Vacanze serene con un filo di prudenza

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Spedizione in Abb.Post. D.L. 353/2003 (N.46 2004) art.1 comma 2 E 3 • ANNO 2013 N. 2
2/2013
II quadrimestre
maggio/agosto
2013
Vacanze
serene
con un
filo di
prudenza
La frutta fresca
si rivela un vero
toccasana con vari
effetti protettivi
sulle coronarie
Defibrillatore,
ecco la scatoletta
che dà la scossa e
può salvare la vita al
paziente
Nuovi trattamenti
contro l’ipertensione
arteriosa per chi non
reagisce alle terapie
normali
pp. 6-8
pp. 20-22
pp. 23-24
CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013
Sommario
___________________________________ pag
TRA DUBBI E ANGOSCE ANCHE LUOGHI COMUNI
DA SFATARE
In vacanza senza paura____________ 3
EDITORIALE
A tutto sprint ____________________ 5
IMPORTANTE COMPONENTE DELLA DIETA
MEDITERRANEA
Frutta fresca, un toccasana_________ 6
Pere grigliate con gelato___________ 7
Dizionario medico________________ 8
L’ALIMENTAZIONE COME SPIA DI UNA SOCIETÀ E
DI UNA CULTURA
A tavola con la gente del Medioevo___ 9
Un assaggio nel passato__________ 12
GLI INTERESSANTI RISULTATI DI DUE STUDI
AMERICANI
Contro l’ipertensione arteriosa
un nuovo tipo di trattamento_______ 13
CARDIOPATIE CONGENITE: DAL CENTRO
PEDIATRICO A QUELLO PER L’ADULTO
La medicina di transizione, ovvero
“quando l'adolescente non sa più
dove sta di casa il suo cuore”______ 15
IL COMMENTO. UNA SFIDA AD ALTA
PROFESSIONALITÀ
Un mondo nuovo tutto da sviluppare
con amore e scienza_____________ 16
UNO SFORZO ORGANIZZATIVO CHE PARTE DA
LONTANO
Ecco la rete per l’infarto
nella regione Piemonte___________ 19
DIAMO UNA SCOSSA AL CUORE: LA TECNOLOGIA
DELL’ELETTROSTIMOLAZIONE È SEMPRE PIÙ EFFICACE
La scatoletta che salva la vita______ 22
LA STORIA
Una poltrona per i pazienti_________ 25
IN CAMPO CON LA NOSTRA ONLUS
UN INCARICO CHE PREMIA UNA CARRIERA
PRESTIGIOSA
Cin-Cin per Nuccio Marra _________ 27
ASSEMBLEA SOCIALE Danielis: 2012 un
anno positivo___________________ 28
Dicono di noi___________________ 29
Sintesi di bilancio_______________ 30
2
In copertina: foto stock.xchng; interno: fotografie di Fiorenzo Ardizzone; stock.xchng
Il Consiglio Direttivo
Amici del Cuore onlus
Presidente
Danilo Danielis
Vice Presidente
Sebastiano Marra
Caterina Racca
Tesoriere
Michelangelo Chiale
Segreteria
Carla Giacone
Consiglieri
Fiorenzo Ardizzone, Ezio Bosco, Luciana Cerrini,
Michelangelo Chiale, Luisella Chiara, Danilo
Danielis, Ida Fonnesu, Fiorenzo Gaita, Carla
Giacone, Sebastiano Marra, Guglielmo Moretto,
Marcella Pinna, Ornella Pittà, Caterina Racca,
Enrico Zanchi
Sindaci
Cesarina Arneodo e Giuseppe Mamoli
Comitato Scientifico
prof. Fiorenzo Gaita
dr. Sebastiano Marra
dr. Marco Sicuro
dr. Tullio Usmiani
dr. Armando De Berardinis
dr. Maurizio D'Amico
Comitato di Redazione
Ezio Bosco, Michelangelo Chiale,
Carla Giacone
Coordinatrice volontari
Caterina Racca
Progetto grafico della rivista
Roberta Serasso
Segreteria di redazione
Carla Giacone
Fotografie
Fiorenzo Ardizzone
Webmaster
Candeloro Buttiglione, Antonio Cirillo
CARDIO PIEMONTE - ANNO IX - N. 24 (2013)
Tribunale di Torino 4447 del 26-02-92
Direttore Responsabile: Michele Fenu
ORGANO UFFICIALE DE
AMICI DEL CUORE PIEMONTE • Associazione Onlus
Associazione di Volontariato, no-profit, per la prevenzione e la ricerca delle
malattie cardiovascolari
Sede A.O.Città della Salute e della Scienza di Torino
Corso Bramante, 88 • 10126 Torino • Tel. 011.633.55.64
Reparto di Cardiologia 2 dr. Sebastiano Marra
Presidente: Danilo Danielis
www. amicidelcuore.ideasolidale.org
e-mail: [email protected]
cell. 346/1314392
Tipografia: Grafart s.r.l. - Venaria Reale (TO)
CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013
TRA DUBBI E ANGOSCE ANCHE LUOGHI COMUNI DA SFATARE
In vacanza senza paura
Ipertensione, malattie coronariche, scompenso cardiaco: ecco una sintesi
di come comportarsi al mare o in montagna. Attenti alla disidratazione e
agli sforzi eccessivi. L’altitudine non è un problema
di Sebastiano Marra
Una spiaggia dorata, un sentiero tra i boschi, un lago azzurrino: aria di vacanza, la
mente si distende e il corpo si rilassa. Ma è
sempre così? I pazienti che soffrono di una
cardiopatia spesso in questo periodo vanno in confusione, tra dubbi, timori e consigli contrastanti: «Non andare perché quel
posto è troppo in alto»; «Lascia perdere il
mare, il caldo è eccessivo»; «Sospendi le terapie», «no, non farlo»; «Mangia poco, anzi
il meno possibile»; «Stai pure al sole», «no,
vivi all’ombra».
Risultato? Un paziente che ha già le sue
problematiche anche sul piano psicologico, invece di andare in vacanza con animo
lieto si muove con l’angoscia di star male,
soprattutto se ha scelto una meta lontana
o un luogo dove i servizi cardiologici non
sono sull’uscio di casa, come in città. Nasce
una forma di disagio che può coinvolgere la
famiglia o gli amici.
Come sappiamo, ci sono tanti tipi di patologie cardiovascolari, più o meno gravi.
Io suddividerei le malattie cardiache in tre
grandi fette: quella delle coronarie; quella
di chi ha avuto un infarto o, comunque, manifesta dei sintomi coronarici; quella dell’ipertensione o pressione alta, in particolare
in presenza di un soggetto in età avanzata.
Situazioni che potrebbero miscelarsi progressivamente e che hanno esigenze e problematiche assai diverse.
Parliamo subito del caso più semplice, quello dell’ipertensione, che coinvolge una larga
parte della popolazione nel mondo. Mediamente gli ipertesi hanno un’età che va dal
medio all’avanzato, seguono una terapia di
un certo tipo e devono
controllare che sia efficace nel tempo. Il clima, più caldo, invoglia
a compiere una maggiore attività fisica: nuoto,
camminate,
bicicletta.
Bene, l’individuo con la
pressione alta può, anzi
deve fare attività fisica
come una persona normale, senza aver paura.
C’è chi dice: ma io prendo delle medicine, se mi
muovo troppo sudo molto e la pressione si
abbassa.
Ma in generale i pazienti sono consapevoli della loro situazione e si tengono sotto
controllo con l’apparecchio elettronico che
misura al braccio (mi raccomando, non al
polso) la pressione arteriosa.
Attenzione, non contano tanto i valori misurati (ad esempio, un soggetto che ha 130140 normalmente scende a 110) quanto le
sensazioni del paziente, come sentire stanchezza o un senso di debolezza. Punto importante è adattare la terapia con modeste
o lievi riduzioni dei dosaggi. Ma questo è un
discorso che va fatto con il cardiologo o il
medico: niente autogestione. Sconsigliabile
la sospensione della terapia, perché la malattia d’estate non va in vacanza. Ad esempio, si può ridurre di un quarto il dosaggio
di un farmaco, il diuretico si prende a giorni
alterni.
I pazienti affetti da malattia coronarica, che
si riferisce alle arterie che nutrono il cuore,
Dott. Sebastianno
Marra, Direttore del
nuovo Dipartimento
Cardiovascolare e
Toracico della Città
della Salute e della
Scienza
3
CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013
Vista del Monviso dal Ponte di Casalgrasso
4
in genere sono portatori di una terapia abbastanza vigorosa, non tanto per curare i
sintomi quanto la malattia in sè.
Conoscete le cause: colesterolo, pressione
e trigliceridi alti, diabete, peso eccessivo,
sedentarietà, vizio del fumo.
Nel periodo estivo questi soggetti hanno
due tentazioni: svolgere una più intensa
attività sportiva e lasciarsi andare a follie
alimentari. Io dico loro: non abbiate paura
di salire ai duemila metri del Sestriere o di
godervi una caldissima spiaggia siciliana,
abbiate invece paura di voi stessi nel gestire la vostra malattia. Uno può concedersi
ogni tanto un pasto più ricco, perché l’abboffata ogni 2-3 settimane non danneggia
il sistema, è la piccola trasgressione quotidiana che è deleteria, perché fa dimenticare
i nostri doveri.
La terapia non comporta d’estate, in genere,
grandi cambiamenti. La cautela, comunque,
impone di controllare il proprio stato di forma (ti senti stanco o molto debole?) e di
evitare una prolungata esposizione al sole
per non sudare copiosamente e disidratarsi.
Ovvio che bere fa bene. Chi va in montagna
non deve avere questi timori: l’altitudine
non è un problema rilevante. Aria fresca,
dieta appropriata, un po’ di sport, magari
lo stop al fumo: sono giorni sereni, che aiutano lo spirito e a convivere meglio con la
malattia.
Se salta fuori qualche sintomo negativo ci
sono due ipotesi. Primo, è un fatto nuovo,
e allora rivolgersi a un medico locale o a
un centro ospedaliero, fare un elettrocardiogramma oppure l’avevate percepito in precedenza ma avete fatto finta di niente per
non rovinarvi la vacanza. La procedura è la
stessa, certo è stata un’imprudenza.
E veniamo ai pazienti con scompenso cardiaco, che può essere l’inizio di una storia
dopo una miocardite o un primo grosso infarto. In genere, colpisce più lentamente e
si riferisce a una categoria di persone con
età più avanzata dei soggetti di cui abbiamo finora parlato. Qual è il loro tallone d’Achille? Un esercizio fisico eccessivo perché
potrebbe essere distruttivo per la funzione
residua del cuore, la sudorazione da caldo.
Anche in questo caso niente paura dell’altitudine: potrà svolgere la stessa (moderata)
attività che al mare o in pianura. Anzi, il
clima più fresco è una protezione.
Occorre un equilibrio tra la quantità di liquidi introdotti e quelli espulsi. Se ci si disidrata si mette in crisi anche la funzione
renale, con serie conseguenze. Bere troppo,
mangiare un po’ salato e consumare pasti
abbondanti fa saltare la dieta. Mangiare
troppo fa ˝lavorare˝ maggiormente il cuore. Attenzione, in questo caso è necessario
limitare l’attività fisica, che, comunque,
andrebbe sempre svolta a stomaco vuoto o
quasi. Controllare con una certa frequenza
la pressione arteriosa. La terapia diuretica
va discussa con il cardiologo prima di partire per le vacanze. Mai sospenderla, ma modularla anche perché il clima può cambiare:
da caldo a freddo e viceversa.
Esercizio fisico moderato (ancora nuoto,
passeggiate, bicicletta), senza dimostrazioni di forza. Se vi siete allenati con intelligenza, il muscolo cardiaco lavorerà di meno.
Camminare a lungo significa stimolare i
muscoli delle gambe che sfruttano con più
efficacia l’ossigeno che arriva loro. Si può
andare anche in spiaggia ma non nelle ore
CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013
più calde per non disidratarsi. In montagna
attenti ai saliscendi: niente sforzi. E pesarsi
ogni mattina: se il peso cresce o avete mangiato troppo o trattenete i liquidi eccessivamente, se cala potrebbe essere segno di
disidatrazione.
Per un paziente con scompenso cardiaco
o iperteso è opportuno andare in vacanza
con un farmaco salvavita. La crisi ipotensiva si risolve facilmente (paziente coricato, gambe alzate, un bicchiere d’acqua),
quella ipertensiva con delle gocce apposite
(10-12 sotto la lingua) o spray. Chi ha uno
scompenso cardiaco, in caso di fibrillazione
atriale, può ricorrere a pastiglie apposite.
Vacanze in campagna?
Contro attacchi allergici munirsi di fiale di
cortisone e di adrenalina (iniezione sotto
cute).
Come ultimo suggerimento, specie per chi
va in Paesi lontani, portare con se il dischetto con l’esame angioplastico e l’ultimo elettrocardiogramma per permettere al
medico locale di valutare la situazione ed
estendere l’assicurazione del Sistema Sanitario Nazionale nell’ambito della Comunità
Europea.
Avvertenze semplici per una vacanza piacevole. E ricordiamoci sempre che la prevenzione, in tutti i sensi, è sempre la nostra
carta vincente.
Editoriale
A tutto sprint
di Michele Fenu
Volontariato, aiuto in termini finanziari alla
ricerca medico-scientifica, donazione del 5 per
mille alle associazioni no profit. La crisi che ha
colpito l’Italia non ha bisogno di essere illustrata da CardioPiemonte: tutti ne conosciamo
gli effetti. Tra questi i tagli alla sanità, per
cui il ruolo del volontariato diventa sempre
più importante. In tale ottica il supporto che
gli Amici del Cuore offrono disinteressamente
alle Molinette per quanto riguarda Cardiologia
1 e 2 e ora anche Cardiochirurgia assume una
particolare rilevanza. Le patologie cardiovascolari, purtroppo, rappresentano il primo fattore di mortalità nel nostro Paese malgrado i
progressi in campo farmaceutico, lo sviluppo
di tecnologie sempre più sofisticate e, naturalmente, la competenza dei medici.
L’impegno della Onlus si rafforza in tre direzioni:
prevenzione, con una serie di iniziative che
aumentano di anno in anno e che ci portano
nelle piazze e nelle farmacie, con migliaia di
visite sul campo di persone che mai avrebbero
pensato di farsi controllare (e in alcuni casi
abbiamo salvato la vita di uomini e donne) e
diffondendo la cultura di stili di vita idonei a
ridurre i rischi; supporto economico ai «nostri
protetti», con l’acquisto di apparecchiature
grandi e piccole che talora suscitano l’ammirazione di altri reparti ospedalieri, e borse di
studio per i giovani medici che possono così
migliorare le proprie capacità; il lavoro prestato nelle cardiochirurgie e in giro per il Piemonte.
Un lavoro, quest’ultimo, che sta diventando
quasi professionale, nel senso che all’impegno
generoso si deve sommare un’attività coordinata, che nulla toglie alla libertà di ciascuno ma
regala una migliore efficienza. Il concetto di
team, di squadra non vale soltanto per chi opera nell’industria o nelle professioni: è un’arma
in più per emergere anche nel nostro settore.
Del resto, in questi anni le attività e la presenza
degli Amici del Cuore sono cresciute in modo
esponenziale. Per l’Associazione un motivo di
legittimo orgoglio. Siamo più conosciuti e questa rivista, con il suo mix di articoli scientifici
e varietà, si è trasformata in un biglietto da visita, nell’immagine di un gruppo che in 35 anni
di vita è stato capace di evolversi rimanendo
fedele a quello spirito di solidarietà per cui è
nato. Stiamo marciando a tutto sprint.
5
CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013
IMPORTANTE COMPONENTE DELLA DIETA MEDITERRANEA
Frutta fresca,
un toccasana
PIE
Asso MON
prev ciaz TE O
enzi ione NLU
on di vo S
e de
lle lontar
mal ia
atti to pe
e ca r la
rdio
vasc
ol
ari
Idrata, detossifica, apporta sali minerali e vitamine. Banane, uva, arance
e pesche sono ricche di potassio. Sorpresa: il succo di melagrana ha
effetti protettivi sulle coronarie. Qualche consiglio sui consumi.
di Virginia Bicchiega
Dott.ssa Virginia
Bicchiega
Nutrizionista
6
Gli esperti di alimentazione
sono da tempo concordi su
una considerazione di partenza: troppo di rado sulla nostra
tavola frutta e verdura arrivano con la giusta frequenza e
regolarità. La conseguenza è
uno stato di salute carente
per la popolazione!
In particolare, bisogna insistere sul fatto che non è sufficiente consumare frutta e
verdura ogni tanto per avere
dei benefici sicuri e duraturi,
bensì adottare sin dall’ infanzia delle abitudini alimentari adeguate e corrette. Tanto
per approfondire una tematica molto spesso
ricorrente nelle pubblicità televisive, giornalistiche on-line e cartacee focalizzeremo la
nostra attenzione sul consumo della frutta in
particolare e il rischio cardiovascolare (CV),
quanto e se il consumo regolare di almeno
2-3 porzioni di frutta al giorno possono considerarsi un obiettivo per ridurre il rischio di
patologie cardiache e vascolari.
La gran parte delle patologie del sistema
circolatorio sono imputabili alle malattie
ischemiche (per esempio l’infarto del miocardio) e alle patologie cerebrovascolari (come l’ictus). In ambedue il rischio di
vita è elevato con morti premature per le
patologie ischemiche mentre la componente maggiore della mortalità nelle patologie
cerebrovascolari è rilevabile in particolare
nelle classi di età più avanzate. Cosa fare
per prevenire questi eventi così pericolosi e
spesso invalidanti ?
L’obiettivo primario potrebbe essere il tentativo di modificare i fattori di rischio per
patologie cardiovascolari come ridurre l’ipertensione arteriosa, il fumo, l’ipercolesterolemia, il diabete, il sovrappeso e/o l’obesità e non per ultimo ottimizzare le abitudini
alimentari ovvero la dieta. Intendiamo per
dieta il “sano stile di vita” dove l’alimentazione corretta ed equilibrata è uno degli
aspetti da considerare. Molte componenti
influiscono sul rischio cardiovascolare, in
modo negativo per l’eccessivo consumo di
alimenti ad alto contenuto di sale e grassi
animali. Altra componente è lo scarso introito di pesce.
Un consumo scarso di frutta e verdura è
spesso conseguente a motivi non solo abitudinari ma culturali ed economici. Nella genesi delle patologie cardiovascolari rivestono
un ruolo importante alcuni fattori come il
basso livello socio-economico o la condizione di stress cronico legata a situazioni conflittuali familiari e sociali.
Per contrastare l’insorgenza delle malattie CV
è importante adottare un approccio alla popolazione e individuale, educativo/informativo capillare che possa spostare in senso favorevole la distribuzione dei fattori di rischio
nell’ intera comunità con iniziative che attraverso campagne sanitarie e/o promozionali
aumentino la consapevolezza dei diversi portatori di rischio sugli specifici temi di salute
e come farne proprie le finalità benefiche a
CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013
breve, medio e lungo termine.
Cominciamo con la frutta! Fresca preferibilmente, per consumarla al meglio delle proprietà organolettiche e, perché no, anche a
buon prezzo. Indispensabile conoscere la
frutta stagionale e cercarla nei nostri mercati e supermercati dove dovrebbe essere
esposta in modo tale da richiamare il consumatore all’acquisto! Mangiarne almeno due
porzioni al giorno, sicuramente per quantitativo medio giornaliero di 200-300 grammi
di frutta edibile (cioè pronta al consumo).
La frutta idrata, detossifica, apporta sali minerali e vitamine, acqua e soprattutto non
è molto calorica, ma ricordarsi che contiene
una discreta quantità di zuccheri semplici,
quindi non abusarne. Questo consiglio vale
non solo per chi necessita di perdere peso
ma anche per chi è portatore di diabete
o presenta degli alterati valori glicemici:
potrebbero risentire negativamente di un
eccesso nel consumo, con picchi ematici
iperglicemici dovuti al veloce assorbimento
degli zuccheri. Altro fenomeno non piacevole
e conseguente al consumo di frutta a digiuno, è la repentina sensazione di “fame” che
insorge rapidamente dopo avere consumato
un frutto, a causa dell’ipoglicemia seguita
all’ iperproduzione insulinica stimolata dall’
assorbimento dello zucchero. Quindi associare sempre un prodotto da forno ricco in
fibra, che aiuta a rallentarne l’assorbimento:
una piccola strategia per un sano spuntino a
metà mattina o pomeriggio, per non raggiungere affamati l’ora del pranzo o della cena, a
chi necessita. Inoltre, la fibra, presente in
particolare nella buccia ma anche nella polpa
dei diversi frutti, tra cui la pectina oltre a
facilitare la digestione può prevenire alcuni
disturbi intestinali, soprattutto nell’infanzia.
In questo caso ricordarsi di lavare bene la
frutta prima di consumarla e acquistarla sempre da filiere ben controllate.
La prevenzione cardiovascolare ha uno dei
suoi cardini nell’azione antiossidante dei
prodotti ortofrutticoli. La ricerca ha permesso di stabilire che il contenuto di polifenoli di questo alimento, presente in natura
sottoforma di innumerevoli varietà, è stato
finora sottostimato. Rispetto alla frazione
solubile, le sostanze polifenoliche sono nella frutta cinque volte più abbondanti, con
un’azione antiossidante i cui notevoli benefici per l’organismo sono stati abbondantemente trascurati, solo però, e mi ripeto, se
il consumo è regolare e costante!
Un accenno al potassio, minerale utilissimo per contrastare l’eccesso di sodio spesso
presente nella dieta. Recenti studi hanno
evidenziato come il potassio possa proteggere il cuore dall’insorgere di malattie cardiovascolari. Esso è conosciuto dalla maggior parte delle persone per la capacità di
proteggere dai crampi muscolari ma sappia-
Ricetta della Dott.ssa
Virginia Bicchiega - Nutrizionista
Pere grigliate con gelato
Ingredienti per 4 persone:
• 4 pere sciroppate
• 4 palline di gelato al limone o altro
gusto
• foglie di menta
• 1,5 dl di sciroppo
Preparazione:
Disponete le pere tagliate a metà (se preferite con la buccia) sulla griglia oppure
sulla padella di ghisa e fatele cuocere a
calore moderato circa 5 minuti per lato;
se utilizzate la griglia e potete regolare la
distanza dalla brace, fate cuocere i frutti a
circa a 15 cm di distanza dalla fonte di calore. Raccogliete lo sciroppo in una piccola casseruola e fatelo restringere a fiamma
medio-bassa e a recipiente scoperto.
Disponete nei piatti singoli le palline di
gelato, quindi le mezze pere; versate su
questo lo sciroppo ristretto e infine completate con le foglie di menta. Servite subito la preparazione.
Se lo preferite, anziché alla griglia, potete cuocere i frutti al cartoccio con il loro
sciroppo, in forno a 180 °C per circa 20
minuti.
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CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013
8
mo anche che tra la frutta, le banane sono
ricchissime di potassio come l’uva e l’avocado, esempi di prodotti facilmente reperibili nei nostri mercati. Nella frutta secca il
potassio è contenuto in quantità molto generose in particolare nell'albicocca e
nella banana disidratata, con
attenzione in questo caso
alla quantità consumata, dal momento che
il contenuto calorico di tale cibo si
impenna velocemente. Anche le
arance, il kiwi, le
pesche sono fruitori eccezionali di
questo minerale.
Una
raccomandazione
ancora. La prima colazione,
non arricchita dal consumo di
frutta fresca, per fretta o cattiva abitudine, spesso è una cattiva abitudine italiana. Ebbene la possiamo considerare un utile
introito di nutrienti e di acqua, assunta in
modo piacevole e necessaria all’ organismo
per idratarsi dopo il digiuno notturno.
La frutta, insieme alla verdura, rappresenta
l’essenza del concetto di dieta mediterranea, una dieta da promuovere e prediligere
in tutte le fasi della vita. Non solo i nutrienti sono da considerarsi utili per considerare l’ importanza dietetica e salutistica
di un alimento, anche i “non nutrienti” che
svolgono un ruolo estremamente utile ai fini
del benessere. In certi casi svolgono importanti proprietà fisiologiche e per questo si
considerano sostanze bioattive. Se sono di
origine vegetale sono denominate sostanze
fitochimiche. Esse sono responsabili del colore della frutta come i glucosinolati o i carotenoidi da cui dipende l’arancione. Tutta
la frutta che spazia dal giallo all’arancione
ne sarà ricca fonte: pompelmo, mandarino,
prugne gialle, pesca, melone. Le antocianine sono autrici del rosso-viola: fragole e
frutti di bosco sono molto apprezzati. Ma
non dimentichiamo la melagrana che anche
se considerata un frutto decorativo, è in
realtà una fonte ricchissima di queste utili
sostanze, il suo succo concentrato ha effetti protettivi sulle coronarie e studi recenti
hanno dimostrato la sua capacità di ridurre
il colesterolo in soggetti diabetici e iperlipidemici.
Prevenzione della mutagenesi e carcinogenesi, minor rischio di patologie oftalmiche
come cataratta e degenerazione maculare,
e in particolare azione antiossidante nei riguardi del colesterolo LDL con prevenzione
della formazione delle placche aterosclerotiche e del colesterolo HDL, con utile difesa
dalle coronaropatie, sono tra i più quotati
effetti preventivi del consumo regolare della
frutta, fresca in particolare e stagionale.
Dizionario medico
In questo numero cerchiamo di capire
cosa significa sottoporsi a
SCINTIGRAFIA CARDIACA
È una metodica diagnostica incruenta
che consente di valutare la irrorazione del
muscolo cardiaco ed in alcuni casi la sua
funzione. È caratterizzata fondamentalmente dalla necessità di iniettare in vena
una sostanza particolare detta “tracciante radioattivo” e dalla misurazione con
un'apparecchiatura (la gamma camera) di
come questo sia captato dal cuore. Può essere eseguita a riposo e dopo uno sforzo.
Nella maggior parte dei casi è necessario
eseguirla sia a riposo che dopo stress fisico
(prova da sforzo) o farmacologico (dipiridamolo o dobutamina).
I motivi principali per cui si esegue questo
esame sono:
• la ricerca della presenza di ischemia
miocardica provocabile con lo sforzo o
con l'infusione di farmaci;
• la ricerca di muscolo cardiaco non funzionante ma vitale;
• la funzione contrattile globale o segmentaria del cuore.
Le quantità di sostanza radioattiva iniettata è molto piccola per cui non è pericolosa.
In ogni caso il minimo rischio presente è
giustificato dalle importanti informazioni
che possono essere ottenute con questo
esame.
CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013
L’ALIMENTAZIONE COME SPIA DI UNA SOCIETÀ E DI UNA CULTURA
A tavola con la gente del
Medioevo
Un mondo suddiviso in rigide classi che si nutrivano con cibi differenti.
Per i potenti il consumare carne era anche un segno della loro
importanza. Salse e spezie in abbondanza, era il trionfo dell’agrodolce
di Franco Orlandi
«Ma la gente del Medioevo che cosa mangiava?»
Questa è la domanda che ci siamo posti in una
cena tra amici. È stato anche un buono spunto
per svolgerer una piccola ricerca sull’argomento.
Quando parliamo di alimentazione medievale ci
riferiamo generalmente ai cibi, alle abitudini alimentari, ai metodi di cottura e in generale alla
cucina di varie culture europee nel corso di un'epoca che si estende, per convenzione, dal 476 al
1492. Durante tale periodo, le diete e la cucina, nelle varie zone dell'Europa, sperimentarono
meno cambiamenti rispetto a quanto succederà
nella più breve epoca moderna che seguì, durante
la quale tali mutamenti posero le basi della moderna cucina europea.
Non è inutile ricordare che la cucina è cultura;
costituisce un ottimo specchio dei tempi ed aiuta a comprendere meglio usi e tradizioni lontane,
modelli di vita che sembrano strani e inimitabili
nel corso dei secoli. Roland Barthes, nel suo celebre saggio sulla “Psicologia dell’alimentazione
contemporanea”, definì il comportamento alimentare “un sistema di comunicazione” dove la
funzione sociale dell’alimento è più forte del suo
valore nutritivo.
La società medievale, fortemente investita dal
problema della sopravvivenza quotidiana, aveva
con il cibo un rapporto certamente più diretto
e immediato rispetto a oggi. Per questo, illustrare il comportamento alimentare, il modo di
preparazione dei cibi, con la logica degustazione
finale, significa fare storia. Qualche storico tenta di spiegare la storia dell’umanità con quella
dell’alimentazione. Non è un’idea esagerata poiché lo studio di quest’ultima implica conoscenze nell’ambito della politica, economia, commercio, religione, migrazione dei popoli, salute
dell’uomo, agricoltura, tecniche di coltivazione,
trasporti, società, religione, gastronomia, medi-
cina, studio del territorio e delle
condizioni climatiche.
La storia dell’alimentazione deve
fare qualche passo indietro nel
passato per completare la conoscenza del presente. Questo esercizio intellettuale produce i suoi
frutti e ci porta a scoprire che
molti dei cibi o delle bevande che
consumiamo oggi quali ravioli,
lasagne, formaggio parmigiano,
crespelle, caffè, sorbetto, orzata, hanno origine medievale e in
qualche caso addirittura antecedente. Lo studio degli alimenti, il
modo di prepararli, l’allestimento della mensa, unitamente agli altri aspetti ci
danno precise indicazioni di “comportamento
alimentare”.
Il mercato, centro della vita cittadina, era collegato strettamente alla gastronomia. Là si facevano affari, si amministrava la giustizia, si tenevano le assemblee e si ordinavano le congiure e le
sommosse. Il mercato era il teatro degli agenti di
cambio e lì si trovavano esposti viveri, dolciumi,
stoffe, calzature, cuoi, terraglie, ecc. Era dunque
qui che aveva origine lo scambio dei prodotti da
portare in tavola. La Chiesa cattolica e la Chiesa
ortodossa con i loro calendari liturgici influenzavano notevolmente le abitudini alimentari; il
consumo di carne era proibito ai cristiani per un
buon terzo dell'anno, e tutti i cibi di origine animale, tra cui le uova e i latticini (ma non il pesce)
erano generalmente proibiti durante la quaresima
e i digiuni. Inoltre tutti osservavano il digiuno
prima di ricevere l'eucarestia e tali digiuni potevano durare anche un giorno intero e comportavano l'assoluta astinenza dal cibo.
Sia la chiesa occidentale sia quella orientale de-
Franco Orlandi
9
CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013
cretarono che i periodi di festa dovevano essere alternati ad altri di astinenza. Nella maggior
parte d'Europa i mercoledì, i venerdì e talvolta i
sabati, oltre a varie altre date, tra cui la quaresima e il periodo dell'avvento, erano dedicati al
digiuno. La carne e i prodotti di origine animale
come latte, formaggio, burro e uova non erano
permessi, si poteva mangiare solo il pesce. Il digiuno si faceva per mortificare il corpo e rafforzare l'anima, in ossequio alla convinzione dell'epoca
che vedeva il corpo come inferiore, e per ricordare
il sacrificio compiuto da Gesù per l'umanità. Lo
scopo non era dipingere alcuni cibi come impuri,
ma piuttosto impartire una lezione spirituale di
auto-moderazione attraverso l'astinenza. Durante
giorni di digiuno particolarmente rigido, il numero dei pasti giornalieri si riduceva ad uno. Anche
se la maggior parte delle persone rispettava le
restrizioni ed era solita sottoporsi a penitenze
quando le violava, esistevano comunque diversi
trucchi per aggirare il problema, un conflitto tra
i principi ideali e la pratica ben riassunto dalla
scrittrice Bridget Ann Henisch: «Fa parte della natura umana costruire le più complicate gabbie di
regole e regolamenti in cui rinchiudere se stesso,
e poi, con la stessa ingenuità e gusto, spremersi
il cervello su come riuscire a sfuggirne di nuovo.
Il digiuno era una sfida: il gioco consisteva nel
trovare le scappatoie.»
La società medievale si presentava stratificata e
divisa in classi rigorosamente separate tra loro.
In un'epoca in cui le carestie erano piuttosto comuni e le gerarchie sociali venivano spesso fatte
rispettare con la violenza, il cibo era un importante segno di distinzione ed aveva una valenza
che non conosce paragoni nella maggior parte
dei Paesi sviluppati del giorno d'oggi. Secondo
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l'ideologia del tempo la società si componeva di
tre stati: la nobiltà, il clero e la gente comune,
ovvero la maggior parte della classe lavoratrice.
I rapporti tra le classi erano di tipo strettamente
gerarchico con la nobiltà e il clero che rivendicavano la propria superiorità terrena e spirituale
rispetto al popolo. Tra la nobiltà e il clero inoltre
esistevano una moltitudine di livelli che andavano dal re al papa, dai duchi ai vescovi giù fino ai
loro subordinati come i cavalieri e i preti.
In generale ci si attendeva che ognuno rimanesse
all'interno della propria classe sociale di nascita e rispettasse l'autorità di quelle dominanti. Di
norma il potere politico non si dimostrava solo
attraverso l'azione di governo, ma anche esibendo
la propria ricchezza. I nobili dovevano mangiare
selvaggina fresca insaporita con spezie esotiche
e mostrare maniere raffinate quando si trovavano
a tavola; gli uomini di fatica dovevano accontentarsi di rozzo pane d'orzo, maiale salato e legumi,
non ci si aspettava che conoscessero l'etichetta.
Questo modo di pensare era rafforzato anche per
mezzo di raccomandazioni riguardo alla dieta. La
dieta dei nobili e dei prelati di alto livello era
considerata sia un segno della loro raffinata costituzione fisica che della loro prosperità economica. L'apparato digerente di un signore doveva
per forza essere più delicato di quello di uno dei
suoi contadini e subordinati e quindi richiedeva
cibi più fini. Nel Medioevo il potente doveva rimpinzarsi, soprattutto di carne, simbolo di forza e
ne doveva mangiare molta per dovere sociale, per
segnalare e comunicare il proprio rango. «Per i
potenti, restare privi di carne era intollerabile e si
comprende perché la proibizione di mangiarne potesse raffigurarsi come una punizione gravissima»
spiega M. Montanari nel Convivio. L’astinenza forzata dalla carne doveva avere per i Vip del tempo
anche una valenza di tipo simbolico, segno tangibile di una emarginazione più o meno temporanea
dalla società dei forti. Non deve stupire che tutti
i potenti di allora, compreso le donne, abbiano
sofferto di gotta. A sottolineare questa logica ci
viene in aiuto un episodio narrato da Liutprando
da Cremona, dove nell’Antapodosis, racconta di
come nell’888 i Franchi elessero a loro re Oddone,
conte di Parigi, al posto di Guido duca di Spoleto,
perché questi era colpevole di accontentarsi di
pochi cibi. Il Vescovo di Metz disse: «Non è degno
di regnare su di noi un re che si prepara un umile
pranzo da dieci dramme». E fu così che abbandonarono Guido ed elessero invece Oddone.
Nel tardo Medioevo, la crescente prosperità di
mercanti e commercianti borghesi fece sì che
CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013
alcuni membri del popolo iniziassero a imitare
l'aristocrazia e minacciassero di abbattere alcune
delle simboliche barriere tra la nobiltà e le classi
inferiori. La reazione si manifestò in due forme:
la comparsa di una letteratura didattica che metteva in guardia sui pericoli che comportava l'adozione di una dieta inappropriata rispetto alla
classe sociale di appartenenza, e l'emanazione di
leggi suntuarie che limitarono il miglioramento
della mensa degli appartenenti al popolo.
La scienza medica del tempo aveva una notevole
influenza su ciò che veniva considerato salutare
e nutriente tra le classi superiori. Lo stile di vita,
la dieta, l'esercizio fisico, il corretto comportamento sociale, e il seguire le prescrizioni mediche era ritenuto il modo giusto per mantenersi in
buona salute e ai vari tipi di cibi erano attribuite
particolari proprietà che avrebbero influito sulla
salute delle persone. Tutti gli alimenti erano classificati secondo scale che andavano da caldo a
freddo e da umido a secco in accordo con la teoria
dei quattro umori corporali proposta da Galeno
che fu comunemente accettata dalla medicina occidentale dalla tarda antichità fino al XVII secolo.
Gli studiosi medievali consideravano la digestione un processo simile alla cottura. L'elaborazione
del cibo all'interno dello stomaco era visto come
il proseguimento della preparazione iniziata dal
cuoco. Affinché il cibo fosse "cotto" in maniera
appropriata e i principi nutritivi adeguatamente
assorbiti, era importante che lo stomaco fosse
riempito nel modo corretto. I cibi facilmente
digeribili dovevano essere consumati per primi,
seguiti gradualmente dai piatti più pesanti. Se
questa sequenza non fosse stata rispettata, si
credeva che i cibi pesanti sarebbero sprofondati
verso la fine dello stomaco, bloccando il condotto
digerente in maniera tale che la digestione sarebbe stata estremamente lenta, provocando la
putrefazione del corpo e attirando gli umori cattivi all'interno dello stomaco. Era anche di vitale
importanza che cibi dalle differenti proprietà non
venissero mischiati.
Per entrare maggiormente nell’aspetto culinario,
va ricordato, che non possiamo trovare nel Medioevo l’uso di pomodori, patate, peperoni, granoturco, patate dolci, peperoncini, arachidi, fichi
d’india, zucche, cacao e animali come il tacchino,
in quanto introdotti in Europa dopo la scoperta
dell’America nel 1492.
I cereali erano consumati sotto forma di pane,
farinate d'avena, polenta e pasta praticamente
da tutti i componenti della società. Le verdure
rappresentavano un'importante integrazione alla
dieta basata sui cereali. L’alimentazione
dei poveri o dei contadini, era sempre
a base di cereali, legumi, ortaggi,
uova e poca carne di animali da
cortile. Vanno ricordati i precetti
del Regimen Sanitatis della Scuola Salernitana fondata, così vuole
la tradizione, da quattro dotti, uno
greco, uno ebreo, uno arabo e uno
latino, a significare che tutta la
tradizione scientifica vi confluiva
per l’elaborazione di nuove forme
di eredità del passato in una integrazione di culture diverse. I Regimi erano manuali di igiene, dietetica
e terapeutica per la conservazione della salute:
«Se vuoi vivere sano ed evitare i malanni, scaccia
le preoccupazioni, vacci piano col vino e col mangiare, e dopo aver pranzato fai una passeggiata
evitando il sonnellino pomeridiano… Lo stomaco
resta abbastanza affaticato da una cena abbondante: per trascorrere notti tranquille, fa’ una cena
leggera… Durante i pasti bere poco e spesso (vino,
poiché l’acqua provoca un’infinità di disturbi allo
stomaco e blocca la digestione)… Faciliti la digestione iniziando il pranzo con una bevanda. Solo il
medico può stabilire e prescrivere quanto, come e
quando di una dieta».
L’alimentazione nel Medioevo è caratterizzata, oltre che dalla forte presenza della carne alla mensa
dei ricchi, dal largo consumo di salse e soprattutto spezie. Non esisteva la separazione tra i sapori
dolce, salato, acido e piccante ma, anzi, c’era la
tendenza ad unire tali sapori. Quindi era facilissimo trovare, ad esempio, il miele mescolato con
l’aceto, e lo zucchero con ingredienti piccanti. Era
il trionfo dell’agrodolce. Le salse venivano preparate con vino, mosto, uva acerba (l’agresto),
miele, aglio, mollica o crosta di pane, cipolle e
spezie. Le carni erano spesso cotte con la frutta.
L’uso abbondante di spezie quali zenzero, chiodi
di garofano, cannella, cardamomo, galanga, noce
moscata, ecc. (che si potevano permettere i ricchi, specialmente quelle esotiche) ha fatto pensare che servissero a coprire, camuffare il sapore
della carne mal conservata o addirittura avariata.
La convinzione appare infondata prima di tutto
perché i ricchi consumavano sempre carne freschissima, macellata sul momento , mentre i poveri conoscevano da tanti secoli le tecniche della
conservazione e delle cosiddette cotture plurime.
Nell’età antica e medievale si sottoponevano le
carni ad una bollitura preventiva, prima di cucinarle nel modo desiderato anche a distanza di
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CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013
qualche giorno. Alla base di tale pratica stava una
preoccupazione di carattere igienico, combinata
con la necessità di conservazione del cibo.
Nella cucina medievale fu molto comune l’uso del
lardo e delle mandorle. Il grasso impiegato era
quello di maiale che serviva per cucinare e friggere. L’olio di oliva sostituiva il lardo in tempi
di magro ed il burro compare abbastanza poco
ed era venduto più spesso salato che fresco. Il
latte di mandorle e le mandorle venivano messi in
tutte le salse, nei piatti salati e nei dolciumi, sia
intere che macinate. Per la conservazione dei cibi
si ricorreva al ghiaccio (refrigerazione), all’aria
(essiccazione), al sale (salatura),oppure al fumo
(affumicazione).
La gente del Medioevo non fu grande consumatrice di pesce in genere, e a quello di mare prefe-
riva quello di acqua dolce, anche di allevamento
perché era più facile da catturare e più accessibile dal punto di vista economico. Il sale non è
quasi mai menzionato. Esistevano i ricettari, ma
comprensibili solo agli addetti ai lavori (cuochi
di famiglie aristocratiche e di potenti). All’epoca
non c’era un sistema di misurazione dei pesi e
dei tempi. Tanto meno un sistema per definire il
calore del fuoco o la temperatura dei forni. Un
cuoco veneziano del ‘300 raccomandava l’agliata con ogni carne (la traduzione è mia): «Prendi dell’aglio, pelalo e cuocilo sotto la brace, poi
pestalo bene e aggiungi ad esso ancora dell’aglio
crudo e della mollica di pane e spezie dolci con
brodo. Mescola ogni cosa insieme, falla bollire un
poco e servila calda».
Buon apppetito.
Ecco qualche ricetta con un ringraziamento alla dott. Lucia Valente,
nutrizionista di Bari, ai cui scritti ho anche attinto per scrivere questo articolo.
Un assaggio nel passato
BIANCOMANGIARE: (questa è soltanto una delle centinaia di varianti della ricetta
poiché ingrediente base è il riso dal cui colore
deriva il nome).
Prendi dei petti di gallina e tagliali a filetti sottili, prendi del riso e riducilo a farina.
Stempera questa farina con latte di capra o
pecora o di mandorle e fai bollire. Aggiungi
i filetti di pollo, lo zucchero e il lardo e bolli
a fuoco lento. Gira spesso. Quando si serve
aggiungi sopra zucchero e lardo fresco. Si
può fare anche con riso a chicchi e quando si
serve aggiungi sopra mandorle tritate e fritte
nello zucchero e zenzero tritato.
POLLO AL LIMONE : Prendi il pollo che
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sarà stato in precedenza svuotato e pulito e
taglialo in pezzi non troppo grandi. Taglia del
lardo a cubetti e fallo sciogliere in una casseruola; rosola in questo grasso i pezzi di pollo
e delle cipolle tagliate sottili finché si ottiene una bella doratura. Togli dalla casseruola
i pezzetti di lardo che siano eventualmente
rimasti, sala il tutto e spolvera con le spezie.
Aggiungi del latte di mandorle e porta ad
ebollizione. Fai cuocere a fuoco lento e quando si vede che il pollo è cotto, aggiungi il succo del limone e fai cuocere per un altro poco
in modo che il pollo si insaporisca.
TORTA DI ZUCCA: Prepara la pasta (oggi
diremmo brisèe) e falla riposare per un paio
d’ore in un luogo fresco e asciutto. Cuoci della zucca nel latte; aggiungi del burro già ammorbidito e mescola insieme a del formaggio
bianco, fresco e molle; sbatti bene con la
frusta. Aggiungi al composto del parmigiano grattugiato, sette cucchiai di zucchero,
quattro uova sbattute e zenzero e cannella in
polvere. Schiaccia la zucca fino ad ottenere
un composto uniforme e uniscila al preparato precedente. Stendi una sfoglia di pasta e
fodera una teglia. Versa il ripieno e mettilo
in forno. Dopo un po’, taglia a strisce regolari
una sfoglia fatta con i ritagli della pasta. Apri
il forno e disponi, velocemente, sopra la torta
le strisce di pasta a forma di griglia. Inforna
di nuovo e cuoci. Trascorso il tempo necessario, togli la torta dal fuoco, spolverala con lo
zucchero ridotto in polvere e spruzzala con
dell’ acqua di rose. Servila tiepida.
CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013
GLI INTERESSANTI RISULTATI DI DUE STUDI AMERICANI
Contro l’ipertensione arteriosa
un nuovo tipo di trattamento
È destinato a pazienti resistenti a ogni terapia. Un intervento
non privo di rischi: consiste nella denervazione delle arterie renali
mediante l’ablazione con radio frequenze delle terminazioni
nervose del sistema simpatico
di Armando De Berardinis
L’ipertensione arteriosa è un po’ come la
nostra crisi finanziaria: la si combatte tutti
i giorni, non ha speranza di risolversi senza trattamento, e la sua cura è asfissiante,
poco tollerata, e non ha fine. È con questa
introduzione venata di ottimismo che introduco l’argomento di cui ci occuperemo in
questo articolo.
Come ormai tutti sanno, l’ipertensione arteriosa è considerata dall’OMS (Organizzazione
mondiale della sanità) come la prima causa
di morte nel mondo con una stima di circa
7 milioni di vittime/anno nel mondo e 240
mila/anno nella sola Italia. Questi dati in
grado di togliere il sonno a chiunque diventano ancora più allarmanti se consideriamo
che dagli attuali 9 milioni di ipertesi in Italia arriveremo a circa 18 in soli 20 anni. Se
si fosse trattato di debito pubblico avremmo
già accettato misure drastiche, ma trattandosi “solo” della nostra salute siamo più indulgenti e confidiamo nella fortuna.
E così deve essere se, sulla totalità degli
ipertesi, solo il 30% hanno una pressione
adeguatamente controllata.
Ma la colpa di chi è? Anche in questo caso
un po’ dei governi (i medici) e un po’ dei
cittadini (gli ipertesi). E non tranquillizza
certo le nostre coscienze il sapere che in
una percentuale variabile di soggetti (515%) nonostante il trattamento sia adeguato e massimo l’impegno delle controparti,
non è comunque possibile ridurre i valori al
di sotto dei 140/90, mantenendo inaltera-
to, quindi, il rischio cardiovascolare.
E allora che fare? Non abbiamo scampo: controllo periodico dei valori, stile di vita “virtuoso” e poi farmaci, farmaci
e ancora farmaci.
In uno scenario così fosco è
del tutto comprensibile che
il paziente (e il contribuente,
se proseguiamo nell’allegoria)
desideri la liberazione da una
gabella così onerosa.
Ha fatto pertanto scalpore
recentemente la notizia apparsa su alcuni
quotidiani nordamericani che riportava i
risultati di 2 studi scientifici, denominati
SIMPLICITY Hypertension-1 e SIMPLICITY
Hypertension-2, portati a termine nel 2011
e nel 2012: un gruppo di pazienti con ipertensione arteriosa resistente a tutte le terapie veniva trattato con la denervazione
delle arterie renali mediante l’ablazione con
radio-frequenze delle terminazioni nervose
del sistema simpatico, isolando di conseguenza le strutture renali dall’anomala stimolazione di tale sistema.
Poiché la procedura è invasiva, non è scevra
da rischi e, soprattutto, non è reversibile, è
ovvio che siano richieste alcune premesse.
Primo: si deve trattare di una ipertensione
realmente resistente e non di una pseudoresistenza (assenza di uno stile di vita virtuoso, assunzione di farmaci antiipertensivi
Dr. Armando
De Berardinis
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CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013
Foto 1: angiografia
dell'arteria renale.
Foto 2: inserimento
dell'elettrocatetere
nell'arteria renale.
Foto 3: la punta
dell'elettrocatetere
viene messa a contatto
della parete arteriosa e
vengono erogate RF.
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in modo inadeguato o insufficiente, assunzione di farmaci o alimenti che inducono
ipertensione, presenza di cause ormonali).
Secondo: possono essere trattati solo quei
pazienti che potrebbero realmente trarne un
beneficio. Infatti, l’ipertensione arteriosa è
una patologia complessa e multifattoriale
e spesso non è possibile identificare una
causa scatenante: talvolta è dovuta a vasocostrizione arteriosa o accumulo di liquidi, talaltra invece a una anomala attività di
quel sistema ormonale (il sistema ReninaAngiotensina) che ha la sua sede principale
proprio nel rene e nei suoi vasi limitrofi. È
proprio in quest’ultimo caso che la procedura potrebbe essere realmente efficace.
Terzo: ovviamente, visti i presupposti, vanno trattati solo i casi ad elevato rischio
cardio-vascolare e con valori di pressione
arteriosa elevata (media di 177/100 negli
studi in questione).
Dal punto di vista tecnico la procedura si
effettua mediante puntura dell’arteria femorale all’inguine con l’inserimento di un elettrocatere che viene spinto all’interno delle
arterie renali (destra e sinistra).
A questo punto si procede con 4-6 trattamenti locali della durata di 2 minuti ciascuno, lungo tutto il diametro delle arterie, con
emissione di radiofrequenze che permettono
di “bruciare” le terminazioni nervose.
In questo modo i reni vengono funzionalmente esclusi dall’innervazione del sistema
nervoso simpatico sia in arrivo che in partenza. Il trattamento assomiglia molto a
quello che viene fatto all’interno del cuore
per il trattamento della Fibrillazione Atriale
e di alcune aritmie complesse.
Gli studi clinici hanno dimostrato l’efficacia di questa terapia con una riduzione a 24
mesi dei valori di pressione sistolica di 27
mmHg e diastolica di 17 mmHg a fronte di
una bassa percentuale di complicanze (3%).
In conclusione la denervazione simpatica delle arterie renali mediante ablazione
è uno strumento in più nell’armamentario
medico, ma non può essere considerato il
trattamento principale dell’ipertensione.
Proprio per la sua invasività, i rischi connessi e la limitata esperienza, va limitata
solo in quei casi in cui non vi siano altre
alternative di fronte ad un rischio di eventi
cardio-vascolari molto elevato. Fino a quel
momento dovremo faticare per normalizzare i valori della pressione arteriosa con gli
strumenti che abbiamo da sempre utilizzato
(i farmaci) e con quelli che, pur se banali,
non lo sono quasi mai: la dieta e l’attività
fisica.
Bibliografia:
- Krum H et al. Lancet 2009, Apr 11; 373: 1275-81
- Esler MD et al. Lancet 2010, Dec 4 ; 376: 1903-9
- Hypertension 2011 May ; 57 : 911-7
- Volpe M et al. G.Ital,Cardiol. 2012; 13: 846-52
CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013
CARDIOPATIE CONGENITE: DAL CENTRO PEDIATRICO A QUELLO PER L’ADULTO
La medicina di transizione, ovvero
“quando l'adolescente non sa più
dove sta di casa il suo cuore”
L’approccio attuale ha enormi limitazioni. Una situazione che riguarda
anche la famiglia del paziente. In campo varie figure mediche.
Indispensabile la continuità nelle cure
di Gabriella Agnoletti*
La medicina di transizione è quella branca
della medicina che accompagna il paziente
bambino e la sua famiglia al luogo e modo
di cure offerte dall'ospedale dell'adulto.
Sappiamo che il bambino con cardiopatia
congenita sopravvive all'età adulta in circa
l'85% dei casi. Poiché l'incidenza delle cardiopatie congenite rimane stabile nel tempo
(ca 0.8/100 nati vivi), il numero di pazienti
con cardiopatie congenite aumenta.
Il bambino con cardiopatia congenita che
ha bisogno di trattamento percutaneo o chirurgico è in genere seguito presso un centro
di riferimento sino all'età dell'adolescenza.
Il limite di legge per cui un paziente cardiopatico può accedere ad un centro pediatrico
è tuttora 18 anni, ma questo limite di età
si sta progressivamente abbassando sino a
16 o 14 anni.
Sino a poco tempo fa il paziente giunto a
16 anni non veniva più valutato nel centro
pediatrico ed i cardiologi “congenitalisti”
chiedevano al paziente e alla famiglia di rivolgersi in futuro al centro dell'adulto o sul
territorio.
Questo approccio ha enormi limitazioni:
1)sono ben poche le cardiopatie congenite
che guariscono dopo trattamento e non
hanno più bisogno di controlli periodici
2)il paziente adulto con cardiopatia congenita corretta può sviluppare in età
adulta problemi cardiaci tipici di quella
cardiopatia
3)sul territorio e nell'ospedale dell'adulto le competenze relative alle cardiopatie congenite sono
scarse
Servono quindi centri dell'adulto con unità dedicata alla
cura del paziente adulto portatore di cardiopatia congenita.
In realtà, anche se guardiamo ad un contesto di cure
ideale, quale può essere
quello canadese, il trasferimento del paziente dall'ospedale pediatrico a quello dell'adulto non
è per nulla ideale e avviene solo nella metà
dei casi. Consideriamo che in Canada esiste non solo un registro per il paziente con
cardiopatia congenita, ma anche una rete
ospedaliera che tratta il paziente con cardiopatia congenita dall'epoca prenatale sino
all'età adulta. Perché allora la transizione
non avviene?
Cerco di spiegare con due storie quanto
complesso e delicato possa essere il trasferimento del paziente da un centro all'altro.
Gigi è un ragazzo di 22 anni nato con una
cardiopatia congenita che ha necessitato
di 2 interventi chirurgici. L'ultima volta
che l'avevo visto, 4 anni prima, era venuto con la mamma. Era gravemente iperteso,
Dott.ssa Gabriella
Agnoletti
*Responsabile
servizio di
Cardiologia
Pediatrica, Città
della Salute e della
Scienza
15
CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013
gli avevo prescritto una terapia ed un cateterismo cardiaco per migliorare il risultato
chirurgico, evitando una nuova chirurgia. Lo
rivedo in ambulatorio, non accompagnato.
Gli chiedo come mai non si è più fatto vedere e mi confessa di aver avuto paura di un
nuovo gesto invasivo. Gli chiedo se prende i
farmaci e dice che li prende, ma solo quando
si ricorda. Gli spiego che è cresciuto, che la
sua salute dipende dalla cura che avrà di
se stesso, che l'ipertensione arteriosa è una
malattia grave, se non curata. Gli propongo
una risonanza magnetica per valutare il ri-
sultato chirurgico. Lui promette che eseguirà un holter pressorio, assumerà i farmaci,
farà la risonanza magnetica e che ci vedremo d'ora in poi regolarmente. Chissà…?
Angelo ha 25 anni e un cuore riparato chirurgicamente che però non funziona bene.
È gravemente sovrappeso. Ogni volta che lo
vedo gli spiego che l'obesità fa male al cuore, che deve fare una vita sana, un'attività
fisica regolare e cercare di star contento. Lui
parla a monosillabi, mentre la mamma è un
fiume incontenibile. Sei mesi dopo il ragaz-
Il commento
UNA SFIDA AD ALTA PROFESSIONALITÀ
Un mondo nuovo tutto da
sviluppare con amore e scienza
Dott. Maurizio
D'Amico,
Responsabile
Laboratorio
Emodinamica
Cardiologia 2 A.O.
Città della Salute
e della Scienza di
Torino
16
Mi fa una certa impressione
commentare l’articolo di Gabriella Agnoletti, da ogni riga
emerge l’amore per la sua professione ed i piccoli che ha in
cura “singolarmente”. Da qualche tempo collaboriamo nel
trattamento di ex bimbi affetti
da cardiopatie congenite cresciuti e trasformatisi in adulti più o meno giovani spesso
in discreta salute ma non del
tutto guariti e bisognosi di
ulteriori trattamenti diagnostici o interventistici in emodinamica.
È un mondo nuovo in cui le competenze
del cardiologo interventistico pediatrico
si devono fondere con le competenze di
chi, come me, ha sempre trattato soggetti adulti.
Come ha ben definito Gabriella nel suo
articolo, non è solo un problema tecnico
e culturale ma si tratta di costruire un rapporto con intere famiglie che hanno cambiato “casa” e che almeno inizialmente possono sentirsi un po’ sperse ed abbandonate.
Il poter lavorare insieme a chi le ha seguite
negli anni precedenti risolve in gran parte
questo problema.
Il numero di questi pazienti, almeno per un
bel po’ di anni, è destinato ad aumentare
grazie proprio al miglioramento delle tecniche chirurgiche ed interventistiche per
il trattamento delle cardiopatie congenite
nell’età infantile.
Quando si affronta il trattamento dei GUCH
l’interdisciplinarietà è essenziale. Un grande
Ospedale come la Città della Salute e della
Scienza sembra essere stato disegnato per
affrontare questo tipo di sfida. La presenza
nella nostra struttura di tutte le strumentazioni necessarie alla diagnosi ed al trattamento di queste patologie e la presenza di
professionalità multiple che possono fonde-
CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013
zo ritorna, ha perso 30 Kg. Il calo ponderale
non è stato sostituito da un aumento della
massa muscolare e ci sono su tutto il corpo
larghe smagliature. I tatuaggi sono aumentati in modo vistoso. Chiedo: Angelo, cosa è
successo?, ma è la mamma a rispondere che
ha praticamente smesso di mangiare. Dico
“bravo Angelo, sei un bel ragazzo, trova una
fidanzata, ma smetti di dimagrire adesso e
vieni la prossima volta con la tua ragazza,
non con la mamma...” Chissà…?
Ci sono aspetti fondamentali che differen-
ziano la malattia del bambino da quella
dell'adulto. La patologia pediatrica è una
malattia della famiglia, in cui è l'intera famiglia ad essere “affetta” da un problema
congenito. Il bambino, non si occupa di sè
stesso ed in genere soffre meno dell'adulto
di una malattia poco invalidante.
La patologia dell'adulto è una malattia della
persona, in cui è la persona stessa ad occuparsi della propria salute e soffre del fatto
che la storia passata e presente lo penalizzi
dal punto di vista lavorativo, assicurativo,
sociale.
di Maurizio D'Amico
re un gran numero di competenze in ambito
clinico, interventistico e chirurgico, rende
possibile la costruzione di un sistema complesso che in ambito industriale potremmo definire come un “distretto”, in grado
di rispondere alle molteplici problematiche
poste dalla necessità di trattare questa patologia.
Anche per questi pazienti è essenziale la
realizzazione del progetto di ammodernamento tecnologico, attualmente in fase di
realizzazione nel nostro Ospedale grazie al
contributo della Fondazione San Paolo. Le
nuove tecniche di “imaging” e le nuove ap-
parecchiature radiologiche, sia in ambito
diagnostico sia in quello interventistico,
rendono possibile l’esecuzione di procedure assai complesse con una qualità di
immagine assai elevata e al contempo
una grande riduzione di radiazioni e mezzo di contrasto somministrati.
In un momento di grande preoccupazione per la tenuta dell’insieme del nostro
sistema sanitario, affrontare nuove sfide
con spirito di collaborazione tra diverse
strutture rappresenta per tutti noi un motivo di speranza e di forza nel guardare
al futuro.
17
CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013
Il paziente congenito adulto resta spesso
dipendente dalla famiglia, che è da una
parte iperprotettiva, dall'altra permissiva.
La stessa famiglia ed il paziente possono
sentirsi a casa propria ed accuditi nel centro pediatrico, ma persi e seguiti in modo
inadeguato nel centro dell'adulto. È come
se nè la famiglia, nè il paziente, volessero
veramente crescere e guarire…
La medicina di transizione è l'insieme delle cure che accompagnano il paziente e la
sua famiglia in questo processo di crescita. È un processo complesso, non sempre
breve, sempre delicato, che deve favorire
l'autostima del paziente, la crescita psicologica, l'autonomizzazione, l'educazione, la
conoscenza.
Come altre specialità la medicina di transizione è una branca multispecialistica che
vede coinvolte varie figure mediche e non
mediche quali lo psicologo, il sessuologo, il
genetista, il dentista, il medico sportivo, il
counselor…
Parlare con il paziente e la famiglia è fondamentale, queste cose non possono essere
fatte di fretta, richiedono tempo e purtroppo sappiamo che in questa nostra sanità di
tempo per il paziente ce n'è sempre meno.
La medicina di transizione non può prescindere dalla mobilità fisica delle figure professionali che hanno seguito il paziente
nell'infanzia. Se il paziente ritrova nell'ambulatorio dell'adulto almeno alcune delle figure professionali che lo hanno seguito sin
da piccolo non si sentirà perso, nè “imbrogliato..”
La medicina di transizione non può prescindere dal concetto di continuità di cure.
La stessa cura e cultura che è stata impiegata per il paziente pediatrico deve essere trasferita al paziente adolescente e adulto. Il
punto cruciale perché la transizione si compia correttamente è che il paziente sappia
in qualunque momento quali sono il centro
ed i medici di riferimento e che, contemporaneamente, sia autonomo nella gestione
della quotidianità e conosca i campanelli
d'allarme che devono fargli capire che qualcosa non funziona.
18
Termino con un'ultima storia.
Sara è una giovane donna. Ha una cardiopatia corretta in modo fisiologico, cioè il
sangue venoso ed arterioso sono separati,
ma i ventricoli sono invertiti. È attiva, intelligente, autonoma, tanto autonoma che
ha smesso da tempo di fare le visite di controllo. Le piace lavorare. Continua a farlo
anche quando sente che inizia a stancarsi,
anche quando le manca proprio fiato, sino
a quando non ce la fa più e va in pronto
soccorso. Da tempo aveva un disturbo del
ritmo cardiaco. Ha ormai liquido nei polmoni ed il cuore funziona male. Viene curata,
ma l'aritmia ha affaticato il cuore e le viene
proposto un trapianto... Arriva con la mamma, nel panico completo. Parliamo a lungo.
Poi piano piano le cose vanno meglio. Sara
prende le medicine, viene ai controlli regolarmente e volentieri. Viene ora senza mamma, con il suo compagno. Ha ripreso a lavorare da tempo. Ormai da vari mesi attende
un maschietto. Chissà come lo chiamerà…
CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013
UNO SFORZO ORGANIZZATIVO CHE PARTE DA LONTANO
Ecco la rete per l’infarto nella
regione Piemonte
Il sistema ha una valenza omogenea su tutta la regione.
Computer, ambulanze, elicotteri , centri operativi. Il percorso dal 118
all’intervento agli specialisti di emodinamica
di Tullio Usmiani
La riduzione della mortalità per infarto miocardico
acuto è un costante obiettivo dei cardiologi attraverso studi, attività delle società scientifiche e della
pianificazione di strategie. Con l’esecuzione dell’angioplastica primaria per riaprire la coronaria responsabile dell’infarto si è ottenuto un miglioramento della
sopravvivenza rispetto al trattamento con la trombolisi. L’attuale impegno è quindi quello di poter offrire
a tutte le persone colpite da infarto la possibilità di
eseguire un’angioplastica, o meglio ancora, la possibilità di avere una riperfusione dell’arteria occlusa nel
più rapido e miglior modo possibile. Questo impegno
consiste in uno sforzo organizzativo di trattamento
del paziente prima del suo arrivo in ospedale; cioè
l’organizzazione dell’assistenza ad iniziare da quando
il paziente contatta il Servizio 118 per la presenza di
un dolore sospetto per l’infarto. Questo tipo di organizzazione è presente in molte realtà italiane, un po’
a macchia di leopardo nelle varie città o province, in
alcune realtà come il Veneto da anni in altre da poco
tempo. Il nome di un’organizzazione di questo tipo
è “RETE PER L’INFARTO”. La costituzione di una rete
per l’infarto in un territorio è stata anche vivamente caldeggiata delle ultime linee guida della Società
Europea di Cardiologia (E.S.C. – European Society of
Cardiology) quale metodo per un’ulteriore riduzione
della mortalità. (Figg 1-2)
Nella Città di Torino vi era stata
un’esperienza “pilota” di trattamento dell’urgenza nel cardiopatico in
genere e dell’infarto miocardico in
particolare, con trattamento a domicilio già 20 anni or sono; si trattava di un’esperienza spontanea della
cardiologia ospedaliera delle Molinette, tra le prime in Italia all’epoca, costituita da una sola ambulanza molto attrezzata (familiarmente
chiamata Unità Coronarica Mobile o
più propriamente S.E.C.T. – Servizio
Emergenza Cuore Torino gestita dalla
Croce Verde –Torino) e da personale
idoneo per le emergenze costituito da
un cardiologo oppure un anestesista ed un infermiere
professionale addestrato al BLS e ACLS dipendenti dei
maggiori ospedali di Torino. L’attività di questo servizio si svolse tra il 1993 ed il 1997; durante i 5 anni di
attività vennero eseguite molte trombolisi per infarto
miocardico a domicilio del paziente con successivo
trasporto presso una UTIC con disponibilità nota di
posto letto, rianimazioni per arresto cardiaco e/o fibrillazione ventricolare con successo e vite salvate sia
dott. Tullio Usmiani
Responsabile UTIC
Cardiologia 2
STEMI= infarto
miocardico con
sopraslivellamento del
tratto ST
FMC = First Medical
Contact ; primo
contatto con personale
sanitario
Primary PCI=
angioplastica primaria
Rescue PCI =
angioplastica di
salvataggio dopo
fallimento della
trombolisi.
Fig 1 : le novità nelle linee guida 2012 rispetto all’edizione
precedente
Fig 2: algoritmo di comportamento per trattamento ottimale
dell’infarto
19
CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013
a domicilio sia in luogo pubblico. Successivamente
al 1997 il servizio venne assorbito dal 118 che, per
mancanza di personale qualificato allora, interruppe
l’attività dell’ Unità Coronarica Mobile.
Il trattamento preospedaliero dell’infarto venne ripreso solo molti anni dopo e, dopo un lungo periodo di
progettazione, nel gennaio del 2011 divenne operativa la Rete della Regione Piemonte per il Trattamento
dell’Infarto Miocardico con ST Sopraslivellato.
La progettazione è stata lunga, anni di lavoro di
numerosi cardiologi, personale dell’Assessorato alla
Sanità della Regione Piemonte, responsabili del Servizio 118, personale di C.S.I. Piemonte anche perché
è stato realizzato un progetto sull’intera Regione con
il coinvolgimento di tutti gli ospedali e del 118 di
tutti i quadranti ed è stato creato un software che
gestisce tutti i processi e ne registra gli eventi. La
rete, nata con DGR regionale è stata denominata rete
FAST-STEMI PIEMONTE.
La caratteristica principale che contraddistingue la
rete piemontese da quelle di altre zone d’Italia è
quella di avere una valenza omogenea su tutto il territorio della Regione senza frammentazioni cittadine,
provinciali e per macroaree, come raccomandato dalle
Linee Guida Europee. Lo schema operativo, il percorso
diagnostico e i protocolli terapeutici sono i medesimi
su tutto il territorio del Piemonte. L’obiettivo della
Rete FAST-STEMI Piemonte è garantire uniformemente
a tutta la popolazione regionale la più idonea strategia di riperfusione (angioplastica primaria o trombolisi preospedaliera) indipendentemente dal luogo ove
si verifichi l’evento (Fig. 3). Infatti l’algoritmo decisionale che porta ad eseguire la trombolisi preospedaliera o il trasporto diretto verso un laboratorio di
emodinamica per l’esecuzione di angioplastica considera sia la gravità del quadro clinico di presentazione,
sia il tempo di insorgenza tra i sintomi e il contatto
medico sia la logistica del trasporto del malato al laboratorio di emodinamica più vicino o disponibile in
quel momento come criteri per gli schemi decisionali.
Per quanto riguarda la logistica del trasporto, effettuato sia con ambulanze sia con elicotteri, bisogna
considerare che il territorio della regione è costituito
da aree metropolitane, da pianura e da zone montane
con ampia differenza di tempi di percorrenza anche
in ragione delle condizioni atmosferiche, talora molto
critiche nei periodi autunnale e invernale. Alla base
del progetto c’è il principio dell’esecuzione dell’elettrocardiogramma (ECG) a domicilio del paziente eseguito da un equipaggio del 118, e della sua trasmissione, unitamente ad una scheda con i dati clinici,
all’UTIC di competenza territoriale per la conferma
diagnostica. (Fig 4) Il cardiologo che vede su un computer dedicato l’ECG e la scheda con le informazioni
sul paziente fornisce una risposta all’equipaggio del
118 via relativa Centrale Operativa e viene identificato il percorso terapeutico più idoneo per il paziente in
questione tra scelte di trattamento e tipi di ricovero
ospedaliero predeterminati.
Il sistema per eseguire e trasmettere l’ECG è installato
in ambulanza o in elicottero, permette di acquisire
l’ECG diagnostico, di effettuare la monitorizzazione
continua durante il trasporto, di ottenere e monitorare i parametri vitali e di raccogliere con un touchpad una serie di dati clinici in scheda elettronica;
consente quindi di trasmettere tutti i dati sopracitati
con differenti modalità wireless (GSM, GPRS, PSTN,
Satellitare) alla Centrale Operativa (C.O.) del 118 e di
qui alla UTIC. La dotazione nella Regione è di 72 sistemi di trasmissione sui Mezzi di Soccorso Avanzato
e di 4 sugli Elicotteri, 4 stazioni di ricevimento nelle
rispettive 4 Centrali Operative del 118 nella Regione
e di 30 computer dedicati nelle 30 nelle UTIC degli
ospedali piemontesi. (Fig 5)
Fig 3 Il numero delle UTIC nella Regione Piemonte suddivise
per quadrante e tipologia
Fig 4 schema semplificato del funzionamento della rete
L’Attività della Rete prima dell'ospedale
1)L’attività di rete incomincia con l’esecuzione
dell’ECG al domicilio del paziente e con l’invio dello stesso alla CO, unitamente ai dati clinici.
2) In CO il personale di centrale esegue una prima attività di filtro sull'elettrocardiogramma, cercando
di identificare i tracciati "veri STEMI". Una volta
identificati i tracciati STEMI, il personale della CO
“gira” i dati all’UTIC di competenza territoriale sia
essa hub o spoke.
3)Il computer dedicato nell’UTIC si attiva con un
Hub = ospedale dotato
di emodinamica
operante h24
Spoke = ospedale non
dotato di emodinamica
e che deve trasferire i
pazienti per esecuzione
di coronarografia
20
CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013
duplice allarme, uno acustico e l’altro visivo sul
display. Il medico UTIC, in un tempo di 5 minuti,
visiona ECG e dati clinici e invia, in risposta alla
CO, il referto dell’ECG e il percorso clinico terapeutico da adottare secondo 4 modalità predefinite:
a) paziente con STEMI da trasportare ad una Cardiologia Hub (cioè dotata di laboratorio di emodinamica) per eseguire l’angioplastica
b) paziente con STEMI da sottoporre a trombolisi
preospedaliera e da trasportare comunque ad una
Cardiologia Hub
c) paziente con quadro cardiologico diverso dall’infarto, cioè affetto da angina instabile o infarto
miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST
(UA/NSTEMI) o altra patologia non meglio definita, da trasportare nel DEA della struttura con UTIC
di competenza territoriale qualunque essa sia (Hub
o Spoke), non avendo criteri per essere sottoposto
a coronarografia in emergenza
d) paziente da trasportare al Dipartimento di Emergenza e Accettazione (DEA) di una UTIC con supporto di Cardiochirurgia.
4) La CO a sua volta, girerà il responso all’equipaggio
del 118 che porterà il paziente nel luogo più idoneo al suo trattamento (e non come fino a poco
tempo fa all’ospedale più vicino), come indicato
dal cardiologo dell’UTIC e inizierà in itinere la terapia da protocollo per quel caso specifico e, nei
casi previsti dall’algoritmo, eseguirà la trombolisi
preospedaliera.
5)Contemporaneamente il cardiologo dell’UTIC, con
la finalità di ottimizzare il percorso intraospedaliero, allerta il personale del laboratorio di emodinamica sia che esso sia già presente in ospedale,
lasciando la sala a disposizione del paziente infartuato, sia chiamando il gruppo in reperibilità nelle
ore notturne o nei giorni festivi prima ancora che
il paziente giunga in ospedale.
Il percorso intraospedaliero
Il protocollo della rete prevede il trasporto del paziente direttamente al laboratorio di emodinamica da
parte dell'equipaggio del 118, evitando la sosta in
Pronto Soccorso. Se il laboratorio di emodinamica non
è recettivo al momento dell’arrivo del paziente (sala
occupata per altro caso oppure il personale chiamato
in reperibilità non ha completato l’allestimento della sala) il paziente sosterà in osservazione in Pronto
Soccorso o verrà ricoverato nella UTIC. Nella situazione ottimale, il percorso si conclude con l’arrivo del
paziente in emodinamica con il cambio di competenza dall’equipaggio del 118 al cardiologo emodinamista. L'emodinamista insieme al cardiologo di guardia,
verifica la diagnosi di STEMI e decide di eseguire in
urgenza la coronarografia e l'eventuale angioplastica.
Tutti gli eventi collegati agli atti della rete vengono
registrati, archiviati e poi analizzati per verificare il
corretto funzionamento e per poter mettere a punto
correzioni a difetti o migliorare ulteriormente il ser-
vizio. La monitorizzazione degli eventi collegati allo
STEMI è di tipo continuo, dalla casa del paziente alla
dimissione dall’ospedale.
Per la valutazione del corretto funzionamento della
rete sono stai individuati dei parametri di efficienza
e di efficacia.
Fig 5 Schema di
invio bidirezionale
di ECG e
informazioni cliniche
tra equipaggio 118
e UTIC
Indicatori di efficienza:
1)l’aumento della percentuale di pazienti che arrivano in ospedale con diagnosi di STEMI con trasporto da parte del 118 (dal 2007 stabile nella percentuale del 50%),
2)l’uso routinario della trasmissione dell’ECG preospedaliero in caso di sospetto STEMI,
3)l’aumento della sensibilità e specificità diagnostica nella lettura dell’ECG dello STEMI da parte degli
equipaggi del 118 (attualmente tra il 25 e il 50%
da valutazione condotta nel territorio regionale
nei primi mesi del 2012),
4) la riduzione dei tempi di trasporto preospedalieri e
intraospedalieri.
Indicatori di efficacia:
1)l’aumento e il mantenimento della percentuale di
riperfusioni in tempi e modalità coerenti con l’algoritmo della rete e l’obbiettivo di raggiungimento
della riperfusione in almeno il 70% dei pazienti
con STEMI,
2)la riduzione, conseguentemente, della percentuale
di non riperfusi,
3)l’aumento percentuale dei trasporti dei pazienti
con sospetto STEMI direttamente presso Centri
Hub per l’esecuzione dell’angioplastica con l’ipotesi di ottenere il miglioramento degli outcomes
intraospedalieri e a distanza.
L’inizio dell’attività della rete è stato progressivo,
con diverse velocità nelle varie zone della Regione;
è una realtà in evoluzione con un gruppo di medici, cardiologi ospedalieri e del 118, di infermieri e
di tecnici che formano un gruppo di governance del
sistema. Sono già state fatte delle analisi di efficienza ed efficacia con la rilevazione di una tendenza al
miglioramento della funzionalità del sistema anche se
non ancora operante con l’estensione e l’efficacia programmate. Soprattutto, come fatto da migliorare, dai
dati di accesso dei pazienti in ospedale per infarto si
rileva inoltre che sempre il 50% circa di essi si reca
in Pronto Soccorso con mezzi propri senza contattare
il 118. Per migliorare tale percentuale e far utilizzare
alla cittadinanza la rete in caso di necessità è però
necessario informare maggiormente la popolazione e
gli operatori nel campo della salute con campagne
informative.
21
CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013
DIAMO UNA SCOSSA AL CUORE: LA TECNOLOGIA
DELL’ELETTROSTIMOLAZIONE È SEMPRE PIÙ EFFICACE
La scatoletta che salva la vita
Il defibrillatore è un apparecchio sofisticato che serve a trattare le
aritmie ventricolari severe. In caso di intervento del dispositivo non
allarmarsi: ha compiuto la sua funzione. Necessari periodici controlli
di Carlo Budano
Dott. Carlo Budano,
responsabile sala di
elettrostimolazione
Cardiologia 2
22
Negli ultimi anni la tecnologia e
le applicazioni della stimolazione cardiaca si sono evolute con
estrema rapidità. I metodi utilizzati sono sempre più promettenti, ma non per questo meno
complessi.
La morte cardiaca improvvisa (MCI) è una delle principali
cause di decesso in tutti i paesi industrializzati. L’indice di
sopravvivenza agli eventi in
Europa occidentale è inferiore
al 5%. La morte è generalmente
preceduta da perdita improvvisa
della conoscenza che avviene entro 1 ora dall’inizio dei sintomi.
La categoria più a rischio è costituita da coloro
che hanno già subito un infarto miocardico o che
presentano una importante dilatazione delle cavità cardiache (cardiomiopatia dilatativa).
Talora si verificano dei ritmi cardiaci anormali,
estremamente rapidi, chiamati tachiaritmie. I
segnali elettrici che in questi casi originano dai
ventricoli invece che dal pacemaker naturale, il
nodo seno atriale, determinano un tipo di aritmia
definita tachicardia ventricolare (TV), accompagnata da una forte accelerazione del battito
cardiaco. Tale accelerazione provoca una riduzione della capacità di pompa cardiaca, in quanto il
muscolo del cuore non ha tempo sufficiente per
riempirsi di sangue; se questa condizione persiste si possono avere deficit di ossigenazione a
livello del cervello spesso accompagnati da svenimenti, malori, vertigini, visione alterata sino
alla perdita di coscienza e all'arresto cardiaco.
Un altro tipo di aritmia è la fibrillazione ventricolare (FV). In questo caso il battito cardiaco
è estremamente accelerato, sino a 300 b/min,
valore a cui le contrazioni del cuore divengono
addirittura inefficaci (le camere cardiache invece
di contrarsi "vibrano").
Sia la TV che ha causato perdita di conoscenza
che la FV se non interrotte in brevissimo tempo
determinano danni irreversibili ai tessuti cerebrali e morte.
Le tachiaritmie ventricolari si possono verificare
in individui di tutte le età, più frequentemente
in soggetti cardiopatici, ma anche in soggetti
apparentemente sani. Talora la TV può trasformarsi in FV.
La morte improvvisa dovuta ad arresto cardiaco colpisce circa 1 persona ogni 1000
abitanti per anno.
Nei casi di aritmie ventricolari maligne non passibili di ablazione, pregresso arresto cardiocircolatorio o pazienti ad alto rischio di morte improvvisa,
si procede ad impianto di defibrillatore cardiaco.
Per quanto riguarda i pazienti affetti da scompenso cardiaco refrattario alla terapia medica,
sono disponibili Pacemaker e Defibrillatori AtrioBiventricolari che permettono la resincronizzazione cardiaca con il miglioramento della funzione
del ventricolo sinistro nelle cardiomiopatie dilatative. In corso di scompenso cardiaco, infatti,
le diverse parti del ventricolo sinistro, eccessivamente dilatato, hanno perso la capacità di contrarsi in modo sincrono. Per questo il cuore non
è più in grado di assicurare all'organismo una
quantità di sangue sufficiente alle sue necessità.
La gestione dei pazienti portatori di pacemaker e
defibrillatori cardiaci richiede la giusta attenzione con continui follow-up e visite di controllo.
Cos’è il defibrillatore?
Il Defibrillatore automatico impiantabile (detto
anche ICD nell’acronimo inglese: Implantable
Cardioverter Defibrillator) è un apparecchio molto
sofisticato che serve a trattare le aritmie ventricolari severe.
È un’invenzione relativamente recente utilizza-
CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013
ta nella pratica clinica dalla seconda metà degli
anni '80.
Il defibrillatore è un piccolo dispositivo elettronico che registra costantemente tutti i battiti
del cuore e interviene quando rileva un’aritmia
grave. In base alle impostazioni programmate dal
cardiologo, al bisogno il dispositivo eroga una o
più terapie elettriche eseguendo una stimolazione oppure una scarica elettrica (detta anche DC
Shock) proprio come i normali defibrillatori esterni presenti negli Ospedali (come probabilmente
tutti hanno visto in televisione nelle serie di ambiente medico). La scarica elettrica è in grado di
interrompere anche la più grave aritmia cardiaca
(la Fibrillazione Ventricolare) e quindi può salvare la vita al paziente. Il dispositivo è anche in
grado di stimolare il cuore quando questo non è
in grado di farlo spontaneamente, proprio come
un normale pacemaker.
L’ICD è indicato nei pazienti con aritmie maligne
e serve a prevenire la morte improvvisa. I pazienti candidati a impiantare un tale dispositivo sono
coloro che:
•Hanno presentato un’aritmia ventricolare o un
arresto cardiaco.
•Pazienti affetti da cardiopatia ischemica, con
bassa frazione di eiezione e presenza di scompenso cardiaco che presentano alto rischio di
tachiaritmie ventricolari.
•Pazienti che presentano, per le loro caratteristiche e la loro patologia, un elevato rischio di
poter avere un’aritmia ventricolare o un arresto
cardiaco.
Alla presenza di un’aritmia il dispositivo può
intervenire con varie modalità programmate dal
medico a seconda delle necessità del paziente.
L’impianto di un ICD è esattamente come quello di un normale pacemaker. L’unica differenza
è che alla fine dell’impianto il paziente potrebbe essere addormentato per qualche minuto per
provare se il dispositivo funziona correttamente:
in tal caso si procede con l’induzione dell’aritmia
e si valuta se l’ICD è in grado di riconoscerla e
interromperla.
Come il paziente portatore di Pacemaker anche il
paziente portatore di ICD deve essere sottoposto
a periodici controlli per verificare il corretto funzionamento del dispositivo e il livello di carica
delle batterie. Il medico stabilirà le modalità ed
il calendario dei controlli in base alle necessità.
In caso d’intervento del dispositivo non è necessario che il paziente si allarmi: con ogni probabilità l’ICD è intervenuto per interrompere una
aritmia ed ha salvato la vita al paziente stes-
so. Se si è trattato di 1 o 2 interventi in breve
successione ed il paziente non presenta sintomi
particolari, è opportuno che contatti il Centro
presso cui è seguito ed esegua un controllo entro
48 ore; il dispositivo fornirà al medico le informazioni relative all’intervento stesso, permettendo di verificarne l’adeguatezza ed il corretto
funzionamento.
Se occorrono eventi ripetuti e il paziente avverte
sintomi importanti è opportuno che il dispositivo
venga controllato presso il più vicino Ospedale,
in quanto potrebbe essere cambiata la situazione
della malattia cardiaca stessa e il defibrillatore
non essere in grado di interrompere in modo appropriato la serie di eventi aritmici che si stanno
verificando.
Il portatore di ICD è fornito dal centro d’impianto
della documentazione che riguarda il suo dispositivo e di come è stato programmato; tali documenti devono essere sempre portati con sé, in
modo che qualsiasi medico sia in grado di conoscere il modello, interpretarne il funzionamento
ed intervenire su questo a seconda delle esigenze
del momento.
Quando la carica della batteria (controllata periodicamente) raggiungerà un determinato livello, il medico stabilirà la sostituzione dell’ICD con
un nuovo dispositivo.
Tale intervento è più semplice dell’impianto poiché si utilizzano i cateteri in precedenza impiantati; è pertanto necessario semplicemente aprire
la tasca di alloggiamento del dispositivo, sconnettere il generatore e sostituirlo con uno nuovo.
La stimolazione cardiaca nello
scompenso
È un nuovo campo di utilizzazione dei Pacemaker. La possibilità
di stimolare contemporaneamente i due ventricoli, destro e sinistro, può migliorare in molti casi
la capacità di pompare il sangue
e quindi ridurre i sintomi dello
scompenso cardiaco. Per ottenere
questo deve essere impiantato un
elettrocatetere in più, posizionato in modo da stimolare il ventricolo sinistro (vedi figura).
Tale nuova terapia, detta Stimolazione Bi-ventricolare o Terapia di
Resincronizzazione cardiaca (molto più semplice
da ricordare come CRT: dall’inglese Cardiac Resincronization Therapy), è indicata in pazienti selezionati affetti da scompenso, indipendentemente
23
CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013
dalla presenza di un disturbo del ritmo che rallenti
la frequenza del cuore.
La resincronizzazione è un processo con cui si
cerca di spingere il ventricolo sinistro a ricominciare a contrarsi in maniera sincrona, coordinata
ed efficace.
In un pacemaker convenzionale, quando si parla
di stimolazione ventricolare, si fa riferimento a
quella del solo ventricolo destro. La CRT, invece,
prevede la stimolazione di entrambi i ventricoli.
Ciò determina un ripristino o almeno un miglioramento della sincronia di contrazione dei due
ventricoli, aumentando la quantità di sangue che
viene pompata nell’organismo ad ogni battito.
In corso di scompenso cardiaco (chiamato anche
Scompenso Cardiaco Congestizio o Insufficienza
Cardiaca), infatti, le diverse parti del ventricolo
sinistro, eccessivamente dilatato, hanno perso
questa capacità.
COME SI IMPIANTA UN
PACEMAKER BIVENTRICOLARE O
UN ICD?
• La procedura d’impianto di ICD o di un
pacemaker biventricolare è molto simile
a quella impiegata per un normale pacemaker. Anche in questo caso l'intervento è condotto in anestesia locale e il
sistema è generalmente impiantato sotto la clavicola. Nella maggior parte dei
casi gli elettrocateteri sono posizionati
nella camera cardiaca facendoli passare attraverso una vena.
• La procedura è monitorata attraverso
Raggi X.
• Dopo l'operazione la degenza ospedaliera è breve.
• Prima della dimissione è possibile che
venga nuovamente testato l'ICD.
PRECAUZIONI DOPO L’IMPIANTO
• Nei giorni dopo l’impianto è necessario
evitare movimenti bruschi della spalla
interessata in modo da non interferire
con il processo di cicatrizzazione.
• Talvolta è possibile percepire un lieve
dolore sulla ferita: questi dolori in genere svaniscono in breve tempo.
• Le persone possono tornare gradual-
24
Il pacemaker bi-ventricolare è un apparecchio
delle dimensioni all’incirca di una scatola di fiammiferi, impiantato in anestesia locale, in genere
in sede sotto claveare sinistra. È collegato a tre
elettrocateteri, che, introdotti lungo una vena
(in genere la vena succlavia o la vena cefalica),
raggiungono il cuore, dove portano lo stimolo
elettrico generato dal pacemaker stesso rispettivamente nell’atrio destro, all’apice del ventricolo
destro e nel seno coronarico: quest’ultimo determina la stimolazione del ventricolo sinistro.
Talvolta il cardiologo può decidere di impiantare anche un defibrillatore in grado di trattare le
aritmie pericolose per la vita (tachicardia e fibrillazione ventricolare). Nel caso in cui sia impiantato un defibrillatore bi-ventricolare, l’elettrocatetere destinato al ventricolo destro è strutturato
in modo da riconoscere e interrompere anche le
aritmie ventricolari maligne, causa di arresto cardiaco e morte improvvisa.
mente alle proprie abituali attività.
• Talora possono essere applicate delle
restrizioni alla guida di autoveicoli: pochi secondi di incoscienza durante attività come la guida potrebbero essere
pericolosi per se stessi e per gli altri. Il
medico discuterà con il paziente ogni
eventuale restrizione.
• Come per il pacemaker anche il defibrillatore cardiaco è protetto dalle interferenze
elettriche prodotte dagli elettrodomestici.
Alcuni apparecchi elettrici tuttavia possono interferire con il dispositivo (saldatrici
ad arco, apparecchi contenenti potenti
magneti, bacchette magnetiche utilizzate dalla sicurezza aeroportuale, dispositivi che rilasciano elettricità nel corpo)
e provocare scariche inappropriate. La
regola generale per i pazienti portatori di
ICD è quella di mantenere una distanza
di almeno 30 cm tra l'ICD e i dispositivi
che possono generare una elevata interferenza. La stragrande maggioranza
degli apparecchi elettrici con i quali si
entra normalmente in contatto non comportano alcun problema.
La maggior parte degli elettrodomestici e dei dispositivi
quali PC, fax, stampanti sono sicuri e non
influenzano il funzionamento dell'ICD.
• Per i telefoni cellulari: mantenere una
distanza di almeno 15 cm tra telefono
cellulare e ICD, tenere l'apparecchio sul
lato opposto del corpo rispetto allo stimolatore.
• Seguire particolari precauzioni per le
seguenti procedure:
- diatermia (riscaldamento cutaneo con
strumenti che producono onde corte o
micro-onde);
- elettrocauterizzazione: dovrebbe essere utilizzata a sistema ICD spento;
- risonanza magnetica nucleare, i magneti potrebbero danneggiare il dispositivo.
CONSIGLI PER IL PAZIENTE
SOTTOPOSTO AD IMPIANTO DI
PACEMAKER O DEFIBRILLATORE
• Portare con sé regolarmente la lista delle medicine prescritte dal medico.
• Presentarsi regolarmente agli appuntamenti di controllo del pacemaker o ICD.
• Portare con sé il cartellino di Portatore
del Pacemaker/ICD, il posto ideale è nel
portafogli o insieme ai documenti d’identità.
• Avvertire sempre il medico se la ferita
diventa rossa, calda, gonfia, dolente,
secerne liquido o in presenza di sintomi
quali febbre, capogiri, dolore al torace o
debolezza.
• Informare tutti i medici ed il dentista di
essere portatore di un pacemaker/ICD.
CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013
LA STORIA • UNITÀ CORONARICA, 50 ANNI DI PROGRESSI
Una poltrona per i pazienti
Dai trattamenti pioneristici alla creazione di centri specializzati nella
terapia dell’infarto acuto. Nel 1965 la nascita del primo sistema di
monitoraggio alle molinette con brusca e rosettani
prof. Erennio Rosettani
Le U.T.I.C. (Unità di Terapia Intensiva Cardiologica) sono il centro di assistenza ai pazienti cardiopatici con quadri clinici complessi, all’interno
di una struttura multifunzionale qual è oggi una
vecchia Divisione di Cardiologia. Le sue origini
risalgono a più di 50 anni fa, quando con la denominazione di Unità Coronarica era considerata
l’avamposto nella cura dell’infarto miocardico.
Proviamo a raccontarne la storia.
Nell’immediato periodo post-bellico (2a guerra
mondiale) sia in Europa che negli Stati Uniti
riprendevano gli studi in campo biomedico e
clinico, con particolare attenzione al capitolo
delle malattie cardio-vascolari. L’IMA (Infarto
Miocardico Acuto) continuava ad essere una delle principali cause di mortalità tra la popolazione generale e i soggetti sopravvissuti all’attacco
acuto (in genere fatale nel 50% dei casi) venivano ricoverati in medicinale generale, spesso con
quadri di funzionalità cardiaca particolarmente
compromessa.
Le complicazioni aritmiche erano sempre in agguato e, nonostante l’impiego di farmaci specifici già in uso in quel periodo, la morte improvvisa
era un evento possibile fino a due-tre settimane
dopo il ricovero. Molti pazienti colpiti da infarti
con estensione tale da compromettere più del
30/40% della muscolatura cardiaca, presentavano quadri di insufficienza (shock cardiogeno)
che si concludevano con una mortalità superiore al 90% dei casi. Non si eseguiva ancora la
coronarografia e nell’impossibilità di modificare
la causa dell’evento (trombosi coronarica), lo
schema di terapia, oltre ai pochi farmaci a disposizione, era complessivamente orientato a un
trattamento di supporto della funzione cardiaca,
fino alla fase della cicatrizzazione. La mortalità
generale tra i soggetti ricoverati dopo un evento
acuto era calcolata intorno al 30%.
Per aver un’idea delle condizioni in cui operava il personale
medico e infermieristico impegnato nell’assistenza, si può
ricordare che in quel periodo è
stato tentato per la prima volta il massaggio cardiaco, nella
rianimazione di pazienti colpiti
da aritmie maligne con arresto
cardiaco. Una manovra disperata, in attesa dell’effetto dei
farmaci infusi a dosi massive,
che solo in pochi casi risultavano efficaci. Nei pazienti con un
quadro di scompenso cardiaco
si era arrivati a tentare di intervenire anche sul
tipo di decubito. Con l’intento di aiutare il cuore
a recuperare almeno in parte la sua funzionalità,
all’inizio degli anni ’50, numerose pubblicazioni
riportavano il benefico effetto del tenere i pazienti seduti in poltrona il più a lungo possibile,
per far scendere verso i piedi i liquidi del corpo e
alleggerirne il lavoro. (Il trattamento in poltrona
della trombosi coronarica, Levine S.A.-J.A.M.A.,
1952)
Si va avanti in queste condizioni fino alla fine
degli anni ’50, quando il sommarsi di conoscenze
sulla gravità di questo processo morboso spinge
a mettere in atto tutti i suggerimenti possibili,
pur di contenerne la gravità.
In primo luogo vanno ricordate le osservazioni
post-mortem nei cuori colpiti da infarto. Se la
morte improvvisa poteva essere giustificata nei
pazienti con infarti di vaste proporzioni – i quali, se sopravvissuti all’evento acuto, avrebbero
in seguito manifestato uno shock cardiogeno
fatale – nei casi con minore estensione non poteva essere l’entità del danno ad arrestarne la
funzione, ma un conseguente anomalo evento
elettrico.
Prof. Erennio
Rosettani
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CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013
Nello stesso periodo, dalla collaborazione tra
fisiologi, biofisici e medici, si sviluppavano conoscenze sempre più ampie circa l’effetto della
corrente elettrica sulla muscolatura cardiaca. Si
osservava che con scariche elettriche erogate
attraverso il torace potevano essere arrestate
aritmie fatali, o con singoli impulsi calibrati
mantenere attiva una funzione cardiaca. Erano
queste le origini della cardiostimolazione che
rappresenta oggi un vasto capitolo delle malattie cardiovascolari.
Quindi con l’obiettivo principale di prevenire la
morte improvvisa per le complicazioni elettriche dell’infarto acuto di qualunque estensione,
all’inizio degli anni ’60, alcuni autori americani
(Bernard Lown in particolare) pensarono di organizzare un sistema di monitoraggio continuo
e un programma di terapia elettro-farmacologica
di questi pazienti, isolandoli dal contesto dei
programmi della medicina generale.
Si assisteva così alle origini dell’Unità Coronarica U.C. (Coronary Care Unit per gli americani) e
con essa a una nuova era nella terapia dell’infarto acuto e delle malattie cardiovascolari. Dopo
tre anni circa dalla sua introduzione la mortalità
nei pazienti colpiti da infarto miocardico si era
ridotta del 15%.
26
Cosa accadeva in Piemonte e a Torino in particolare in quegli anni?
L’attività nel campo delle malattie cardiovascolari era prevalentemente dominata dalla Cardiochirurgia, diretta dal Prof. A.M. Dogliotti,
e poca attenzione era rivolta agli infarti nella
routine della medicina generale. Le segnalazioni
che giungevano dagli USA sull’efficacia dell’U.C.
stimolavano alla realizzazione di un minimo di
monitoraggio nei pazienti, ma numerosi erano
gli ostacoli da superare: trovare una sede idonea nell’ambito del reparto di medicina, realizzare uno spazio intorno al letto del paziente per
poter operare adeguatamente in condizioni di
emergenza, trovare le risorse per l’acquisto delle
apparecchiature (monitor, defibrillatore), selezionare personale infermieristico dedicato ed in
numero sufficiente per il monitoraggio continuo
ecc. e, non ultimo, superare la generale diffidenza verso questa novità, rivoluzionaria per la
medicina tradizionale.
Dopo una visita presso la Royal Infirmary di
Edimburgo, dove era in funzione una delle prime
U.C. organizzate in Europa (con due letti monitorizzati e diretta dal Dr. Julian) nell’autunno
del 1965, il Prof. A. Brusca ed il Dr. E. Rosettani
(aiuto ed assistente volontario della Clinica Medica), ritornarono a Torino con l’intenzione di
realizzare almeno un minimo di sistema di monitoraggio. Conquistata una stanza a un letto, con
un monitor avuto in prestito dalla ditta Viglia,
sistemato nell’ufficio della suora caposala per
mancanza di personale dedicato, e un defibrillatore a corrente alternata (tipo Electrodyne),
ricevuto in dono dalla banca Ceriana, realizzavano il primo abbozzo di U.C. del Piemonte (1966).
Poco soddisfatti dei primi risultati, perseverarono nell’intenzione di realizzare una sede che
potesse almeno garantire le minime esigenze del
protocollo terapeutico. Dopo qualche mese i letti
dedicati diventarono due (in una comune stanza da tre letti – che lotte per eliminarne uno!),
con due monitor in comodato d’uso e unteam di
personale dedicato, ma non specializzato, costituito da quattro giovani volontarie della Croce
Rossa di Torino e qualche allievo della Scuola di
Specializzazione in Cardiologia, all’epoca senza
obbligo di frequenza, ma attratto dalla novità.
La svolta verso il completamento di un vero servizio avviene nei primi mesi del 1967, quando
il Prof. P. Foltz, Sovraintendente dell’ospedale
Molinette, viene colpito da infarto. Ricoverato in
quel tentativo di U.C., prende atto del tipo di
assistenza, dell’utilità del servizio e della necessità di potenziare la struttura; il suo successivo diretto intervento, in qualità di responsabile
dell’assistenza di tutto il complesso ospedaliero
Molinette, permette di ampliare il locale fino alla
capienza di quattro posti letto con regolare monitoraggio, centralina di controllo, e cinque infermieri per garantire una sorveglianza continua.
Finalmente era stata realizzata una vera U.C.,
e i risultati dell’attività a pieno regime venivano presentati nella seduta scientifica autunnale
dell’Accademia di Medicina di Torino (novembre
1969). Su un numero di 91 pazienti, ricoverati
entro i primi tre giorni dall’inizio dell’episodio
acuto, la mortalità complessiva risultava essere
del 16%, (la metà circa del 30% osservato negli
anni precedenti), ottenuta principalmente con
la prevenzione e il trattamento delle aritmie fatali, mentre la percentuale di decessi per shock
cardiogeno restava purtroppo invariata.
Obbiettivo raggiunto! Torino aveva un’Unità Coronarica; la prima in Piemonte, la terza sul territorio nazionale dopo Roma (Ospedale S. Camillo,
col Prof. Puddu) e Milano (Ospedale Niguarda,
col Prof. Rovelli).
CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013
In campo con la nostra
Onlus
UN INCARICO CHE PREMIA UNA CARRIERA PRESTIGIOSA
Cin-Cin per Nuccio Marra
Il vice-presidente dalla nostra associazione è diventato
Direttore del nuovo Dipartimento Cardiovascolare e Toracico
della Città della Salute e della Scienza
Per gli Amici del Cuore (e non solo) è una
bella notizia: il vice-presidente della nostra
Onlus, Sebastiano Marra, è diventato Direttore del nuovo Dipartimento Cardiovascolare
e Toracico della Città della Salute e della
Scienza. Un incarico delicato che si aggiunge, naturalmente, a quello di responsabile
di Cardiologia. «Il lavoro aumenta –ammette il dottor Marra– , ma per me è uno stimolo a operare con sempre maggiore impegno
ed entusiasmo».
Il Dipartimento è nato nel 1997 sotto guida
del prof. Erennio Rosettani, evolvendo nel
tempo e ampliando i propri compiti. È un
insieme che raggruppa numerose "strutture
complesse", quelle che una volta si chiamavano "Divisioni" di medicina, con lo scopo
di coordinare la gestione degli acquisti e del
personale (medici e operatori infermieristici
e non) e di ottimizzare l’uso della strumentazione.
L’attività, che agli inizi riguardava le Cardiologie dell’Ospedale Molinette, oggi è punto
di riferimento anche per cardiologia vascolare e cardiochirurgia, nonché per cardiologia
pediatrica (Regina Margherita) e per quella
del CTO. In carico ci sono anche gli interventi d’urgenza presso l’Ospedale Sant’Anna.
Ma non solo: il nuovo Dipartimento ha preso
in carico pure il settore economico-finanziario, che ha un giro di affari annuo di 45-50
milioni di euro, per una dimensione che ne
fa una piccola industria.
Come si vede, è una attività di notevole
peso: il dottor Marra, che si avvale della
preziosa collaborazione di due segretarie
(Michela Procopio per la parte economica e
Francesca Monterisi per quella amministrativa), è il coordinatore della distribuzione
delle risorse disponibili e dei dipendenti. In
campo ci sono 130 medici, 350 infermieri
e una trentina di amministrativi. Una macchina complessa che permette importanti
sinergie e una migliore flessibilità.
Il curriculum del dottor Marra – chiamato affettuosamente Nuccio dagli amici – è di valore internazionale sia sul piano scientifico
che medico e culturale.
Autore di numerose
pubblicazioni, membro della American
Hearth Association,
fondatore della Cardiologia Nucleare per
le Molinette, autore
di interventi innovativi, organizzatore di convegni e
relatore, in questi
anni si è distinto
non solo per le doti
professionali, ma
per la sua carica di
umanità e per la
capacità di varare
Sebastianno Marra,
Direttore del nuovo
Dipartimento
Cardiovascolare
e Toracico della
Città della Salute
e della Scienza
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CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013
sempre nuove iniziative. Lo sanno bene i
nostri soci, visto il suo apporto fondamentale alla nascita dell’Associazione Amici del
Cuore-Piemonte Onlus e la sua partecipazione alle attività in programma.
Astigiano, nato nel 1946, laureato in Medicina e Chirurgia a Torino nel 1974 con 110 e
lode, sposato, con una figlia, il dottor Marra
è dotato di una energia inesauribile. «I pazienti –ama dire– vanno trattati con rispetto e umanità. Abbiamo compiuto progressi
importanti ma non mi stancherò mai di ripetere che la miglior cura è la prevenzione».
E adesso? «Vedrò ancora meno la mia famiglia e ridurrò il tempo libero». Che in particolare significa non andar più per mercatini
in Italia e all’estero cercando modellini di
treni Maerklin. Per fortuna, la sua collezione
è già invidiabile.
M.F.
Amici del Cuore vi invita a partecipare al ciclo di
incontri organizzati con la Circoscrizione 8 di Torino
I lunedì pomeriggio sulla Prevenzione
La Prevenzione: un nuovo stile per
migliorare la qualità della vita
presso Molecular Biotechnology Center
Scuola di Biotecnologie
Università di Torino
Via Nizza 52, Torino dalle ore 16,30 alle ore 18,30
dal 4 marzo all'11 novembre 2013
ingresso libero fino a esaurimento posti
Per informazioni e calendario completo rivolgersi a:
Informa8 Via Ormea 45 (piano terra) 10125 TORINO
Tel. 011 4435837 / 011 4435895 / 011 4435883
lunedì, mercoledì, giovedì orari:
9.30 – 12.30 / 14,30 – 16,30;
martedì e venerdì orari: 9,30 – 12,30
e-mail: [email protected]
www.comune.torino.it/circ8
Hanno collaborato: Acat, Airh, ALICe, Amici del Cuore,
AsmAllergie, Città della Salute, Fondazione Carlo Molo,
Fondazione per la Ricerca Molecolare, Lilt, Lions, S. Caterina
da Siena, Sds, Maria Pia Hospital
Con il patrocinio di
28
ASSEMBLEA SOCIALE
Danielis: 2012
un anno positivo
Il 2012 è stato un anno positivo per gli Amici
del Cuore. Lo ha sottolineato il presidente Danilo Danielis nel corso dell’Assemblea generale
dei soci, convocata il 21 aprile scorso. Presenti
72, di cui 30 deleghe. L’Assemblea ha approvato
all’unanimità la relazione del presidente, il bilancio consuntivo 2012, illustrato dal Tesoriere
Michelangelo Chiale, e quello preventivo 2013.
Nella funzione di sindaco è stato nominato Giuseppe Mamoli. «Il 2012 è stato positivo – ha
detto Danielis – perché il numero dei soci è cresciuto, la nostra azione di prevenzione sul territorio è aumentata e siamo riusciti a corrispondere
alla domanda di contribuzione di borse di studio
per giovani medici. Abbiamo anche ricordato i 35
anni di vita del sodalizio».
La prevenzione si è sviluppata attraverso incontri con studenti, convegni, controlli nelle farmacie, nei quartieri e nei comuni della provincia
(12) per una presenza totale di oltre 2.500 persone. Le ore di volontariato sono state 5.286
con un incremento di circa mille rispetto al
2011. Il servizio è stato esteso alla cardiochirurgia (Prof. Rinaldi). La raccolta fondi ha portato
a una crescita del 21% e il Banchetto della Salute ha realizzato un +17%. «Nel corso dell’anno
– ha aggiunto il presidente – abbiamo ampliato
la rete di collegamento con amministratori locali,
il che ci ha permesso di farci conoscere e apprezzare, aumentando il numero delle giornate della
salute». Positivi i rapporti con le altre strutture
di volontariato e le attività di relazione con la
Direzione della Città della Salute. L’Associzione
partecipa nuovamente a «Conacuore». Ma non è
tutto oro quel che luccica. L’impegno, nella situazione economica che attraversa l’Italia, deve
essere sempre più generoso. Bisogna cercare
nuovi soci giovani, si legge nella relazione, e
occorre svolgere una attività di informazione più
efficace sulla nostra Associazione. Un tasto su
cui a fine riunione ha battuto il vice-presidente
Marra, che ha tracciato l’immagine di un volontariato attivo e solidale.
CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013
Dicono di noi…
La Valsusa 6/6/2013
Luna Nuova 12/3/2013
Luna Nuova 10/5/2013
Coloro che desiderano sostenere la nostra
Onlus potranno effettuare donazioni tramite
Bonifico bancario intestato a:
Amici del Cuore Piemonte Onlus
Banca Intesa Sanpaolo
IBAN IT10 Z030 6909 21710000 0031305
oppure sul
conto corrente postale n. 19539105
Intestato a: Amici del Cuore Piemonte Onlus Cardiologia 2 - C.so Bramante, 88
10126 TORINO
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CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013
Sintesi di bilancio
PIEMONTE ONLUS
Associazione di volontariato per la
prevenzione delle malattie cardiovascolari
RENDICONTO GESTIONALE 2012
Proventi
Oneri
Quote sociali
Contributi da privati e soci
Raccolta fondi da Società
Proventi vari
Racc.fondi Banch/Farmac.
e
e
e
e
e
Cinque per Mille
e
9.970,00
52.627,00
49.745,00
7.184,00
10.481,00
Rivista
Erogazioni liberali
Supporto diagnostica e formazione
Convegni
Spese Generali
Minusvalenza Patrimoniale
48.130,00 Ammortamenti
e
e
e
e
e
e
e
19.091,00
44.054,00
45.154,00
5.472,00
27.694,00
8.946,00
6.277,00
e
e
156.688,00
21.449,00
e
178.137,00
Borse di studio
Rivista
Spedizione
Varie
Varie ospedale
e
e
e
e
e
77.000,00
15.000,00
3.000,00
30.000,00
30.000,00
Risultato Gestione
e
e
155.000,00
102.000,00
e
257.000,00
Risultato Gestione
Totale
e
178.137,00 Totale
BILANCIO PREVENTIVO 2013
Entrate
Saldo iniziale Banca
Versamento soci
Versamento 5 ‰
Eredità Bosia
Fondazione CRT
Totale
Uscite
e
e
e
e
e
e
72.000,00
10.000,00
30.000,00
140.000,00
5.000,00
257.000,00 Totale
5 per mille a favore degli Amici del Cuore
La Legge Finanziaria stabilisce di destinare una quota pari al 5 per mille dell’imposta sul reddito delle persone
fisiche a sostegno del VOLONTARIATO, delle ONLUS.
• È possibile effettuare una sola scelta di destinazione
• La scelta del 5 per mille non comporta un aggravio delle imposte da versare da parte del contribuente
Vogliamo ringraziarti per aver letto questa informativa e se desideri sostenerci scegliendo la nostra associazione, nella tua dichiarazione dei redditi dovrai inserire il nostro codice fiscale:
97504090016
30
PIEMONTE ONLUS
Associazione di volontariato per la
prevenzione delle malattie cardiovascolari
Da spedire a:
A.O.Città della Salute e della Scienza di Torino - CARDIOLOGIA 2
C.so Bramante, 88 - 10126 TORINO
Tel. 011.633.55.64 - Cell. 346.1314392
SCHEDA ISCRIZIONE A SOCIO
Il sottoscritto/a:
Codice Fiscale:
Nato a
il
Residente a
Via/corso/piazza:
CAP:
Telefono:
Cellulare:
E-mail:
Chiede di poter far parte come Socio/a della Onlus e provvede a versare l’importo di Euro……………………. Quale socio:
(socio ordinario € 25 - socio sostenitore € 100+25 - socio benemerito, sopra i € 500+25)
Verso la quota in:
contanti
con bonifico bancario Banca Intesa Sanpaolo - IBAN IT10 Z030 6909 21710000 0031305
per conto corrente postale n. 19539105
Intestato a : AMICI DEL CUORE PIEMONTE ONLUS - Cardiologia 2 - C.so Bramante, 88 - 10126 TORINO
N.B. Il versamento della quota per donazione deve essere effettuato a mezzo bonifico bancario
Firma
Data
CONSENSO AL TRATTAMENTO DEI DATI AI SENSI DEL CODICE SULLA PRIVACY D.L.196/03
Apponendo la firma in calce al presente modulo, manifesto il mio consenso al trattamento dei dati, nel solo ambito delle finalità
e modalità dell’attività sociale dell’associazione. Autorizzo il Presidente a informatizzare il mio nome nell’elenco Soci, che non
verrà comunicato a terzi, fuori dall’ambito della stessa associazione. Mi riservo di tutelare i miei diritti, in ogni momento, qualora
tale disposizione non venga osservata.
Firma
Gli Amici del Cuore
salvano sei vite
A Pianezza volontari e medici sono stati
ospitati davanti al Comune e a due centri
Commerciali. A fianco, il presidente Danilo
Danielis con Enrico Zanchi. Al centro Il
sindaco Castello
Le nostre giornate di prevenzione proseguono con
successo. Un successo che
non si misura soltanto dalla
partecipazione della gente,
ma anche dai risultati concreti che porta. In particolare, a cavallo tra il 2012
e i primi mesi dell’anno,
gli Amici del Cuore, con il
supporto dell’Unità Mobile,
hanno operato per tre volte
a Pianezza, dove il sindaco,
dottor Antonio Castello,
medico cardiologo, apprezza l’impegno e la competenza dell’Associazione e
dei suoi volontari.
Con la regia di Enrico Zanchi e alla presenza del presidente Danielis sono state
raccolte oltre 400 schede della salute e compiuto una cinquantina di visite approfondite con l’impiego di elettrocardiogramma
da parte dei medici di servizio. L’età delle persone controllate
variava tra i 50 e i 70 anni. Per sei persone è scattato l’allarme
rosso e sono state consigliate di recarsi con la massima urgenza
presso una struttura cardiologica. Si può dire che gli Amici del
Cuore hanno salvato sei vite. Le giornate, che hanno coinvolto
commercianti e associazioni, con una in marzo dedicata alle
donne, hanno anche permesso di raccogliere una quota del 5%
delle vendite commerciali per l’acquisto di defribillatori. Una
targa ricordo donata dal Sindaco alla nostra Onlus è ora in bella
mostra nello studio del dottor Marra in Cardiologia.
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