Spedizione in Abb.Post. D.L. 353/2003 (N.46 2004) art.1 comma 2 E 3 • ANNO 2013 N. 2 2/2013 II quadrimestre maggio/agosto 2013 Vacanze serene con un filo di prudenza La frutta fresca si rivela un vero toccasana con vari effetti protettivi sulle coronarie Defibrillatore, ecco la scatoletta che dà la scossa e può salvare la vita al paziente Nuovi trattamenti contro l’ipertensione arteriosa per chi non reagisce alle terapie normali pp. 6-8 pp. 20-22 pp. 23-24 CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013 Sommario ___________________________________ pag TRA DUBBI E ANGOSCE ANCHE LUOGHI COMUNI DA SFATARE In vacanza senza paura____________ 3 EDITORIALE A tutto sprint ____________________ 5 IMPORTANTE COMPONENTE DELLA DIETA MEDITERRANEA Frutta fresca, un toccasana_________ 6 Pere grigliate con gelato___________ 7 Dizionario medico________________ 8 L’ALIMENTAZIONE COME SPIA DI UNA SOCIETÀ E DI UNA CULTURA A tavola con la gente del Medioevo___ 9 Un assaggio nel passato__________ 12 GLI INTERESSANTI RISULTATI DI DUE STUDI AMERICANI Contro l’ipertensione arteriosa un nuovo tipo di trattamento_______ 13 CARDIOPATIE CONGENITE: DAL CENTRO PEDIATRICO A QUELLO PER L’ADULTO La medicina di transizione, ovvero “quando l'adolescente non sa più dove sta di casa il suo cuore”______ 15 IL COMMENTO. UNA SFIDA AD ALTA PROFESSIONALITÀ Un mondo nuovo tutto da sviluppare con amore e scienza_____________ 16 UNO SFORZO ORGANIZZATIVO CHE PARTE DA LONTANO Ecco la rete per l’infarto nella regione Piemonte___________ 19 DIAMO UNA SCOSSA AL CUORE: LA TECNOLOGIA DELL’ELETTROSTIMOLAZIONE È SEMPRE PIÙ EFFICACE La scatoletta che salva la vita______ 22 LA STORIA Una poltrona per i pazienti_________ 25 IN CAMPO CON LA NOSTRA ONLUS UN INCARICO CHE PREMIA UNA CARRIERA PRESTIGIOSA Cin-Cin per Nuccio Marra _________ 27 ASSEMBLEA SOCIALE Danielis: 2012 un anno positivo___________________ 28 Dicono di noi___________________ 29 Sintesi di bilancio_______________ 30 2 In copertina: foto stock.xchng; interno: fotografie di Fiorenzo Ardizzone; stock.xchng Il Consiglio Direttivo Amici del Cuore onlus Presidente Danilo Danielis Vice Presidente Sebastiano Marra Caterina Racca Tesoriere Michelangelo Chiale Segreteria Carla Giacone Consiglieri Fiorenzo Ardizzone, Ezio Bosco, Luciana Cerrini, Michelangelo Chiale, Luisella Chiara, Danilo Danielis, Ida Fonnesu, Fiorenzo Gaita, Carla Giacone, Sebastiano Marra, Guglielmo Moretto, Marcella Pinna, Ornella Pittà, Caterina Racca, Enrico Zanchi Sindaci Cesarina Arneodo e Giuseppe Mamoli Comitato Scientifico prof. Fiorenzo Gaita dr. Sebastiano Marra dr. Marco Sicuro dr. Tullio Usmiani dr. Armando De Berardinis dr. Maurizio D'Amico Comitato di Redazione Ezio Bosco, Michelangelo Chiale, Carla Giacone Coordinatrice volontari Caterina Racca Progetto grafico della rivista Roberta Serasso Segreteria di redazione Carla Giacone Fotografie Fiorenzo Ardizzone Webmaster Candeloro Buttiglione, Antonio Cirillo CARDIO PIEMONTE - ANNO IX - N. 24 (2013) Tribunale di Torino 4447 del 26-02-92 Direttore Responsabile: Michele Fenu ORGANO UFFICIALE DE AMICI DEL CUORE PIEMONTE • Associazione Onlus Associazione di Volontariato, no-profit, per la prevenzione e la ricerca delle malattie cardiovascolari Sede A.O.Città della Salute e della Scienza di Torino Corso Bramante, 88 • 10126 Torino • Tel. 011.633.55.64 Reparto di Cardiologia 2 dr. Sebastiano Marra Presidente: Danilo Danielis www. amicidelcuore.ideasolidale.org e-mail: [email protected] cell. 346/1314392 Tipografia: Grafart s.r.l. - Venaria Reale (TO) CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013 TRA DUBBI E ANGOSCE ANCHE LUOGHI COMUNI DA SFATARE In vacanza senza paura Ipertensione, malattie coronariche, scompenso cardiaco: ecco una sintesi di come comportarsi al mare o in montagna. Attenti alla disidratazione e agli sforzi eccessivi. L’altitudine non è un problema di Sebastiano Marra Una spiaggia dorata, un sentiero tra i boschi, un lago azzurrino: aria di vacanza, la mente si distende e il corpo si rilassa. Ma è sempre così? I pazienti che soffrono di una cardiopatia spesso in questo periodo vanno in confusione, tra dubbi, timori e consigli contrastanti: «Non andare perché quel posto è troppo in alto»; «Lascia perdere il mare, il caldo è eccessivo»; «Sospendi le terapie», «no, non farlo»; «Mangia poco, anzi il meno possibile»; «Stai pure al sole», «no, vivi all’ombra». Risultato? Un paziente che ha già le sue problematiche anche sul piano psicologico, invece di andare in vacanza con animo lieto si muove con l’angoscia di star male, soprattutto se ha scelto una meta lontana o un luogo dove i servizi cardiologici non sono sull’uscio di casa, come in città. Nasce una forma di disagio che può coinvolgere la famiglia o gli amici. Come sappiamo, ci sono tanti tipi di patologie cardiovascolari, più o meno gravi. Io suddividerei le malattie cardiache in tre grandi fette: quella delle coronarie; quella di chi ha avuto un infarto o, comunque, manifesta dei sintomi coronarici; quella dell’ipertensione o pressione alta, in particolare in presenza di un soggetto in età avanzata. Situazioni che potrebbero miscelarsi progressivamente e che hanno esigenze e problematiche assai diverse. Parliamo subito del caso più semplice, quello dell’ipertensione, che coinvolge una larga parte della popolazione nel mondo. Mediamente gli ipertesi hanno un’età che va dal medio all’avanzato, seguono una terapia di un certo tipo e devono controllare che sia efficace nel tempo. Il clima, più caldo, invoglia a compiere una maggiore attività fisica: nuoto, camminate, bicicletta. Bene, l’individuo con la pressione alta può, anzi deve fare attività fisica come una persona normale, senza aver paura. C’è chi dice: ma io prendo delle medicine, se mi muovo troppo sudo molto e la pressione si abbassa. Ma in generale i pazienti sono consapevoli della loro situazione e si tengono sotto controllo con l’apparecchio elettronico che misura al braccio (mi raccomando, non al polso) la pressione arteriosa. Attenzione, non contano tanto i valori misurati (ad esempio, un soggetto che ha 130140 normalmente scende a 110) quanto le sensazioni del paziente, come sentire stanchezza o un senso di debolezza. Punto importante è adattare la terapia con modeste o lievi riduzioni dei dosaggi. Ma questo è un discorso che va fatto con il cardiologo o il medico: niente autogestione. Sconsigliabile la sospensione della terapia, perché la malattia d’estate non va in vacanza. Ad esempio, si può ridurre di un quarto il dosaggio di un farmaco, il diuretico si prende a giorni alterni. I pazienti affetti da malattia coronarica, che si riferisce alle arterie che nutrono il cuore, Dott. Sebastianno Marra, Direttore del nuovo Dipartimento Cardiovascolare e Toracico della Città della Salute e della Scienza 3 CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013 Vista del Monviso dal Ponte di Casalgrasso 4 in genere sono portatori di una terapia abbastanza vigorosa, non tanto per curare i sintomi quanto la malattia in sè. Conoscete le cause: colesterolo, pressione e trigliceridi alti, diabete, peso eccessivo, sedentarietà, vizio del fumo. Nel periodo estivo questi soggetti hanno due tentazioni: svolgere una più intensa attività sportiva e lasciarsi andare a follie alimentari. Io dico loro: non abbiate paura di salire ai duemila metri del Sestriere o di godervi una caldissima spiaggia siciliana, abbiate invece paura di voi stessi nel gestire la vostra malattia. Uno può concedersi ogni tanto un pasto più ricco, perché l’abboffata ogni 2-3 settimane non danneggia il sistema, è la piccola trasgressione quotidiana che è deleteria, perché fa dimenticare i nostri doveri. La terapia non comporta d’estate, in genere, grandi cambiamenti. La cautela, comunque, impone di controllare il proprio stato di forma (ti senti stanco o molto debole?) e di evitare una prolungata esposizione al sole per non sudare copiosamente e disidratarsi. Ovvio che bere fa bene. Chi va in montagna non deve avere questi timori: l’altitudine non è un problema rilevante. Aria fresca, dieta appropriata, un po’ di sport, magari lo stop al fumo: sono giorni sereni, che aiutano lo spirito e a convivere meglio con la malattia. Se salta fuori qualche sintomo negativo ci sono due ipotesi. Primo, è un fatto nuovo, e allora rivolgersi a un medico locale o a un centro ospedaliero, fare un elettrocardiogramma oppure l’avevate percepito in precedenza ma avete fatto finta di niente per non rovinarvi la vacanza. La procedura è la stessa, certo è stata un’imprudenza. E veniamo ai pazienti con scompenso cardiaco, che può essere l’inizio di una storia dopo una miocardite o un primo grosso infarto. In genere, colpisce più lentamente e si riferisce a una categoria di persone con età più avanzata dei soggetti di cui abbiamo finora parlato. Qual è il loro tallone d’Achille? Un esercizio fisico eccessivo perché potrebbe essere distruttivo per la funzione residua del cuore, la sudorazione da caldo. Anche in questo caso niente paura dell’altitudine: potrà svolgere la stessa (moderata) attività che al mare o in pianura. Anzi, il clima più fresco è una protezione. Occorre un equilibrio tra la quantità di liquidi introdotti e quelli espulsi. Se ci si disidrata si mette in crisi anche la funzione renale, con serie conseguenze. Bere troppo, mangiare un po’ salato e consumare pasti abbondanti fa saltare la dieta. Mangiare troppo fa ˝lavorare˝ maggiormente il cuore. Attenzione, in questo caso è necessario limitare l’attività fisica, che, comunque, andrebbe sempre svolta a stomaco vuoto o quasi. Controllare con una certa frequenza la pressione arteriosa. La terapia diuretica va discussa con il cardiologo prima di partire per le vacanze. Mai sospenderla, ma modularla anche perché il clima può cambiare: da caldo a freddo e viceversa. Esercizio fisico moderato (ancora nuoto, passeggiate, bicicletta), senza dimostrazioni di forza. Se vi siete allenati con intelligenza, il muscolo cardiaco lavorerà di meno. Camminare a lungo significa stimolare i muscoli delle gambe che sfruttano con più efficacia l’ossigeno che arriva loro. Si può andare anche in spiaggia ma non nelle ore CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013 più calde per non disidratarsi. In montagna attenti ai saliscendi: niente sforzi. E pesarsi ogni mattina: se il peso cresce o avete mangiato troppo o trattenete i liquidi eccessivamente, se cala potrebbe essere segno di disidatrazione. Per un paziente con scompenso cardiaco o iperteso è opportuno andare in vacanza con un farmaco salvavita. La crisi ipotensiva si risolve facilmente (paziente coricato, gambe alzate, un bicchiere d’acqua), quella ipertensiva con delle gocce apposite (10-12 sotto la lingua) o spray. Chi ha uno scompenso cardiaco, in caso di fibrillazione atriale, può ricorrere a pastiglie apposite. Vacanze in campagna? Contro attacchi allergici munirsi di fiale di cortisone e di adrenalina (iniezione sotto cute). Come ultimo suggerimento, specie per chi va in Paesi lontani, portare con se il dischetto con l’esame angioplastico e l’ultimo elettrocardiogramma per permettere al medico locale di valutare la situazione ed estendere l’assicurazione del Sistema Sanitario Nazionale nell’ambito della Comunità Europea. Avvertenze semplici per una vacanza piacevole. E ricordiamoci sempre che la prevenzione, in tutti i sensi, è sempre la nostra carta vincente. Editoriale A tutto sprint di Michele Fenu Volontariato, aiuto in termini finanziari alla ricerca medico-scientifica, donazione del 5 per mille alle associazioni no profit. La crisi che ha colpito l’Italia non ha bisogno di essere illustrata da CardioPiemonte: tutti ne conosciamo gli effetti. Tra questi i tagli alla sanità, per cui il ruolo del volontariato diventa sempre più importante. In tale ottica il supporto che gli Amici del Cuore offrono disinteressamente alle Molinette per quanto riguarda Cardiologia 1 e 2 e ora anche Cardiochirurgia assume una particolare rilevanza. Le patologie cardiovascolari, purtroppo, rappresentano il primo fattore di mortalità nel nostro Paese malgrado i progressi in campo farmaceutico, lo sviluppo di tecnologie sempre più sofisticate e, naturalmente, la competenza dei medici. L’impegno della Onlus si rafforza in tre direzioni: prevenzione, con una serie di iniziative che aumentano di anno in anno e che ci portano nelle piazze e nelle farmacie, con migliaia di visite sul campo di persone che mai avrebbero pensato di farsi controllare (e in alcuni casi abbiamo salvato la vita di uomini e donne) e diffondendo la cultura di stili di vita idonei a ridurre i rischi; supporto economico ai «nostri protetti», con l’acquisto di apparecchiature grandi e piccole che talora suscitano l’ammirazione di altri reparti ospedalieri, e borse di studio per i giovani medici che possono così migliorare le proprie capacità; il lavoro prestato nelle cardiochirurgie e in giro per il Piemonte. Un lavoro, quest’ultimo, che sta diventando quasi professionale, nel senso che all’impegno generoso si deve sommare un’attività coordinata, che nulla toglie alla libertà di ciascuno ma regala una migliore efficienza. Il concetto di team, di squadra non vale soltanto per chi opera nell’industria o nelle professioni: è un’arma in più per emergere anche nel nostro settore. Del resto, in questi anni le attività e la presenza degli Amici del Cuore sono cresciute in modo esponenziale. Per l’Associazione un motivo di legittimo orgoglio. Siamo più conosciuti e questa rivista, con il suo mix di articoli scientifici e varietà, si è trasformata in un biglietto da visita, nell’immagine di un gruppo che in 35 anni di vita è stato capace di evolversi rimanendo fedele a quello spirito di solidarietà per cui è nato. Stiamo marciando a tutto sprint. 5 CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013 IMPORTANTE COMPONENTE DELLA DIETA MEDITERRANEA Frutta fresca, un toccasana PIE Asso MON prev ciaz TE O enzi ione NLU on di vo S e de lle lontar mal ia atti to pe e ca r la rdio vasc ol ari Idrata, detossifica, apporta sali minerali e vitamine. Banane, uva, arance e pesche sono ricche di potassio. Sorpresa: il succo di melagrana ha effetti protettivi sulle coronarie. Qualche consiglio sui consumi. di Virginia Bicchiega Dott.ssa Virginia Bicchiega Nutrizionista 6 Gli esperti di alimentazione sono da tempo concordi su una considerazione di partenza: troppo di rado sulla nostra tavola frutta e verdura arrivano con la giusta frequenza e regolarità. La conseguenza è uno stato di salute carente per la popolazione! In particolare, bisogna insistere sul fatto che non è sufficiente consumare frutta e verdura ogni tanto per avere dei benefici sicuri e duraturi, bensì adottare sin dall’ infanzia delle abitudini alimentari adeguate e corrette. Tanto per approfondire una tematica molto spesso ricorrente nelle pubblicità televisive, giornalistiche on-line e cartacee focalizzeremo la nostra attenzione sul consumo della frutta in particolare e il rischio cardiovascolare (CV), quanto e se il consumo regolare di almeno 2-3 porzioni di frutta al giorno possono considerarsi un obiettivo per ridurre il rischio di patologie cardiache e vascolari. La gran parte delle patologie del sistema circolatorio sono imputabili alle malattie ischemiche (per esempio l’infarto del miocardio) e alle patologie cerebrovascolari (come l’ictus). In ambedue il rischio di vita è elevato con morti premature per le patologie ischemiche mentre la componente maggiore della mortalità nelle patologie cerebrovascolari è rilevabile in particolare nelle classi di età più avanzate. Cosa fare per prevenire questi eventi così pericolosi e spesso invalidanti ? L’obiettivo primario potrebbe essere il tentativo di modificare i fattori di rischio per patologie cardiovascolari come ridurre l’ipertensione arteriosa, il fumo, l’ipercolesterolemia, il diabete, il sovrappeso e/o l’obesità e non per ultimo ottimizzare le abitudini alimentari ovvero la dieta. Intendiamo per dieta il “sano stile di vita” dove l’alimentazione corretta ed equilibrata è uno degli aspetti da considerare. Molte componenti influiscono sul rischio cardiovascolare, in modo negativo per l’eccessivo consumo di alimenti ad alto contenuto di sale e grassi animali. Altra componente è lo scarso introito di pesce. Un consumo scarso di frutta e verdura è spesso conseguente a motivi non solo abitudinari ma culturali ed economici. Nella genesi delle patologie cardiovascolari rivestono un ruolo importante alcuni fattori come il basso livello socio-economico o la condizione di stress cronico legata a situazioni conflittuali familiari e sociali. Per contrastare l’insorgenza delle malattie CV è importante adottare un approccio alla popolazione e individuale, educativo/informativo capillare che possa spostare in senso favorevole la distribuzione dei fattori di rischio nell’ intera comunità con iniziative che attraverso campagne sanitarie e/o promozionali aumentino la consapevolezza dei diversi portatori di rischio sugli specifici temi di salute e come farne proprie le finalità benefiche a CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013 breve, medio e lungo termine. Cominciamo con la frutta! Fresca preferibilmente, per consumarla al meglio delle proprietà organolettiche e, perché no, anche a buon prezzo. Indispensabile conoscere la frutta stagionale e cercarla nei nostri mercati e supermercati dove dovrebbe essere esposta in modo tale da richiamare il consumatore all’acquisto! Mangiarne almeno due porzioni al giorno, sicuramente per quantitativo medio giornaliero di 200-300 grammi di frutta edibile (cioè pronta al consumo). La frutta idrata, detossifica, apporta sali minerali e vitamine, acqua e soprattutto non è molto calorica, ma ricordarsi che contiene una discreta quantità di zuccheri semplici, quindi non abusarne. Questo consiglio vale non solo per chi necessita di perdere peso ma anche per chi è portatore di diabete o presenta degli alterati valori glicemici: potrebbero risentire negativamente di un eccesso nel consumo, con picchi ematici iperglicemici dovuti al veloce assorbimento degli zuccheri. Altro fenomeno non piacevole e conseguente al consumo di frutta a digiuno, è la repentina sensazione di “fame” che insorge rapidamente dopo avere consumato un frutto, a causa dell’ipoglicemia seguita all’ iperproduzione insulinica stimolata dall’ assorbimento dello zucchero. Quindi associare sempre un prodotto da forno ricco in fibra, che aiuta a rallentarne l’assorbimento: una piccola strategia per un sano spuntino a metà mattina o pomeriggio, per non raggiungere affamati l’ora del pranzo o della cena, a chi necessita. Inoltre, la fibra, presente in particolare nella buccia ma anche nella polpa dei diversi frutti, tra cui la pectina oltre a facilitare la digestione può prevenire alcuni disturbi intestinali, soprattutto nell’infanzia. In questo caso ricordarsi di lavare bene la frutta prima di consumarla e acquistarla sempre da filiere ben controllate. La prevenzione cardiovascolare ha uno dei suoi cardini nell’azione antiossidante dei prodotti ortofrutticoli. La ricerca ha permesso di stabilire che il contenuto di polifenoli di questo alimento, presente in natura sottoforma di innumerevoli varietà, è stato finora sottostimato. Rispetto alla frazione solubile, le sostanze polifenoliche sono nella frutta cinque volte più abbondanti, con un’azione antiossidante i cui notevoli benefici per l’organismo sono stati abbondantemente trascurati, solo però, e mi ripeto, se il consumo è regolare e costante! Un accenno al potassio, minerale utilissimo per contrastare l’eccesso di sodio spesso presente nella dieta. Recenti studi hanno evidenziato come il potassio possa proteggere il cuore dall’insorgere di malattie cardiovascolari. Esso è conosciuto dalla maggior parte delle persone per la capacità di proteggere dai crampi muscolari ma sappia- Ricetta della Dott.ssa Virginia Bicchiega - Nutrizionista Pere grigliate con gelato Ingredienti per 4 persone: • 4 pere sciroppate • 4 palline di gelato al limone o altro gusto • foglie di menta • 1,5 dl di sciroppo Preparazione: Disponete le pere tagliate a metà (se preferite con la buccia) sulla griglia oppure sulla padella di ghisa e fatele cuocere a calore moderato circa 5 minuti per lato; se utilizzate la griglia e potete regolare la distanza dalla brace, fate cuocere i frutti a circa a 15 cm di distanza dalla fonte di calore. Raccogliete lo sciroppo in una piccola casseruola e fatelo restringere a fiamma medio-bassa e a recipiente scoperto. Disponete nei piatti singoli le palline di gelato, quindi le mezze pere; versate su questo lo sciroppo ristretto e infine completate con le foglie di menta. Servite subito la preparazione. Se lo preferite, anziché alla griglia, potete cuocere i frutti al cartoccio con il loro sciroppo, in forno a 180 °C per circa 20 minuti. 7 CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013 8 mo anche che tra la frutta, le banane sono ricchissime di potassio come l’uva e l’avocado, esempi di prodotti facilmente reperibili nei nostri mercati. Nella frutta secca il potassio è contenuto in quantità molto generose in particolare nell'albicocca e nella banana disidratata, con attenzione in questo caso alla quantità consumata, dal momento che il contenuto calorico di tale cibo si impenna velocemente. Anche le arance, il kiwi, le pesche sono fruitori eccezionali di questo minerale. Una raccomandazione ancora. La prima colazione, non arricchita dal consumo di frutta fresca, per fretta o cattiva abitudine, spesso è una cattiva abitudine italiana. Ebbene la possiamo considerare un utile introito di nutrienti e di acqua, assunta in modo piacevole e necessaria all’ organismo per idratarsi dopo il digiuno notturno. La frutta, insieme alla verdura, rappresenta l’essenza del concetto di dieta mediterranea, una dieta da promuovere e prediligere in tutte le fasi della vita. Non solo i nutrienti sono da considerarsi utili per considerare l’ importanza dietetica e salutistica di un alimento, anche i “non nutrienti” che svolgono un ruolo estremamente utile ai fini del benessere. In certi casi svolgono importanti proprietà fisiologiche e per questo si considerano sostanze bioattive. Se sono di origine vegetale sono denominate sostanze fitochimiche. Esse sono responsabili del colore della frutta come i glucosinolati o i carotenoidi da cui dipende l’arancione. Tutta la frutta che spazia dal giallo all’arancione ne sarà ricca fonte: pompelmo, mandarino, prugne gialle, pesca, melone. Le antocianine sono autrici del rosso-viola: fragole e frutti di bosco sono molto apprezzati. Ma non dimentichiamo la melagrana che anche se considerata un frutto decorativo, è in realtà una fonte ricchissima di queste utili sostanze, il suo succo concentrato ha effetti protettivi sulle coronarie e studi recenti hanno dimostrato la sua capacità di ridurre il colesterolo in soggetti diabetici e iperlipidemici. Prevenzione della mutagenesi e carcinogenesi, minor rischio di patologie oftalmiche come cataratta e degenerazione maculare, e in particolare azione antiossidante nei riguardi del colesterolo LDL con prevenzione della formazione delle placche aterosclerotiche e del colesterolo HDL, con utile difesa dalle coronaropatie, sono tra i più quotati effetti preventivi del consumo regolare della frutta, fresca in particolare e stagionale. Dizionario medico In questo numero cerchiamo di capire cosa significa sottoporsi a SCINTIGRAFIA CARDIACA È una metodica diagnostica incruenta che consente di valutare la irrorazione del muscolo cardiaco ed in alcuni casi la sua funzione. È caratterizzata fondamentalmente dalla necessità di iniettare in vena una sostanza particolare detta “tracciante radioattivo” e dalla misurazione con un'apparecchiatura (la gamma camera) di come questo sia captato dal cuore. Può essere eseguita a riposo e dopo uno sforzo. Nella maggior parte dei casi è necessario eseguirla sia a riposo che dopo stress fisico (prova da sforzo) o farmacologico (dipiridamolo o dobutamina). I motivi principali per cui si esegue questo esame sono: • la ricerca della presenza di ischemia miocardica provocabile con lo sforzo o con l'infusione di farmaci; • la ricerca di muscolo cardiaco non funzionante ma vitale; • la funzione contrattile globale o segmentaria del cuore. Le quantità di sostanza radioattiva iniettata è molto piccola per cui non è pericolosa. In ogni caso il minimo rischio presente è giustificato dalle importanti informazioni che possono essere ottenute con questo esame. CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013 L’ALIMENTAZIONE COME SPIA DI UNA SOCIETÀ E DI UNA CULTURA A tavola con la gente del Medioevo Un mondo suddiviso in rigide classi che si nutrivano con cibi differenti. Per i potenti il consumare carne era anche un segno della loro importanza. Salse e spezie in abbondanza, era il trionfo dell’agrodolce di Franco Orlandi «Ma la gente del Medioevo che cosa mangiava?» Questa è la domanda che ci siamo posti in una cena tra amici. È stato anche un buono spunto per svolgerer una piccola ricerca sull’argomento. Quando parliamo di alimentazione medievale ci riferiamo generalmente ai cibi, alle abitudini alimentari, ai metodi di cottura e in generale alla cucina di varie culture europee nel corso di un'epoca che si estende, per convenzione, dal 476 al 1492. Durante tale periodo, le diete e la cucina, nelle varie zone dell'Europa, sperimentarono meno cambiamenti rispetto a quanto succederà nella più breve epoca moderna che seguì, durante la quale tali mutamenti posero le basi della moderna cucina europea. Non è inutile ricordare che la cucina è cultura; costituisce un ottimo specchio dei tempi ed aiuta a comprendere meglio usi e tradizioni lontane, modelli di vita che sembrano strani e inimitabili nel corso dei secoli. Roland Barthes, nel suo celebre saggio sulla “Psicologia dell’alimentazione contemporanea”, definì il comportamento alimentare “un sistema di comunicazione” dove la funzione sociale dell’alimento è più forte del suo valore nutritivo. La società medievale, fortemente investita dal problema della sopravvivenza quotidiana, aveva con il cibo un rapporto certamente più diretto e immediato rispetto a oggi. Per questo, illustrare il comportamento alimentare, il modo di preparazione dei cibi, con la logica degustazione finale, significa fare storia. Qualche storico tenta di spiegare la storia dell’umanità con quella dell’alimentazione. Non è un’idea esagerata poiché lo studio di quest’ultima implica conoscenze nell’ambito della politica, economia, commercio, religione, migrazione dei popoli, salute dell’uomo, agricoltura, tecniche di coltivazione, trasporti, società, religione, gastronomia, medi- cina, studio del territorio e delle condizioni climatiche. La storia dell’alimentazione deve fare qualche passo indietro nel passato per completare la conoscenza del presente. Questo esercizio intellettuale produce i suoi frutti e ci porta a scoprire che molti dei cibi o delle bevande che consumiamo oggi quali ravioli, lasagne, formaggio parmigiano, crespelle, caffè, sorbetto, orzata, hanno origine medievale e in qualche caso addirittura antecedente. Lo studio degli alimenti, il modo di prepararli, l’allestimento della mensa, unitamente agli altri aspetti ci danno precise indicazioni di “comportamento alimentare”. Il mercato, centro della vita cittadina, era collegato strettamente alla gastronomia. Là si facevano affari, si amministrava la giustizia, si tenevano le assemblee e si ordinavano le congiure e le sommosse. Il mercato era il teatro degli agenti di cambio e lì si trovavano esposti viveri, dolciumi, stoffe, calzature, cuoi, terraglie, ecc. Era dunque qui che aveva origine lo scambio dei prodotti da portare in tavola. La Chiesa cattolica e la Chiesa ortodossa con i loro calendari liturgici influenzavano notevolmente le abitudini alimentari; il consumo di carne era proibito ai cristiani per un buon terzo dell'anno, e tutti i cibi di origine animale, tra cui le uova e i latticini (ma non il pesce) erano generalmente proibiti durante la quaresima e i digiuni. Inoltre tutti osservavano il digiuno prima di ricevere l'eucarestia e tali digiuni potevano durare anche un giorno intero e comportavano l'assoluta astinenza dal cibo. Sia la chiesa occidentale sia quella orientale de- Franco Orlandi 9 CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013 cretarono che i periodi di festa dovevano essere alternati ad altri di astinenza. Nella maggior parte d'Europa i mercoledì, i venerdì e talvolta i sabati, oltre a varie altre date, tra cui la quaresima e il periodo dell'avvento, erano dedicati al digiuno. La carne e i prodotti di origine animale come latte, formaggio, burro e uova non erano permessi, si poteva mangiare solo il pesce. Il digiuno si faceva per mortificare il corpo e rafforzare l'anima, in ossequio alla convinzione dell'epoca che vedeva il corpo come inferiore, e per ricordare il sacrificio compiuto da Gesù per l'umanità. Lo scopo non era dipingere alcuni cibi come impuri, ma piuttosto impartire una lezione spirituale di auto-moderazione attraverso l'astinenza. Durante giorni di digiuno particolarmente rigido, il numero dei pasti giornalieri si riduceva ad uno. Anche se la maggior parte delle persone rispettava le restrizioni ed era solita sottoporsi a penitenze quando le violava, esistevano comunque diversi trucchi per aggirare il problema, un conflitto tra i principi ideali e la pratica ben riassunto dalla scrittrice Bridget Ann Henisch: «Fa parte della natura umana costruire le più complicate gabbie di regole e regolamenti in cui rinchiudere se stesso, e poi, con la stessa ingenuità e gusto, spremersi il cervello su come riuscire a sfuggirne di nuovo. Il digiuno era una sfida: il gioco consisteva nel trovare le scappatoie.» La società medievale si presentava stratificata e divisa in classi rigorosamente separate tra loro. In un'epoca in cui le carestie erano piuttosto comuni e le gerarchie sociali venivano spesso fatte rispettare con la violenza, il cibo era un importante segno di distinzione ed aveva una valenza che non conosce paragoni nella maggior parte dei Paesi sviluppati del giorno d'oggi. Secondo 10 l'ideologia del tempo la società si componeva di tre stati: la nobiltà, il clero e la gente comune, ovvero la maggior parte della classe lavoratrice. I rapporti tra le classi erano di tipo strettamente gerarchico con la nobiltà e il clero che rivendicavano la propria superiorità terrena e spirituale rispetto al popolo. Tra la nobiltà e il clero inoltre esistevano una moltitudine di livelli che andavano dal re al papa, dai duchi ai vescovi giù fino ai loro subordinati come i cavalieri e i preti. In generale ci si attendeva che ognuno rimanesse all'interno della propria classe sociale di nascita e rispettasse l'autorità di quelle dominanti. Di norma il potere politico non si dimostrava solo attraverso l'azione di governo, ma anche esibendo la propria ricchezza. I nobili dovevano mangiare selvaggina fresca insaporita con spezie esotiche e mostrare maniere raffinate quando si trovavano a tavola; gli uomini di fatica dovevano accontentarsi di rozzo pane d'orzo, maiale salato e legumi, non ci si aspettava che conoscessero l'etichetta. Questo modo di pensare era rafforzato anche per mezzo di raccomandazioni riguardo alla dieta. La dieta dei nobili e dei prelati di alto livello era considerata sia un segno della loro raffinata costituzione fisica che della loro prosperità economica. L'apparato digerente di un signore doveva per forza essere più delicato di quello di uno dei suoi contadini e subordinati e quindi richiedeva cibi più fini. Nel Medioevo il potente doveva rimpinzarsi, soprattutto di carne, simbolo di forza e ne doveva mangiare molta per dovere sociale, per segnalare e comunicare il proprio rango. «Per i potenti, restare privi di carne era intollerabile e si comprende perché la proibizione di mangiarne potesse raffigurarsi come una punizione gravissima» spiega M. Montanari nel Convivio. L’astinenza forzata dalla carne doveva avere per i Vip del tempo anche una valenza di tipo simbolico, segno tangibile di una emarginazione più o meno temporanea dalla società dei forti. Non deve stupire che tutti i potenti di allora, compreso le donne, abbiano sofferto di gotta. A sottolineare questa logica ci viene in aiuto un episodio narrato da Liutprando da Cremona, dove nell’Antapodosis, racconta di come nell’888 i Franchi elessero a loro re Oddone, conte di Parigi, al posto di Guido duca di Spoleto, perché questi era colpevole di accontentarsi di pochi cibi. Il Vescovo di Metz disse: «Non è degno di regnare su di noi un re che si prepara un umile pranzo da dieci dramme». E fu così che abbandonarono Guido ed elessero invece Oddone. Nel tardo Medioevo, la crescente prosperità di mercanti e commercianti borghesi fece sì che CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013 alcuni membri del popolo iniziassero a imitare l'aristocrazia e minacciassero di abbattere alcune delle simboliche barriere tra la nobiltà e le classi inferiori. La reazione si manifestò in due forme: la comparsa di una letteratura didattica che metteva in guardia sui pericoli che comportava l'adozione di una dieta inappropriata rispetto alla classe sociale di appartenenza, e l'emanazione di leggi suntuarie che limitarono il miglioramento della mensa degli appartenenti al popolo. La scienza medica del tempo aveva una notevole influenza su ciò che veniva considerato salutare e nutriente tra le classi superiori. Lo stile di vita, la dieta, l'esercizio fisico, il corretto comportamento sociale, e il seguire le prescrizioni mediche era ritenuto il modo giusto per mantenersi in buona salute e ai vari tipi di cibi erano attribuite particolari proprietà che avrebbero influito sulla salute delle persone. Tutti gli alimenti erano classificati secondo scale che andavano da caldo a freddo e da umido a secco in accordo con la teoria dei quattro umori corporali proposta da Galeno che fu comunemente accettata dalla medicina occidentale dalla tarda antichità fino al XVII secolo. Gli studiosi medievali consideravano la digestione un processo simile alla cottura. L'elaborazione del cibo all'interno dello stomaco era visto come il proseguimento della preparazione iniziata dal cuoco. Affinché il cibo fosse "cotto" in maniera appropriata e i principi nutritivi adeguatamente assorbiti, era importante che lo stomaco fosse riempito nel modo corretto. I cibi facilmente digeribili dovevano essere consumati per primi, seguiti gradualmente dai piatti più pesanti. Se questa sequenza non fosse stata rispettata, si credeva che i cibi pesanti sarebbero sprofondati verso la fine dello stomaco, bloccando il condotto digerente in maniera tale che la digestione sarebbe stata estremamente lenta, provocando la putrefazione del corpo e attirando gli umori cattivi all'interno dello stomaco. Era anche di vitale importanza che cibi dalle differenti proprietà non venissero mischiati. Per entrare maggiormente nell’aspetto culinario, va ricordato, che non possiamo trovare nel Medioevo l’uso di pomodori, patate, peperoni, granoturco, patate dolci, peperoncini, arachidi, fichi d’india, zucche, cacao e animali come il tacchino, in quanto introdotti in Europa dopo la scoperta dell’America nel 1492. I cereali erano consumati sotto forma di pane, farinate d'avena, polenta e pasta praticamente da tutti i componenti della società. Le verdure rappresentavano un'importante integrazione alla dieta basata sui cereali. L’alimentazione dei poveri o dei contadini, era sempre a base di cereali, legumi, ortaggi, uova e poca carne di animali da cortile. Vanno ricordati i precetti del Regimen Sanitatis della Scuola Salernitana fondata, così vuole la tradizione, da quattro dotti, uno greco, uno ebreo, uno arabo e uno latino, a significare che tutta la tradizione scientifica vi confluiva per l’elaborazione di nuove forme di eredità del passato in una integrazione di culture diverse. I Regimi erano manuali di igiene, dietetica e terapeutica per la conservazione della salute: «Se vuoi vivere sano ed evitare i malanni, scaccia le preoccupazioni, vacci piano col vino e col mangiare, e dopo aver pranzato fai una passeggiata evitando il sonnellino pomeridiano… Lo stomaco resta abbastanza affaticato da una cena abbondante: per trascorrere notti tranquille, fa’ una cena leggera… Durante i pasti bere poco e spesso (vino, poiché l’acqua provoca un’infinità di disturbi allo stomaco e blocca la digestione)… Faciliti la digestione iniziando il pranzo con una bevanda. Solo il medico può stabilire e prescrivere quanto, come e quando di una dieta». L’alimentazione nel Medioevo è caratterizzata, oltre che dalla forte presenza della carne alla mensa dei ricchi, dal largo consumo di salse e soprattutto spezie. Non esisteva la separazione tra i sapori dolce, salato, acido e piccante ma, anzi, c’era la tendenza ad unire tali sapori. Quindi era facilissimo trovare, ad esempio, il miele mescolato con l’aceto, e lo zucchero con ingredienti piccanti. Era il trionfo dell’agrodolce. Le salse venivano preparate con vino, mosto, uva acerba (l’agresto), miele, aglio, mollica o crosta di pane, cipolle e spezie. Le carni erano spesso cotte con la frutta. L’uso abbondante di spezie quali zenzero, chiodi di garofano, cannella, cardamomo, galanga, noce moscata, ecc. (che si potevano permettere i ricchi, specialmente quelle esotiche) ha fatto pensare che servissero a coprire, camuffare il sapore della carne mal conservata o addirittura avariata. La convinzione appare infondata prima di tutto perché i ricchi consumavano sempre carne freschissima, macellata sul momento , mentre i poveri conoscevano da tanti secoli le tecniche della conservazione e delle cosiddette cotture plurime. Nell’età antica e medievale si sottoponevano le carni ad una bollitura preventiva, prima di cucinarle nel modo desiderato anche a distanza di 11 CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013 qualche giorno. Alla base di tale pratica stava una preoccupazione di carattere igienico, combinata con la necessità di conservazione del cibo. Nella cucina medievale fu molto comune l’uso del lardo e delle mandorle. Il grasso impiegato era quello di maiale che serviva per cucinare e friggere. L’olio di oliva sostituiva il lardo in tempi di magro ed il burro compare abbastanza poco ed era venduto più spesso salato che fresco. Il latte di mandorle e le mandorle venivano messi in tutte le salse, nei piatti salati e nei dolciumi, sia intere che macinate. Per la conservazione dei cibi si ricorreva al ghiaccio (refrigerazione), all’aria (essiccazione), al sale (salatura),oppure al fumo (affumicazione). La gente del Medioevo non fu grande consumatrice di pesce in genere, e a quello di mare prefe- riva quello di acqua dolce, anche di allevamento perché era più facile da catturare e più accessibile dal punto di vista economico. Il sale non è quasi mai menzionato. Esistevano i ricettari, ma comprensibili solo agli addetti ai lavori (cuochi di famiglie aristocratiche e di potenti). All’epoca non c’era un sistema di misurazione dei pesi e dei tempi. Tanto meno un sistema per definire il calore del fuoco o la temperatura dei forni. Un cuoco veneziano del ‘300 raccomandava l’agliata con ogni carne (la traduzione è mia): «Prendi dell’aglio, pelalo e cuocilo sotto la brace, poi pestalo bene e aggiungi ad esso ancora dell’aglio crudo e della mollica di pane e spezie dolci con brodo. Mescola ogni cosa insieme, falla bollire un poco e servila calda». Buon apppetito. Ecco qualche ricetta con un ringraziamento alla dott. Lucia Valente, nutrizionista di Bari, ai cui scritti ho anche attinto per scrivere questo articolo. Un assaggio nel passato BIANCOMANGIARE: (questa è soltanto una delle centinaia di varianti della ricetta poiché ingrediente base è il riso dal cui colore deriva il nome). Prendi dei petti di gallina e tagliali a filetti sottili, prendi del riso e riducilo a farina. Stempera questa farina con latte di capra o pecora o di mandorle e fai bollire. Aggiungi i filetti di pollo, lo zucchero e il lardo e bolli a fuoco lento. Gira spesso. Quando si serve aggiungi sopra zucchero e lardo fresco. Si può fare anche con riso a chicchi e quando si serve aggiungi sopra mandorle tritate e fritte nello zucchero e zenzero tritato. POLLO AL LIMONE : Prendi il pollo che 12 sarà stato in precedenza svuotato e pulito e taglialo in pezzi non troppo grandi. Taglia del lardo a cubetti e fallo sciogliere in una casseruola; rosola in questo grasso i pezzi di pollo e delle cipolle tagliate sottili finché si ottiene una bella doratura. Togli dalla casseruola i pezzetti di lardo che siano eventualmente rimasti, sala il tutto e spolvera con le spezie. Aggiungi del latte di mandorle e porta ad ebollizione. Fai cuocere a fuoco lento e quando si vede che il pollo è cotto, aggiungi il succo del limone e fai cuocere per un altro poco in modo che il pollo si insaporisca. TORTA DI ZUCCA: Prepara la pasta (oggi diremmo brisèe) e falla riposare per un paio d’ore in un luogo fresco e asciutto. Cuoci della zucca nel latte; aggiungi del burro già ammorbidito e mescola insieme a del formaggio bianco, fresco e molle; sbatti bene con la frusta. Aggiungi al composto del parmigiano grattugiato, sette cucchiai di zucchero, quattro uova sbattute e zenzero e cannella in polvere. Schiaccia la zucca fino ad ottenere un composto uniforme e uniscila al preparato precedente. Stendi una sfoglia di pasta e fodera una teglia. Versa il ripieno e mettilo in forno. Dopo un po’, taglia a strisce regolari una sfoglia fatta con i ritagli della pasta. Apri il forno e disponi, velocemente, sopra la torta le strisce di pasta a forma di griglia. Inforna di nuovo e cuoci. Trascorso il tempo necessario, togli la torta dal fuoco, spolverala con lo zucchero ridotto in polvere e spruzzala con dell’ acqua di rose. Servila tiepida. CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013 GLI INTERESSANTI RISULTATI DI DUE STUDI AMERICANI Contro l’ipertensione arteriosa un nuovo tipo di trattamento È destinato a pazienti resistenti a ogni terapia. Un intervento non privo di rischi: consiste nella denervazione delle arterie renali mediante l’ablazione con radio frequenze delle terminazioni nervose del sistema simpatico di Armando De Berardinis L’ipertensione arteriosa è un po’ come la nostra crisi finanziaria: la si combatte tutti i giorni, non ha speranza di risolversi senza trattamento, e la sua cura è asfissiante, poco tollerata, e non ha fine. È con questa introduzione venata di ottimismo che introduco l’argomento di cui ci occuperemo in questo articolo. Come ormai tutti sanno, l’ipertensione arteriosa è considerata dall’OMS (Organizzazione mondiale della sanità) come la prima causa di morte nel mondo con una stima di circa 7 milioni di vittime/anno nel mondo e 240 mila/anno nella sola Italia. Questi dati in grado di togliere il sonno a chiunque diventano ancora più allarmanti se consideriamo che dagli attuali 9 milioni di ipertesi in Italia arriveremo a circa 18 in soli 20 anni. Se si fosse trattato di debito pubblico avremmo già accettato misure drastiche, ma trattandosi “solo” della nostra salute siamo più indulgenti e confidiamo nella fortuna. E così deve essere se, sulla totalità degli ipertesi, solo il 30% hanno una pressione adeguatamente controllata. Ma la colpa di chi è? Anche in questo caso un po’ dei governi (i medici) e un po’ dei cittadini (gli ipertesi). E non tranquillizza certo le nostre coscienze il sapere che in una percentuale variabile di soggetti (515%) nonostante il trattamento sia adeguato e massimo l’impegno delle controparti, non è comunque possibile ridurre i valori al di sotto dei 140/90, mantenendo inaltera- to, quindi, il rischio cardiovascolare. E allora che fare? Non abbiamo scampo: controllo periodico dei valori, stile di vita “virtuoso” e poi farmaci, farmaci e ancora farmaci. In uno scenario così fosco è del tutto comprensibile che il paziente (e il contribuente, se proseguiamo nell’allegoria) desideri la liberazione da una gabella così onerosa. Ha fatto pertanto scalpore recentemente la notizia apparsa su alcuni quotidiani nordamericani che riportava i risultati di 2 studi scientifici, denominati SIMPLICITY Hypertension-1 e SIMPLICITY Hypertension-2, portati a termine nel 2011 e nel 2012: un gruppo di pazienti con ipertensione arteriosa resistente a tutte le terapie veniva trattato con la denervazione delle arterie renali mediante l’ablazione con radio-frequenze delle terminazioni nervose del sistema simpatico, isolando di conseguenza le strutture renali dall’anomala stimolazione di tale sistema. Poiché la procedura è invasiva, non è scevra da rischi e, soprattutto, non è reversibile, è ovvio che siano richieste alcune premesse. Primo: si deve trattare di una ipertensione realmente resistente e non di una pseudoresistenza (assenza di uno stile di vita virtuoso, assunzione di farmaci antiipertensivi Dr. Armando De Berardinis 13 CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013 Foto 1: angiografia dell'arteria renale. Foto 2: inserimento dell'elettrocatetere nell'arteria renale. Foto 3: la punta dell'elettrocatetere viene messa a contatto della parete arteriosa e vengono erogate RF. 14 in modo inadeguato o insufficiente, assunzione di farmaci o alimenti che inducono ipertensione, presenza di cause ormonali). Secondo: possono essere trattati solo quei pazienti che potrebbero realmente trarne un beneficio. Infatti, l’ipertensione arteriosa è una patologia complessa e multifattoriale e spesso non è possibile identificare una causa scatenante: talvolta è dovuta a vasocostrizione arteriosa o accumulo di liquidi, talaltra invece a una anomala attività di quel sistema ormonale (il sistema ReninaAngiotensina) che ha la sua sede principale proprio nel rene e nei suoi vasi limitrofi. È proprio in quest’ultimo caso che la procedura potrebbe essere realmente efficace. Terzo: ovviamente, visti i presupposti, vanno trattati solo i casi ad elevato rischio cardio-vascolare e con valori di pressione arteriosa elevata (media di 177/100 negli studi in questione). Dal punto di vista tecnico la procedura si effettua mediante puntura dell’arteria femorale all’inguine con l’inserimento di un elettrocatere che viene spinto all’interno delle arterie renali (destra e sinistra). A questo punto si procede con 4-6 trattamenti locali della durata di 2 minuti ciascuno, lungo tutto il diametro delle arterie, con emissione di radiofrequenze che permettono di “bruciare” le terminazioni nervose. In questo modo i reni vengono funzionalmente esclusi dall’innervazione del sistema nervoso simpatico sia in arrivo che in partenza. Il trattamento assomiglia molto a quello che viene fatto all’interno del cuore per il trattamento della Fibrillazione Atriale e di alcune aritmie complesse. Gli studi clinici hanno dimostrato l’efficacia di questa terapia con una riduzione a 24 mesi dei valori di pressione sistolica di 27 mmHg e diastolica di 17 mmHg a fronte di una bassa percentuale di complicanze (3%). In conclusione la denervazione simpatica delle arterie renali mediante ablazione è uno strumento in più nell’armamentario medico, ma non può essere considerato il trattamento principale dell’ipertensione. Proprio per la sua invasività, i rischi connessi e la limitata esperienza, va limitata solo in quei casi in cui non vi siano altre alternative di fronte ad un rischio di eventi cardio-vascolari molto elevato. Fino a quel momento dovremo faticare per normalizzare i valori della pressione arteriosa con gli strumenti che abbiamo da sempre utilizzato (i farmaci) e con quelli che, pur se banali, non lo sono quasi mai: la dieta e l’attività fisica. Bibliografia: - Krum H et al. Lancet 2009, Apr 11; 373: 1275-81 - Esler MD et al. Lancet 2010, Dec 4 ; 376: 1903-9 - Hypertension 2011 May ; 57 : 911-7 - Volpe M et al. G.Ital,Cardiol. 2012; 13: 846-52 CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013 CARDIOPATIE CONGENITE: DAL CENTRO PEDIATRICO A QUELLO PER L’ADULTO La medicina di transizione, ovvero “quando l'adolescente non sa più dove sta di casa il suo cuore” L’approccio attuale ha enormi limitazioni. Una situazione che riguarda anche la famiglia del paziente. In campo varie figure mediche. Indispensabile la continuità nelle cure di Gabriella Agnoletti* La medicina di transizione è quella branca della medicina che accompagna il paziente bambino e la sua famiglia al luogo e modo di cure offerte dall'ospedale dell'adulto. Sappiamo che il bambino con cardiopatia congenita sopravvive all'età adulta in circa l'85% dei casi. Poiché l'incidenza delle cardiopatie congenite rimane stabile nel tempo (ca 0.8/100 nati vivi), il numero di pazienti con cardiopatie congenite aumenta. Il bambino con cardiopatia congenita che ha bisogno di trattamento percutaneo o chirurgico è in genere seguito presso un centro di riferimento sino all'età dell'adolescenza. Il limite di legge per cui un paziente cardiopatico può accedere ad un centro pediatrico è tuttora 18 anni, ma questo limite di età si sta progressivamente abbassando sino a 16 o 14 anni. Sino a poco tempo fa il paziente giunto a 16 anni non veniva più valutato nel centro pediatrico ed i cardiologi “congenitalisti” chiedevano al paziente e alla famiglia di rivolgersi in futuro al centro dell'adulto o sul territorio. Questo approccio ha enormi limitazioni: 1)sono ben poche le cardiopatie congenite che guariscono dopo trattamento e non hanno più bisogno di controlli periodici 2)il paziente adulto con cardiopatia congenita corretta può sviluppare in età adulta problemi cardiaci tipici di quella cardiopatia 3)sul territorio e nell'ospedale dell'adulto le competenze relative alle cardiopatie congenite sono scarse Servono quindi centri dell'adulto con unità dedicata alla cura del paziente adulto portatore di cardiopatia congenita. In realtà, anche se guardiamo ad un contesto di cure ideale, quale può essere quello canadese, il trasferimento del paziente dall'ospedale pediatrico a quello dell'adulto non è per nulla ideale e avviene solo nella metà dei casi. Consideriamo che in Canada esiste non solo un registro per il paziente con cardiopatia congenita, ma anche una rete ospedaliera che tratta il paziente con cardiopatia congenita dall'epoca prenatale sino all'età adulta. Perché allora la transizione non avviene? Cerco di spiegare con due storie quanto complesso e delicato possa essere il trasferimento del paziente da un centro all'altro. Gigi è un ragazzo di 22 anni nato con una cardiopatia congenita che ha necessitato di 2 interventi chirurgici. L'ultima volta che l'avevo visto, 4 anni prima, era venuto con la mamma. Era gravemente iperteso, Dott.ssa Gabriella Agnoletti *Responsabile servizio di Cardiologia Pediatrica, Città della Salute e della Scienza 15 CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013 gli avevo prescritto una terapia ed un cateterismo cardiaco per migliorare il risultato chirurgico, evitando una nuova chirurgia. Lo rivedo in ambulatorio, non accompagnato. Gli chiedo come mai non si è più fatto vedere e mi confessa di aver avuto paura di un nuovo gesto invasivo. Gli chiedo se prende i farmaci e dice che li prende, ma solo quando si ricorda. Gli spiego che è cresciuto, che la sua salute dipende dalla cura che avrà di se stesso, che l'ipertensione arteriosa è una malattia grave, se non curata. Gli propongo una risonanza magnetica per valutare il ri- sultato chirurgico. Lui promette che eseguirà un holter pressorio, assumerà i farmaci, farà la risonanza magnetica e che ci vedremo d'ora in poi regolarmente. Chissà…? Angelo ha 25 anni e un cuore riparato chirurgicamente che però non funziona bene. È gravemente sovrappeso. Ogni volta che lo vedo gli spiego che l'obesità fa male al cuore, che deve fare una vita sana, un'attività fisica regolare e cercare di star contento. Lui parla a monosillabi, mentre la mamma è un fiume incontenibile. Sei mesi dopo il ragaz- Il commento UNA SFIDA AD ALTA PROFESSIONALITÀ Un mondo nuovo tutto da sviluppare con amore e scienza Dott. Maurizio D'Amico, Responsabile Laboratorio Emodinamica Cardiologia 2 A.O. Città della Salute e della Scienza di Torino 16 Mi fa una certa impressione commentare l’articolo di Gabriella Agnoletti, da ogni riga emerge l’amore per la sua professione ed i piccoli che ha in cura “singolarmente”. Da qualche tempo collaboriamo nel trattamento di ex bimbi affetti da cardiopatie congenite cresciuti e trasformatisi in adulti più o meno giovani spesso in discreta salute ma non del tutto guariti e bisognosi di ulteriori trattamenti diagnostici o interventistici in emodinamica. È un mondo nuovo in cui le competenze del cardiologo interventistico pediatrico si devono fondere con le competenze di chi, come me, ha sempre trattato soggetti adulti. Come ha ben definito Gabriella nel suo articolo, non è solo un problema tecnico e culturale ma si tratta di costruire un rapporto con intere famiglie che hanno cambiato “casa” e che almeno inizialmente possono sentirsi un po’ sperse ed abbandonate. Il poter lavorare insieme a chi le ha seguite negli anni precedenti risolve in gran parte questo problema. Il numero di questi pazienti, almeno per un bel po’ di anni, è destinato ad aumentare grazie proprio al miglioramento delle tecniche chirurgiche ed interventistiche per il trattamento delle cardiopatie congenite nell’età infantile. Quando si affronta il trattamento dei GUCH l’interdisciplinarietà è essenziale. Un grande Ospedale come la Città della Salute e della Scienza sembra essere stato disegnato per affrontare questo tipo di sfida. La presenza nella nostra struttura di tutte le strumentazioni necessarie alla diagnosi ed al trattamento di queste patologie e la presenza di professionalità multiple che possono fonde- CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013 zo ritorna, ha perso 30 Kg. Il calo ponderale non è stato sostituito da un aumento della massa muscolare e ci sono su tutto il corpo larghe smagliature. I tatuaggi sono aumentati in modo vistoso. Chiedo: Angelo, cosa è successo?, ma è la mamma a rispondere che ha praticamente smesso di mangiare. Dico “bravo Angelo, sei un bel ragazzo, trova una fidanzata, ma smetti di dimagrire adesso e vieni la prossima volta con la tua ragazza, non con la mamma...” Chissà…? Ci sono aspetti fondamentali che differen- ziano la malattia del bambino da quella dell'adulto. La patologia pediatrica è una malattia della famiglia, in cui è l'intera famiglia ad essere “affetta” da un problema congenito. Il bambino, non si occupa di sè stesso ed in genere soffre meno dell'adulto di una malattia poco invalidante. La patologia dell'adulto è una malattia della persona, in cui è la persona stessa ad occuparsi della propria salute e soffre del fatto che la storia passata e presente lo penalizzi dal punto di vista lavorativo, assicurativo, sociale. di Maurizio D'Amico re un gran numero di competenze in ambito clinico, interventistico e chirurgico, rende possibile la costruzione di un sistema complesso che in ambito industriale potremmo definire come un “distretto”, in grado di rispondere alle molteplici problematiche poste dalla necessità di trattare questa patologia. Anche per questi pazienti è essenziale la realizzazione del progetto di ammodernamento tecnologico, attualmente in fase di realizzazione nel nostro Ospedale grazie al contributo della Fondazione San Paolo. Le nuove tecniche di “imaging” e le nuove ap- parecchiature radiologiche, sia in ambito diagnostico sia in quello interventistico, rendono possibile l’esecuzione di procedure assai complesse con una qualità di immagine assai elevata e al contempo una grande riduzione di radiazioni e mezzo di contrasto somministrati. In un momento di grande preoccupazione per la tenuta dell’insieme del nostro sistema sanitario, affrontare nuove sfide con spirito di collaborazione tra diverse strutture rappresenta per tutti noi un motivo di speranza e di forza nel guardare al futuro. 17 CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013 Il paziente congenito adulto resta spesso dipendente dalla famiglia, che è da una parte iperprotettiva, dall'altra permissiva. La stessa famiglia ed il paziente possono sentirsi a casa propria ed accuditi nel centro pediatrico, ma persi e seguiti in modo inadeguato nel centro dell'adulto. È come se nè la famiglia, nè il paziente, volessero veramente crescere e guarire… La medicina di transizione è l'insieme delle cure che accompagnano il paziente e la sua famiglia in questo processo di crescita. È un processo complesso, non sempre breve, sempre delicato, che deve favorire l'autostima del paziente, la crescita psicologica, l'autonomizzazione, l'educazione, la conoscenza. Come altre specialità la medicina di transizione è una branca multispecialistica che vede coinvolte varie figure mediche e non mediche quali lo psicologo, il sessuologo, il genetista, il dentista, il medico sportivo, il counselor… Parlare con il paziente e la famiglia è fondamentale, queste cose non possono essere fatte di fretta, richiedono tempo e purtroppo sappiamo che in questa nostra sanità di tempo per il paziente ce n'è sempre meno. La medicina di transizione non può prescindere dalla mobilità fisica delle figure professionali che hanno seguito il paziente nell'infanzia. Se il paziente ritrova nell'ambulatorio dell'adulto almeno alcune delle figure professionali che lo hanno seguito sin da piccolo non si sentirà perso, nè “imbrogliato..” La medicina di transizione non può prescindere dal concetto di continuità di cure. La stessa cura e cultura che è stata impiegata per il paziente pediatrico deve essere trasferita al paziente adolescente e adulto. Il punto cruciale perché la transizione si compia correttamente è che il paziente sappia in qualunque momento quali sono il centro ed i medici di riferimento e che, contemporaneamente, sia autonomo nella gestione della quotidianità e conosca i campanelli d'allarme che devono fargli capire che qualcosa non funziona. 18 Termino con un'ultima storia. Sara è una giovane donna. Ha una cardiopatia corretta in modo fisiologico, cioè il sangue venoso ed arterioso sono separati, ma i ventricoli sono invertiti. È attiva, intelligente, autonoma, tanto autonoma che ha smesso da tempo di fare le visite di controllo. Le piace lavorare. Continua a farlo anche quando sente che inizia a stancarsi, anche quando le manca proprio fiato, sino a quando non ce la fa più e va in pronto soccorso. Da tempo aveva un disturbo del ritmo cardiaco. Ha ormai liquido nei polmoni ed il cuore funziona male. Viene curata, ma l'aritmia ha affaticato il cuore e le viene proposto un trapianto... Arriva con la mamma, nel panico completo. Parliamo a lungo. Poi piano piano le cose vanno meglio. Sara prende le medicine, viene ai controlli regolarmente e volentieri. Viene ora senza mamma, con il suo compagno. Ha ripreso a lavorare da tempo. Ormai da vari mesi attende un maschietto. Chissà come lo chiamerà… CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013 UNO SFORZO ORGANIZZATIVO CHE PARTE DA LONTANO Ecco la rete per l’infarto nella regione Piemonte Il sistema ha una valenza omogenea su tutta la regione. Computer, ambulanze, elicotteri , centri operativi. Il percorso dal 118 all’intervento agli specialisti di emodinamica di Tullio Usmiani La riduzione della mortalità per infarto miocardico acuto è un costante obiettivo dei cardiologi attraverso studi, attività delle società scientifiche e della pianificazione di strategie. Con l’esecuzione dell’angioplastica primaria per riaprire la coronaria responsabile dell’infarto si è ottenuto un miglioramento della sopravvivenza rispetto al trattamento con la trombolisi. L’attuale impegno è quindi quello di poter offrire a tutte le persone colpite da infarto la possibilità di eseguire un’angioplastica, o meglio ancora, la possibilità di avere una riperfusione dell’arteria occlusa nel più rapido e miglior modo possibile. Questo impegno consiste in uno sforzo organizzativo di trattamento del paziente prima del suo arrivo in ospedale; cioè l’organizzazione dell’assistenza ad iniziare da quando il paziente contatta il Servizio 118 per la presenza di un dolore sospetto per l’infarto. Questo tipo di organizzazione è presente in molte realtà italiane, un po’ a macchia di leopardo nelle varie città o province, in alcune realtà come il Veneto da anni in altre da poco tempo. Il nome di un’organizzazione di questo tipo è “RETE PER L’INFARTO”. La costituzione di una rete per l’infarto in un territorio è stata anche vivamente caldeggiata delle ultime linee guida della Società Europea di Cardiologia (E.S.C. – European Society of Cardiology) quale metodo per un’ulteriore riduzione della mortalità. (Figg 1-2) Nella Città di Torino vi era stata un’esperienza “pilota” di trattamento dell’urgenza nel cardiopatico in genere e dell’infarto miocardico in particolare, con trattamento a domicilio già 20 anni or sono; si trattava di un’esperienza spontanea della cardiologia ospedaliera delle Molinette, tra le prime in Italia all’epoca, costituita da una sola ambulanza molto attrezzata (familiarmente chiamata Unità Coronarica Mobile o più propriamente S.E.C.T. – Servizio Emergenza Cuore Torino gestita dalla Croce Verde –Torino) e da personale idoneo per le emergenze costituito da un cardiologo oppure un anestesista ed un infermiere professionale addestrato al BLS e ACLS dipendenti dei maggiori ospedali di Torino. L’attività di questo servizio si svolse tra il 1993 ed il 1997; durante i 5 anni di attività vennero eseguite molte trombolisi per infarto miocardico a domicilio del paziente con successivo trasporto presso una UTIC con disponibilità nota di posto letto, rianimazioni per arresto cardiaco e/o fibrillazione ventricolare con successo e vite salvate sia dott. Tullio Usmiani Responsabile UTIC Cardiologia 2 STEMI= infarto miocardico con sopraslivellamento del tratto ST FMC = First Medical Contact ; primo contatto con personale sanitario Primary PCI= angioplastica primaria Rescue PCI = angioplastica di salvataggio dopo fallimento della trombolisi. Fig 1 : le novità nelle linee guida 2012 rispetto all’edizione precedente Fig 2: algoritmo di comportamento per trattamento ottimale dell’infarto 19 CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013 a domicilio sia in luogo pubblico. Successivamente al 1997 il servizio venne assorbito dal 118 che, per mancanza di personale qualificato allora, interruppe l’attività dell’ Unità Coronarica Mobile. Il trattamento preospedaliero dell’infarto venne ripreso solo molti anni dopo e, dopo un lungo periodo di progettazione, nel gennaio del 2011 divenne operativa la Rete della Regione Piemonte per il Trattamento dell’Infarto Miocardico con ST Sopraslivellato. La progettazione è stata lunga, anni di lavoro di numerosi cardiologi, personale dell’Assessorato alla Sanità della Regione Piemonte, responsabili del Servizio 118, personale di C.S.I. Piemonte anche perché è stato realizzato un progetto sull’intera Regione con il coinvolgimento di tutti gli ospedali e del 118 di tutti i quadranti ed è stato creato un software che gestisce tutti i processi e ne registra gli eventi. La rete, nata con DGR regionale è stata denominata rete FAST-STEMI PIEMONTE. La caratteristica principale che contraddistingue la rete piemontese da quelle di altre zone d’Italia è quella di avere una valenza omogenea su tutto il territorio della Regione senza frammentazioni cittadine, provinciali e per macroaree, come raccomandato dalle Linee Guida Europee. Lo schema operativo, il percorso diagnostico e i protocolli terapeutici sono i medesimi su tutto il territorio del Piemonte. L’obiettivo della Rete FAST-STEMI Piemonte è garantire uniformemente a tutta la popolazione regionale la più idonea strategia di riperfusione (angioplastica primaria o trombolisi preospedaliera) indipendentemente dal luogo ove si verifichi l’evento (Fig. 3). Infatti l’algoritmo decisionale che porta ad eseguire la trombolisi preospedaliera o il trasporto diretto verso un laboratorio di emodinamica per l’esecuzione di angioplastica considera sia la gravità del quadro clinico di presentazione, sia il tempo di insorgenza tra i sintomi e il contatto medico sia la logistica del trasporto del malato al laboratorio di emodinamica più vicino o disponibile in quel momento come criteri per gli schemi decisionali. Per quanto riguarda la logistica del trasporto, effettuato sia con ambulanze sia con elicotteri, bisogna considerare che il territorio della regione è costituito da aree metropolitane, da pianura e da zone montane con ampia differenza di tempi di percorrenza anche in ragione delle condizioni atmosferiche, talora molto critiche nei periodi autunnale e invernale. Alla base del progetto c’è il principio dell’esecuzione dell’elettrocardiogramma (ECG) a domicilio del paziente eseguito da un equipaggio del 118, e della sua trasmissione, unitamente ad una scheda con i dati clinici, all’UTIC di competenza territoriale per la conferma diagnostica. (Fig 4) Il cardiologo che vede su un computer dedicato l’ECG e la scheda con le informazioni sul paziente fornisce una risposta all’equipaggio del 118 via relativa Centrale Operativa e viene identificato il percorso terapeutico più idoneo per il paziente in questione tra scelte di trattamento e tipi di ricovero ospedaliero predeterminati. Il sistema per eseguire e trasmettere l’ECG è installato in ambulanza o in elicottero, permette di acquisire l’ECG diagnostico, di effettuare la monitorizzazione continua durante il trasporto, di ottenere e monitorare i parametri vitali e di raccogliere con un touchpad una serie di dati clinici in scheda elettronica; consente quindi di trasmettere tutti i dati sopracitati con differenti modalità wireless (GSM, GPRS, PSTN, Satellitare) alla Centrale Operativa (C.O.) del 118 e di qui alla UTIC. La dotazione nella Regione è di 72 sistemi di trasmissione sui Mezzi di Soccorso Avanzato e di 4 sugli Elicotteri, 4 stazioni di ricevimento nelle rispettive 4 Centrali Operative del 118 nella Regione e di 30 computer dedicati nelle 30 nelle UTIC degli ospedali piemontesi. (Fig 5) Fig 3 Il numero delle UTIC nella Regione Piemonte suddivise per quadrante e tipologia Fig 4 schema semplificato del funzionamento della rete L’Attività della Rete prima dell'ospedale 1)L’attività di rete incomincia con l’esecuzione dell’ECG al domicilio del paziente e con l’invio dello stesso alla CO, unitamente ai dati clinici. 2) In CO il personale di centrale esegue una prima attività di filtro sull'elettrocardiogramma, cercando di identificare i tracciati "veri STEMI". Una volta identificati i tracciati STEMI, il personale della CO “gira” i dati all’UTIC di competenza territoriale sia essa hub o spoke. 3)Il computer dedicato nell’UTIC si attiva con un Hub = ospedale dotato di emodinamica operante h24 Spoke = ospedale non dotato di emodinamica e che deve trasferire i pazienti per esecuzione di coronarografia 20 CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013 duplice allarme, uno acustico e l’altro visivo sul display. Il medico UTIC, in un tempo di 5 minuti, visiona ECG e dati clinici e invia, in risposta alla CO, il referto dell’ECG e il percorso clinico terapeutico da adottare secondo 4 modalità predefinite: a) paziente con STEMI da trasportare ad una Cardiologia Hub (cioè dotata di laboratorio di emodinamica) per eseguire l’angioplastica b) paziente con STEMI da sottoporre a trombolisi preospedaliera e da trasportare comunque ad una Cardiologia Hub c) paziente con quadro cardiologico diverso dall’infarto, cioè affetto da angina instabile o infarto miocardico senza sopraslivellamento del tratto ST (UA/NSTEMI) o altra patologia non meglio definita, da trasportare nel DEA della struttura con UTIC di competenza territoriale qualunque essa sia (Hub o Spoke), non avendo criteri per essere sottoposto a coronarografia in emergenza d) paziente da trasportare al Dipartimento di Emergenza e Accettazione (DEA) di una UTIC con supporto di Cardiochirurgia. 4) La CO a sua volta, girerà il responso all’equipaggio del 118 che porterà il paziente nel luogo più idoneo al suo trattamento (e non come fino a poco tempo fa all’ospedale più vicino), come indicato dal cardiologo dell’UTIC e inizierà in itinere la terapia da protocollo per quel caso specifico e, nei casi previsti dall’algoritmo, eseguirà la trombolisi preospedaliera. 5)Contemporaneamente il cardiologo dell’UTIC, con la finalità di ottimizzare il percorso intraospedaliero, allerta il personale del laboratorio di emodinamica sia che esso sia già presente in ospedale, lasciando la sala a disposizione del paziente infartuato, sia chiamando il gruppo in reperibilità nelle ore notturne o nei giorni festivi prima ancora che il paziente giunga in ospedale. Il percorso intraospedaliero Il protocollo della rete prevede il trasporto del paziente direttamente al laboratorio di emodinamica da parte dell'equipaggio del 118, evitando la sosta in Pronto Soccorso. Se il laboratorio di emodinamica non è recettivo al momento dell’arrivo del paziente (sala occupata per altro caso oppure il personale chiamato in reperibilità non ha completato l’allestimento della sala) il paziente sosterà in osservazione in Pronto Soccorso o verrà ricoverato nella UTIC. Nella situazione ottimale, il percorso si conclude con l’arrivo del paziente in emodinamica con il cambio di competenza dall’equipaggio del 118 al cardiologo emodinamista. L'emodinamista insieme al cardiologo di guardia, verifica la diagnosi di STEMI e decide di eseguire in urgenza la coronarografia e l'eventuale angioplastica. Tutti gli eventi collegati agli atti della rete vengono registrati, archiviati e poi analizzati per verificare il corretto funzionamento e per poter mettere a punto correzioni a difetti o migliorare ulteriormente il ser- vizio. La monitorizzazione degli eventi collegati allo STEMI è di tipo continuo, dalla casa del paziente alla dimissione dall’ospedale. Per la valutazione del corretto funzionamento della rete sono stai individuati dei parametri di efficienza e di efficacia. Fig 5 Schema di invio bidirezionale di ECG e informazioni cliniche tra equipaggio 118 e UTIC Indicatori di efficienza: 1)l’aumento della percentuale di pazienti che arrivano in ospedale con diagnosi di STEMI con trasporto da parte del 118 (dal 2007 stabile nella percentuale del 50%), 2)l’uso routinario della trasmissione dell’ECG preospedaliero in caso di sospetto STEMI, 3)l’aumento della sensibilità e specificità diagnostica nella lettura dell’ECG dello STEMI da parte degli equipaggi del 118 (attualmente tra il 25 e il 50% da valutazione condotta nel territorio regionale nei primi mesi del 2012), 4) la riduzione dei tempi di trasporto preospedalieri e intraospedalieri. Indicatori di efficacia: 1)l’aumento e il mantenimento della percentuale di riperfusioni in tempi e modalità coerenti con l’algoritmo della rete e l’obbiettivo di raggiungimento della riperfusione in almeno il 70% dei pazienti con STEMI, 2)la riduzione, conseguentemente, della percentuale di non riperfusi, 3)l’aumento percentuale dei trasporti dei pazienti con sospetto STEMI direttamente presso Centri Hub per l’esecuzione dell’angioplastica con l’ipotesi di ottenere il miglioramento degli outcomes intraospedalieri e a distanza. L’inizio dell’attività della rete è stato progressivo, con diverse velocità nelle varie zone della Regione; è una realtà in evoluzione con un gruppo di medici, cardiologi ospedalieri e del 118, di infermieri e di tecnici che formano un gruppo di governance del sistema. Sono già state fatte delle analisi di efficienza ed efficacia con la rilevazione di una tendenza al miglioramento della funzionalità del sistema anche se non ancora operante con l’estensione e l’efficacia programmate. Soprattutto, come fatto da migliorare, dai dati di accesso dei pazienti in ospedale per infarto si rileva inoltre che sempre il 50% circa di essi si reca in Pronto Soccorso con mezzi propri senza contattare il 118. Per migliorare tale percentuale e far utilizzare alla cittadinanza la rete in caso di necessità è però necessario informare maggiormente la popolazione e gli operatori nel campo della salute con campagne informative. 21 CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013 DIAMO UNA SCOSSA AL CUORE: LA TECNOLOGIA DELL’ELETTROSTIMOLAZIONE È SEMPRE PIÙ EFFICACE La scatoletta che salva la vita Il defibrillatore è un apparecchio sofisticato che serve a trattare le aritmie ventricolari severe. In caso di intervento del dispositivo non allarmarsi: ha compiuto la sua funzione. Necessari periodici controlli di Carlo Budano Dott. Carlo Budano, responsabile sala di elettrostimolazione Cardiologia 2 22 Negli ultimi anni la tecnologia e le applicazioni della stimolazione cardiaca si sono evolute con estrema rapidità. I metodi utilizzati sono sempre più promettenti, ma non per questo meno complessi. La morte cardiaca improvvisa (MCI) è una delle principali cause di decesso in tutti i paesi industrializzati. L’indice di sopravvivenza agli eventi in Europa occidentale è inferiore al 5%. La morte è generalmente preceduta da perdita improvvisa della conoscenza che avviene entro 1 ora dall’inizio dei sintomi. La categoria più a rischio è costituita da coloro che hanno già subito un infarto miocardico o che presentano una importante dilatazione delle cavità cardiache (cardiomiopatia dilatativa). Talora si verificano dei ritmi cardiaci anormali, estremamente rapidi, chiamati tachiaritmie. I segnali elettrici che in questi casi originano dai ventricoli invece che dal pacemaker naturale, il nodo seno atriale, determinano un tipo di aritmia definita tachicardia ventricolare (TV), accompagnata da una forte accelerazione del battito cardiaco. Tale accelerazione provoca una riduzione della capacità di pompa cardiaca, in quanto il muscolo del cuore non ha tempo sufficiente per riempirsi di sangue; se questa condizione persiste si possono avere deficit di ossigenazione a livello del cervello spesso accompagnati da svenimenti, malori, vertigini, visione alterata sino alla perdita di coscienza e all'arresto cardiaco. Un altro tipo di aritmia è la fibrillazione ventricolare (FV). In questo caso il battito cardiaco è estremamente accelerato, sino a 300 b/min, valore a cui le contrazioni del cuore divengono addirittura inefficaci (le camere cardiache invece di contrarsi "vibrano"). Sia la TV che ha causato perdita di conoscenza che la FV se non interrotte in brevissimo tempo determinano danni irreversibili ai tessuti cerebrali e morte. Le tachiaritmie ventricolari si possono verificare in individui di tutte le età, più frequentemente in soggetti cardiopatici, ma anche in soggetti apparentemente sani. Talora la TV può trasformarsi in FV. La morte improvvisa dovuta ad arresto cardiaco colpisce circa 1 persona ogni 1000 abitanti per anno. Nei casi di aritmie ventricolari maligne non passibili di ablazione, pregresso arresto cardiocircolatorio o pazienti ad alto rischio di morte improvvisa, si procede ad impianto di defibrillatore cardiaco. Per quanto riguarda i pazienti affetti da scompenso cardiaco refrattario alla terapia medica, sono disponibili Pacemaker e Defibrillatori AtrioBiventricolari che permettono la resincronizzazione cardiaca con il miglioramento della funzione del ventricolo sinistro nelle cardiomiopatie dilatative. In corso di scompenso cardiaco, infatti, le diverse parti del ventricolo sinistro, eccessivamente dilatato, hanno perso la capacità di contrarsi in modo sincrono. Per questo il cuore non è più in grado di assicurare all'organismo una quantità di sangue sufficiente alle sue necessità. La gestione dei pazienti portatori di pacemaker e defibrillatori cardiaci richiede la giusta attenzione con continui follow-up e visite di controllo. Cos’è il defibrillatore? Il Defibrillatore automatico impiantabile (detto anche ICD nell’acronimo inglese: Implantable Cardioverter Defibrillator) è un apparecchio molto sofisticato che serve a trattare le aritmie ventricolari severe. È un’invenzione relativamente recente utilizza- CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013 ta nella pratica clinica dalla seconda metà degli anni '80. Il defibrillatore è un piccolo dispositivo elettronico che registra costantemente tutti i battiti del cuore e interviene quando rileva un’aritmia grave. In base alle impostazioni programmate dal cardiologo, al bisogno il dispositivo eroga una o più terapie elettriche eseguendo una stimolazione oppure una scarica elettrica (detta anche DC Shock) proprio come i normali defibrillatori esterni presenti negli Ospedali (come probabilmente tutti hanno visto in televisione nelle serie di ambiente medico). La scarica elettrica è in grado di interrompere anche la più grave aritmia cardiaca (la Fibrillazione Ventricolare) e quindi può salvare la vita al paziente. Il dispositivo è anche in grado di stimolare il cuore quando questo non è in grado di farlo spontaneamente, proprio come un normale pacemaker. L’ICD è indicato nei pazienti con aritmie maligne e serve a prevenire la morte improvvisa. I pazienti candidati a impiantare un tale dispositivo sono coloro che: •Hanno presentato un’aritmia ventricolare o un arresto cardiaco. •Pazienti affetti da cardiopatia ischemica, con bassa frazione di eiezione e presenza di scompenso cardiaco che presentano alto rischio di tachiaritmie ventricolari. •Pazienti che presentano, per le loro caratteristiche e la loro patologia, un elevato rischio di poter avere un’aritmia ventricolare o un arresto cardiaco. Alla presenza di un’aritmia il dispositivo può intervenire con varie modalità programmate dal medico a seconda delle necessità del paziente. L’impianto di un ICD è esattamente come quello di un normale pacemaker. L’unica differenza è che alla fine dell’impianto il paziente potrebbe essere addormentato per qualche minuto per provare se il dispositivo funziona correttamente: in tal caso si procede con l’induzione dell’aritmia e si valuta se l’ICD è in grado di riconoscerla e interromperla. Come il paziente portatore di Pacemaker anche il paziente portatore di ICD deve essere sottoposto a periodici controlli per verificare il corretto funzionamento del dispositivo e il livello di carica delle batterie. Il medico stabilirà le modalità ed il calendario dei controlli in base alle necessità. In caso d’intervento del dispositivo non è necessario che il paziente si allarmi: con ogni probabilità l’ICD è intervenuto per interrompere una aritmia ed ha salvato la vita al paziente stes- so. Se si è trattato di 1 o 2 interventi in breve successione ed il paziente non presenta sintomi particolari, è opportuno che contatti il Centro presso cui è seguito ed esegua un controllo entro 48 ore; il dispositivo fornirà al medico le informazioni relative all’intervento stesso, permettendo di verificarne l’adeguatezza ed il corretto funzionamento. Se occorrono eventi ripetuti e il paziente avverte sintomi importanti è opportuno che il dispositivo venga controllato presso il più vicino Ospedale, in quanto potrebbe essere cambiata la situazione della malattia cardiaca stessa e il defibrillatore non essere in grado di interrompere in modo appropriato la serie di eventi aritmici che si stanno verificando. Il portatore di ICD è fornito dal centro d’impianto della documentazione che riguarda il suo dispositivo e di come è stato programmato; tali documenti devono essere sempre portati con sé, in modo che qualsiasi medico sia in grado di conoscere il modello, interpretarne il funzionamento ed intervenire su questo a seconda delle esigenze del momento. Quando la carica della batteria (controllata periodicamente) raggiungerà un determinato livello, il medico stabilirà la sostituzione dell’ICD con un nuovo dispositivo. Tale intervento è più semplice dell’impianto poiché si utilizzano i cateteri in precedenza impiantati; è pertanto necessario semplicemente aprire la tasca di alloggiamento del dispositivo, sconnettere il generatore e sostituirlo con uno nuovo. La stimolazione cardiaca nello scompenso È un nuovo campo di utilizzazione dei Pacemaker. La possibilità di stimolare contemporaneamente i due ventricoli, destro e sinistro, può migliorare in molti casi la capacità di pompare il sangue e quindi ridurre i sintomi dello scompenso cardiaco. Per ottenere questo deve essere impiantato un elettrocatetere in più, posizionato in modo da stimolare il ventricolo sinistro (vedi figura). Tale nuova terapia, detta Stimolazione Bi-ventricolare o Terapia di Resincronizzazione cardiaca (molto più semplice da ricordare come CRT: dall’inglese Cardiac Resincronization Therapy), è indicata in pazienti selezionati affetti da scompenso, indipendentemente 23 CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013 dalla presenza di un disturbo del ritmo che rallenti la frequenza del cuore. La resincronizzazione è un processo con cui si cerca di spingere il ventricolo sinistro a ricominciare a contrarsi in maniera sincrona, coordinata ed efficace. In un pacemaker convenzionale, quando si parla di stimolazione ventricolare, si fa riferimento a quella del solo ventricolo destro. La CRT, invece, prevede la stimolazione di entrambi i ventricoli. Ciò determina un ripristino o almeno un miglioramento della sincronia di contrazione dei due ventricoli, aumentando la quantità di sangue che viene pompata nell’organismo ad ogni battito. In corso di scompenso cardiaco (chiamato anche Scompenso Cardiaco Congestizio o Insufficienza Cardiaca), infatti, le diverse parti del ventricolo sinistro, eccessivamente dilatato, hanno perso questa capacità. COME SI IMPIANTA UN PACEMAKER BIVENTRICOLARE O UN ICD? • La procedura d’impianto di ICD o di un pacemaker biventricolare è molto simile a quella impiegata per un normale pacemaker. Anche in questo caso l'intervento è condotto in anestesia locale e il sistema è generalmente impiantato sotto la clavicola. Nella maggior parte dei casi gli elettrocateteri sono posizionati nella camera cardiaca facendoli passare attraverso una vena. • La procedura è monitorata attraverso Raggi X. • Dopo l'operazione la degenza ospedaliera è breve. • Prima della dimissione è possibile che venga nuovamente testato l'ICD. PRECAUZIONI DOPO L’IMPIANTO • Nei giorni dopo l’impianto è necessario evitare movimenti bruschi della spalla interessata in modo da non interferire con il processo di cicatrizzazione. • Talvolta è possibile percepire un lieve dolore sulla ferita: questi dolori in genere svaniscono in breve tempo. • Le persone possono tornare gradual- 24 Il pacemaker bi-ventricolare è un apparecchio delle dimensioni all’incirca di una scatola di fiammiferi, impiantato in anestesia locale, in genere in sede sotto claveare sinistra. È collegato a tre elettrocateteri, che, introdotti lungo una vena (in genere la vena succlavia o la vena cefalica), raggiungono il cuore, dove portano lo stimolo elettrico generato dal pacemaker stesso rispettivamente nell’atrio destro, all’apice del ventricolo destro e nel seno coronarico: quest’ultimo determina la stimolazione del ventricolo sinistro. Talvolta il cardiologo può decidere di impiantare anche un defibrillatore in grado di trattare le aritmie pericolose per la vita (tachicardia e fibrillazione ventricolare). Nel caso in cui sia impiantato un defibrillatore bi-ventricolare, l’elettrocatetere destinato al ventricolo destro è strutturato in modo da riconoscere e interrompere anche le aritmie ventricolari maligne, causa di arresto cardiaco e morte improvvisa. mente alle proprie abituali attività. • Talora possono essere applicate delle restrizioni alla guida di autoveicoli: pochi secondi di incoscienza durante attività come la guida potrebbero essere pericolosi per se stessi e per gli altri. Il medico discuterà con il paziente ogni eventuale restrizione. • Come per il pacemaker anche il defibrillatore cardiaco è protetto dalle interferenze elettriche prodotte dagli elettrodomestici. Alcuni apparecchi elettrici tuttavia possono interferire con il dispositivo (saldatrici ad arco, apparecchi contenenti potenti magneti, bacchette magnetiche utilizzate dalla sicurezza aeroportuale, dispositivi che rilasciano elettricità nel corpo) e provocare scariche inappropriate. La regola generale per i pazienti portatori di ICD è quella di mantenere una distanza di almeno 30 cm tra l'ICD e i dispositivi che possono generare una elevata interferenza. La stragrande maggioranza degli apparecchi elettrici con i quali si entra normalmente in contatto non comportano alcun problema. La maggior parte degli elettrodomestici e dei dispositivi quali PC, fax, stampanti sono sicuri e non influenzano il funzionamento dell'ICD. • Per i telefoni cellulari: mantenere una distanza di almeno 15 cm tra telefono cellulare e ICD, tenere l'apparecchio sul lato opposto del corpo rispetto allo stimolatore. • Seguire particolari precauzioni per le seguenti procedure: - diatermia (riscaldamento cutaneo con strumenti che producono onde corte o micro-onde); - elettrocauterizzazione: dovrebbe essere utilizzata a sistema ICD spento; - risonanza magnetica nucleare, i magneti potrebbero danneggiare il dispositivo. CONSIGLI PER IL PAZIENTE SOTTOPOSTO AD IMPIANTO DI PACEMAKER O DEFIBRILLATORE • Portare con sé regolarmente la lista delle medicine prescritte dal medico. • Presentarsi regolarmente agli appuntamenti di controllo del pacemaker o ICD. • Portare con sé il cartellino di Portatore del Pacemaker/ICD, il posto ideale è nel portafogli o insieme ai documenti d’identità. • Avvertire sempre il medico se la ferita diventa rossa, calda, gonfia, dolente, secerne liquido o in presenza di sintomi quali febbre, capogiri, dolore al torace o debolezza. • Informare tutti i medici ed il dentista di essere portatore di un pacemaker/ICD. CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013 LA STORIA • UNITÀ CORONARICA, 50 ANNI DI PROGRESSI Una poltrona per i pazienti Dai trattamenti pioneristici alla creazione di centri specializzati nella terapia dell’infarto acuto. Nel 1965 la nascita del primo sistema di monitoraggio alle molinette con brusca e rosettani prof. Erennio Rosettani Le U.T.I.C. (Unità di Terapia Intensiva Cardiologica) sono il centro di assistenza ai pazienti cardiopatici con quadri clinici complessi, all’interno di una struttura multifunzionale qual è oggi una vecchia Divisione di Cardiologia. Le sue origini risalgono a più di 50 anni fa, quando con la denominazione di Unità Coronarica era considerata l’avamposto nella cura dell’infarto miocardico. Proviamo a raccontarne la storia. Nell’immediato periodo post-bellico (2a guerra mondiale) sia in Europa che negli Stati Uniti riprendevano gli studi in campo biomedico e clinico, con particolare attenzione al capitolo delle malattie cardio-vascolari. L’IMA (Infarto Miocardico Acuto) continuava ad essere una delle principali cause di mortalità tra la popolazione generale e i soggetti sopravvissuti all’attacco acuto (in genere fatale nel 50% dei casi) venivano ricoverati in medicinale generale, spesso con quadri di funzionalità cardiaca particolarmente compromessa. Le complicazioni aritmiche erano sempre in agguato e, nonostante l’impiego di farmaci specifici già in uso in quel periodo, la morte improvvisa era un evento possibile fino a due-tre settimane dopo il ricovero. Molti pazienti colpiti da infarti con estensione tale da compromettere più del 30/40% della muscolatura cardiaca, presentavano quadri di insufficienza (shock cardiogeno) che si concludevano con una mortalità superiore al 90% dei casi. Non si eseguiva ancora la coronarografia e nell’impossibilità di modificare la causa dell’evento (trombosi coronarica), lo schema di terapia, oltre ai pochi farmaci a disposizione, era complessivamente orientato a un trattamento di supporto della funzione cardiaca, fino alla fase della cicatrizzazione. La mortalità generale tra i soggetti ricoverati dopo un evento acuto era calcolata intorno al 30%. Per aver un’idea delle condizioni in cui operava il personale medico e infermieristico impegnato nell’assistenza, si può ricordare che in quel periodo è stato tentato per la prima volta il massaggio cardiaco, nella rianimazione di pazienti colpiti da aritmie maligne con arresto cardiaco. Una manovra disperata, in attesa dell’effetto dei farmaci infusi a dosi massive, che solo in pochi casi risultavano efficaci. Nei pazienti con un quadro di scompenso cardiaco si era arrivati a tentare di intervenire anche sul tipo di decubito. Con l’intento di aiutare il cuore a recuperare almeno in parte la sua funzionalità, all’inizio degli anni ’50, numerose pubblicazioni riportavano il benefico effetto del tenere i pazienti seduti in poltrona il più a lungo possibile, per far scendere verso i piedi i liquidi del corpo e alleggerirne il lavoro. (Il trattamento in poltrona della trombosi coronarica, Levine S.A.-J.A.M.A., 1952) Si va avanti in queste condizioni fino alla fine degli anni ’50, quando il sommarsi di conoscenze sulla gravità di questo processo morboso spinge a mettere in atto tutti i suggerimenti possibili, pur di contenerne la gravità. In primo luogo vanno ricordate le osservazioni post-mortem nei cuori colpiti da infarto. Se la morte improvvisa poteva essere giustificata nei pazienti con infarti di vaste proporzioni – i quali, se sopravvissuti all’evento acuto, avrebbero in seguito manifestato uno shock cardiogeno fatale – nei casi con minore estensione non poteva essere l’entità del danno ad arrestarne la funzione, ma un conseguente anomalo evento elettrico. Prof. Erennio Rosettani 25 CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013 Nello stesso periodo, dalla collaborazione tra fisiologi, biofisici e medici, si sviluppavano conoscenze sempre più ampie circa l’effetto della corrente elettrica sulla muscolatura cardiaca. Si osservava che con scariche elettriche erogate attraverso il torace potevano essere arrestate aritmie fatali, o con singoli impulsi calibrati mantenere attiva una funzione cardiaca. Erano queste le origini della cardiostimolazione che rappresenta oggi un vasto capitolo delle malattie cardiovascolari. Quindi con l’obiettivo principale di prevenire la morte improvvisa per le complicazioni elettriche dell’infarto acuto di qualunque estensione, all’inizio degli anni ’60, alcuni autori americani (Bernard Lown in particolare) pensarono di organizzare un sistema di monitoraggio continuo e un programma di terapia elettro-farmacologica di questi pazienti, isolandoli dal contesto dei programmi della medicina generale. Si assisteva così alle origini dell’Unità Coronarica U.C. (Coronary Care Unit per gli americani) e con essa a una nuova era nella terapia dell’infarto acuto e delle malattie cardiovascolari. Dopo tre anni circa dalla sua introduzione la mortalità nei pazienti colpiti da infarto miocardico si era ridotta del 15%. 26 Cosa accadeva in Piemonte e a Torino in particolare in quegli anni? L’attività nel campo delle malattie cardiovascolari era prevalentemente dominata dalla Cardiochirurgia, diretta dal Prof. A.M. Dogliotti, e poca attenzione era rivolta agli infarti nella routine della medicina generale. Le segnalazioni che giungevano dagli USA sull’efficacia dell’U.C. stimolavano alla realizzazione di un minimo di monitoraggio nei pazienti, ma numerosi erano gli ostacoli da superare: trovare una sede idonea nell’ambito del reparto di medicina, realizzare uno spazio intorno al letto del paziente per poter operare adeguatamente in condizioni di emergenza, trovare le risorse per l’acquisto delle apparecchiature (monitor, defibrillatore), selezionare personale infermieristico dedicato ed in numero sufficiente per il monitoraggio continuo ecc. e, non ultimo, superare la generale diffidenza verso questa novità, rivoluzionaria per la medicina tradizionale. Dopo una visita presso la Royal Infirmary di Edimburgo, dove era in funzione una delle prime U.C. organizzate in Europa (con due letti monitorizzati e diretta dal Dr. Julian) nell’autunno del 1965, il Prof. A. Brusca ed il Dr. E. Rosettani (aiuto ed assistente volontario della Clinica Medica), ritornarono a Torino con l’intenzione di realizzare almeno un minimo di sistema di monitoraggio. Conquistata una stanza a un letto, con un monitor avuto in prestito dalla ditta Viglia, sistemato nell’ufficio della suora caposala per mancanza di personale dedicato, e un defibrillatore a corrente alternata (tipo Electrodyne), ricevuto in dono dalla banca Ceriana, realizzavano il primo abbozzo di U.C. del Piemonte (1966). Poco soddisfatti dei primi risultati, perseverarono nell’intenzione di realizzare una sede che potesse almeno garantire le minime esigenze del protocollo terapeutico. Dopo qualche mese i letti dedicati diventarono due (in una comune stanza da tre letti – che lotte per eliminarne uno!), con due monitor in comodato d’uso e unteam di personale dedicato, ma non specializzato, costituito da quattro giovani volontarie della Croce Rossa di Torino e qualche allievo della Scuola di Specializzazione in Cardiologia, all’epoca senza obbligo di frequenza, ma attratto dalla novità. La svolta verso il completamento di un vero servizio avviene nei primi mesi del 1967, quando il Prof. P. Foltz, Sovraintendente dell’ospedale Molinette, viene colpito da infarto. Ricoverato in quel tentativo di U.C., prende atto del tipo di assistenza, dell’utilità del servizio e della necessità di potenziare la struttura; il suo successivo diretto intervento, in qualità di responsabile dell’assistenza di tutto il complesso ospedaliero Molinette, permette di ampliare il locale fino alla capienza di quattro posti letto con regolare monitoraggio, centralina di controllo, e cinque infermieri per garantire una sorveglianza continua. Finalmente era stata realizzata una vera U.C., e i risultati dell’attività a pieno regime venivano presentati nella seduta scientifica autunnale dell’Accademia di Medicina di Torino (novembre 1969). Su un numero di 91 pazienti, ricoverati entro i primi tre giorni dall’inizio dell’episodio acuto, la mortalità complessiva risultava essere del 16%, (la metà circa del 30% osservato negli anni precedenti), ottenuta principalmente con la prevenzione e il trattamento delle aritmie fatali, mentre la percentuale di decessi per shock cardiogeno restava purtroppo invariata. Obbiettivo raggiunto! Torino aveva un’Unità Coronarica; la prima in Piemonte, la terza sul territorio nazionale dopo Roma (Ospedale S. Camillo, col Prof. Puddu) e Milano (Ospedale Niguarda, col Prof. Rovelli). CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013 In campo con la nostra Onlus UN INCARICO CHE PREMIA UNA CARRIERA PRESTIGIOSA Cin-Cin per Nuccio Marra Il vice-presidente dalla nostra associazione è diventato Direttore del nuovo Dipartimento Cardiovascolare e Toracico della Città della Salute e della Scienza Per gli Amici del Cuore (e non solo) è una bella notizia: il vice-presidente della nostra Onlus, Sebastiano Marra, è diventato Direttore del nuovo Dipartimento Cardiovascolare e Toracico della Città della Salute e della Scienza. Un incarico delicato che si aggiunge, naturalmente, a quello di responsabile di Cardiologia. «Il lavoro aumenta –ammette il dottor Marra– , ma per me è uno stimolo a operare con sempre maggiore impegno ed entusiasmo». Il Dipartimento è nato nel 1997 sotto guida del prof. Erennio Rosettani, evolvendo nel tempo e ampliando i propri compiti. È un insieme che raggruppa numerose "strutture complesse", quelle che una volta si chiamavano "Divisioni" di medicina, con lo scopo di coordinare la gestione degli acquisti e del personale (medici e operatori infermieristici e non) e di ottimizzare l’uso della strumentazione. L’attività, che agli inizi riguardava le Cardiologie dell’Ospedale Molinette, oggi è punto di riferimento anche per cardiologia vascolare e cardiochirurgia, nonché per cardiologia pediatrica (Regina Margherita) e per quella del CTO. In carico ci sono anche gli interventi d’urgenza presso l’Ospedale Sant’Anna. Ma non solo: il nuovo Dipartimento ha preso in carico pure il settore economico-finanziario, che ha un giro di affari annuo di 45-50 milioni di euro, per una dimensione che ne fa una piccola industria. Come si vede, è una attività di notevole peso: il dottor Marra, che si avvale della preziosa collaborazione di due segretarie (Michela Procopio per la parte economica e Francesca Monterisi per quella amministrativa), è il coordinatore della distribuzione delle risorse disponibili e dei dipendenti. In campo ci sono 130 medici, 350 infermieri e una trentina di amministrativi. Una macchina complessa che permette importanti sinergie e una migliore flessibilità. Il curriculum del dottor Marra – chiamato affettuosamente Nuccio dagli amici – è di valore internazionale sia sul piano scientifico che medico e culturale. Autore di numerose pubblicazioni, membro della American Hearth Association, fondatore della Cardiologia Nucleare per le Molinette, autore di interventi innovativi, organizzatore di convegni e relatore, in questi anni si è distinto non solo per le doti professionali, ma per la sua carica di umanità e per la capacità di varare Sebastianno Marra, Direttore del nuovo Dipartimento Cardiovascolare e Toracico della Città della Salute e della Scienza 27 CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013 sempre nuove iniziative. Lo sanno bene i nostri soci, visto il suo apporto fondamentale alla nascita dell’Associazione Amici del Cuore-Piemonte Onlus e la sua partecipazione alle attività in programma. Astigiano, nato nel 1946, laureato in Medicina e Chirurgia a Torino nel 1974 con 110 e lode, sposato, con una figlia, il dottor Marra è dotato di una energia inesauribile. «I pazienti –ama dire– vanno trattati con rispetto e umanità. Abbiamo compiuto progressi importanti ma non mi stancherò mai di ripetere che la miglior cura è la prevenzione». E adesso? «Vedrò ancora meno la mia famiglia e ridurrò il tempo libero». Che in particolare significa non andar più per mercatini in Italia e all’estero cercando modellini di treni Maerklin. Per fortuna, la sua collezione è già invidiabile. M.F. Amici del Cuore vi invita a partecipare al ciclo di incontri organizzati con la Circoscrizione 8 di Torino I lunedì pomeriggio sulla Prevenzione La Prevenzione: un nuovo stile per migliorare la qualità della vita presso Molecular Biotechnology Center Scuola di Biotecnologie Università di Torino Via Nizza 52, Torino dalle ore 16,30 alle ore 18,30 dal 4 marzo all'11 novembre 2013 ingresso libero fino a esaurimento posti Per informazioni e calendario completo rivolgersi a: Informa8 Via Ormea 45 (piano terra) 10125 TORINO Tel. 011 4435837 / 011 4435895 / 011 4435883 lunedì, mercoledì, giovedì orari: 9.30 – 12.30 / 14,30 – 16,30; martedì e venerdì orari: 9,30 – 12,30 e-mail: [email protected] www.comune.torino.it/circ8 Hanno collaborato: Acat, Airh, ALICe, Amici del Cuore, AsmAllergie, Città della Salute, Fondazione Carlo Molo, Fondazione per la Ricerca Molecolare, Lilt, Lions, S. Caterina da Siena, Sds, Maria Pia Hospital Con il patrocinio di 28 ASSEMBLEA SOCIALE Danielis: 2012 un anno positivo Il 2012 è stato un anno positivo per gli Amici del Cuore. Lo ha sottolineato il presidente Danilo Danielis nel corso dell’Assemblea generale dei soci, convocata il 21 aprile scorso. Presenti 72, di cui 30 deleghe. L’Assemblea ha approvato all’unanimità la relazione del presidente, il bilancio consuntivo 2012, illustrato dal Tesoriere Michelangelo Chiale, e quello preventivo 2013. Nella funzione di sindaco è stato nominato Giuseppe Mamoli. «Il 2012 è stato positivo – ha detto Danielis – perché il numero dei soci è cresciuto, la nostra azione di prevenzione sul territorio è aumentata e siamo riusciti a corrispondere alla domanda di contribuzione di borse di studio per giovani medici. Abbiamo anche ricordato i 35 anni di vita del sodalizio». La prevenzione si è sviluppata attraverso incontri con studenti, convegni, controlli nelle farmacie, nei quartieri e nei comuni della provincia (12) per una presenza totale di oltre 2.500 persone. Le ore di volontariato sono state 5.286 con un incremento di circa mille rispetto al 2011. Il servizio è stato esteso alla cardiochirurgia (Prof. Rinaldi). La raccolta fondi ha portato a una crescita del 21% e il Banchetto della Salute ha realizzato un +17%. «Nel corso dell’anno – ha aggiunto il presidente – abbiamo ampliato la rete di collegamento con amministratori locali, il che ci ha permesso di farci conoscere e apprezzare, aumentando il numero delle giornate della salute». Positivi i rapporti con le altre strutture di volontariato e le attività di relazione con la Direzione della Città della Salute. L’Associzione partecipa nuovamente a «Conacuore». Ma non è tutto oro quel che luccica. L’impegno, nella situazione economica che attraversa l’Italia, deve essere sempre più generoso. Bisogna cercare nuovi soci giovani, si legge nella relazione, e occorre svolgere una attività di informazione più efficace sulla nostra Associazione. Un tasto su cui a fine riunione ha battuto il vice-presidente Marra, che ha tracciato l’immagine di un volontariato attivo e solidale. CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013 Dicono di noi… La Valsusa 6/6/2013 Luna Nuova 12/3/2013 Luna Nuova 10/5/2013 Coloro che desiderano sostenere la nostra Onlus potranno effettuare donazioni tramite Bonifico bancario intestato a: Amici del Cuore Piemonte Onlus Banca Intesa Sanpaolo IBAN IT10 Z030 6909 21710000 0031305 oppure sul conto corrente postale n. 19539105 Intestato a: Amici del Cuore Piemonte Onlus Cardiologia 2 - C.so Bramante, 88 10126 TORINO 29 CARDIO PIEMONTE • N. 2/2013 maggio/agosto 2013 Sintesi di bilancio PIEMONTE ONLUS Associazione di volontariato per la prevenzione delle malattie cardiovascolari RENDICONTO GESTIONALE 2012 Proventi Oneri Quote sociali Contributi da privati e soci Raccolta fondi da Società Proventi vari Racc.fondi Banch/Farmac. e e e e e Cinque per Mille e 9.970,00 52.627,00 49.745,00 7.184,00 10.481,00 Rivista Erogazioni liberali Supporto diagnostica e formazione Convegni Spese Generali Minusvalenza Patrimoniale 48.130,00 Ammortamenti e e e e e e e 19.091,00 44.054,00 45.154,00 5.472,00 27.694,00 8.946,00 6.277,00 e e 156.688,00 21.449,00 e 178.137,00 Borse di studio Rivista Spedizione Varie Varie ospedale e e e e e 77.000,00 15.000,00 3.000,00 30.000,00 30.000,00 Risultato Gestione e e 155.000,00 102.000,00 e 257.000,00 Risultato Gestione Totale e 178.137,00 Totale BILANCIO PREVENTIVO 2013 Entrate Saldo iniziale Banca Versamento soci Versamento 5 ‰ Eredità Bosia Fondazione CRT Totale Uscite e e e e e e 72.000,00 10.000,00 30.000,00 140.000,00 5.000,00 257.000,00 Totale 5 per mille a favore degli Amici del Cuore La Legge Finanziaria stabilisce di destinare una quota pari al 5 per mille dell’imposta sul reddito delle persone fisiche a sostegno del VOLONTARIATO, delle ONLUS. • È possibile effettuare una sola scelta di destinazione • La scelta del 5 per mille non comporta un aggravio delle imposte da versare da parte del contribuente Vogliamo ringraziarti per aver letto questa informativa e se desideri sostenerci scegliendo la nostra associazione, nella tua dichiarazione dei redditi dovrai inserire il nostro codice fiscale: 97504090016 30 PIEMONTE ONLUS Associazione di volontariato per la prevenzione delle malattie cardiovascolari Da spedire a: A.O.Città della Salute e della Scienza di Torino - CARDIOLOGIA 2 C.so Bramante, 88 - 10126 TORINO Tel. 011.633.55.64 - Cell. 346.1314392 SCHEDA ISCRIZIONE A SOCIO Il sottoscritto/a: Codice Fiscale: Nato a il Residente a Via/corso/piazza: CAP: Telefono: Cellulare: E-mail: Chiede di poter far parte come Socio/a della Onlus e provvede a versare l’importo di Euro……………………. Quale socio: (socio ordinario € 25 - socio sostenitore € 100+25 - socio benemerito, sopra i € 500+25) Verso la quota in: contanti con bonifico bancario Banca Intesa Sanpaolo - IBAN IT10 Z030 6909 21710000 0031305 per conto corrente postale n. 19539105 Intestato a : AMICI DEL CUORE PIEMONTE ONLUS - Cardiologia 2 - C.so Bramante, 88 - 10126 TORINO N.B. Il versamento della quota per donazione deve essere effettuato a mezzo bonifico bancario Firma Data CONSENSO AL TRATTAMENTO DEI DATI AI SENSI DEL CODICE SULLA PRIVACY D.L.196/03 Apponendo la firma in calce al presente modulo, manifesto il mio consenso al trattamento dei dati, nel solo ambito delle finalità e modalità dell’attività sociale dell’associazione. Autorizzo il Presidente a informatizzare il mio nome nell’elenco Soci, che non verrà comunicato a terzi, fuori dall’ambito della stessa associazione. Mi riservo di tutelare i miei diritti, in ogni momento, qualora tale disposizione non venga osservata. Firma Gli Amici del Cuore salvano sei vite A Pianezza volontari e medici sono stati ospitati davanti al Comune e a due centri Commerciali. A fianco, il presidente Danilo Danielis con Enrico Zanchi. Al centro Il sindaco Castello Le nostre giornate di prevenzione proseguono con successo. Un successo che non si misura soltanto dalla partecipazione della gente, ma anche dai risultati concreti che porta. In particolare, a cavallo tra il 2012 e i primi mesi dell’anno, gli Amici del Cuore, con il supporto dell’Unità Mobile, hanno operato per tre volte a Pianezza, dove il sindaco, dottor Antonio Castello, medico cardiologo, apprezza l’impegno e la competenza dell’Associazione e dei suoi volontari. Con la regia di Enrico Zanchi e alla presenza del presidente Danielis sono state raccolte oltre 400 schede della salute e compiuto una cinquantina di visite approfondite con l’impiego di elettrocardiogramma da parte dei medici di servizio. L’età delle persone controllate variava tra i 50 e i 70 anni. Per sei persone è scattato l’allarme rosso e sono state consigliate di recarsi con la massima urgenza presso una struttura cardiologica. Si può dire che gli Amici del Cuore hanno salvato sei vite. Le giornate, che hanno coinvolto commercianti e associazioni, con una in marzo dedicata alle donne, hanno anche permesso di raccogliere una quota del 5% delle vendite commerciali per l’acquisto di defribillatori. Una targa ricordo donata dal Sindaco alla nostra Onlus è ora in bella mostra nello studio del dottor Marra in Cardiologia.