Spedizione in A.P. - art.2 comma 20/c
legge 662/96
Reg.Trib. Roma n.373 del 16.08.2001
n.1
estate 2001
Rivista di Informazione sull’HIV
Africa: “L’istanza è ritirata..
"Con il consenso di tutte le parti, vorremmo semplicemente
chiedere a vostra eccellenza di rilevare che l'istanza è ritirata".
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L A N UOVA R IVISTA D ELTA
Panoramica sui nuovi
studi e le attuali
sperimentazioni
pagina 6
IN QUESTO NUMERO
AFRICA: “L’istanza è ritirata..”
1
Virus HIV e coinfezione HIV/HCV
4
I NUOVI FARMACI in studio
per l’ infezione da HIV
RESISTENZE
6
11
L’ADERENZA:
fattore associato alla risposta 13
VACCINI più vicini?
14
TERAPIE a passo di tango
16
nizia con l'estate del 2001 la pubblicazione della nuova rivista
Delta dell'associazione Nadir ONLUS, sotto la direzione responsabile di Filippo von Schloesser.
Rispetto al piano editoriale siamo in ritardo nella pubblicazione del
primo numero in quanto, nonostante le promesse fatte nel 1999 di
aiutarci per due anni, Glaxo Welcome, che ora è più grande e più
forte dopo la fusione con SmithKline Beecham, e sta anche sviluppando due vaccini per l'HIV, ha deciso di sponsorizzare l'iniziativa
solo con un 10% rispetto alla precedente edizione della rivista
Delta. Ringraziamo gli altri sponsor (Merch, Abbott, BI, BMS, DP,
Roche, Virco) che con il costante supporto all’associazione Nadir e
da ora anche alla rivista, ci hanno garantito il supporto finanziario e
psicologico necessari per intraprendere questa iniziativa.
Ci rivolgiamo ora ad un target specifico che include infettivologi,
e non solo medici di famiglia come previsto inizialmente, persone ed
associazioni interessate in prima persona alle novità sulle terapie
per l'HIV. Riteniamo che la rivista possa essere di interesse degli
operatori e delle persone a qualsiasi titolo coinvolte: desideriamo
informarli sullo stato dell'arte e di quello che ne pensiamo noi dell'associazione.
Le terapie per l'infezione da HIV stanno diventando sempre più
articolate, gli studi sulla patogenesi mostrano aspetti sempre più
complessi, le conferenze a cui partecipiamo noi della Nadir abbracciano campi sempre più vasti. Ci auguriamo di riuscire a tradurre in
un linguaggio comprensibile a tutti molto di quanto sta succedendo
nel mondo intorno all'infezione e di integrare l’informazione con l’opinione del “community rep”.
La Redazione
I
on queste poche parole il legale
delle multinazionali farmaceutiche,
ha messo la parola fine al processo
che vedeva contrapposti il Governo
Sud Africano ed uno dei più potenti
cartelli economici che esistano al
mondo. La conclusione del processo
che fino a ieri ha contrapposto per tre
anni 39 case farmaceutiche ed il
governo del Sudafrica, colpevole di
aver varato nel 1997 il "Medicines
Act", una legge in grado di assicurare
a prezzi più accessibili i farmaci antiretrovirali ai 5 milioni di sudafricani
colpiti dal virus dell'HIV, rappresenta
un’importante precedente per molti
altri paesi in via di sviluppo. La decisione delle aziende di ritirare l'azione
legale contro il governo di Pretoria è
incondizionata, e perciò ancora più
significativa, e a questo punto non
sarà più possibile ostacolare con logiche di mercato il sacrosanto diritto dei
governi a garantire l'accesso ai farmaci a chi ne ha bisogno, non solo contro
l'Aids, ma anche contro le molte altre
malattie infettive e respiratorie che
ogni anno uccidono milioni di persone. Si tratta di un’ importante vittoria
che costituisce l'ulteriore dimostrazione che la società civile può avere la
meglio sulle potenti multinazionali.
Molti si chiedono come mai le aziende farmaceutiche si siano imbarcate in
quello che è diventato in pochi mesi
un vero e proprio disastro di pubbliche relazioni. Il motivo principale è
che la causa di Pretoria è stata, fin dall’inizio, uno scontro che andava ben
oltre la prospettiva locale. E’ in tale
prospettiva che va interpretata la conclusione di una vicenda di cui non è
ancora possibile comprendere appieno
gli sviluppi. L'intera industria dei
medicinali è stata finora basata su un
modello apparentemente inattaccabicontinua
le: il presupposto secondo il quale la ricerca farmaceutica deve essere sostenuta da un
adeguata protezione sui brevetti farmaceutici, che garantiscano alle multinazionali il
recupero dei costi di sviluppo e ricerca da
poter reinvestire in nuova ricerca. Succede
ora che questo sistema ben congegnato e
solido viene messo in discussione e mostra
crepe vistose.
Ricerca - Profitto - Ricerca
E’avvenuto per effetto di movimenti di opinione consapevoli, per via di guerre commerciali scatenate dai nuovi entrati e rappresenta un tipico effetto positivo dovuto
alla globalizzazione dei mercati e delle
comunicazioni. La causa Sudafricana rappresenta in questo senso uno degli avvenimenti più importanti degli ultimi anni, su
cui dovrà necessariamente ridefinirsi la
logica ricerca-profitto-ricerca in base alla
quale sembrava doversi reggere l’intero
ciclo produttivo dei farmaci. Nel 1997
Nelson Mandela, premio Nobel per la pace
e primo presidente democraticamente eletto
dai sudafricani, firmò una legge che consentiva al suo Paese di importare e produrre una versione più economica e non protetta da brevetto dei farmaci contro l’HIV.
Le aziende farmaceutiche impugnarono la
legge e riuscirono a bloccarne l'applicazione. Le industrie del farmaco sostenevano
che la legge, se applicata, avrebbe concesso
al ministero della Sanità sudafricano poteri
arbitrari, in violazioni di tutti gli accordi
internazionali sul commercio.
Gli Accordi TRIPS
Le multinazionali si sono appellate ai famigerati accordi TRIPS, una serie di accordi
approvati dall’organizzazione mondiale per
il commercio che coprono settori strategici
come il diritto d’autore, i brevetti industriali, le licenze, il deposito e la protezione dei
marchi, estendendosi progressivamente
anche alle specie vegetali ed agli organismi
geneticamente modificati, così come ai processi biologici, che sono attualmente brevettabili. Rispetto ai farmaci la norma più
importante definita dai TRIPS e dagli
accordi multilaterali, è la protezione del
brevetto relativo ai prodotti farmaceutici
per un periodo minimo di 20 anni.
L’accordo TRIPS lascia tuttavia aperta una
strada, anche per i paesi membri
dell’OMC/WTO. I paesi possono cioè
applicare, anche se a determinate condizioni, la Registrazione Forzata e l’importazione parallela di farmaci a basso costo, anche
contro la volontà dei titolari del brevetto.
Questa azione non implica necessariamente
la violazione degli accordi TRIPS. Tuttavia
molti paesi che potrebbero utilizzare questa
facoltà, ed in modo particolare quelli che
hanno esplicitamente dichiarato di essere in
procinto di farlo, sono tuttora soggetti ad
enormi pressioni, rappresaglie e forme di
deterrenza a livello economico perché assicurino la protezione dei brevetti sui farmaci. Una delle principali obiezioni delle multinazionali farmaceutiche è che un maggiore utilizzo delle Registrazioni Forzate e
delle Importazioni Parallele da parte dei
paesi in via di sviluppo può diventare una
minaccia per l’investimento di capitali nella
ricerca scientifica. Va tuttavia sottolineato
che, attualmente, la maggior parte dei costi per
la ricerca e lo sviluppo sono ammortizzati
dalle vendite nei paesi industrializzati e dalle
rendite finanziarie sui titoli. Richard Laing,
professore del Dipartimento di Salute
Internazionale di Boston sostiene che l’apporto al mercato mondiale farmaceutico dei paesi
Africani e del SudEst Asiatico, oppure delle
comunità degli Stati Indipendenti, è talmente
piccola da risultare irrilevante per il recupero
dei costi per la ricerca e lo sviluppo, e che
quindi questi paesi non possono rappresentare
una seria minaccia per le industrie farmaceutiche. L’IFPMA dichiara invece che attualmente i maggiori rischi economici relativi alla
ricerca ed allo sviluppo sono totalmente a
carico delle industrie farmaceutiche. Per tale
ragione l’unico modo per garantire che questi
investimenti continuino, è garantire alle stesse
industrie un periodo di totale monopolio sui
prodotti. Uno degli studi più dettagliati sul
costo dei protocolli di ricerca clinica fu pubblicato nel 1991 dal Journal of Health
Economics..
Ricerca e Sussidi
Gli autori riscontrarono che il costo totale
per lo sviluppo di un nuovo prodotto medicinale può arrivare a 500 milioni di dollari
per farmaco. Tuttavia, parlando dei farmaci
contro l’HIV, è pratica comune che i governi sostengano parte dei costi della ricerca.
Per le case farmaceutiche questo significa
la riduzione del prezzo per l’introduzione di
nuovi prodotti sul mercato. Secondo la
stima dello stesso Governo degli Stati Uniti
i costi per ottenere l’approvazione di un farmaco contro l’HIV da parte dell’FDA
ammonterebbero a 25 milioni di dollari.
Ognuno dei farmaci contro l’HIV attualmente in commercio fu prima scoperto, e
poi sviluppato con il sostegno delle
Agenzie Governative. Tra questi farmaci vi
sono il ddI (Videx), l’AZT (Retrovir), il
d4T (Zerit), Ritonavir (Norvir) ed il T-20.
Per tale ragione le organizzazioni dei consumatori e gli attivisti hanno messo in dubbio la stessa legittimità dei brevetti. Il
Massachusetts Institute of Technology
(Mit), di Boston, ha scoperto che dei 14
medicinali dell'ultimo quarto di secolo, par-
2
ticolarmente interessanti per gli industriali,
ben 11 provenivano da ricerche finanziate
dallo stato. Ad esempio sia Norvir sia
Kaletra [sui quali Abbott si è dichiarata disponibile ad applicare una riduzione del
70% sul prezzo] sono stati sviluppati con il
Sessione Speciale delle
Nazioni Unite su HIV/AIDS
Tra il 25 e il 27 giugno ha avuto luogo presso il Palazzo delle Nazioni Unite la Sessione
Speciale dell'Assemblea Generale su
HIV/AIDS. Le maggiori associazioni del
mondo, "The Civil Society", sono state invitate a partecipare e tra di esse, l'EATG, che ha
deciso di inviare F. von Schloesser come rappresentante. Come noto, l'ONU, dopo varie
controversie, ha raggiunto l'accordo sulla
risoluzione di emergenza AIDS. Il testo della
risoluzione può essere consultato presso il
sito www.unaids.org.
Nonostante il conflitto che ha causato l'inserimento del concetto di "uomini che praticano sesso con uomini" tra i paesi arabi ed il
rappresentante del Vaticano, la risoluzione è
passata nella sua interezza ed attendiamo
ora la costituzione del fondo speciale istituito
dal segretario generale Kofi Annan per l'inizio
delle campagne di prevenzione e per l'invio di
terapie ai paesi più svantaggiate.
von Schloesser ha riferito che è stato particolarmente toccante il momento in cui Kofi
Annan ha dichiarato all'apertura
dell'Assemblea …"Non vi sono più loro e
noi"… e le parole di Colin Powell, Segretario
di Stato USA, il quale ha
affermato…"Dobbiamo combattere il virus,
non chi ne è colpito". von Schloesser ha
anche denunciato che l'Italia, mirante a un
ruolo politico internazionale di spicco, non è
stata capace di presenziare all'Assemblea
Generale con alcun membro del governo,
mentre Portogallo, Spagna, Svezia e altri
paesi europei sono stati rappresentati dal
proprio Presidente della Repubblica o dal
Ministro della Sanità. L'Italia, invece, da un
funzionario del Ministero degli Esteri. A tale
proposito, tutte le associazione italiane
hanno aderito alla lettera di protesta inviata
da Nadir al governo.
David Osorio
sostegno di fondi pubblici, e il governo
degli Stati Uniti avrebbe il diritto di registrare entrambi i prodotti. Sulla base delle
informazioni del sito FDA CDER, tutti i
brevetti relativi a Kaletra includono una
dicitura secondo la quale "Questa invenzione è stata fatta con il sostegno del governo
[contratto numero Al27220 a favore del
Africa: L’Istanza è ritirata..
National Institute of Allergy and Infectious
Diseases. Il governo degli Stati Uniti detiene alcuni diritti sulla scoperta". Per tale
ragione il governo degli Stati Uniti potrebbe consentire all'OMS di utilizzare il brevetto su entrambi i farmaci nei paesi in via
co. L'Università del Minnesota prevede
invece di incassare oltre 300 milioni di dollari sui diritti relativi al proprio brevetto su
Ziagen. Nel 1999 l'università del Minnesota
vinse una causa legale relativa alla violazione dei diritti di proprietà da parte di
Glaxo Wellcome, che aveva commercializzato farmaci sviluppati con fondi pubblici.
L'università del Minnesota sosteneva, infatti, che Ziagen [venduto sul mercato ad oltre
4000 dollari l’anno] facesse parte dei
numerosi farmaci brevettati negli anni '80
da Robert Vince, un professore dell'istituto
superiore di farmacia dell'università, e che
in seguito il farmaco fosse stato registrato
illecitamente da Glaxo. Dal 1999, l'università ha ricevuto circa 15 milioni di dollari di
diritti e conta di riceverne altri 300 nei
prossimi dieci anni. Sulla base di queste
informazioni Oxfam, un gruppo di attivisti
con sede in gran Bretagna, ha chiesto ufficialmente al preside dell'università del
Minnesota, Mark Yudof, di rinunciare al
brevetto su Ziagen e di metterlo a disposizione di un organismo internazionale come
la World Health Organization, e di versare
nelle casse del WHO una parte dei diritti di
proprietà già incassati. Gli studenti ed i ricercatori della Yale University hanno convinto la
multinazionale Bristol-Myers Squibb Co. a
rinunciare, poche settimane prima della ripresa
delle udienze, ai diritti sul brevetto relativo a Zerit,
un farmaco antiretrovirale prodotto con fondi
pubblici. Nelle settimane successive gli attivisti
degli altri campus si sono coordinati con gli attivisti che si battono per l'accesso ai farmaci contro
l’Aids denunciando che alcune università detengono i brevetti su alcuni farmaci chiave per il trattamento dell'HIV/AIDS.
Le Campagne
di sviluppo. Alla fine di Marzo gli studenti
di Yale hanno denunciato che l’università
guadagna 40 milioni di dollari l'anno per i
diritti su d4T ma che l'amministrazione
avrebbe le mani legate a causa di un accordo firmato con Bristol-Myers Squibb, che
darebbe alla compagnia farmaceutica i
diritti esclusivi sulla produzione del farma-
L'Università di Berkeley ha lanciato recentemente un importante campagna di liberalizzazione dei contributi scientifici in
campo biomedico perchè divengano totalmente disponibili, senza alcun laccio o lacciuolo connesso con le limitazioni dellle
leggi del copyright di autori ed editori, considerate inaccettabili in un campo di pubblica utilità quale è appunto la circolazione
delle idee in questo campo. Il testo dell'appello cui hanno aderito quasi trentamila
ricercatori di tutto il mondo recita
"Appoggiamo il progetto di stabilire una
biblioteca pubblica online, che fornirà integralmente e in modo gratuito gli articoli di
ricerca nei settori della medicina, della biologia e delle scienze della vita (...). La presenza di questa biblioteca accrescerà la disponibilità e l'utilità della letteratura scientifica, migliorerà la produttività, e catalizzerà l'integrazione di diversi punti di vista e
idee
nelle
scienze
biomediche.
3
Riconosciamo che gli editori delle riviste
scientifiche hanno il diritto a un ritorno
economico per il loro ruolo nella comunicazione scientifica. Crediamo però che un
archivio permanente delle pubblicazioni
scientifiche e delle idee non dovrebbe essere posseduto né controllato dagli editori
(...). Per spingere gli editori delle riviste a
sostenere l'iniziativa, dichiariamo che a
partire da settembre 2001 pubblicheremo,
revisioneremo, faremo da referee e ci abboneremo soltanto a quelle riviste che hanno
accettato di garantire accesso gratuito e
senza restrizioni a qualsiasi articolo di
ricerca originale, avvalendosi di PubMed
Central e di risorse online similari, entro sei
mesi dalla data di pubblicazione"
I primi firmatari sono Harold Varmus, ora
presidente del Memorial Sloan-Kettering
Cancer Center di New York, Pat Brown
dell'Università di Stanford, e Richard
Roberts dei New England BioLabs. Il
primo a dare il buon esempio è stato il New
England Journal of Medicine, che ha cambiato sia l'aspetto del sito web sia la politica dell'accesso: tutto il materiale sarà gratuito a sei mesi dalla pubblicazione; tuttavia
fino a quel momento saranno riservate agli
abbonati anche alcune sezioni, come gli editoriali, che finora erano ad accesso libero.
Il Diritto alla Salute
Il ritiro delle multinazionali farmaceutiche
dalla causa di Pretoria sembrerebbe dunque
una vittoria delle forme di controllo più
avanzate che la società potrebbe esercitare
sulle attività economiche e sull’accesso ai
propdotti della ricerca biomedica. La vicenda che si è chiusa a Pretoria ha stabilito che
il diritto alla salute è un valore prevalente
rispetto al diritto di proprietà ed al profitto,
e che il farmaci e vaccini vengano inquadrati nei meccanismi del mercato globale
non è più sostenibile. E’ necesario comunque ricostruire sistemi sanitari che anni di
colonialismo e di cooperazione allo sviluppo non sono riusciti a far crescere. A questo
vanno aggiunte anche le importanti responsabilità degli stessi governi africani, che
hanno negato per anni l’esistenza di un
“problema Aids" e dilapidato le pur limitate risorse in guerre e armamenti. Per questo,
quanto sta accadendo in questi giorni non è
che un primo, piccolo passo. La gioia che ha
salutato nell’aula del tribunale sudafricano, e nel
mondo, la risoluzione del conflitto non deve quindi far dimenticare che la vittoria della società civile in Sud Africa ci pone ancora una volta di fronte alla questione fondamentale che riguarda il
modello di sviluppo mondiale che vogliamo
lasciare in eredità per le generazioni future.
Mauro Guarinieri
Virus HCVe coinfezione HIV/HCV
Epidemiologia
’epatite C è una malattia infettiva che causa uno stato infiammatorio con conseguente danno
Lepatico.
La principale via di trasmissione dell’HCV è il contatto con il sangue infetto. Il virus è stato
isolato nel 1998.Dopo il 1998 è stato possibile produrre i test, riducendo la trasmissione dovuta alle
trasfusioni con emoderivati infetti. Da allora la via di trasmissione più comune del virus HCV è lo
scambio di aghi e siringhe infette tra i consumatori di droga per via endovenosa. Si calcola che oltre
tre milioni di persone abbiano un’infezione cronica da HCV. Le attuali raccomandazioni non precludono i rapporti sessuali non protetti per le coppie eterosessuali in cui uno dei due partner sia positivo al virus HCV in quanto la trasmissione dovuta a rapporti eterosessuali appare molto ridotta.
Tuttavia, tra le coppie omosessuali la percentuale sembra essere più’ elevata. Il virus HCV è dieci
volte più infettivo dell’HIV. Per tale ragione, nei centri urbani l’incidenza dell’HCV nella popolazione
sieropositiva supera il 70%.Alcuni studi condotti su consumatori di sostanze stupefacenti per via
endovenosa dimostrano che oltre il 70% dei pazienti sono positivi al virus
HCV, ed il 30% sono positivi sia al virus HCV sia al virus HIV. Per tale ragione, vista la diffusione dell’HIV tra i tossicodipendenti, un numero sempre
maggiore di persone ha la coinfezione HIV/HCV.
Storia naturale
dell’infezione da HCV
maggior parte dei casi l’HCV non è associato ad
Nalcunellasintomo
al momento della sieroconversione. Dopo il
contatto con il virus, circa il 15% delle persone riesce ad
eradicare l’infezione naturalmente. Il restante 85% non
svilupperà alcun sintomo per decenni. Normalmente la
diagnosi viene fatta attraverso programmi di controllo
estensivo sui gruppi a rischio, a seguito dei controlli sulle
persone che hanno ricevuto trasfusioni di sangue prima
del 1985, oppure a seguito del test dopo che i valori epatici risultano alterati. Considerato il fatto che molte persone rimangono asintomatiche per molti anni dopo l’infezione e che per tale ragione non vengono diagnosticate,
esistono una serie di bias rispetto agli studi sul decorso
naturale dell’infezione da HCV. Questo succede perché gli
operatori sanitari hanno generalmente a che fare con persone gia’ malate, senza considerare il fatto che molte altre
persone hanno contratto l’infezione pur non avendo alcun
sintomo. Circa il 10% delle persone con infezione cronica
andranno incontro a cirrosi epatica ed alle complicazioni
dovute alla cirrosi. Circa il 10% delle persone con infezione cronica da HCV andranno incontro a tumore al fegato.
Le complicazioni potenzialmente fatali non compariranno
prima di 10 o 20 anni dal momento dell’infezione. Una
delle maggiori sfide rispetto alla determinazione della percentuale di progressione dell’infezione da HCV e’ il fatto
che e’ necessaria la biopsia epatica per determinare il
danno e l’infiammazione del fegato. Ne’ gli esami del sangue (SGOT, SGPT) ne’ la carica virale sono associate al
danno epatico. I seguenti fattori sono associati al rischio
di progressione: eta’, sesso maschile, e consumo di alcool.
Trattamento dell’HCV
risultati si ottengono utilizzando in combinazione interferoInemigliori
e ribavirina utilizzando sia interferone standard sia il nuovo interferone pegilato a lento rilascio (peg-interferon).L’interferone standard viene amministrato tre volte la settimana tramite iniezione sottocutanea, e rimane in circolo nell’organismo per un periodo di tempo
molto breve. La somministrazione può essere associata a sintomi di
tipo influenzale dopo ogni iniezione, ed è significativamente associato alla depressione. Il Peg-Interferon (pegylated-40K interferon alfa2a) è una formulazione di’Interferone che lo rende più solubile all’acqua, ne aumenta la biodisponibilità permettendo al farmaco di rimanere in circolo più a lungo, consentendo inoltre un rilascio costante e
continuo del principio attivo, evitando i “picchi” e le “cadute” tipici
della terapia con IFN Standard somministrato a giorni alterni o tre
volte la settimana. Il PEG ha la particolarità di poter essere iniettato
una sola volta la settimana. Gli effetti collaterali sono sostanzialmente simili a quelli dell’IFN, forse più blandi, proprio per l’assenza
dell’effetto “picchi e cadute” di concentrazione ematica. Il farmaco,
attualmente utilizzato negli Stati Uniti, è disponibile per la sperimentazione anche nei centri specializzati di Epatologia italiani. In uno studio condotto su 155 persone trattare con il PEG, nel 76% dei casi il
virus non era più evidenziabile nel sangue entro le 12 settimane, e
nel 36% di questi ultimi il virus ha continuato ad essere “non evidenziabile” anche dopo 34 settimane dalla fine del trattamento. Il Peg
Interferon viene somministrato una sola volta alla settimana tramite iniezione
sottocutanea, ed è associato ad un profilo di tossicità simile a quello dell’interferone standard.
La misura dell’efficacia del trattamento dell’HCV è definita dalla proporzione delle persone che mantengono una carica virale HCV RNA
irrilevabile sei mesi dopo il trattamento (risposta sostenuta al trattamento).Alcune evidenze, basate su biopsie che dimostrerebbero una
progressione più lenta del danno epatico, suggerirebbero tuttavia
che alcune persone potrebbero trarre vantaggio dalla terapia anche
in assenza di una risposta sostenuta al trattamento. Inoltre, le persone con cirrosi epatica potrebbero trarre vantaggio dal trattamento
con interferone sebbene vengano regolarmente escluse dalla maggior parte degli studi con IFN. Sfortunatamente, la maggior parte
degli studi clinici con interferone e ribavirina, e peg-interferon e ribavirina non prevede l’eligibilità delle persone sieropositive.
4
Coinfezione HIV/HCV
una stretta correlazione tra infezione
Eda siste
HIV ed infezione da HCV rispetto alla
popolazione dei consumatori di sostanze per
via endovenosa. Si calcola che oltre 250.00
persone siano coinfette con HCV/HIV solamente negli Stati Uniti. La prevalenza
dell’HCV tra i consumatori di sostanze stupefacenti per via endovenosa è maggiore di
quella associata all’HIV, ma il numero delle
persone con coinfezione HIV/HCV sta
aumentando in modo preoccupante. Diversi
riportano una percentuale di coinfezione del
23% rispetto al 75% dei consumatori di
sostanze per via endovenosa colpite
dall’HCV. Uno studio condotto su 213 persone sieropositive, di cui il 35% con coinfezione
HIV/HCV, ha concluso che le persone comprese tra i 40 ed i 49 anni di età corrono un
rischio maggiore di contrarre l’infezione da
HCV. Non è stata rilevata alcuna associazione con il sesso e con la razza.
La presenza dell’infezione da Hiv può ridurre
l’attendibilità del test per la ricerca degli
anticorpi all’HCV. Esiste infatti un rischio
sensibilmente maggiore sia di falsi positivi
sia di falsi negativi nelle persone sieropositive. Le attuali linee guida americane per la
prevenzione delle infezioni opportunistiche in
presone con HIV raccomandano che il test
positivo all’HCV sia sempre confermato sia
dal test RIBA (recombinant immunoblot
assay) sia dalla ricerca dell’HCV-RNA .
Inoltre, si raccomanda che le persone negative al test HCV, ma con sofferenza epatica
senza apparenti spiegazioni, si sottopongano
al test per la ricerca dell’HCV RNA.
Diversi studi condotti in epoca precedente
all’introduzione degli antiretrovirali hanno
dimostrato che, mentre il decorso dell’infe-
zione da HIV nelle persone con coinfezione
HIV/HCV non cambia, il decorso dell’infezione da HCV è più rapido nelle persone sieropositive. Tuttavia, la questione ancora
senza risposta è quale sia l’impatto dell’immunoricostituzione conseguente alla terapia
HAART rispetto al decorso dell’infezione da
HCV nelle persone con infezione HIV/HCV.
Il fatto che l’alcool peggiori la situazione è
un dato ormai acquisito. L’indicazione generale è di sospendere l’uso di qualsiasi
sostanza alcolica, in caso di infezione da
HCV. Inoltre, per persone con infezione da
HCV dovrebbero vaccinarsi contro l’epatite
B, qualora non risultino già immuni. La
ragione è che un’epatite acuta, A oppure B,
può peggiorare in modo drammatico il
decorso dell’epatite C fino a risultare, in
alcuni casi, fatale.
Trattamento dell’HCV in caso di coinfezione HIV/HCV
Sebbene vi siano diversi dati che dimostrano che le persone con
carenza di dati rispetto a tali questioni. Esistono un mucchio di
sistemi grazie ai quali le persone con HCV sono escluse dagli studi
infezione da HCV corrono maggiori rischi di alterazione delle funzioclinici sulla terapia HAART: limitazioni relative all’esito dei test relane epatiche a causa della terapia HAART, la maggior parte dei clinici
tivi alle funzioni epatiche, limitazioni relative al consumo di sostanze
concorda sul fatto che in caso di coinfezione sia possibile trattare
stupefacenti, sottovalutazione dell’eligibilità delle persone con
contemporaneamente sia l’HIV sia l’HCV. Le raccomandazioni sono
HIV/HCV negli studi clinici, esclusione delle persone in trattamento
di trattare prima l’infezione da HIV, per contare sulle migliori condisostitutivo con metadone ed esclusione esplicita delle persone con
infezione da HCV. Il risultato è che
non è stato fino ad opra possibile
condurre alcuno studio sul controllo
Perché la terapia HAART può peggiorare la funzionalità epatica
immunologico dell’infezione da HCV e
Esistono molte ragioni per le quali gli indicatori della funzione epatica potrebbero risultare
sul modo in cui l’HCV produce il
alterati nel corso della terapia HAART:
danno epatico e la fibrosi. Salvo che
non vi siano motivi di carattere scien* Gli inibitori della proteasi possono danneggiare ulteriormente il fegato
tifico che giustifichino l’esclusione
* La concentrazione plasmatica degli Inibitori della proteasi potrebbe essere troppo alta nelle
delle persone con HCV le persone
persone con infezione da HCV
con Epatite C dovrebbero essere
* Un aumento della risposta immunitaria e la comparsa della “sindrome da immunoricostitu
arruolate negli studi clinici che prevezione” potrebbero peggiorare il danno epatico dovuto all’infezione da HCV
dono l’utilizzo di terapia HAART.
* La terapia HAART potrebbe aumentare la replicazione del virus HCV.
Il gruppo ACTG (Aids Clinical Trials
Group) ha messo in cantiere uno studio che mette a confronto l’interferone standard con il peg-interfezioni immunologiche per il trattamento dell’HCV. Ma la maggior parte
ron, sempre in associazione con ribavirina, in persone con coinfeziodelle persone può essere trattata sia per l’una sia per l’altra infezione HIV/HCV. Esistono sino ad ora pochissimi studi che abbiano
ne, contemporaneamente, visto che gli effetti collaterali della magvalutato l’efficacia e la tossicità del trattamento contro l’HCV nelle
gior parte dei farmaci anti-HIV sono troppo pesanti per un fegato
persone sieropositive. I (pochi) dati preliminari sembrano indicare
danneggiato dall’infezione da HCV. Esistono inoltre alcune preoccuuna maggiore incidenza di anemia associata all’uso della ribavirina.
pazioni rispetto alle potenziali interazioni farmacologiche tra ribaviriPer tale ragione sono attualmente allo studio dosaggi ridotti e l’uso
na ed inibitori nucleosidici della trascrittasi inversa (NRTI), anche se
di farmaci che favoriscono la produzione dei globuli rossi. Sebbene
non pare che tali interazioni siano significative da un punto di vista
vi sia una temporanea riduzione dei CD4 durante il trattamento
clinico.
dell’HCV, i valori tornano normali subito dopo l’interruzione del ciclo
Esistono inoltre una serie di dati che sembrebbero indicare che l’imdi trattamento. Sfortunatamente, la maggior parte delle persone
munoricostituzione associata alla terapia HAART potrebbe favorire
con HCV ha il genotipo-1 che è associato alla peggiore risposta al
la capacità del sistema immunitario a controllare la replicazione del
trattamento.
virus HCV ed il danno epatico associato. Benhamou ha riportato
Un altro problema è che le persone con HIV/HCV non sono geneche le proiezioni relative all’incidenza del danno epatico decrescono
ralmente ammesse al trapianto del fegato. La ragione sarebbe che,
significativamente in associazione all’utilizzo di una terapia HAART
le potenziali interazioni tra i farmaci immunosoppressivi ed i farmaci
con inibitore della proteasi. Non è ancora chiaro per quale ragione
contro l’HIV non sono note. Ma le persone in ogni caso muoiono
la terapia con IP sia maggiormente associata alla riduzione del
perché gli è negato il trapianto, sebbene non esistano ragioni condanno epatico rispetto alla HAART senza IP, che sembrebbe avere
crete per escludere le persone sieropositive dai programmi di trala stessa efficacia rispetto alla carica virale ed al numero di CD4.
pianto.
L’esclusione delle persone positive all’HCV dalla maggior parte
degli studi clinici sulla terapia HAART ha prodotto un’inaccettabile
5
I NUOVI FARMACI PER L’INFEZIONE DA HIV
a terapia antiretrovirale non ha mai visto un accelerazione tanto importante come quella in atto oggi nello studio dell’efficacia di
Lmolecole
antiretrovirali. La ricerca del farmaco ideale: potente, tollerabile e facile da assumere, è stato l’obiettivo che da sempre i
ricercatori tentano di raggiungere. A differenza di qualche anno fa, oggi il mercato chiede farmaci competitivi sul piano della tollerabilità: pochi effetti collaterali a breve e lungo termine, efficacia antivirale in modo da potere anche essere utilizzati in regimi di semplificazioni terapeutiche. Riamane tuttavia inalterato lo stato di emergenza che da sempre caratterizza la ricerca sui farmaci anti HIV.
Attualmente ci sono più di 15000 persone in Europa che necessitano di farmaci nuovi per sopravvivere a virus ormai troppo resistenti.
Questo articolo vuole provare a riassumere quali nuovi farmaci sono attualmente in studio in diverse fasi di sviluppo.
Inibitori della Trascrittasi Inversa
Analoghi Nucleosidici (NRTI)
DOTC (BCH-10652)
BioChem Pharma è la casa produttrice che ha ideato e sta studiando dOTC, si tratta di un analogo
nucleosidico, che dai primi dati a disposizione necessita di due dosi giornaliere per diminuire efficacemente la replicazione virale . E' stato condotto in Sud Africa un piccolo studio in monoterapia per
testarne efficacia e tollerabilità. 30 persone sono state randomizzate a dOTC (200mg, 300mg,400
mg die) o placebo. Dopo una settimana di trattamento, il viral load era sceso di 1 log in ogni gruppo di trattamento con dOTC (Wood). Uno studio per stabilire il dosaggio è attualmente in corso
negli USA.
Profilo di resistenza
Alcune valutazioni in vitro predicono l'attività di dOTC contro virus resistenti ad AZT e 3TC quando
sono presenti mutazioni sul codone 215 e la M184V. Mutazioni contro dOTC sembrano essere rallentate
dalla presenza di 3TC e sono caratterizzate dalla presenza di alterazioni sui codoni 184 e 65, che provocano cross
resistenza a 3TC.
Bibliografia
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U Wood R.et al. 39° ICAAC , San Fancisco ABS 503, 1999
DAPD
Emitricitabina-FTC (Coviracil)
Efficace sia contro HIV che contro HBV, in sviluppo da Triangle DAPD è un dimainopurino
dioxolone viene trasformato in DXG (dioxolone guanina) all'interno della cellula diventando un
potente inibitore della Trascrittasi Inversa. Anche ad alte concentrazione non sono stati riportati danni cellulari.
Studi preliminari in vitro, dimostrano che anche alte cross resistenze tra NRTI, non alterano
la sensibilità a DXG. La mutazione L74V conferisce una leggera perdita di sensibilità in vitro .
Tale mutazione conferisce cross resistenza tra DAPD e ddI. DAPD è attivo contro virus resistenti a AZT e 3TC, quindi potrebbe essere un farmaco utilizzabile in regimi di salvataggio.
DAPD è attivo anche contro le inserzioni a livello del codone 69 e 215Y. Tuttavia l'inserzione
su codone 69 e la presenza della Q151M, mutazioni particolarmente temute perchè inducenti
una grave cross resistenza a tutti gli NRTI, diminuisce di 400 volte la sensibilità del virus
anche a DAPD. Vi è qualche dato sulla possibilità che mutazioni agli NNRTI migliorino la
sensibilità a DXG, e che la presenza della mutazione L74V associata a DAPD, possa risensibilizzare il virus all'AZT.
Attualmente FTC, 2',3'-dideossi-5-fluoro-3 'thiacytidina , sviluppato dalla Triangle , si trova in fase II/III. In
vitro appare efficace contro HIV ed HBV, 10 volte di
più del 3TC. Dai dati attuali emerge che FTC e 3TC
sono assolutamente cross-resistenti e che la sensibilità del virus diminuisce di molto solo con la presenza
della M184V. non può quindi essere considerato una
farmaco utile per terapie di salvataggio. Uno studio
per la ricerca della dose efficace, ha dimostrato la
lunga emivita intracellulare con una dose qd. Il miglior
effetto antivirale è stato visto con una dose di 200
mg/die con una diminuzione di 1,7-1,9 log . Tra le
persone portatrici di epatite cronica B, in trattamento
con FTC, è stata vista è una diminuzione della viremia dell' HBV di 2-3 log (Gish 1999). Attualmente è
in studio la dose di 200 mg/die per il controllo
dell'HBV.
Nello studio FTC 303, 440 persone con viremia <400
copie/ml sono state randomizzate a mantenere la
terapia con 3TC o “shiftare” ad FTC. Dopo 48 settimane non vi sono state differenze tra le due popolazioni.
Nello studio FTC 302- 468 persone naive sono state
randomizzate ad usare FTC o 3TC in associazione
con d4T e NVP o EFV. Una rebound viremico, dopo
un'iniziale soppressine virologica sotto le 40 copie, si
è avuto nel 12% delle persone che assumevano FTC
e nel 6% di coloro che assumevano 3TC (p<0,05). Il
60% di coloro che hanno mostrato un rebound viremico con FTC aveva un wild type virus, rispetto al 23%
di chi usava 3TC e solo il 15% mostrava la mutazione
M184V rispetto al 54% dei pazienti in 3TC (p=0,03).
Il farmaco sembra essere ben tollerato, a parte qualche disturbo gastrointestinale. Tuttavia sono stati dimostrati due casi di alterazione della funzionalità renale.
Bibliografia
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Bibliografia
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U Wan der Horst C et al. AIDS Annual Conference on Retrovirus,
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U Wang LH et al 38° ICAAC, San Diego
6
Inibitori della Trascrittasi Inversa
Analoghi Non Nucleosidici CAPRAVIRINA
(NNRTI)
TMC120 e 125
Sviluppati dalla Tibotec - Virco, casa farmaceutica che nasce nel 1994 e che si è dedicata in particolar modo allo sviluppo di diagnostici sulle resistenze virali. Si tratta di due molecole in studio
NNRTI di seconda generazione perchè capaci di controllare la replicazione di ceppi virali resistenti
alla prima generazione di NNRTI (NVP ed EFV) TMC 120 è in fase 1/2, mentre TMC 125 è attualmente ancora in fase preclinica . TMC 120 è stato randomizzato e testato in doppio ceco su 43
persone HIV positive, naive arruolate in Russia e Polonia . A questi pazienti è stata somministrata
una dose di 50 mg o 100 mg due volte al giorno o placebo per 7 giorni (monoterapia) seguita poi
da una terapia antivirale con farmaci commercializzati (HAART) . Gli studi brevi in monoterapia servono per valutare la potenza antivirale della nuova molecola . Il viral load è diminuito di 1,44 log
dopo 7 gg con 50 mg e di 1,51 log con 100 mg. Gli eventi avversi riportati sono stati la sonnolenza
o l'insonnia. TMC 120 è attivo contro virus selvaggio (wild type) e contro virus mutati che presentato mutazioni chiave sul genoma della Trascrittasi inversa (TI) capaci di inibire completamente l'uso
di NVP ed EFV: K103N ed Y181G nonchè la G190A/S . A Settembre, dopo la valutazione di fase 1
anche per TMC 125, la casa farmaceutica deciderà quale delle due molecole sarà promossa a leader e verrà sviluppata.
EMIVIRINA MKC 442 (Coactinon)
E' stata scoperta da Mitsubishi Chemical Corporation, attualmente è in sviluppo grazie a Triangle. La
struttura chimica dell'Emivirina è molto simile ad un NRTI (analogo nuclesidico della TI).
I primi studi di fase 1 hanno dimostrato la capacità di ridurre la viremia di 0.36- 1,19 log dopo una
settimana di trattamento. Un altro studio ha dimostrato che, dopo 15 gg di trattamento, la viremia
scendeva di 1,3 log. Altri studi condotti in associazione con 2 altri NRTI hanno dimostrato che il farmaco funziona poco in persone con viremie superiori alle 50.000 copie e dolo il 37% dei pazienti
aveva raggiunto una viremia minore di 50 copie alla 24° settimana di terapia. Un altro studio che ha
usato Emivirina in associazione con ddI e d4t( 2NRTI) ha , invece, dimostrato che circa il 50% di
pazienti nello studio aveva raggiunto una viremia inferiore alle 50 copie HIVRNA/ml. Non sembrano
esserci differenze tra l'uso di 500 mg o 750 mg/due volte al giorno.
Interazioni farmacologiche
Uno studio conclusosi nell' Ottobre 1999 ha dimostrato come associare Emivirina ad una terapia con
Nelfinavir, non apporti nessun effetto benefico ai pazienti ed aumenti gli effetti collaterali. Dopo tale
risultato, Triangle ha dichiarato che Emivirina non va usato in associazione con inibitori della proteasi . In un altro studio dove Emivirina è stato usato in associazione con Efavirenz, si è scoperto che aveva
un' interazione tale da diminuire le concentrazioni plasmatiche di EFV tanto da non potere neppure essere corrette da un aumento del dosaggio di EFV stesso. Solo tre di 8 pazienti avevano avuto un miglioramento della viremia. In vitro Emivirina appare sinergica con AZT che sembra aumentare la sua concentrazione plasmatica , ddI, saquinavir. La miglior combinazione ad oggi verificata è con AZT e 3TC .
Effetti collaterali
Gli effetti collaterali denunciati dai 3/4 dei pazienti che hanno assunto il farmaco sono stati: cefalea,
perdita di feci, elevazione delle transaminasi e rash. Alcuni studi di farmacocinetica hanno dimostrato la capacità del farmaco di passare la barriera ematoencefalica. In vitro non sembra avere tossicità mitocondriale.
Effetti in gravidanza
Dagli studi in corso sembra non avere effetti negativi in gravidanza . In 13 donne che hanno usato
Emivirina le ultime tre settimane di gravidanza hanno denunciato stanchezza, rinite e cefalea (Gray 1999).
Dei bimbi nati uno è sieroconvertito a 6 mesi ed altri due neonati sono morti per cause non correlabili a farmaco
secondo i ricercatori.
Profilo di resistenza
Emivirina sembra essere utilizzabile dopo l'uso di NNRTI di prima generazione. Tuttavia tale possibilità non è completamente chiara. Il 50% delle persone che falliscono un regime contenente Emivirina
possono usufruire di un altro NNRTI. Nel 45% dei casi c'è una cross resistenza con Efavirenz, mentre la cross resistenza per Nevirapina è in studio (Sereni). La mutazione E138Q e la A98S sono associate con Resistenza ad Emivirina, ma non con altri NNRTI. La mutazione K103N si evidenzia durante l'uso sia degli NNRTI di prima generazione, che dopo l'uso di Emivirina. L'uso di Emivirina con 3TC
diminuisce la possibilità di sviluppo di cross resistenze con altri NNRTI . Uno studio ha dimostrato
come il 40% di coloro che avevano fallito l'associazione d4T/3TC/emivirina avevano sviluppato resistenze agli NNRTI, ma non la K103N che è causa di cross resistenza per la famiglia degli NNRTI.
Mentre il 78% di coloro che hanno fallito l'associazione ddI/d4T/Emivirina aveva sviluppato la mutazione K103N (Sereni). Ceppi virali resistenti a Nevirapina venivano ancora controllati da Emivirina
anche se a concentrazioni più elevate rispetto a quelle necessarie a bloccare un wild type virus.
Bibliografia:
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U Szech GM et al ANtimicrobial AGents and Chemoter, 44(1):123-140, 2000
7
Si tratta di un altro NNRTI di seconda generazione. E' stato
scoperto dalla Shionogi Pharmaceutica, una compagnia
giapponese, quindi sviluppato da Agouron- Pfizer.
I trial con Capravirina sono stati sospesi a causa della
manifestazione di fenomeni vasculitici nei cani.
Nonostante nessun caso sia stato segnalato sugli
uomini che hanno assunto questo farmaco, tuttavia la
FDA ha ordinato ad Agouron-Pfizer di sospendere
ogni trial contenete capravirina in corso sugli uomini,
tra cui lo studio 504 che stava già arruolando pazienti
in molte nazioni europee. Ai pazienti che stavano
ricevendo capravina nello studio 509, con viremia
negativa, è stata data la possibilità di potere continuare la terapia sperimentale su precisa richiesta . In
questo protocollo capravirina + 2 NRTI veniva studiata a in persone NNRTI experienced.
Gli studi di farmacocinetica mostrano come capravirina sia 10 volte più potente rispetto agli altri NNRTI
alla dose di 2100 mg/bid, con una diminuzione di 1,69
log della viremia dopo 10 giorni di monoterapia. Si
tratta di una diminuzione simile a quella che si ottiene
normalmente con una tripla terapia (Hernandez).
Durante la fase II, persone che avevano fallito un regime con NNRTI erano state randomizzate a ricevere 1
o 2 dosi di capravirina o placebo . Il 50% di coloro che
stavano assumendo Capravirina avevano una viremia
minore 400 copie dopo la 16° settimana . Nel gruppo
dei pazienti che assumeva 2100 mg era scesa di 1,5
log , paragonata a 2 log di chi assumeva 1400 mg .
Quindi i 1400 mg apparivano meglio tollerati e più efficaci della dose di 2100 mg. alle 50 copie HIVRNA/ml.
Non sembrano esserci differenze tra l'uso di 500 mg o
750 mg/due volte al giorno.
Effetti collaterali
Durante la fase I capravirina sembrava bene tollerata
senza particolari effetti collaterali. Una nausea leggera, vomito e cefalea erano gli effetti indesiderati più
frequentemente riportati. Nella fase II si sono evidenziati alte frequenze di nausea forte, vomito e diarrea
con il dosaggio massimo. Per questo i 1400 mg è il
dosaggio scelto per lo sviluppo non appena vi sarà la
certezza di potere arginare gli effetti collaterali.
Tuttavia, alcuni ricercatori sono convinti che sia importante testare capravirina per lungo tempo prima di
sapere se una persona possa essere intollerante o meno.
Profilo di resistenza
Attualmente sembra che Capravirina sia attiva solo
su ceppi resistenti ad Efavirenz (la resistenza a
Nevirapina ( mutazione Y181C) potrebbe non essere
soppressa da Capravirina. Capravirina è attiva contro
ceppi virali con mutazioni singole come K103N o
V106A o L100I. Tuttavia la mutazione sul codone 181
e la doppia mutazione sul codone 103 e 100 conferiscono alti livelli di resistenza a capravirina.
Bibliografia
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U Wolfe P. et al VIII° CROI ABS 323, 2001
DPC 961-963
Sono due nuovi analoghi non nucleosidici inibitori
della trascrittasi inversa di Du Pont Pharma. La ricerca della casa farmaceutica è mirata allo sviluppo di
NNRTI di seconda generazione capaci di rispondere
alle mutazioni selezionate da EFV e da NVP.
Apparentemente i due composti sono in grado di
rispondere a ceppi con mutazione K103 in vitro, ma
non sembrano particolarmente attivi contro ceppi
multi mutati. Un ‘unica dose giornaliera potrebbe
essere sufficiente alle 50 copie HIVRNA/ml. Non
sembrano esserci differenze tra l'uso di 500 mg o 750
mg/due volte al giorno.
BIbliogrfia
U Corbett JW et al. Discovery of HIV-1 NNRTI development candidates DPC961
and DPC963. Fourth Congress on Drug Therapy in HIV Infection, Glasgow, abstract
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abstract TuOrA347, 2000.
U
Analoghi Nucleotidici
Inibitori della
Trascrittasi Inversa
Tenofovir disoproxil fumarate (DF)
Tenofovir DF(BisPOC PMPA) è un analogo nucleotidico dell’adenina inibitore della trascrittasi inversa. Sviluppato da Gilead Sciences
Attualmente è in corso di programma di accesso allargato lo studio 952 (fase
III/b) che verrà condotto in Europa, prevede l’arruolamento di 500 persone in
Italia a partire dal Giugno 2001 . In Francia sono in trattamento 445 (regime
ATU) , in UH 241 persone attraverso un Named patient program ( programma di trattamento personalizzato su richiesta del medico curante ), In
Germania sono previsti 500 trattamenti.
La dose giornaliera è di 300 mg QD. Lo studio 902 di fase II ha valutato l’efficacia e la tollerabilità di Tenofovir in pazienti experienced con Viral load
medio <100000 copie/ml ed una media di 306 CD4/mm.Un altro studio ha
randomizzato 189 pazienti pretrattati, con una terapia stabile da almeno 8
settimane, a ricevere tre diverse dosi di tenofovir (300 mg, 150 mg or 75 mg)
o placebo in aggiunta al loro regime terapeutico. Dopo la 24° settimana il
gruppo in placebo è stato “shiftato” a tenofovir 300 mg/die . A 24 settimane la viremia si era ridotta di 0,75 log nel braccio con 300 mg/die, di 0,40 log
e di 0,45 log con le dosi minori. I pazienti in placebo hanno avuto alla 48° settimana una diminuzione di 0,7 log (Schooley).
Effetti collaterali
Negli studi per valutare la dose del farmaco sono stati riportati effetti collaterali quali cefalea, malessere, affaticamento. Sono stati osservati due casi
di proteinuria di cui uno è capitato ad un paziente in trattamento con placebo. Nelle scimmie si è verificata osteopenia e fratture spontanee dopo 12
mesi con dosi sottocutanee 10-30 volte superiori a quelle previste per gli
uomini . Il possibile meccanismo alla base dell’osteopenia potrebbe essere
un’alterazione della funzionalità renale con perdita di ioni Calcio. Tuttavia nei
trial condotti sugli uomini la valutazione con DEXA, dopo 48 settimane di trattamento, non ha messo in evidenza alcun problema di osteopenia. La tossicità renale è stato l’effetto collaterale grave per cui la sperimentazione con
Adefovir (primo analogo nucleotidico sviluppato da Gilead) è stata interrotta.
NB Tuttavia è sconsigliato dai ricercatori inserire nello studio di Fase III/b
pazienti con alterazioni della funzionalità renale o con alterazione della fosfatemia e della calcemia sierica . Criteri di esclusione dallo studio sono la concomitanza con terapie nefrotossiche.
Resistenze
Secondo Van Laethem, ceppi muiltiresistenti agli NRTI potrebbero velocemente sviluppare resistenze anche a Tenofovir. Tuttavia la mutazione che
tenofovir seleziona è sul codone 65 del gene della TI che crea una moderata
cross resistenza a ddC, ddI, 3TC. La mutazione 184 associata a resistenza
per 3TC, crea un aumento della sensibilità a tenofovir. Ceppi con la mutazione sul codone 215, spesso presente nelle persone che hanno usato AZT,
tende a diminuire leggermente la sensibilità a tenofovir (Miller). Le mutazioni 65R e 69D sono capaci di rendere resistente il virus a tenofovir, secondo
attuali studi sembrano abbastanza rare tra gli NRTI experienced , quindi è
possibile considerare tenofovir un farmaco utile in regimi di salvataggio.
ICAB (italian Community Advisory Board) sta chiedendo insistentemente
che venga data la possibilità per i centri clinici che non sono stati inclusi
nella ricerca e per tutti coloro che ne necessiteranno, di avere il farmaco in
regime compassionevole, su richiesta del medico curante. Tale eventualità
è maggiormente auspicabile proprio nella nostra nazione, dove il possibile
fabbisogno di tenofovir si aggira circa sulle 3000 persone (500 trattamenti
sarebbero insufficienti a coprire la necessità di tenofovir in Italia ).
Bibliografia
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8
I nuovi farmaci in studio per l’ infezione da HIV
Inibitori
della Proteasi (IP)
Bibliografia
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U Wang Y, Daenzer C, Wood R, et al. The safety, efficacy and viral dynamics analysis of tipranavir, a newgeneration protease inhibitor, in a phase II study in antiretroviral-naive HIV-1-infected patients. Program and
abstracts of the 7th Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections; January 30-February 2,
2000, San Francisco, California. Abstract 673.
U Sabo JP, MacGregor TR, Lamson MJ, Baldwin J, Borin M. Pharmacokinetics of tipranavir and nevirapine: a pharmacokinetic interaction study in healthy volunteers. Program and abstracts of HIV DART 2000 -Frontiers in Drug Development for Antiretroviral Therapies; December 17-21, 2000; Isla Verde, Puerto Rico.
Abstract 103.
DMP-450
DMP- 450, conosciuto anche con il nome di Mozenavir, è stato scoperto da
DuPont Pharma , ma attualmente in sviluppo presso i laboratori di Triangle
Pharmaceuticals. Durante la Fase II, DMP450 è stato somministrato con d4T
e 3TC e paragonato a Indinavir. Nei pazienti trattati non vi è stata differenza
in termini di soppressione virologica tra i due farmaci in 12 settimane. La differenza più evidente è stata una diminuita percentuale di persone con
aumento del colesterolo sierico con DMP450 rispetto ad IND . Alla 12° settimana la dose più alta di DMP-450 (1250mg tid) ha portato ad una diminuzione di 3,12 log la viremia rispetto a -2.41 log con 1250 mg BID. DMP 450 sembra inibire il metabolismo del saquinavir, cosa che ptorebbe permettere un uso sinergico dei
due farmaci.
Resistenze
Le mutazioni correlate a resistenza ad IND o RTV (sui codoni 82 e 84) sono
associate ad una diminuita sensibilità a DMP- 450 evidenziando come tale IP
potrebbe non essere utilizzabile nelle terapie di salvataggio (Ala). Studi sugli
animali hanno mostrato effetti collaterali sull’ attività di conduzione cardiaca
(prolungamento del QT).
BMS-232632 (Atazanavir)
Si tratta di un nuovo inibitore della proteasi, sviluppato da Bristol-Myers
Squibb. E’ stata conclusa la fase II di studio ed in atto la pianificazione della
fase III e dell’expanded access.
Stato della ricerca
Le ricerche fino ad ora condotte evidenziano come Atazanivir abbia la stessa
efficacia e lo stesso spettro di azione di altri IP. In uno studio 98 persone sono
state randomizzate per ricevere una delle tre dosi in studio di BMS232632 o
nelfinavir tre volte al giorno per le prime due settimane dopo le quali venivano aggiunti ddI QD ed4T BID. Dopo 24 settimane, il 52-65% dei pazienti avevano un viral load minore di 400 copie/ml e 20-35% un viral load minore di 50
copie/ml. La percentuale di soppressione virale era simile tra coloro che stavano assumendo nelfinavir o BMS232632. Una dose di 400 mg mantiene una
concentrazione inibitoria oltre le 24 ore. Se assunto con pasto leggero sembra meglio assorbito. La contemporanea somministrazione con d4T, 3TC, ddI,
AZT, saquinavir, ritonavir, indinavir, nelfinavir ed amprenavir mostra una certa
attività sinergica.
Bibliografia
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U Sierra J et al. Preliminary profile of the antiviral activity, metabolic effects and safety of DMP-450, a novel
cyclic urea protease inhibitor. Fourth International Workshop on HIV Drug Resistance and Treatment
Strategies, abstract 6, 2000
Tipranavir
E’ un IP dalla storia alquanto complicata. E’ stato sviluppato da PharmaciaUpjohn e quindi comprato da Boehringer Ingelheim. Purtroppo la ricerca di
questo promettente nuovo farmaco è stata enormemente ritardata dal complesso passaggio delle tecnologie necessarie a produrlo da una casa farmaceutica all’altra.
Si tratta di un inibitore della proteasi virale non peptidico. È molto differente,
dal punto di vista molecolare, dagli IP correntemente in uso e si può a buon
ragione parlare di IP di “seconda generazione”. Si tratta in teoria di una molecola “flessibile” che potrebbe dotare Tipranavir di una barriera genetica
(capacità di selezionare resistenze) molto elevata.
L’attività Antivirale di tipranavir è stata studiata in vitro su 105 ceppi, messi
a disposizione da Virco ( una della case produttrice leader nello sviluppo di
test per le reisistenze virali), cross resistenti a 3 o 4 IP . Il test fenotipo metteva in evidenza una diminuzione di sensibilità di alcuni ceppi superiore alle
10 volte. Tipranavir è stato di gran lunga capace di inibire la crescita di questi ceppi virali con una sensibilità virale totale (definibile come una diminuzione di sensibilità minore di 4 volte) in 95 isolati, la sensibilità rimaneva tra le 4
e le 10 volte superiore alla soglia in 8 isolati ed una bassa sensibilità a Tipranavir (superiore a 10 volte) è stata valutata solo in 2 isolati.
Attualmente le caratteristiche di tipranavir sembrano promettenti anche per
coloro che hanno fallito non solo gli IP attualmente in commercio, ma anche
quelli appena licenziati come Lopinavir/ritonavir.
Effetti collaterali
La diarrea è stata riportata dal 30% dei pazienti in trattamento con
BMS232632 rispetto al 60% dei trattati con NFV. L’iperbilirubinemia è un
effetto collaterale comune, simile a quello creato da Indinavir, senza compromissione della funzionalità epatica né rialzo delle transaminasi . Una caratteristica interessante è che, i pazienti trattati in fase II con BMS232632, non
hanno avuto rialzo né di colesterolo né di trigliceridi, mentre con NFV tale elevazione si è manifestata come con la maggior parte degli altri IP. La speranza che Atazanavir sia meno lipodistrofizzante di altri potrebbe permettere di
usarlo in pazienti con lipodistrofia come terapia di “semplificazione”.
Resistenze
Virus resistenti ad un solo IP, risultano sensibili a BMS232632 e solo il 5% dei
ceppi virali resistenti ad un solo IP è risultato altrettanto poco sensibile ad
Atazanavir . Il 30% dei ceppi virali resistenti atre IP mostra ridotta sensibilità
al nuovo farmaco ed il 67% degli isolati con una ridotta sensibilità a 4 o più IP
non risponde a BMS232632 (Colonno). La mutazione primaria che conferisce resistenza a BMS-232632 appare al codone N88S. Ceppi resistenti a
BMS232632 risultano ancora sensibili a Saquinavir, Lopinavir/r e
Amprenavir.
Bibliografia
U Colonno R et al. BMS-232632 sensitivity of a panel of HIV-1 clinical isolates resistant to one or more
approved protease inhibitors. Antiviral Therapy 5(3), abstract 8, 2000.
U Gong Y-F et al. In vitro resistance profile of the human immunodeficiency virus type 1 protease inhibitor
BMS-232632. Antimicrobial Agents and Chemotherapy 44(9):2319-2316, 2000.
U O’Mara E et al. BMS-232632: a summary of multiple dose pharmacokinetic, food effect and drug interaction studies in healthy subjects. Seventh Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections, San
Francisco, abstract 504, 2000.
U Robinson et al. Two-drug combination studies on the protease inhibitor BMS-232632 on HIV-1 replication. 38th Interscience Conference on Antimicrobial Agents and Chemotherapy, San Diego, abstract I-20,
1998.
U Sanne I et al. Safety and antiviral efficacy of a novel once-a-day HIV-1 protease inhibitor, BMS-232,632:
24 week results from a phase II clinical trial. 40th Interscience Conference on Antimicrobial Agents and
Chemotherapy, abstract 671, 2000.
U Squires K et al. 48-week safety and efficacy results from a phase II study of a once-daily HIV-1 protease inhibitor (PI), BMS-232632. Eighth Conference on Retroviruses and Opportunistic Infections, Chicago,
abstract 15, 2001.
Problemi di farmacocinetica
I problemi di produzione che le case farmaceutiche, prima e dopo, hanno trovato, riguardano le caratteristiche farmacocinetiche della molecola. Infatti
Tipranavir viene metabolizzato tanto velocemente, da non consentire il raggiungimento di un livello terapeutico. Grazie a ritonavir, la clearance del farmaco viene notevolmente ridotta . Se somministrato da solo alla dose di 1350
mg la Cmin risulta minore di 1 micromole , se somministrato con RTV 500
mg la Cmin raggiunge le 50 micromoli. L’ importante aumento della biodisponibilità di tipranavir è correlata ad una drammatica diminuzione (5 volte
meno) della AUC del Norvir. Non è ancora chiaro quindi il meccanismo di
interazione tra i due farmaci e se vi siano competizioni solo sulle vie epatiche del Citocromo P450, sul sistema dei P 450 gastrointestinali o se si tratti di un’interferenza con le glicoproteine di trasporto plasmatiche.
Durante la fase I/II l’attività di tipranavir con Ritonavir sul virus selvaggio
(wild type) è stata importante. 15 giorni di monoterapia con tipranavair da
solo o con ritonavir in pazienti naïve ha mostrato un’importante efficacia
antivirale: 1200 mg di Tipranavir da solo hanno ridotto la viremia di 0,8 log,
300 mg di TPV e 200 mg di RTV l’ hanno diminuita di 1,4 log, 1200 mg TPV
e 200 mg di RTV l’ hanno diminuita di 1,6 log.
La diarrea è stato l’effetto colatele riportato, risoltosi in 4 settimane.
DMP-681 e DMP-684
Si tratta di altri due IP, sviluppati da Du Pont Pharmaceuticals. La caratteristica di questi due composti sembra quella di essere attivi, in vitro, su ceppi
altamente mutati sul gene della proteasi virale. La possibilità, quindi, che
possano essere usati in pazienti altamente pretrattati con IP, potrebbe
essere valida. Ceppi virali con mutazioni sui codoni 10, 63, 71, 82, 84 e 90
mostrano importanti cross resistenze a tutti gli IP compreso Kaletra , ma
mostrano solo una parziale riduzione nella sensibilità a questi due composti.
Studi su uomini sono previsti in Europa e USA per determinare la dose più
efficace e le posologie più utili a garantire efficacia e tollerabilità.
Sviluppi futuri
I problemi di farmacocinetica stanno prolungando i tempi di studio sulle interazione con le altre molecole, che, chiaramente, risulterebbero indispensabili
per creare valide terapie di salvataggio . Quindi BI ha preferito ricostruire il
file di Tiprnavir ricominciando con gli studi di farmacocinetica su volontari
sani. Tuttavia rimane ancora poco chiara la dose ottimale di Tipranavir/ritonavir che verrà sviluppata.
Bibliografia
U Erickson-Viitanen S et al. DPC 681 and DPC 684: resistance and cross-resistance profiles of second generation protease inhibitors. Eighth Annual Conference on Retroviruses, abstract 11, 2001.
U
9
I nuovi farmaci in studio per l’ infezione da HIV
Inibitori della Fusione Virale
Si tratta di una famiglia nuova di farmaci capaci di inibire la fusione virale con i recettori cellulari usati come
porte d’entrata del virus nelle cellule bersaglio T-20 e T1249 sono le prime due molecole sviluppate da Roche
ed attualmente in fase III e I/II, rispettivamente di sviluppo.
T-20 (Pentafuside)
T- 1249
T-20 è in grado di bloccare la gp 41, proteina fondamentale per l’ancoraggio di HIV alla cellula bersaglio,
E’ stata creata da Trimeris Pharmaceuticals, è anche conosciuta con il nome di pentafuside, Roche la svilupperà definitivamente e la produrrà. Attualmente T-20 è in fase III e le fasi preliminari ne hanno studiato l’efficacia e la tollerabilità . Uno studio ha valutato l’efficacia di T-20 in pazienti che avevano fallito indinavir, somministrando il nuovo faramco con EFV ed altri due IP. Questo farmaco , per quanto promettente , ha dei problemi importanti in termini di biodisponibilità. Essendo una molecola peptidica di grosse
dimensioni, viene completamente distrutta durante i processi digestivi. L’unica via di somministrazione
adeguata per ottenere livelli terapeutici ematici è l’iniezione sottocutanea. Gli studi TRI-001 e 003 hanno
dimostrato che un’iniezione due volte al giorno di 100 mg, garantisce una buona soppressione virale. La
diminuzione della viremia ha raggiunto i –2log in 14 giorni di monoterapia. T-20 tuttavia non è assolutamente facile da usare, si tratta di polvere solubile che deve essere mescolata in una soluzione di acqua
sterile , solo una volta ben sciolta può essere iniettata a livello di sottocute ( braccia, addome, gambe
ecc) L’iniezione deve essere eseguita ogni 12 ore e non è consigliabile preparare l’iniezione la mattina per
la sera. Un ritardo anche di due ore potrebbe consentire la crescita rapida di resistenze virali.
Nei bambini una dose di 60 mg/m2 , iniettata sottocute ogni 12 ore garantisce una buona efficacia antivirale (Kostel) anche se sui bimbi è più frequente assistere a reazioni cutanee nel sito di iniezione oltre a
febbre e difficoltà nel respiro. La tollerabilità del farmaco nei bambini deve ancora essere studiata
(Church).
Si tratta di un altro inibitore della fusione in via
di sviluppo. Come T-20, anche T-1249 ha come
bersaglio la gp 41, bloccando l’ancoraggio di
HIV alla cellula bersaglio. Anche T-1249 verrà
prodotto da Roche ed. attualmente, ha superato
la fasi di sperimentazione animale e sono iniziate le prime fasi di ricerca sull’uomo. Sebbene sia
più facile che T–1249 abbia una diversa via di
somministrazione, per il momento viene sperimentato via iniezione sottocute con dosi che
vanno da 6.25 mg/die a 50 mg/die una o due
volte al giorno. Mostrando un’emivita particolarmente elevata, la speranza è che il nuovo farmaco possa essere somministrato una o due volte
la settimana. I primi studi di fase I/II mostrano
una diminuzione di 1,3 log alla dose più elevata.
Effetti collaterali
Il solo effetto collaterale comunemente riportato è la reazione cutanea nel sito di iniezione. E’ presente
nei 2/3 dei pazienti che hanno usato T20. La reazione può superare i 2 cm di diametro ed essere caratterizzata da un semplice pomfo ad un vero e proprio livido o nodulo che può permanere anche per più di
15 giorni. Molto raramente si sono sviluppati ascessi. Sul consenso informato per i pazienti vengono enfatizzati anche effetti collaterali sistemici quali nausea, vomito, alterazione della funzionalità epatica e della
crasi ematica (anemia svera, diminuzione dei globuli bianchi) , un aumento del livello delle amilasi, disidratazione, alterato stato mentale, rischio di ictus, trombosi vascolare degli arti inferiore e/o splenica, reazione primaria da complesso immune. Tali effetti collaterali non sembrano mai essere stati riscontrati in
vivo, tuttavia sono resi teoricamente possibili dalla creazione di complessi Antigene anticorpi scatenati
dalla grossa molecola.
Stato di sviluppo clinico
Lo studio T-20-205 ha arruolato 71 pazienti con una storia antica di malattia e di uso di terapia antivirale. I dati alla 48 settimana sono stati presentati alla 13th International Conference on AIDS a Durban,
tenutasi a Luglio 2000. Dopo 48 settimane 30 persone hanno interrotto il trattamento con T-20, aggiunto ad una terapia ottimizzata, seguendo i dati dei test di resistenza, o per volontario abbandono o per
fallimento virologico. All‘intent-to-treat analysis di tutti I 71 pazienti, il 13% mostrava una carica virale inferiore alle 50 copie/ml, il 23% sotto le 400 copie/ml ed il 33% aveva ottenuto una riduzione di almeno 1 log
dal base line. Da questo studio è emersa una buona tollerabilità del farmaco a parte una lieve moderata reazione cutanea nel sito di iniezione. Il 10% dei pazienti ha sofferto di effetti collaterali di grado 3 forse correlabili al T-20.
Un altro studio di terapia di salvataggio con amprenavir/ritonavir/abacavir/efavirenz, con o senza T-20,
aveva permesso il raggiungimento di una viremia inferiore alle 400 copie dopo 16 settimane in pazienti pretrattati con PI ed NNRTI naive.
Lo studio di fase III attualmente in corso (T-20-302) cercherà di valutare l’efficacia di T 20 nelle terapie
di salvataggio in Europa e in Australia. Pazienti con un ‘esperienza superiore ai 3 mesi a tutte e tre le
classi farmacologiche ( o resistenti a tutte e tre le classi) potranno essere arruolati nello studio se avranno una viremia > 5000 copie/ml , attraverso un test genotipico e fenotipico verrà ottimizzata la terapia
da aggiungere a T 20 o da usare da sola . 2/3 dei pazienti riceveranno T 20 e tutti coloro che nell’altro
braccio, andranno incontro ad un fallimento virologico potranno aggiungere T-20 ad una nuova terapia
riottimizzata sulla base dei test di resistenza.
Lo studio T-20-301, sta studiando l‘efficacia di T 20 in terapia di salvataggio in USA, Canada e America
Latina. Persone con più di 6 mesi di utilizzo di tutte e tre le classi antivirali ed almeno 2 IP o con una
resistenza documentata a tutte e tre le classi di farmaci , con viremia superiore alle 5,000 copie/ml verranno arruolate. Si tratta quindi di uno studio simile al 302, ma svolto su pazienti più compromessi.
Entrambi valuteranno i risultati dopo 48 settimane e arruoleranno circa 525 pazienti.
Resistenze
Le mutazioni selezionate da T20 non causano una
diminuzione di sensibilità a T-1249.
Stato della ricerca
Nello studio T-1249-101 sono state arruolate 72
persone per valutare la dose migliore a cui somministrare T1249. Tutti i pazienti erano experienced ad almeno 10 antivirali, con più di 5000 copie
di carica virale, dopo un periodo di washout
(interruzione di terapie precedentemente in uso),
sono stati randomizzati con dosaggi diversi del
farmaco: 6,25mg una o due volte al giorno,12,5mg una o due volte al giorno, o 25mg una
o due volte al giorno . Di 72 pazienti arruolati, 63
hanno ricevuto almeno una dose di T20 e 61
hanno terminato lo studio di 14 giorni in monoterapia. Il viral load basale era in media di 4.955.54 log, con una media di CD4 di 84-146
cell/mm3. Gli effetti collaterali denunciati sono
stati (reazione nel sito di iniezione (40%); cefalea
(11%); stanchezza (8%); febbre (8%); diarrea
(6%). Alla dose di 6.25mg non si è notato nessuna risposta virologica; coloro che hanno assunto
la dose più alta due volte al giorno hanno avuto
l’effetto virologico maggiore con una diminuzione
di 1,3 log tra i 10 ed i 14 giorni di terapia.
Bibliografia
U Eron J et al. A 14-day assessment of the safety, pharmacokinetics, and antiviral activity of T-1249, a peptide inhibitor of membrane fusion. 8th Conference on Retroviruses and Opportunistic
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history do not affect virological response to T-1249. Antiviral
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U Sista P et al. The fusion inhibitors T-20 and T-1249 demonstrate
potent in vitro antiviral activity against clade B HIV-1 isolates resistant to reverse transcriptase and protease inhibitors and non-B
clades. Antiviral Therapy 2001; 6(Supplement 1):3.
Resistenze
La resistenza a T 20 emerge molto rapidamente ed è già in studio una molecola chiamata T-1249 capace di rispondere alle mutazioni sollecitate da T 20. Trattandosi di una classe completamente nuova, le
mutazioni sui geni della TI e della proteasi non inficiano l’efficacia di questo farmaco.
Bibliografia
U Bolognesi D et al. Development and clinical evaluation of T-20: the first member of a novel class of anti-retroviral agents that inhibit membrane
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10
Paola Nasta
Resistenze
L’anno scorso la rivista Delta pubblicò un esauriente articolo della D.ssa Paola Nasta sulle resistenze.
In questo numero riteniamo utile riassumere i concetti già espressi in quanto il problema delle resistenze è di basilare importanza nel trattamento dell'infezione da HIV, mostriamo la tabella che riporta tutte
le mutazioni genotipiche che conferiscono resistenza, un esempio di fenotipizzazione e uno di genotipizzazione.
CHE COSA SONO LE RESISTENZE?
Il virus dell'HIV si riproduce velocemente creando miliardi di
nuove copie di virus ogni giorno. Nella propria riproduzione effettua alcuni errori e quindi ogni nuova generazione di virus è leggermente diversa da quella precedente.
Alcuni di questi errori producono copie di virus difettose che non
sono capaci di riprodursi ulteriormente e pertanto muoiono.
Viceversa, anche se più raramente, alcuni cambiamenti nella
struttura del virus possono migliorarne l'abilità di riprodursi
anche in presenza di farmaci antiretrovirali. I virus che hanno la
capacità di riprodursi nonostante la presenza dei farmaci si dicono resistenti a quei farmaci stessi.
Si stima che ogni possibile errore riscontrabile nella struttura
dell'HIV avvenga se la replicazione del virus non viene soppressa. Ciò significa che le basi di un virus resistente vengono
costruite giorno per giorno e sono proprio quelle che produrranno il virus più resistente mentre si prendono i farmaci. Se non si
prendono farmaci, la popolazione virale è influenzata solo dal
virus con maggiore capacità di riproduzione. Quando si inizia una
terapia combinata, si creano le condizioni per cui i virus resistenti ottengono un vantaggio competitivo sui virus sensibili ai farmaci.
Il diagramma T1 spiega come si possa sviluppare la resistenza ai farmaci per l'HIV.
La curva rappresenta la carica virale (quantità di virus nel sangue).
Inizio del trattamento
La carica virale
scende con la
scomparsa dell’HIV
sensibile ai farmaci.
farmaco sensibile
Ma l'HIV resistente ai farmaci
continua a moltiplicarsi nonostante la presenza del trattamento.
Nel tempo, la crescita di tale
virus può produrre un aumento
della carica virale.
farmaco resistente
COME IL TRATTAMENTO
INFLUENZA
LE RESISTENZE
Quando si prendono gli antivirali, l'HIV vulnerabile ad essi viene soppresso. Nel tempo, il
virus HIV nel sangue muta ed include un po'
alla volta virus sensibili ai farmaci e virus
resistenti.
I virus resistenti rappresentano il motivo per
cui alcuni farmaci per l'HIV possono avere utilità limitata nel tempo. La carica virale, che
normalmente scende quando si inizia il trattamento antiretrovirale, può risalire se emerge
una popolazione di virus resistenti.
E’ chiaro che lo sviluppo delle resistenze
aumenta il rischio di malattie in seguito. E'
importante ricordare che l'innalzamento della
carica virale in presenza di trattamento è un
segno del fatto che si sono prodotte resistenze ai farmaci. Comunque, è certo che la massima riduzione della carica virale produce
benefici che si riferiscono alla salute e alla
sopravvivenza.
RESISTENZE CROCIATE
La presenza di resistenze agli antiretrovirali
che si stanno assumendo ha implicazioni che
possono andare oltre il fallimento della terapia in corso. Ciò accade in quanto i virus resistenti ad un farmaco spesso sono resistenti
ad altri farmaci della stessa classe. Potrebbe
pertanto essere difficile cambiare schema
terapeutico includendo farmaci non utilizzati
in quanto potrebbero non riuscire a controllare la carica virale.
Tale problema viene chiamato di "resistenze
crociate" e sembra influenzare tutti i farmaci
per l'HIV in maniera più o meno grave. Per
esempio, se un soggetto diventa resistente
ad uno dei farmaci non nucleosidici
(Nevirapina, Efavirenz, Delavirdina) molto
probabilmente è resistente anche agli altri
due della stessa classe (nella tavola sulle
mutazioni genotipiche, sono specificate le
mutazioni primarie e quelle secondarie.
11
Resistenze
I TEST DI RESISTENZA ED I LORO LIMITI
Sono stati sviluppati dei test che misurano la resistenza del virus ai farmaci. Il fatto di poter oggi controllare se il virus di un paziente è o non è
resistente ad un farmaco rappresenta un passo avanti nel trattamento antivirale. Ma vi sono ancora notevoli passi da effettuare per meglio comprendere il significato clinico di tali test i quali non sono ancora validati. Attualmente le linee guida di terapia suggeriscono di effettuare test di resistenza prima di iniziare la terapia e ogni qualvolta vi sia il dubbio che uno schema terapeutico stia fallendo, per poter suggerire al medico una strategia alternativa.
IL TEST FENOTIPICO
Questa metodica, invece, misura la quantità di farmaco necessaria per evitare che il virus si riproduca. La quantità di farmaco necessaria ad arrestare la riproduzione del virus aumenta con l'aumento della resistenza fenotipica. Ma, è evidente che il corpo umano non può aumentare a dismisura
l'assunzione di un determinato farmaco per evitare la resistenza a causa delle tossicità che il farmaco stesso svilupperebbe.
Esempio di test Fenotipico
HIV-DRUG PHENOTYPING: HIV-1 pGEMHIVAGP ANTIVIROGRAMTM ANALYSIS
IL TEST GENOTIPICO
Questa metodica ricerca i cambiamenti nei geni dell'HIV associati allo sviluppo di resistenze. Ad esempio, il virus resistente al 3TC (Epivir) mostra
sempre la mutazione genetica M184V. Questo significa che nel codone 184 (punto del gene del virus) si è verificata una mutazione negli aminoacidi
che compongono il codone stesso (M rappresenta l'aminoacido prima della mutazione, V rappresenta l'aminoacido dopo la mutazione). La presenza
di questa mutazione si associa alla resistenza ad un determinato farmaco.
Esempio di test Genotipico
HIV-1 GENOTYPING - VircoGENTM Report
Ambedue le metodiche quindi mostrano limiti. Sono in
corso numerosi studi clinici per meglio comprendere l'utilizzo di tali test. Il test genotipico è relativamente semplice,
richiede pochi giorni e fornisce il dato sull'emergenza di
una resistenza. Il test fenotipico, più complesso, lungo e
costoso, fornisce una misurazione più diretta sull'effetto di
un farmaco su un determinato virus. Il limite di questo test
è dato dal fatto che un virus può mostrare resistenza ad
un singolo farmaco, ma potrebbe essere sensibile ad una
combinazione di farmaci (ART, HAART). Inoltre le resistenze potrebbero non essere l'unica ragione per cui un trattamento fallisce. Basta pensare allo scarso assorbimento
individuale, alla mancata aderenza allo schema terapeutico, alle interazioni tra farmaci ecc.. Inoltre le resistenze
non appaiono dopo un mese che non si assume più un
determinato farmaco, ingenerando così un'interpretazione
erronea. Pertanto il medico che deve interpretare tale
informazione, dovrà avere a propria disposizione la storia
dei trattamenti a cui è stato sottoposto il paziente per evitare di incorrere in un errore di questo tipo. Vi è da ricordare anche che tali test non sono attendibili se si ha un
numero di copie inferiore alle 1000/ml.
IL FENOTIPO VIRTUALE
La Virco ha sviluppato di recente una nuova metodica
detta del fenotipo virtuale. Attraverso il codice genetico di
un campione di plasma si interroga un database di 50.000
fenotipi e genotipi basati sulle rilevazioni di altrettanti
fenotipi reali con genotipi analoghi ottenendo così una
estrapolazione statistica e quindi quantitativa delle resistenze del campione di plasma sottoposto ad analisi.
Interessante visitare il sito www.vircolab.com per meglio
comprendere tale metodica.
Filippo von Schloesser
12
L’ADERENZA, fattore associato alla risposta
’aderenza è, senza ombra di dubbio,
una delle tematiche emerse prepotentemente negli ultimi anni. Il ruolo del
paziente, rispetto a quel 95% di aderenza, che sembra costituire il limite oltre il
quale le garanzie di risposta al trattamento sembrano effettivamente maggiori, è
evidente.
L
Finita la breve luna di miele postVancouver, le preoccupazioni relative agli
effetti collaterali a lungo termine, le difficoltà di adesione a trattamenti complessi,
da assumere senza interruzioni, probabilmente a vita, la selezione dei mutanti
resistenti, la loro diffusione, ed il gran
numero di persone che hanno iniziato a
fallire il trattamento, per problemi di adesione o intolleranza al trattamento antiretrovirale, hanno stemperato l’entusiasmo
dei primi anni post-HAART.
Al momento attuale la carica virale viene
tuttora considerata il principale marker
surrogato, indipendentemente associato
alla sopravvivenza ed al decorso della
malattia , per determinare il successo del
trattamento.
L’obiettivo principale rimane dunque, fino
a prova contraria, quello di sopprimere
stabilmente la carica virale < 50 c/ml .
Essendo l’aderenza un fattore direttamente associato alla risposta , la partecipazione attiva del paziente risulta un elemento cruciale.
Esistono tuttavia diverse questioni ancora aperte.Oltre alla terapia direttamente
osservata (DOT) non esiste, al momento,
alcuno standard per la misurazione dell’aderenza. Attualmente, il sistema più utilizzato nella pratica clinica è l’aderenza
“auto-riportata” dal paziente (SR).
Sebbene l’uso del sistema SR tenda
generalmente a sovrastimare l’aderenza , i
molteplici vantaggi di
questo approccio possono essere massimizzati utilizzando questionari più specifici, con
domande che siano in
grado di ridurre al minimo le interferenze
dovute alla sensazione
di un possibile giudizio
da parte dell’intervistatore.
Diversi studi hanno
dimostrato che esiste
una correlazione significativa tra aderenza SR
e risposta virologica al
trattamento . Tuttavia,
la mancanza di uno
strumento standardizzato per la misura dell’aderenza auto-riportato rende estremamente
difficile confrontare i risultati degli studi
sino ad ora pubblicati.
Un dato interessante, è che la valutazione dell’aderenza riportata da medici ed
infermieri non ha alcun valore predittivo.
Uno studio ha dimostrato recentemente
che, utilizzando come misura di confronto
il conteggio “a sorpresa” del numero delle
compresse rimaste , e il metodo MEMS ,
medici ed infermieri sovrastimavano o
sottostimavano l’aderenza del paziente
del 50% circa. Vale a dire che il personale
medico avrebbe le stesse probabilità di
valutare correttamente l’aderenza del
paziente basandosi sulla propria opinione,
oppure lanciando in aria una moneta.
Purtroppo, il pregiudizio del medico, rispetto all’aderenza del paziente, può precludere l’accesso al trattamento, o a determinati regimi terapeutici, considerati troppo
complessi, per i pazienti giudicati “potenzialmente non-aderenti”. Le evidenze dimostrano tuttavia che qualsiasi decisione
basata sul solo giudizio del medico, non
dovrebbe essere presa in considerazione
rispetto alla decisione di rimandare, negare, o limitare le opzioni di trattamento.
Esistono, ad esempio, numerosi studi che
dimostrano come l’uso di sostanze illegali per via endovenosa non sia associato
all’aderenza . Ciononostante, molti medici tendono a prescrivere trattamenti subottimali alle persone tossicodipendenti, o
a restringere le opzioni terapeutiche, per
un semplice pregiudizio, relativo alla
capacità di adesione al trattamento.
Sebbene l’adesione sia un comportamento multifattoriale, l’unico fattore, sino ad
ora chiaramente associato alla scarsa
aderenza al trattamento è la depressione.
Le credenze del paziente rispetto all’efficacia del trattamento antiretrovirale, ed il
rapporto con il medico curante, sembrerebbero essere un altro dei fattori associato all’aderenza . I pazienti che hanno fiducia nel proprio medico sembrerebbero
avere, infatti, maggiori probabilità di aderire al trattamento; purtroppo la capacità di
costruire un buon rapporto con il paziente
sembra dipendere dallo stile personale del
medico curante , e non dall’apprendimento
di specifiche abilità relazionali e/o comportamentali, sulle quali sarebbe opportuno
approfondire la ricerca, costruendo modelli di intervento efficaci e, soprattutto,
riproducibili.
Le preoccupazioni relative agli effetti collaterali, e la gestione dell’effetto collateralo
“in atto”, le possibili interazioni farmacologiche (i.e. metadone o rimedi naturali), lo
stile di vita e la necessità di adattare il trattamento ad ogni singolo paziente sono
tutti fattori da affrontare, e risolvere, all’interno della relazione medico paziente. Le
questioni ancora aperte rispetto alla misurazione dell’aderenza, l’impossibilità di
identificare pazienti non-aderenti sulla
base del solo giudizio dell’équipe curante,
la caratteristica multifattoriale delle
determinanti associate alla scarsa aderenza al trattamento, e la necessità di
individualizzare gli interventi sull’adesione, dimostrano che ci non troviamo certamente di fronte ad una scienza esatta.
Vale dunque la pena di accettare la complessità del problema, le infinite variabili
individuali da tenere in considerazione, il
valore del rapporto medico-paziente, e la
necessità di coinvolgere il paziente nelle
scelte relative al trattamento che dovrà
poi assumere.
Nel frattempo è necessario un consenso
rispetto agli strumenti di misurazione dell’aderenza, che permetta di confrontare i
risultati degli studi clinici, e di includere
l’adesione tra le determinati da tenere in
considerazione negli studi registrativi.
Mauro Guarinieri
membro del CAB ICONA
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VACCINI più VICINI?
a Seconda Conferenza Vaccine Development, tenutasi a San
Juan, Porto Rico, dal 21 al 25 maggio scorsi, ha confermato
lo sforzo che si sta effettuando nella ricerca di un vaccino per
l'HIV. Scienziati di molti paesi coinvolti nello sforzo di trovare una
soluzione definitiva all'infezione si sono incontrati per spiegare lo
stato dell'arte delle proprie ricerche che ancora non hanno individuato una risposta univoca a tale sfida.
USA, GB, Francia, Italia, Canada, Indonesia, Svizzera,
Botswana, Belgio, Kenia, Australia, sono i paesi che hanno presentato risultati di questi anni di ricerca.
La conferenza, ideata e organizzata da IAVI (International AIDS
Vaccine Iniziative, associazione non profit) e da International
Medical Press, è iniziata con la drammatica presentazione di
Wayne Koff (IAVI) sui dati epidemiologici: 60 milioni di persone
HIV+ nel mondo dall'inizio dell'epidemia, oltre il 95% colpiti nei
paesi in via di sviluppo, 22 milioni di morti, 13 milioni di orfani,
10 infezioni al minuto.Il compito istituzionale di IAVI è quello di
identificare nuove strategie per lo sviluppo di vaccini ed accelerare i candidati più promettenti verso risultati clinici utili all'uomo.
Nonostante le ricerche in corso in tutto il mondo, Koff ha ricorda
to che non è realistico contare su vaccini per i prossimi 8 anni
sempre che gli studi in corso forniscano dati promettenti.
L
Molti ricercatori hanno individuato gli interrogativi a cui
bisogna rispondere per potersi avvicinare ad una risposta scientificamente valida ed appropriata per creare uno o vari candidati
da associare con l'obiettivo di eliminare definitivamente il flagello
dell'AIDS. Ma la maggior parte degli studi presentati alla
Vaccine Conference si riferisce a risposte ottenute su animali.
Rhesus macacus, scimmie, ratti, conigli, sono state le parole più
ricorrenti nei giorni di Porto Rico.
Alcune delle strategie per lo sviluppo di un vaccino, finora indirizzate ai primati, indicano che anticorpi neutralizzanti e risposte
citotossiche dei linfociti T (CTL) sono associati alla protezione
dall'infezione e al miglioramento della malattia. L'involucro
dell'HIV è composto da proteine poco immunogeniche e gli studi
recenti hanno dimostrato che l'interazione tra la gp 120, gp41 e
le cellule ospiti è complessa. Fino ad oggi nessuno dei vaccini
candidati ha provato la propria capacità di sollecitare risposte a
livelli umorali e cellulari alle proteine dell'HIV-1. Altro problema è
quello della ricerca dei vettori. Finora, secondo L. Corey
(University of Washington, Seattle, USA), i vettori competenti
nella replicazione, come nei vaccini ricombinanti, e i vettori
incompetenti nella replicazione, come il vaiolo del canarino, sollecitano risposte specifiche CTL. Pertanto strategie di vaccini
combinati che contengano diversi tipi di vaccino, sono il modo
migliore di affrontare lo sviluppo di un regime che fornisca risposte CTL e anticorpali.
Ma il problema, adesso, secondo Corey, è
capire quali sono i criteri per effettuare
studi sull'efficacia. Anche RA Gruters
(Erasmus Universitaat, Rotterdam,
Olanda) centra la propria ricerca sulle
risposte CTL, studiando in particolare la
reazione delle proteine dell'involucro del
virus.
Secondo S. Rowland-Jones (John
Radcliffe Institute, Oxford, GB), un vaccino efficace dovrebbe sollecitare una forte
ed ampia risposta immunocellulare al virus.
Nell'infezione vengono generate forti risposte CTL frequentemente supportate dalla
secrezione di interferone gamma. In seguito però, la maggior parte dei pazienti
smette di produrne progredendo verso
l'AIDS. La Rowland-Jones si chiede dunque, quali siano i fattori chiave per cui si
arrestano queste risposte interferone
gamma nella persona HIV e per migliorare
tale situazione con lo sviluppo di vaccini.
Da questo punto di vista, lo sviluppo di
nuove strategie si basa più sulla risposta
immunitaria protettiva e cerca di capire
che cosa si possa imparare dagli studi di
donatori esposti ma apparentemente non
infettati.
M Mwau (John Radcliffe Institute, Oxford,
GB), sostiene che è ormai chiaro che i
volontari HIV+ rispondono ai peptidici gag
HIV e agli epitopi gag e ciò significa che i
peptidici codificati nel suo studio possono
essere processati da cellule antigeniche,
mentre gli HIV- non riconoscono i peptidici
gag.
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TIPI DI VACCINI
Tra i più importanti che seguono i criteri citati, vi sono:
1
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ALVAC (in sviluppo da Aventis - Pasteur): si basa su un virus chiamato il canarypox (vaiolo del canarino, innocuo sugli essere umani) nel quale sono stati inclusi frammenti di HIV. Vi sono attualmente 853
pazienti in studio di fase I con diversi vettori ed i primi risultati saranno resi noti nel corso del 2002.
Vaccini DNA e MDA che utilizzano sequenze genetiche del sottotipo A. Questa tipologia uti-
lizza l'idea di iniettare frammenti di DNA che non si replicano e non proteine (come AIDSVAX) o virus
interi (come ALVAC). I vaccini DNA mirano a rinforzare una parte del sistema immunitario, cosiddetto
delle cellule T killer, che attaccano il virus distruggendo le cellule che questo ha già infettato.
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Particolare menzione merita lo studio della Merck, in fase I, che mira ad attaccare i geni dell'HIV ad un
altro virus: l'adenovirus. Normalmente l'adenovirus causa raffreddore e influenza, ma in questo caso è
neutralizzato. L'utilizzo di questo virus per trasferire i geni HIV nelle cellule, aumenta la quantità di cellule T killer che aggrediscono l'HIV. La Merck, nel suo studio, sta associando i due criteri: il primo rinforza il sistema immunitario con il vaccino DNA ed il secondo rinforza la risposta con l'adenovirus (ci si
chiede se le persone con anticorpi all'adenovirus possano annullare l'efficacia del vaccino stesso).
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Ha suscitato molto interesse anche la presentazione di J Lisziewicz e Franco Lori, del Research
Institute for Genetic and Human Therapy di Washington. I ricercatori hanno presentato un vaccino
transcutaneo DNA per l'induzione di risposte immunitarie T. Dopo aver sottoposto le scimmie a STI,
hanno applicato un cerotto (il Dermavir) sulla pelle il quale induce risposte immunitarie T. Dopo l'immunizzazione con tale cerotto la carica virale delle scimmie è scesa durante i cicli di interruzione da una
media di 4.292.260 a 200 copie/ml. I risultati mostrerebbero che vi sono speranze di indurre un controllo virale in qualsiasi momento dopo l'infezione con il retrovirus. Tale schema di vaccino DNA transcutaneo, secondo i ricercatori, potrebbe anche essere sviluppato per la prevenzione dell'infezione da
HIV.
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Vaccini chiamati “REPLICON” basati sul sottotipo C e sviluppati da ricercatori sudafricani in
collaborazione con ALPHAVAX. Questo sistema chiamato replicon utilizza un virus VEE (Venezuelan
Equine Encephalopathy) che avvolge completamente l'esterno del virus portando con sé il vaccino nelle
cellule che il virus infetterebbe in modo da neutralizzarlo con materiale genetico che cresce nella cellula. L'idea base è quella di creare una forte risposta immunitaria.
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Vaccini AAV (adeno-associated virus): sono vaccini che in questa fase di studio hanno utilizzato il
virus SIV adottando un nuovo sistema di vettore basato su virus ricombinanti adeno-associati. L'AAV è
un parvo virus non patogenico e ha replicazione difettosa. I vettori rAAV mancano dei geni AAV e consistono esclusivamente del gene d'interesse. Gli studi effettuati utilizzando questo criterio mostrano
che gli animali immunizzati con una singola dose di rAAV/SIV hanno risposte antigeniche specifiche
citotossiche T suggerendo che i vettori rAAV stimolano una forte risposta contro il SIV (P. R. Johnson,
Children's Research Institute, Columbus, Ohio).
Un criterio differente (G. K. Lewis. Divison of Research, Institute Of Human Virology, Biltmore, USA) è
quello di creare un vaccino da assumere per via orale utilizzando il batterio della salmonella attenuato,
che solleciti anticorpi ampiamente neutralizzanti oltre alle risposte cellulari CD8. La parte immunogenica in questi studi è fornita da una proteina chimerica a catena semplice creata collegando la gp120 con
la D1D2 del CD4 umano. Tale immunogeno è definito come FLSC e cioè Full Lenght Single Chain
Chimera. La creazione di questa molecola deriva da studi su macachi e la rende un candidato promettente nella strategia di studio prime-boost e di immunogenicità.
Altro candidato a passare alla fase di studi sull'uomo è il vaccino ricombinante che contiene la gp120,
l'antigene proteico di fusione NgTaT ed un adiuvante (ASO2A) che ha dimostrato la propria efficacia
nella prevenzione della malaria. I componenti di tale vaccino sono stati studiati da GSK su gruppi di
scimmie. Tutti gli animali immunizzati con la combinazione di gp120 e di proteine regolatorie hanno
mantenuto il livello di CD4 e di carica virale stabili per oltre 18 mesi. Si prevede che GSK inizi gli studi
sull'uomo con un vaccino sottocutaneo entro il 2001 in persone HIV- ed entro il 2002 in persone HIV+.
Anche Aaron Diamone AIDS Research Institute di New York sta concentrando le proprie ricerche sullo
sviluppo di un vaccino per l'HIV e valuta in modo comparativo le forme dell'involucro delle proteine HIV
monomeriche (gp120) e oligomeriche (gp140) per la capacità che mostrano di indurre risposte anticorpali neutralizzanti. Gli studi, fatti in associazione con la Chiron (I.K. Srivastava), per il momento sono
stati effettuati solo su conigli.
essere sperimentati in combinazione, tali tempi su allungano
ulteriormente. Altro ostacolo è certamente rappresentato dal
fatto che i ricercatori dovranno dialogare ed intercambiare risultati ed opinioni.
Queste le basi su cui si orienta la ricerca di vaccini preventivi e
curativi per l'HIV, presentate alla Conferenza di Porto Rico, ma,
come sottolineato da Wayne Koff, per lo sviluppo di un vaccino
si necessitano altri 8 anni dal momento in cui vi sono evidenze
di efficacia. Se si pensa poi che due o tre vaccini dovranno
David Osorio
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RIVISTA DI INFORMAZIONE SULL’HIV
n.1 estate 2001
Terapie
a passo
di tango
Spedizione in A.P. - art.2 comma 20/c
legge 662/96
Reg.Trib. Roma n.373 del 16.08.2001
Direttore Responsabile
Filippo Schloesser
Redazione
Mauro Guarinieri
Paola Nasta
David Osorio
Comitato scientifico
recente Conferenza dell'IAS a Buenos Aires abbiamo assistito ad un vio Alentolla flusso
di informazioni, spesso contraddittorie con quelle che ci venivano
fornite fino a pochi mesi fa. o scenario sta mutando. E che stia mutando lo ha
dimostrato anche Julio Montaner (medico argentino che lavora a Vancouver) il
quale, all'apertura del Congresso di Buenos Aires ha dichiarato che start early,
hit hard è una parola d'ordine superata. Suggerisce infatti di iniziare la terapia
solo quando il paziente ha raggiunto il traguardo dei 200 CD4, per diminuire l'insorgenza di effetti collaterali (sic!) e per diminuire i costi (sic!). Vi ricordate quando il governo italiano diceva: lavorare poco, lavorare tutti? In questo caso si può
tradurre in: curare meno, curare tutti.
Montaner però non ha minimamente affrontato il problema della risposta individuale alla terapia. E se il paziente che inizia il trattamento a 200 CD4 non
risponde subito e bene? O se, ad esempio, ha una reazione di ipersensibilità
che lo allontana dalla terapia per un ulteriore periodo? Alcuni studi riportano
che la migliore strategia terapeutica, quella a cui il paziente risponde meglio, è
la seconda e non la prima. Ma un paziente con 200 CD4 e magari un rischio di
intolleranza al primo schema terapeutico, può davvero aspettare il secondo
senza rischiare di compromettere il proprio sistema immunitario in maniera irreversibile?
Da anni i migliori medici e i più attenti ricercatori del mondo, tra cui molti italiani, ci hanno insegnato che la terapia antiretrovirale efficace si otteneva combinando molecole di classi diverse (PI+NRTI+NNRTI o 2NRTI+PI o
2NRTI+NNRTI). Anche qui lo scenario potrebbe cambiare in seguito allo studio
CNA3014. Tale studio conclude che ABC+COM (3 NRTI) è equivalente a
IDV+COM (2 NRTI+ PI) in pazienti non pretrattati e che garantisce una
migliore aderenza (72% vs 45%). Ma tale studio (gli studi che utilizzano combinazioni di farmaci prodotti dalla stessa casa farmaceutica vengono detti incestuosi) era stato effettuato per studiare come migliorare l'aderenza in alcuni
casi specifici. Ci auguriamo che il "take home message" sia molto cauto sui
risultati di questo studio a 48 settimane. Infatti, qualsiasi combinazione a tre
farmaci in pazienti non pretrattati funziona, ma poi? Quando dovesse fallire,
quali altri NRTI avrebbe a disposizione il paziente per creare una combinazione? Solo il ddI. O qualcuno dei farmaci della combinazione, sempre che al
paziente sia possibile effettuare un test di resistenze. Ma quanti pazienti in
Italia hanno accesso ai test di resistenza?
E' stato presentato un poster (il 342) elaborato dal San Matteo di Pavia. Anche
tale studio mirava a diminuire le difficoltà degli schemi terapeutici. Si sono
paragonati in uno studio di farmacocinetica l'assunzione di lamivudina (3TC,
Epivir) una volta al giorno (QD 300 mg) e due volte al giorno (BID 150 mg)
come attualmente prescritta. Lo studio non ha mostrato alcuna differenza
significativa nei valori medi di concentrazione tra i due regimi di dosaggio. I
livelli di AUC e trough erano rispettivamente più alti e più bassi. Anche in questo caso ci poniamo delle domande: come mai gli studi di farmacocinetica
effettuati dall'industria farmaceutica nelle prime fasi non hanno evidenziato tale
equivalenza che avrebbe semplificato la terapia? O forse era conosciuta, ma il
3TC BID facilitava l'immissione nel mercato del Combivir che comunque andava somministrato BID? Sono solo ipotesi, naturalmente.
Abbiamo comunque assistito ad un numero sempre crescente di studi che tengono in conto i problemi del paziente, quali l'aderenza e gli effetti collaterali.
Pochi sono gli strumenti per migliorare tali aspetti, ma almeno gli studi ne parlano… lo scenario sta proprio cambiando. Grazie IAS!
Filippo von Schloesser
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Dr. Ovidio Brignoli
Dr. Raffaele Bruno
Dr. Claudio Cricelli
Francois Houyez (F)
Dr. Martin Markowitz (USA)
D.ssa Paola Nasta
Dr. Filippo Schloesser
Prof. Fabrizio Starace
Dr. Stefano Vella
Grafica e coord. editoriale
Gianluca Longo
Stampa
Romagrafik - Roma
Editore
Nadir Onlus
via Panama 88 - 00198 Roma
[email protected]
Hanno collaborato:
Valentina Biagini
Iuri Bedini
Roberto Biondi
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Il numero 1/2001 di DELTA è dedicato alla memoria di
HECTOR PELLEGRINI
architetto
Buenos Aires, 14 settembre 1948 - 14 marzo 1994