assemblaggio in eterodimeri tra E1 ed E2. Questo è stato dimostrato grazie a studi in cui la regione transmembrana viene deleta o mutagenizzata (Cocquerel et al., 1998; Cocquerel et al., 2000). Le glicoproteine dell’envelope di HCV si assemblano in modo non covalente formando eterodimeri di E1-E2 (Deleersnyder et al., 1997). Il folding di E1 dipende dalla co-espressione di E2 e viceversa, quindi il corretto ripiegamento di E1 e di E2 dipende dalla espressione reciproca delle due glicoproteine, indicando che entrambe cooperano per la formazione di un complesso funzionale (Cocquerel et al., 2003; Duvet et al., 1998; Michalak et al., 1997; Patel et al., 2001). È stato dimostrato che il processo di ripiegamento delle glicoproteine procede lentamente e che grazie ai glicani interagiscono con la calnexina, una proteina chaperone del reticolo endoplasmatico 9 (Brazzoli et al., 2005; Deleersnyder et al., 1997; Dubuisson and Rice, 1996; Duvet et al., 1998; Merola et al., 2001). 1.1.2.5.2 Glicosilazione delle glicoproteine I domini extracellulari delle glicoproteine E1 ed E2 di HCV sono altamente Nglicosilati. La N-glicosilazione è una delle modificazioni post-traduzionali più frequenti delle proteine e avviene attraverso il trasferimento di un oligosaccaride da un intermedio lipidico ad un residuo di asparagina a livello della sequenza consenso Asn-X-Thr/Ser di una proteina neosintetizzata, dove X può essere qualsiasi aminoacido eccetto la prolina (Gavel and von Heijne, 1990; Kornfeld and Kornfeld, 1985). La catena polipeptidica in via di sintesi emerge all’interno del lume del reticolo endoplasmatico ed è in tale sede che avviene questa modificazione post-trascrizionale catalizzata da oligosaccaril transferasi (Silberstein and Gilmore, 1996). La glicoproteina E1 presenta 4 siti di glicosilazione altamente conservati tra i diversi genotipi di HCV e un quinto sito di glicosilazione (in posizione 250) poco conservato, presente solo nei genotipi 1b e 6. La glicoproteina E2 presenta invece 11 siti di glicosilazione, 9 di questi siti sono altamente conservati, mentre i 2 rimanenti (N5 e N7) presentano dei livelli di conservazione rispettivamente del 75% e dell’89% tra i vari genotipi (Figura 4) (Goffard and Dubuisson, 2003; Zhang et al., 2004b). Il processo di glicosilazione esercita un ruolo importante nel folding corretto della proteina, nella sua funzione e nel modulare la risposta immunitaria (Hebert et al., 1997; Ohuchi et al., 1997a; Ohuchi et al., 1997b; van Kooyk and Geijtenbeek, 2003; von Messling and Cattaneo, 2003). Come detto precedentemente, la glicosilazione modula il ripiegamento delle glicoproteine permettendo l’interazione con la calnexina nel reticolo endoplasmatico durante la maturazione. Studi di mutagenesi sito-diretta hanno dimostrato che l'assenza di alcuni glicani in E1 (posizione N1 e N4) ed E2 (posizione N8 e N10) porta ad un misfolding delle glicoproteine (Goffard et al., 2005; Meunier et al., 1999). È stato sottolineato il fatto come questa alterazione non sia dovuta alla mancata interazione tra le glicoproteine e la calnexina, suggerendo l’effetto diretto della glicosilazione sul corretto ripiegamento delle glicoproteine. Infatti la presenza di un saccaride polare ad 10 alto peso molecolare legato ad un segmento peptidico influenza almeno localmente il ripiegamento di tale segmento (Imperiali and O'Connor, 1999; Wormald and Dwek, 1999). La mutazione di alcuni siti di glicosilazione nelle glicoproteine dell’envelope di HCV può ridurre o abolire l’infettività degli HCVpp apparentemente senza incidere sul ripiegamento e sull'incorporazione delle glicoproteine nelle pseudoparticelle. I glicani in posizione N2 e N4 di E2 hanno effettivamente dimostrato di essere essenziali per le funzioni di entry svolta dalle glicoproteine virali. Altri glicani (N2 di E1 e N5, N6 e N11 di E2) sembrano modulare l’ingresso degli HCVpp (Goffard et al., 2005). Infine la glicosilazione permette di mascherare alcuni epitopi conservati nei vari genotipi virali a livello delle glicoproteine importanti per la fitness virale, rendendoli inaccessibili agli anticorpi e permettendo quindi al virus di evadere la risposta umorale. 11 Figura 4 | Rappresentazione schematica delle glicoproteine E1 e E2. I siti di N-glicosilazione sono indicati dalla lettera N a livello dell’aminoacido target di questa modifica post-traduzionale. I glicani coinvolti nell’entry di HCVpp sono evidenziati da un quadrato nero mentre i siti di glicosilazione che mutati alterano il ripiegamento di E1-E2 sono evidenziati da un cerchio grigio (Goffard et al., 2005). La regione ipervariabile 1 (HVR1) di E2 è rappresentata dal box grigio. Le sequenze dei domini transmembrana delle glicoproteine dell’envelope di HCV sono indicati nelle corrispondenti regioni Cterminali di E1 e E2 (TMD), i due segmenti idrofobici interni a tali domini sono sottolineati. In ultimo le frecce indicano le posizioni dove l’inserzione di alanina blocca l’eterodimerizzazione fra E1 e E2 (Op De Beeck, 2001). 1.1.2.5.3 Regioni funzionali delle glicoproteina E2 Le attuali conoscenze sulla fisiologia del virus suggeriscono che la glicoproteina E2 potrebbe essere il principale anti-recettore di HCV (la principale molecola virale che interagisce con i recettori cellulari per permettere al virus di infettare le cellule target). Le regioni funzionali di E2 importanti in quanto capaci di interagire con le molecole cellulari finora definite sono due. La prima regione è rappresentata da almeno tre segmenti discreti della proteina E2 (aminoacidi 480-493, 522-551 e 613-618) che durante il ripiegamento di questa glicoproteina si uniscono a formare un unico dominio importante per l’interazione tra E2 e il CD81 (Clayton et al., 2002; Flint et al., 1999a; Forns et al., 2000a; Forns et al., 2000b; Hsu et al., 2003; Owsianka et al., 2001; Yagnik et al., 2000). La seconda regione dotata di un ruolo fondamentale nel legame alla cellula ospite è situata nella porzione N-terminale della proteina E2. Questa regione è caratterizzata da un’alta variabilità aminoacidica, denominata per questo motivo HVR1 (dall’inglese 12 hypervariable region 1), è costituita da 27 aminoacidi ed è localizzata tra gli aminoacidi 384 e 410 della poliproteina (Penin et al., 2001; Scarselli et al., 2002; Weiner et al., 1991). Virus deleti della regione HVR1, perdono la capacità infettiva, suggerendo che HVR1 gioca un ruolo nell’infettività di HCV (Forns et al., 2000b). Per questo motivo, nonostante l’alta variabilità della sequenza aminoacidica, le proprietà chimico-fisiche di alcuni residui sono altamente conservate. In particolare, HVR1 è una regione composta soprattutto da residui aminoacidici basici, che risultano localizzati in specifiche posizioni. Studi condotti attraverso HCVpp che presentano mutazioni a livello di questa regione, indicano che l’infettività aumenta con il numero di residui basici presenti in tale regione. Inoltre, il cambiamento della posizione dei residui carichi modula l’infettività del virus (Callens et al., 2005). Tali dati, indicano quindi che HVR1 è una regione coinvolta nell’interazione con molecole cellulari, tra cui il CD81 e il SR-B1, implicate nel favorire l’ingresso di HCV. HVR1 è una regione virale immunodominante ed è stata infatti identificata come il principale bersaglio della risposta immune anticorpale. Gli anticorpi diretti contro tale regione non hanno potere neutralizzante e non hanno un ruolo nell’eliminazione del virus, questo a causa della forte variabilità di HVR1, che determina la formazione di varianti virali geneticamente diverse, ma strettamente correlate, chiamate quasispecie, che sono in grado di sfuggire alle difese del sistema immunitario (Forns et al., 1999). 1.1.2.6 La regione p7 Il gene p7, localizzato tra i geni E2 ed NS2, codifica per una proteina idrofobica a basso peso molecolare di 63 aminoacidi il cui taglio è mediato da signal peptidasi cellulari presenti nel reticolo endoplasmatico. p7 è una proteina integrale di membrana con due domini transmembrana organizzati in α-eliche connessi da un segmento citoplasmatico, con le code N- e C-terminali della proteina orientate verso il lume del reticolo endoplasmatico (Figura 5) (Carrere-Kremer et al., 2002). Studi in vitro suggeriscono che questa proteina appartenga alla famiglia delle viroporine (proteine importanti per l’assemblaggio e il rilascio delle particelle virali) e che oligomerizzando formi un canale ionico in grado di trasportare ioni dal reticolo endoplasmatico al citoplasma delle cellule infettate (Gonzalez and Carrasco, 2003) p7 sembra essere essenziale per il ciclo virale, in quanto mutazioni o delezioni a livello del segmento 13 citoplasmatico, sopprimono l’infettività durante la transfezione intra-epatica con il cDNA di HCV negli scimpanzé (Sakai et al., 2003). 1.1.2.7 Le proteine non strutturali di HCV A valle delle proteine strutturali appena descritte, il genoma di HCV presenta una serie di geni codificanti proteine non strutturali. Analizzandole dal 5’ al 3’ troviamo: La proteina non strutturale NS2 (21-23 kDa). È una proteina transmembrana non glicosilata con l’estremità C-terminale localizzata nel reticolo endoplasmatico e la porzione N-terminale posta nel citoplasma (Figura 5) (Santolini et al., 1995; Yamaga and Ou, 2002). La proteina NS2 fa parte del complesso NS2-3, una metalloproteasi zinco-dipendente specifica per il sito di clivaggio NS2/NS3. Oltre a possedere una funzione autocatalitica, questa proteina non strutturale potrebbe svolgere un ruolo importante nei processi di assemblaggio del virus, favorendo le interazioni fra il nucleocapside e le glicoproteine dell’envelope (Grakoui et al., 1993; Hijikata et al., 1993a). La proteina non strutturale NS3 (70 kDa) è una proteina multifunzionale, infatti a livello dell’estremità N-terminale è presente un dominio con attività serin proteasica, mentre a livello dell’estremità C-terminale è presente un dominio con attività elicasica e NTPasica (Figura 5) (Bartenschlager et al., 1993; Bartenschlager et al., 1994). L’attività proteasica di NS3 richiede la presenza di un cofattore chiamato NS4A. La proteasi NS3/4A è essenziale per il ciclo virale di HCV, infatti catalizza il taglio della poliproteina virale a livello delle giunzioni NS3/4A, NS4A/4B, NS4B/5A e NS5A/5B (Bartenschlager et al., 1995; Lin et al., 1995; Tanji et al., 1995). Recentemente è stato evidenziato da studi in vitro come il complesso NS3/4A proteasi possa essere usato dal virus per evadere la risposta innata nelle prime fasi dell’infezione antagonizzando la produzione dell’interferone (Foy et al., 2003). La regione NS4 codifica per due proteine virali: NS4A, che funge da cofattore per NS3, e NS4B, la cui funzione non è stata ancora chiarita (Failla et al., 1994). Da recenti studi NS4B sembra esser coinvolta nella formazione di “reti membranose” importanti 14 per la replicazione virale, inoltre è in grado di modulare l’attività del RNA polimerasi RNA dipendente virale (NS5B) (Egger et al., 2002; Elazar et al., 2004; Gretton et al., 2005; Kadoya et al., 2005; Piccininni et al., 2002). Infine troviamo la regione NS5 che codifica per due proteine virali: NS5A e NS5B. NS5A è coinvolta nei meccanismi di resistenza all’interferone (Gale et al., 1999; Gale et al., 1997) ed è in grado di interagire con molte proteine cellulari (Macdonald et al., 2004; Macdonald et al., 2003; Shelton and Harris, 2008; Tan et al., 1999). Attraverso una regione all’estremità N-terminale che presenta una struttura ad α-elica, la proteina è capace di associarsi alle membrane, meccanismo cruciale per la formazione del complesso replicativo di HCV connesso ai lipid rafts (Figura 5) (Moradpour et al., 2005). Invece NS5B è una RNA polimerasi RNA-dipendente, essenziale per la replicazione virale in quanto permette la sintesi di un intermedio replicativo (RNA a singolo filamento a polarità negativa). Questo viene poi utilizzato come stampo per la produzione di nuove molecole a singolo filamento di RNA a polarità positiva, il quale sarà utilizzato per la traduzione di altre poliproteine, per la sintesi di nuovi intermedi replicativi oppure sarà impacchettato nella progenie virale prodotta dalla cellula infetta (Lesburg et al., 1999). Tale proteina non strutturale, insieme alla risposta immune antiHCV dell’ospite, è la principale responsabile della variabilità del virus. Essa infatti manca dell’attività proof-reading che permette di eliminare i nucleotidi incorporati per errore durante la sintesi del filamento di RNA (Behrens et al., 1996; Ferrari et al., 1999). Figura 5 | Rappresentazione schematica della topologia e dell’orientamento intracellulare a livello della membrana del reticolo endoplasmatico delle proteine virali di HCV (Dustin and Rice, 2007). 15 1.2 Il ciclo replicativo di HCV Essendo parassiti intracellulari obbligati, i virus hanno sviluppato strategie per infettare e replicarsi nelle cellule bersaglio. Il primo passo per l'ingresso del virus è il riconoscimento delle cellule ospite attraverso recettori cellulari di superficie. Questa interazione è importante per definire il tropismo di un virus per un particolare organismo, tessuto e tipo cellulare. Nei virus con envelope sono le glicoproteine presenti sulla superficie ad adempire questo ruolo. Dopo il legame del virus alla cellula target, l'ingresso del patogeno all'interno dell’ospite richiede la fusione dell’envelope virale con la membrana cellulare mediante un processo che è sempre guidato dalle glicoproteine virali. Per adempiere a queste funzioni, le glicoproteine virali devono adottare conformazioni diverse durante il ciclo vitale del virus; inoltre questi cambiamenti conformazionali devono aver luogo in un preciso momento del ciclo virale e quindi devono essere finemente modulati. La mancanza di sistemi cellulari che permettano ad HCV di replicarsi in vitro ha ostacolato la conoscenza delle varie fasi del ciclo replicativo del virus. Tuttavia grazie a studi condotti su proteine ricombinanti e allo sviluppo di modelli surrogati di infezione, è stato possibile analizzare le fasi iniziali del processo infettivo, quali l’adesione e l’internalizzazione del virus nelle cellule bersaglio. La conoscenza di queste fasi dell’infezione ha un’importanza cruciale per lo sviluppo di nuove strategie terapeutiche. Come detto precedentemente l’ingresso del virus nella cellula bersaglio è un processo che prevede diverse fasi rappresentate dall’adesione alla superficie cellulare (docking), l’interazione con molecole presenti sulla membrana cellulare, che costituiscono i fattori di ingresso e infine l’internalizzazione del virus mediante endocitosi (Blanchard et al., 2006; Meertens et al., 2006). Per quanto riguarda HCV l’adesione alla superficie cellulare sembra essere mediata dall’interazione delle glicoproteine dell’envelope con diversi glicosaminoglicani presenti sulla membrana cellulare, tra cui in particolare l’eparansolfato (Barth et al., 2003; Barth et al., 2006). Successivamente alla fase di adesione, l’interazione del virus con altre molecole di superficie con maggiore affinità per HCV, favorisce l’internalizzazione della particella virale. Ad oggi si ritiene che almeno tre molecole cellulari svolgano la funzione di 16 fattori di ingresso: la tetraspanina CD81, il recettore scavenger di classe B di tipo I (SRBI) e la proteina delle tight junction Claudina-1 (CLDN1) (Figura 6) (Bartosch et al., 2003c; Evans et al., 2007; Grove et al., 2007; Kapadia et al., 2007; Pileri et al., 1998; Scarselli et al., 2002). 1.2.1 Molecole importanti per l’adesione 1.2.1.1 Glicosamminoglicani (GAGs) I glicosamminoglicani (GAGs) sono dei polisaccaridi lineari espressi sulla superficie cellulare. I GAGs altamente solfatati e ampiamente espressi svolgono un ruolo come recettori primari a bassa affinità coinvolti nell’iniziale interazione dei virus con la superficie cellulare, prima che il patogeno si leghi a recettori ad alta affinità. Sono tre le regioni della glicoproteina E2 considerate fondamentali per il legame ai GAG; la prima regione è quel che va dall’aa 398 all’aa 403, la seconda dall’aa 412 all’aa 423 e la terza che va dall’aa 516 all’aa 530 (Barth et al., 2003; Germi et al., 2002). 1.2.1.2 DC-SIGN e L-SIGN Le lectine sono un’altra classe di molecole coinvolte nel legame e nell’entry di diversi virus. DC-SIGN (Dendritic Cell-Specific Intercellular adhesion molecule-3Grabbing Non-integrin) e L-SIGN (liver specific- SIGN) sono proteine di membrana omotetrameriche di tipo II appartenenti alla famiglia delle lectine di tipo C. DC-SIGN è espressa dalle cellule di Kuppfer, dalle cellule dendritiche e dai linfociti, mentre LSIGN è espressa dalle cellule endoteliali sinusoidali epatiche. Esse contengono un dominio in grado di riconoscere i carboidrati nella loro regione extracellulare C-terminale; questo dominio permette quindi il legame ai carboidrati virali in modo calcio-dipendente. Entrambe le lectine sono coinvolte nel legame, nell’internalizzazione e nell’eliminazione di una grande varietà di patogeni (Cambi et al., 2005; van Kooyk and Geijtenbeek, 2003). DC-SIGN e L-SIGN sono in grado di legare la glicoproteina E2 solubile ricombinante (residui aminoacidici dal 388 al 644), HCVpp e virus wild-type provenienti dal siero di individui infetti (Gardner et al., 2003; Lozach et al., 2004; Pohlmann et al., 2003). 17 1.2.2 Recettori ad alta affinità per HCV 1.2.2.1 La tetraspanina CD81 Il CD81 è una molecola di 25 kDa che appartiene alla famiglia delle tetraspanine nonché alla superfamiglia delle proteine transmembrana di tipo 4. Si ritiene che questo recettore si trovi in forma omo o eterodimerica sulla superficie di molti tipi cellulari (Kitadokoro et al., 2001a; Kitadokoro et al., 2001b). Il CD81 fa parte di un complesso di recettori presenti sui linfociti T e B ed è coinvolto nella fusione delle vescicole (Hemler, 2003; Levy and Shoham, 2005). Esso è richiesto per la normale espressione del CD191 e svolge ruoli multipli nel processamento, nel traffico intracellulare e nel funzionamento di membrana del CD19 (Shoham et al., 2006). Si pensa che l’epatotropismo di HCV sia dovuto all’assenza naturale negli epatociti di un ligando del CD81 chiamato EWI-2wint (un partner cellulare di CD81 espresso sulla superficie); infatti si è osservato che EWI-2wint è in grado di bloccare efficientemente l’entry virale inibendo l’interazione fra HCV e CD81 (Rocha-Perugini et al., 2008). Il CD81 contiene 4 regioni transmembrana idrofobiche (TM1-TM2-TM3-TM4) e due segmenti extracellulari, rispettivamente di 28 aa (denominato piccolo segmento extracellulare SEL, dall’inglese small extracellular loop) e 80 aa (denominato grande segmento extracellulare LEL, dall’inglese large extracellular loop) (Kitadokoro et al., 2001b). I domini intracellulari e transmembrana del CD81 sono molto conservati tra le diverse specie, mentre il segmento LEL risulta variabile eccetto che tra l’uomo e gli scimpanzé, le uniche due specie permissive all’infezione da parte di HCV (Major et al., 2004; Walker, 1997). L’espressione del CD81 umano in cellule umane derivanti da epatoma deficenti per tale recettore (quali le cellule: HepG2 e HH29), le rende permissive all’infezione da parte di HCVpp e virus derivanti da HCV cell culture (HCVcc), mentre esperimenti di RNA silencing del CD81 ne riducono l’infezione, confermando il ruolo essenziale di questa molecola nell’internalizzazione del virus 1 Il CD19 è essenziale per il corretto funzionamento dei linfociti B, in particolar modo per la maturazione, il differenziamento e per la risposta anticorpale (Pier, 2006). 18 (Flint et al., 2006; Lavillette et al., 2005b; Lindenbach et al., 2005; McKeating et al., 2004; Zhang et al., 2004a). Numerose osservazioni suggeriscono che il dominio LEL sia coinvolto nel legame tra il CD81 e la glicoproteina E2 di HCV (Pileri et al., 1998); infatti vari studi hanno evidenziato la capacità di anticorpi specifici per il dominio LEL del CD81 di inibire l’infezione da parte di HCVpp e HCVcc (Bartosch et al., 2003a; Bartosch et al., 2003b; Cormier et al., 2004; Flint et al., 2006; Hsu et al., 2003; Lavillette et al., 2005a; Zhang et al., 2004a). In particolare si ritiene che due ponti disolfuro ed il coinvolgimento dei residui 163, 186, 188 e 196 del recettore cellulare siano necessari per l’interazione CD81-HCV (Flint et al., 1999a; Meola et al., 2000; Petracca et al., 2000). La regione della glicoproteina E2 coinvolta nel legame con il CD81 rimane controverso; le regioni critiche per l’interazione tra la glicoproteina E2 e il CD81 sono state inizialmente identificate utilizzando specifici anticorpi monoclonali diretti contro E2 e in grado di inibire il legame tra sE2 e il CD81 espresso sulla superficie cellulare, oppure mutagenizzando la proteina E2 a livello dei siti conservati, e quindi considerati cruciali per il ciclo vitale del virus (Callens et al., 2005; Drummer et al., 2006; Falkowska et al., 2007; Flint et al., 1999a; Forns et al., 2000a; Hsu et al., 2003; McCaffrey et al., 2007; Morikawa et al., 2007; Owsianka et al., 2001; Owsianka et al., 2006; Patel et al., 2000; Roccasecca et al., 2003). Questi studi hanno evidenziato che aminoacidi critici della glicoproteina E2 per il legame al CD81 si trovano: i) all’interno della regione ipervariabile 1 (HVR1) dell’E2, che va dall’aminoacido 384 al 410; ii) in una regione adiacente all’HVR1 compresa tra i residui 480 e 493 e iii) in una regione che include i residui 522-551, 613-618 e 476-480 (Callens et al., 2005; Drummer et al., 2006; Flint et al., 1999a; Flint et al., 1999b; Hsu et al., 2003; Owsianka et al., 2001; Owsianka et al., 2006; Roccasecca et al., 2003; Yagnik et al., 2000). Molti studi suggeriscono che il CD81 sia importante come “post-binding entry molecule” e altri fattori cellulari agiscano insieme al CD81 nel mediare il legame e l’ingresso di HCV negli epatociti (Cormier et al., 2004; Flint et al., 2006). Il CD81 non è da considerarsi come un semplice recettore con ruolo passivo, ma esso promuove attivamente l’infezione innescando un pathway intracellulare importante per l’entry virale. Infatti, in seguito al legame virus-recettore si ha l’attivazione della proteina G monomerica Rho e la ricollocazione dell’actina nelle aree di contatto cellula-cellula in 19 prossimità delle giunzioni strette (tight junction) e delle proteine Occludina e Claudina1 (molecole descritte recentemente come co-recettori di HCV (Brazzoli et al., 2005). In fine il coinvolgimento del recettore CD81 porta all’attivazione del signaling Raf/MEK/ERK influenzando gli step post-entry del ciclo virale (Brazzoli et al., 2005). Il CD81 risulta essere importante non solo per l’ingresso del virus nella cellula ospite, ma sembra avere un ruolo nel modulare la risposta immune adattativa. Infatti, sE2 è in grado di legare il CD81 presente sulla superficie delle cellule NK e tale interazione inibisce la citotossicità, nonché la produzione di citochine (Crotta et al., 2002). sE2 è in grado di legare il CD81 presente sulla superficie dei linfociti T e tale interazione può indurre segnali co-stimolatori, inoltre interagisce con cellule epatiche stellate aumentando i livelli di espressione della metallo-proteinasi della matrice di tipo 2 importanti nei processi di cicatrizzazione (Mazzocca et al., 2005). Si è osservato che il legame di E2 al CD81 presente sulla superficie dei linfociti B induce la formazione di mutazioni a livello delle regioni variabili delle immunoglobuline che può favorire la produzione di autoanticorpi, e la degenerazione neoplastica di tali cellule; questo meccanismo è alla base di due complicanze extraepatiche associate all’infezione cronica da HCV come la crioglobulinemia e i linfomi non-Hodgkin a cellule B (Laskus et al., 1998; Lerat et al., 1996; Mayo, 2003). 20 1.2.2.2 Il recettore scavenger di classe B di tipo I Il recettore scavenger di classe B di tipo I (SR-BI) è stato proposto come recettore per HCV. La prima evidenza del ruolo di SR-BI nell’internalizzazione virale è stata la dimostrazione che sE2, derivante dai genotipi 1a e 1b di HCV, era in grado di legare cellule HepG2 (che normalmente non esprimono il CD81), attraverso l’interazione con una glicoproteina di 82 kDa, SR-BI (Scarselli et al., 2002). SR-BI è una glicoproteina acilata di 509 aa formata da due domini citoplasmatici, due domini transmembrana e un grande loop extracellulare (LEL) con 9 potenziali siti di N-glicosilazione. Esso è localizzato in corrispondenza dei lipid rafts, mediante sia l’estremità C-terminale che quella N-terminale (Acton et al., 1994; Krieger, 2001; Rhainds and Brissette, 2004). È il principale recettore per le lipoproteine ad alta densità (HDL) ed è coinvolto nel trasporto del colesterolo all’interno degli epatociti (Rhainds and Brissette, 2004; Rigotti et al., 2003; Silver and Tall, 2001). A differenza del CD81, che è espresso in maniera ubiquitaria, SR-BI è espresso in particolar modo a livello delle cellule epatiche e a livello dei tessuti steroidogenici (soprattutto nel surrene) (Babitt et al., 1997; Krieger, 2001). Il legame virale appare esser altamente specie-specifico: cellule di roditore esprimenti SR-BI murino (identità aminoacidica con SR-BI umano del 88%) che sono incapaci di legare sE2, risultano in grado di legare tale glicoproteina dopo la trasfezione con SR-BI umano. In particolar modo, il LEL di SR-BI sembra esser responsabile del legame e HVR1 è stata identificata come la regione di E2 coinvolta nell’interazione (Bartosch et al., 2003c; Scarselli et al., 2002; Voisset et al., 2005); infatti anticorpi specifici per SR-BI e la delezione dell’HVR1 annullano l’interazione sE2/SR-BI, inibendo l’infettività da parte di HCVpp e HCVcc (Bartosch et al., 2005; Bartosch et al., 2003c; Callens et al., 2005; Catanese et al., 2007; Dreux and Cosset, 2007; Grove et al., 2007; Kapadia et al., 2007; Scarselli et al., 2002). Si pensa che tale interazione sia mediata soprattutto dalla conformazione della HVR1 e non da specifiche sequenze, poiché la sostituzione degli aa che ne cambiano drasticamente la conformazione modificano significativamente il legame a SR-BI (Bartosch et al., 2005; Callens et al., 2005). Simile a quanto visto per il CD81, SR-BI sembra agire come recettore “postbinding”; infatti anticorpi contro entrambi i recettori inibiscono l’infezione quando 21 vengono aggiunti fino a 60 minuti dopo il binding virale (Cormier et al., 2004; Zeisel et al., 2007b). Degno di nota è il fatto che le HDL (il ligando principale di SR-BI) facilitano l’entry di HCVpp e HCVcc, mentre altri ligandi del recettore, mostrano un effetto inibitorio (Bartosch et al., 2005; Maillard et al., 2006). Recentemente si è visto come lo stato infiammatorio possa influenzare l’interazione tra il virus e SR-BI, infatti la proteina amiloide sierica A (SAA), una proteina di fase acuta prodotta principalmente dagli epatociti durante l’infezione, è in grado di legare SR-BI e ed è in grado di inibire l’entry di HCV nelle cellule Huh-7.5 e che la produzione degli interferoni portano ad una diminuita espressione di SR-BI negli epatociti (Cai et al., 2007; Murao et al., 2008). 1.2.2.3 Le proteine delle tight junction (Claudina1 e Occludina) Un’ulteriore molecola cellulare che sembra essere importante per l’internalizzazione di HCV è la proteina Claudina1 (CLDN1) un membro della famiglia genica delle Claudine (Evans et al., 2007). CLDN1 è espressa in tutti gli epiteli, ma predomina a livello epatico come membro delle tight junctions (Tsukita and Furuse, 1998). Le tight junctions sono contatti cellulari continui, che si trovano sulla superficie laterale delle membrane cellulari importanti per la determinazione della polarità cellulare e coinvolte nella formazione di una barriera, la cui funzione è quella di regolare il transito di soluti (Stevenson and Keon, 1998). La molecola è composta da 211 aminoacidi con 2 loops extracellulari, 4 segmenti transmembrana e 3 domini intracellulari; esse sono in grado di formare omo- o eteropolimeri con le Claudine di altre cellule (Van Itallie and Anderson, 2006). Il dominio molto conservato a livello del primo loop extracellulare (EC1) sembra essere coinvolto nell’entry di HCV, come evidenziato da studi di mutagenesi e utilizzando anticorpi anti CLDN1 (Evans et al., 2007). L’espressione di CLDN1 in linee cellulari non epatiche non permissive all’infezione virale (quali cellule HEK 293T e SW13, in cui sono espressi gli altri recettori ad alta affinità descritti precedentemente) conferisce suscettibilità all’infezione mediata da HCVpp e HCVcc; mentre il silenziamento di CLDN1 mediante siRNA in cellule di epatoma permissive (Huh-7.5) riduce l’infezione virale (Evans et al., 2007). 22 Studi funzionali indicano che CLDN1 può giocare un ruolo nella fase post-binding dell’infezione, dopo il legame di HCV al CD81 e a SR-B1 (Evans et al., 2007). Infatti l’interazione tra il virus e CD81 e SR-B1 avvia una cascata di segnali che portano una ri-localizzazione actina-dipendente a livello delle tight junctions dove si avrà poi l’endocitosi del virus (Coyne and Bergelson, 2006). Gli esperimenti finora citati hanno quindi permesso di validare il ruolo di CLDN1 come co-recettore per HCV. Altri due membri della famiglia delle Claudine, CLDN6 e CLDN9, sembrano agire come co-recettori per l’internalizzazione di HCV (Meertens et al., 2008; Zhang et al., 2007). Come CLDN1, queste molecole sono espresse a livello epatico, ma a differenza esse sono espresse anche dalle cellule mononucleate del sangue periferico, un altro target cellulare dove si è osservata la replicazione virale. Gli EC1 di queste due molecole sono importanti per l’attività co-recettoriale come dimostrato da studi di mutagenesi e dall’elevata omologia di sequenza con la regione EC1 di CLDN1 (Zheng et al., 2007). Linee cellulari come HeLa e HepH (CD81 e SR-B1 positive) rimangono resistenti ad HCV quando sovra-esprimono CLDN1, suggerendo che altri fattori addizionali sono necessari per l’entry virale (Evans et al., 2007). Studi successivi, evidenziano il ruolo per le fasi iniziali del ciclo virale della proteina Occludina (OCLN): un’altra componente transmembrana delle tight junctions strutturalmente correlata alle Claudine (Liu et al., 2009). OCLN è presente sia nelle giunzioni cellula-cellula a livello extracellulare sia nel complesso giunzionale dei filamenti di actina del citoscheletro (Peng et al., 2003). Il silenziamento di CLDN1 e OCLN mediante siRNA portano ad una riduzione dell’entry di HCVpp e HCVcc (Liu et al., 2009). Analisi di microscopia confocale evidenziano la co-localizzazione dell’OCLN con la glicoproteina E2 di HCV e questo dimostrerebbe che OCLN può interagire direttamente con E2 facilitando l’entry virale nell’epatocita attraverso le tight junctions (Benedicto et al., 2008). Ulteriori studi evidenziano che negli epatociti infetti da HCV si osserva una minor espressione delle proteine delle tight junction, questo potrebbe spiegare la refrattarietà alla superinfezione da HCV e alcuni sintomi epatici (quali la colestasi) dovuti ad un alterata espressione delle tight junctions che ricordiamo essere critiche per la polarità e funzionalità fisiologica dell’epatocita (Benedicto et al., 2008; Liu et al., 2009). 23 Come detto precedentemente, grazie al fatto che HCV in vivo è presente anche associato alle lipoproteine, il recettore per le LDL (LDLR) sembra essere potenzialmente coinvolto nell’ingresso nell’epatocita del complesso virus-LDL (Agnello et al., 1999; Andre et al., 2002; Molina et al., 2007). 1.2.3 Il ciclo virale Il ciclo di replicazione del virus dell’epatite C comprende le seguenti tappe: legame del virus alla superficie della cellula ospite, fusione della membrana virale con la membrana cellulare, disassemblaggio del nucleocapside e rilascio dell’RNA virale, traduzione e maturazione della poliproteina, replicazione dell’RNA, assemblaggio del nucleocapside e gemmazione delle particelle virali, trasporto alla superficie della cellula e rilascio delle nuove particelle virali (Figura 6 e 7). 1.2.3.1 Entry virale Dopo l’adesione di HCV ai recettori precedentemente descritti, il virus è trasportato a livello delle tight junctions dove interagisce con CLDN1 e OCLN ed entra all’interno dell’epatocita. In analogia con gli altri Flavivirus, HCV entra attraverso un processo di endocitosi clatrina-dipendente. Il nucleocapside è rilasciato nel citoplasma grazie alla fusione tra envelope virale e membrana dell’endolisosoma. Il processo dell’entry è controllato dalle glicoproteine virali di superficie che richiedono dei cambiamenti strutturali per mediare la fusione. Le glicoproteine di HCV sono proteine di fusione di II classe, ma a differenza di queste hanno la peculiarità di non richiedere il taglio proteolitico mediato da proteasi cellulari durante il loro trasporto attraverso il pathway secretorio (Op De Beeck et al., 2004). Il processo di entry di HCV è pH-dipendente, con un pH ottimale di 5.5, infatti l’utilizzo di sostanze capaci di bloccare l’acidificazione dell’endolisosoma bloccano l’entry di HCVpp e HCVcc (Blanchard et al., 2006; Meertens et al., 2006). L’identificazione del peptide fusogeno di HCV rimane controversa, infatti la glicoproteina E1 sembra esser il candidato migliore in quanto analisi di sequenza hanno evidenziato la presenza di un peptide fusogeno nell’ectodominio di questa proteina (Flint and McKeating, 2000; Rosa et al., 1996) d’altro canto la glicoproteina E2 mostra un’omologia strutturale con le proteine di 24 fusione di II classe (Lescar et al., 2001; Yagnik et al., 2000). Dati recenti indicano che tre regioni distinte di entrambe le glicoproteine partecipano alla fusione (Lavillette et al., 2007). Ricordiamo che l’entry di HCV è dipendente anche dalla presenza di un network di microtubuli, importanti per il trasporto nel virus dal sito di attacco al sito di fusione e per il rilascio del nucleocapside nel citoplasma (Figura 6) (Perez-Berna et al., 2008). 1.2.5 Traduzione dell’RNA virale e processamento della poliproteina virale In seguito alla decapsidazione del nucleocapside, il genoma virale viene liberato nel citoplasma e successivamente trasportato a livello del reticolo endoplasmatico rugoso, a questo punto l’RNA virale a singolo filamento positivo può essere tradotto direttamente nella poliproteina. Come descritto precedentemente la traduzione del genoma di HCV è guidata dall’IRES situato a livello dell’ 5’UTR. La traduzione genera una poliproteina di circa 3010 aminoacidi che viene processata da proteasi cellulari e virali, con conseguente produzione delle proteine strutturali e non strutturali (Figura 7). 25 Figura 6 | Rappresentazione grafica dei principali recettori utilizzati da HCV durante il binding, il postbinding e l’entry. In vivo il virus circola prevalentemente associato alle lipoproteine (LP), inizialmente prende contatto con i recettori a bassa affinità LDLR e GAG; successivamente con i recettori ad alta affinità CD81, SR-BI. Infine il virus viene trasportato a livello tight junctions dove interagisce con CLDN1 e OCLN (non presente nell’immagine) ed entra all’interno dell’epatocita attraverso un processo di endocitosi clatrina e pH-dipendente (Burlone and Budkowska, 2009). 1.2.3.2 Replicazione di HCV L’infezione con virus con genoma a singolo filamento di RNA a polarità positiva porta a dei riarrangiamenti delle membrane intracellulari, un prerequisito per la formazione del complesso replicativo dove si associano proteine virali, componenti cellulari e l’RNA virale nascente. La proteina virale NS4B sembra essere sufficiente a indurre la formazione di un complesso di vescicole ricoperte da membrana che deriva dal reticolo endoplasmatico (Bartenschlager, 2004; Egger et al., 2002; Gretton et al., 26 2005). Non è noto se NS4B recluti proteine cellulari responsabili della formazione di vescicole o se induca la formazione di vescicole di per sé polimerizzando. Tali vescicole sono ricche in colesterolo e acidi grassi e la loro quantità relativa influenza la fluidità delle membrane e la replicazione di HCV (Kapadia and Chisari, 2005). La compartimentalizzazione della sintesi dell’RNA virale a livello di vescicole ricoperte da membrana potrebbe avere un ruolo sia nel proteggere il macchinario replicativo dall’intervento di proteine cellulari che riconoscono l’RNA virale, sia nel fornire un ambiente stabile per la replicazione (Egger et al., 2002). Il preciso meccanismo della replicazione di HCV non è noto. In analogia con gli altri virus con genoma a singolo filamento di RNA a polarità positiva, la replicazione di HCV è asimmetrica e prevede due passaggi entrambi catalizzati dalla RNA polimerasi RNA dipendente virale (NS5B). Infatti, NS5B, insieme alle altre proteine virali che fanno parte del complesso replicativo associato alle membrane cellulari, avvia in un primo tempo la sintesi di un filamento di RNA antigenomico con orientamento negativo (intermedio replicativo), utilizzando come stampo il genoma virale. In un secondo tempo l’enzima catalizza, sulla base dell’intermedio replicativo, la sintesi di numerosi filamenti di RNA genomico con orientamento positivo, i quali verranno utilizzati per la traduzione di altre poliproteine, per la sintesi di nuovi intermedi replicativi, oppure verranno impacchettati nelle nuove particelle virali (Figura 7) (Bartenschlager, 2004). 1.2.7 Rilascio della progenie virale di HCV La produzione delle nuove particelle virali avviene mediante l’interazione della proteina Core con il genoma (Suzuki et al., 1995). Le nuove particelle virali acquisiscono l’involucro esterno da membrane intracellulari del reticolo endoplasmatico e del Golgi, e non dalla membrana citoplasmatica, come avviene per la maggior parte degli altri virus dotati di envelope. I virioni raggiungono infine la superficie cellulare mediante un complesso di vacuoli che sono coinvolti nei normali meccanismi di secrezione della cellula ospite (Figura 7) (Fields, 2001). 27 A B Figura 7 | (A) e (B) Ciclo replicativo di HCV. Le particelle virali, vengono internalizzate attraverso endocitosi mediata da recettore. A seguito dell’uncoating del virus, il genoma virale viene liberato nel citoplasma e trasferito nel reticolo endoplasmatico rugoso, dove il virus induce la formazione di una “rete” di vescicole di membrana denominata “membranous web”, sede della sua replicazione. Il sito di assemblaggio dei virioni non è stato ancora ben definito, ma sembra avvenire a livello di membrane intracellulari derivanti dal reticolo endoplasmatico o dall’apparato del Golgi. (B) Rappresentazione grafica della replicazione del genoma virale che avviene attraverso la sintesi di una forma replicativa a doppio filamento (RF) e un intermedio replicativo (RI) (Bartenschlager et al., 2004). 28 1.3 Variabilità genetica di HCV HCV presenta un alta variabilità genetica a causa della mancanza dell’attività proofreading del RNA polimerasi RNA dipendente virale (NS5B) e dell’alto tasso replicativo del virus in vivo (con una produzione giornaliera di 1011-1013 virioni, che hanno un’emivita di circa 2,7 ore, e quindi con un rinnovamento della popolazione virale di almeno 3 volte nel corso delle 24 ore). L’insorgenza di varianti di sequenza è casuale e possono interessare qualsiasi segmento genomico, ma la frequenza di mutazioni riscontrabili a livello di una determinata regione genetica è fortemente influenzata dalla funzione della proteina codificata dalla regione in esame. Se le mutazioni avvengono in regioni le cui funzioni sono determinanti per la replicazione virale, si produrranno delle particelle virali difettive incapaci di dare infezioni produttive e destinate ad esser eliminate. Da ciò deriva che le regioni 5’UTR, Core, NS3 e NS5 sono particolarmente conservate nei vari isolati di HCV, mentre i geni la cui eterogeneità non determina perdita di funzione della corrispondente proteina, come i geni codificanti per le glicoproteine E1 ed E2, mostrano sequenze notevolmente mutate fra i vari isolati virali. L’alta variabilità genetica di HCV ha portato alla suddivisione in genotipi, sottotipi, isolati e quasispecie a seconda dal grado di analogia di sequenza del virus. Esistono infatti sei diversi genotipi di HCV (identificati con numeri arabi) e numerosi sottotipi (circa 70, identificati con le lettere dell’alfabeto). I genotipi mostrano un’identità nucleotidica di almeno il 70%, mentre per i sottotipi è dell’80%. I genotipi di HCV inoltre, presentano una precisa distribuzione geografica. In particolare, i genotipi 1a, 1b, 2a e 2b sono ubiquitari, il genotipo 3a si trova in Sud America, in Europa e in Asia, e soprattutto circola tra alcune categorie di soggetti a rischio, quali i tossicodipendenti, il genotipo 4 è endemico in Africa Centrale e Settentrionale e nei Paesi del Medio Oriente, mentre i genotipi 5 e 6 sono predominanti nel Sud-Est asiatico e nel Sud Africa. Il genotipo 6 è prevalente ad Hong Kong (Figura 8) (Antonelli, 2008; Bukh et al., 1995a). 29 A B Figura 8 | Distribuzione geografica dei maggiori genotipi e sottotipi di HCV a livello mondiale (A) e in Italia (B) (Zein, 2000). 30 L’analisi del genotipo infettante ha un’importanza rilevante ai fini prognostici e predittivi. Infatti i pazienti infettati dal genotipo 1a e 1b rispondono in maniera meno efficace alla terapia e presentano un aumentato rischio di rapida progressione della malattia epatica (Bukh et al., 1995b). Nell’ospite infetto da HCV, l’analisi genomica ha dimostrato che il virus è presente come popolazione eterogenea in continua evoluzione in funzione della risposta immunitaria dell’ospite e della pressione selettiva data dal trattamento farmacologico. Da ciò deriva che alcune varianti possono diventare predominanti rispetto ad altre e che HCV si può considerare una quasispecie virale. La quasispecie risulta costituita da un insieme eterogeneo di genomi contenenti innumerevoli sequenze minoritarie che vengono eliminate dal sistema immunitario e dai farmaci e da una sequenza dominante (sequenza master) in grado di sfuggire alle difese immunitarie dell’ospite e di stabilire quindi un’infezione persistente (Antonelli, 2008). 31 1.4 Storia naturale dell’epatite C L’esposizione accidentale a sangue infetto proveniente da soggetti con epatite acuta o cronica è la principale modalità d’ingresso del virus nell’ospite (Alter, 1999). La trasmissione parenterale viene definita apparente quando il virus penetra attraverso punture con aghi o strumenti infetti o inoculazione di sangue o emoderivati, mentre viene definita inapparente quando la penetrazione del virus avviene attraverso microlesioni difficilmente individuabili della cute o delle mucose (orale, genitale, ecc.). In passato la principale modalità di trasmissione parenterale apparente era rappresentata dalle trasfusioni di sangue e dagli emoderivati provenienti da donatori infetti; oggi, grazie allo screening sierologico e molecolare dei marcatori di HCV nei donatori, tale rischio si è notevolmente ridotto. Nei paesi industrializzati il rischio residuo di trasmissione del virus secondo questa modalità è di 0,1- 2,33 per un milione di donazioni (Alter, 1990). Attualmente, la principale modalità di trasmissione parenterale apparente consiste nell’assunzione di droghe con scambio di siringhe. Un peso notevole nella trasmissione di HCV è anche rappresentato dal trapianto da donatori infetti, dagli interventi odontoiatrici, dalle apparecchiature sanitarie contaminate, dall’agopuntura e dai trattamenti estetici (Bronowicki et al., 1997). Sebbene con frequenza di gran lunga inferiore a quella del virus dell’epatite B e/o dell’HIV, HCV si trasmette anche per via sessuale. Non sono infettanti né lo sperma né la saliva, né le secrezioni vaginali, ma la trasmissione per via sessuale avviene solo se durante l'atto vi è scambio di sangue. Fattori potenzialmente in grado di aumentare il rischio di trasmissione sessuale di HCV sono: la coinfezione HIV–HCV, la presenza di altre malattie sessualmente trasmissibili, rapporti sessuali traumatizzanti (rapporti anali passivi) e mancato uso del condom. Per quanto riguarda la via materno–fetale, si può stimare che il rischio di infezione sia inferiore al 5%, ma può aumentare in certi casi, ad esempio se la madre è tossicodipendente attiva o affetta anche da infezione da HIV. Non è mai stata dimostrata l'utilità del taglio cesareo elettivo (cioè eseguito prima della rottura delle membrane) per ridurre tale rischio. Anche l'allattamento al seno è permesso in quanto non associato a trasmissione del virus (Brettler et al., 1992; Hallam et al., 1993). 32 Il virus raggiunge poi attraverso il sangue il fegato, principale organo bersaglio in cui si moltiplica attivamente. Altre sedi individuate in cui il virus si moltiplica sono le cellule mononucleate del sangue periferico (PBMC) ed in particolare nei linfociti e nelle cellule della serie monicito-macrofagica (Lerat et al., 1996). L’HCV causa un’infezione acuta che evolve in epatite clinicamente evidente nel 2030% dei casi, mentre nei restanti casi si ha un’infezione subclinica asintomatica. Il periodo di incubazione varia da 2 a 26 settimane (mediamente 7 settimane) e la sintomatologia include astenia, anoressia e ittero. I livelli di alanino-aminotransferasi sierici (ALT) e l’espressione di necrosi epatica raggiungono valori 10 volte superiori la norma mediamente dopo 2-8 settimane. L’HCV-RNA è invece evidenziabile precocemente nel siero del paziente da 1 a 2 settimane dopo il contatto con il virus. Nel 20% dei casi l’epatite acuta evolve in guarigione, si osserverà quindi la normalizzazione delle ALT e la negativizzazione dell’HCV-RNA. Nel 80% dei casi l’epatite acuta evolve in cronica caratterizzata dalla persistenza del genoma virale nel sangue per almeno 6 mesi dall’insorgenza dell’infezione acuta, mentre le ALT possono rimanere elevate, normalizzarsi o avere un andamento intermittente. Gli anticorpi anti-HCV sono presenti sia nei soggetti con epatite acuta sia cronica e risultano presenti circa 70 giorni dopo l’infezione e non distinguono tra malattia in atto o pregressa e per questo motivo non vengono ricercati a scopo diagnostico (Figura 9). La percentuale di cronicizzazione dipende da una serie di fattori, come l’età al momento dell’infezione (minore di 25 anni), il sesso maschile, la razza, l’assenza di ittero nel corso dell’infezione acuta, il tipo di inoculo e la carica virale infettante, la coinfezione con altri virus come HIV e HBV (che condividono la modalità di trasmissione per via ematica), l’abuso di alcol e la presenza di una sindrome metabolica da insulino-resistenza. Dalla condizione di epatite cronica, specie in presenza di spiccata necroinfiammazione e/o cofattori di danno epatico, la malattia potrà poi evolvere nel 20-35% dei casi, nell’arco di 10-30 anni, verso la cirrosi epatica e infine verso un epatocarcinoma (Figura 10). L’infezione cronica da HCV è stata correlata a numerose manifestazioni extraepatiche, solamente la crioglobulinemia mista è stata associata inequivocabilmente all’infezione cronica da HCV essendo stata riscontrata in oltre il 40% dei soggetti HCVpositivi; le manifestazioni cliniche quali rash cutaneo, vasculiti, artralgie sembrano 33 essere causate dalla deposizione di immunocomplessi nei vari organi (Afdhal et al., 2004; Antonelli, 2008; www.cdc.gov/hepatitis/HCV). Figura 9 | Visualizzazione grafica dei livelli dell’RNA virale, della transaminasi ALT e degli anticorpi anti-HCV nel tempo nei pazienti con epatite acuta e cronica (www.cdc.gov/hepatitis/HCV). 34 Figura 10 | Storia naturale nei soggetti infetti con HCV (www.epatitec.info). 35 1.5 Epidemiologia dell’epatite C L’organizzazione mondiale della sanità (OMS) ha stimato che nel mondo circa 240 milioni di soggetti (fra il 3 e il 4% della popolazione globale) hanno un’infezione cronica da HCV e che, ogni anno, circa 3-4 milioni hanno un’infezione acuta da HCV (Shepard et al., 2005; Wasley and Alter, 2000). La prevalenza e l’incidenza differiscono, comunque, significativamente nelle diverse aree geografiche. La minore prevalenza di infezione (0,01-0,1%) si riscontra in Inghilterra e in Scandinavia, seguite dal Nord America, dall’Europa Occidentale, dall’Australia e dal Sud Africa (0,2-0,5%), dal Brasile, dall’Europa Orientale, dai Paesi del Bacino del Mediterraneo e dal Medio Oriente (1-5%), mentre la maggiore prevalenza di infezione si osserva in Egitto (18.1%) (Wasley and Alter, 2000). La differente circolazione del virus è sicuramente associata alle condizioni igienico-sanitarie e socio-demografiche, che possono modificare l’efficienza delle vie di trasmissione. Il tasso d’incidenza è notevolmente sottostimato, dal momento che i casi notificati si riferiscono, per la maggior parte, a soggetti con infezione clinicamente evidente, mentre i casi asintomatici costituiscono la maggior parte delle infezioni acute da HCV (Antonelli, 2008). 36 1.6 Diagnostica dell’infezione da HCV La determinazione di anticorpi specifici nei confronti di antigeni dell’HCV è il primo approccio per lo screening e per la diagnosi di infezione da HCV. I test immunoenzimatici (ELISA) attualmente in uso contengono come determinanti antigenici le proteine ricombinanti codificate dalle regioni NS3, NS4, NS5 e Core, relativamente conservate nei diversi genotipi virali. Questo test per la ricerca degli anticorpi è disponibile dal 1989 e permette di stabilire se il soggetto è entrato in contatto con l’HCV e se ha quindi sviluppato anticorpi contro il virus, ma non distingue tra malattia pregressa o in atto. Inoltre la ricerca di anticorpi anti-HCV può dare risultati falsamente negativi se avviene nel cosiddetto “periodo finestra”, che è l’intervallo di tempo, di circa 70 giorni, compreso tra l’esposizione dell’individuo al virus e la formazione degli anticorpi specifici, in cui nel paziente risultano rintracciabili solo la proteina Core e il genoma di HCV. Assume allora particolare significato la ricerca diretta del virus mediante due differenti approcci: i) la ricerca della proteina Core di HCV mediante test immunoenzimatici o ii) del genoma virale (HCV-RNA) mediante una reazione polimerasica a catena, preceduta da una reazione di retrotrascrizione (RT-PCR) in cui vengono utilizzati primers che riconoscono una regione del 5’UTR altamente conservata. Se questi test risultano positivi, significa che sussiste una replicazione virale e quindi la presenza di un‘infezione. Di particolare importanza è la valutazione virologica del paziente con epatite cronica in corso di terapia antivirale. In questo caso è necessario valutare all’inizio del trattamento antivirale il genotipo virale e l’entità della replicazione, cioè la carica virale (mediante dosaggio della proteina Core o del genoma virale) (Abbott diagnostics). Per quanto riguarda la carica virale si è visto che minore è la carica virale all’inizio del trattamento farmacologico, maggiore è la probabilità di successo della terapia, in secondo luogo si è visto che risulta inutile continuare il trattamento farmacologico nei pazienti in cui non si ha una negativizzazione dell’HCV-RNA entro le prime dodici settimane dall’inizio della terapia. Per quanto riguarda il genotipo è importante sottolineare che esso influenza notevolmente la risposta del paziente al trattamento, e in particolar modo i genotipi 2 e 3 sono quelli maggiormente responsivi. 37 È inoltre possibile valutare lo stato di infiammazione del fegato sia in modo indiretto determinando i livelli delle transaminasi epatiche (alanina transaminasi o ALT/GPT e aspartato transaminasi o AST/GOT) sia in modo diretto, per avere un quadro preciso sull’entità e sul tipo di danno al fegato, tramite analisi istologica di una biopsia epatica (Antonelli, 2008; www.cdc.gov/hepatitis/HCV; www.epatitec.info). 38 1.7 Trattamento farmacologico dell’epatite C Dato che la patogenesi del danno epatico e l’evoluzione dell’infezione sono il risultato della combinazione tra fattori legati al virus e la risposta immune dell’ospite, è pienamente giustificato affrontare la terapia sia con farmaci con attività antivirale diretta sia con strategie di immunomodulazione. L’obiettivo della terapia dell’epatite C è di eliminare in modo definitivo il virus. Studi di valutazione della cinetica di decadimento della viremia dimostrano che la stimolazione della risposta immunitaria dell’ospite e l’eliminazione immunomediata degli epatociti infettati svolgono un ruolo fondamentale nel raggiungimento di una risposta virologica alla fine del trattamento (ETR: End of Treatment Response con HCV-RNA non rilevabile alla fine del trattamento) e nel suo consolidamento a lungo termine (SVR: sustained virological response con HCV-RNA non rilevabile al termine del follow up a 21 settimane dopo la fine del trattamento). Per quanto riguarda la terapia dell’epatite C la strategia terapeutica fino ad ora maggiormente utilizzata si avvale dell’utilizzo di interferone α (IFNα) ricombinante associato a ribavirina. L’interferone, legandosi a specifici recettori posti sulla cellula bersaglio, stimola una cascata di segnali intracellulari che terminano con l’espressione di un numero definito di geni indotti (interferon stimulated genes; ISG). I prodotti proteici derivanti dall’espressione degli ISGs hanno la funzione di controllare l'infezione virale: alcuni hanno un ruolo antivirale diretto all’interno delle cellule infettate, altri promuovono la risposta immune adattativa e altri ancora controllano la proliferazione cellulare (vedi paragrafo 1.11.1). L’efficacia del trattamento con solo IFNα, misurata in termini di SVR risulta pari al 16% (Figura 11). Vari studi condotti nella seconda metà degli anni 90 hanno dimostrato che la combinazione dell’IFNα con la ribavirina, un analogo nucleosidico a somministrazione orale, permette l’incremento della SRV (da 16% a 40%) rispetto all’utilizzo del solo IFNα in monoterapia (Poynard et al., 1998) (Figura 11) ed è stata pertanto assunta come terapia standard dell’epatite C nel 1999. Per quanto riguarda la durata della terapia di combinazione si differenzia in base al genotipo: 24 settimane per i genotipi 2 e 3 che sono maggiormente responsivi, 48 settimane per i genotipi 1 e 4 che sono meno responsivi. La ribavirina è un nucleoside purinico sintetico avente la capacità, come monofosfato (RMP; ribavirina monofosfato), di 39 inibire gli enzimi inosina monofosfato (IMP)-deidrogenasi e l’adenilosuccinasi, implicati nella biosintesi dei nucleotidi purinici GTP e ATP, fondamentali per la trascrizione e per la replicazione del virus. Come trifosfato (RTP; ribavirina trifosfato) invece inibisce l’RNA-polimerasi di HCV ed il 5’-capping dell’RNA messaggero virale. Alcuni studi del 2002 hanno ipotizzato anche un ruolo immunomodulante della ribavirina capace di indurre uno shift della risposta dei linfociti CD4+ da Th2 a Th1 con produzione di IFNγ, TNFα e IL-2 (Lau et al., 2002), che attivano le cellule T citotossiche CD8+ e reclutano macrofagi e le cellule NK, con conseguente lisi delle cellule infettate dal virus. Sono emersi dati sempre più evidenti su alcuni limiti dell’IFNα tradizionale, legati ad alcune caratteristiche di farmacocinetica. L’IFNα presenta una breve emivita (4-6 ore) e, nonostante venga somministrato tre volte alla settimana, già il giorno successivo alla somministrazione non è più dosabile in circolo. Per aumentare l’emivita della molecola sono stati sintetizzati gli interferoni PEGilati, caratterizzati dal legame covalente con il glicole polietilenico (PEG). La coniugazione di farmaci con il 23 PEG, detta PEGilazione, rallenta l’assorbimento del farmaco e quindi ne prolunga l’emivita, impedendo la degradazione enzimatica e la clearance renale. Ciò ha permesso di ottenere molecole di interferone caratterizzate da una lunga emivita, da una maggiore solubilità, da una maggiore stabilità e biodisponibilità e ad una somministrazione meno frequente (una volta alla settimana). L’utilizzo di IFN PEGilati ha consentito un ulteriore incremento dell’efficacia terapeutica (incremento della SRV) sia somministrando il farmaco in monoterapia (Heathcote et al., 2000) sia in combinazione con la ribavirina (Figura 11) (Hadziyannis et al., 2004). Figura 11 | Tasso di SVR (sustained response) virological in relazione ai differenti regimi terapeutici anti-HCV utilizzati (IFN = interferone, PEG = interferone PEGilato, RBV = ribavinina)(Smith, 2003). 40 Nonostante i notevoli traguardi raggiunti nel trattamento e nella gestione dei pazienti con infezione da HCV restano ancora numerose problematiche irrisolte, prima tra tutte la gestione dei pazienti che non rispondono al trattamento. Emerge quindi l’esigenza di ricercare nuovi farmaci alternativi attivi nei confronti di tutti i genotipi di HCV. Ciò potrebbe essere reso possibile dall’utilizzo di anticorpi neutralizzanti diretti contro epitopi virali conservati fra i vari genotipi e importanti per la fitness virale. I principali vantaggi nell’utilizzo degli anticorpi (Ab) come presidio terapeutico sono: l’alta specificità per l’antigene target dell’agente eziologico e di conseguenza la bassa cross-reattività nei confronti delle cellule sane, l’elevata quantità e purezza con cui vengono prodotti e infine la possibilità di utilizzarlo coniugato ad un altro farmaco (antibiotico, antivirale, chemioterapico, radioisotopo). L’utilizzo di anticorpi come farmaci è già stato introdotto in differenti patologie neoplastiche (Tabella 1). Nome Ab Tipo Origine Target Indicazioni Approvato terapeutiche FDA Rituximab IgG1 chimerico CD20 Linfoma B 1997 Herceptin IgG1 umanizzato HER2/neo Carcinoma mammella 1998 Alemtuzumab IgG1 umanizzato CD52 Leucemia linfatica 2001 cronica Cetuximab IgG1 chimerico EGFR Carcinoma colonrettale 2004 Tabella 1 | Anticorpi monoclonali terapeutici approvati per l’uso in oncologia. 41 1.8 Modelli in vitro utilizzati per lo studio di HCV La ricerca su HCV risulta ampiamente rallentata dalle difficoltà incontrate nello sviluppo di efficienti modelli sperimentali. In seguito, sono riportati i differenti modelli in vitro di HCV che si sono sviluppati negli anni e hanno contribuito all’ottenimento delle attuali conoscenze sul ciclo virale. 1.8.1 Infezione di culture cellulari primarie e linee cellulari L’unica fonte di particelle infettive di HCV sono i sieri ottenuti da pazienti e da scimpanzé infetti. La purificazione di tali virioni risulta difficile a causa dell’eterogeneità di densità delle particelle virali. Infatti troviamo sia particelle di HCV a bassa densità in cui il virione è associato alle lipoproteine, sia particelle di HCV ad alta densità in cui il virione è libero o associato alle immunoglobuline (Andre et al., 2002; Hijikata et al., 1993b; Thomssen et al., 1993). Poiché gli epatociti sono il principale sito di replicazione del virus, diversi gruppi hanno valutato la capacità dei virioni ottenuti dai sieri infetti di replicarsi in epatociti primari in vitro. Si è visto che sia epatociti umani che provenienti da scimpanzé sono in grado di supportare l’infezione e la replicazione di HCV in vitro, ma con un tasso replicativo molto basso (0,01-0,1 copie di RNA per cellula). Alcune prove che dimostrano l’infezione sono: la presenza a livello cellulare del filamento a polarità negativa di RNA di HCV, la sensibilità al trattamento con IFNα e la secrezione di progenie virale infettiva (Castet et al., 2002; Rumin et al., 1999). Alcuni gruppi si sono focalizzati nella ricerca di linee cellulari che permettano una replicazione virale ad alto titolo (Bartenschlager and Lohmann, 2001). Tra quelle testate, HepG2 (Human hepatocellular liver carcinoma cell line), Huh-7 (Human Hepatoma cell line) e PH5CH (non-neoplastic hepatocyte line) risultano esser le linee più suscettibili all’infezione e alla replicazione virale. Recentemente si sono prodotti epatociti immortalizzati con i geni E6 ed E7 del Virus del Papilloma Umano (HPV); questa linea mantiene un buon livello di differenziazione epato-specifico ed è suscettibile all’infezione da HCV (Aly et al., 2007). In tali modelli però il tasso replicativo del virus è molto basso (0,0001-0,01 copie di RNA per cellula) ed è inferiore al sistema basato sugli epatociti primari. Alcune prove che dimostrano 42 l’infezione sono: la presenza a livello cellulare del filamento a polarità negativa di RNA di HCV, la sensibilità al trattamento con IFNα e agli anticorpi anti-CD81, la secrezione di progenie virale infettiva (Aly et al., 2007; Bartenschlager and Lohmann, 2001). Poiché nei pazienti infetti l’intermedio replicativo virale non si trova solamente negli epatociti, ma anche nelle cellule ematopoietiche (Lerat et al., 1996), alcuni gruppi hanno valutato la capacità virale di infettare e replicare in tali cellule in vitro. Le PBMC (Peripheral Blood Mononuclear Cell) e alcune linee cellulari di linfociti B (Daudi) e T (MT-2 e MOLT-4) sono sensibili all’infezione con sieri HCV positivi, permettendo la replicazione virale, ma con un’efficienza molto bassa (Cribier et al., 1995). In conclusione, l’infezione e la replicazione virale in vitro è inefficace a causa di molteplici problemi. Bisogna ricordare infatti che i sieri dei pazienti non sempre sono infettivi (probabilmente a causa del ruolo delle lipoproteine e dei recettori per le lipoproteine nel modulare l’entry virale) e non esiste una correlazione diretta tra infettività e titolo dell’ RNA virale o presenza di anticorpi anti-HCV nel siero. Inoltre HCV mostra una bassa efficacia replicativa in vitro con un basso titolo della progenie virale infettante prodotta ed esistono molteplici difficoltà tecniche nel mantenere in cultura le varie tipologie di cellule presentate. 1.8.2 Modello dei repliconi Un importante scoperta fu lo sviluppo di un sistema di cultura cellulare basato sulla selezione delle cellule che supportano una replicazione stabile dell’RNA subgenomico di HCV (replicone). Il primo replicone subgenomico è stato costruito a partire dalla sequenza virale del genotipo 1b proveniente da un paziente cronicamente infetto. Da tale sequenza nucleotidica è stata tolta la regione che va dal Core a p7 e sostituita con il gene della resistenza alla neomicina seguito dall’IRES eterologa del virus dell’encefalomiocardite. Il risultato ottenuto è stato un replicone subgenomico bicistronico in cui in direzione 5’3’ troviamo IRES di HCV seguito dal gene della resistenza alla neomicina e poi IRES del virus dell’encefalomiocardite seguito dalla regione del genoma di HCV che codifica le proteine non strutturali (NS2, NS3, NS4A, NS4B, NS54, NS5B). Tale costrutto viene utilizzato per trasfettare le cellule Huh-7 e grazie alla presenza della resistenza vengono selezionate le cellule in cui è presente il costrutto (Figura 12) (Lohmann et al., 1999). 43 Si è visto che la comparsa di mutazioni adattative a livello dei geni codificanti le proteine non strutturali porta un aumento dell’efficienza di replicazione di 10 mila volte (Blight et al., 2000). Tali mutazioni sono localizzate nella regione N-terminale dell’elicasi NS3, in due distinte posizioni di NS4B, al centro di NS5A e nella regione Cterminale di NS5B; è importante sottolineare il fatto che tali mutazioni normalmente non sono state osservate nel virus wild-type (Blight et al., 2000; Krieger et al., 2001; Lohmann et al., 2001). Trattando con IFN le cellule selezionate è possibile “curare” le cellule, eliminando la replicazione dei repliconi di HCV; con tale trattamento è stato possibile selezionare dei subcloni cellulari, chiamati Huh-7-Lunet, Huh-7.5 e Huh-7.5.1, in cui si osserva una maggior replicazione dell’RNA virale rispetto alle cellule non trattate (Blight et al., 2002; Zhong et al., 2005). Molto probabilmente tali cellule presentano mutazioni a carico delle proteine coinvolte nel pathway che individua dsRNA e porta alla produzione dell’IFN (Lanford et al., 2003). In seguito sono stati sviluppati repliconi subgenomici dei genotipi 1a e 2a (Blight et al., 2003; Kato et al., 2003). Successivamente sono stati generati anche repliconi genomici bicistronici in cui in direzione 5’-3’ troviamo l’IRES di HCV seguito dal gene della resistenza alla neomicina e poi troviamo l’IRES del virus dell’encefalomiocardite seguito dall’intero genoma di HCV. In questo caso nelle cellule Huh-7 trasfettate e selezionate con neomicina si osserva la replicazione dell’RNA virale (con un’efficienza inferiore rispetto il modello dei repliconi subgenomici) e la produzione dell’intera poliproteina, non accompagnata però dalla produzione di progenie virale (Figura 12,) (Blight et al., 2002; Ikeda et al., 2002; Pietschmann et al., 2002). Solo trasfettando le cellule con l’isolato JFH1 (genotipo 2a) si osserva la produzione di progenie virale infettiva (vedi poi modello dell’HCV Cellular Clone, paragrafo1.8.5). Complessivamente il modello dei repliconi permette di studiare il processo e il complesso di replicazione virale, le interazioni virus-ospite e di saggiare l’efficacia di farmaci antivirali che hanno come target la replicazione (Bartenschlager, 2004; Lindenbach et al., 2005). 44 Figura 12 | Rappresentazione schematica del modello dei repliconi. Repliconi subgenomici e genomici sono costituiti dal HCV 5’UTR, dal gene che codifica la neomicina fosfotransferasi2 (NeoR), l’IRES del virus dell'encefalomiocardite, la regione che codifica le proteine di HCV e HCV 3’UTR. (Ba) Cellule Huh-7 elettroporate con il replicone genomico di HCV. I cloni cellulari dove il replicone di HCV si replica in modo efficiente sono selezionati per la loro resistenza al G418 (neomicina). (Bb) In parallelo, subcloni di cellule Huh-7 altamente permissive per quanto riguarda la replicazione del replicone subgenomico di HCV possono essere ottenute trattando le cellule trasfettate con G418. Le cellule vengono poi trattate con IFN per eliminare i repliconi di HCV e in questo modo vengono selezionati cloni cellulari (Huh-7-Lunet, Huh-7.5 e Huh-7.5.1) dove si osserva una maggior efficienza replicativa dei repliconi subgenomici di HCV (Regeard et al., 2007). 2 Nonostante nel costrutto del replicone sia presente il gene della resistenza alla neomicina, le cellule eucariote transfettate vengono selezionate utilizzando un’elevata quantità di G418 (geneticina) in quanto sono intrinsecamente resistenti alla neomicina e alla kanamicina. 45 1.8.3 Modello delle HCV like particles Le HCV like particles sono generate dall’autoassemblaggio delle proteine strutturali di HCV (Core, E1 e E2) e rispecchiano la morfologia del virus wild-type, ma sono incapaci di replicare. La prima generazione di HCV like particles è stata prodotta usando cellule d’insetto infettate con baculovirus ricombinante contenente il cDNA di HCV codificante le proteine strutturali del genotipo 1a o 1b. Le particelle prodotte sono trattenute a livello intracellulare (assenza di gemmazione) e per il rilascio è quindi necessario lisare le cellule e purificare i virioni mediante centrifugazione in gradiente di densità (Baumert et al., 1998). La seconda generazione di HCV like particles è stata prodotta usando cellule di mammifero (BHK21) infettate con Semliki Forest Virus ricombinante contenente il cDNA di HCV codificante le proteine strutturali. In tale sistema le particelle prodotte vanno incontro ad una gemmazione abortiva a livello del reticolo endoplasmatico. A causa dell’assenza di un completo budding, questo modello non può essere usato per studiare gli steps successivi dell’assemblaggio di HCV in cellule eucariote (Blanchard et al., 2002). In generale il modello dell’HCV like particles viene utilizzato per studiare il processo di legame e per sviluppare un vaccino efficace. Il legame specifico di HCV like particles si ha con differenti tipi cellulari: epatociti, linfociti, cellule dendritiche; indipendentemente dall’espressione del CD81 (Barth et al., 2003; Triyatni et al., 2002). Per quanto riguarda lo sviluppo del vaccino si è visto che HCV like particles sono capaci di indurre l’attivazione di una risposta immune umorale e cellulare nei topi e negli scimpanzé. Gli animali vaccinati con HCV like particles non sono però protetti dall’infezione, ma semplicemente dopo un’infezione con HCV di genotipo omologo (lo stesso usato per produrre HCV like particles) sviluppano una forma di epatite meglio controllabile rispetto agli animali di controllo non vaccinati (Elmowalid et al., 2007; Murata et al., 2003). 46 1.8.4 Modello degli pseudovirus Recentemente è stato possibile riprodurre in vitro le prime fasi dell’infezione da HCV, mediante la produzione di pseudoparticelle virali funzionali (HCVpp). Gli pseudovirus sono particelle ricombinanti in grado di esprimere sulla propria superficie proteine virali eterologhe; in particolare negli HCVpp, le glicoproteine E1 ed E2 vengono espresse sulla superficie di altri virus, denominati scaffold, sostituendone le loro naturali proteine di superficie (Bartosch et al., 2003b). Come virus scaffold si possono utilizzare sia i virus della stomatite vescicolare (VSV) che i retrovirus, come ad esempio il virus dell’immunodeficienza umana (HIV) ed il virus della leucemia murina (MLV). Gli pseudovirus sono capaci di un singolo ciclo d’infezione, cioè sono in grado di infettare, ma incapaci di replicare nelle cellule bersaglio (Bartosch et al., 2003b; Hsu et al., 2003; Lagging et al., 1998; Matsuura et al., 2001). In generale essi vengono utilizzati per studiare la struttura tridimensionale delle glicoproteine E1 e E2, identificare i recettori e co-recettori usati da HCV, studiare l’ingresso del virus in vitro e condurre test di neutralizzazione. La prima generazione di HCVpp sono stati sviluppati a partire dal virus della stomatite vescicolare (VSV), in cui il gene per la glicoproteina G è stato sostituito dal gene per la proteina verde fluorescente (GFP) (VSV-GFP∆G) (Matsuura et al., 2001). Infettando con questo virus una linea cellulare CHO (Chinese Hamster Ovary) esprimente le proteine E1-G ed E2-G, viene prodotto uno pseudovirus VSV/HCV che presenta sulla superficie le proteine E1 ed E2 (Takikawa et al., 2000). Tuttavia affinché le proteine E1-E2 vengano incorporate nello pseudovirus, le glicoproteine devono subire una modifica (Matsuura et al., 2001): poiché la formazione e la gemmazione delle particelle virali di VSV avviene a livello della membrana citoplasmatica, le proteine E1E2 vengono private della regione C-terminale (dove si trova la sequenza segnale che trattiene queste proteine a livello del reticolo endoplasmatico) che viene sostituita con il dominio transmembrana e citoplasmatico della glicoproteina G di VSV. In questo modo E1-E2 vengono espresse sulla superficie cellulare e possono così essere incorporate a livello dell’envelope dello pseudovirus VSV/HCV. Questo artefatto può causare alcune importanti alterazioni per quanto riguarda il ripiegamento e la glicosilazione; infatti le glicoproteine E1-E2 dello pseudovirus 47 HCV/VSV derivando dalla membrana plasmatica vanno incontro a modificazioni posttraduzionali diverse rispetto a ciò che accade nel reale ciclo vitale del virus, dove le glicoproteine sono assemblate all’interno del reticolo endoplasmatico (Buonocore et al., 2002; Hsu et al., 2003). Un profilo di glicosilazione diverso rispetto al fisiologico processo di infezione in vivo e la mancanza del dominio transmembrana responsabile della formazione dell’eterodimero E1-E2 possono determinare delle modifiche di conformazione, che rendono tale sistema poco affidabile sia per valutare il tropismo di HCV sia per svolgere test di neutralizzazione e studiare l’attività biologica degli anticorpi diretti contro HCV. Infatti tali pseudovirus mostrano un tropismo molto ampio che può essere influenzato dall’infettività di VSV e quindi dal fatto che tali pseudovirus non presentano le glicoproteine E1 e E2 di HCV wild-type (Buonocore et al., 2002). La seconda generazione di HCVpp è stata sviluppata a partire da retrovirus e risulta essere un sistema più vicino alla reale fisiologia di HCV. I retrovirus sono in grado di incorporare a livello della loro superficie molti tipi di glicoproteine cellulari e virali (Ott, 1997; Sandrin et al., 2002) e integrano facilmente geni reporter (Negre and Cosset, 2002). Queste proprietà sono state sfruttate per la produzione di pseudoparticelle virali che esprimono E1E2 sulla loro superficie e che trasportano un gene reporter che permette di monitorare l'infezione delle cellule bersaglio. In particolare la realizzazione di pseudoparticelle virali derivate da MLV si basa sulla co-trasfezione di cellule (solitamente HEK293T, Human Embryonic Kidney) con tre differenti vettori d’espressione: i) un vettore di packaging, contente tutto il genoma del retrovirus tranne la zona codificante per le proteine dell’envelope ed il segnale di incapsidamento, in modo che il genoma virale non venga inserito nei virioni prodotti, ii) un secondo costrutto, codificante per le glicoproteine dell’envelope di HCV (E1 ed E2) e iii) un terzo costrutto, che codifica per un gene reporter, generalmente GFP o luciferasi, che permette di individuare le cellule infettate. Infatti il gene reporter, essendo l’unico a possedere la sequenza di incapsidamento, viene inserito nella particella nascente (Figura 13) (Bartosch et al., 2003b; Sandrin and Cosset, 2006). A differenza del sistema di pseudovirus HCV/VSV, le glicoproteine E1-E2 presenti sull’envelope degli pseudovirus HCV/MLV derivano soprattutto dalle membrane intracellulari e non dalla membrana plasmatica. Infatti è stato dimostrato che la 48 gemmazione di HCV/MLV avviene attraverso membrane intracellulari (Sandrin et al., 2005). Nel dettaglio, analizzando mediante immunofluorescenza l’espressione delle glicoproteine E1-E2 e la proteina del Core di MLV nelle cellule trasfettate è stato evidenziato che queste proteine tendono a co-localizzare in corrispondenza di strutture vescicolari intracitoplasmatiche che costituiscono il cosiddetto multivesicular body (MVB), un compartimento intracellulare coinvolto nell’endocitosi e nel trasporto ai lisosomi. Le HCVpp sono veicolate attraverso questo sistema di vescicole a livello della membrana plasmatica per essere successivamente rilasciate all’esterno della cellula, in seguito alla fusione delle membrane dei MVB con la membrana plasmatica (Lavillette et al., 2006). In conclusione, il processo di formazione delle HCV/MLVpp potrebbe essere molto simile a quello che si verifica in vivo per HCV, rendendo questo un valido modello per lo studio di HCV in vitro. Il tropismo delle HCV/MLVpp risulta essere epato-specifico, grazie a tale strumento è stato possibile identificare i recettori più importanti per l’entry virale, studiare come HCV viene internalizzato e allestire test di neutralizzazione in vitro per valutare l’attività biologica di anticorpi anti-HCV. Lo svantaggio principale di questo modello è che le pseudoparticelle virali sono assemblate a livello delle cellule HEK293T, cioè cellule di rene, e quindi anche in questo caso potrebbero verificarsi alcune alterazioni del ripiegamento e di glicosilazione di E1-E2 rispetto a ciò che si verifica nei virioni derivati dal plasma (Keck et al., 2007). Infatti, HCVpp presentano delle dimensioni maggiori rispetto ai virioni presenti nel siero e questo potrebbe essere dovuto alla presenza di un numero maggiore di glicoproteine a livello dell’envelope; infatti l’assenza della proteina NS2 nel modello di HCVpp, può causare alterazioni nell’assemblaggio delle particelle virali (Clayton et al., 2002). Inoltre, il diverso profilo di glicosilazione può essere alla base di cambiamenti conformazionali che modificano l’esposizione di epitopi sulla superficie di E2. In ultimo, con questo sistema vengono prodotti pseudovirus non associati a lipoproteine, cosa differente rispetto a quello che si osserva in vivo e tutto questo potrebbe influenzare i test di neutralizzazione che vengono attuati in vitro. 49 Figura 13 | Produzione delle HCV/MLVpp. Le cellule 293T vengono trasfettate con tre differenti vettori di espressione. Il primo (a) è il costrutto di packaging che codifica per le proteine retrovirali Gag e Pol. Il secondo vettore (b), codifica un gene reporter che rappresenta il genoma delle HCV/MLVpp in quanto è l’unico costrutto che contiene la sequenza retrovirale d’incapsidamento (Y). Il terzo vettore (c) codifica le glicoproteine E1 ed E2 di HCV. La capacità degli HCVpp di infettare linee cellulari di epatoma è stata analizzata valutando l'espressione del gene reporter (CMV: promotore del citomegalovirus) (Regeard et al., 2007). 1.8.5 Modello dell’HCV cellular clone (HCVcc) Un importante passo avanti è stato ottenuto con lo sviluppo di un clone cellulare di HCV (HCVcc) capace di propagarsi in vitro. Questo sistema è basato sull'utilizzo di un particolare isolato virale che ha la particolarità di replicare in vitro. Tale isolato è stato ottenuto nel 2001 da un paziente giapponese con un’epatite fulminante (JFH1 dall’inglese Japanese Fulminant Hepatitis), appartenente al genotipo 2a, ed ha come peculiarità quella di presentare alcune mutazioni assenti negli altri isolati dello stesso genotipo, soprattutto a livello del 5’-UTR e delle regioni Core, NS3, NS5A(Kato et al., 2001). 50 I primi risultati con questo clone sono stati ottenuti utilizzando il modello dei repliconi subgenomici. Il replicone subgenomico JFH1 dimostra una straordinaria capacità di replicarsi in modo efficace in linee cellulari umane di origine epatica, in linee cellulari umane non epatiche (IMY-N9, HeLa, HEK 293) e nei fibroblasti embrionali di topo (Date et al., 2004; Kato et al., 2005). Successivamente Wakita et al. hanno descritto come trasfettando la linea cellulare Huh-7 con l’intera sequenza di RNA dell’isolato JFH1, si osserva la produzione di progenie virale capace di infettare sia in vitro le cellule Huh-7 sia in vivo lo scimpanzé (Figura 14) (Wakita et al., 2005). Inoltre si è visto che usando cellule Huh-7.5 o Huh-7.5.1 si ottimizza la cinetica di replicazione e secrezione di particelle virali HCVcc (Lindenbach et al., 2005; Zhong et al., 2005). Grazie a tale modello si è visto che i virioni prodotti dalle cellule Huh-7 hanno un diametro simile al virus wild-type (circa 55 nm) e risultano avere una densità eterogenea ad indicare la produzione sia di virioni liberi che di virioni associati alle lipoproteine (Gastaminza et al., 2006; Lindenbach et al., 2005; Wakita et al., 2005; Zhong et al., 2005). Sono necessarie ulteriori analisi per caratterizzare l'associazione tra HCVcc e le lipoproteine e vedere se quello che si osserva in vitro, riflette le caratteristiche dei complessi HCV-lipoproteine presenti nei sieri dei pazienti. I tentativi di riprodurre questo modello con altri cloni molecolari dei diversi genotipi di HCV hanno mostrato risultati piuttosto limitati, con il rilascio di un titolo virale molto basso (Kato et al., 2007; Sakai et al., 2007; Yi et al., 2006). Di conseguenza per allargare lo spettro di genotipi studiati con il modello di HCVcc, sono state costruite chimere intergenotipiche e intragenotipiche di HCV. In tali chimere sono state mantenute le proteine non strutturali del clone JFH1, e sostituite quelle strutturali del clone JFH1 con quelle di altri isolati virali (Pietschmann et al., 2006). In questo modo è stato possibile produrre HCVcc dei genotipi 1a (H77), 1b (CG1b), 2a (J6) e 4a (ED43), in grado di replicare in vitro (Kato et al., 2007; Lindenbach et al., 2005; Scheel et al., 2008; Yi et al., 2006). Nonostante questi costrutti chimera abbiano un’elevata importanza nello studio dell’attività neutralizzante degli anticorpi contro i diversi genotipi, non mostrano nessuna rilevanza biologica per quanto riguarda lo studio del ciclo replicativo di HCV. Pertanto JFH1 rappresenta l’unico isolato virale attualmente in grado di replicare in maniera robusta in vitro, ed ha permesso di confermare dati ottenuti con l’utilizzo degli 51 HCVpp. Tuttavia non può essere dimostrato se tale variante virale sia altamente rappresentativa della biologia di HCV. Figura 14 | Il modello di HCVcc. La linea cellulare Huh-7 viene elettroporata con l’RNA genomico dell’isolato JFH1. Pochi giorni dopo la trasfezione, i virus vengono secreti nel surnatante. La loro infettività e capacità replicativa viene valutata su linee cellulari Huh-7 analizzando l'espressione di proteine virali o quantificando l’RNA virale intracellulare (Regeard et al., 2007). 52 1.9 La risposta immunologica nei confronti delle infezioni virali I virus sono microrganismi intracellulari obbligati, cioè devono compiere il ciclo vitale all’interno della cellula ospite e sono dipendenti dal suo metabolismo. Nonostante la continua esposizione ai virus, l’infezione è spesso contrastata dall’azione del sistema immunitario. La risposta antivirale immunitaria può rappresentare un’arma a doppio taglio, avente un ruolo non solo nella clearance del virus ma spesso anche nella patogenesi. Infatti, il sistema immunitario uccidendo le cellule infettate, elimina l’agente infettivo, ma allo stesso tempo causa un danno tissutale nell’ospite. Inoltre molti segni e sintomi clinici che si manifestano durante l’infezione virale non sono una conseguenza della replicazione virale, ma piuttosto della reazione immunitaria; ad esempio citochine rilasciate in seguito all’infezione possono causare sintomi sistemici quali febbre, mialgia, anoressia, perdita di peso, ecc… . In particolare, durante le infezioni croniche, possono formarsi complessi antigene-anticorpo con conseguenti manifestazioni di malattia da immuno-complessi. Infine, la risposta immunitaria, attivata in seguito all’infezione, può estendersi focalizzandosi non più soltanto sul virus, ma anche sulle proteine self dell’ospite causando una malattia di tipo autoimmune. La risposta immune antivirale si divide nelle due componenti: immunità innata e immunità adattativa. La risposta indotta dall’immunità innata o naturale è aspecifica e stereotipata, si attua in pochi giorni e non determina nessun tipo di memoria immunologica specifica. La finalità dei meccanismi attivati è quella di permettere un primo contenimento del patogeno e parallelamente favorire la maturazione di una risposta più specifica da parte dell’immunità adattativa. In questa fase, grazie alla capacità dell’ospite di possedere strutture recettoriali chiamate PRR (dall’inglese pattern-recognition receptor) in grado di riconoscere i determinanti molecolari comuni nei patogeni, chiamati PAMPs (dall’inglese pathogen-associated molecular patterns), si ha l’attivazione delle cellule dell’immunità innata, quali neutrofili, macrofagi, cellule NK, attivazione del sistema del complemento e la produzione di citochine proinfiammatorie e degli interferoni (Antonelli, 2008). La risposta immunitaria adattativa o acquisita è diretta in modo specifico verso alcune strutture caratteristiche del patogeno ed è dotata di memoria immunologica. L’immunità adattativa è rappresentata dai linfociti, che si dividono principalmente in 53 cellule T e B. I linfociti B, una volta maturati in plasmacellule, sono responsabili della produzione di anticorpi, i quali agiscono soprattutto diminuendo l’infettività dei virus, mentre i linfociti T si dividono in CD8 o linfociti T citotossici, i quali sono coinvolti principalmente nel riconoscimento e nell’uccisione delle cellule infettate, e CD4 o linfociti helper, la cui funzione consiste soprattutto nella secrezione di citochine per promuovere la maturazione delle cellule B (Janeway, 2001). L’infezione primaria da parte di un virus, in molti casi, induce una rapida ed individuabile risposta antivirale sia di tipo anticorpale, che mediata dai linfociti T. Al momento della fase più intensa della risposta T mediata (spesso dopo 7-10 giorni dall’esposizione), circa il 50-60% dei linfociti T CD8 sono virus-specifici e tale percentuale in seguito diminuisce (spesso in parallelo con la risoluzione dell’infezione) e dopo 3-4 settimane dall’infezione, sono presenti meno del 5% dei linfociti CD8 virusspecifici, che rappresentano le cellule della memoria (Butz and Bevan, 1998; MuraliKrishna et al., 1998). La risposta anticorpale è spesso identificabile in una fase più tardiva rispetto alla risposta T mediata; infatti gli anticorpi sono spesso assenti nella fase acuta (sintomatica) dell’infezione, ma compaiono generalmente al termine della malattia e per questo sembrano essere maggiormente coinvolti nella protezione nei confronti di una eventuale reinfezione, rispetto alla risposta T-mediata (Janeway, 2001). Tuttavia, numerose osservazioni suggeriscono che gli anticorpi sono importanti per combattere l’infezione primaria da parte dei virus. Infatti tale teoria è convalidata da numerosi studi che dimostrano che gli anticorpi hanno un ruolo cruciale nella prevenzione e trattamento di molte infezioni virali (Enria et al., 1984; Groothuis and Simoes, 1993; Lin et al., 1988; Maiztegui et al., 1979; Shouval and Samuel, 2000). Per quanto riguarda l’infezione con virus persistenti ad RNA, il ruolo protettivo svolto dagli anticorpi è ancora poco chiaro e largamente dibattuto. Come evidenziato da alcuni studi, nel caso dell’infezione da HCV, la presenza di una intensa risposta anticorpale non è correlata con la capacità di eliminare il virus e di proteggere da successive reinfezioni (Antipa et al., 1996; Bukh et al., 2008; Major et al., 2004). Nell’ambito della risposta anticorpale nelle infezioni virali, un ruolo importante sembra essere svolto dagli anticorpi neutralizzanti, cioè in grado di inibire la capacità infettiva del virus. In realtà, anche anticorpi privi di capacità neutralizzante in vitro, 54 possono essere protettivi in vivo, attraverso altri meccanismi di clearance del patogeno, come l'interazione con le cellule effettrici attraverso la porzione Fc (Burton, 2002; Janeway, 2001). Molti virus mettono in atto strategie per eludere le difese del sistema immunitario, compresa la risposta anticorpale. Alcuni virus, come il virus della rosolia o del morbillo, raggiungono questo obiettivo riuscendo ad infettare altri ospiti prima della produzione degli anticorpi. Quindi il virus non è sottoposto ad alcuna pressione evolutiva che lo spinge a trovare una strategia per sfuggire alla risposta neutralizzante. Infatti, in questi patogeni non si registra la presenza di un elevato numero di mutanti, proprio perché le mutazioni introdotte dalle polimerasi virali durante la replicazione del genoma del virus, non comporterebbero alcun vantaggio evolutivo, ma causerebbero solo una riduzione della capacità replicativa (fitness). In questo modo, il genoma del virus rimane stabile, nella forma che conferisce la migliore fitness possibile (Antonelli, 2008; Fields, 2001). Una situazione diversa è presente nel caso di virus a RNA che causano infezioni persistenti, come HCV. Infatti, in questo caso, la modalità di trasmissione del virus ad altri ospiti, richiede la presenza persistente del virus in grado di replicare efficacemente. Pertanto, soggetti che sono in grado di eliminare il virus dopo l’infezione acuta, non hanno alcun ruolo nella trasmissione del virus, che invece dipende da pazienti che sviluppano un’infezione persistente. In questo modo il virus deve convivere con il sistema immunitario e ottiene un grande vantaggio nel trovare una strategia per sfuggire alle difese dell’ospite. HCV, così come altri virus ad RNA, raggiunge questo obiettivo attraverso una elevata variabilità antigenica. Di conseguenza, ogni ospite infettato presenta una popolazione di varianti virali distinte, ma strettamente correlate, chiamate quasispecie e questa notevole variabilità influenza notevolmente la persistenza del virus nell’ospite infettato (Taguchi et al., 2004; Thimme et al., 2002; Thimme et al., 2001). Ricordiamo che i meccanismi di difesa influenzano non solo l’esito di un’infezione nel singolo paziente, ma anche l’evoluzione delle caratteristiche biologiche del patogeno stesso. Si può concludere quindi che l’evoluzione virale è guidata, almeno in parte, dai tentativi della risposta immune di eradicare l’infezione. La stessa strategia attuata dal virus è però rispecchiata, anche se molto più lentamente, negli ospiti, dove la risposta immunitaria è si modella in base ai microrganismi che incontra l'individuo (Antonelli, 2008). 55 1.10 Gli anticorpi: struttura e funzione L’anticorpo o immunoglobulina (Ig) è una molecola lunga 240 Angstrom (Å), ha un peso molecolare di 150 kDa ed è un complesso proteico tetramerico costituito da quattro catene glicoproteiche: due catene uguali fra di loro a maggior peso molecolare chiamate pesanti (HC) e due catene anch'esse uguali fra di loro a minor peso molecolare chiamate leggere (LC) unite da ponti di solfuro. HC e LC presentano un dominio variabile (V) all’estremità N-terminale e mentre le LC hanno un singolo dominio costante (CL), le HC presentano un numero di domini costanti, diverso nelle varie classi di immunoglobuline (CH1, CH2, CH3, CH4), situati all’estremità C-terminali (Figura 15). All’interno delle regioni variabili si trovano corte sequenze ipervariabili, dette regioni che determinano la complementarietà (CDR, dall’inglese complementarity determining regions), che definiscono la specificità di ogni anticorpo nei confronti di un antigene. Esse sono separate tra loro da regioni relativamente più conservate, le framework regions (FR), indispensabili per mantenere la conformazione del sito combinatorio antigene-anticorpo. Esistono tre CDR e quattro FR, sia nelle HC che nelle LC. Le quattro catene formano una struttura ad “Y”, dove la porzione assiale è detta frammento cristallizzabile (Fc) ed i due bracci costituiscono i frammenti che legano l’antigene (Fab, dall’inglese fragment antigen binding site). È possibile scindere l’anticorpo in 2 Fab identici e il segmento Fc mediante la digestione con l’enzima papaina. Il Fab è la porzione dell’anticorpo deputata al legame con l’antigene e comprende l’intera catena leggera unita al dominio variabile ed il primo dominio costante della catena pesante. La porzione Fc è costituita dalla regione costante (escluso il dominio CH1) delle due catene pesanti unite da ponti disolfuro ed è la parte che interagendo con recettori presenti a livello della membrana delle cellule effettrici è responsabile delle funzioni biologiche. Le principali funzioni biologiche degli anticorpi sono: i) l’attivazione della via classica del complemento che porta in primo luogo al rilascio di fattori solubili del complemento chiamati anafilotossine in grado di modulare la risposta immune e in 56 secondo luogo all’assemblaggio del complesso di attacco alla membrana (MAC) a livello della cellula infettata causandone la sua lisi, ii) favorire la fagocitosi del patogeno agendo come opsine ed infine iii) l’attivazione della citotossicità cellulare mediata dall’anticorpo (ADCC, dall’inglese Antibody-Dependent Cell Cytotoxicity) che porta al rilascio, principalmente dai macrofagi e dalle cellule NK, di perforina e granzima responsabili della morte delle cellule infette. Ogni anticorpo nella sua forma monomerica è bivalente, presenta cioè due siti di legame per l’antigene. Un anticorpo generalmente riconosce solo una regione limitata (6-10 aa) sulla superficie di una molecola (antigene). Tale regione è detta determinante antigenico o epitopo. I determinanti antigenici possono dividersi principalmente in due categorie: gli epitopi conformazionali o discontinui, dove la struttura riconosciuta dall’anticorpo è formata da segmenti della proteina che non sono contigui nella sequenza aminoacidica dell’antigene, ma vengono riuniti nella conformazione tridimensionale, e gli epitopi lineari o continui, composti da una porzione della sequenza primaria di una proteina (Alberts, 2003; Antonelli, 2008; Pier, 2006). Figura 15 | (A) Rappresentazione grafica di un anticorpo (IgG) formato da quattro catene polipeptidiche: due identiche catene leggere e due identiche catene pesanti, unite da ponti disolfuro. (B) Domini della catena leggera delle immunoglobuline (Alberts, 2003). 57 Sulla base della diversa sequenza costante della catena pesante, il numero e la posizione dei legami disolfuro intercatenari, il numero di catene oligosaccaridi attaccate, il numero di domini C e la lunghezza della regione cerniera, le immunoglobuline sono suddivise in classi e sottoclassi (isotipi). Più precisamente nell’uomo, esistono cinque classi di immunoglobuline: IgG, IgM, IgA, IgD e IgE, determinate rispettivamente dalle catene pesanti γ, μ, α, δ e ε (Figura 16). Le catene pesanti delle IgM e delle IgE contengono un dominio C in più che sostituisce la regione cerniera che si trova nelle catene degli altri isotipi. In particolare, quattro sono le sottoclassi di IgG (catene pesanti γ1, γ2, γ3 e γ4) e due sono le sottoclassi di IgA (α1 e α2). Le catene leggere, invece, possono essere di due tipi, κ o λ, e ciascuna di esse può associarsi a qualsiasi tipo di catena pesante, dando origine ad un numero elevatissimo di combinazioni. Le IgG costituiscono la classe più abbondante nel siero e rappresentano circa l’80% delle Ig circolanti. È l’unica classe ad oltrepassare la barriera placentare e quindi si trovano in concentrazione elevata già alla nascita, conferendo al neonato una certa protezione durante i primi mesi di vita. Le IgG sono in grado di attivare il complemento, vengono prodotte dopo lo switch isotipico ed hanno un ruolo centrale nella risposta immunitaria secondaria (quando l’ospite viene nuovamente a contatto con l’antigene che ha scatenato la risposta primaria). Come detto precedentemente, in base alla sequenza del frammento Fc e il numero di ponti S-S, sono state distinte 4 sottoclassi: IgG1, IgG2, IgG3, IgG4. Per quanto riguarda le IgA ne esistono due tipi: le IgA sieriche monomeriche rappresentanti circa il 13% delle Ig circolanti e le IgA secretorie dimeriche (due molecole di IgA sieriche unite) presenti principalmente nella saliva, nelle lacrime, nel liquido seminale, nei tratti genito-urinari e gastro-intestinali e nel latte umano. Anch’esse vengono prodotte dopo lo switch isotipico. Le IgA secretorie forniscono una prima linea di difesa contro i patogeni che penetrano a livello mucosale (immunità mucosale) ed inoltre hanno un ruolo importante nella protezione neonatale in quanto sono presenti nel latte materno e vengono quindi trasportate nel lume intestinale del bambino. 58 Le IgM sono il primo isotipo secreto nel corso della risposta immunitaria primaria e principalmente sono presenti nel siero come pentameri (5 molecole di IgM unite a livello dello stelo Fc). Hanno una scarsa affinità per l’antigene specifico, tipicamente sono polireattive ed essendo presenti come pentameri hanno a disposizione 10 siti di legame per l’antigene, per questo motivo presentano un’elevata avidità. Inoltre attivano molto efficientemente la reazione del complemento e non sono in grado di oltrepassare la barriera placentare. Le IgM sono presenti, se pur a concentrazione inferiore rispetto alle IgA, nelle secrezioni a livello delle mucose e nel latte materno. Nel siero le IgD sono presenti nel siero come monomeri in concentrazione bassa e la loro funzione biologica non è ancora nota. Infine le IgE sono presenti nel siero in bassissima concentrazione. Il principale ruolo fisiologico consiste nella protezione nei confronti dei parassiti. Il frammento Fc delle IgE si lega ad alta affinità ai recettori di membrana presenti sui mastociti e sui granulociti basofili; qui le IgE, dopo combinazione con gli antigeni corrispondenti, inducono la liberazione da parte delle stesse cellule dei mediatori (soprattutto istamina) responsabili delle reazioni allergiche di I tipo. 59 Figura 16 | Rappresentazione grafica delle varie classi anticorpali (Pier, 2006). Il repertorio anticorpale è dato da tutte le specificità anticorpali disponibili in un individuo e nell’uomo il numero totale si aggira intorno a 1011. Il numero di anticorpi con specificità diversa presenti in un dato momento in un individuo dipende dal numero totale di cellule B che esso possiede e anche dal numero di antigeni con cui è venuto in contatto. La diversità del repertorio anticorpale è data dalla combinazione di almeno tre meccanismi diversi: 1) la presenza nel genoma di molteplici geni che codificano la catena anticorpale. Infatti l’intera sequenza della regione variabile N-terminale (V) della catena pesante e leggera di una immunoglobulina, è contenuta in più segmenti genici. Il dominio V della catena leggera è codificato da due segmenti separati di DNA. Il primo codifica i primi 95-101 aminoacidi ed è chiamato segmento genico V (dall’inglese Variable) perché corrisponde alla maggior parte del dominio V, la parte rimanente (fino a 13 aminoacidi) è codificata dal secondo segmento, detto J 60 (dall’inglese Joining) o di legame. L’unione dei segmenti genici V e J crea un unico esone che codifica per l’intera regione V di una catena leggera. Inoltre poiché nel DNA non riarrangiato i segmenti genici V e C sono lontano tra di loro mentre il segmento J si trova vicino alla regione C, l’unione del segmento V con un segmento genico J porta V vicino al segmento C. Il dominio V della catena pesante è codificato invece da tre segmenti genici. Oltre ai segmenti V e J vi è un terzo segmento detto D (dall’inglese Diversity). Nel caso della catena pesante il segmento D viene riunito al segmento J, quindi il segmento V si riarrangia con DJ in modo da completare l’intero esone che codifica per l’intera regione V di una catena pesante. Così come avviene per i geni delle catene leggere, la ricombinazione porta la regione V in vicinanza della regione C. Poiché nel DNA genomico vi sono molte copie di ciascuno dei segmenti genici, la grande variabilità fra tutte le regioni V delle immunoglobuline è possibile perché, quando si forma un singolo segmento V, avviene una selezione casuale fra i vari tipi di segmenti. I riarrangiamenti del DNA precedentemente descritti sono regolati da sequenze conservate di DNA non codificante, che sono adiacenti al punto in cui avviene la ricombinazione I segmenti genici delle immunoglobuline sono organizzati in tre cluster o loci genici: il locus K localizzato sul cromosoma 2, il locus λ localizzato sul cromosoma 22 e il locus per le catene pesanti localizzato sul cromosoma 14. I geni umani V possono essere raggruppati in famiglie, dove i componenti di ciascuna famiglia condividono almeno l’80% della sequenza genica. Infine le famiglie che presentano similitudini tra di loro possono essere raggruppate in clan. Ricordiamo che il meccanismo di riarrangiamento del DNA, avviene a livello del genoma dei linfociti B naive in fase di maturazione nel midollo osseo dell’ospite, ed è simile per i loci delle catene pesanti e leggere, anche se per creare il gene per la catena leggera è necessario un solo evento di ricombinazione, mentre ne servono due per avere il gene completo delle catene pesanti. 2) la diversità giunzionale, dovuta al fatto che durante la ricombinazione dei segmenti V(D)J vengono sottratti o aggiunti nucleotidi e che le regioni V delle catene pesanti e leggere possono combinarsi in vari modi quando queste si appaiano per 61 formare il sito di legame per l’antigene sull’immunoglobulina. Sia nelle catene pesanti che nelle catene leggere, la diversità tra le varie regioni CDR3, che sono localizzate nel punto di giunzione tra il segmento V e il segmento J e nelle catene pesanti è in parte sintetizzata dal segmento D, è incrementata notevolmente dall’aggiunta e dalla delezione di nucleotidi che avviene durante la formazione della giunzione tra i segmenti genici. Il meccanismo responsabile della diversità di combinazione e giunzionale, è attivo durante il riarrangiamento dei segmenti genici che ha luogo nelle prime fasi di maturazione dei linfociti B negli organi linfatici centrali. 3) A livello degli organi linfatici periferici invece esiste un meccanismo chiamato di ipermutazione somatica che genera diversità nella regione V dopo che sono stati assemblati i geni funzionali delle immunoglobuline. Questo processo è l’unico meccanismo “antigene dipendente”, ovvero introduce un numero considerevole di mutazioni puntiformi nelle regioni V dei geni riarrangiati delle catene pesanti e leggere, dando origine in questo modo a recettori mutati sulla superficie delle cellule B. Alcune delle molecole di immunoglobuline mutate legano l’antigene meglio del recettore originale, e le cellule B che le esprimono vengono selezionate positivamente per diventare cellule mature secernenti gli anticorpi, dando origine ad un fenomeno chiamato maturazione per affinità. Ricordiamo che durante la risposta immunitaria, eccetto il meccanismo di ipermutazione somatica, non avvengono più modificazioni a carico della regione V dei linfociti B differenziati, ma nella stessa progenie possono essere espressi geni diversi per la regione C (switch anticorpale: meccanismo specifico di ricombinazione non omologa guidato da sequenze ripetute di DNA non codificante conosciute come regioni di cambio). Concludendo, la variabilità genetica anticorpale, si suddivide in isotipica (presente in ogni individuo di una certa specie), allotipica (o allelica, presente in singoli individui di una certa specie) e idiotipica (a carico del dominio variabile, soprattutto ipervariabile, delle catene). L’idiotipo è unico per ogni singolo clone linfocitario B e determina la specificità per l’antigene (Janeway, 2001). 62 1.11 La risposta immunitaria nei confronti del virus dell’epatite C Nella maggioranza degli individui infetti da HCV (80% dei casi) l’infezione cronicizza nonostante il virus venga riconosciuto e sia bersaglio dei meccanismi dell’immunità innata e adattativa. Questo vuol dire che HCV è in grado di evadere la risposta immunologica dell’ospite usando molteplici strategie. 1.11.1 La risposta immunitaria innata Le cellule di mammifero rispondono alle infezioni virali attivando una “risposta dell’ospite” caratterizzata dalla produzione di interferone (IFN) e dall’induzione di uno stato cellulare antivirale. Il virus dell’epatite C attraverso una combinazione complessa di interazioni patogeno-ospite compromette la “risposta dell'ospite” attenuando sia la produzione dell’IFN sia l’attività antivirale (Gale, 2003). La “risposta dell'ospite” si attiva quando le cellule infettate, grazie a specifici recettori proteici noti come PRR (dall’inglese pattern recognition receptor), riconoscono determinanti molecolari associati al patogeno conosciuti come PAMP (dall’inglese patogen associated molecular pattern). L’interazione PAMP/PRR porta all’attivazione di un signaling intracellulare che ha come effetto finale l'espressione di geni effettori antivirali (O'Neill, 2004). Anche HCV attiva la “risposta dell'ospite” attraverso questo meccanismo: i PAMP specifici di HCV sono stati individuati all’interno del genoma virale e consistono nel tratto poliuridinico al 3’UTR e nelle regioni a forcina all’interno del dsRNA (Simmonds and Gough, 2004; Tuplin et al., 2002). Mentre i PRR coinvolti sono: i) TLR3 (dall’inglese Toll Like Receptor 3) che riconosce le regioni a forcina all’interno del dsRNA all’interno dell’endosoma e ii) RIG1 (dall’inglese Retinoic Acid-Inducible Gene 1) che riconosce il tratto poliuridinico al 3’UTR a livello citoplasmatico (Saito et al., 2008). Queste interazioni PAMP/PRR portano all’attivazione di una cascata di eventi intracellulari che si concludono con l’attivazione e traslocazione nucleare di due importanti fattori trascrizionali che sono: NF-kB (dall’inglese Nuclear Factor kappa-B) che inducendo l’espressione di chemochine e citochine proinfiammatorie amplifica la risposta immunitaria e IRF3 (dall’inglese Interferon Regulatory Factor 3) che induce l’espressione dell’IFNβ (Kawai and Akira, 2008; Tai et al., 2000). 63 Durante l’infezione del virus dell’epatite C la fonte cellulare dell’IFN non è certa. L’ipotesi più probabile, grazie a studi condotti su scimpanzé infetti, è che l’IFN inizialmente venga prodotto dagli epatociti infetti e successivamente venga prodotto dalle cellule circostanti, tra cui le cellule del sistema immunitario (Bigger et al., 2001). L’IFNβ secreto induce uno stato antivirale che si estende non solo alle cellule infette (stimolazione autocrina) ma anche alle cellule adiacenti (stimolazione paracrina) e il suo effetto principale è quello di bloccare la replicazione e la diffusione del virus. Il legame dell’ IFNβ al recettore IFNα/β attiva il pathway JAK/STAT. STAT attivata si associa con IRF9 (dall’inglese Interferon Regulatory Factor 9) per generare il complesso proteico chiamato ISGF3 (dall’inglese Interferon Stimulated Gene Factor 3). Quest’ultimo trasloca a livello nucleare, dove si comporta come fattore trascrizionale promuovendo l’espressione, ad alti livelli, dei geni inducibili dall’IFN chiamati ISGs (dall’inglese Interferon Stimulated Genes) (Sen, 2001). Il genoma umano codifica alcune centinaia di ISGs (Der et al., 1998). I prodotti proteici derivanti dall’espressione degli ISGs hanno la funzione di controllare l'infezione virale: alcuni hanno un ruolo antivirale diretto all’interno delle cellule infettate, altri promuovono la risposta immune adattativa e altri ancora controllano la proliferazione cellulare. È stato dimostrato che gli ISGs espressi sono in grado d’interrompere la replicazione di HCV attraverso processi che includono sia l’inibizione della sintesi delle proteine virali sia l’inibizione della sintesi del filamento negativo, che ricordiamo essere importante come intermedio della replicazione virale (Guo et al., 2001; Prabhu et al., 2004a; Shimazaki et al., 2002; Wang et al., 2003). È importante ricordare che molti ISGs sono espressi normalmente a livelli basali per facilitare la sorveglianza nei confronti dei patogeni e che l’espressione aumenta in risposta all’IFN prodotto in seguito all’infezione. L’induzione degli ISGs amplifica la risposta IFN mediata (feed-back positivo) e studi recenti hanno mostrato che il loop di amplificazione dipende dall’attivazione del fattore trascrizionale IRF7 (dall’inglese Interferon Regulatory Factor 7) (Honda et al., 2005). IRF7 è un ISG e la sua espressione epatica è IFN-dipendente (Honda et al., 2005; Smith, 2003). IRF7 promuove l’espressione di diversi sottotipi di IFNα che inducendo una produzione prolungata di IFN, promuovono l’amplificazione della “risposta dell’ospite” (Honda et al., 2005). È questo il meccanismo parafisiologico che viene attivato con la 64 somministrazione terapeutica di IFN nei pazienti con infezione di HCV (McHutchison and Patel, 2002). Ricordiamo che IFNα è un potente immunodominante importante per: i) l’attivazione delle cellule NK stimolando queste a produrre IFNγ (importante per i suoi effetti antivirali) e ii) una corretta maturazione delle cellule dendritiche (DC) necessaria sia per indurre l’attivazione dei linfociti CD4 verso il fenotipo Th1 (che si è visto essere importante per la clearance virale) sia per il priming3 dei CD8+ stimolando questi a produrre IFNγ (Biron et al., 1999; Colonna et al., 2004; Loza and Perussia, 2004). I più importanti ISGs prodotti in seguito alla stimolazione indotta dagli IFN sono: 1) Il complesso 2’,5’ OAS 1 (dall’inglese 2',5'-Oligo Adenylate Synthetase )/ RNAse L. 2’,5’ OAS 1 è attivato dal dsRNA ed induce la polimerizzazione 2’, 5’ dell’ATP in modo che si formino oligoadenilati di differenti lunghezze capaci a loro volta di indurre la dimerizzazione e l’attivazione dell’RNAse L, una ribonucleasi capace di degradare RNA virale e cellulare (Guo et al., 2004) 2) ADAR 1 (dall’inglese Adenosine Deaminase Acting on RNA) che riconosce i residui di adenosina presenti nel dsRNA convertendoli in residui di inosina; tali mutazioni hanno un effetto destabilizzante sulle strutture secondarie presenti nel genoma virale (Taylor et al., 2005) 3) P56 lega e blocca l’attività del fattore d’inizio della traduzione eIF3, inibendo di conseguenza la traduzione dell’RNA virale e cellulare (Hui et al., 2003) 4) PKR è una protein chinasi che fosforilando il fattore d’inizio della traduzione eIF2 ne inibisce la sua attività, bloccando di conseguenza la traduzione dell’RNA virale e cellulare (Pflugheber et al., 2002) (Figura 17). 3 Per priming s’intende la prima attivazione dei linfociti naive, esse richiede la presenza non solo dell’interazione fra BCR (per i linfociti B) o TCR (per i linfociti T) e antigene libero (per i linfociti B) o antigene presentato dalle DC (per i linfociti T) ma anche l’interazione fra molecole costimolatorie (es: CD80, CD86, ICOSL) e la secrezione di determinate citochine (es: IL2). 65 Figura 17 | Rappresentazione schematica della “risposta dell'ospite” attivata in seguito all'infezione da HCV. PAMP virali (HCV RNA) legano i PRR cellulari RIG1 e TLR3 (1), tale interazione porta all’attivazione di una cascata di eventi intracellulari che culmina con l’attivazione del fattore trascrizionale IRF3 che stimola l’espressione dell’IFNβ (2). L’IFN prodotto si lega al recettore IFN α/β (3) portando all’attivazione del pathway JAK/STAT che si conclude con la formazione del complesso trascrizionale ISGF3 che stimola l’espressione dei geni inducibili dall’IFN chiamati ISGs (4) (Li et al., 2005). Molti studi però suggeriscono che le cellule infettate da HCV presentano dei difetti nell’induzione dell’IFN e nei suoi effetti. Inoltre prodotti genici di HCV hanno come bersaglio diversi meccanismi della risposta immunitaria innata permettendo al virus di instaurare un’infezione persistente, malgrado venga riconosciuto da recettori del sistema immune. I principali meccanismi con cui il virus evade la “risposta dell’ospite” sono: 66 1) NS3/4A è in grado di clivare e quindi inattivare IPS1 (dall’inglese Interferon-β Promoter Stimulator 1), un adattatore mitocondriale recentemente identificato e che si è visto essere importante per l’attivazione dei fattori trascrizionali IRF3 e NF-kB (Li et al., 2005; Meylan et al., 2005). Si è visto che un blocco prolungato di IRF3 induce nelle cellule infettate un fenotipo tumorale; questo potrebbe in parte spiegare il collegamento esistente tra epatite C cronica ed epatocarcinoma (Liang and Heller, 2004). Inoltre NS3/4A è in grado di clivare e quindi inattivare TRIF (dall’inglese TIR-domain-containing adapter-inducing interferon-β) un adattatore importante per il signaling del TLR3 (Li et al., 2005) 2) La proteina Core di HCV è in grado di interferire con l’attivazione del pathway JAK/STAT e con l’espressione degli ISGs (Heim et al., 1999; Lin et al., 2006) 3) NS5A è in grado sia di inibire l’attività enzimatica di 2’,5’ OAS sia di indurre l’espressione di IL8, interleuchina volta ad attenuare l’espressione degli ISGs (Polyak et al., 2001; Taguchi et al., 2004) 4) NS5A e la glicoproteina E2 stimolano la traduzione del genoma virale in quanto sono in grado di legare e bloccare l’attività di PKR. Da alcuni studi emerge che l’interazione da queste proteine e PKR sia direttamente dipendente dalla sequenza della proteine virali; questo potrebbe spiegare come mai il genotipo 1 sia maggiormente resistente alla terapia con IFN, rispetto ai genotipi 3 e 4 (Asahina et al., 2001; Puig-Basagoiti et al., 2005; Taylor et al., 1999). 5) Il genoma di HCV si è evoluto perdendo i siti di-nucleotidici UU e UA che vengono riconosciuti e clivati da RNAse L, in modo da essere protetto dall’attività antivirale di tale ISG. Una dimostrazione di questo è la minore presenza di siti di taglio a livello genotipo 1, maggiormente resistente alla terapia con IFN, rispetto ai genotipi 3 e 4 (Han and Barton, 2002; Han et al., 2004). IFNs di tipo I (α e β) sono prodotti anche da cellule non parenchimali, in particolare dalle DC plasmacitoidi (pDC) presenti nei tessuti infiammati e nei relativi linfonodi drenanti (Cella et al., 1999). Nell’infezione da HCV, la frequenza di pDC nel sangue è minore come risulta essere anche la loro capacità di produrre IFNα (valutata in vitro) (Dolganiuc et al., 2006). Per spiegare questo sono stati proposti due meccanismi. In primo luogo, studi in vitro dimostrano che le proteine Core e NS3 di HCV sono in grado 67 di attivare monociti a produrre TNFα, che a sua volta inibisce la produzione di IFNα e induce l'apoptosi delle pDC (Dolganiuc et al., 2006). In secondo luogo, si è visto che il virus stesso in vitro è in grado di inibire la produzione di IFNα mediata dalle pDC (Yoon et al., 2009). L’effetto inibitorio è esercitato sia dal virus infettivo che inattivato, e non viene abrogato incubando il virus con anticorpi neutralizzanti (Yoon et al., 2009), suggerendo che HCV non necessita né di infettare né di replicarsi nelle pDC. Questo è coerente con il fatto che le pDC esprimono il CD81 ma non Claudina-1, e di conseguenza HCV non può essere propagato in queste cellule in vitro (Marukian et al., 2008). HCV può attenuare la produzione di IFNα sia da parte degli epatociti grazie ad un meccanismo infezione dipendente, sia da parte delle pDC grazie ad un interazione diretta indipendente dall’infezione di tali cellule dendritiche. Un secondo gruppo di cellule dendritiche sono quelle denominate convenzionali (cDC) che risiedono nei tessuti e che dopo aver incontrato l’antigene vengono trasportate attraverso la via linfatica ai linfonodi drenanti dove presenteranno l’antigene ai linfociti T permettendone l’attivazione. Una difettosa funzione delle cDC potrebbe portare ad una insufficiente attivazione dei linfociti T e di conseguenza all’innesco ritardato della risposta cellulare HCV-specifica. Infatti si è osservato che sia la maturazione sia la differenziazione funzionale delle cDC risultano essere alterate in alcuni pazienti con infezione da HCV. Tali cellule dendritiche sono caratterizzate in vitro da una diminuita produzione della IL-12 e da una maggiore produzione della IL-10 (Auffermann-Gretzinger et al., 2001; Bain, 2001). Quello che realmente accade in vivo alla funzionalità delle cDC rimane dubbio, infatti in altri pazienti con infezione da HCV si osserva una funzionalità normale delle cDC e finora non sono stati riportati quadri clinici caratterizzati da una risposta immunitaria globale compromessa associata ad un maggior rischio di infezioni opportunistiche che evidenzierebbe un difetto funzionale di tali cellule dendritiche (Rollier et al., 2003; Longman et al., 2004). Per quanto riguarda le cellule NK, queste sono molto abbondanti nel fegato e sono importanti in quanto in grado di mediare la lisi delle cellule infettate (sistema perfoninagranzima e ADCC) e di produrre IFNγ che a sua volta è in grado di controllare direttamente la replicazione virale e di promuovere l'accumulo locale di linfoidi e delle cellule infiammatorie. Inoltre le cellule NK attivate sono in grado di stimolare la maturazione di DC, in parte attraverso TNFα e IFNγ, e quindi fornire un collegamento 68 diretto tra immunità innata ed acquisita (Racanelli and Rehermann, 2006). La soglia di attivazione delle cellule NK dipende dall’interazione fra il complesso maggiore di istocompatibilità (MHC dall’inglese Major Histocompatibility Complex) presente sulle cellule target e una serie di recettori attivatori (KAR dall’inglese activating receptors on human NK cells) e inibitori (KIR dall’inglese inhibitory receptors on human NK cells) presenti sulla superficie delle NK. Le cellule NK sono inoltre importanti nella risoluzione dell'infezione da HCV come mostrato in un ampio studio di immunogenetica in cui si è visto che la presenza di alcune varianti alleliche del KIR e del MHC sono correlate con la clearance di HCV (Khakoo et al., 2004). In particolar modo si è evidenziato che i pazienti, in cui si osserva la clearance virale, presentano varianti alleliche KIR/MHC protettive; ad indicare una soglia di attivazione delle cellule NK bassa, come dimostrato dalla veloce degranulazione e rilascio di IFNγ da parte di tali cellule studiate in vitro (Ahlenstiel et al., 2008). Si è osservato che proteine di HCV sono in grado di inibire la funzionalità delle cellule NK; infatti è stato anche che cellule NK provenienti da pazienti HCV-infetti, ma non da controlli sani producono citochine, come TGFβ e IL 10, in grado di attenuare la risposta del sistema immunitario adattativo in vitro (Jinushi et al., 2004). Inoltre è emersa la capacità della glicoproteina E2 ricombinante di inibire direttamente ad alte concentrazioni la funzionalità delle cellule NK, interagendo con il CD81 espresso sulla loro superficie (Crotta et al., 2002; Tseng and Klimpel, 2002). Questi però sono dati preliminari che devono esser confermati. Tuttora infatti non è noto se la glicoproteina E2 possa avere effetti sull’attività delle cellule NK in vivo. 1.11.2 La risposta immunitaria adattativa Anche se la risposta innata e l'induzione di IFN si osservano precocemente dopo l'infezione da HCV, la risoluzione dell’infezione dipende dall’attivazione dell'immunità adattativa. Cellule T HCV-specifiche sono tipicamente rilevabili 5-9 settimane dopo l'infezione mentre gli anticorpi HCV-specifici sono rilevati 8-31 settimane dopo l'infezione. Un 69 possibile meccanismo per spiegare questo ritardo nell’innesco della risposta immunitaria adattativa, sembra essere un difettoso priming dei linfociti T e B (Logvinoff et al., 2004; Thimme et al., 2001). 1.11.2.1 La risposta immunitaria adattativa cellulare Durante le prime settimane di infezione da HCV si ha un aumento esponenziale del carico virale nel siero, senza evidenza di danno epatico. I linfociti T HCV-specifici sono fondamentali per l’eliminazione di HCV (Lechner et al., 2000; Thimme et al., 2001) e a conferma di questo vi è il fatto che la diminuzione del titolo virale coincide proprio con la comparsa dei linfociti T HCV-specifici e l’espressione di IFN nel fegato. Tuttavia, l’attivazione dei linfociti T HCV-specifici può essere rilevata, almeno transitoriamente, anche quando HCV stabilisce un'infezione persistente. Nella maggior parte dei pazienti l'immunità cellulo-mediata non riesce ad eradicare l'infezione e nella totalità dei casi non conferisce un immunità protettiva duratura nel tempo. Infatti nei pazienti e negli scimpanzé guariti, la reinfezione con ceppi di HCV omologhi ed eterologi è possibile ed è caratterizzata da un maggior controllo della viremia virale, dovuta alla protezione immunitaria sviluppatasi durante l’infezione primaria (Major et al., 2002). I linfociti T CD4+ HCV-specifici, grazie al loro ruolo di helper, sono essenziali per la generazione di una efficace risposta immunitaria e la loro presenza o assenza ha un importante ruolo predittivo dell’evoluzione dell’infezione. Al momento della presentazione clinica, nel sangue dei pazienti che poi guariranno dall'infezione è possibile rilevare una proliferazione vigorosa delle cellule T CD4+ HCV-specifiche, con concomitante produzione di IL 2 e IFNγ (Missale et al., 1996; Urbani et al., 2006; Kaplan et al., 2007). Al contrario, nei pazienti in cui la viremia virale non diminuisce e che successivamente svilupperanno l'infezione cronica, i linfociti CD4+ HCV-specifici sono poco presenti o assenti. In contrasto con i CD4+ HCV-specifici, le cellule T CD8+ sono rilevabili nel sangue e a livello epatico dei pazienti con infezione acuta indipendentemente dall’outcome virologico (Kaplan et al., 2007). Tali cellule mostrano attività citotossica e sono in grado di produrre IFNγ in risposta a peptidi virali (Cooper et al., 1999; Lechner et al., 2000). Anche durante l’infezione cronica i CD8+ HCV-specifici risultano essere 70 abbondanti, ma molte di queste cellule sono funzionalmente carenti e mostrano un fenotipo “stunned” caratterizzato da una compromissione della proliferazione, della produzione di IFNγ, della citotossicità e un aumento dei livelli di una proteina proapoptotica chiamata PD-1 (dall’inglese programmed death-1). Inoltre la maggioranza di tali cellule hanno vita breve: sono cellule effettrici antigene-dipendente e non cellule della memoria (Kasprowicz et al., 2008; Urbani et al., 2002). I CD8+ mostrano un fenotipo “stunned” anche nei pazienti che vanno incontro alla risoluzione dell’infezione e questo sembrerebbe essere associato al recupero del fenotipo wild-type da parte di tali linfociti (Thimme et al., 2001). I deficit descritti nei CD8+ ricordano l'esaurimento delle cellule T CD8+ che si è osservata in diversi modelli murini con infezione persistente (Castellino et al., 2006). L’esaurimento dei CD8+ è tipico nelle infezioni in cui il virus si replica rapidamente e vi è una alta e persistente viremia (Moskophidis et al., 1993; Wherry et al., 2003). Nel caso dell’epatite C, la proteina Core sembra essere l’antigene principalmente responsabile della stimolazione cronica dei linfociti T portando ad una ridotta funzionalità di tali cellule (Yao et al., 2004). Ricordiamo che i CD4 helper sono fondamentali per il mantenimento delle risposte mediate dai CD8+ durante le infezioni croniche; quindi l’esaurimento dei CD8+ e l'infezione persistente hanno una maggiore probabilità di svilupparsi in mancanza dei CD4 helper (Kalams and Walker, 1998; Matloubian et al., 1994). Il controllo dell’infezione acuta di HCV è associato ad una robusta e duratura risposta delle cellule T e con la produzione intraepatica di IFN (Cooper et al., 1999; Lechner et al., 2000; Thimme et al., 2001). Una risposta immune cellulare per essere effettiva deve essere specifica per un set molto ampio di epitopi virali, che vengono riconosciuti come bersagli dell’immunità contemporaneamente. L’ampio numero di epitopi riconosciuti dai CD4+ e CD8+ è tipica dei pazienti con infezione da HCV risolta, in forte contrasto con il numero molto limitato di epitopi riconosciuti da parte dei linfociti T nei pazienti con infezione cronica (Day et al., 2002; Lauer et al., 2002). I principali fattori che possono influenzare la risoluzione dell'infezione da HCV comprendono: la precedente esperienza immunologica dell’ospite che influenza il repertorio dei linfociti T della memoria, una differenziazione incompleta dei linfociti T effettrici e/o dei linfociti T della memoria, un esaurimento delle cellule immunitarie derivante dalla presenza di un'alta e persistente viremia e infine le caratteristiche 71 dell'ambiente epatico che potrebbero limitare l’attivazione e/o la funzionalità dei linfociti T. Diversi gruppi hanno anche riferito la capacità di alcune proteine di HCV, in particolare E2 e la proteina Core, di interferire con l’attivazione immunitaria (Kadoya et al., 2005; Kittlesen et al., 2000; Rosa et al., 2005). La comparsa di varianti del virus che sfuggono alla risposta immunitaria cellulomediata è fortemente associata alla progressione verso un’infezione cronica, viceversa tali varianti escape sono meno presenti nelle infezioni autolimitanti (Erickson et al., 2001). L'alto tasso replicativo e la mancanza dell’attività proof-reading della RNA polimerasi virale consentono ad HCV di mutare, generando così una popolazione virale eterogenea (quasispecie) in grado di replicarsi nonostante la pressione selettiva esercitata dagli anticorpi e dai linfociti T HCV-specifici (Farci and Purcell, 2000; Timm et al., 2004). Inoltre nel caso in cui la risposta immunitaria è diretta verso un basso numero di epitopi del virus, l’insorgenza di varianti virali mutate è più probabile. Le varianti escape presentano mutazioni a livello delle proteine virali che possono comprometterne: il processamento e la presentazione da parte delle DC, l’interazione con MHC ed il riconoscimento da parte del TCR dei linfociti T (Bowen and Walker, 2005). Le mutazioni possono avere anche conseguenze negative per la fitness virale, questo è il motivo per cui in assenza di una forte selezione immunitaria, le sequenze virali rimarranno relativamente statiche o revertiranno alla sequenza originaria (Cox et al., 2005). Il repertorio dei linfociti T attivati durante l’infezione da HCV è stabilito nelle prime fasi, e la capacità di reclutare nuovi linfociti T in grado di combattere il virus che si è evoluto risulta essere molto limitata. Questa può essere una manifestazione del "peccato originale antigenico” secondo cui il virus si evolve sotto la pressione immunologica, ma la risposta immunitaria cellulare rimane focalizzata sul virus incontrato all'inizio dell'infezione. Viceversa la risposta immunitaria umorale è meno statica e più flessibile nei confronti delle varianti escape generate durante l’infezione. 72 1.11.2.2 La risposta immunitaria adattativa umorale È stato ben documentato che la presenza di una potente, multi-specifica e duratura risposta immunitaria cellulo-mediata è importante per il controllo dell'infezione virale acuta dell’epatite C (Thimme et al., 2001). Il ruolo esercitato dalla risposta umorale nell’infezione da HCV e nella progressione della malattia sono rimasti oscuri per lungo tempo, essenzialmente a causa della mancanza di un sistema che permettesse di comprendere l’attività degli anticorpi durante l’infezione. Gli individui infettati da HCV hanno spesso livelli di RNA virale individuabili nel siero già dopo una settimana, mentre gli anticorpi contro il virus compaiono più tardivamente (8-31 settimane dopo l’infezione). Durante il corso naturale dell'infezione, sono prodotti un gran numero di anticorpi anti-HCV. Differenti studi hanno poi documentato la comparsa di anticorpi diretti sia contro le proteine strutturali (proteina Core, glicoproteine E1 ed E2) sia contro le proteine non strutturali (NS3, NS4 e NS5) (Tanaka et al., 1993). La stragrande maggioranza degli anticorpi indotti non hanno attività antivirale: o perché sono indotte da proteine virali intracellulari, degradate o non completamente processate rilasciate dagli epatociti morenti, o perché sono diretti contro epitopi che non giocano alcun ruolo nel processo di ingresso del virus (Hangartner et al., 2006; Parren and Burton, 2001). Solo una piccola parte di anticorpi, chiamati anticorpi neutralizzanti, ha un ruolo importante nella guarigione e nella prevenzione. Essi sono in grado di inibire l’infettività delle particelle virali. Inoltre l’epitopo che stimola la produzione di tali anticorpi potrebbe essere utilizzato con successo come vaccino. Sono stati proposti differenti meccanismi per spiegare la capacità neutralizzante mediata dagli anticorpi nei confronti dei virus. Gli anticorpi neutralizzanti possono mediare i loro effetti o legando direttamente le particelle virali e quindi bloccando le successive interazioni del virus con i suoi recettori o inibendo gli eventi che seguono, come l’internalizzazione, la fusione fra virus e cellula, la decapsidazione del nucleocapside o la replicazione virale. Tali meccanismi di inibizione possono avvenire o inducendo cambiamenti conformazionali a livello dell’envelope del virus che non permettono l’infezione, o per ingombro sterico, mascherando siti importanti per le interazioni virus-recettore (Figura 18) (Zeisel et al., 2007a). L’azione degli anticorpi 73 neutralizzanti nell’infezione da HCV deve ancora essere chiarita, ma studi recenti indicano che le maggior parte degli anticorpi derivanti dal siero di pazienti neutralizzano l’infettività inibendo le interazioni tra il virus e il CD81 (Lesniewski et al., 1995). In realtà, anche anticorpi privi di capacità neutralizzante in vitro, possono essere protettivi in vivo, attraverso altri meccanismi di clearance del patogeno (Burton, 2002; Janeway, 2001). Gli anticorpi possono avere ulteriori ruoli nell’infezione oltre a quello di neutralizzare le particelle virali, infatti anticorpi che legano ma non sono in grado di neutralizzare direttamente il virus possono comunque contrastare l’infezione fissando il complemento, opsonizzando le particelle virali favorendone la fagocitosi e la presentazione degli antigeni (Burton, 2002). Figura 18 | Visualizzazione di un modello di infezione da HCV in cui vengono mostrate le potenziali fasi del ciclo vitale bersaglio degli anticorpi neutralizzanti. Gli anticorpi neutralizzanti possono mediare i loro effetti o legando direttamente le particelle virali e quindi bloccando le successive interazioni del virus con i suoi recettori (1) o inibendo gli eventi che seguono, come l’internalizzazione (2), la fusione fra virus e cellula (3), decapsidazione del nucleocapside o la replicazione virale (Zeisel et al., 2007a). 74 1.11.2.2.1 Evidenze dell’importanza degli anticorpi neutralizzanti nell’epatite C I primi studi che hanno dimostrato il potenziale neutralizzante degli anticorpi hanno mostrato che il siero di pazienti con infezione cronica è in grado di neutralizzare l'infettività di HCV in un modello animale di scimpanzé (Farci et al., 1994). Il ruolo potenziale della risposta anticorpale nel controllare la progressione della malattia è stato dimostrato in soggetti con ipogammaglobulinemia primaria, i quali presentano una rapida progressione della malattia e una bassa risposta al trattamento con IFN (Bjoro et al., 1994). Recentemente, studi condotti in una vasta coorte di pazienti infettati con lo stesso isolato di HCV, hanno evidenziato che una rapida induzione di anticorpi neutralizzanti durante le fasi iniziali dell’infezione correla con una diminuzione della viremia e la risoluzione dell’infezione. Inoltre si è visto che nei pazienti che hanno eliminato il virus, anticorpi con un’ampia attività cross-neutralizzante ad alto titolo sono presenti durante l’infezione acuta (Lavillette et al., 2005a; Pestka et al., 2007). È stato inoltre riportato che il ritardo nella comparsa di anticorpi neutralizzanti sembra essere associato all’impossibilità di risolvere l’infezione spontaneamente (Lavillette et al., 2005a; Pestka et al., 2007). Una ridotta capacità di neutralizzare rapidamente varianti virali emergenti durante l'infezione acuta, può quindi contribuire all'evasione virale dalla risposta neutralizzante e all’instaurarsi di una infezione persistente (Pestka et al., 2007). Questi risultati suggeriscono che una forte, precoce e ampia produzione di anticorpi neutralizzanti può contribuire al controllo dell’infezione da HCV nella fase acuta integrandosi con le risposte immunitarie cellulo-mediate nella clearance virale (Pestka et al., 2007). Recentemente alcuni autori hanno caratterizzato l’attività ceppo-specifica e crossneutralizzante di anticorpi provenienti da un paziente con infezione cronica da HCV, in cui era noto il tempo di infezione e prelevati in diversi periodi. Tali anticorpi sono stati confrontati per quanto riguarda l’attività neutralizzante verso l’infezione da HCVpp esprimenti le glicoproteine di HCV dello stesso ceppo infettante, clonate di volta in volta, oppure glicoproteine di altri genotipi. La risposta anticorpale verso lo stesso genotipo infettante è stata rilevata all’inizio della sieroconversione (8 settimane dopo l’infezione), mentre anticorpi cross-neutralizzanti non sono stati rilevati fino a 33 settimane dopo l’infezione. Inoltre si è notato che il titolo e l’estensione degli anticorpi 75 con attività cross-neutralizzante verso le glicoproteine di superficie di HCV aumentano durante la progressione della malattia (Logvinoff et al., 2004). Risulta quindi che la maggior parte dei pazienti con infezione cronica presentano anticorpi cross-neutralizzanti e ad alto titolo ma paradossalmente questi anticorpi non sono in grado di controllare l'infezione da HCV (Logvinoff et al., 2004; Meunier et al., 2005). Molteplici sono i meccanismi ipotizzati con cui HCV è in grado di sfuggire all’azione protettiva della componente umorale della risposta immunitaria. Innanzitutto, l’elevata replicazione virale insieme all’alta frequenza di mutazioni introdotte dalla RNA polimerasi RNA-dipendente priva della capacità proof-reading, determinano un’elevata variabilità soprattutto a livello della glicoproteina E2, bersaglio principale della risposta anticorpale neutralizzante. Tale variabilità risulta essere concentrata in una regione chiamata HVR1 (Aiyama et al., 1996; Ray et al., 1999). Tale regione è costituita da 27 aminoacidi e si trova a livello della porzione N-terminale di E2 (aa 384-410) e, come detto precedentemente, essa è coinvolta nella fase di adesione del virus alla cellula ospite e pertanto, dovendo interagire con specifici ligandi cellulari (tra cui CD81 e SR-B1), rappresenta uno dei punti deboli del virus (Bartosch et al., 2005; Callens et al., 2005; Penin et al., 2001; Roccasecca et al., 2003; Scarselli et al., 2002; Weiner et al., 1991). Ricordiamo che virus deleti della regione HVR1 perdono la capacità infettiva, suggerendo che la HVR1 gioca un ruolo fondamentale nell’infettività di HCV (Forns et al., 2000a). Per questo motivo, nonostante l’alta variabilità della sequenza aminoacidica, le proprietà chimico-fisiche di alcuni residui sono altamente conservate. In particolare, HVR1 è una regione composta soprattutto da residui aminoacidici basici, che risultano localizzati in specifiche posizioni. Studi condotti attraverso HCVpp mutanti a livello della regione HVR1 indicano che l’infettività aumenta con il numero di residui basici presenti in tale regione. Inoltre, il cambiamento della posizione dei residui carichi modula l’infettività del virus (Callens et al., 2005). HVR1 risulta essere particolarmente esposta sulla superficie della proteina e di conseguenza accessibile anche alla risposta anticorpale (Aiyama et al., 1996; Farci et al., 1996; Mondelli et al., 2003; Puntoriero et al., 1998; Zibert et al., 1997). Tuttavia, solo un numero limitato di aminoacidi risulta avere un ruolo cruciale per l’adesione e 76 l’ingresso del virus nella cellula ospite (Callens et al., 2005; Penin et al., 2001); pertanto il virus riesce ad accumulare numerose mutazioni che permettono di eludere il legame di anticorpi neutralizzanti prodotti durante l’infezione, senza compromettere la capacità infettiva del virus (Ray et al., 1999). In questo modo, il virus utilizza questa regione per allontanare la risposta del sistema immunitario da altri siti cruciali per il proprio ciclo vitale, ma che non possono essere eccessivamente mutati senza compromettere la capacità replicativa (Ray et al., 1999). Un’altra regione particolarmente esposta è rappresentata da almeno tre segmenti discreti (aminoacidi 480-493, 522-551 e 613-618) della proteina E2 che durante il ripiegamento di questa glicoproteina si uniscono a formare un unico dominio importante per l’interazione tra E2 e CD81 (Clayton et al., 2002; Flint et al., 1999b; Forns et al., 2000a; Hsu et al., 2003; Owsianka et al., 2001; Yagnik et al., 2000). Numerosi residui di questa regione sono stati decritti come altamente conservati tra i diversi genotipi e quindi dotati di un ruolo chiave nel ciclo vitale del virus (Drummer et al., 2006). Infatti, esperimenti di mutagenesi in alanina di E2 hanno dimostrato che queste regioni sono fondamentali per il legame del virus al CD81 e per l’infettività (Owsianka et al., 2006). In particolare, pseudoparticelle virali che esprimono sulla superficie glicoproteine E1E2 mutate a livello di residui compresi tra le posizioni 474-494, 522-551 e 612-620, perdono totalmente la capacità di infettare le cellule bersaglio (Owsianka et al., 2006). In questo caso, una strategia per eludere la risposta immunitaria consiste nel nascondere tali residui mediante l’aggiunta di zuccheri. Infatti, E2 è una proteina altamente glicosilata di cui sono stati descritti 11 siti di glicosilazione altamente conservati (Helle et al., 2007; Zhang et al., 2004b). Alcuni di questi glicani risultano avere un ruolo fondamentale per mantenere un corretto folding della proteina in modo da interagire con i diversi recettori e co-recettori presenti nella cellula ospite (Slater-Handshy et al., 2004). La glicosilazione a livello dell’aa 532 invece risulta essere importante in quanto maschera regioni importanti per la fitness virale; infatti esso è compreso in una delle regioni (aa 522-551) coinvolte nel legame con il CD81; inoltre è contiguo ai residui 529, 530 e 535 che studi di mutagenesi, precedentemente decritti, hanno dimostrato essere cruciali per l’infettività del virus (Owsianka et al., 2006). La perdita di tali siti di glicosilazione aumenta notevolmente la sensibilità del virus all’azione neutralizzante di 77 anticorpi prodotti nel corso dell’infezione da HCV (Helle et al., 2007; Zhang et al., 2004b) Tuttavia, questa strategia di difesa comporta un costo per la fitness virale, infatti la presenza di zuccheri, se da un lato ostacola il legame di anticorpi neutralizzanti, dall’altro riduce anche l’accessibilità di E2 al dominio di legame del CD81 (SlaterHandshy et al., 2004). Pertanto HCV per eludere l’azione protettiva della risposta immunitaria, ricorre ad un compromesso tra una ridotta cinetica di legame con i recettori cellulari e una ridotta sensibilità all’azione neutralizzante anticorpale. La glicosilazione contribuisce anche a creare delle aree “silenti” sulla superficie della proteina, in modo tale da ridurne l’immunogenicità (Helle et al., 2007; Zhang et al., 2004b). La protezione di epitopi conservati cruciali per la capacità infettiva del virus, può essere ottenuta anche mediante l’interazione con lipoproteine. Infatti, il virus risulta essere presente nel siero associato con le LDL, le VLDL e le HDL (Dreux et al., 2006; Huang et al., 2007; Nielsen et al., 2006). La presenza di tali molecole sulla superficie virale, oltre a nascondere residui critici, facilita l’ingresso delle particelle virali nella cellula bersaglio, mediante l’interazione con recettori cellulari, come SR-BI e LDLR (Agnello et al., 1999; Bartosch et al., 2005; Dreux et al., 2006). Una strategia alternativa per sfuggire all’attività neutralizzante della risposta anticorpale è rappresentata dalla presenza sulla superficie di E2 di diverse regioni in grado di interagire in maniera del tutto indipendente con specifici recettori cellulari. Infatti, sebbene il CD81 sia stato descritto come il principale recettore cellulare, numerosi studi hanno dimostrato che in realtà questa tetraspanina rappresenta un fattore necessario, ma non sufficiente per l’ingresso del virus nella cellula bersaglio. D’altronde, è ormai ampiamente riconosciuto che anche altre molecole, tra cui in particolare SR-BI e CLDN1, sono necessarie per l’internalizzazione del virus. Recentemente poi, è stato dimostrato che la proteina E2 è in grado di legare queste molecole mediante regioni distinte (Bartosch et al., 2003a; Evans et al., 2007; Zheng et al., 2007). Pertanto la mancanza di un’azione protettiva della risposta umorale può essere anche dovuta all’incapacità di neutralizzare simultaneamente l’interazione di E2 con i diversi recettori cellulari (Heo et al., 2004). 78 Inoltre il virus potrebbe sfruttare un meccanismo di mimetismo molecolare per evadere dalla risposta del sistema immunitario, infatti è stata dimostrata un’analogia tra la sequenza aminoacidica di E2 e degli anticorpi umani, soprattutto per quanto riguarda la catena leggera (Hu et al., 2005). Questo potrebbe spiegare come mai la risposta anticorpale diretta contro le proteine non strutturali di HCV è rilevabile dopo 3-4 settimane dall’infezione, mentre anticorpi diretti contro le glicoproteine E1-E2, i principali bersagli di un’attività neutralizzante, sono rilevabili con un ritardo maggiore (Chien et al., 1999; Chien et al., 1993; Chien et al., 1992). Infine, l’incapacità di eliminare il virus, nonostante la presenza di una intensa risposta anticorpale cross-neutralizzante, può essere attribuita all’estrema eterogeneità della risposta anticorpale diretta contro HCV. Molti studi hanno dimostrato che nell’ambito della risposta anticorpale anti-HCV, anticorpi neutralizzanti sono presenti insieme ad anticorpi privi di un ruolo protettivo (Burioni et al., 2001; Burioni et al., 1998b; Zheng et al., 2007). In questo modo, anticorpi privi di attività neutralizzante possono riconoscere epitopi sovrapponibili alle regioni legate da anticorpi neutralizzanti interferendo con l’attività protettiva (Burioni et al., 2002). In questo caso, la risposta compiuta dal sistema immunitario risulta essere inutile in quanto volta a produrre anticorpi non efficaci che potrebbero interferire con anticorpi neutralizzanti che talvolta potrebbero essere in grado di favorire l’ingresso del virus nelle cellule bersaglio (Burioni et al., 2002; Zhang et al., 2007; Zhang et al., 2009). 1.11.2.2.2 Specificità degli epitopi della risposta anticorpale Le glicoproteine dell’envelope di HCV, E1 ed E2, svolgono una funzione chiave nell’ambito del ciclo vitale del virus e sono responsabili dell’adesione e quindi dell’ingresso del virus nelle cellule bersaglio e poiché sono esposte sulla superficie del virione sono stati descritti come obiettivi degli anticorpi neutralizzanti monoclonali e policlonali (Allander et al., 1997; Farci et al., 1996; Kato et al., 1993; Keck et al., 2004; Logvinoff et al., 2004; Netski et al., 2005; Steinmann et al., 2004). Per lungo tempo, la sequenza HVR1 di E2 è stata proposta come la principale regione target degli anticorpi neutralizzanti (Farci et al., 1996; Kato et al., 1993). 79 Si è osservato che il 43% degli individui che spontaneamente risolvono l’infezione sviluppano anticorpi specifici verso la regione HVR1 di E2 entro 6 mesi dall’infezione, rispetto al 13% dei pazienti che invece non riescono ad eliminare il virus (Dittmann et al., 1991). Al contrario, non ci sono differenze significative tra i due gruppi di pazienti per quanto riguarda il tempo di comparsa degli anticorpi verso la proteine non strutturali o la proteina Core (Zibert et al., 1997). E’ interessante osservare che i dati ottenuti con il modello degli HCVpp e HCVcc indicano che esistono anche epitopi neutralizzanti, sia conformazionali sia lineari, situati al di fuori di HVR1. Diversi epitopi virali riconosciuti da anticorpi neutralizzanti sono stati individuati: un epitopo della E2 all’interno della HVR-1 (aa 384-410), due epitopi al N-terminale adiacenti all’HVR1 (aa 408-422 e aa 412-419), due epitopi che costituiscono la regione di E2 coinvolta nel legame con il CD81 (aa 474-494 e aa 522551) ed epitopi conformazionali all'interno della glicoproteina E2. Recentemente è stato descritto un epitopo (aa 416-430) della glicoproteina E2 importante nel processo di fusione fra envelope virale e membrana dell’endosoma, importante come bersaglio per gli anticorpi neutralizzanti (Babitt et al., 1997; Bartosch et al., 2003a; Bartosch et al., 2003c; Hsu et al., 2003; Keck et al., 2004; Op De Beeck et al., 2004). 1.11.2.2 .3 Sistemi per studiare gli anticorpi neutralizzanti Negli ultimi anni, diversi modelli in vitro sono stati sviluppati per studiare sia l’interazione fra cellula ospite e virus, sia la neutralizzazione anticorpo-mediata di HCV. Inizialmente l’attività neutralizzante di anticorpi diretti contro HCV era testata indirettamente usando la metodica di neutralizzazione del legame (NOB, dall’inglese Neutralization Of Binding), in cui veniva analizzata la capacità degli anticorpi di prevenire il legame della glicoproteina E2 ricombinate solubile alle cellule di mammifero (linfociti MOLT-4) esprimenti il CD81 (Rosa et al., 1996). Alcuni ricercatori hanno invece utilizzato il sistema delle VLP per studiare la reattività degli anticorpi e l’inibizione dell’interazione VLP-cellula (Baumert et al., 1998; Baumert et al., 2000). 80 Con il sistema degli HCVpp è stato possibile valutare la capacità degli anticorpi di inibire l’infezione virale a carico di linee cellulari di epatoma. Una prova della validità del sistema nel valutare la funzionalità degli anticorpi è che i titoli di neutralizzazione dell’infezione da HCVpp correlano con quelli degli anticorpi utilizzati negli studi di protezione dall’infezione condotti sugli scimpanzé (Bartosch et al., 2003a; Hsu et al., 2003). Quindi, la metodica che utilizza gli HCVpp ha permesso di analizzare l’attività neutralizzante di anticorpi monoclonali e policlonali derivanti da diverse fonti (come sieri di pazienti o animali immunizzati) (Bartosch et al., 2003a; Hsu et al., 2003; Logvinoff et al., 2004). La recente scoperta dell’isolato JFH1 di HCV ha permesso inoltre ai ricercatori di stimare maggiormente la sensibilità delle particelle virali di HCV alla neutralizzazione da parte degli anticorpi (Lindenbach et al., 2005; Zhong et al., 2005). Ad oggi, l’infezione da HCVcc è neutralizzata da: anticorpi derivanti da sieri umani diretti contro la proteina E2, anticorpi murini E1-specifici e da un pannello di anticorpi monoclonali diretti contro entrambe le glicoproteine di HCV (Lindenbach et al., 2005; Pietschmann et al., 2006; Zhong et al., 2005). Inoltre è importante sottolineare che i titoli neutralizzanti degli anticorpi testati sono considerevolmente inferiori per gli HCVcc che esprimono le glicoproteine derivanti dall’isolato JFH1 (genotipo 2a) o dell’isolato J6 (genotipo 2a) rispetto a quelli per gli HCVpp che esprimono le glicoproteine derivati dai medesimi isolati; suggerendo quindi una differenza nel livello di glicoproteine incorporate dalle particelle virali nei due sistemi. Lo scimpanzé risulta essere l'unico modello animale per lo studio della infezione da HCV in vivo. Il decorso clinico dell'infezione è generalmente più mite negli scimpanzé che negli esseri umani. Tuttavia, questi animali hanno fornito una opportunità unica per studiare le risposte immunitarie adattative di HCV (Bukh, 2004). Grazie al modello dello scimpanzé è stato possibile per la prima volta descrivere le proprietà degli anticorpi neutralizzanti (Farci et al., 1994; Farci et al., 1996). Gli scimpanzé sono stati utilizzati anche per studiare l’immunità protettiva contro le ri-esposizioni. Studi di vaccinazione e l’immunizzazione passiva con anti-sieri di coniglio hanno dimostrato che anticopri anti-E1 e anti-E2 non forniscono una completa immunità protettiva, semplicemente la re-infezione di tali animali vaccinati ha un decorso più mite (Farci et al., 1992; Prince et al., 1992). 81 1.12 Razionale dello studio Mentre numerosi studi suggeriscono che una vigorosa e multispecifica risposta immune cellulo-mediata nelle fasi iniziali dell’infezione sembra avere una grande importanza nel controllo dell’infezione da HCV, il ruolo svolto dagli anticorpi in corso di infezione da HCV non è ancora completamente chiaro. Infatti, l’incapacità di soggetti infettati di eliminare il virus e la possibile reinfezione dopo la clearance del virus, sembrano mettere in dubbio il ruolo protettivo della risposta anticorpale nei confronti di HCV. Tuttavia è stato recentemente dimostrato che anticorpi neutralizzanti sono prodotti nel corso dell’infezione da HCV e che una rapida induzione di anticorpi neutralizzanti nelle fasi iniziale dell’infezione può contribuire al controllo dell’infezione da HCV (Pestka et al., 2007). Si è osservato che il repertorio anticorpale diretto contro HCV risulta composto da anticorpi neutralizzanti che sono presenti insieme a altre molecole anticorpali prive di un ruolo protettivo nei confronti del virus (Burioni et al., 1998b; Zhang et al., 2007). In questo caso lo sforzo compiuto dal sistema immunitario risulta per buona parte inutile in quanto volto a produrre anticorpi non efficaci che interferiscono con anticorpi neutralizzanti e talvolta in grado di favorire l’ingresso del virus nelle cellule bersaglio. Pertanto un approccio promettente per studiare la risposta anticorpale consiste nell’eseguire una dissezione molecolare della risposta immune umorale, in modo da analizzare le singole componenti. In questo modo è possibile identificare anticorpi monoclonali in grado di legare regioni cruciali per il ciclo vitale del virus che non possono essere mutate senza compromettere la fitness, cioè la capacità replicativa del virus. Nell’ambito della risposta anticorpale contro un virus un ruolo importante sembra svolto da anticorpi neutralizzanti, cioè in grado di legare strutture cruciali per la fisiologia del virus, ostacolando così l’ingresso del virus nella cellula bersaglio. Tra le varie proteine di HCV, la glicoproteina E2 sembra essere una di queste strutture cruciali, in particolare E2 rappresenta la molecola fondamentale per mediare l’ingresso del virus nella cellula bersaglio. Pertanto la produzione di anticorpi monoclonali umani neutralizzanti diretti contro la glicoproteina E2 potrebbe rappresentare la base per lo sviluppo di nuovi approcci di immunoterapia contro HCV. 82 Una delle tecniche per la produzione di tali anticorpi è rappresentata dall’immortalizzazione dei linfociti B tramite il virus di Epstein-Barr (EBV) (Steinitz et al., 1977). In questo modo si ottengono cellule immortalizzate che producono anticorpi monoclonali, ma la quantità di anticorpi prodotta è minima e la secrezione non supera gli 8 mesi a causa della instabilità delle cellule immortalizzate. Una fonte alternativa utilizzata per produrre anticorpi umani monoclonali sono gli ibridomi umani, essi vengono ottenuti dalla fusione di linfociti B umani specifici per l’antigene d’interesse e cellule di mieloma umano che conferiscono l’immortalità all’ibridoma. Attualmente le metodica che trova più credito si basa sul tentativo di clonare tutti i geni umani codificanti gli anticorpi coinvolti nella risposta immune. Tale tecnica prevede la costruzione di una library combinatoriale in cui è rappresentato l’intero repertorio anticorpale di un individuo, solitamente come frammenti Fab. In questa tecnica i geni per le catene pesanti e leggere sono clonate separatamente in un apposito vettore, nel quale si associano in modo casuale. Uno dei vettori più utilizzato per il clonaggio è il pComb3/TIG (Burioni et al., 1997), un fagemide. I fagemidi sono dei vettori che oltre a possedere le caratteristiche di un plasmide, hanno anche un’origine di replicazione e geni di origine fagica. Inoltre, il gene per la catena pesante è clonato in fusione con il gene per la cpIII (capsid protein III), una proteina fagica che possiede nel dominio N-terminale, un sito di legame per il pilo F’ di E.coli, fondamentale nel processo infettivo del fago M13. Trasformando con questo vettore cellule elettrocompetenti, si ottiene la produzione della catena pesante, che sarà veicolata insieme alla cpIII verso lo spazio periplasmico rimanendo ancorata alla membrana batterica, e della catena leggera, che una volta raggiunto lo spazio periplasmico, si associa alla catena pesante dando origine al Fab completo (Figura 19). L’aggiunta del fago helper M13, che nel proprio genoma possiede i geni per la sintesi delle proteine strutturali fagiche, porta alla formazione di particelle virali complete, alcune delle quali caratterizzate dalla presenza sulla propria superficie di un singolo Fab. 83 Ogni particella virale avrà al suo interno il vettore in cui sono clonati i geni codificanti le catene anticorpali del Fab che è espresso sulla superficie del fago stesso. Si passa così dalla library fagemidica alla library fagica, costituita da fagi sulla cui superficie sono espressi i Fab dell’intero patrimonio anticorpale clonato come descritto. Questo sistema definito phage display, permette attraverso una tecnica chiamata panning di selezionare anticorpi contro qualsiasi antigene di interesse (Figura 20). I geni per le catene del Fab così selezionati, possono essere clonati in vettori appositi, in modo da produrre frammenti Fab solubili, o eventualmente anticorpi interi (Burioni et al., 1997). Per questo motivo nel nostro laboratorio sono stati clonati tramite la strategia del phage display anticorpi diretti contro la glicoproteina E2 (Burioni et al., 1998b) e lo scopo della mia tesi è stato quello di caratterizzare due di questi anticorpi, i Fab e20 ed e137. Figura 19 | Espressione ed assemblaggio del frammento Fab all’interno di E.Coli. (Hc: gene della catena pesante; Lc: gene della catena leggera; amp: gene per la resistenza all’ampicillina; pel B: sequenza leader). 84 Figura 20 | Rappresentazione dei processi della fase di panning della library fagica. (Da Ph.D.-12TM Phage Display Peptide Library Kit – Instruction Manual). 85 2. MATERIALI E METODI 2.1 Costruzione della library anticorpale I Fab anti-E2/HCV e20 ed e137 caratterizzati in questa tesi, sono stati precedentemente selezionati da una library combinatoriale di esposizione fagica costituita dal repertorio anticorpale di una donna di 58 anni con infezione persistente da HCV di genotipo 1b, associata a crioglobulinemia (Burioni et al., 1998b). Brevemente verranno descritti i metodi utilizzati per il clonaggio. Prima della costruzione della library, lo status immunologico anti-HCV della paziente è stato valutato in ELISA mediante kit disponibili commercialmente (Ortho Diagnostics, Raritan, NJ). Infine il siero è stato testato anche sulla glicoproteina ricombinante HCV/E2, utilizzata successivamente per la selezione dei Fab monoclonali. Dalla stessa paziente sono stati quindi prelevati, previo consenso informato, 10 mL di sangue midollare; dal campione ottenuto è stata quindi separata la componente linfocitaria secondo la metodica di Chomczynski e Sacchi (Chomczynski and Sacchi, 1987). Dai linfociti è stato estratto l’mRNA, che quindi è stato retrotrascritto in cDNA, mediante primer di poliT (Gubler and Hoffman, 1983; Gubler et al., 1983). Il cDNA ottenuto è stato successivamente amplificato mediante primer specifici per la regione costante e variabile delle catene pesanti e leggere delle immunoglobuline. Il DNA amplificato è stato corso su gel di agarosio al 2% ed estratto da gel mediante elettroeluizione. Si è proceduto quindi ad un’ulteriore amplificazione con primer, costruiti in modo da rendere più efficiente il taglio degli enzimi di restrizione a livello dei siti introdotti dalla prima amplificazione. Successivamente le catene amplificate sono state sottoposte a digestione ad opera di enzimi di restrizione (Sac-XbaI per le catene leggere e XhoI-SpeI per le catene pesanti). I geni per le catene anticorpali sono state così clonati nel vettore fagemidico pComb3/TIG (Burioni et al., 1997), analogamente digerito, procedendo dapprima al 86 clonaggio delle catene leggere e poi a quello delle pesanti. Per distinguere facilmente il vettore linearizzato da quello tagliato da entrambi gli enzimi, nei siti di clonaggio delle catene il vettore pComb3/TIG presenta dei frammenti di circa 1000 bp (stuffer). A valle del sito SpeI si trova, in fusione con la catena pesante, il gene per la proteina strutturale fagica cpIII necessaria per il processo infettivo del fago M13. La catena pesante grazie alla presenza di una sequenza leader (pelB) viene veicolata verso lo spazio periplasmico, mentre grazie alla presenza della cpIII rimane ancorata a livello della membrana citoplasmatica interna. La catena leggera dell’anticorpo, espressa in maniera indipendente da quella pesante (le due catene sono sotto il controllo di due distinti lac promoter) è veicolata anch’essa, grazie alla presenza della sequenza leader (pelB), verso lo spazio periplasmico dove si associa alla catena pesante costituendo il Fab monovalente. La library fagemidica così ottenuta è stata usata per trasformare, mediante elettroporazione, cellule di E. coli disponibili commercialmente (XL1-Blue, Stratagene). L’aggiunta di un fago helper (VCSM 13, 1012 pfu, Stratagene) ha permesso di convertire la library fagemidica in library fagica, ovvero in una popolazione di fagi, caratterizzata dall’esposizione sulla propria superficie di cloni anticorpali. 87 2.2 Panning della library anticorpale fagica Dalla library fagica, precedentemente descritta, e rappresentante l’intero repertorio anticorpale umano, diretto contro HCV, sono stati precedentemente selezionati in laboratorio, mediante una procedura chiamata panning, una serie di Fab, tra cui i Fab e20 ed e137 caratterizzati in questa tesi (Burioni et al., 1998b). La library fagica è stata messa a contatto con la glicoproteina ricombinante E2 solubile (aminoacidi 388-644) priva della sua porzione transmembrana a livello della estremità C-terminale, derivante dal genotipo 1a, isolato H77. Nel dettaglio, la piastra per ELISA (Costar 3690) è stata ricoperta con 25 μL per pozzetto di una soluzione contenente 300 ng di E2 in tampone ECB (Envelope Coating Buffer, 0.1 M NaHCO3 pH 8.6) (concentrazione finale 12 μg/mL) ed incubata a 4°C per tutta la notte. Il giorno seguente la piastra è stata lavata con acqua distillata e bloccata con una soluzione di PBS/BSA 1% per un’ora a 37°C. Dopo una incubazione con la library fagica a 37°C per 2 ore e opportuni lavaggi in PBS-Tween-20 0.5% (Sigma), si è provveduto ad eluire il fago ancora legato all’antigene usando un tampone a pH acido (EB: glicina-HCl 100 mM, pH 2.5). Il fago eluito è stato usato per infettare E. coli e, in seguito all’aggiunta del fago helper, si è ottenuta una popolazione fagica arricchita in cloni specifici per l’antigene usato che è stata successivamente selezionata tramite kanamicina (resistenza ottenuta dall’infezione con il fago helper) ed amplificata lasciando in incubazione e in agitazione a 30°C per tutta la notte. In questo modo sono stati compiuti cinque cicli di panning (Figura 19). In occasione dell’ultimo ciclo non è stato più usato il fago helper, ma si è provveduto a estrarre e purificare i fagemidi selezionati dalle cellule infettate. Successivamente i fagemidi così recuperati sono stati digeriti con gli enzimi SpeI e NheI (Roche) in modo da convertire il sistema phage display in un sistema secretore di Fab solubili (pComb3/expr.) (Burioni et al., 1998a). Infatti in questo modo la proteina fagica pIII viene rimossa, e la catena pesante del Fab, solitamente espressa in fusione ad essa, non è più ancorata alla membrana batterica ma rimane libera nello spazio periplasmico dove si assocerà alla catena leggera a dare Fab monovalenti che è possibile recuperare rompendo la parete batterica (Williamson et al., 1997). I Fab solubili, ottenuti rompendo la parete batterica tramite cicli di congelamento e scongelamento, sono stati quindi ulteriormente testati in ELISA, preparando la piastra come descritto 88 precedentemente. I cloni che risultano essere in grado di riconoscere l’antigene sono stati prodotti e purificati, in modo tale da poter essere meglio caratterizzati. In particolar modo, in questa tesi verrà descritta la caratterizzazione dei cloni denominati e20 ed e137. Le analisi di sequenza riguardanti la catena pesante e leggera di questi due Fab è stata eseguita mediante il programma on line IMGT (ImMunoGeneTics, www.imgt.org). 89 2.3 Produzione dei Fab e20 ed e137 Per la produzione dei Fab monoclonali, inoculare gli specifici cloni batterici trasformati con il plasmide pComb3/expr., contenente i geni delle catene pesanti e leggere dei Fab e20 ed e137 ed il gene per la resistenza all’antibiotico ampicillina, in 10 mL di Super Broth (SB: 35 g Triptone, 20 g Estratto di lievito e 5 g NaCl) a cui viene aggiunta ampicillina (Sigma) e tetraciclina (Sigma) ad una concentrazione finale di 100 µg/mL e 10 µg/mL rispettivamente. Il giorno seguente sub inoculare la coltura in una beuta con 1 L di SB contenente le stesse concentrazioni finali di tetraciclina ed ampicillina e farla crescere a 37°C, per il tempo necessario a raggiungere una densità ottica (O.D. - optical density) a 600 nm di 0,8-1, in un incubatore dotato di agitatore (circa 260g). Successivamente indurre la coltura con IPTG (Isopropil β-D-1tiogalactopiranoside, Sigma) alla concentrazione finale di 1 mM e incubarla per tutta la notte a 30°C. Centrifugare la coltura batterica a 3900g a 4°C per 15 minuti (Allegra X-22R Centrifuge, Beckman Coulter), risospendere il pellet cellulare in 25 mL di PBS (Phosphate Buffered Saline: 137 mM NaCl, 2.7 mM KCl, 10 mM Na2HPO4, 1.8 mM KH2PO4, pH 7.4) aggiungendo l’inibitore delle serin-proteasi PMSF (fluoruro di fenilmetansulfonile) alla concentrazione finale di 0.2 mM, e infine sonicare la sospensione cellulare (MISONIX, Microson). Eliminare i detriti cellulari centrifugando il sonicato a 15000g a 4°C per 30 minuti (Allegra X-22R Centrifuge, Beckman Coulter) e filtrare il surnatante chiarificato, contenente il Fab, mediante filtri da 0.22 μm (MILLIPORE) (Bugli et al., 2001; Burioni et al., 1998a). 90 2.4 Purificazione dei Fab e20 ed e137 Purificare il frammento anticorpale prodotto tramite cromatografia per immunoaffinità utilizzando la resina GammaBind G Sepharose (Amersham Biosciences) coniugata con la proteina G di Streptococco in grado di legare il siero policlonale, costituito in questo caso da IgG di capra anti-human Fab (Sigma). Dopo aver preparato la resina (Bugli et al., 2001; Burioni et al., 1998a), scorrere il campione chiarificato attraverso la colonna cromatografica precedentemente equilibrata con 20-30 mL di PBS. Dopo il lavaggio della colonna con circa 50 mL di PBS, eluire il Fab monoclonale legato alla colonna con 10 mL di tampone di eluizione a pH acido, neutralizzarlo in seguito con il tampone di neutralizzazione (Tris 1 M, pH 9) fino a raggiungere un pH di circa 7.5. In seguito analizzare il Fab monoclonale purificato tramite SDS-PAGE 12% per valutarne la purezza, indicata dalla presenza di un'unica banda di 50 kDa e dosarlo con la stessa metodica usando come controllo standard quantità note di BSA (Bovine Serum Albumin, Sigma). Successivamente confermare la concentrazione del Fab quantificando il campione mediante lettura spettrofotometrica al Nanodrop 8000 (Thermo Scientific). 91 2.5 Titolazione e calcolo dell’affinità dei Fab e20 ed e137 mediante ELISA Per la titolazione e la valutazione del legame alla proteina E2 di HCV, testare il Fab in esame mediante ELISA (Enzyme-Linked Immunosorbent Assay). Ricoprire la piastra per ELISA (Costar 3690) con 25 μL per pozzetto di una soluzione contenente 100 ng della glicoproteina ricombinante E2 (genotipo 1a, H77) in tampone ECB (concentrazione finale 4 µg/mL) ed incubarla a 4°C per tutta la notte. Il giorno seguente lavare la piastra con acqua distillata e bloccarla con una soluzione di PBS/BSA 1% per un’ora a 37°C. In seguito aggiungere 40 μL per pozzetto delle varie diluizioni (diluizioni seriali in base 3, da 30 µg/mL a 0.0003 µg/mL) del Fab e20 o e137 in PBS/BSA 1% e incubare per un’ora a 37°C. Successivamente lavare le piastre, mediante lavatore (ETI-System Washer, DiaSorin), 5 volte con una soluzione PBS/Tween-20 0.1%, a seguito dei quali aggiungere 40 μL per pozzetto di una diluizione 1:4000 in PBS/BSA 1% di IgG di capra anti Fab umano coniugate con la perossidasi di rafano (concentrazione iniziale 1 mg/mL, Sigma). Incubare la piastra per 45 minuti a 37°C. Lavare la piastra come descritto precedentemente ed aggiungere 40 μL per pozzetto del substrato per la perossidasi (o-fenilendiammina e H2O2, TMB Pierce) ed infine incubare la piastra per circa 15 minuti a 37°C al buio, successivamente bloccare la reazione con una soluzione di H2SO4 1 N (Carlo Erba). Quindi misurare gli O.D. dei singoli pozzetti mediante lettura a 450 nm (Gralis Microplate Reader, SLT Lab Instruments). Per ogni esperimento introdurre anche l’antigene BSA come controllo negativo la cui O.D.450 è utilizzata per rilevare un’eventuale aspecificità del nostro Fab. Come controllo positivo utilizzare l’anticorpo murino monoclonale H60 (Deleersnyder et al., 1997) gentilmente donato dal Dr Jean Dubuisson (Molecular and Cellular Virology of Hepatitis C, Institiut Pasteur de Lille, France), già descritto in letteratura come anticorpo in grado di legare un epitopo conformazionale della glicoproteina E2. Per il calcolo dell’affinità si usa il protocollo descritto precedentemente e dal grafico che pone in relazione l’O.D. a 450 nm/concentrazione; ricavare la concentrazione del 92 Fab che mostra la metà del segnale rispetto a quello massimo (O.D.450 50%) e applicare la seguente formula: M (affinità) = ([Fab] g/L O.D.450(50%) x 1000 μL) / (peso molecolare Fab 50000 Dalton x 1 mL) (Raghava and Agrewala, 1994). 93 2.6 Valutazione del legame dei Fab e20 ed e137 sulla glicoproteina E2 derivante dai diversi genotipi di HCV 2.6.1 Analisi mediante immunofluorescenza Crescere le cellule renali HEK 293T in terreno DMEM (Dulbecco’s Modified Eagles’ Medium, Invitrogen Carlsbad, CA), addizionato con il 10% di siero bovino fetale (FBS-Foetal Bovine Serum, Sigma), il 5% di aminoacidi non essenziali (GIBCO), streptomicina (100 µg/mL), penicillina (100 U/mL) e 200 mM di L-glutammina (il DMEM addizionato in questo modo verrà di seguito riportato con il termine DMEM completo) in un incubatore a 37°C al 5% di CO2. Quando la coltura cellulare raggiunge l’80% di confluenza, seminare 2x106 cellule in piastre Petri da 10 cm (Corning 430167) e dopo 24 ore transfettare con 3 μg del vettore del vettore d’espressione pcDNA3.1 in cui sono state precedentemente clonate all’interno i geni delle glicoproteine E1-E2 di HCV dei diversi genotipi: 1a (isolato H77), 1b (UKN1B12.16), 2a (UKN2A1.2), 2b (UKN2B2.8), 3 (UKN3A1.28), 4 (UKN4.21.16), 5 (UKN5.15.11) e 6 (UKN6.5.8) (Lavillette et al., 2005b) mediante lipofectamina 2000 (Invitrogen), seguendo il protocollo del produttore. Dopo 16 ore dalla trasfezione cambiare il terreno ed incubare le cellule a 37°C, 5% CO2 per 24 ore. In seguito rimuovere il terreno, lavare le cellule 2 volte con PBS e iniziare la preparazione di vetrini mediante Cytospin (Cytospin4, Shandon Southern Products); ovvero centrifugare 2x105 cellule di ogni preparazione a 900g per 3 minuti. Le cellule sono state quindi fissate e permeabilizzate con una soluzione di metanoloacetone ad un rapporto 1:1 (conservato a –20°C) per 10 minuti a temperatura ambiente. Dopo 3 lavaggi in PBS, le cellule sono state incubate con il Fab e20 o e137 (10 µg/mL) per 30 minuti a 37°C in camera umida e lavate ulteriormente per 3 volte in PBS. Le cellule sono state successivamente incubate per 30 minuti a 37°C al buio in camera umida con anti Fab umano coniugato con fluoresceina isotiocianato (FITC) (Sigma cat.F5512) diluito in PBS, seguendo le indicazioni del produttore. I vetrini sono stati controcolorati in blu di Evans (0,01% in PBS) e osservati al microscopio a fluorescenza (Olympus). Lo stesso protocollo è stato eseguito anche per le cellule trasfettate con lo stesso vettore in cui al posto delle glicoproteine di HCV è stata clonata l’emoagglutinina del 94 virus influenzale, esse rappresenteranno il background di legame del nostro Fab. Mentre per valutare l’efficienza di trasfezione e quindi il livello di espressione e il corretto ripiegamento della glicoproteina E2, è stato usato come controllo positivo l’anticorpo monoclonale murino AP33 (Tarr et al., 2006), diretto contro la regione aminoacidica 412-423 di E2, e descritto in letteratura come anticorpo con il più ampio spettro di cross-reattività e cross-neutralizzazione. 2.6.2 Analisi mediante citofluorimetria L’analisi di legame dei Fab è stata effettuata anche mediante citofluorimetria. Brevemente, le cellule trasfettate, come descritto precedentemente, sono state utilizzate per la preparazione di campioni da analizzare mediante l’approccio della metodica del FACS. Dopo 16 ore dalla trasfezione cambiare il terreno ed incubare le cellule a 37°C, 5% CO2 per 24 ore. In seguito rimuovere il terreno, lavare le cellule 2 volte con PBS e incubarle a 37°C per 5 minuti con 5 mL di Cell Dissociation Solution-Non Enzymatic 1X (Sigma). Poi lavare le cellule 2 volte con PBS e centrifugarle a 2000g per 5 minuti (Allegra X-22R Centrifuge, Beckman Coulter), dopodiché aggiungere 1,2 mL di reagente di fissazione (medium A; Fix and Perm, Invitrogen) al pellet cellulare corrispondente ad ogni piastra. Incubare le cellule per 15 minuti a temperatura ambiente. Infine lavare i campioni con 5 mL di PBS/FBS 5% e centrifugarli a 2000g per 5 minuti (Allegra X-22R Centrifuge, Beckman Coulter). Aggiungere 100 μL del reagente di permeabilizzazione (medium B; Fix and Perm, Invitrogen) contenente il Fab e20 o e137 alla concentrazione finale di 10 µg/mL e incubare per 20 minuti a temperatura ambiente. Lavare i campioni con 5 mL di PBS/FBS 5% ed incubare per 20 minuti a temperatura ambiente con una soluzione di 100 μL di PBS/FBS 5% contenente l’anti Fab umano coniugato FITC (Sigma cat.F5512) diluito in PBS/FBS 5%, seguendo le istruzioni del produttore. Lavare nuovamente le cellule con PBS/FBS 5% e una volta rimosso il surnatante risospendere il pellet cellulare in 300 μL di PBS/FBS 5% e analizzare i campioni mediante citofluorimetria. L’attività di legame viene espressa in termini di percentuale considerando come 100% il segnale di fluorescenza ottenuto dalle cellule esprimenti le glicoproteine E1E2 95 del genotipo 1a, H77 di HCV (in quanto la selezione dei Fab è avvenuta su tale genotipo). Lo stesso protocollo è stato eseguito anche per le cellule trasfettate con lo stesso vettore in cui al posto delle glicoproteine di HCV è stata clonata l’emoagglutinina del virus influenzale, esse rappresenteranno il background di legame del nostro Fab. Mentre per valutare l’efficienza di trasfezione e quindi il livello di espressione e il corretto ripiegamento della glicoproteina E2, è stato usato come controllo positivo l’anticorpo monoclonale murino AP33. 96 2.7 Determinazione dell’epitopo riconosciuto dai Fab e20 ed e137 2.7.1 Valutazione del legame di e20 ed e137 su peptidi lineari derivati da E2 Generare mediante PCR frammenti codificanti porzioni della glicoproteina E2 di HCV (genotipo 1a, H77) e inserirli nel vettore pMal-C2 vector (New England Biolabs). In particolare, sono stati generati costrutti codificanti i seguenti peptidi di E2: • E2a - aa 1-61 (384-445); • E2ab - aa 1-129 (384-513); • E2abc - aa 1-200 (384-584); • E2abcd - aa 1-285 (384-669). Trasformare con questi costrutti ceppi di E.coli disponibili commercialmente, DH5a (GIBCO/BRL/Life Sciences, USA) e purificare i peptidi espressi mediante cromatografia su apposite colonne (New England Biolabs) seguendo le istruzioni fornite dal produttore. Adsorbire su piastra ELISA (Costar 3690) questi peptidi lineari derivati dalla glicoproteina E2 ad una concentrazione di 1 µg/mL e incubare la piastra a 4°C overnight. Successivamente eseguire il test ELISA come precedentemente descritto, usando il Fab e20 o il Fab e137 ad una concentrazione di 10 µg/mL e come secondario una diluizione 1:4000 di IgG di capra anti Fab umano coniugate con la perossidasi di rafano (concentrazione iniziale 1 mg/ml, Sigma). Come controllo positivo sono stati utilizzati gli anticorpi murini 7/59, 7/16b e 6/53 che rispettivamente riconoscono le regioni aminoacidiche 384-391, 436-447 e 544-551 di HCV/E2 (Owsianka et al., 2001); mentre come controllo negativo è stato usato il Fab umano c33-3 diretto contro HCV/NS3 (Prabhu et al., 2004b). 2.7.2 Valutazione del legame di e20 ed e137 mediante peptidi multipli derivati dalla regione ipervariabile (HVR1) Peptidi multipli derivati dalla regione HVR1 e denominati: MAP 291, MAP 313, MAP 442 , MAP 455, e MAP 1013 sono stati gentilmente forniti da A.Nicosia (IRBM, Pomezia, Italia) (Puntoriero et al., 1998). Adsorbire su piastra ELISA (Costar 3690) questi peptidi multipli derivati dalla regione ipervariabile ad una concentrazione di 1 µg/mL e incubare la piastra a 4°C 97 overnight. Successivamente eseguire il test ELISA come precedentemente descritto, usando il Fab e20 o e137 ad una concentrazione di 10 µg/mL e come secondario una diluizione 1:4000 di IgG di capra anti Fab umano coniugate con la perossidasi di rafano (concentrazione iniziale 1 mg/ml Sigma). Come controllo positivo sono stati utilizzati gli anticorpi murini 7/59 e 9/27 che rispettivamente riconoscono le regioni aminoacidiche 384-391 e 396-407; mentre come controllo negativo è stato usato il Fab umano c33-3 diretto contro HCV/NS3. 2.7.3 Esperimenti di competizione con anticorpi monoclonali murini e di ratto È stata valutata la possibilità di identificare l’epitopo riconosciuto dal Fab e20 ed e137 mediante test ELISA di competizione tra i Fab e anticorpi monoclonali murini e di ratto diretti contro epitopi noti della proteina E2 di HCV (Flint et al., 1999b). Ricoprire la piastra per ELISA (Costar 3690) con 25 μL per pozzetto di una soluzione contenente 100 ng della glicoproteina ricombinante E2 (genotipo 1a, H77) in tampone ECB ed incubarla a 4°C per tutta la notte. Il giorno seguente lavare la piastra con acqua distillata e bloccarla con una soluzione di PBS/BSA 1% per un’ora a 37°C. Aggiungere ad ogni pozzetto 40 µL di ogni anticorpo competitore (murino o di ratto) usato a concentrazione di saturazione (30 µg/mL, ovvero la concentrazione che permette di ottenere il massimo segnale in termini di O.D.450). Dopo 2 ore di incubazione a 37°C (senza lavare la piastra) aggiungere 40 µL per pozzetto di Fab e20 o e137 al 50% della concentrazione di legame saturante della proteina E2 (tale per cui l’O.D. a 450 nm risultava pari al 50% dell’O.D. a 450 nm massima, ovvero una concentrazione di 0,3 µg/mL e di 2 µg/mL di e20 ed e137 rispettivamente) ed incubare la miscela per altri 30 minuti. Quindi lavare la piastra mediante lavatore (ETI-System Washer, DiaSorin), 5 volte con una soluzione PBS/Tween-20 0.1% e rilevare il legame dei Fab all’antigene mediante l’aggiunta di 40 µL per pozzetto di una diluizione 1:4000 in PBS/BSA 1% di IgG di capra anti Fab umano coniugate con la perossidasi di rafano (concentrazione iniziale 1 mg/ml, Sigma). Dopo un’incubazione di 45 minuti a 37°C lavare la piastra come descritto precedentemente. Aggiungere 40 μL per pozzetto di substrato per la perossidasi (ofenilendiammina e H2O2, TMB - Pierce) ed incubare la piastra per circa 15 minuti a 37°C al buio, successivamente bloccare la reazione con una soluzione di H2SO4 1 N 98 (Carlo Erba). Quindi quantificare gli O.D. dei singoli pozzetti mediante lettura a 450 nm (Gralis Microplate Reader, SLT Lab Instruments). Il valore di O.D.450 ottenuto per il Fab in competizione con l’anticorpo murino o di ratto è stato confrontato con O.D.450 ottenuto per il Fab (in assenza dell’anticorpo competitore) ed è stata calcolata la % d’inibizione del legame dei Fab alla glicoproteina E2 mediante la seguente formula: % inibizione = 100 X [(O.D.450 Fab da solo – O.D.450 Ab murino o di ratto + Fab)/ O.D.450 Fab da solo] (Bugli et al., 2001). 2.7.4 Analisi del legame di e20 ed e137 su un pannello di E2 mutate Per identificare i residui aminoacidici critici di E2 per il legame, i Fab sono stati testati su un pannello di glicoproteine mutate derivate dal genotipo 1a (isolato H77). In particolare, alcuni residui della glicoproteina E2 sono stati mutati in alanina. Parte di questi mutanti sono stati gentilmente concessi da A. W. Tarr (Università di Nottingham, UK) (Owsianka et al., 2006). Altri sono stati generati utilizzando Gene Taylor Mutagenesis kit (Invitrogen) usando dei primers specifici disegnati seguendo le istruzioni fornite dal produttore. Effettuare l’analisi del legame dei Fab mediante FACS come precedentemente descritto. In questo esperimento il background di legame dei nostri Fab è stato valutato su cellule trasfettate con l’emoagglutinina del virus influenzale. Mentre per valutare l’efficienza di trasfezione quindi il livello di espressione e il corretto ripiegamento dei diversi mutanti della glicoproteina E2, è stato usato come controllo positivo l’anticorpo monoclonale murino H60 (Deleersnyder et al., 1997) diretto contro un epitopo conformazionale esterno alla regione mutata. 99 2.8 Valutazione della capacità dei Fab e20 ed e137 di inibire il legame fra il recettore CD81 e la glicoproteina E2 2.8.1 Purificazione e titolazione del grande loop extracellulare del CD81 (CD81-LEL Large Extracellular Loop) umano Per questi esperimenti è stato utilizzato il vettore pGEX-2T contenente la sequenza nucleotidica del CD81-LEL umano fusa all’estremità N-terminale con l’enzima glutatione S transferasi (GST), gentilmente fornito da A.W.Tarr (Università di Nottingham, UK). Trasformare con questo vettore cellule di E. coli disponibili commercialmente (XL1Blue, Stratagene), per produrre il CD81-LEL inoculare il clone batterico trasformato in 10 mL di SB contenente ampicillina (Sigma) e tetraciclina (Sigma) ad una concentrazione finale rispettivamente di 100 µg/mL e di 10 µg/mL. Il giorno seguente sub inoculare la coltura (2,5 mL) in una beuta con 250 mL di SB contenente la stessa concentrazione finali di ampicillina e tetraciclina e farla crescere a 37°C circa 3 ore, il tempo necessario a raggiungere una O.D. a 600 nm di 0.6-0.8, in un incubatore dotato di agitatore (circa 260g). Successivamente indurre la coltura con IPTG (Isopropil β-D-1-tiogalactopiranoside, Sigma) alla concentrazione finale di 1 mM e incubarla per 4 ore a 37°C. Centrifugare la coltura batterica a 3900g a 4°C per 15 minuti (Allegra X-22R Centrifuge, Beckman Coulter), risospendere il pellet cellulare in 10 mL di B-PER Reagent (B-PER® GST Fusion Protein Spin Purification Kit - Thermo Scientific) a cui è stato aggiunto l’inibitore delle serin-proteasi PMSF (fluoruro di fenilmetansulfonile) alla concentrazione finale di 0.2 mM. Per omogeneizzare la sospensione cellulare e permettere la lisi dei batteri mantenere in agitazione per 10 minuti, successivamente per eliminare i detriti cellulari centrifugare il lisato a 19600g a 4°C per 15 minuti (Allegra X-22R Centrifuge, Beckman Coulter). Raccogliere il surnatante, contenente la proteina di nostro interesse, e aggiungervi 1 mL di resina legata al glutatione; mantenere in agitazione per 10 minuti per permettere l’interazione e il legame fra la resina e il GST-CD81-LEL. Recuperare la resina centrifugando a 1200g a 4°C per 5 minuti (Allegra X-22R Centrifuge, Beckman Coulter) e successivamente risospenderla in 250 μL di Wash Buffer (B-PER® GST Fusion Protein Spin Purification Kit - Thermo Scientific). Trasferire la resina in un tubo da 2 100 mL contenente una colonnina dotata di filtro (fornita dal Kit) in grado di trattenere la resina, centrifugare a 2000g a 4°C per 2 minuti (Allegra X-22R Centrifuge, Beckman Coulter). Trasferire la colonnina con filtro in un nuovo tubo da 2 mL e preparare il buffer di eluizione aggiungendo 15 mg di glutatione in 2 mL di Wash Buffer. Aggiungere alla resina 500 μL di eluente, incubare per 5 minuti, centrifugare a 2000g a 4°C per 2 minuti (Allegra X-22R Centrifuge, Beckman Coulter) e raccogliere l’eluato. Ripetere questo passaggio per 3 volte, unire le 4 frazioni eluite e per allontanare il glutatione dializzarle (Standard RC Dialysis Tubing Pre Treated Spectra/Por 6,SpectrumLabs.com) in 2 L di PBS a 4°C tutta la notte. In seguito analizzare il GSTCD81-LEL purificato tramite SDS-PAGE 12% per valutarne la purezza, indicata dalla presenza di un'unica banda di 30-35 kDa. Per la titolazione e la valutazione del legame alla proteina E2 di HCV, testare il recettore purificato mediante ELISA (Lesniewski et al., 1995). Ricoprire la piastra per ELISA (Costar 3690) con 25 μL per pozzetto di una soluzione contenente 100 ng della glicoproteina ricombinante E2 (genotipo 1a, H77) in tampone ECB ed incubarla a 4°C per tutta la notte. Il giorno seguente lavare la piastra con acqua distillata e bloccarla con una soluzione di PBS/BSA 1% per un’ora a 37°C. In seguito aggiungere 40 μL per pozzetto delle varie diluizioni del CD81-LEL in PBS/BSA 1% e incubare per un’ora a 37°C. Successivamente lavare le piastre, mediante lavatore (ETI-System Washer, DiaSorin), 5 volte con una soluzione PBS/Tween-20 0.1%, a seguito dei quali aggiungere 40 μL per pozzetto dell’anticorpo monoclonale murino anti CD81 (10 µg/mL – clone 2B7, Abnova) diluito in PBS/BSA 1%. Incubare la piastra per un’ora a 37°C, lavare la piastra come descritto precedentemente e aggiungere 40 μL per pozzetto di una diluizione in PBS/BSA 1% di IgG di capra anti IgG murine coniugate con la perossidasi di rafano (Sigma), seguendo le indicazioni del produttore. Incubare la piastra per 45 minuti a 37°C, lavare la piastra come descritto precedentemente ed aggiungere 40 μL per pozzetto del substrato per la perossidasi (o-fenilendiammina e H2O2, TMB Pierce) ed infine incubare la piastra per circa 15 minuti a 37°C al buio, successivamente bloccare la reazione con una soluzione di H2SO4 1 N (Carlo Erba). Quindi quantificare gli O.D. dei singoli pozzetti mediante lettura a 450 nm (Gralis Microplate Reader, SLT Lab Instruments). Per ogni esperimento introdurre anche l’antigene BSA come controllo 101 negativo il cui O.D.450 è utilizzato per rilevare un’eventuale specificità del recettore purificato. 2.8.2 Valutazione della capacità dei Fab e20 ed e137 di inibire il legame fra il CD81LEL e la glicoproteina E2 ricombinante mediante ELISA L’attività inibente dei Fab in esame è stata valutata mediante un ELISA di competizione (Forns et al., 2000a). Fare il coating e il blocking come descritto precedentemente, in seguito aggiungere 40 μL per pozzetto delle varie diluizioni del Fab e20 o e137 in PBS/BSA 1% e incubare per 2 ore a 37°C. Aggiungere poi (senza lavare) 40 μL di CD81-LEL al 50% della concentrazione di legame saturante della proteina E2 (che corrisponde alla concentrazione di 12 µg/mL) diluito in PBS-BSA 1% ed incubare per 30 minuti a 37°C. Successivamente lavare la piastra come descritto precedentemente ed aggiungere 40 μL per pozzetto dell’anticorpo monoclonale murino anti CD81 (10 µg/mL – clone 2B7, Abnova) diluito in PBS/BSA 1%. Incubare la piastra per un’ora a 37°C, lavare la piastra e aggiungere 40 μL per pozzetto di una diluizione in PBS/BSA 1% di IgG di capra anti IgG murine coniugate con la perossidasi di rafano, seguendo le istruzioni del produttore (Sigma). Incubare la piastra per 45 minuti a 37°C, lavare la piastra come descritto precedentemente ed aggiungere 40 μL per pozzetto del substrato per la perossidasi (o-fenilendiammina e H2O2, TMB - Pierce) ed infine incubare la piastra per circa 15 minuti a 37°C al buio, successivamente bloccare la reazione con una soluzione di H2SO4 1 N (Carlo Erba). Quindi quantificare gli O.D. dei singoli pozzetti mediante lettura a 450 nm (Gralis Microplate Reader, SLT Lab Instruments). I valori di O.D.450 ottenuti per le varie concentrazioni del Fab in competizione con il CD81-LEL sono stati confrontati con l’O.D.450 ottenuto per il CD81-LEL (in assenza del Fab) ed è stata calcolata la % d’inibizione del legame del CD81-LEL alla glicoproteina E2 mediante la seguente formula: % inibizione = 100 X [(O.D.450 CD81 da solo – O.D.450 Fab + CD81)/ O.D.450 CD81 da solo] (Bugli et al., 2001). Come controllo negativo si è utilizzato un Fab anti-E2/HCV, clonato dalla stessa library da cui sono stati selezionati i Fab e20 ed e137, di cui era già noto il fatto che non fosse in grado di inibire il legame della glicoproteina virale con il recettore CD81. 102 2.9 Valutazione dell’attività biologica dei Fab e20 ed e137 2.9.1 Valutazione dell’attività neutralizzante mediante HCVpp di genotipo 1a (isolato H77), 1b (UKN1B12.16), 2a (UKN2A1.2), 2b (UKN2B2.8), 3 (UKN3A1.28), 4 (UKN4.21.16), 5 (UKN5.15.11) e 6 (UKN6.5.8) L’attività neutralizzante dei Fab è stata valutata mediante saggio di neutralizzazione dell’infezione da parte di HCVpp derivati dal virus della leucemia murina (MLV) esprimente le glicoproteine E1E2 full-length rappresentative dei vari genomi di HCV. Seminare 2.5x106 cellule HEK293T, provenienti da una coltura con una confluenza pari all’80%, in una piastra Petri di 10 cm (Corning 430167) (Bartosch et al., 2003b). Il giorno seguente co-transfettare le cellule (che avranno raggiunto una confluenza di circa il 40%) con: i) 3 μg del vettore d’espressione pcDNA3.1 in cui sono state precedentemente clonate all’interno le sequenze codificanti le glicoproteine E1E2 di HCV, ii) 8 μg del vettore pCMV-Gag-Pol-MLV codificante le proteine Gag e Pol del MLV e iii) 8 μg del vettore pMLV-luc codificante il gene reporter luciferasi, mediante lipofectamina 2000 (Invitrogen) seguendo il protocollo fornito dal produttore. Tutti i vettori per l’allestimento del saggio con gli HCVpp sono stati gentilmente forniti da François-Loïc Cosset (Human Virology Department, Ecole Normale Supérieure de Lyon, France). Dopo 16 ore dalla transfezione sostituire il terreno di coltura con 5 mL di terreno fresco contenente HEPES (acido 4-2-idrossietil-1-piperazinil-etansolfonico, Invitrogen) alla concentrazione finale di 10 mM. Dopo 24 ore raccogliere il terreno della coltura e centrifugare a 2000g per 10 minuti (Allegra X-22R Centrifuge, Beckman Coulter) e successivamente filtrare il surnatante con filtri da 0.45 μm (MILLIPORE) per eliminare eventuali detriti cellulari. Conservare a 4°C fino al giorno dell’infezione il surnatante contenente gli eventuali pseudovirus prodotti dalle cellule co-transfettate. Il giorno precedente l’infezione, seminare in una piastra da 24 pozzetti (Corning 3524), 5x104 cellule di epatoma umano Huh-7 in ogni pozzetto, cresciute in terreno DMEM completo, esse costituiranno le cellule permissive all’infezione da parte degli HCVpp. 103 Quindi il giorno successivo, addizionare 100 μL del terreno contenente gli HCVpp avente un titolo di circa 1000 unità relative di luminescenza (RLU) con 100 μL contenenti diluizioni (diluizioni in base 2, da 20 µg/mL a 0.3 µg/mL) di e20 o e137 ed incubare la miscela per 1 ora a 37°C. Aggiungere tale miscela alle cellule Huh-7 e metterle ad incubare per 3 ore a 37°C. In seguito alla rimozione dell’inoculo e al lavaggio delle cellule con PBS, aggiungere 1 mL di terreno fresco ad ogni pozzetto ed incubare le cellule per 4 giorni a 37°C, trascorsi i quali lavare le cellule 2 volte con PBS e lisarle con 100 μL di tampone di lisi (Glo-Lysis Buffer-Promega) seguendo le istruzioni del produttore. Trasferire il lisato cellulare in una piastra da 96 pozzetti (Nunc 437111) e aggiungere 100 μL di tampone contenente il substrato della luciferasi (Bright-Glo Luciferase Promega) per ogni pozzetto. Valutare l’infezione delle cellule misurando la luminescenza dei singoli pozzetti (Victor3, Perkin Elmer) espressa in RLU. Determinare l’attività neutralizzante del Fab valutando la luminescenza ottenuta nelle cellule infettate in presenza del Fab in esame in rapporto a quelle infettate senza la presenza di alcun anticorpo (100% d’infezione). L’eventuale attività neutralizzante aspecifica data dalla presenza di un qualsiasi Fab viene determinata utilizzato come controllo negativo il Fab c33-3 specifico per NS3. Inoltre per valutare se l’attività neutralizzante mostrata dai Fab fosse esclusiva per il virus dell’epatite C, gli anticorpi sono stato utilizzati anche in saggi di neutralizzazione con MLV/VSVpp4. 2.9.2 Valutazione della attività neutralizzante mediante HCVcc JFH1 (genotipo 2a) L’attività neutralizzante del Fab e20 ed e137 è stata valutata anche mediante saggio di neutralizzazione dell’infezione con un clone cellulare di HCV (HCVcc) capace di propagarsi in vitro. Questo sistema è basato sull'utilizzo di un particolare isolato virale che ha la particolarità di replicare in vitro. Tale isolato è stato ottenuto nel 2001 da un paziente giapponese con un’epatite fulminante (JFH1 dall’inglese Japanese Fulminant Hepatitis), appartiene al genotipo 4 MLV/VSVpp sono pseudovirus che mostrano sulla loro superficie la proteina G del Virus della Stomatite Vescicolare. Tale glicoproteina ha un tropismo molto ampio quindi MLV/VSVpp sono in grado di infettare le cellule Huh-7. Se l’attività di e20 ed e137 è specifica per HCV/E2 non si osserverà inibizione dell’infezione mediata da MLV/VSVpp. 104 2a, ed ha peculiarità di presentare alcune mutazioni assenti negli altri isolati dello stesso genotipo, soprattutto a livello del 5’-UTR e delle regioni Core, NS3, NS5A (Kato et al., 2001; Wakita et al., 2005). Successivamente viene descritto come sono stati ottenuti i virioni HCVcc e come si è svolto il test di neutralizzazione. Linearizzare il plasmide pJFH1 (16 μg), gentilmente concesso da T. Wakita (National Institute of Infectious Diseases, Tokio, Japan), con l’enzima di restrizione XbaI 50U (Roche), incubandolo tutta la notte a 37°C. Il giorno seguente controllare il digerito in elettroforesi su gel d’agarosio 1% e successivamente incubarlo per 30 minuti a 30°C con Mung bean nuclease 100U (New England Biolabs) per eliminare le estremità “appiccicose” ottenute dopo la digestione con XbaI. Incubare poi il linearizzato per 30 minuti a 50°C con 40 μg di proteinasi K per rimuovere i detriti proteici e con SDS 10% per inattivare la nucleasi precedentemente utilizzata. Estrarre il DNA con il metodo fenolo-cloroformio-alcool isoamilico (25:24:1), successivamente centrifugare a 14000g per 15 minuti a 4°C (Allegra X-22R Centrifuge, Beckman Coulter) e poi recuperare il surnatante in una nuova eppendorf. Indurre la precipitazione del DNA con 3 volumi di etanolo 100% e 1/10 volume di sodio acetato 5M. Incubare per 30 minuti a -20°C, poi centrifugare a 14000g per 15 minuti (Allegra X-22R Centrifuge, Beckman Coulter), far evaporare l’etanolo e far asciugare il pellet di DNA per poi risospenderlo in 20μL H20 nuclese-free. Procedere con la trascrizione in vitro e successiva purificazione dell’RNA ottenuto utilizzando rispettivamente le istruzioni contenute nel kit MEGAscript (Applied Biosystems) e nel kit MEGAclear (Ambion). Fare una mix con 10 μg dell’RNA ottenuto (rappresentante il genoma del clone di HCV JFH1) e 3x106 cellule Huh-7 risospese in 400 μL di PBS e trasferirla in una cuvetta (Biorad 165-2088) per elettroporazione. Elettroporare le cellule con l’apparato Gene Pulser II (Biorad) alle condizioni di 260 V e 950 μF. Trasferire in una piastra Petri di 10 cm (Corning 430167) le cellule trasfettate con 8 mL di DMEM completo. Dopo 24 ore a 37°C, rimuovere il terreno, lavare le cellule 2 volte con PBS e aggiungere nuovo terreno. Dopo 72 ore raccogliere il terreno della coltura e centrifugarlo a 2000g per 10 minuti (Allegra X-22R Centrifuge, Beckman Coulter) e successivamente filtrare il surnatante con filtri da 0.45 μm (MILLIPORE), per eliminare eventuali detriti cellulari. 105 Valutare l’efficienza della transfezione mediante immunofluorescenza osservando se le cellule elettroporate esprimano le proteine di HCV. Per la preparazione dei vetrini utilizzare il protocollo descritto precedentemente, e poiché viene valutata la presenza di una proteina non strutturale (NS3), utilizzare come anticorpo primario il Fab umano c33-3 anti HCV/NS3 (10 µg/mL) e come anticorpo secondario l’anti Fab umano coniugato FITC (Sigma cat.F5512) usato 1:100 diluito in PBS, seguendo le istruzioni del produttore. La determinare del titolo virale avviene tramite immunofluorescenza, come descritto precedentemente, su cellule infettate con varie diluizioni di virioni ottenuti dal surnatante delle cellule trasfettate, come detto prima. In dettaglio, è necessario il giorno precedente l’infezione, seminare in una piastra da 24 pozzetti (Corning 3524) 5x104 cellule di epatoma umano Huh-7 in ogni pozzetto che costituiscono le cellule permissive all’infezione da parte degli HCVcc. Quindi il giorno successivo, infettare le cellule con varie diluizioni di medium contente gli eventuali virioni e lasciare ad incubare per 3 ore a 37°C. Dopo 4 giorni si osserva l’eventuale infezione mediante immunofluorescenza usando la medesima procedura descritta sopra. Tramite microscopio a fluorescenza contare le cellule positive (le cellule che sono state infettate) e applicare la seguente formula per determinato il titolo virale: unità formanti foci (FFU)/ml = (media dei nuclei positivi osservati sul vetrino) X (rapporto tra 1 mL e μL usati per l’infezione) X (diluizione del medium contente gli HCVcc). Per la valutazione dell’attività neutralizzante di e20 ed e137, seminare 5x104 cellule Huh-7 per pozzetto in una piastra da 24 (Corning 3524). Il giorno seguente, addizionare 100 μL del terreno contenente gli HCVcc (100 FFU) con 100 μL contenenti diluizioni progressive dei Fab in esame ed incubare la miscela per 1 ora a 37°C. Aggiungere tale miscela alle cellule Huh-7 e metterle ad incubare per 3 ore a 37°C. In seguito alla rimozione dell’inoculo e al lavaggio delle cellule con PBS, aggiungere 1 mL di terreno fresco ad ogni pozzetto ed incubare le cellule per 4 giorni a 37°C. Per determinare l’attività neutralizzante di e20 ed e137 analizzare il numero di cellule positive in immunofluorescenza presente nei pozzetti in cui il virus è stato 106 addizionato al Fab di interesse rispetto a quelle infettate senza l’anticorpo (100% d’infezione). L’eventuale attività neutralizzante aspecifica data dalla presenza di un qualsiasi Fab è stata valutata incubando il virus con un Fab non neutralizzante antiHCV/E2 presente in laboratorio e anch’esso selezionato dalla stessa library combinatoriale di esposizione fagica da cui derivano e20 ed e137 (Burioni et al., 1998b). Il dato osservato tramite microscopio a fluorescenza è stato confermato anche utilizzando un sistema di lettura di fluorescenza robotizzato (GE healthcare, IN Cell Analizer Sistem 1000), strumento che è in grado di distinguere automaticamente le cellule positive per la fluorescenza rispetto al background, dando quindi un valore più oggettivo alla lettura della fluorescenza. 107 2.10 Saggio di cinetica di neutralizzazione dei Fab e20 ed e137 Gli esperimenti riportati in seguito sono stati progettati sulla base degli studi sulla cinetica di neutralizzazione svolti da Haberstroh et al, 2008 (Haberstroh et al., 2008). Il saggio di cinetica di neutralizzazione permette di valutare se anticorpi anti HCV e altri inibitori interferiscano con il binding virale e con gli eventi post-binding. La capacità di inibire il binding virale viene valutata mantenendo le cellule con HCVpp e l’inibitore in esame per 1 ora a 4°C, temperatura che permette il legame del virus alle cellule ma non i cambiamenti conformazioni a livello delle glicoproteine di HCV richiesti per mediare gli step successivi del ciclo virale. Mentre la capacità di inibire gli eventi post-binding viene valutata aggiungendo gli inibitori, alle cellule a cui gli HCVpp si sono già legati ai recettori a bassa affinità, e lasciandoli per 4 ore a 37°C, temperatura che permette i cambiamenti conformazioni a livello delle glicoproteine di HCV richiesti per mediare gli step successivi del ciclo virale. 2.10.1 Protocollo 1 Il protocollo 1 ci permette di valutare se l’interferenza avviene durante il binding. In dettaglio, seminare in una piastra da 96 pozzetti (Corning 3596) 1x104 cellule di epatoma umano Huh-7 in ogni pozzetto. Successivamente aggiungere alle cellule le seguenti mix contenenti: • HCVpp e Fab e20 (100 µg/mL), • HCVpp e Fab e137(100 µg/mL), • HCVpp e Fab c33.3 anti-HCV/NS3 (100 µg/mL) come controllo negativo, per valutare un eventuale attività neutralizzante aspecifica data dalla presenza del frammento anticorpale • HCVpp ed AP33 (100 µg/mL) come controllo positivo degli eventi postbinding, come descritto da Haberstroh et al, 2008. • HCVpp ed eparina (10 e 50 µg/mL) come controllo positivo del binding dato che in letteratura è già stata descritta la capacità dell’eparina di interferire con gli step pre-binding dell’infezione da HCV (Burlone and Budkowska, 2009). Centrifugare per 1 ora a 2000g a 4°C (MULTIFUGE 3S-R Heraeus), lavare le cellule con PBS freddo (4°C) per rimuovere i virus eventualmente non legati; e aggiungere 108 DMEM completo contenente gli inibitori in esame alle stesse concentrazioni usate precedentemente. Dopo 4 ore a 37°C rimuovere gli inibitori dalle cellule, aggiungere 150 μL di terreno completo ad ogni pozzetto e incubare per 3 giorni a 37°C. Lavare le cellule 2 volte con PBS e lisarle con 100 μL di tampone di lisi (Glo-Lysis Buffer, Promega) seguendo le istruzioni del produttore. Trasferire il lisato cellulare in una piastra da 96 pozzetti (Nunc 437111) a cui vengono aggiunti per ogni pozzetto 100 μL di substrato della luciferasi (Bright-Glo Luciferase, Promega). Valutare l’infezione delle cellule misurando la luminescenza dei singoli pozzetti (Victor3, Perkin Elmer) espressa in unità relative di luminescenza (RLU). Determinare l’attività neutralizzante degli inibitori valutando la luminescenza ottenuta nelle cellule infettate in presenza dell’inibitore in rapporto a quelle infettate senza la presenza di alcun inibitore (100% d’infezione) (Figura 21). La determinazione dell’eventuale attività inibente specifica per il binding viene valutata in rapporto ai dati ottenuti con il protocollo 2. 2.10.2 Protocollo 2 Il protocollo 2 permette di valutare se anticorpi anti HCV dotati di attività neutralizzante, esercitano tale effetto in quanto capaci di interferire con gli eventi virali post-binding. In dettaglio, seminare in una piastra da 96 pozzetti (Corning 3596) 1x104 cellule di epatoma umano HuH-7 in ogni pozzetto. Infettare immediatamente le cellule con HCVpp ad alto titolo di RLU. Centrifugare per 1 ora a 2000g a 4°C (MULTIFUGE 3SR Heraeus), lavare le cellule con PBS freddo (4°C) per rimuovere i virus non legati; successivamente aggiungere DMEM completo contenente gli inibitori in esame: Fab e20 (100 µg/mL), Fab e137 (100 µg/mL), AP33 (100 µg/mL), anti-NS3 c33-3 (100 µg/mL), eparina (10 µg/mL). Dopo 4 ore a 37°C, rimuovere gli inibitori, e aggiungere 150 μL di terreno completo ad ogni pozzetto e incubare le cellule per 3 giorni a 37°C, trascorsi i quali rilevare l’attività della luciferasi come precedentemente descritto (Figura 21). 109 2.10.3 Protocollo 2 con diverse diluizioni degli inibitori Il protocollo 2 con diverse diluizioni degli inibitori permette di valutare come varia l’attività neutralizzante di anticorpi anti HCV a diverse concentrazioni. In dettaglio, seminare in una piastra da 96 pozzetti (Corning 3596) 1x104 cellule di epatoma umano HuH-7 in ogni pozzetto. Infettare immediatamente le cellule con HCVpp ad alto titolo di RLU. Centrifugare per 1 ora a 2000g a 4°C (MULTIFUGE 3SR Heraeus), lavare le cellule con PBS freddo (4°C) per rimuovere i virus non legati; successivamente aggiungere DMEM completo contenente gli inibitori in esame: eparina, Fab e20, Fab e137 ed AP33 a diverse concentrazioni (100 µg/mL, 50 µg/mL, 25 µg/mL, 12 µg/mL, 6 µg/mL, 3 µg/mL e 1 µg/mL). Dopo 4 ore a 37°C, rimuovere gli inibitori, e aggiungere 150 μL di terreno completo ad ogni pozzetto e incubare le cellule per 3 giorni a 37°C, trascorsi i quali rilevare l’attività della luciferasi come precedentemente descritto. 2.10.4 Protocollo 2 aggiunta degli inibitori a diversi time point Il protocollo 2 aggiunta degli inibitori a diversi time point permette di valutare se anticorpi anti HCV dotati di attività neutralizzante post-binding, esercitano tale effetto in quanto capaci di interferire nelle fase precoce o tardiva. In dettaglio, seminare in una piastra da 96 pozzetti (Corning 3596) 1x104 cellule di epatoma umano HuH-7 in ogni pozzetto. Infettare immediatamente le cellule con HCVpp ad alto titolo di RLU. Centrifugare per 1 ora a 2000g a 4°C (MULTIFUGE 3SR Heraeus), lavare le cellule con PBS freddo (4°C) per rimuovere i virus non legati; successivamente aggiungere DMEM completo contenente gli inibitori in esame: Fab e20 (100 µg/mL), Fab e137 (100 µg/mL), AP33 (100 µg/mL), eparina (10 µg/mL) ogni 20 minuti fino a 120 minuti dopo il binding virale. Dopo 4 ore a 37°C, rimuovere gli inibitori, e aggiungere 150 μL di terreno completo ad ogni pozzetto e incubare le cellule per 3 giorni a 37°C, trascorsi i quali rilevare l’attività della luciferasi come precedentemente descritto (Figura 22). 110 Figura 21 | Rappresentazione schematica dei protocolli 1 e 2 degli studi di cinetica di neutralizzazione. Le linee rosse indicano la presenza degli anticorpi in esame. Figura 22 | Rappresentazione schematica del protocollo 2 aggiunta degli inibitori a diversi time point. Le linee rosse tratteggiate indicano la presenza degli anticorpi in esame. 111 3. RISULTATI 3.1 Panning della library su HCV/E2 I Fab e20 ed e137, descritti in questa tesi, sono stati selezionato da una library combinatoriale di esposizione fagica costituita dai geni anticorpali di una donna di 58 anni con infezione cronica da HCV di genotipo 1b. La library è stata selezionata mediante una metodica chiamata panning su una glicoproteina E2 ricombinate di genotipo 1a (isolato H77). In questo modo è stato possibile selezionare anticorpi prodotti durante il decorso naturale dell’infezione da HCV, ma diretti contri un antigene che il sistema immunitario non ha incontrato, in quanto diverso (genotipo 1, sottotipo a) da quello a cui appartiene l’isolato virale presente nella paziente (i vari sottotipi di uno stesso genotipo presentano diversità pari al 20-25% a livello nucleotidico). Pertanto, questo approccio è risultato esser vantaggioso in quanto ha permesso di favorire la selezione di anticorpi potenzialmente cross-reattivi diretti contro epitopi conservati tra i vari genotipi, e che molto probabilmente possono avere un ruolo critico nel ciclo vitale del virus (Plaisant et al., 1997). 112 3.2 Analisi di sequenza dei Fab e20 ed e137 L’analisi di sequenza della catena pesante di e20 ed e137, eseguita mediante IMGT, suggerisce che questi anticorpi hanno subito un processo di mutazione somatica, cioè quel processo che si verifica in seguito alla continua stimolazione dei linfociti B da parte dell’antigene, che ha lo scopo di aumentare l’affinità di legame dell’anticorpo. Infatti la sequenza nucleotidica della catena pesante per quanto riguarda il gene V presenta una omologia del 87.91% e del 87,59%, per il Fab e20 ed e137 rispettivamente, a confronto della propria sequenza germline e un pattern di distribuzione di mutazioni compatibili con il processo di mutazione somatica. Infatti la variabilità risulta presente soprattutto a livello dei CDR mentre le regioni FR risultano più conservate. Per il Fab e20, la porzione variabile della catena pesante deriva dal riarrangiamento del gene V appartenete alla sottofamiglia IGHV1-69 (che risulta essere largamente rappresentata nell’ambito della risposta anticorpale anti-HCV) con il gene D della sottofamiglia IGHD 3-16 e J appartenente alla sottofamiglia IGHJ 4. Per il Fab e137, la regione variabile della catena pesante deriva dal riarrangiamento del gene V appartenete alla sottofamiglia IGHV1-69 con il gene D della sottofamiglia IGHD 2- 2 e J appartenente alla sottofamiglia IGHJ 6. Analogamente la catena leggera dei due anticorpi, appartenente all’isotipo K, deriva da un processo di maturazione antigene-indotto. Infatti la parte variabile della catena leggera per quanto riguarda il gene V presenta una omologia del 93.19% e del 94,27% per il Fabe20 ed e137 rispettivamente, a confronto della propria sequenza germline e un pattern di distribuzione di mutazioni compatibili con il processo di mutazione somatica. La porzione variabile della catena leggera deriva dal riarrangiamento del gene V appartenente alla sottofamiglia IGKV3-15 e del gene J della sottofamiglia IGKJ 5; mentre quella del Fab e137 risulta formato dal riarrangiamento del gene V appartente alla sotto famiglia IGKV1-9 e del gene J della sottofamiglia IGKJ 1. 113 e20 HC CTGCTCGAGCAGTCAGGGGCTGAGGTGAAGAAGCCTGGGTCCTCGGTGAAGGTCTCCTGCAAGGCTTCTG GAGACCACTATGGTATCAACTGGGTGCGACAGGCCCCTGGACAAGGGCTGGAGTGGATGGGCGGTATCAT CCCTGTCTTTGGCACAACTACCTACGCACAGAAGTTCCAGGGCAGAGCCACCATTACCGCGGACGACTCC ACGGGGACGGCCTTTTTGGAGCTGACCAGACTGACATTTGACGACACGGCCGTCTATTTCTGTGCGACAC CTCACCAACTGCATGTCCTCCGGGGCGGTAAAGCCCTCTCCCCCTGGGACTACTGGGGCCAGGGAACC e20 LC ATGGCCGAGCTCACCCAGTCTCCAGCCACCCTGTCTGTGTCTCCAGGGGAAAGAGCCACCCTCTCCTGCA GGGCCAGTCAGAGTGTTAGCAGTAACTTAGCCTGGTACCAGCAGAAACGTGGCCAGGCTCCCAGTCTCCT CATCTACGGAACATCTACCAGGGCCACTGGTATCCCAGCCAGGTTCAGTGGCAGTGGGTCTGGGACAGAG TTCACTCTCACCATCAGCAGCCTGCAGTCTGAAGATTTTGCAGTTTATTACTGTCAGCAGTATAATGATT GGCCCTCCACCTTCGGCCAAGGGACA e137 HC CTGCTCGAGCAGTCTGGGTCTGAAGTAAAAGTGCCCGGGTCCTCGTTGAAGGTCTCCTGCAAGACTTCTG GAGGCACCTTCAGCACCTATACTTTCAGCTGGGTGCGACAGGCCCCTGGACAGGGACTTGAGTGGATGGG GGGGATCACCCCTATCATTGGCATCGCAAACTACGCACGGAACTTCCAGGACAGAGTCACCATCACCGCG GACGAATCCACGAGCACGGTCTACATGGAGGTGAGGAGGCTGAGATCTGAGGACACGGCCGTATATTATT GTGCGAAAACTTCGGAAGTAACAGCCACTAGAGGGCGGACTTTCTTCTACTCCGCTATGGACGTCTGGGG TCAAGGGACC e137 LC ATGGCCGAGCTCACCCAGTCTCCATCCTTCCTGTCTGCATCTGTAGGAGACAGAGTCACCATCACTTGCC GGGCCAGTCAGGGCATAAGCAATTATTTAGCCTGGTATCAGCAAAAACCAGGGAAAGCCCCTAAGCTCCT GATCTATGCTGCATCCACTTTGCAAAGTGGGGTCCCATCGAGGTTCAGCGGCAGTGGATCTTGGACAGAA TTCACTCTCACAATCAGCCGCCTCCAGCCTGAAGATTTTGCAACTTATTACTGTCAACACCTTAATACTT ACCCGTGGACGTTCGGCCAAGGGACC Sequenze delle catene pesanti e leggere dei Fab e20 ed e137. 114 3.3 Valutazione della cross-reattività dei Fab e20 ed e137 Per caratterizzare la cross-reattività dei Fab e20 ed e137 le cellule HEK 293T sono state trasfettate con un vettore codificante le glicoproteine E1E2 dei diversi genotipi di HCV. In questo modo mediante immunofluorescenza è stato possibile documentare l’ampia cross-reattività dei Fab. In particolar modo si è osservato che il Fab e20 è in grado di legare E2 di tutti i genotipi (Figura 23), un simile pattern di legame si è osservato anche per il Fab e137, in cui però non si è osservata alcuna reattività per le glicoproteine E1E2 derivate dal genotipo 5. 115 6 Figura 23 | Analisi di legame del Fab e20 mediante immunofluorescenza, su cellule HEK 293T che esprimono E1E2 dei diversi genotipi di HCV: a) genotipo 1a (isolato H77, ingrandimento 20X), b) genotipo 1b (UKN1B12.16, ingrandimento 20X), c) genotipo 2a (UKN2A1.2, ingrandimento 20X), d) genotipo 2b (UKN2B2.8, ingrandimento 20X), e) genotipo 3 (UKN3A1.28, ingrandimento 20X), f) genotipo 4 (UKN4.21.16, ingrandimento 40X), g) genotipo 5 (UKN5.15.11, ingrandimento 20X) e h) genotipo 6 (UKN6.5.8, ingrandimento 20X). In verde le cellule positive al legame E2-Fab e20- αHFabFITC, le cellule risultano rosse grazie alla contro colorazione con blu di Evans. L’immunofluorescenza ottenuta usando come anticorpo primario il Fab e137 ha mostrato lo stesso pattern di fluorescenza, ma non ha dato risultati sulle cellule che esprimevano sulla membrana le glicoproteine E1E2 del genotipo 5. 116 Questi dati sono stati confermati da una successiva analisi citofluorimetrica, in cui sono state analizzate cellule HEK 293T esprimenti le glicoproteine E1E2 clonate da diversi isolati virali appartenenti ai vari genotipi (Figura 24). Figura 24 | Analisi di legame dei Fab e20 ed e137 mediante citofluorimetria, su cellule HEK 293T che esprimono E1E2 dei diversi genotipi di HCV (stessi isolati analizzati in immunofluorescenza). Il legame è espresso come percentuale, considerando come 100% il segnale ottenuto dal legame di e20 o di e137 con le cellule trasfettate con la glicoproteina E2 di genotipo 1a (H77), utilizzata come detto precedentemente durante la procedura di panning per selezionare i Fab in esame. 117 3.4 Studio dell’affinità dei Fab e20 ed e137 mediante saggio ELISA L’affinità dei Fab e20 ed e137 è stata determinata analizzando il legame di diverse concentrazioni di Fab (da 30 µg/mL a 0,0003 µg/mL, facendo diluizioni seriali 1:3) sulla glicoproteina E2 ricombinante di genotipo 1a (H77) mediante test ELISA ed applicando la seguente formula: M (affinità) = ([Fab] g/L O.D.450(50%) x 1000 μL) / (peso molecolare Fab 50000 Dalton x 1 mL) (Raghava and Agrewala, 1994). O.D.450 (100%) Fab e20 = 0,959 O.D. 450 (50%) Fab e20 = 0,4795 → ricavata da O.D. 450 (100%) [Fab] g/L O.D.450(50%) = 0,0000003 g/L → ricavata mediante interpolazione grafica M (affinità) = (0,0000003 g/L x 1000 μL) / (50000 Dalton x 1 mL) = 6 nM (Figura 25). Il Fab e20 mostra quindi un’affinità di 6 nM. O.D.450 (100%) Fab e137 = 1,650 O.D. 450 (50%) Fab e137 = 0,825 [Fab] g/L O.D.450(50%) = 0,000002 g/L → ricavata da O.D. 450 (100%) → ricavata mediante interpolazione grafica M (affinità) = (0,000002 g/L x 1000 μL) / (50000 Dalton x 1 mL) = 40 nM (Figura 25). Il Fab e137 mostra quindi un’affinità di 40 nM. 1.1 1.0 0.9 O.D. 450 nm 0.8 0.7 0.6 0.5 0.4 0.3 0.2 0.1 30 ug /m 10 L ug /m 3. L 3 ug /m 1. L 1 ug /m 0. L 3 ug /m 0. L 1 ug /m 0. 03 L ug /m 0. 01 L ug 0. 00 /mL 3 ug 0. 00 /mL 1 u 0. 00 g/m 03 L ug /m L 0.0 concentrazione Fab e20 Figura 25 | Analisi del legame del Fab e20 ed e137 sulla glicoproteina E2 ricombinante di genotipo 1a (H77) mediante ELISA. La linea tratteggiata indica la concentrazione di Fab che ha un segnale di O.D.450 (50%) 118 3.5 Definizione dell’epitopo riconosciuto dai Fab e20 ed e137 3.5.1 Valutazione del legame dei Fab e20 ed e137 su peptidi lineari derivati da E2 e su peptidi multipli derivati dalla regione ipervariabile (HVR1) Nel tentativo di definire l’epitopo legato da e20 ed e137, i Fab sono stati testati in ELISA su peptidi lineari rappresentanti l’intera sequenza della glicoproteina E2 e su peptidi rappresentanti la regione HVR1. In nessun caso è stato possibile rilevare il legame di e20 ed e137, pur evidenziando una notevole reattività sulla proteina intera. Questo approccio ci ha permesso di concludere che i nostri Fab riconoscono un epitopo conformazionale all’esterno della regione HVR1 3.5.2 Esperimenti di competizione con anticorpi monoclonali murini e di ratto Si è utilizzata una strategia alternativa per definire in quali regioni della proteina E2 fossero situati gli epitopi di e20 ed e137, in particolar modo si è condotto un ELISA di competizione per il legame alla glicoproteina E2 ricombinante (genotipo 1a, H77) dei nostri Fab con un panello di anticorpi murini e di ratto diretti contro epitopi noti. Le % d’inibizione ottenute per il pannello di anticorpi competitori analizzati sono riportati nella tabella seguente (Tabella 2). In particolare il legame dei Fab e20 ed e137 è inibito dal anticorpo di ratto 9/75 (inibizione pari al 76% e del 81% rispettivamente) diretto contro un epitopo lineare di E2 che comprende la regione aminoacidica 528-535. Inoltre il legame del Fab e20 viene inibito per il 57% dall’anticorpo di ratto 1/39 che riconosce la regione compresa dal residuo aminoacidico 436 al 443, mentre l’anticorpo di ratto 2/64a, il cui epitopo è contenuto all’interno della regione 524 e 531, inibisce per il 45% il legame del Fab e137. Parzialmente e20 ed e137 competono per il legame alla glicoproteina E2 con AP33 (inibizione del legame del 40% e il 55% rispettivamente) l’anticorpo monoclonale murino diretto contro la regione aa 412-423 di E2, che attualmente rappresenta l’anticorpo con il più ampio spettro di cross-reattività e cross-neutralizzazione. Infatti AP33 è in grado legare E2 di tutti i genotipi di HCV ed è in grado di neutralizzare anche a basse concentrazioni l’infettività di pseudovirus che esprimono E1E2 di tutti i genotipi. 119 mAbs Epitopo competitori HCV/E2 di % inibizione di legame del Fab e20 % inibizione di legame del Fab e137 7/59 384-391 3 25 3/11 412-423 5 21 AP33 412-423 40 55 1/39 436-443 57 33 11/20 436-447 4 3 7/16 b 436-447 5 5 H47 452-459 4 2 6/1 a 464-471 2 ⇑ 6/41 a 480-493 5 ⇑ 2/64 a 524-531 32 45 9/75 528-535 76 81 6/53 544-551 4 0 H62 644-655 2 8 Tabella 2 | Inibizione del legame del Fab e20 ed e137 sulla glicoproteina E2 ricombinante di genotipo 1a (H77) mediante ELISA di competizione utilizzando un panello di anticorpi monoclonali murini e di ratto diretti contro epitopi noti. I dati sono espressi come percentuale d’inibizione del legame. In verde sono stati evidenziati gli anticorpi (AP33, 1/39, 9/75 e 2/64a) che inibiscono maggiormente il legame di e20 ed e137 su E2. 3.5.3 Analisi del legame dei Fab e20 ed e137 su un pannello di E2 mutate In secondo luogo per definire meglio i residui aminoacidici di E2 che risultano critici per il legame di e20 ed e137, è stata valutata mediante citofluorimetria la capacità dei Fab di legare un pannello di mutati in alanina derivati da E2 di genotipo 1a (H77) espressi su cellule trasfettate con le glicoproteine E1E2. Si è deciso di mutare i residui aminoacidi che vanno dal: • 412 al 423 in quanto questa regione risulta essere importante per il legame dell’anticorpo monoclonale murino AP33; 120 • 436 al 447 in quanto questa regione risulta essere importante per il legame dell’anticorpo 1/39 e inoltre è stata descritta in letteratura essere coinvolta nel legame di anticorpi non neutralizzanti che sono in grado di interferire con l’attività degli anticorpi neutralizzanti (Zhang et al., 2009); • 483 al 550 in quanto questa regione risulta essere importante per il ciclo virale, in quanto coinvolta con il legame della glicoproteina al CD81 e inoltre include l’epitopo riconosciuto dagli anticorpi di ratto 9/75 e 2/64a. Tramite questo approccio si è osservato che le mutazioni a livello dei residui, W529, G530 e D535 hanno totalmente abrogato il legame dei Fab. Questi dati indicano che l’epitopo conformazionale riconosciuto dai Fab e20 ed e137 risulta centrato a livello di questi residui che hanno un ruolo cruciale per l’interazione con CD81, quindi importanti per il ciclo vitale del virus. Inoltre si è osservato che il legame del Fab e20 viene quasi completamente abrogato dalla glicoproteina E2 mutata anche in posizione W437 e F442; mentre il legame del Fab e137 viene inibito, oltre che a livello del residuo W437, anche dalle mutazioni nelle posizioni L438, L441 e F442. Tutti questi residui sono contenuti all’interno della regione descritta come riconosciuta dagli anticorpi non neutralizzanti, che interferiscono con i cloni che hanno un’attività neutralizzante. Infine si è notato che il legame del Fab e137 viene impedito anche delle mutazioni della glicoproteina E2 a livello del residuo T416 e W420, aminoacidi contenuti all’interno della regione riconosciuta dall’anticorpo murino AP33 (Figura 26). 121 e20 e137 Figura 26 | Analisi del legame dei Fab e20 ed e137 mediante citofluorimetria, su cellule HEK 293T che esprimono un pannello di glicoproteine E2 mutate. Il legame è espresso come percentuale del legame, considerando come 100% il segnale ottenuto dal legame di e20 con le cellule trasfettate con la glicoproteina E2 di genotipo 1a (H77) non mutata, utilizzata come detto precedentemente durante il panning per selezionare i Fab in esame. 122 3.6 Valutazione della capacità dei Fab e20 ed e137 di inibire il legame fra il CD81-LEL umano e la glicoproteina E2 ricombinante (genotipo 1a, H77) È stata valutata la capacità dei Fab e20 ed e137 di inibire il legame fra uno dei principali recettore cellulare per l’entry di HCV (CD81) e la glicoproteina virale. In particolar modo si è condotto un saggio ELISA di competizione fra i nostri Fab e il CD81-LEL umano per il legame alla glicoproteina E2 ricombinante (genotipo 1a, H77). A partire dai valori di O.D.450 osservati, si è stata calcolata la % d’inibizione del legame del CD81-LEL alla glicoproteina E2 alle differenti concentrazione di e20 ed e137 (Figura 27). Analizzando il grafico si è osservato come la capacità di inibizione del legame mostri un andamento dose-dipendende, ovvero ad alte concentrazioni (30 µg/mL) del Fab e 20 e del Fab e137, la percentuale di inibizione è pari al 72 % e al 43% rispettivamente. Invece non si osserva inibizione del legame facendo competere il CD81-LEL con il Fab anti-E2 di controllo, il cui epitopo è stato dimostrato essere esterno alla regione importante per il legame fra glicoproteina virale e il recettore cellulare. Questi dati confermano che i Fab e20 ed e137 sono diretti contro una regione della glicoproteina E2 importante per il legame del virus al CD81. Figura 27 | Rappresentazione grafica delle percentuali d’inibizione di legame del CD81-LEL alla glicoproteina E2 ricombinante (genotipo 1a, H77) calcolate per le varie concentrazione del Fab e20, del Fab e137 e del Fab anti E2 di controllo. 123 3.7 Valutazione della attività biologica dei Fab e20 ed e137 3.7.1 Valutazione dell’attività neutralizzante dei Fab e20 ed e137 su pseudovirus HCV/MLV esprimenti sulla superficie le glicoproteine E1E2 dei diversi genotipi La capacità di e20 ed e137 di riconoscere i diversi genotipi ha reso particolarmente interessante la caratterizzazione dell’attività neutralizzante di questi Fab, che è stata analizzata mediante il modello di pseudovirus. Gli pseudovirus virali usati derivano dal virus della leucemia murina, mostranti sulla superficie le glicoproteine E1E2 di HCV dei diversi genotipi. Questo approccio ha mostrato che il Fab e20 ed e137 hanno una potente attività neutralizzante nei confronti di HCV di genotipo 1a, infatti risultano in grado di inibire il 50% dell’infettività (IC50) di HCVpp esprimenti sulla superficie le glicoproteina E1E2 di genotipo 1a alla concentrazione di 7,5 µg/mL. Il Fab e20 è in grado di neutralizzare HCVpp del genotipo 2a e 4 con un IC50 rispettivamente di 7,5 µg/mL e 1,6 µg/mL. Infine e20 è in grado di neutralizzare, con minore efficienza, l’infezione data da HCVpp di genotipo 1b e 2b con un IC50 rispettivamente di 15 µg/mL e 30 µg/mL (Tabella 3, Figura 28). Anche il Fab e137 è in grado di neutralizzare con maggiore efficacia HCVpp del genotipo 2a e 4 (IC50 rispettivamente di 7,5 µg/mL e 5 µg/mL) e con minore efficacia HCVpp del genotipo 1b e 2b (infatti si è rilevata una IC50 di 20 µg/mL in entrambi i casi) Non è stata osservata attività neutralizzante nei confronti del genotipo 5 e non è stato possibile attuare il saggio di neutralizzazione con i genotipi 3 e 6 a causa della bassa infettività e non riproducibilità osservata per questi isolati virali. 124 Genotipo Sottotipo IC50 e20 IC50 e137 1a H77 7,5 µg/mL 7,5 µg/mL 1b UKN1B12.16 15 µg/mL 20 µg/mL 2a UKN2A1.2 7,5 µg/mL 7,5 µg/mL 2b UKN2B2.8 30 µg/mL 20 µg/mL 4 UKN4.21.16 1,6 µg/mL 5 μg/mL Tabella 3 | IC50 dei Fab e20 ed e137 ricavate mediante test di neutralizzazione dell’infettività di pseudovirus HCV/MLV derivanti dai genotipi 1a, 1b, 2a, 2b e 4. 125 Figura 28 | A titolo esemplificativo sono state riportate le curve dose-risposta dell’attività neutralizzante del Fab e20 sui pseudovirus HCV/MLV derivanti dai genotipi 1a, 1b, 2a, 2b e 4. Curve dose-risposta dell’attività neutralizzante del Fab e137 risultano avere un andamento analogo. 126 3.5.2 Valutazione dell’attività neutralizzante dei Fab e20 ed e137 su HCVcc, JFH1 (genotipo 2a) L’attività neutralizzante è stata confermata anche testando i Fab e20 ed e137 nel sistema degli HCVcc, valutando la capacità neutralizzante sull’isolato JFH1 (genotipo 2a). Sia per il Fab e20 che e137, si è osservato che IC50 rilevata mediante questa strategia risulta inferiore di quella ottenuta con HCVpp per lo stesso genotipo e sottotipo, infatti in questo caso IC50 è pari a circa 2 μg/mL, mentre quella osservata con HCVpp di genotipo 2a è di 7,5 μg/mL (Figura 29). Si è considerato come controllo negativo l’incubazione dei HCVcc con un Fab anti-E2/HCV non neutralizzante. Figura 29 | Curva dose-risposta dell’attività dei Fab e20 e e137 su HCVcc JFH1 (genotipo 2a). 127 3.8 Valutazione della cinetica di neutralizzazione dei Fab e20 ed e137 su pseudovirus HCV/MLV esprimenti sulla superficie le glicoproteine E1E2 di genotipo 1a (isolato H77). Per poter comprendere a quale livello del ciclo virale (binding o post-binding) i Fab e20 ed e137 interagissero, sono stati condotti esperimenti di cinetica di neutralizzazione sulla base di quelli svolti da Haberstroh et al, 2008. Brevemente, la capacità di inibire il binding virale viene valutata incubando gli inibitori da testare con le cellule permissive all’infezione insieme ad HCVpp per 1 ora a 4°C; temperatura che permette il legame del virus alle cellule, ma non i cambiamenti conformazioni a livello delle glicoproteine di HCV richiesti per mediare gli step successivi del ciclo virale. Mentre la capacità di inibire gli eventi post-binding viene valutata aggiungendo le varie molecole da testare dopo che le cellule permissive sono state incubate con HCVpp per 1 ora a 4°C, e lasciandoli per 4 ore a 37°C; temperatura che permette i cambiamenti conformazioni a livello delle glicoproteine di HCV richiesti per mediare gli step successivi del ciclo virale. 3.8.1 Protocollo 1 e 2 Il protocollo 1, in cui gli anticorpi vengono aggiunti sia durante il binding virale che dopo, ha semplicemente evidenziato la capacità dei Fab e20 ed e137 di inibire l’infettività virale ma non ci permette di sapere la fase in cui esercita tale effetto, se non tramite il confronto dei risultati ottenuti con il protocollo 2. Il protocollo 2, in cui gli anticorpi vengono aggiunti solamente dopo il legame virale ai recettori a bassa affinità, ha evidenziato la capacità dei Fab e20 ed e137 di inibire l’infettività virale agendo proprio dopo il binding virale. Da tali esperimenti si evidenzia anche l’effetto specifico dei nostri Fab, in quanto non si osserva neutralizzazione utilizzando il Fab c33.3 diretto contro la proteina NS3. Come atteso l’eparina esercita il suo effetto neutralizzante agendo durante il binding virale ed è stato valutato anche il suo effetto dose dipendente (a 10 e 50 μg/mL). Per le successive prove, si è deciso di utilizzare l’eparina alla sola concentrazione di 10 μg/mL in quanto già a questa concentrazione si evidenzia la sua capacità di interferire a livello del legame virale. 128 Come già descritto da Habertosch et al, AP33 mostra la sua capacità neutralizzante durante gli avvenimenti post-binding (Figura 30). Tramite la comparazione dei risultati ottenuti con i due protocolli si riesce a definire se il composto ha la capacità d’interagire con HCVpp di genotipo 1a durante il legame alle cellule oppure negli steps successivi. Figura 30 | Rappresentazione grafica che mostra la capacità dei vari inibitori (Fab c.33.3, AP33, eparina, Fab e20, Fab e137) di neutralizzare l’infezione mediata da HCV/MLV pseudovirus applicando il protocollo 1 e il protocollo 2, descritti da Habertosch et al.. 129 3.8.2 Protocollo 2 con diverse diluizioni degli inibitori Nel protocollo 2 con diverse diluizioni degli inibitori viene valutato come varia l’attività neutralizzante di e20 ed e137 al variare della loro concentrazione. Inoltre si vuole osservare tramite questo protocollo fino a quale concentrazione i Fab mostrano la loro capacità neutralizzante. Dai dati ottenuti risulta che l’attività neutralizzante di e20 ed e137 ha un andamento dose dipendente, in cui la capacità neutralizzante aumenta all’aumentare della concentrazione del Fab. Anche AP33 (controllo positivo) mostra una attività neutralizzante dose dipendente, l’eparina (controllo negativo) invece non agendo durante gli eventi post-binding non mostra una variazione della sua capacità inibente in funzione alla sua concentrazione (Figura 31). Figura 31 | Curva dose-risposta della capacità neutralizzante del Fab e20, Fab e137, l’eparina e AP33 su HCV/MLV pseudovirus applicando il protocollo 2 usando diverse diluizioni dell’inibitore. 130 3.8.3 Protocollo 2 aggiunta degli inibitori a diversi time point Il protocollo 2 in cui i vari composti vengono aggiunti a diversi time point, ci ha permesso di valutare se l’azione neutralizzante osservata avvenisse nelle fasi precoci o tardive del post-binding. Tramite questa metodica, viene evidenziato che i Fab e20 ed e137 esercitano tale effetto neutralizzante in quanto capaci di interferire con gli eventi immediatamente successivi al legame virus-cellula (azione neutralizzante rilevante nei primi 20 minuti). Anche AP33 (controllo positivo) ha un comportamento simile ai Fab in esame. Inoltre viene evidenziato nuovamente che l’eparina (controllo negativo) esercita i suoi effetti neutralizzanti durante il binding (protocollo 1) e perde tale capacità se aggiunta durante gli steps post-binding indipendentemente dai vari time point (Figura 32). Figura 32 | Valutazione della cinetica di neutralizzazione dei Fab e20, Fab e137, l’eparina e AP33 su HCV/MLV pseudovirus applicando il protocollo 1 e il protocollo 2 diversi time point. 131 4. DISCUSSIONE E CONCLUSIONI In questo lavoro viene descritta la caratterizzazione di due anticorpi monoclonali umani diretti contro la glicoproteina E2 di HCV, molecola che svolge un ruolo cruciale nell’ingresso del virus nelle cellule bersaglio. La grande variabilità genetica di HCV, dovuta all’alto tasso replicativo e alla mancanza dell’attività di proof-reading della RNA polimerasi virale (NS5B), soprattutto a livello delle glicoproteine E1 ed E2 dell’envelope, rappresenta una strategia che il virus mette in atto per sfuggire alla risposta del sistema immunitario dell’ospite, instaurando nei pazienti una forma di epatite cronica nell’80% dei casi, e ha ostacolato lo sviluppo di un vaccino efficace. Tuttavia sono state descritte alcune regioni di E2 altamente conservate tra i diversi genotipi, suggerendo che la scarsa o assente variabilità a questo livello è necessaria per mantenere alcune funzioni cruciali della glicoproteina nel ciclo vitale del virus. Pertanto l’isolamento e la caratterizzazione di anticorpi diretti contro queste regioni e in grado di legare e neutralizzare diversi genotipi, può teoricamente fornire un aiuto per lo sviluppo di una valida immunoterapia passiva. Inoltre l’identificazione di epitopi in grado di stimolare una risposta anticorpale protettiva, può fornire un importante contributo per la realizzazione di un vaccino efficace. Lo studio della attività neutralizzante di anticorpi diretti contro il virus dell’epatite C è stato a lungo ostacolato dalla mancanza di un sistema in vitro in grado di propagare il virus. Tuttavia, grazie al recente sviluppo di validi sistemi surrogati di infezione, è stato possibile analizzare in vitro il ruolo protettivo degli anticorpi nei confronti di HCV. In questo lavoro grazie a tecniche di biologia molecolare, come la costruzione di library anticorpali combinatoriali di esposizione fagica, l’espressione ad alta efficienza in linee cellulari eucariotiche delle glicoproteine E1E2 di tutti i genotipi di HCV e lo sviluppo di pseudovirus in grado di mostrare sulla loro superficie eterodimeri funzionali di E1E2, è stato possibile documentare la cross-reattività e l’attività neutralizzante di due anticorpi monoclonali umani (Fab e20 ed e137) diretti contro la glicoproteina E2. In particolare, i Fab e20 ed e137 sono stati precedentemente clonati come frammenti anticorpali dal repertorio linfocitario di una paziente infetta in modo cronico da HCV di genotipo 1b e, con lo scopo di selezionare dei cloni potenzialmente cross-reattivi, la 132 library anticorpale ottenuta dalla paziente è stata screenata contro una glicoproteina E2 ricombinante derivata da un sottotipo diverso: 1a (Burioni et al., 1998b). I dati descritti in questo lavoro documentano la presenza, nel repertorio anticorpale durante l’infezione persistente da HCV, di anticorpi ampiamente cross-reattivi e crossneutralizzanti. Infatti, grazie a studi di immunofluorescenza e citofluorimetria su cellule trasfettate con E1E2 dei vari isolati virali rappresentanti i diversi genotipi, emerge la capacità di e20 ed e137 di legare le glicoproteine di tutti i sei genotipi di HCV (tranne il genotipo 5 per il Fab e137). Tra i genotipi legati è compreso il genotipo 2 che è il più distante filogeneticamente, indicando la capacità di questi Fab di riconoscere un epitopo potenzialmente conservato tra i diversi genotipi e sottotipi. Inoltre si può anche concludere che i Fab e20 ed e137 mostrano un’elevata affinità (6 nM e 40nM, rispettivamente) calcolata mediante ELISA, nei confronti della glicoproteina E2 ricombinante di genotipo 1a (isolato H77). Per questo motivo sono stati condotti esperimenti volti a definire quali fossero i residui aminoacidici coinvolti nel legame tra la glicoproteina e questi anticorpi. I primi studi di legame di e20 e di e137 condotti in ELISA con peptidi lineari, rappresentanti tutta la glicoproteina E2, e con peptidi multipli derivati da HVR1 hanno dato esiti negativi, indicando quindi che i Fab riconoscessero un epitopo conformazionale esterno a HVR1 della glicoproteina E2. Di conseguenza è stata utilizzata una strategia alternativa per lo studio dell’epitopo di e20 ed e137. In particolare si è condotto un saggio ELISA di competizione per il legame alla glicoproteina E2 ricombinante (genotipo 1a, H77) dei Fab con un pannello di anticorpi murini e di ratto diretti contro epitopi noti. Si è osservato che il legame dei Fab e20 ed e137 viene bloccato dall’anticorpo di ratto 9/75 (diretto contro un epitopo lineare della glicoproteina E2 che comprende la regione che inizia dal residuo 528 e finisce al residuo 535) con una inibizione del legame del 76% e 81% rispettivamente. Il legame del Fab e20 viene ostacolato per il 57% dall’anticorpo di ratto 1/39, che riconosce la regione aminoacidica 436-443; mentre il legame del Fab e137 viene inibito per il 45% dall’anticorpo di ratto 2/64a, il cui epitopo lineare comprende i residui tra la posizione 524 e la posizione 535 sulla glicoproteina E2. Inoltre si è osservato che e20 ed e137 competono parzialmente con AP33 (inibizione del legame del 40% e del 55%, rispettivamente), l’anticorpo monoclonale murino diretto contro la regione aminoacidica 133 412-423 di E2 e che attualmente risulta essere l’anticorpo con il più ampio spettro di cross-reattività e cross-neutralizzazione. Questi dati sono stati confermati anche dallo studio condotto, mediante citofluorimetria su un pannello di glicoproteine E1E2 mutante in singoli residui aminoacidici in alanina. Tramite questa strategia sembrerebbe che l’epitopo conformazionale del Fab e20 e del Fab e137 sia incentrato a livello delle regioni aminoacidiche che vanno dal residuo 528 al 535 e dal residuo 436 al 443, e per il solo e137 dal residuo 412 al 423, tutte regioni esterne a HVR1. Analizzando la prima regione, i residui che mutati abrogano totalmente il legame di e20 ed e137 alla glicoproteina sono gli aminoacidi: W529, G530 e D535. Questi residui sono localizzati all’interno dell’epitopo riconosciuto dall’anticorpo monoclonale 9/75. Tramite l’allineamento parziale delle sequenze aminoacidiche dei vari isolati di HCV, utilizzanti nello studio, si evidenzia che tali residui sono conservati nei vari genotipi e sottotipi, dando forse una spiegazione dell’ampia cross-reattività dei Fab (Figura 33). Di notevole rilevanza risulta anche il fatto che questi residui sono fondamentali per il legame della glicoproteina E2 al recettore cellulare CD81. Figura 33 | Allineamento parziale di una sequenza aminoacidica degli isolati di HCV usati in questo studio. Il genotipo di ogni isolato è riportato a sinistra. I residui W529, G530 e D535 conservati tra i vari isolati sono stati evidenziati in grigio. Analizzando la seconda regione, i residui che mutati inibiscono il legame di e20 a E2 risultano essere gli aminoacidi W437 e F442; mentre per il Fab e137 emergono essere i residui W437, L438, L441 e F442. Tutti questi residui sono localizzati all’interno dell’epitopo riconosciuto dall’anticorpo monoclonale 1/39, e sono contenuti nella regione descritta in letteratura come quella riconosciuta dagli anticorpi non neutralizzati 134 in grado di interferire con l’attività dei cloni neutralizzanti (Zhang et al., 2009). I nostri dati sembrerebbero contrastare con le osservazioni descritte da Zhang et al., infatti i nostri Fab non solo sono in grado di riconoscere alcuni residui contenuti in questa regione, ma possiedeno anche un’attività neutralizzante rilevante, come verrà discusso in seguito. Quindi in vivo si potrebbe sia sfruttare l’attività neutralizzante di e20 ed e137, sia la capacità di legare tale regione mascherandola ed ostacolando il legame di anticorpi non neutralizzanti. Si è inoltre constatato che i residui aminoacidi T416 e W420, contenuti all’interno della regione riconosciuta dall’anticorpo murino AP33, inibiscono il legame del Fab e137. Nessuna delle mutazioni a livello di questa regione abolisce il legame di e20 alla glicoproteina, questo suggerisce che gli epitopi riconosciuti dal Fab e dall’anticorpo murino sono prossimali ma non sovrapposti, come invece suggerito dall’ELISA di competizione. L’inibizione del legame, osservata può essere dovuta o ad un ingombro sterico (infatti ricordiamo che e20 è un frammento anticorpale mentre AP33 è un anticorpo intero, che è bivalente ed ha un peso molecolare pari a tre volte quello del Fab) o ad un cambiamento conformazionale della glicoproteina indotto dal legame di AP33 in grado di impedire il legame di e20. Le stesse argomentazioni possono essere usate per spiegare il fatto che nessuna mutazione all’interno della regione riconosciuta dall’anticorpo 2/64a (regione aminoacidica dal 524 al 535) è in grado di abrogare il legame del Fab e137. Complessivamente grazie a questi studi deduciamo che il Fab e20 ed il Fab e137 sono diretti contro un epitopo conformazionale; in particolare l’epitopo del Fab e20 coinvolge 5 residui aminoacidici: W437, F442, W529, G530 e D535; mentre quello del Fab e137 coinvolge 9 residui aminoacidici: T416, W420, W437, L438, L441, F442, W529, G530 e D535. Avendo osservato il fatto che i nostri Fab riconoscono residui aminoacidici sulla glicoproteina E2 essenziali per il legame al CD81, si è deciso di valutare la capacità dei Fab di inibire il legame fra uno dei recettori cellulari importante per l’entry di HCV e la glicoproteina virale. In particolar modo si è condotto un saggio ELISA di competizione per il legame alla glicoproteina E2 ricombinante (genotipo 1a, H77) dei nostri Fab con il CD81-LEL umano. Analizzando le percentuali d’inibizione di legame del CD81-LEL alla glicoproteina E2 calcolate per le varie concentrazione di e20 ed e137 testate, si è 135 osservato come tale capacità mostri un andamento dose-dipendende, ovvero ad alte concentrazioni (30 μg/mL) del Fab e20, la percentuale di inibizione è pari al 72%; mentre nel caso del Fab e137, la percentuale di inibizione è pari al 43%. Viceversa non si osserva inibizione del legame facendo competere il CD81-LEL con un Fab anti-E2 di controllo, il cui epitopo è esterno alla regione importante per il legame fra glicoproteina virale e il recettore cellulare. Questi dati confermano che i Fab e20 ed e137 sono diretti contro una regione della glicoproteina E2 importante per il legame del virus al CD81. Questa regione inoltre è conservata tra i diversi genotipi, suggerendo che la scarsa o assente variabilità a questo livello è necessaria per mantenere alcune funzioni cruciali della glicoproteina nel ciclo vitale del virus (fase dell’entry). Tutto questo indicherebbe il fatto che varianti virali aventi mutazioni a tale livello, e per questo in grado di sfuggire al legame con l’anticorpo, potrebbero avere una ridotta capacità replicativa. Vista la capacità del Fab e20 ed e137 di riconoscere i diversi genotipi di HCV e di inibire il legame fra E2-CD81 si è deciso di valutare l’attività biologica di questi anticorpi. Il primo approccio è stato di caratterizzare l’attività neutralizzante di e20 ed e137 nei confronti dell’infettività di pseudovirus HCV/MLV mostranti sulla superficie le glicoproteine E1E2 dei diversi genotipi. Questo approccio ha mostrato che i Fab hanno una potente attività neutralizzante nei confronti dei genotipi 1a, 2a e 4; infatti il Fab e20 mostra IC50 di 7,5 μg/mL per HCVpp genotipo 1a e 2a e di 1,6 μg/mL per HCVpp genotipo 4; mentre il Fab e137 mostra IC50 di 7,5 μg/mL per HCVpp genotipo 1a e 2a e di 5 μg/mL per HCVpp genotipo 4. I Fab e20 ed e137 sono stati in grado di neutralizzare con minore efficienza anche il genotipo 1b (IC50=15 μg/mL e 20 μg/mL, rispettivamente) e il genotipo 2b (IC50=30 μg/mL e 20 μg/mL, rispettivamente). Non è stato possibile attuare il saggio di neutralizzazione con i genotipi 3 e 6 a causa della bassa infettività e non riproducibilità osservata per tali genotipi. Un aspetto interessante è il fatto che nonostante il Fab e20 risulti in grado di legare la glicoproteina E2 di genotipo 5 espressa sulle cellule trasfettate, non è stata osservata attività neutralizzante nei confronti di HCVpp mostrante la stessa glicoproteina (stesso isolato virale usato negli esperimenti di cross-reattività); questo può esser dovuto al ruolo giocato dai residui aminoacidici esterni al sito di legame del CD81 e non testati nel pannello di 136 mutanti, ma ugualmente importanti per l’attività neutralizzante di e20 nei confronti del genotipo 5. Il secondo approccio è stato quello di caratterizzare l’attività neutralizzante di e20 ed e137 nei confronti dell’infettività di un autentico isolato infettivo di HCV (sistema del HCVcc, basato sull’isolato JFH1, genotipo 2a). Anche con questo sistema, l’attività neutralizzante è stata confermata. Inoltre si è osservato che l’IC50 ricavata mediante questa strategia risulta inferiore di quella ottenuta con HCVpp per lo stesso genotipo e sottotipo, infatti in questo caso l’IC50 è pari a circa 2 μg/mL, mentre quella osservata con HCVpp di genotipo 2a è di 7,5 μg/mL. Come descritto in letteratura (Keck et al., 2007), la discrepanza osservata tra le IC50 può essere attribuita alle differenze nel profilo di neutralizzazione tra i due sistemi, soprattutto relativamente al diverso pattern di glicosilazione di E1E2 e al differente assemblaggio delle particelle virali; fattori che possono modificare l’organizzazione delle glicoproteina dell’envelope e rendere in alcuni casi l’epitopo meno accessibile ai Fab. Tuttavia attualmente non è possibile stabilire quale dei due modelli sia più predittivo della attività neutralizzante in vivo. Ricordiamo che le particelle che si vengono a formare attraverso il sistema delle colture cellulari (HCVcc) sembrerebbero più simili ai virioni isolati da plasma, rispetto a quelle che si formano con il sistema degli HCVpp; infatti si è visto che i virioni prodotti dalle cellule Huh-7 hanno un diametro simile al virus wild-type (circa 55 nm) e risultano avere una densità eterogenea ad indicare la produzione sia di virioni liberi che di virioni associati alle lipoproteine (Gastaminza et al., 2006; Lindenbach et al., 2005; Wakita et al., 2005; Zhong et al., 2005). Quindi sono necessari ulteriori studi per caratterizzare l’associazione tra HCVcc e le lipoproteine per vedere se quello che si osserva in vitro riflette le caratteristiche dei complessi HCV-lipoproteine presenti nei pazienti. A tutt’oggi non può quindi essere dimostrato se tale variante virale (JFH1) sia altamente rappresentativa della biologia di HCV in vivo. Infine per poter comprendere a quale livello del ciclo virale (binding o post-binding) i Fab e20 ed e137 interagissero, sono stati condotti esperimenti in cui è stata valutata la cinetica di neutralizzazione dell’infettività di pseudovirus HCV/MLV esprimenti sulla superficie le glicoproteine E1E2 del genotipo 1a (H77) sulla base degli studi svolti da Haberstroh et al, 2008. 137 Il protocollo 1, in cui l’anticorpo viene aggiunto sia durante il binding virale che dopo, ha evidenziato la capacità dei Fab e20 ed e137 di inibire l’infettività virale, ma non ci permette di comprendere quale sia la fase in cui esercita tale effetto, se non tramite il confronto dei risultati ottenuti con il protocollo 2. Il protocollo 2, in cui l’anticorpo viene aggiunto solamente dopo il legame dei HCVpp ai recettori a bassa affinità (principalmente glicosamminoglicani), ha evidenziato la capacità dei Fab e20 ed e137 di inibire l’infettività virale agendo dopo il binding virale. Inoltre dai dati ottenuti eseguendo il protocollo 2 con diverse concentrazioni di Fab risulta che l’attività neutralizzante di e20 ed e137 mostra un andamento dose dipendente, in cui la capacità neutralizzante aumenta all’aumentare della concentrazione dei Fab, come osservato nei saggi di neutralizzazione classici. Inoltre mediante il protocollo 2 in cui viene aggiunto l’anticorpo a diversi time point, si è osservato che i Fab sono capaci di interferire con gli eventi immediatamente successivi al legame viruscellula. Questo comportamento lo si può dedurre anche confrontando le curve dei Fab e20 ed e137, dell’anticorpo murino AP33 e dell’eparina, ottenute con questo protocollo. Come descritto in letteratura, l’eparina esercita il suo effetto neutralizzante durante il binding, infatti essendo un glicosamminoglicano è ingrado di competere con gli altri recettori a bassa affinità per il legame degli pseudovirus (Burlone and Budkowska, 2009); mentre AP33 esercita il suo effetto neutralizzante durante gli step post-binding (Haberstroh et al., 2008) interferendo con il legame degli pseudovirus ai recettori ad alta affinità (CD81, SR-BI, Claudina1 e Occludina). Il Fab e20, il Fab e137 e l’anticorpo AP33 mostrano la stessa cinetica di neutralizzazione con il protocollo 2 a diversi time point, indicando quindi il fatto che agiscano durante gli stessi step dell’infezione, ciò può essere dovuto al fatto che tutte queste molecole siano dirette contro porzioni della glicoproteina E2 importanti per il legame con i recettori cellulari ad alta affinità. Il Fab e20 ed il Fab e137 sono alcuni dei pochi anticorpi monoclonali umani di cui è stato dimostrata un ampia capacità reattiva e una attività cross-neutralizzante. Infatti, nonostante siano stati descritti molti anticorpi monoclonali umani diretti contro HCV, i dati relativi alla cross-reattività e alla cross-neutralizzazione sono ancora molto limitati (Tabella 4). 138 HmAb Residui cruciali su E2 IC50(μg/mL) (IgG1) (H77) sistema utilizzato Referenze e genotipo usato 1:7 G523,W529,G530,D535 0,06 (HCVcc 2a) Johansson (2007) A8 G523,W529,G530,D535 0,56 (HCVcc 2a) Johansson (2007) CBH-5 C494,V497,G523,P525, 1,77 (HCVpp 1b), Owsianka(2008), G530,D535,N540,R614, 0,1 (HCVpp 2a), Iacob(2008), H617,Y618,P619,T621, 13 (HCVpp 2b), Keck(2004,2007,2008) F624 0,056(HCVcc 2a), 0,04 (HCVcc 2b) CBH-7 C494,V497,N540,W549, 25,58(HCVcc 2a), Owsianka(2008), R614,H617,Y618,P619, 1,3 (HCVcc 2b) Iacob(2008), T621,F624 Keck(2004,2007,2008) Tabella 4 | Anticorpi monoclonali umani anti-HCV/E2 attualmente pubblicati. I residui sottolineati sono in comune con l’epitopo riconosciuto dal Fab e20 ed e137. I dati ottenuti in termini di IC50 per questi anticorpi non possono esser paragonati con l’IC50 del Fab e20 e del Fab e137, in quanto differenti sono: gli isolati virali utilizzati, le condizioni sperimentali adottate, i residui importanti per il legame della molecola anticorpale con la glicoproteina E2 e soprattutto perché tali anticorpi sono stati testati sotto forma di IgG intera, che ricordiamo esser bivalente, a differenza dei Fab. Inoltre nonostante le IC50 ottenute per CBH-5 e CBH-6 siano promettenti, tali anticorpi non sono stati in grado di neutralizzare HCV di genotipo 1a (Op De Beeck et al., 2004), che insieme al genotipo 1b sono i genotipi più diffusi e che presentano una minore percentuale di successo alla terapia attuale con IFNα-PEGilato e ribavirina. Ricordiamo che un anticorpo per poter essere utilizzato in una sperimentazione clinica deve aver un IC50 facilmente raggiungibile in vivo, a questo proposito una recente sperimentazione clinica ha valutato l’uso di un anticorpo monoclonale diretto contro E2 di HCV come supporto nella prevenzione della re-infezione di pazienti sottoposti a trapianto di fegato in seguito a infezione cronica da HCV (Schiano and 139 Martin, 2006). Questo studio ha dimostrato una efficacia limitata, che può essere spiegata dal fatto che la molecola testata ha mostrato una scarsa attività neutralizzante in vitro nei confronti del genotipo 1a, con una IC50 pari a 20 µg/mL (Eren et al., 2006); una concentrazione abbastanza difficile da raggiungere in vivo. Considerando il fatto, che l’attività biologica di e20 ed e137 è stata valutata come frammento anticorpale (monovalente) e non come immunoglobulina intera (bivalente) e come è stato già descritto in letteratura, l’attività di un anticorpo può aumentare anche di sessanta volte quando presente nel suo formato di IgG (Lamarre and Talbot, 1995; Zhang et al., 2004c). Se la neutralizzazione di HCV valutata nel sistema di coltura cellulare rappresentasse una proiezione fedele della attività protettiva in vivo, e l’attività di e20 ed e137 nella forma di IgG intera fosse 10 volte più alta, la somministrazione degli anticorpi monoclonali derivati da e20 ed e137 potrebbe facilmente raggiungere in vivo livelli terapeutici e quindi potrebbe rappresentare un valido strumento per l’immunoterapia passiva. Inoltre la somministrazione di e20 ed e137 in combinazione con altri anticorpi neutralizzanti potrebbe portare complessivamente ad un aumento dell’attività neutralizzante e ad un ampliamento degli isolati di HCV neutralizzati. In conclusione la disponibilità di anticorpi monoclonali umani cross-reattivi con una forte capacità cross-neutralizzante può fornire un grande aiuto nella comprensione del complicato rapporto ospite-virus in quanto, permette di determinare i residui che svolgono un ruolo fondamentale per il ciclo virale. Inoltre, l’identificazione di epitopi conservati tra i vari genotipi che se somministrati nell’uomo stimolano la produzione di anticorpi protettivi, può offrire nuove opportunità per lo sviluppo di un vaccino efficace. 140 5. BIBLIOGRAFIA Acton, S.L., P.E. Scherer, H.F. Lodish, and M. Krieger. 1994. Expression cloning of SR-BI, a CD36-related class B scavenger receptor. J Biol Chem. 269:21003-9. Afdhal, N.H., D.T. Dieterich, P.J. Pockros, E.R. Schiff, M.L. Shiffman, M.S. Sulkowski, T. Wright, Z. Younossi, B.L. Goon, K.L. Tang, and P.J. Bowers. 2004. Epoetin alfa maintains ribavirin dose in HCV-infected patients: a prospective, double-blind, randomized controlled study. Gastroenterology. 126:1302-11. Agnello, V., G. Abel, M. Elfahal, G.B. Knight, and Q.X. Zhang. 1999. Hepatitis C virus and other flaviviridae viruses enter cells via low density lipoprotein receptor. Proc Natl Acad Sci U S A. 96:12766-71. Ahlenstiel, G., M.P. Martin, X. Gao, M. Carrington, and B. Rehermann. 2008. Distinct KIR/HLA compound genotypes affect the kinetics of human antiviral natural killer cell responses. J Clin Invest. 118:1017-26. Aiyama, T., K. Yoshioka, A. Okumura, M. Takayanagi, K. Iwata, T. Ishikawa, and S. Kakumu. 1996. Sequence analysis of hypervariable region of hepatitis C virus (HCV) associated with immune complex in patients with chronic HCV infection. J Infect Dis. 174:1316-20. Alberts, B., D. Bray, K. Hopkin, A. Johnson, J. Lewis, M. Raff, K. Roberts, and P. Walter. 2003. Essential Cell Biology., New York. 896 pp. Allander, T., A. Beyene, S.H. Jacobson, L. Grillner, and M.A. Persson. 1997. Patients infected with the same hepatitis C virus strain display different kinetics of the isolate-specific antibody response. J Infect Dis. 175:26-31. Alter, H. 1999. Discovery of non-A, non-B hepatitis and identification of its etiology. Am J Med. 107:16S-20S. Alter, H.J. 1990. Clinical, virological and epidemiological basis for the treatment of chronic non-A, non-B hepatitis. J Hepatol. 11 Suppl 1:S19-25. Aly, H.H., K. Watashi, M. Hijikata, H. Kaneko, Y. Takada, H. Egawa, S. Uemoto, and K. Shimotohno. 2007. Serum-derived hepatitis C virus infectivity in interferon regulatory factor-7-suppressed human primary hepatocytes. J Hepatol. 46:26-36. 141 Andre, P., F. Komurian-Pradel, S. Deforges, M. Perret, J.L. Berland, M. Sodoyer, S. Pol, C. Brechot, G. Paranhos-Baccala, and V. Lotteau. 2002. Characterization of low- and very-low-density hepatitis C virus RNA-containing particles. J Virol. 76:6919-28. Andre, P., G. Perlemuter, A. Budkowska, C. Brechot, and V. Lotteau. 2005. Hepatitis C virus particles and lipoprotein metabolism. Semin Liver Dis. 25:93-104. Antipa, C., S. Ruta, and C. Cernescu. 1996. Serological profile assessment of the infection with hepatitis C virus (HCV) in haemophiliacs and thalassemic patients. Rom J Virol. 47:3-11. Antonelli, G., M. Clementi, G. Pozzi and G.M. Rossolini. 2008. Principi di Microbiologia medica. 890 pp. Auffermann-Gretzinger, S., E.B. Keeffe, and S. Levy. 2001. Impaired dendritic cell maturation in patients with chronic, but not resolved, hepatitis C virus infection. Blood. 97:3171-6. Babitt, J., B. Trigatti, A. Rigotti, E.J. Smart, R.G. Anderson, S. Xu, and M. Krieger. 1997. Murine SR-BI, a high density lipoprotein receptor that mediates selective lipid uptake, is N-glycosylated and fatty acylated and colocalizes with plasma membrane caveolae. J Biol Chem. 272:13242-9. Bain, V.G. 2001. Effect of HCV viral dynamics on treatment design: lessons learned from HIV. Am J Gastroenterol. 96:2818-28. Barba, G., F. Harper, T. Harada, M. Kohara, S. Goulinet, Y. Matsuura, G. Eder, Z. Schaff, M.J. Chapman, T. Miyamura, and C. Brechot. 1997. Hepatitis C virus core protein shows a cytoplasmic localization and associates to cellular lipid storage droplets. Proc Natl Acad Sci U S A. 94:1200-5. Baril, M., and L. Brakier-Gingras. 2005. Translation of the F protein of hepatitis C virus is initiated at a non-AUG codon in a +1 reading frame relative to the polyprotein. Nucleic Acids Res. 33:1474-86. Bartenschlager, R. 2004. Unexpected host range of hepatitis C virus replicons. Hepatology. 39:835-8. Bartenschlager, R., L. Ahlborn-Laake, J. Mous, and H. Jacobsen. 1993. Nonstructural protein 3 of the hepatitis C virus encodes a serine-type proteinase required for cleavage at the NS3/4 and NS4/5 junctions. J Virol. 67:3835-44. 142 Bartenschlager, R., L. Ahlborn-Laake, J. Mous, and H. Jacobsen. 1994. Kinetic and structural analyses of hepatitis C virus polyprotein processing. J Virol. 68:504555. Bartenschlager, R., L. Ahlborn-Laake, K. Yasargil, J. Mous, and H. Jacobsen. 1995. Substrate determinants for cleavage in cis and in trans by the hepatitis C virus NS3 proteinase. J Virol. 69:198-205. Bartenschlager, R., M. Frese, and T. Pietschmann. 2004. Novel insights into hepatitis C virus replication and persistence. Adv Virus Res. 63:71-180. Bartenschlager, R., and V. Lohmann. 2000. Replication of the hepatitis C virus. Baillieres Best Pract Res Clin Gastroenterol. 14:241-54. Bartenschlager, R., and V. Lohmann. 2001. Novel cell culture systems for the hepatitis C virus. Antiviral Res. 52:1-17. Barth, H., C. Schafer, M.I. Adah, F. Zhang, R.J. Linhardt, H. Toyoda, A. KinoshitaToyoda, T. Toida, T.H. Van Kuppevelt, E. Depla, F. Von Weizsacker, H.E. Blum, and T.F. Baumert. 2003. Cellular binding of hepatitis C virus envelope glycoprotein E2 requires cell surface heparan sulfate. J Biol Chem. 278:4100312. Barth, H., E.K. Schnober, F. Zhang, R.J. Linhardt, E. Depla, B. Boson, F.L. Cosset, A.H. Patel, H.E. Blum, and T.F. Baumert. 2006. Viral and cellular determinants of the hepatitis C virus envelope-heparan sulfate interaction. J Virol. 80:1057990. Bartosch, B., J. Bukh, J.C. Meunier, C. Granier, R.E. Engle, W.C. Blackwelder, S.U. Emerson, F.L. Cosset, and R.H. Purcell. 2003a. In vitro assay for neutralizing antibody to hepatitis C virus: evidence for broadly conserved neutralization epitopes. Proc Natl Acad Sci U S A. 100:14199-204. Bartosch, B., J. Dubuisson, and F.L. Cosset. 2003b. Infectious hepatitis C virus pseudoparticles containing functional E1-E2 envelope protein complexes. J Exp Med. 197:633-42. Bartosch, B., G. Verney, M. Dreux, P. Donot, Y. Morice, F. Penin, J.M. Pawlotsky, D. Lavillette, and F.L. Cosset. 2005. An interplay between hypervariable region 1 of the hepatitis C virus E2 glycoprotein, the scavenger receptor BI, and high- 143 density lipoprotein promotes both enhancement of infection and protection against neutralizing antibodies. J Virol. 79:8217-29. Bartosch, B., A. Vitelli, C. Granier, C. Goujon, J. Dubuisson, S. Pascale, E. Scarselli, R. Cortese, A. Nicosia, and F.L. Cosset. 2003c. Cell entry of hepatitis C virus requires a set of co-receptors that include the CD81 tetraspanin and the SR-B1 scavenger receptor. J Biol Chem. 278:41624-30. Baumert, T.F., S. Ito, D.T. Wong, and T.J. Liang. 1998. Hepatitis C virus structural proteins assemble into viruslike particles in insect cells. J Virol. 72:3827-36. Baumert, T.F., S. Wellnitz, S. Aono, J. Satoi, D. Herion, J. Tilman Gerlach, G.R. Pape, J.Y. Lau, J.H. Hoofnagle, H.E. Blum, and T.J. Liang. 2000. Antibodies against hepatitis C virus-like particles and viral clearance in acute and chronic hepatitis C. Hepatology. 32:610-7. Behrens, S.E., L. Tomei, and R. De Francesco. 1996. Identification and properties of the RNA-dependent RNA polymerase of hepatitis C virus. Embo J. 15:12-22. Benedicto, I., F. Molina-Jimenez, O. Barreiro, A. Maldonado-Rodriguez, J. Prieto, R. Moreno-Otero, R. Aldabe, M. Lopez-Cabrera, and P.L. Majano. 2008. Hepatitis C virus envelope components alter localization of hepatocyte tight junctionassociated proteins and promote occludin retention in the endoplasmic reticulum. Hepatology. 48:1044-53. Bigger, C.B., K.M. Brasky, and R.E. Lanford. 2001. DNA microarray analysis of chimpanzee liver during acute resolving hepatitis C virus infection. J Virol. 75:7059-66. Biron, C.A., K.B. Nguyen, G.C. Pien, L.P. Cousens, and T.P. Salazar-Mather. 1999. Natural killer cells in antiviral defense: function and regulation by innate cytokines. Annu Rev Immunol. 17:189-220. Bjoro, K., S.S. Froland, Z. Yun, H.H. Samdal, and T. Haaland. 1994. Hepatitis C infection in patients with primary hypogammaglobulinemia after treatment with contaminated immune globulin. N Engl J Med. 331:1607-11. Blanchard, E., S. Belouzard, L. Goueslain, T. Wakita, J. Dubuisson, C. Wychowski, and Y. Rouille. 2006. Hepatitis C virus entry depends on clathrin-mediated endocytosis. J Virol. 80:6964-72. 144 Blanchard, E., D. Brand, S. Trassard, A. Goudeau, and P. Roingeard. 2002. Hepatitis C virus-like particle morphogenesis. J Virol. 76:4073-9. Blight, K.J., A.A. Kolykhalov, and C.M. Rice. 2000. Efficient initiation of HCV RNA replication in cell culture. Science. 290:1972-4. Blight, K.J., J.A. McKeating, J. Marcotrigiano, and C.M. Rice. 2003. Efficient replication of hepatitis C virus genotype 1a RNAs in cell culture. J Virol. 77:3181-90. Blight, K.J., J.A. McKeating, and C.M. Rice. 2002. Highly permissive cell lines for subgenomic and genomic hepatitis C virus RNA replication. J Virol. 76:1300114. Bowen, D.G., and C.M. Walker. 2005. Mutational escape from CD8+ T cell immunity: HCV evolution, from chimpanzees to man. J Exp Med. 201:1709-14. Brazzoli, M., A. Helenius, S.K. Foung, M. Houghton, S. Abrignani, and M. Merola. 2005. Folding and dimerization of hepatitis C virus E1 and E2 glycoproteins in stably transfected CHO cells. Virology. 332:438-53. Brettler, D.B., P.M. Mannucci, A. Gringeri, J.E. Rasko, A.D. Forsberg, M.G. Rumi, R.J. Garsia, K.A. Rickard, and M. Colombo. 1992. The low risk of hepatitis C virus transmission among sexual partners of hepatitis C-infected hemophilic males: an international, multicenter study. Blood. 80:540-3. Bronowicki, J.P., D. Vetter, G. Uhl, H. Hudziak, A. Uhrlacher, J.M. Vetter, and M. Doffoel. 1997. Lymphocyte reactivity to hepatitis C virus (HCV) antigens shows evidence for exposure to HCV in HCV-seronegative spouses of HCV-infected patients. J Infect Dis. 176:518-22. Brown, E.A., H. Zhang, L.H. Ping, and S.M. Lemon. 1992. Secondary structure of the 5' nontranslated regions of hepatitis C virus and pestivirus genomic RNAs. Nucleic Acids Res. 20:5041-5. Bugli, F., N. Mancini, C.Y. Kang, C. Di Campli, A. Grieco, A. Manzin, A. Gabrielli, A. Gasbarrini, G. Fadda, P.E. Varaldo, M. Clementi, and R. Burioni. 2001. Mapping B-cell epitopes of hepatitis C virus E2 glycoprotein using human monoclonal antibodies from phage display libraries. J Virol. 75:9986-90. Bukh, J. 2004. A critical role for the chimpanzee model in the study of hepatitis C. Hepatology. 39:1469-75. 145 Bukh, J., R.H. Miller, and R.H. Purcell. 1995a. Biology and genetic heterogeneity of hepatitis C virus. Clin Exp Rheumatol. 13 Suppl 13:S3-7. Bukh, J., R.H. Miller, and R.H. Purcell. 1995b. Genetic heterogeneity of hepatitis C virus: quasispecies and genotypes. Semin Liver Dis. 15:41-63. Bukh, J., R.H. Purcell, and R.H. Miller. 1992. Sequence analysis of the 5' noncoding region of hepatitis C virus. Proc Natl Acad Sci U S A. 89:4942-6. Bukh, J., R. Thimme, J.C. Meunier, K. Faulk, H.C. Spangenberg, K.M. Chang, W. Satterfield, F.V. Chisari, and R.H. Purcell. 2008. Previously infected chimpanzees are not consistently protected against reinfection or persistent infection after reexposure to the identical hepatitis C virus strain. J Virol. 82:8183-95. Buonocore, L., K.J. Blight, C.M. Rice, and J.K. Rose. 2002. Characterization of vesicular stomatitis virus recombinants that express and incorporate high levels of hepatitis C virus glycoproteins. J Virol. 76:6865-72. Burioni, R., F. Bugli, N. Mancini, D. Rosa, C. Di Campli, G. Moroncini, A. Manzin, S. Abrignani, P.E. Varaldo, M. Clementi, and G. Fadda. 2001. Nonneutralizing human antibody fragments against hepatitis C virus E2 glycoprotein modulate neutralization of binding activity of human recombinant Fabs. Virology. 288:2935. Burioni, R., Y. Matsuura, N. Mancini, H. Tani, T. Miyamura, P.E. Varaldo, and M. Clementi. 2002. Diverging effects of human recombinant anti-hepatitis C virus (HCV) antibody fragments derived from a single patient on the infectivity of a vesicular stomatitis virus/HCV pseudotype. J Virol. 76:11775-9. Burioni, R., P. Plaisant, F. Bugli, V. Delli Carri, M. Clementi, and G. Fadda. 1998a. A vector for the expression of recombinant monoclonal Fab fragments in bacteria. J Immunol Methods. 217:195-9. Burioni, R., P. Plaisant, V. Delli Carri, A. Vannini, T. Spanu, M. Clementi, G. Fadda, and P.E. Varaldo. 1997. An improved phage display vector for antibody repertoire cloning by construction of combinatorial libraries. Res Virol. 148:1614. Burioni, R., P. Plaisant, A. Manzin, D. Rosa, V. Delli Carri, F. Bugli, L. Solforosi, S. Abrignani, P.E. Varaldo, G. Fadda, and M. Clementi. 1998b. Dissection of 146 human humoral immune response against hepatitis C virus E2 glycoprotein by repertoire cloning and generation of recombinant Fab fragments. Hepatology. 28:810-4. Burlone, M.E., and A. Budkowska. 2009. Hepatitis C virus cell entry: role of lipoproteins and cellular receptors. J Gen Virol. 90:1055-70. Burton, D.R. 2002. Antibodies, viruses and vaccines. Nat Rev Immunol. 2:706-13. Butz, E.A., and M.J. Bevan. 1998. Massive expansion of antigen-specific CD8+ T cells during an acute virus infection. Immunity. 8:167-75. Cai, Z., L. Cai, J. Jiang, K.S. Chang, D.R. van der Westhuyzen, and G. Luo. 2007. Human serum amyloid A protein inhibits hepatitis C virus entry into cells. J Virol. 81:6128-33. Callens, N., Y. Ciczora, B. Bartosch, N. Vu-Dac, F.L. Cosset, J.M. Pawlotsky, F. Penin, and J. Dubuisson. 2005. Basic residues in hypervariable region 1 of hepatitis C virus envelope glycoprotein e2 contribute to virus entry. J Virol. 79:15331-41. Cambi, A., M. Koopman, and C.G. Figdor. 2005. How C-type lectins detect pathogens. Cell Microbiol. 7:481-8. Carrere-Kremer, S., C. Montpellier-Pala, L. Cocquerel, C. Wychowski, F. Penin, and J. Dubuisson. 2002. Subcellular localization and topology of the p7 polypeptide of hepatitis C virus. J Virol. 76:3720-30. Castellino, F., A.Y. Huang, G. Altan-Bonnet, S. Stoll, C. Scheinecker, and R.N. Germain. 2006. Chemokines enhance immunity by guiding naive CD8+ T cells to sites of CD4+ T cell-dendritic cell interaction. Nature. 440:890-5. Castet, V., C. Fournier, A. Soulier, R. Brillet, J. Coste, D. Larrey, D. Dhumeaux, P. Maurel, and J.M. Pawlotsky. 2002. Alpha interferon inhibits hepatitis C virus replication in primary human hepatocytes infected in vitro. J Virol. 76:8189-99. Catanese, M.T., R. Graziani, T. von Hahn, M. Moreau, T. Huby, G. Paonessa, C. Santini, A. Luzzago, C.M. Rice, R. Cortese, A. Vitelli, and A. Nicosia. 2007. High-avidity monoclonal antibodies against the human scavenger class B type I receptor efficiently block hepatitis C virus infection in the presence of highdensity lipoprotein. J Virol. 81:8063-71. 147 Cella, M., D. Jarrossay, F. Facchetti, O. Alebardi, H. Nakajima, A. Lanzavecchia, and M. Colonna. 1999. Plasmacytoid monocytes migrate to inflamed lymph nodes and produce large amounts of type I interferon. Nat Med. 5:919-23. Chang, S.C., J.H. Yen, H.Y. Kang, M.H. Jang, and M.F. Chang. 1994. Nuclear localization signals in the core protein of hepatitis C virus. Biochem Biophys Res Commun. 205:1284-90. Chien, D.Y., P. Arcangel, A. Medina-Selby, D. Coit, M. Baumeister, S. Nguyen, C. George-Nascimento, A. Gyenes, G. Kuo, and P. Valenzuela. 1999. Use of a novel hepatitis C virus (HCV) major-epitope chimeric polypeptide for diagnosis of HCV infection. J Clin Microbiol. 37:1393-7. Chien, D.Y., Q.L. Choo, R. Ralston, R. Spaete, M. Tong, M. Houghton, and G. Kuo. 1993. Persistence of HCV despite antibodies to both putative envelope glycoproteins. Lancet. 342:933. Chien, D.Y., Q.L. Choo, A. Tabrizi, C. Kuo, J. McFarland, K. Berger, C. Lee, J.R. Shuster, T. Nguyen, D.L. Moyer, and et al. 1992. Diagnosis of hepatitis C virus (HCV) infection using an immunodominant chimeric polyprotein to capture circulating antibodies: reevaluation of the role of HCV in liver disease. Proc Natl Acad Sci U S A. 89:10011-5. Chomczynski, P., and N. Sacchi. 1987. Single-step method of RNA isolation by acid guanidinium thiocyanate-phenol-chloroform extraction. Anal Biochem. 162:1569. Choo, Q.L., G. Kuo, A.J. Weiner, L.R. Overby, D.W. Bradley, and M. Houghton. 1989. Isolation of a cDNA clone derived from a blood-borne non-A, non-B viral hepatitis genome. Science. 244:359-62. Choo, Q.L., K.H. Richman, J.H. Han, K. Berger, C. Lee, C. Dong, C. Gallegos, D. Coit, R. Medina-Selby, P.J. Barr, and et al. 1991. Genetic organization and diversity of the hepatitis C virus. Proc Natl Acad Sci U S A. 88:2451-5. Chou, A.H., H.F. Tsai, Y.Y. Wu, C.Y. Hu, L.H. Hwang, P.I. Hsu, and P.N. Hsu. 2005. Hepatitis C virus core protein modulates TRAIL-mediated apoptosis by enhancing Bid cleavage and activation of mitochondria apoptosis signaling pathway. J Immunol. 174:2160-6. 148 Clayton, R.F., A. Owsianka, J. Aitken, S. Graham, D. Bhella, and A.H. Patel. 2002. Analysis of antigenicity and topology of E2 glycoprotein present on recombinant hepatitis C virus-like particles. J Virol. 76:7672-82. Cocquerel, L., J.C. Meunier, A. Pillez, C. Wychowski, and J. Dubuisson. 1998. A retention signal necessary and sufficient for endoplasmic reticulum localization maps to the transmembrane domain of hepatitis C virus glycoprotein E2. J Virol. 72:2183-91. Cocquerel, L., E.R. Quinn, M. Flint, K.G. Hadlock, S.K. Foung, and S. Levy. 2003. Recognition of native hepatitis C virus E1E2 heterodimers by a human monoclonal antibody. J Virol. 77:1604-9. Cocquerel, L., C. Wychowski, F. Minner, F. Penin, and J. Dubuisson. 2000. Charged residues in the transmembrane domains of hepatitis C virus glycoproteins play a major role in the processing, subcellular localization, and assembly of these envelope proteins. J Virol. 74:3623-33. Colonna, M., G. Trinchieri, and Y.J. Liu. 2004. Plasmacytoid dendritic cells in immunity. Nat Immunol. 5:1219-26. Cooper, S., A.L. Erickson, E.J. Adams, J. Kansopon, A.J. Weiner, D.Y. Chien, M. Houghton, P. Parham, and C.M. Walker. 1999. Analysis of a successful immune response against hepatitis C virus. Immunity. 10:439-49. Cormier, E.G., F. Tsamis, F. Kajumo, R.J. Durso, J.P. Gardner, and T. Dragic. 2004. CD81 is an entry coreceptor for hepatitis C virus. Proc Natl Acad Sci U S A. 101:7270-4. Cox, A.L., T. Mosbruger, G.M. Lauer, D. Pardoll, D.L. Thomas, and S.C. Ray. 2005. Comprehensive analyses of CD8+ T cell responses during longitudinal study of acute human hepatitis C. Hepatology. 42:104-12. Coyne, C.B., and J.M. Bergelson. 2006. Virus-induced Abl and Fyn kinase signals permit coxsackievirus entry through epithelial tight junctions. Cell. 124:119-31. Cribier, B., C. Schmitt, A. Bingen, A. Kirn, and F. Keller. 1995. In vitro infection of peripheral blood mononuclear cells by hepatitis C virus. J Gen Virol. 76 ( Pt 10):2485-91. Crotta, S., A. Stilla, A. Wack, A. D'Andrea, S. Nuti, U. D'Oro, M. Mosca, F. Filliponi, R.M. Brunetto, F. Bonino, S. Abrignani, and N.M. Valiante. 2002. Inhibition of 149 natural killer cells through engagement of CD81 by the major hepatitis C virus envelope protein. J Exp Med. 195:35-41. Date, T., T. Kato, M. Miyamoto, Z. Zhao, K. Yasui, M. Mizokami, and T. Wakita. 2004. Genotype 2a hepatitis C virus subgenomic replicon can replicate in HepG2 and IMY-N9 cells. J Biol Chem. 279:22371-6. Day, C.L., G.M. Lauer, G.K. Robbins, B. McGovern, A.G. Wurcel, R.T. Gandhi, R.T. Chung, and B.D. Walker. 2002. Broad specificity of virus-specific CD4+ Thelper-cell responses in resolved hepatitis C virus infection. J Virol. 76:1258495. Deleersnyder, V., A. Pillez, C. Wychowski, K. Blight, J. Xu, Y.S. Hahn, C.M. Rice, and J. Dubuisson. 1997. Formation of native hepatitis C virus glycoprotein complexes. J Virol. 71:697-704. Der, S.D., A. Zhou, B.R. Williams, and R.H. Silverman. 1998. Identification of genes differentially regulated by interferon alpha, beta, or gamma using oligonucleotide arrays. Proc Natl Acad Sci U S A. 95:15623-8. Diaz, O., F. Delers, M. Maynard, S. Demignot, F. Zoulim, J. Chambaz, C. Trepo, V. Lotteau, and P. Andre. 2006. Preferential association of Hepatitis C virus with apolipoprotein B48-containing lipoproteins. J Gen Virol. 87:2983-91. Dienstag, J.L., A.K. Bhan, H.J. Alter, S.M. Feinstone, and R.H. Purcell. 1979. Circulating immune complexes in non-A, non-B hepatitis. Possible masking of viral antigen. Lancet. 1:1265-7. Dittmann, S., M. Roggendorf, J. Durkop, M. Wiese, B. Lorbeer, and F. Deinhardt. 1991. Long-term persistence of hepatitis C virus antibodies in a single source outbreak. J Hepatol. 13:323-7. Dolganiuc, A., S. Chang, K. Kodys, P. Mandrekar, G. Bakis, M. Cormier, and G. Szabo. 2006. Hepatitis C virus (HCV) core protein-induced, monocyte-mediated mechanisms of reduced IFN-alpha and plasmacytoid dendritic cell loss in chronic HCV infection. J Immunol. 177:6758-68. Dreux, M., and F.L. Cosset. 2007. The scavenger receptor BI and its ligand, HDL: partners in crime against HCV neutralizing antibodies. J Viral Hepat. 14 Suppl 1:68-76. 150 Dreux, M., T. Pietschmann, C. Granier, C. Voisset, S. Ricard-Blum, P.E. Mangeot, Z. Keck, S. Foung, N. Vu-Dac, J. Dubuisson, R. Bartenschlager, D. Lavillette, and F.L. Cosset. 2006. High density lipoprotein inhibits hepatitis C virusneutralizing antibodies by stimulating cell entry via activation of the scavenger receptor BI. J Biol Chem. 281:18285-95. Drummer, H.E., I. Boo, A.L. Maerz, and P. Poumbourios. 2006. A conserved Gly436Trp-Leu-Ala-Gly-Leu-Phe-Tyr motif in hepatitis C virus glycoprotein E2 is a determinant of CD81 binding and viral entry. J Virol. 80:7844-53. Drummer, H.E., A. Maerz, and P. Poumbourios. 2003. Cell surface expression of functional hepatitis C virus E1 and E2 glycoproteins. FEBS Lett. 546:385-90. Dubuisson, J., H.H. Hsu, R.C. Cheung, H.B. Greenberg, D.G. Russell, and C.M. Rice. 1994. Formation and intracellular localization of hepatitis C virus envelope glycoprotein complexes expressed by recombinant vaccinia and Sindbis viruses. J Virol. 68:6147-60. Dubuisson, J., and C.M. Rice. 1996. Hepatitis C virus glycoprotein folding: disulfide bond formation and association with calnexin. J Virol. 70:778-86. Dustin, L.B., and C.M. Rice. 2007. Flying under the radar: the immunobiology of hepatitis C. Annu Rev Immunol. 25:71-99. Duvet, S., L. Cocquerel, A. Pillez, R. Cacan, A. Verbert, D. Moradpour, C. Wychowski, and J. Dubuisson. 1998. Hepatitis C virus glycoprotein complex localization in the endoplasmic reticulum involves a determinant for retention and not retrieval. J Biol Chem. 273:32088-95. Egger, D., B. Wolk, R. Gosert, L. Bianchi, H.E. Blum, D. Moradpour, and K. Bienz. 2002. Expression of hepatitis C virus proteins induces distinct membrane alterations including a candidate viral replication complex. J Virol. 76:5974-84. Elazar, M., P. Liu, C.M. Rice, and J.S. Glenn. 2004. An N-terminal amphipathic helix in hepatitis C virus (HCV) NS4B mediates membrane association, correct localization of replication complex proteins, and HCV RNA replication. J Virol. 78:11393-400. Elmowalid, G.A., M. Qiao, S.H. Jeong, B.B. Borg, T.F. Baumert, R.K. Sapp, Z. Hu, K. Murthy, and T.J. Liang. 2007. Immunization with hepatitis C virus-like particles 151 results in control of hepatitis C virus infection in chimpanzees. Proc Natl Acad Sci U S A. 104:8427-32. Enria, D.A., A.M. Briggiler, N.J. Fernandez, S.C. Levis, and J.I. Maiztegui. 1984. Importance of dose of neutralising antibodies in treatment of Argentine haemorrhagic fever with immune plasma. Lancet. 2:255-6. Eren, R., D. Landstein, D. Terkieltaub, O. Nussbaum, A. Zauberman, J. Ben-Porath, J. Gopher, R. Buchnick, R. Kovjazin, Z. Rosenthal-Galili, S. Aviel, E. Ilan, Y. Shoshany, L. Neville, T. Waisman, O. Ben-Moshe, A. Kischitsky, S.K. Foung, Z.Y. Keck, O. Pappo, A. Eid, O. Jurim, G. Zamir, E. Galun, and S. Dagan. 2006. Preclinical evaluation of two neutralizing human monoclonal antibodies against hepatitis C virus (HCV): a potential treatment to prevent HCV reinfection in liver transplant patients. J Virol. 80:2654-64. Erickson, A.L., Y. Kimura, S. Igarashi, J. Eichelberger, M. Houghton, J. Sidney, D. McKinney, A. Sette, A.L. Hughes, and C.M. Walker. 2001. The outcome of hepatitis C virus infection is predicted by escape mutations in epitopes targeted by cytotoxic T lymphocytes. Immunity. 15:883-95. Evans, M.J., T. von Hahn, D.M. Tscherne, A.J. Syder, M. Panis, B. Wolk, T. Hatziioannou, J.A. McKeating, P.D. Bieniasz, and C.M. Rice. 2007. Claudin-1 is a hepatitis C virus co-receptor required for a late step in entry. Nature. 446:801-5. Failla, C., L. Tomei, and R. De Francesco. 1994. Both NS3 and NS4A are required for proteolytic processing of hepatitis C virus nonstructural proteins. J Virol. 68:3753-60. Falkowska, E., F. Kajumo, E. Garcia, J. Reinus, and T. Dragic. 2007. Hepatitis C virus envelope glycoprotein E2 glycans modulate entry, CD81 binding, and neutralization. J Virol. 81:8072-9. Farci, P., H.J. Alter, S. Govindarajan, D.C. Wong, R. Engle, R.R. Lesniewski, I.K. Mushahwar, S.M. Desai, R.H. Miller, N. Ogata, and et al. 1992. Lack of protective immunity against reinfection with hepatitis C virus. Science. 258:13540. Farci, P., H.J. Alter, D.C. Wong, R.H. Miller, S. Govindarajan, R. Engle, M. Shapiro, and R.H. Purcell. 1994. Prevention of hepatitis C virus infection in chimpanzees 152 after antibody-mediated in vitro neutralization. Proc Natl Acad Sci U S A. 91:7792-6. Farci, P., and R.H. Purcell. 2000. Clinical significance of hepatitis C virus genotypes and quasispecies. Semin Liver Dis. 20:103-26. Farci, P., A. Shimoda, D. Wong, T. Cabezon, D. De Gioannis, A. Strazzera, Y. Shimizu, M. Shapiro, H.J. Alter, and R.H. Purcell. 1996. Prevention of hepatitis C virus infection in chimpanzees by hyperimmune serum against the hypervariable region 1 of the envelope 2 protein. Proc Natl Acad Sci U S A. 93:15394-9. Feinstone, S.M., A.Z. Kapikian, R.H. Purcell, H.J. Alter, and P.V. Holland. 1975. Transfusion-associated hepatitis not due to viral hepatitis type A or B. N Engl J Med. 292:767-70. Feinstone, S.M., and R.H. Purcell. 1983. Evidence for non-A, non-B viruses. Prog Clin Biol Res. 143:29-39. Ferrari, E., J. Wright-Minogue, J.W. Fang, B.M. Baroudy, J.Y. Lau, and Z. Hong. 1999. Characterization of soluble hepatitis C virus RNA-dependent RNA polymerase expressed in Escherichia coli. J Virol. 73:1649-54. Fields, B.N., D.M. Knipe, and P.M. Howley. 2001. Fields Virology. Lippincott Williams & Wilkins Publishers, Philadelphia. 3280 pp. Flint, M., C. Maidens, L.D. Loomis-Price, C. Shotton, J. Dubuisson, P. Monk, A. Higginbottom, S. Levy, and J.A. McKeating. 1999a. Characterization of hepatitis C virus E2 glycoprotein interaction with a putative cellular receptor, CD81. J Virol. 73:6235-44. Flint, M., and J.A. McKeating. 2000. The role of the hepatitis C virus glycoproteins in infection. Rev Med Virol. 10:101-17. Flint, M., J.M. Thomas, C.M. Maidens, C. Shotton, S. Levy, W.S. Barclay, and J.A. McKeating. 1999b. Functional analysis of cell surface-expressed hepatitis C virus E2 glycoprotein. J Virol. 73:6782-90. Flint, M., T. von Hahn, J. Zhang, M. Farquhar, C.T. Jones, P. Balfe, C.M. Rice, and J.A. McKeating. 2006. Diverse CD81 proteins support hepatitis C virus infection. J Virol. 80:11331-42. 153 Forns, X., T. Allander, P. Rohwer-Nutter, and J. Bukh. 2000a. Characterization of modified hepatitis C virus E2 proteins expressed on the cell surface. Virology. 274:75-85. Forns, X., S.U. Emerson, G.J. Tobin, I.K. Mushahwar, R.H. Purcell, and J. Bukh. 1999. DNA immunization of mice and macaques with plasmids encoding hepatitis C virus envelope E2 protein expressed intracellularly and on the cell surface. Vaccine. 17:1992-2002. Forns, X., R. Thimme, S. Govindarajan, S.U. Emerson, R.H. Purcell, F.V. Chisari, and J. Bukh. 2000b. Hepatitis C virus lacking the hypervariable region 1 of the second envelope protein is infectious and causes acute resolving or persistent infection in chimpanzees. Proc Natl Acad Sci U S A. 97:13318-23. Foy, E., K. Li, C. Wang, R. Sumpter, Jr., M. Ikeda, S.M. Lemon, and M. Gale, Jr. 2003. Regulation of interferon regulatory factor-3 by the hepatitis C virus serine protease. Science. 300:1145-8. Fukutomi, T., Y. Zhou, S. Kawai, H. Eguchi, J.R. Wands, and J. Li. 2005. Hepatitis C virus core protein stimulates hepatocyte growth: correlation with upregulation of wnt-1 expression. Hepatology. 41:1096-105. Gale, M., Jr. 2003. Effector genes of interferon action against hepatitis C virus. Hepatology. 37:975-8. Gale, M., Jr., B. Kwieciszewski, M. Dossett, H. Nakao, and M.G. Katze. 1999. Antiapoptotic and oncogenic potentials of hepatitis C virus are linked to interferon resistance by viral repression of the PKR protein kinase. J Virol. 73:6506-16. Gale, M.J., Jr., M.J. Korth, N.M. Tang, S.L. Tan, D.A. Hopkins, T.E. Dever, S.J. Polyak, D.R. Gretch, and M.G. Katze. 1997. Evidence that hepatitis C virus resistance to interferon is mediated through repression of the PKR protein kinase by the nonstructural 5A protein. Virology. 230:217-27. Gardner, J.P., R.J. Durso, R.R. Arrigale, G.P. Donovan, P.J. Maddon, T. Dragic, and W.C. Olson. 2003. L-SIGN (CD 209L) is a liver-specific capture receptor for hepatitis C virus. Proc Natl Acad Sci U S A. 100:4498-503. 154 Gastaminza, P., S.B. Kapadia, and F.V. Chisari. 2006. Differential biophysical properties of infectious intracellular and secreted hepatitis C virus particles. J Virol. 80:11074-81. Gavel, Y., and G. von Heijne. 1990. Sequence differences between glycosylated and non-glycosylated Asn-X-Thr/Ser acceptor sites: implications for protein engineering. Protein Eng. 3:433-42. Germi, R., J.M. Crance, D. Garin, J. Guimet, H. Lortat-Jacob, R.W. Ruigrok, J.P. Zarski, and E. Drouet. 2002. Cellular glycosaminoglycans and low density lipoprotein receptor are involved in hepatitis C virus adsorption. J Med Virol. 68:206-15. Goeser, T., H.M. Muller, J. Ye, E. Pfaff, and L. Theilmann. 1994. Characterization of antigenic determinants in the core antigen of the hepatitis C virus. Virology. 205:462-9. Goffard, A., N. Callens, B. Bartosch, C. Wychowski, F.L. Cosset, C. Montpellier, and J. Dubuisson. 2005. Role of N-linked glycans in the functions of hepatitis C virus envelope glycoproteins. J Virol. 79:8400-9. Goffard, A., and J. Dubuisson. 2003. Glycosylation of hepatitis C virus envelope proteins. Biochimie. 85:295-301. Gonzalez, M.E., and L. Carrasco. 2003. Viroporins. FEBS Lett. 552:28-34. Grakoui, A., C. Wychowski, C. Lin, S.M. Feinstone, and C.M. Rice. 1993. Expression and identification of hepatitis C virus polyprotein cleavage products. J Virol. 67:1385-95. Gretton, S.N., A.I. Taylor, and J. McLauchlan. 2005. Mobility of the hepatitis C virus NS4B protein on the endoplasmic reticulum membrane and membraneassociated foci. J Gen Virol. 86:1415-21. Groothuis, J.R., and E.A. Simoes. 1993. Immunoprophylaxis and immunotherapy: role in the prevention and treatment of repiratory syncytial virus. Int J Antimicrob Agents. 2:97-103. Grove, J., T. Huby, Z. Stamataki, T. Vanwolleghem, P. Meuleman, M. Farquhar, A. Schwarz, M. Moreau, J.S. Owen, G. Leroux-Roels, P. Balfe, and J.A. McKeating. 2007. Scavenger receptor BI and BII expression levels modulate hepatitis C virus infectivity. J Virol. 81:3162-9. 155 Gubler, U., and B.J. Hoffman. 1983. A simple and very efficient method for generating cDNA libraries. Gene. 25:263-9. Gubler, U., J.J. Monahan, P.T. Lomedico, R.S. Bhatt, K.J. Collier, B.J. Hoffman, P. Bohlen, F. Esch, N. Ling, F. Zeytin, P. Brazeau, M.S. Poonian, and L.P. Gage. 1983. Cloning and sequence analysis of cDNA for the precursor of human growth hormone-releasing factor, somatocrinin. Proc Natl Acad Sci U S A. 80:4311-4. Guo, J.T., V.V. Bichko, and C. Seeger. 2001. Effect of alpha interferon on the hepatitis C virus replicon. J Virol. 75:8516-23. Guo, J.T., J.A. Sohn, Q. Zhu, and C. Seeger. 2004. Mechanism of the interferon alpha response against hepatitis C virus replicons. Virology. 325:71-81. Haberstroh, A., E.K. Schnober, M.B. Zeisel, P. Carolla, H. Barth, H.E. Blum, F.L. Cosset, G. Koutsoudakis, R. Bartenschlager, A. Union, E. Depla, A. Owsianka, A.H. Patel, C. Schuster, F. Stoll-Keller, M. Doffoel, M. Dreux, and T.F. Baumert. 2008. Neutralizing host responses in hepatitis C virus infection target viral entry at postbinding steps and membrane fusion. Gastroenterology. 135:1719-1728 e1. Hadziyannis, S.J., H. Sette, Jr., T.R. Morgan, V. Balan, M. Diago, P. Marcellin, G. Ramadori, H. Bodenheimer, Jr., D. Bernstein, M. Rizzetto, S. Zeuzem, P.J. Pockros, A. Lin, and A.M. Ackrill. 2004. Peginterferon-alpha2a and ribavirin combination therapy in chronic hepatitis C: a randomized study of treatment duration and ribavirin dose. Ann Intern Med. 140:346-55. Hallam, N.F., M.L. Fletcher, S.J. Read, A.M. Majid, J.B. Kurtz, and C.R. Rizza. 1993. Low risk of sexual transmission of hepatitis C virus. J Med Virol. 40:251-3. Han, J.H., V. Shyamala, K.H. Richman, M.J. Brauer, B. Irvine, M.S. Urdea, P. TekampOlson, G. Kuo, Q.L. Choo, and M. Houghton. 1991. Characterization of the terminal regions of hepatitis C viral RNA: identification of conserved sequences in the 5' untranslated region and poly(A) tails at the 3' end. Proc Natl Acad Sci U S A. 88:1711-5. Han, J.Q., and D.J. Barton. 2002. Activation and evasion of the antiviral 2'-5' oligoadenylate synthetase/ribonuclease L pathway by hepatitis C virus mRNA. Rna. 8:512-25. 156 Han, J.Q., G. Wroblewski, Z. Xu, R.H. Silverman, and D.J. Barton. 2004. Sensitivity of hepatitis C virus RNA to the antiviral enzyme ribonuclease L is determined by a subset of efficient cleavage sites. J Interferon Cytokine Res. 24:664-76. Hangartner, L., R.M. Zinkernagel, and H. Hengartner. 2006. Antiviral antibody responses: the two extremes of a wide spectrum. Nat Rev Immunol. 6:231-43. Harada, S., Y. Watanabe, K. Takeuchi, T. Suzuki, T. Katayama, Y. Takebe, I. Saito, and T. Miyamura. 1991. Expression of processed core protein of hepatitis C virus in mammalian cells. J Virol. 65:3015-21. Heathcote, E.J., M.L. Shiffman, W.G. Cooksley, G.M. Dusheiko, S.S. Lee, L. Balart, R. Reindollar, R.K. Reddy, T.L. Wright, A. Lin, J. Hoffman, and J. De Pamphilis. 2000. Peginterferon alfa-2a in patients with chronic hepatitis C and cirrhosis. N Engl J Med. 343:1673-80. Hebert, D.N., J.X. Zhang, W. Chen, B. Foellmer, and A. Helenius. 1997. The number and location of glycans on influenza hemagglutinin determine folding and association with calnexin and calreticulin. J Cell Biol. 139:613-23. Heim, M.H., D. Moradpour, and H.E. Blum. 1999. Expression of hepatitis C virus proteins inhibits signal transduction through the Jak-STAT pathway. J Virol. 73:8469-75. Helle, F., A. Goffard, V. Morel, G. Duverlie, J. McKeating, Z.Y. Keck, S. Foung, F. Penin, J. Dubuisson, and C. Voisset. 2007. The neutralizing activity of antihepatitis C virus antibodies is modulated by specific glycans on the E2 envelope protein. J Virol. 81:8101-11. Hemler, M.E. 2003. Tetraspanin proteins mediate cellular penetration, invasion, and fusion events and define a novel type of membrane microdomain. Annu Rev Cell Dev Biol. 19:397-422. Heo, T.H., J.H. Chang, J.W. Lee, S.K. Foung, J. Dubuisson, and C.Y. Kang. 2004. Incomplete humoral immunity against hepatitis C virus is linked with distinct recognition of putative multiple receptors by E2 envelope glycoprotein. J Immunol. 173:446-55. Hijikata, M., H. Mizushima, T. Akagi, S. Mori, N. Kakiuchi, N. Kato, T. Tanaka, K. Kimura, and K. Shimotohno. 1993a. Two distinct proteinase activities required 157 for the processing of a putative nonstructural precursor protein of hepatitis C virus. J Virol. 67:4665-75. Hijikata, M., Y.K. Shimizu, H. Kato, A. Iwamoto, J.W. Shih, H.J. Alter, R.H. Purcell, and H. Yoshikura. 1993b. Equilibrium centrifugation studies of hepatitis C virus: evidence for circulating immune complexes. J Virol. 67:1953-8. Honda, K., H. Yanai, H. Negishi, M. Asagiri, M. Sato, T. Mizutani, N. Shimada, Y. Ohba, A. Takaoka, N. Yoshida, and T. Taniguchi. 2005. IRF-7 is the master regulator of type-I interferon-dependent immune responses. Nature. 434:772-7. Hsu, M., J. Zhang, M. Flint, C. Logvinoff, C. Cheng-Mayer, C.M. Rice, and J.A. McKeating. 2003. Hepatitis C virus glycoproteins mediate pH-dependent cell entry of pseudotyped retroviral particles. Proc Natl Acad Sci U S A. 100:7271-6. Hu, Y.W., L. Rocheleau, B. Larke, L. Chui, B. Lee, M. Ma, S. Liu, T. Omlin, M. Pelchat, and E.G. Brown. 2005. Immunoglobulin mimicry by Hepatitis C Virus envelope protein E2. Virology. 332:538-49. Huang, H., F. Sun, D.M. Owen, W. Li, Y. Chen, M. Gale, Jr., and J. Ye. 2007. Hepatitis C virus production by human hepatocytes dependent on assembly and secretion of very low-density lipoproteins. Proc Natl Acad Sci U S A. 104:5848-53. Hui, D.J., C.R. Bhasker, W.C. Merrick, and G.C. Sen. 2003. Viral stress-inducible protein p56 inhibits translation by blocking the interaction of eIF3 with the ternary complex eIF2.GTP.Met-tRNAi. J Biol Chem. 278:39477-82. Ikeda, M., M. Yi, K. Li, and S.M. Lemon. 2002. Selectable subgenomic and genomelength dicistronic RNAs derived from an infectious molecular clone of the HCV-N strain of hepatitis C virus replicate efficiently in cultured Huh7 cells. J Virol. 76:2997-3006. Imperiali, B., and S.E. O'Connor. 1999. Effect of N-linked glycosylation on glycopeptide and glycoprotein structure. Curr Opin Chem Biol. 3:643-9. Ito, T., and M.M. Lai. 1997. Determination of the secondary structure of and cellular protein binding to the 3'-untranslated region of the hepatitis C virus RNA genome. J Virol. 71:8698-706. Ito, T., and M.M. Lai. 1999. An internal polypyrimidine-tract-binding protein-binding site in the hepatitis C virus RNA attenuates translation, which is relieved by the 3'-untranslated sequence. Virology. 254:288-96. 158 Janeway, C.A., Jr. 2001. How the immune system protects the host from infection. Microbes Infect. 3:1167-71. Jinushi, M., T. Takehara, T. Tatsumi, T. Kanto, T. Miyagi, T. Suzuki, Y. Kanazawa, N. Hiramatsu, and N. Hayashi. 2004. Negative regulation of NK cell activities by inhibitory receptor CD94/NKG2A leads to altered NK cell-induced modulation of dendritic cell functions in chronic hepatitis C virus infection. J Immunol. 173:6072-81. Kadoya, H., M. Nagano-Fujii, L. Deng, N. Nakazono, and H. Hotta. 2005. Nonstructural proteins 4A and 4B of hepatitis C virus transactivate the interleukin 8 promoter. Microbiol Immunol. 49:265-73. Kalams, S.A., and B.D. Walker. 1998. The critical need for CD4 help in maintaining effective cytotoxic T lymphocyte responses. J Exp Med. 188:2199-204. Kapadia, S.B., H. Barth, T. Baumert, J.A. McKeating, and F.V. Chisari. 2007. Initiation of hepatitis C virus infection is dependent on cholesterol and cooperativity between CD81 and scavenger receptor B type I. J Virol. 81:374-83. Kapadia, S.B., and F.V. Chisari. 2005. Hepatitis C virus RNA replication is regulated by host geranylgeranylation and fatty acids. Proc Natl Acad Sci U S A. 102:2561-6. Kaplan, D.E., K. Sugimoto, K. Newton, M.E. Valiga, F. Ikeda, A. Aytaman, F.A. Nunes, M.R. Lucey, B.A. Vance, R.H. Vonderheide, K.R. Reddy, J.A. McKeating, and K.M. Chang. 2007. Discordant role of CD4 T-cell response relative to neutralizing antibody and CD8 T-cell responses in acute hepatitis C. Gastroenterology. 132:654-66. Kasprowicz, V., J. Schulze Zur Wiesch, T. Kuntzen, B.E. Nolan, S. Longworth, A. Berical, J. Blum, C. McMahon, L.L. Reyor, N. Elias, W.W. Kwok, B.G. McGovern, G. Freeman, R.T. Chung, P. Klenerman, L. Lewis-Ximenez, B.D. Walker, T.M. Allen, A.Y. Kim, and G.M. Lauer. 2008. High level of PD-1 expression on hepatitis C virus (HCV)-specific CD8+ and CD4+ T cells during acute HCV infection, irrespective of clinical outcome. J Virol. 82:3154-60. Kato, N., H. Sekiya, Y. Ootsuyama, T. Nakazawa, M. Hijikata, S. Ohkoshi, and K. Shimotohno. 1993. Humoral immune response to hypervariable region 1 of the putative envelope glycoprotein (gp70) of hepatitis C virus. J Virol. 67:3923-30. 159 Kato, N., K. Sugiyama, K. Namba, H. Dansako, T. Nakamura, M. Takami, K. Naka, A. Nozaki, and K. Shimotohno. 2003. Establishment of a hepatitis C virus subgenomic replicon derived from human hepatocytes infected in vitro. Biochem Biophys Res Commun. 306:756-66. Kato, T., T. Date, M. Miyamoto, Z. Zhao, M. Mizokami, and T. Wakita. 2005. Nonhepatic cell lines HeLa and 293 support efficient replication of the hepatitis C virus genotype 2a subgenomic replicon. J Virol. 79:592-6. Kato, T., A. Furusaka, M. Miyamoto, T. Date, K. Yasui, J. Hiramoto, K. Nagayama, T. Tanaka, and T. Wakita. 2001. Sequence analysis of hepatitis C virus isolated from a fulminant hepatitis patient. J Med Virol. 64:334-9. Kato, T., T. Matsumura, T. Heller, S. Saito, R.K. Sapp, K. Murthy, T. Wakita, and T.J. Liang. 2007. Production of infectious hepatitis C virus of various genotypes in cell cultures. J Virol. 81:4405-11. Kawai, T., and S. Akira. 2008. Toll-like receptor and RIG-I-like receptor signaling. Ann N Y Acad Sci. 1143:1-20. Keck, Z.Y., A. Op De Beeck, K.G. Hadlock, J. Xia, T.K. Li, J. Dubuisson, and S.K. Foung. 2004. Hepatitis C virus E2 has three immunogenic domains containing conformational epitopes with distinct properties and biological functions. J Virol. 78:9224-32. Keck, Z.Y., J. Xia, Z. Cai, T.K. Li, A.M. Owsianka, A.H. Patel, G. Luo, and S.K. Foung. 2007. Immunogenic and functional organization of hepatitis C virus (HCV) glycoprotein E2 on infectious HCV virions. J Virol. 81:1043-7. Khakoo, S.I., C.L. Thio, M.P. Martin, C.R. Brooks, X. Gao, J. Astemborski, J. Cheng, J.J. Goedert, D. Vlahov, M. Hilgartner, S. Cox, A.M. Little, G.J. Alexander, M.E. Cramp, S.J. O'Brien, W.M. Rosenberg, D.L. Thomas, and M. Carrington. 2004. HLA and NK cell inhibitory receptor genes in resolving hepatitis C virus infection. Science. 305:872-4. Kitadokoro, K., D. Bordo, G. Galli, R. Petracca, F. Falugi, S. Abrignani, G. Grandi, and M. Bolognesi. 2001a. CD81 extracellular domain 3D structure: insight into the tetraspanin superfamily structural motifs. Embo J. 20:12-8. Kitadokoro, K., G. Galli, R. Petracca, F. Falugi, G. Grandi, and M. Bolognesi. 2001b. Crystallization and preliminary crystallographic studies on the large extracellular 160 domain of human CD81, a tetraspanin receptor for hepatitis C virus. Acta Crystallogr D Biol Crystallogr. 57:156-8. Kittlesen, D.J., K.A. Chianese-Bullock, Z.Q. Yao, T.J. Braciale, and Y.S. Hahn. 2000. Interaction between complement receptor gC1qR and hepatitis C virus core protein inhibits T-lymphocyte proliferation. J Clin Invest. 106:1239-49. Klein, K.C., S.R. Dellos, and J.R. Lingappa. 2005. Identification of residues in the hepatitis C virus core protein that are critical for capsid assembly in a cell-free system. J Virol. 79:6814-26. Kornfeld, R., and S. Kornfeld. 1985. Assembly of asparagine-linked oligosaccharides. Annu Rev Biochem. 54:631-64. Kountouras, J., C. Zavos, and D. Chatzopoulos. 2003. Apoptosis in hepatitis C. J Viral Hepat. 10:335-42. Krieger, M. 2001. Scavenger receptor class B type I is a multiligand HDL receptor that influences diverse physiologic systems. J Clin Invest. 108:793-7. Krieger, N., V. Lohmann, and R. Bartenschlager. 2001. Enhancement of hepatitis C virus RNA replication by cell culture-adaptive mutations. J Virol. 75:4614-24. Lagging, L.M., K. Meyer, R.J. Owens, and R. Ray. 1998. Functional role of hepatitis C virus chimeric glycoproteins in the infectivity of pseudotyped virus. J Virol. 72:3539-46. Lamarre, A., and P.J. Talbot. 1995. Protection from lethal coronavirus infection by immunoglobulin fragments. J Immunol. 154:3975-84. Lanford, R.E., B. Guerra, H. Lee, D.R. Averett, B. Pfeiffer, D. Chavez, L. Notvall, and C. Bigger. 2003. Antiviral effect and virus-host interactions in response to alpha interferon, gamma interferon, poly(i)-poly(c), tumor necrosis factor alpha, and ribavirin in hepatitis C virus subgenomic replicons. J Virol. 77:1092-104. Laskus, T., M. Radkowski, L.F. Wang, H. Vargas, and J. Rakela. 1998. The presence of active hepatitis C virus replication in lymphoid tissue in patients coinfected with human immunodeficiency virus type 1. J Infect Dis. 178:1189-92. Lau, J.Y., R.C. Tam, T.J. Liang, and Z. Hong. 2002. Mechanism of action of ribavirin in the combination treatment of chronic HCV infection. Hepatology. 35:1002-9. Lauer, G.M., K. Ouchi, R.T. Chung, T.N. Nguyen, C.L. Day, D.R. Purkis, M. Reiser, A.Y. Kim, M. Lucas, P. Klenerman, and B.D. Walker. 2002. Comprehensive 161 analysis of CD8(+)-T-cell responses against hepatitis C virus reveals multiple unpredicted specificities. J Virol. 76:6104-13. Lavillette, D., B. Bartosch, D. Nourrisson, G. Verney, F.L. Cosset, F. Penin, and E.I. Pecheur. 2006. Hepatitis C virus glycoproteins mediate low pH-dependent membrane fusion with liposomes. J Biol Chem. 281:3909-17. Lavillette, D., Y. Morice, G. Germanidis, P. Donot, A. Soulier, E. Pagkalos, G. Sakellariou, L. Intrator, B. Bartosch, J.M. Pawlotsky, and F.L. Cosset. 2005a. Human serum facilitates hepatitis C virus infection, and neutralizing responses inversely correlate with viral replication kinetics at the acute phase of hepatitis C virus infection. J Virol. 79:6023-34. Lavillette, D., E.I. Pecheur, P. Donot, J. Fresquet, J. Molle, R. Corbau, M. Dreux, F. Penin, and F.L. Cosset. 2007. Characterization of fusion determinants points to the involvement of three discrete regions of both E1 and E2 glycoproteins in the membrane fusion process of hepatitis C virus. J Virol. 81:8752-65. Lavillette, D., A.W. Tarr, C. Voisset, P. Donot, B. Bartosch, C. Bain, A.H. Patel, J. Dubuisson, J.K. Ball, and F.L. Cosset. 2005b. Characterization of host-range and cell entry properties of the major genotypes and subtypes of hepatitis C virus. Hepatology. 41:265-74. Lechner, F., N.H. Gruener, S. Urbani, J. Uggeri, T. Santantonio, A.R. Kammer, A. Cerny, R. Phillips, C. Ferrari, G.R. Pape, and P. Klenerman. 2000. CD8+ T lymphocyte responses are induced during acute hepatitis C virus infection but are not sustained. Eur J Immunol. 30:2479-87. Lerat, H., F. Berby, M.A. Trabaud, O. Vidalin, M. Major, C. Trepo, and G. Inchauspe. 1996. Specific detection of hepatitis C virus minus strand RNA in hematopoietic cells. J Clin Invest. 97:845-51. Lesburg, C.A., M.B. Cable, E. Ferrari, Z. Hong, A.F. Mannarino, and P.C. Weber. 1999. Crystal structure of the RNA-dependent RNA polymerase from hepatitis C virus reveals a fully encircled active site. Nat Struct Biol. 6:937-43. Lescar, J., A. Roussel, M.W. Wien, J. Navaza, S.D. Fuller, G. Wengler, G. Wengler, and F.A. Rey. 2001. The Fusion glycoprotein shell of Semliki Forest virus: an icosahedral assembly primed for fusogenic activation at endosomal pH. Cell. 105:137-48. 162 Lesniewski, R.R., S. Watanabe, and S.G. Devare. 1995. Expression of HCV envelope proteins and the serological utility of the anti-E2 immune response. Princess Takamatsu Symp. 25:129-37. Levy, S., and T. Shoham. 2005. The tetraspanin web modulates immune-signalling complexes. Nat Rev Immunol. 5:136-48. Li, K., E. Foy, J.C. Ferreon, M. Nakamura, A.C. Ferreon, M. Ikeda, S.C. Ray, M. Gale, Jr., and S.M. Lemon. 2005. Immune evasion by hepatitis C virus NS3/4A protease-mediated cleavage of the Toll-like receptor 3 adaptor protein TRIF. Proc Natl Acad Sci U S A. 102:2992-7. Liang, T.J., and T. Heller. 2004. Pathogenesis of hepatitis C-associated hepatocellular carcinoma. Gastroenterology. 127:S62-71. Lin, C., J.A. Thomson, and C.M. Rice. 1995. A central region in the hepatitis C virus NS4A protein allows formation of an active NS3-NS4A serine proteinase complex in vivo and in vitro. J Virol. 69:4373-80. Lin, F.T., S.B. Chen, Y.Z. Wang, C.Z. Sun, F.Z. Zeng, and G.F. Wang. 1988. Use of serum and vaccine in combination for prophylaxis following exposure to rabies. Rev Infect Dis. 10 Suppl 4:S766-70. Lin, W., S.S. Kim, E. Yeung, Y. Kamegaya, J.T. Blackard, K.A. Kim, M.J. Holtzman, and R.T. Chung. 2006. Hepatitis C virus core protein blocks interferon signaling by interaction with the STAT1 SH2 domain. J Virol. 80:9226-35. Lindenbach, B.D., M.J. Evans, A.J. Syder, B. Wolk, T.L. Tellinghuisen, C.C. Liu, T. Maruyama, R.O. Hynes, D.R. Burton, J.A. McKeating, and C.M. Rice. 2005. Complete replication of hepatitis C virus in cell culture. Science. 309:623-6. Liu, S., W. Yang, L. Shen, J.R. Turner, C.B. Coyne, and T. Wang. 2009. Tight junction proteins claudin-1 and occludin control hepatitis C virus entry and are downregulated during infection to prevent superinfection. J Virol. 83:2011-4. Logvinoff, C., M.E. Major, D. Oldach, S. Heyward, A. Talal, P. Balfe, S.M. Feinstone, H. Alter, C.M. Rice, and J.A. McKeating. 2004. Neutralizing antibody response during acute and chronic hepatitis C virus infection. Proc Natl Acad Sci U S A. 101:10149-54. Lohmann, V., F. Korner, A. Dobierzewska, and R. Bartenschlager. 2001. Mutations in hepatitis C virus RNAs conferring cell culture adaptation. J Virol. 75:1437-49. 163 Lohmann, V., F. Korner, J. Koch, U. Herian, L. Theilmann, and R. Bartenschlager. 1999. Replication of subgenomic hepatitis C virus RNAs in a hepatoma cell line. Science. 285:110-3. Loza, M.J., and B. Perussia. 2004. Differential regulation of NK cell proliferation by type I and type II IFN. Int Immunol. 16:23-32. Lozach, P.Y., A. Amara, B. Bartosch, J.L. Virelizier, F. Arenzana-Seisdedos, F.L. Cosset, and R. Altmeyer. 2004. C-type lectins L-SIGN and DC-SIGN capture and transmit infectious hepatitis C virus pseudotype particles. J Biol Chem. 279:32035-45. Macdonald, A., K. Crowder, A. Street, C. McCormick, and M. Harris. 2004. The hepatitis C virus NS5A protein binds to members of the Src family of tyrosine kinases and regulates kinase activity. J Gen Virol. 85:721-9. Macdonald, A., K. Crowder, A. Street, C. McCormick, K. Saksela, and M. Harris. 2003. The hepatitis C virus non-structural NS5A protein inhibits activating protein-1 function by perturbing ras-ERK pathway signaling. J Biol Chem. 278:17775-84. Maillard, P., T. Huby, U. Andreo, M. Moreau, J. Chapman, and A. Budkowska. 2006. The interaction of natural hepatitis C virus with human scavenger receptor SRBI/Cla1 is mediated by ApoB-containing lipoproteins. Faseb J. 20:735-7. Maillard, P., K. Krawczynski, J. Nitkiewicz, C. Bronnert, M. Sidorkiewicz, P. Gounon, J. Dubuisson, G. Faure, R. Crainic, and A. Budkowska. 2001. Nonenveloped nucleocapsids of hepatitis C virus in the serum of infected patients. J Virol. 75:8240-50. Maiztegui, J.I., N.J. Fernandez, and A.J. de Damilano. 1979. Efficacy of immune plasma in treatment of Argentine haemorrhagic fever and association between treatment and a late neurological syndrome. Lancet. 2:1216-7. Majeau, N., V. Gagne, A. Boivin, M. Bolduc, J.A. Majeau, D. Ouellet, and D. Leclerc. 2004. The N-terminal half of the core protein of hepatitis C virus is sufficient for nucleocapsid formation. J Gen Virol. 85:971-81. Major, M.E., H. Dahari, K. Mihalik, M. Puig, C.M. Rice, A.U. Neumann, and S.M. Feinstone. 2004. Hepatitis C virus kinetics and host responses associated with disease and outcome of infection in chimpanzees. Hepatology. 39:1709-20. 164 Major, M.E., K. Mihalik, M. Puig, B. Rehermann, M. Nascimbeni, C.M. Rice, and S.M. Feinstone. 2002. Previously infected and recovered chimpanzees exhibit rapid responses that control hepatitis C virus replication upon rechallenge. J Virol. 76:6586-95. Marukian, S., C.T. Jones, L. Andrus, M.J. Evans, K.D. Ritola, E.D. Charles, C.M. Rice, and L.B. Dustin. 2008. Cell culture-produced hepatitis C virus does not infect peripheral blood mononuclear cells. Hepatology. 48:1843-50. Masciopinto, F., C. Giovani, S. Campagnoli, L. Galli-Stampino, P. Colombatto, M. Brunetto, T.S. Yen, M. Houghton, P. Pileri, and S. Abrignani. 2004. Association of hepatitis C virus envelope proteins with exosomes. Eur J Immunol. 34:283442. Matloubian, M., R.J. Concepcion, and R. Ahmed. 1994. CD4+ T cells are required to sustain CD8+ cytotoxic T-cell responses during chronic viral infection. J Virol. 68:8056-63. Matsuura, Y., H. Tani, K. Suzuki, T. Kimura-Someya, R. Suzuki, H. Aizaki, K. Ishii, K. Moriishi, C.S. Robison, M.A. Whitt, and T. Miyamura. 2001. Characterization of pseudotype VSV possessing HCV envelope proteins. Virology. 286:263-75. Mayo, M.J. 2003. Extrahepatic manifestations of hepatitis C infection. Am J Med Sci. 325:135-48. Mazzocca, A., S.C. Sciammetta, V. Carloni, L. Cosmi, F. Annunziato, T. Harada, S. Abrignani, and M. Pinzani. 2005. Binding of hepatitis C virus envelope protein E2 to CD81 up-regulates matrix metalloproteinase-2 in human hepatic stellate cells. J Biol Chem. 280:11329-39. McCaffrey, K., I. Boo, P. Poumbourios, and H.E. Drummer. 2007. Expression and characterization of a minimal hepatitis C virus glycoprotein E2 core domain that retains CD81 binding. J Virol. 81:9584-90. McHutchison, J.G., and K. Patel. 2002. Future therapy of hepatitis C. Hepatology. 36:S245-52. McKeating, J.A., L.Q. Zhang, C. Logvinoff, M. Flint, J. Zhang, J. Yu, D. Butera, D.D. Ho, L.B. Dustin, C.M. Rice, and P. Balfe. 2004. Diverse hepatitis C virus glycoproteins mediate viral infection in a CD81-dependent manner. J Virol. 78:8496-505. 165 McLauchlan, J. 2000. Properties of the hepatitis C virus core protein: a structural protein that modulates cellular processes. J Viral Hepat. 7:2-14. Meertens, L., C. Bertaux, L. Cukierman, E. Cormier, D. Lavillette, F.L. Cosset, and T. Dragic. 2008. The tight junction proteins claudin-1, -6, and -9 are entry cofactors for hepatitis C virus. J Virol. 82:3555-60. Meertens, L., C. Bertaux, and T. Dragic. 2006. Hepatitis C virus entry requires a critical postinternalization step and delivery to early endosomes via clathrin-coated vesicles. J Virol. 80:11571-8. Meola, A., A. Sbardellati, B. Bruni Ercole, M. Cerretani, M. Pezzanera, A. Ceccacci, A. Vitelli, S. Levy, A. Nicosia, C. Traboni, J. McKeating, and E. Scarselli. 2000. Binding of hepatitis C virus E2 glycoprotein to CD81 does not correlate with species permissiveness to infection. J Virol. 74:5933-8. Merola, M., M. Brazzoli, F. Cocchiarella, J.M. Heile, A. Helenius, A.J. Weiner, M. Houghton, and S. Abrignani. 2001. Folding of hepatitis C virus E1 glycoprotein in a cell-free system. J Virol. 75:11205-17. Meunier, J.C., R.E. Engle, K. Faulk, M. Zhao, B. Bartosch, H. Alter, S.U. Emerson, F.L. Cosset, R.H. Purcell, and J. Bukh. 2005. Evidence for cross-genotype neutralization of hepatitis C virus pseudo-particles and enhancement of infectivity by apolipoprotein C1. Proc Natl Acad Sci U S A. 102:4560-5. Meunier, J.C., A. Fournillier, A. Choukhi, A. Cahour, L. Cocquerel, J. Dubuisson, and C. Wychowski. 1999. Analysis of the glycosylation sites of hepatitis C virus (HCV) glycoprotein E1 and the influence of E1 glycans on the formation of the HCV glycoprotein complex. J Gen Virol. 80 ( Pt 4):887-96. Meyer, K., A. Basu, K. Saito, R.B. Ray, and R. Ray. 2005. Inhibition of hepatitis C virus core protein expression in immortalized human hepatocytes induces cytochrome c-independent increase in Apaf-1 and caspase-9 activation for cell death. Virology. 336:198-207. Meylan, E., J. Curran, K. Hofmann, D. Moradpour, M. Binder, R. Bartenschlager, and J. Tschopp. 2005. Cardif is an adaptor protein in the RIG-I antiviral pathway and is targeted by hepatitis C virus. Nature. 437:1167-72. 166 Michalak, J.P., C. Wychowski, A. Choukhi, J.C. Meunier, S. Ung, C.M. Rice, and J. Dubuisson. 1997. Characterization of truncated forms of hepatitis C virus glycoproteins. J Gen Virol. 78 ( Pt 9):2299-306. Miller, R.H., and R.H. Purcell. 1990. Hepatitis C virus shares amino acid sequence similarity with pestiviruses and flaviviruses as well as members of two plant virus supergroups. Proc Natl Acad Sci U S A. 87:2057-61. Molina, S., V. Castet, C. Fournier-Wirth, L. Pichard-Garcia, R. Avner, D. Harats, J. Roitelman, R. Barbaras, P. Graber, P. Ghersa, M. Smolarsky, A. Funaro, F. Malavasi, D. Larrey, J. Coste, J.M. Fabre, A. Sa-Cunha, and P. Maurel. 2007. The low-density lipoprotein receptor plays a role in the infection of primary human hepatocytes by hepatitis C virus. J Hepatol. 46:411-9. Mondelli, M.U., A. Cerino, A. Meola, and A. Nicosia. 2003. Variability or conservation of hepatitis C virus hypervariable region 1? Implications for immune responses. J Biosci. 28:305-10. Moradpour, D., V. Brass, and F. Penin. 2005. Function follows form: the structure of the N-terminal domain of HCV NS5A. Hepatology. 42:732-5. Morikawa, K., Z. Zhao, T. Date, M. Miyamoto, A. Murayama, D. Akazawa, J. Tanabe, S. Sone, and T. Wakita. 2007. The roles of CD81 and glycosaminoglycans in the adsorption and uptake of infectious HCV particles. J Med Virol. 79:714-23. Moriya, K., H. Fujie, Y. Shintani, H. Yotsuyanagi, T. Tsutsumi, K. Ishibashi, Y. Matsuura, S. Kimura, T. Miyamura, and K. Koike. 1998. The core protein of hepatitis C virus induces hepatocellular carcinoma in transgenic mice. Nat Med. 4:1065-7. Moriya, K., H. Yotsuyanagi, Y. Shintani, H. Fujie, K. Ishibashi, Y. Matsuura, T. Miyamura, and K. Koike. 1997. Hepatitis C virus core protein induces hepatic steatosis in transgenic mice. J Gen Virol. 78 ( Pt 7):1527-31. Moskophidis, D., F. Lechner, H. Pircher, and R.M. Zinkernagel. 1993. Virus persistence in acutely infected immunocompetent mice by exhaustion of antiviral cytotoxic effector T cells. Nature. 362:758-61. Murali-Krishna, K., J.D. Altman, M. Suresh, D.J. Sourdive, A.J. Zajac, J.D. Miller, J. Slansky, and R. Ahmed. 1998. Counting antigen-specific CD8 T cells: a reevaluation of bystander activation during viral infection. Immunity. 8:177-87. 167 Murao, K., H. Imachi, X. Yu, W.M. Cao, T. Nishiuchi, K. Chen, J. Li, R.A. Ahmed, N.C. Wong, and T. Ishida. 2008. Interferon alpha decreases expression of human scavenger receptor class BI, a possible HCV receptor in hepatocytes. Gut. 57:664-71. Murata, K., M. Lechmann, M. Qiao, T. Gunji, H.J. Alter, and T.J. Liang. 2003. Immunization with hepatitis C virus-like particles protects mice from recombinant hepatitis C virus-vaccinia infection. Proc Natl Acad Sci U S A. 100:6753-8. Murphy, F.A. 1995. Problems in the surveillance and control of viral diseases with special reference to the developing world. Infect Agents Dis. 4:171-7. Negre, D., and F.L. Cosset. 2002. Vectors derived from simian immunodeficiency virus (SIV). Biochimie. 84:1161-71. Netski, D.M., T. Mosbruger, E. Depla, G. Maertens, S.C. Ray, R.G. Hamilton, S. Roundtree, D.L. Thomas, J. McKeating, and A. Cox. 2005. Humoral immune response in acute hepatitis C virus infection. Clin Infect Dis. 41:667-75. Nielsen, S.U., M.F. Bassendine, A.D. Burt, C. Martin, W. Pumeechockchai, and G.L. Toms. 2006. Association between hepatitis C virus and very-low-density lipoprotein (VLDL)/LDL analyzed in iodixanol density gradients. J Virol. 80:2418-28. Nolandt, O., V. Kern, H. Muller, E. Pfaff, L. Theilmann, R. Welker, and H.G. Krausslich. 1997. Analysis of hepatitis C virus core protein interaction domains. J Gen Virol. 78 ( Pt 6):1331-40. Nunez, M., and V. Soriano. 2004. New hopes for HIV and HCV coinfection in 2004. HIV Clin Trials. 5:232-51. O'Neill, L.A. 2004. TLRs: Professor Mechnikov, sit on your hat. Trends Immunol. 25:687-93. Ohuchi, M., R. Ohuchi, A. Feldmann, and H.D. Klenk. 1997a. Regulation of receptor binding affinity of influenza virus hemagglutinin by its carbohydrate moiety. J Virol. 71:8377-84. Ohuchi, R., M. Ohuchi, W. Garten, and H.D. Klenk. 1997b. Oligosaccharides in the stem region maintain the influenza virus hemagglutinin in the metastable form required for fusion activity. J Virol. 71:3719-25. 168 Op De Beeck, A., L. Cocquerel, and J. Dubuisson. . 2001. Biogenesis of hepatitis C virus envelope glycoproteins. J. Gen. Virol. 82:2589-95. Op De Beeck, A., C. Voisset, B. Bartosch, Y. Ciczora, L. Cocquerel, Z. Keck, S. Foung, F.L. Cosset, and J. Dubuisson. 2004. Characterization of functional hepatitis C virus envelope glycoproteins. J Virol. 78:2994-3002. Ott, D.E. 1997. Cellular proteins in HIV virions. Rev Med Virol. 7:167-180. Owsianka, A., R.F. Clayton, L.D. Loomis-Price, J.A. McKeating, and A.H. Patel. 2001. Functional analysis of hepatitis C virus E2 glycoproteins and virus-like particles reveals structural dissimilarities between different forms of E2. J Gen Virol. 82:1877-83. Owsianka, A.M., J.M. Timms, A.W. Tarr, R.J. Brown, T.P. Hickling, A. Szwejk, K. Bienkowska-Szewczyk, B.J. Thomson, A.H. Patel, and J.K. Ball. 2006. Identification of conserved residues in the E2 envelope glycoprotein of the hepatitis C virus that are critical for CD81 binding. J Virol. 80:8695-704. Parren, P.W., and D.R. Burton. 2001. The antiviral activity of antibodies in vitro and in vivo. Adv Immunol. 77:195-262. Patel, A.H., J. Wood, F. Penin, J. Dubuisson, and J.A. McKeating. 2000. Construction and characterization of chimeric hepatitis C virus E2 glycoproteins: analysis of regions critical for glycoprotein aggregation and CD81 binding. J Gen Virol. 81:2873-83. Patel, J., A.H. Patel, and J. McLauchlan. 2001. The transmembrane domain of the hepatitis C virus E2 glycoprotein is required for correct folding of the E1 glycoprotein and native complex formation. Virology. 279:58-68. Peng, B.H., J.C. Lee, and G.A. Campbell. 2003. In vitro protein complex formation with cytoskeleton-anchoring domain of occludin identified by limited proteolysis. J Biol Chem. 278:49644-51. Penin, F., C. Combet, G. Germanidis, P.O. Frainais, G. Deleage, and J.M. Pawlotsky. 2001. Conservation of the conformation and positive charges of hepatitis C virus E2 envelope glycoprotein hypervariable region 1 points to a role in cell attachment. J Virol. 75:5703-10. Penin, F., J. Dubuisson, F.A. Rey, D. Moradpour, and J.M. Pawlotsky. 2004. Structural biology of hepatitis C virus. Hepatology. 39:5-19. 169 Perez-Berna, A.J., J. Guillen, M.R. Moreno, A.I. Gomez-Sanchez, G. Pabst, P. Laggner, and J. Villalain. 2008. Interaction of the most membranotropic region of the HCV E2 envelope glycoprotein with membranes. Biophysical characterization. Biophys J. 94:4737-50. Pestka, J.M., M.B. Zeisel, E. Blaser, P. Schurmann, B. Bartosch, F.L. Cosset, A.H. Patel, H. Meisel, J. Baumert, S. Viazov, K. Rispeter, H.E. Blum, M. Roggendorf, and T.F. Baumert. 2007. Rapid induction of virus-neutralizing antibodies and viral clearance in a single-source outbreak of hepatitis C. Proc Natl Acad Sci U S A. 104:6025-30. Petit, M.A., M. Lievre, S. Peyrol, S. De Sequeira, P. Berthillon, R.W. Ruigrok, and C. Trepo. 2005. Enveloped particles in the serum of chronic hepatitis C patients. Virology. 336:144-53. Petracca, R., F. Falugi, G. Galli, N. Norais, D. Rosa, S. Campagnoli, V. Burgio, E. Di Stasio, B. Giardina, M. Houghton, S. Abrignani, and G. Grandi. 2000. Structurefunction analysis of hepatitis C virus envelope-CD81 binding. J Virol. 74:482430. Pflugheber, J., B. Fredericksen, R. Sumpter, Jr., C. Wang, F. Ware, D.L. Sodora, and M. Gale, Jr. 2002. Regulation of PKR and IRF-1 during hepatitis C virus RNA replication. Proc Natl Acad Sci U S A. 99:4650-5. Piccininni, S., A. Varaklioti, M. Nardelli, B. Dave, K.D. Raney, and J.E. McCarthy. 2002. Modulation of the hepatitis C virus RNA-dependent RNA polymerase activity by the non-structural (NS) 3 helicase and the NS4B membrane protein. J Biol Chem. 277:45670-9. Pier, G.B. 2006. Immunologia Infezione Immunità. Pietschmann, T., A. Kaul, G. Koutsoudakis, A. Shavinskaya, S. Kallis, E. Steinmann, K. Abid, F. Negro, M. Dreux, F.L. Cosset, and R. Bartenschlager. 2006. Construction and characterization of infectious intragenotypic and intergenotypic hepatitis C virus chimeras. Proc Natl Acad Sci U S A. 103:740813. Pietschmann, T., V. Lohmann, A. Kaul, N. Krieger, G. Rinck, G. Rutter, D. Strand, and R. Bartenschlager. 2002. Persistent and transient replication of full-length hepatitis C virus genomes in cell culture. J Virol. 76:4008-21. 170 Pileri, P., Y. Uematsu, S. Campagnoli, G. Galli, F. Falugi, R. Petracca, A.J. Weiner, M. Houghton, D. Rosa, G. Grandi, and S. Abrignani. 1998. Binding of hepatitis C virus to CD81. Science. 282:938-41. Plaisant, P., R. Burioni, A. Manzin, L. Solforosi, M. Candela, A. Gabrielli, G. Fadda, and M. Clementi. 1997. Human monoclonal recombinant Fabs specific for HCV antigens obtained by repertoire cloning in phage display combinatorial vectors. Res Virol. 148:165-9. Pohlmann, S., J. Zhang, F. Baribaud, Z. Chen, G.J. Leslie, G. Lin, A. Granelli-Piperno, R.W. Doms, C.M. Rice, and J.A. McKeating. 2003. Hepatitis C virus glycoproteins interact with DC-SIGN and DC-SIGNR. J Virol. 77:4070-80. Polyak, S.J., K.S. Khabar, D.M. Paschal, H.J. Ezelle, G. Duverlie, G.N. Barber, D.E. Levy, N. Mukaida, and D.R. Gretch. 2001. Hepatitis C virus nonstructural 5A protein induces interleukin-8, leading to partial inhibition of the interferoninduced antiviral response. J Virol. 75:6095-106. Poynard, T., P. Marcellin, S.S. Lee, C. Niederau, G.S. Minuk, G. Ideo, V. Bain, J. Heathcote, S. Zeuzem, C. Trepo, and J. Albrecht. 1998. Randomised trial of interferon alpha2b plus ribavirin for 48 weeks or for 24 weeks versus interferon alpha2b plus placebo for 48 weeks for treatment of chronic infection with hepatitis C virus. International Hepatitis Interventional Therapy Group (IHIT). Lancet. 352:1426-32. Prabhu, R., V. Joshi, R.F. Garry, F. Bastian, S. Haque, F. Regenstein, S. Thung, and S. Dash. 2004a. Interferon alpha-2b inhibits negative-strand RNA and protein expression from full-length HCV1a infectious clone. Exp Mol Pathol. 76:24252. Prabhu, R., N. Khalap, R. Burioni, M. Clementi, R.F. Garry, and S. Dash. 2004b. Inhibition of hepatitis C virus nonstructural protein, helicase activity, and viral replication by a recombinant human antibody clone. Am J Pathol. 165:1163-73. Prince, A.M., B. Brotman, T. Huima, D. Pascual, M. Jaffery, and G. Inchauspe. 1992. Immunity in hepatitis C infection. J Infect Dis. 165:438-43. Puntoriero, G., A. Meola, A. Lahm, S. Zucchelli, B.B. Ercole, R. Tafi, M. Pezzanera, M.U. Mondelli, R. Cortese, A. Tramontano, G. Galfre, and A. Nicosia. 1998. Towards a solution for hepatitis C virus hypervariability: mimotopes of the 171 hypervariable region 1 can induce antibodies cross-reacting with a large number of viral variants. Embo J. 17:3521-33. Racanelli, V., and B. Rehermann. 2006. The liver as an immunological organ. Hepatology. 43:S54-62. Raghava, G.P., and J.N. Agrewala. 1994. Method for determining the affinity of monoclonal antibody using non-competitive ELISA: a computer program. J Immunoassay. 15:115-28. Ray, S.C., Y.M. Wang, O. Laeyendecker, J.R. Ticehurst, S.A. Villano, and D.L. Thomas. 1999. Acute hepatitis C virus structural gene sequences as predictors of persistent viremia: hypervariable region 1 as a decoy. J Virol. 73:2938-46. Reed, K.E., and C.M. Rice. 2000. Overview of hepatitis C virus genome structure, polyprotein processing, and protein properties. Curr Top Microbiol Immunol. 242:55-84. Regeard, M., C. Lepere, M. Trotard, P. Gripon, and J. Le Seyec. 2007. Recent contributions of in vitro models to our understanding of hepatitis C virus life cycle. Febs J. 274:4705-18. Rehermann, B. 2009. Hepatitis C virus versus innate and adaptive immune responses: a tale of coevolution and coexistence. J Clin Invest. 119:1745-54. Rhainds, D., and L. Brissette. 2004. The role of scavenger receptor class B type I (SRBI) in lipid trafficking. defining the rules for lipid traders. Int J Biochem Cell Biol. 36:39-77. Rigotti, A., H.E. Miettinen, and M. Krieger. 2003. The role of the high-density lipoprotein receptor SR-BI in the lipid metabolism of endocrine and other tissues. Endocr Rev. 24:357-87. Roccasecca, R., H. Ansuini, A. Vitelli, A. Meola, E. Scarselli, S. Acali, M. Pezzanera, B.B. Ercole, J. McKeating, A. Yagnik, A. Lahm, A. Tramontano, R. Cortese, and A. Nicosia. 2003. Binding of the hepatitis C virus E2 glycoprotein to CD81 is strain specific and is modulated by a complex interplay between hypervariable regions 1 and 2. J Virol. 77:1856-67. Rocha-Perugini, V., C. Montpellier, D. Delgrange, C. Wychowski, F. Helle, A. Pillez, H. Drobecq, F. Le Naour, S. Charrin, S. Levy, E. Rubinstein, J. Dubuisson, and 172 L. Cocquerel. 2008. The CD81 partner EWI-2wint inhibits hepatitis C virus entry. PLoS One. 3:e1866. Rosa, D., S. Campagnoli, C. Moretto, E. Guenzi, L. Cousens, M. Chin, C. Dong, A.J. Weiner, J.Y. Lau, Q.L. Choo, D. Chien, P. Pileri, M. Houghton, and S. Abrignani. 1996. A quantitative test to estimate neutralizing antibodies to the hepatitis C virus: cytofluorimetric assessment of envelope glycoprotein 2 binding to target cells. Proc Natl Acad Sci U S A. 93:1759-63. Rosa, D., G. Saletti, E. De Gregorio, F. Zorat, C. Comar, U. D'Oro, S. Nuti, M. Houghton, V. Barnaba, G. Pozzato, and S. Abrignani. 2005. Activation of naive B lymphocytes via CD81, a pathogenetic mechanism for hepatitis C virusassociated B lymphocyte disorders. Proc Natl Acad Sci U S A. 102:18544-9. Rumin, S., P. Berthillon, E. Tanaka, K. Kiyosawa, M.A. Trabaud, T. Bizollon, C. Gouillat, P. Gripon, C. Guguen-Guillouzo, G. Inchauspe, and C. Trepo. 1999. Dynamic analysis of hepatitis C virus replication and quasispecies selection in long-term cultures of adult human hepatocytes infected in vitro. J Gen Virol. 80 ( Pt 11):3007-18. Saito, T., D.M. Owen, F. Jiang, J. Marcotrigiano, and M. Gale, Jr. 2008. Innate immunity induced by composition-dependent RIG-I recognition of hepatitis C virus RNA. Nature. 454:523-7. Sakai, A., M.S. Claire, K. Faulk, S. Govindarajan, S.U. Emerson, R.H. Purcell, and J. Bukh. 2003. The p7 polypeptide of hepatitis C virus is critical for infectivity and contains functionally important genotype-specific sequences. Proc Natl Acad Sci U S A. 100:11646-51. Sakai, A., S. Takikawa, R. Thimme, J.C. Meunier, H.C. Spangenberg, S. Govindarajan, P. Farci, S.U. Emerson, F.V. Chisari, R.H. Purcell, and J. Bukh. 2007. In vivo study of the HC-TN strain of hepatitis C virus recovered from a patient with fulminant hepatitis: RNA transcripts of a molecular clone (pHC-TN) are infectious in chimpanzees but not in Huh7.5 cells. J Virol. 81:7208-19. Sandrin, V., B. Boson, P. Salmon, W. Gay, D. Negre, R. Le Grand, D. Trono, and F.L. Cosset. 2002. Lentiviral vectors pseudotyped with a modified RD114 envelope glycoprotein show increased stability in sera and augmented transduction of 173 primary lymphocytes and CD34+ cells derived from human and nonhuman primates. Blood. 100:823-32. Sandrin, V., P. Boulanger, F. Penin, C. Granier, F.L. Cosset, and B. Bartosch. 2005. Assembly of functional hepatitis C virus glycoproteins on infectious pseudoparticles occurs intracellularly and requires concomitant incorporation of E1 and E2 glycoproteins. J Gen Virol. 86:3189-99. Sandrin, V., and F.L. Cosset. 2006. Intracellular versus cell surface assembly of retroviral pseudotypes is determined by the cellular localization of the viral glycoprotein, its capacity to interact with Gag, and the expression of the Nef protein. J Biol Chem. 281:528-42. Santolini, E., G. Migliaccio, and N. La Monica. 1994. Biosynthesis and biochemical properties of the hepatitis C virus core protein. J Virol. 68:3631-41. Santolini, E., L. Pacini, C. Fipaldini, G. Migliaccio, and N. Monica. 1995. The NS2 protein of hepatitis C virus is a transmembrane polypeptide. J Virol. 69:7461-71. Scarselli, E., H. Ansuini, R. Cerino, R.M. Roccasecca, S. Acali, G. Filocamo, C. Traboni, A. Nicosia, R. Cortese, and A. Vitelli. 2002. The human scavenger receptor class B type I is a novel candidate receptor for the hepatitis C virus. Embo J. 21:5017-25. Scheel, T.K., J.M. Gottwein, T.B. Jensen, J.C. Prentoe, A.M. Hoegh, H.J. Alter, J. Eugen-Olsen, and J. Bukh. 2008. Development of JFH1-based cell culture systems for hepatitis C virus genotype 4a and evidence for cross-genotype neutralization. Proc Natl Acad Sci U S A. 105:997-1002. Schiano, T.D., and P. Martin. 2006. Management of HCV infection and liver transplantation. Int J Med Sci. 3:79-83. Sen, G.C. 2001. Viruses and interferons. Annu Rev Microbiol. 55:255-81. Shelton, H., and M. Harris. 2008. Hepatitis C virus NS5A protein binds the SH3 domain of the Fyn tyrosine kinase with high affinity: mutagenic analysis of residues within the SH3 domain that contribute to the interaction. Virol J. 5:24. Shepard, C.W., L. Finelli, and M.J. Alter. 2005. Global epidemiology of hepatitis C virus infection. Lancet Infect Dis. 5:558-67. 174 Shimazaki, T., M. Honda, S. Kaneko, and K. Kobayashi. 2002. Inhibition of internal ribosomal entry site-directed translation of HCV by recombinant IFN-alpha correlates with a reduced La protein. Hepatology. 35:199-208. Shoham, T., R. Rajapaksa, C.C. Kuo, J. Haimovich, and S. Levy. 2006. Building of the tetraspanin web: distinct structural domains of CD81 function in different cellular compartments. Mol Cell Biol. 26:1373-85. Shouval, D., and D. Samuel. 2000. Hepatitis B immune globulin to prevent hepatitis B virus graft reinfection following liver transplantation: a concise review. Hepatology. 32:1189-95. Silberstein, S., and R. Gilmore. 1996. Biochemistry, molecular biology, and genetics of the oligosaccharyltransferase. Faseb J. 10:849-58. Silver, D.L., and A.R. Tall. 2001. The cellular biology of scavenger receptor class B type I. Curr Opin Lipidol. 12:497-504. Simmonds, M.J., and S.C. Gough. 2004. Genetic insights into disease mechanisms of autoimmunity. Br Med Bull. 71:93-113. Slater-Handshy, T., D.A. Droll, X. Fan, A.M. Di Bisceglie, and T.J. Chambers. 2004. HCV E2 glycoprotein: mutagenesis of N-linked glycosylation sites and its effects on E2 expression and processing. Virology. 319:36-48. Smirnova, I.S., N.D. Aksenov, E.V. Kashuba, P. Payakurel, V.V. Grabovetsky, A.D. Zaberezhny, M.S. Vonsky, L. Buchinska, P. Biberfeld, J. Hinkula, and M.G. Isaguliants. 2006. Hepatitis C virus core protein transforms murine fibroblasts by promoting genomic instability. Cell Oncol. 28:177-90. Smith, C. 2003. Management of hepatitis C. Minn Med. 86:53-6. Steinitz, M., G. Klein, S. Koskimies, and O. Makel. 1977. EB virus-induced B lymphocyte cell lines producing specific antibody. Nature. 269:420-2. Steinmann, D., H. Barth, B. Gissler, P. Schurmann, M.I. Adah, J.T. Gerlach, G.R. Pape, E. Depla, D. Jacobs, G. Maertens, A.H. Patel, G. Inchauspe, T.J. Liang, H.E. Blum, and T.F. Baumert. 2004. Inhibition of hepatitis C virus-like particle binding to target cells by antiviral antibodies in acute and chronic hepatitis C. J Virol. 78:9030-40. Stevenson, B.R., and B.H. Keon. 1998. The tight junction: morphology to molecules. Annu Rev Cell Dev Biol. 14:89-109. 175 Suzuki, R., Y. Matsuura, T. Suzuki, A. Ando, J. Chiba, S. Harada, I. Saito, and T. Miyamura. 1995. Nuclear localization of the truncated hepatitis C virus core protein with its hydrophobic C terminus deleted. J Gen Virol. 76 ( Pt 1):53-61. Suzuki, R., S. Sakamoto, T. Tsutsumi, A. Rikimaru, K. Tanaka, T. Shimoike, K. Moriishi, T. Iwasaki, K. Mizumoto, Y. Matsuura, T. Miyamura, and T. Suzuki. 2005. Molecular determinants for subcellular localization of hepatitis C virus core protein. J Virol. 79:1271-81. Taguchi, T., M. Nagano-Fujii, M. Akutsu, H. Kadoya, S. Ohgimoto, S. Ishido, and H. Hotta. 2004. Hepatitis C virus NS5A protein interacts with 2',5'-oligoadenylate synthetase and inhibits antiviral activity of IFN in an IFN sensitivitydetermining region-independent manner. J Gen Virol. 85:959-69. Tai, D.I., S.L. Tsai, Y.M. Chen, Y.L. Chuang, C.Y. Peng, I.S. Sheen, C.T. Yeh, K.S. Chang, S.N. Huang, G.C. Kuo, and Y.F. Liaw. 2000. Activation of nuclear factor kappaB in hepatitis C virus infection: implications for pathogenesis and hepatocarcinogenesis. Hepatology. 31:656-64. Takikawa, S., K. Ishii, H. Aizaki, T. Suzuki, H. Asakura, Y. Matsuura, and T. Miyamura. 2000. Cell fusion activity of hepatitis C virus envelope proteins. J Virol. 74:5066-74. Tan, S.L., H. Nakao, Y. He, S. Vijaysri, P. Neddermann, B.L. Jacobs, B.J. Mayer, and M.G. Katze. 1999. NS5A, a nonstructural protein of hepatitis C virus, binds growth factor receptor-bound protein 2 adaptor protein in a Src homology 3 domain/ligand-dependent manner and perturbs mitogenic signaling. Proc Natl Acad Sci U S A. 96:5533-8. Tanaka, E., K. Kiyosawa, Y. Nakatsuji, Y. Inoue, T. Miyamura, J. Chiba, and S. Furuta. 1993. Clinical significance of antibodies to nonstructural and core proteins of hepatitis C virus in posttransfusion hepatitis patients during long-term followup. J Med Virol. 39:318-24. Tanji, Y., M. Hijikata, S. Satoh, T. Kaneko, and K. Shimotohno. 1995. Hepatitis C virus-encoded nonstructural protein NS4A has versatile functions in viral protein processing. J Virol. 69:1575-81. Tarr, A.W., A.M. Owsianka, J.M. Timms, C.P. McClure, R.J. Brown, T.P. Hickling, T. Pietschmann, 176 R. Bartenschlager, A.H. Patel, and J.K. Ball. 2006. Characterization of the hepatitis C virus E2 epitope defined by the broadly neutralizing monoclonal antibody AP33. Hepatology. 43:592-601. Taylor, D.R., M. Puig, M.E. Darnell, K. Mihalik, and S.M. Feinstone. 2005. New antiviral pathway that mediates hepatitis C virus replicon interferon sensitivity through ADAR1. J Virol. 79:6291-8. Thimme, R., J. Bukh, H.C. Spangenberg, S. Wieland, J. Pemberton, C. Steiger, S. Govindarajan, R.H. Purcell, and F.V. Chisari. 2002. Viral and immunological determinants of hepatitis C virus clearance, persistence, and disease. Proc Natl Acad Sci U S A. 99:15661-8. Thimme, R., D. Oldach, K.M. Chang, C. Steiger, S.C. Ray, and F.V. Chisari. 2001. Determinants of viral clearance and persistence during acute hepatitis C virus infection. J Exp Med. 194:1395-406. Thomssen, R., S. Bonk, and A. Thiele. 1993. Density heterogeneities of hepatitis C virus in human sera due to the binding of beta-lipoproteins and immunoglobulins. Med Microbiol Immunol. 182:329-34. Timm, J., G.M. Lauer, D.G. Kavanagh, I. Sheridan, A.Y. Kim, M. Lucas, T. Pillay, K. Ouchi, L.L. Reyor, J. Schulze zur Wiesch, R.T. Gandhi, R.T. Chung, N. Bhardwaj, P. Klenerman, B.D. Walker, and T.M. Allen. 2004. CD8 epitope escape and reversion in acute HCV infection. J Exp Med. 200:1593-604. Trestard, A., Y. Bacq, L. Buzelay, F. Dubois, F. Barin, A. Goudeau, and P. Roingeard. 1998. Ultrastructural and physicochemical characterization of the hepatitis C virus recovered from the serum of an agammaglobulinemic patient. Arch Virol. 143:2241-5. Triyatni, M., B. Saunier, P. Maruvada, A.R. Davis, L. Ulianich, T. Heller, A. Patel, L.D. Kohn, and T.J. Liang. 2002. Interaction of hepatitis C virus-like particles and cells: a model system for studying viral binding and entry. J Virol. 76:9335-44. Tseng, C.T., and G.R. Klimpel. 2002. Binding of the hepatitis C virus envelope protein E2 to CD81 inhibits natural killer cell functions. J Exp Med. 195:43-9. Tsukita, S., and M. Furuse. 1998. Overcoming barriers in the study of tight junction functions: from occludin to claudin. Genes Cells. 3:569-73. 177 Tuplin, A., J. Wood, D.J. Evans, A.H. Patel, and P. Simmonds. 2002. Thermodynamic and phylogenetic prediction of RNA secondary structures in the coding region of hepatitis C virus. Rna. 8:824-41. Urbani, S., C. Boni, G. Missale, G. Elia, C. Cavallo, M. Massari, G. Raimondo, and C. Ferrari. 2002. Virus-specific CD8+ lymphocytes share the same effectormemory phenotype but exhibit functional differences in acute hepatitis B and C. J Virol. 76:12423-34. Van Itallie, C.M., and J.M. Anderson. 2006. Claudins and epithelial paracellular transport. Annu Rev Physiol. 68:403-29. van Kooyk, Y., and T.B. Geijtenbeek. 2003. DC-SIGN: escape mechanism for pathogens. Nat Rev Immunol. 3:697-709. Voisset, C., N. Callens, E. Blanchard, A. Op De Beeck, J. Dubuisson, and N. Vu-Dac. 2005. High density lipoproteins facilitate hepatitis C virus entry through the scavenger receptor class B type I. J Biol Chem. 280:7793-9. von Messling, V., and R. Cattaneo. 2003. N-linked glycans with similar location in the fusion protein head modulate paramyxovirus fusion. J Virol. 77:10202-12. Wakita, T., T. Pietschmann, T. Kato, T. Date, M. Miyamoto, Z. Zhao, K. Murthy, A. Habermann, H.G. Krausslich, M. Mizokami, R. Bartenschlager, and T.J. Liang. 2005. Production of infectious hepatitis C virus in tissue culture from a cloned viral genome. Nat Med. 11:791-6. Walewski, J.L., T.R. Keller, D.D. Stump, and A.D. Branch. 2001. Evidence for a new hepatitis C virus antigen encoded in an overlapping reading frame. Rna. 7:71021. Walker, C.M. 1997. Comparative features of hepatitis C virus infection in humans and chimpanzees. Springer Semin Immunopathol. 19:85-98. Wang, C., S.Y. Le, N. Ali, and A. Siddiqui. 1995. An RNA pseudoknot is an essential structural element of the internal ribosome entry site located within the hepatitis C virus 5' noncoding region. Rna. 1:526-37. Wang, C., J. Pflugheber, R. Sumpter, Jr., D.L. Sodora, D. Hui, G.C. Sen, and M. Gale, Jr. 2003. Alpha interferon induces distinct translational control programs to suppress hepatitis C virus RNA replication. J Virol. 77:3898-912. 178 Wasley, A., and M.J. Alter. 2000. Epidemiology of hepatitis C: geographic differences and temporal trends. Semin Liver Dis. 20:1-16. Weiner, A.J., M.J. Brauer, J. Rosenblatt, K.H. Richman, J. Tung, K. Crawford, F. Bonino, G. Saracco, Q.L. Choo, M. Houghton, and et al. 1991. Variable and hypervariable domains are found in the regions of HCV corresponding to the flavivirus envelope and NS1 proteins and the pestivirus envelope glycoproteins. Virology. 180:842-8. Wherry, E.J., J.N. Blattman, K. Murali-Krishna, R. van der Most, and R. Ahmed. 2003. Viral persistence alters CD8 T-cell immunodominance and tissue distribution and results in distinct stages of functional impairment. J Virol. 77:4911-27. Williamson, R.A., T. Lazzarotto, P.P. Sanna, R.B. Bastidas, B. Dalla Casa, G. Campisi, R. Burioni, M.P. Landini, and D.R. Burton. 1997. Use of recombinant human antibody fragments for detection of cytomegalovirus antigenemia. J Clin Microbiol. 35:2047-50. Wormald, M.R., and R.A. Dwek. 1999. Glycoproteins: glycan presentation and proteinfold stability. Structure. 7:R155-60. www.cdc.gov/hepatitis/HCV. www.epatitec.info. Xu, Z., J. Choi, W. Lu, and J.H. Ou. 2003. Hepatitis C virus f protein is a short-lived protein associated with the endoplasmic reticulum. J Virol. 77:1578-83. Yagnik, A.T., A. Lahm, A. Meola, R.M. Roccasecca, B.B. Ercole, A. Nicosia, and A. Tramontano. 2000. A model for the hepatitis C virus envelope glycoprotein E2. Proteins. 40:355-66. Yamaga, A.K., and J.H. Ou. 2002. Membrane topology of the hepatitis C virus NS2 protein. J Biol Chem. 277:33228-34. Yao, Z.Q., A. Eisen-Vandervelde, S.N. Waggoner, E.M. Cale, and Y.S. Hahn. 2004. Direct binding of hepatitis C virus core to gC1qR on CD4+ and CD8+ T cells leads to impaired activation of Lck and Akt. J Virol. 78:6409-19. Yasui, K., T. Wakita, K. Tsukiyama-Kohara, S.I. Funahashi, M. Ichikawa, T. Kajita, D. Moradpour, J.R. Wands, and M. Kohara. 1998. The native form and maturation process of hepatitis C virus core protein. J Virol. 72:6048-55. 179 Yi, M., R.A. Villanueva, D.L. Thomas, T. Wakita, and S.M. Lemon. 2006. Production of infectious genotype 1a hepatitis C virus (Hutchinson strain) in cultured human hepatoma cells. Proc Natl Acad Sci U S A. 103:2310-5. Yoon, J.C., M. Shiina, G. Ahlenstiel, and B. Rehermann. 2009. Natural killer cell function is intact after direct exposure to infectious hepatitis C virions. Hepatology. 49:12-21. Yoshikura, H., M. Hijikata, N. Nakajima, and Y.K. Shimizu. 1996. Replication of hepatitis C virus. J Viral Hepat. 3:3-10. Zein, N.N. 2000. Clinical significance of hepatitis C virus genotypes. Clin Microbiol Rev. 13:223-35. Zeisel, M.B., S. Fafi-Kremer, I. Fofana, H. Barth, F. Stoll-Keller, M. Doffoel, and T.F. Baumert. 2007a. Neutralizing antibodies in hepatitis C virus infection. World J Gastroenterol. 13:4824-30. Zeisel, M.B., G. Koutsoudakis, E.K. Schnober, A. Haberstroh, H.E. Blum, F.L. Cosset, T. Wakita, D. Jaeck, M. Doffoel, C. Royer, E. Soulier, E. Schvoerer, C. Schuster, F. Stoll-Keller, R. Bartenschlager, T. Pietschmann, H. Barth, and T.F. Baumert. 2007b. Scavenger receptor class B type I is a key host factor for hepatitis C virus infection required for an entry step closely linked to CD81. Hepatology. 46:1722-31. Zhang, J., G. Randall, A. Higginbottom, P. Monk, C.M. Rice, and J.A. McKeating. 2004a. CD81 is required for hepatitis C virus glycoprotein-mediated viral infection. J Virol. 78:1448-55. Zhang, M., B. Gaschen, W. Blay, B. Foley, N. Haigwood, C. Kuiken, and B. Korber. 2004b. Tracking global patterns of N-linked glycosylation site variation in highly variable viral glycoproteins: HIV, SIV, and HCV envelopes and influenza hemagglutinin. Glycobiology. 14:1229-46. Zhang, M.Y., X. Xiao, I.A. Sidorov, V. Choudhry, F. Cham, P.F. Zhang, P. Bouma, M. Zwick, A. Choudhary, D.C. Montefiori, C.C. Broder, D.R. Burton, G.V. Quinnan, Jr., and D.S. Dimitrov. 2004c. Identification and characterization of a new cross-reactive human immunodeficiency virus type 1-neutralizing human monoclonal antibody. J Virol. 78:9233-42. 180 Zhang, P., C.G. Wu, K. Mihalik, M.L. Virata-Theimer, M.Y. Yu, H.J. Alter, and S.M. Feinstone. 2007. Hepatitis C virus epitope-specific neutralizing antibodies in Igs prepared from human plasma. Proc Natl Acad Sci U S A. 104:8449-54. Zhang, P., L. Zhong, E.B. Struble, H. Watanabe, A. Kachko, K. Mihalik, M.L. VirataTheimer, H.J. Alter, S. Feinstone, and M. Major. 2009. Depletion of interfering antibodies in chronic hepatitis C patients and vaccinated chimpanzees reveals broad cross-genotype neutralizing activity. Proc Natl Acad Sci U S A. 106:753741. Zheng, A., F. Yuan, Y. Li, F. Zhu, P. Hou, J. Li, X. Song, M. Ding, and H. Deng. 2007. Claudin-6 and claudin-9 function as additional coreceptors for hepatitis C virus. J Virol. 81:12465-71. Zhong, J., P. Gastaminza, G. Cheng, S. Kapadia, T. Kato, D.R. Burton, S.F. Wieland, S.L. Uprichard, T. Wakita, and F.V. Chisari. 2005. Robust hepatitis C virus infection in vitro. Proc Natl Acad Sci U S A. 102:9294-9. Zibert, A., P. Dudziak, E. Schreier, and M. Roggendorf. 1997. Characterization of antibody response to hepatitis C virus protein E2 and significance of hypervariable region 1-specific antibodies in viral neutralization. Arch Virol. 142:523-34. 181 6. RINGRAZIAMENTI Non c’è ombra di dubbio che il primo grosso GRAZIE lo devo alla mia famiglia: mamma, papà, la mia piccola sorellina ballerina Miriam e il mio angioletto Osvaldo. Tutto quello che ho, e tutto quello che ho imparato lo devo a loro, che mi sono sempre stati accanto, in ogni momento, bello o brutto che sia stato. Ringrazio anche i miei zii ‘di sopra’ , che ormai fanno parte della mia famiglia allargata con la ‘cuoca-infermiera’ Stefania e con ‘la tuttofare’ Martina (altre due sorelline). Un grazie lungo dall’Italia all’Olanda, per una persona speciale: Gabriele; che con la sua pazienza e perseveranza mi è sempre stato vicino. Ringrazio i Professori Clementi Massimo e Roberto Burioni per avermi dato la possibilità di svolgere il mio progetto di tesi nel Laboratorio di Microbiologia e Virologia di Laboraf. Ringrazio la Dott.ssa Laura Solforosi e il Dott.re Nicasio Mancini per i validi consigli e per la loro disponibilità. Un grazie speciale alla mia compagna di viaggio: Donata; e a tutti i miei colleghi che hanno lavorato con me in questi anni: Gisella, Giuseppe, Chiara, Monica, Alice e Nicola, non potrò mai dimenticare i bei momenti passati in laboratorio e fuori insieme. Grazie anche a voi due e a ‘san palo’…almeno questo non potete criticarmelo…!! Lo so che non sono brava con le parole, ma tutti questi ringraziamenti sono stati veramente fatti con il cuore….GRAZIE. 182