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Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 1: Fondamenti e Richiami di Statistica per Le Misure
1. Fondamenti e Richiami di Statistica per Le
Misure
1.
Fondamenti e Richiami di Statistica per Le Misure.............................................. 1
1.1. Introduzione ................................................................................................. 1
1.2. Assiomi......................................................................................................... 1
1.3. Probabilità condizionata ............................................................................... 2
1.4. Teorema di Bayes ........................................................................................ 3
1.4.1. Proprietà Importanti............................................................................... 4
1.5. Variabile Aleatoria ........................................................................................ 4
1.6. Funzioni Distribuzione e Densità di Probabilità ............................................ 5
1.6.1. Media e Varianza .................................................................................. 8
1.7. Variabili Aleatorie Multiple ............................................................................ 9
1.8. Processi Stocastici ..................................................................................... 11
1.9. Processi Bianchi......................................................................................... 14
1.1. Introduzione
Effettuare una misura non vuol dire solamente leggere il valore che lo strumento
utilizzato fornisce ma anche valutare la bontà della misura stessa. Occorre
innanzitutto sottolineare che non è possibile infatti fornire una definizione esaustiva
del misurando. In altre parole il misurando stesso nella sua definizione presenta un
certo grado di incompletezza.
Pertanto si definisce il valore vero convenzionale come entità astratta di riferimento,
della quale il valore misurato rappresenterà una approssimazione a meno di un
errore.
L’errore che si commette nel compiere una misura (scostamento del valor misurato
dal valore vero convenzionale) risulta quindi per definizione inconoscibile e viene
trattato come una variabile aleatoria.
In questo capitolo iniziale passeremo in rassegna le principali proprietà delle variabili
aleatorie, al fine di richiamare gli strumenti che vengono utilizzati per l’analisi dei
risultati di processi di misurazione e per la stima dell’errore associato a tali risultati.
In questa sede, il concetto di probabilità sarà dato per scontato (si ricorda comunque
che sostanzialmente la probabilità rappresenta il limite della frequenza statistica).
1.2. Assiomi
Dato uno spazio di eventi S, (che può essere discreto o continuo) si definisce P(A) la
probabilità della manifestazione di un evento A. Tale numero gode delle seguenti
proprietà:
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1
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1. P( A) t 0
(1)
2. P( A ) d 1, P(A
S)
P(S) 1
(2)
3. Se due eventi A e B non hanno elementi in comune allora :
Ÿ P( A ‰ B)
P( A) P( B)
(3)
1.3. Probabilità condizionata
Il concetto di probabilità condizionata è fondamentale nella statistica, in quanto
esprime il fatto che un particolare evento ne condizioni altri. Dati due eventi A ed M si
esprime questo concetto con la seguente formula:
P( A / M )
P( M ˆ A)
P( M )
.
(4)
P(A/M) si dice probabilità di A condizionata a M. Si dice che due eventi A e B sono
statisticamente indipendenti se:
P( A ˆ B)
(5)
P( A) P( B)
P( A)( M )
P( A) , l’indipendenza
P( M )
statistica descrive dunque il fatto che l’accadere di M non influenza la probabilità che
accada l’evento A.
infatti utilizzando la (5) nella (4) si otterrà P ( A / M )
Teorema della Probabilità Totale
Supponiamo che > A1 , A2 , An @ sia una partizione di S in modo tale da avere che
Ai ˆ A j
2
i z j
(6)
allora si avrà che un evento B  S ha probabilità di manifestarsi data da:
P( B)
P ( B / A1 ) P( A1 ) P( B / A2 ) P( A2 ), , P( B / An ) P( An )
(7)
Dim.
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Preso un evento B e ricordandosi come è costruito l’insieme A, si potrà scrivere che
B B ˆ S B ˆ ( A1 ‰ A2 ... ‰ An ) ( B ˆ A1 ) ‰ ( B ˆ A2 ) ‰ .... ‰ ( B ˆ An ) ed utilizzando
la (6) e la (3) si avrà:
P( B)
P( B ˆ A1 ) P ( B ˆ A2 ) P( B ˆ An )
n
(8)
n
¦ P( B ˆ A ) ¦ P( B / A ) P( A )
vale a dire, usando la (4), P ( B )
i
i 1
i
i
(9)
i 1
C.V.D.
1.4. Teorema di Bayes
Tale teorema è ricorrente nelle applicazioni statistiche in quanto consente di gestire
in modo sintetico eventi che sono dipendenti. Tale teorema può essere formulato nel
modo seguente, se > A1 , A2 , An @ è una partizione di S, allora:
P ( Ai / B)
P( B / Ai ) P( Ai )
n
(10)
¦ P( B / A ) P( A )
i
i
i 1
Dim.
Possiamo scrivere le probabilità condizionate di A rispetto a B e viceversa come:
P ( Ai / B)
P( Ai ˆ B)
P( B)
(11)
P ( B / Ai )
P( B ˆ Ai )
P( Ai )
(12)
e
Utilizzando la (12) nella (11) si ottiene:
P ( Ai / B)
P( B / Ai ) P( Ai )
P( B)
(13)
Sostituendo adesso nella (13) la (9) del teorema della probabilità totale si otterrà la
dimostrazione.
C.V.D.
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1.4.1.
Proprietà Importanti
Altre importanti proprietà:
1. P ( Ac ) 1 P( A)
dove AC indical l’evento complementare di A, cioè S-A.
2. A1  A2 Ÿ P( A1 ) d P( A2 )
(15)
3. P (‡) 0
(16)
4. P ( A1 ‰ A2 )
(14)
P( A1 ) P( A2 ) P( A1 ˆ A 2 )
(17)
1.5. Variabile Aleatoria
Quando lanciamo una moneta (non truccata) in aria e aspettiamo che essa ricada al
suolo, non sappiamo a priori se uscirà testa o croce; siamo tuttavia consapevoli che
una delle due facce della moneta si presenterà in alto. In questo caso il fatto che si
verifichi testa o croce rappresenta una manifestazione o realizzazione della
variabile aleatoria “faccia della medaglia”. Inoltre a tale manifestazione sappiamo
attribuire una probabilità. Basta infatti ripetere un numero sufficiente di volte
l’esperimento per verificare che, se la moneta non è truccata, esiste una pari
opportunità che si verifichi o testa o croce. Quindi, se come indicato nella (2), lo
spazio complessivo degli eventi ha probabilità pari all’unità e due sono gli eventi
equiprobabili possibili ciascuno di essi avrà probabilità pari ad un mezzo, cioè a 0,5.
Lo stesso vale per le facce di un dado perfettamente simmetrico, dove la probabilità
di ciascuna manifestazione diviene un sesto.
Una variabile aleatoria (v.a.) rappresenta una mappatura da uno spazio degli eventi
: su uno spazio di numeri reali come mostrato in figura 1.
La v.a. può essere discreta se assume valori in un insieme finito o numerabile,
continua altrimenti.
:
Z3
Z1
Z2
X(Z1)
X(Z2)
X(Z3)
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R
4
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Figura 1. Mappatura da uno spazio degli eventi ad uno di numeri reali.
1.6. Funzioni Distribuzione e Densità di Probabilità
A ciascuna variabile aleatoria è possibile associare una particolare funzione che
realizzi tale mappatura. In particolare, una volta selezionato un evento Z  :
possiamo chiederci quale sia la probabilità che la rappresentazione numerica di tale
evento sia inferiore ad un determinato valore x . In altre parole possiamo scrivere:
FX ( x)
P(Z  : : X (Z ) d x)
(18)
dove X rappresenta la variabile aleatoria mentre X (Z ) è il valore che tale variabile
assume in :. La funzione FX ( x) che permette di valutare tale probabilità prende il
nome di distribuzione (cumulativa) di probabilità. La (18) per praticità normalmente
viene espressa come:
FX ( x)
P( X d x)
(19)
L’aggettivo “cumulativa” può essere spiegato considerando le proprietà di cui tale
funzione gode ed in particolare la (23):
1. 0 d FX ( x) d 1
(20)
2. FX ( x) è non decrescente
(21)
3. lim x of FX ( x) 0
(22)
4. lim x of FX ( x) 1
(23)
5. P( a X d b )
(24)
6. P ( X
a)
FX ( b ) FX ( a )
FX (a) FX (a )
(25)
In figura 2 è mostrato l’andamento della (19) sia per una v.a. discreta che per una
v.a. continua.
Si definisce inoltre la densità di probabilità, che viene indicata con il simbolo f X ( x) ,
con la seguente equazione:
f X ( x)
dFX ( x)
dx
(26)
quindi la FX ( x) risulta essere la primitiva della f X ( x) , da qui derivano le seguenti
proprietà:
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Fx
1
x
Fx
1
x
Figura 2. Andamento per una v.a. discreta e per una v.a. continua della Fx.
1.
f X ( x) t 0
(27)
f
2.
³
(28)
f X ( x)dx 1
f
3. P ( X  A)
³f
X
(29)
( x)dx
A
b
³f
4. P (a X d b)
X
( x)dx
(30)
a
x
5. FX ( x)
³
(31)
f X (u )du
f
Per v.a. discrete (che assumono valori in un insieme discreto ^x1, x2 ,..xi,…xN`) per
cui la distribuzione di probabilità è una funzione a gradini, l’altezza dell’i-esimo
gradino rappresenta la probabilità p(xi)=P(X= xi) che si verifichi l’evento i-esimo,
ovvero che la v.a. assuma l’i-esimo valore.
Per le v.a. discrete la densità di probabilità è un insieme di delta di Dirac:
N
f X ( x)
¦ p( x )G ( X x )
i
i
(32)
i 1
E’ logico pensare che, se la densità di probabilità descrive in modo analitico la
possibilità che un evento possa ripetersi con una certa frequenza, essa sia un utile
strumento per trattare in maniera matematica il processo di misura e/o il risultato di
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una misura, che come abbiamo già detto risulta sempre affetto da errori non
predicibili. In altre parole l’errore sarà sempre trattato come una variabile aleatoria.
Alcune tra le densità di probabilità più comunemente utilizzate nelle misure sono:
la densità di probabilità Uniforme, la cui espressione analitica è la seguente:
f X ( x)
­ 1
°
®b a
°¯ 0
a xb
(33)
Altrove
e la Gaussiana la cui espressione analitica è la seguente:
1
f X ( x)
2SV X
e
§ ( x P X )2 ·
¸
¨¨
2VX2 ¸¹
©
(34)
I parametri che compaiono nella (34) possono essere interpretati con le definizioni di
media e varianza che seguono.
La distribuzione (34) è particolarmente importante, in quanto esiste un teorema
(teorema del limite centrale) che afferma che, sotto ipotesi molto blande, la somma di
infinite variabili aleatorie indipendenti comunque distribuite segue una distribuzione
Gaussiana. In particolare, se tali v.a. sono indipendenti ed identicamente distribuite,
la distribuzione Gaussiana rappresenta una buona approssimazione della
distribuzione della v.a. ottenuta come somma, anche se il numero di componenti è
molto basso.
Si definisce la media E(X) di una v.a. X come:
f
E( X )
(35)
³ xf X ( x )dx
f
o più in generale la media di una funzione della v.a. g(X) come:
f
E ( g ( X ))
³ g ( x) f
X
(36)
( x)dx
f
In generale i momenti non centrati della v.a. sono definiti come:
f
momento di ordine k:
Pk
E( X k )
³x
k
f X ( x)dx
f
la media risulta perciò pari al momento del primo ordine.
I momenti centrati sono definiti invece come:
f
momento centrato di ordine k: mk
E (( X P1 ) k )
³ (x P )
k
1
f X ( x)dx
f
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I momenti consentono di condensare l’informazione sul comportamento statistico di
una v.a. Vediamo di seguito quale informazione è contenuta nel momento del primo
ordine (media) e nel momento centrato del secondo ordine (varianza).
1.6.1.
Media e Varianza
Come già detto, la media è definita nel modo seguente:
P
E( X )
n
¦ x i p( xi )
nel discreto
(37)
nel continuo
(38)
i 1
f
P
E( X )
³ xf X ( x )dx
f
Le (37) e (38) esprimono il valore atteso (Expected value o Expectation) della
variabile aleatoria X . Poiché ciascun evento possibile viene pesato con la
probabilità che esso accada, essa rappresenta il baricentro della funzione di
densità di probabilità, il valore centrale di tale distribuzione, attorno al quale è più
probabile che cadano i valori delle realizzazione della v.a.
La varianza si ottiene nei modi che seguono:
V
V
2
X
2
X
E(( X P ) 2 )
n
2
¦ ( xi P ) p( x i )
nel discreto
(39)
nel continuo
(40)
i 1
E(( X P ) 2 )
f
2
³ ( x P ) f X ( x )dx
f
Quindi la varianza, o meglio la radice quadrata della varianza che prende il nome di
scarto tipo o deviazione standard ( V X ) di una v.a., descrive lo scostamento dei
valori dal valore medio. Tanto più la varianza è piccola, tanto più la densità di
probabilità sarà addensata intorno al valor medio.
Sia la (38) sia la (40) godono di alcune proprietà che possono essere riassunte come
segue:
data una costante c
1. E (cX ) cE ( X )
(41)
2. E (c) c
(42)
3. E (c X ) c E ( X )
(43)
4. V 2 (cX ) c 2V 2 ( X )
(44)
5. V 2 (c) 0
(45)
6. V 2 (c X ) V 2 ( X )
(46)
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Un’altra forma attraverso la quale la varianza può essere espressa è la seguente:
V 2 ( X ) E ª¬( X E ( X )) 2 º¼
EX2 EX 2
(47)
1.7. Variabili Aleatorie Multiple
Nella realtà capita spesso che in un processo di misura siano coinvolte più variabili
aleatorie. Si danno di seguito alcuni cenni sugli strumenti statistici che ne descrivono
il comportamento. Siano X e Y due variabili aleatorie definite su : . Definiamo la
funzione distribuzione di probabilità congiunta, e la densità di probabilità congiunta
nel modo seguente:
FX ,Y ( x, y )
P(Z  : : X (Z ) d x, Y (Z ) d y )
(48)
w 2 FX ,Y ( x , y )
f X ,Y ( x , y )
(49)
wxwy
La densità di probabilità congiunta tiene simultaneamente conto del comportamento
delle due v.a. e di come esse si influenzino. In particolare, si osserva che se le due
variabili non si influenzano, cioè se sono statisticamente indipendenti, allora la
densità congiunta di probabilità si ottiene come prodotto delle densità di probabilità
di X e Y.
f X ,Y ( x , y ) f X ( x ) f Y ( y )
Analogamente alla situazione di singola variabile aleatoria, sono vere per estensione
le seguenti proprietà:
1. FX ( x)
FX ,Y ( x, f)
(50)
2. FY ( y )
FX ,Y (f, y )
(51)
f
3.
³
f X ,Y ( x, y )dy
(52)
f X ,Y ( x, y )dx
(53)
f X ,Y ( x, y )dxdy 1
(54)
f X ( x)
f
f
4.
fY ( y )
³
f
f f
5.
³³
f f
6.
FX ,Y ( x , y )
x
y
³ f ³f f X ,Y ( u ,v )dudv
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(55)
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7. la densità di probabilità condizionata di Y al fatto che X sia uguale ad x è data
invece da:
fY !X ( y | x )
­ f X ,Y ( x , y )
°
® fX ( x )
°¯0
fX ( x ) z 0
altrimenti
Il valore atteso (media) di una funzione di più variabili aleatorie è dato da:
f f
E g ( x, y ) ³ ³ g ( x, y ) f
X ,Y
( x, y )dxdy
(56)
f f
Se g( X ,Y ) XY la (56) indica la correlazione tra le due variabili, E(X,Y) = corr(X,Y),
mentre se g ( X ,Y ) ( X P X )( Y P Y ) la (56) indica la covarianza, E(X,Y)-PXPY =
cov(X,Y).
Il coefficiente di correlazione e si ricava come segue:
U X ,Y
cov( X , Y )
(57)
VX VY
la (57) esprime in modo sintetico come le due variabili aleatorie siano statisticamente
dipendenti. Si dimostra usando la disuguaglianza di Schwartz, che Ud1. In
particolare, se X ed Y sono legati linearmente, cioè Y aX b , avremmo un U 1
con a positivo ed un U 1 con a negativo. Se il coefficiente di correlazione è pari a
0 le variabili si dicono scorrelate. Condizione sufficiente (ma non necessaria) perché
tale coefficiente sia nullo è che le due variabili siano tra loro indipendenti.
Funzioni di variabili multiple:
Considerando le seguenti variabili aleatorie tra loro legate nel seguente modo:
Z=g(X,Y)
W=h(X,Y)
La probabilità congiunta di W,e Z può essere ottenuta nota la densità di probabilità
congiunta di X ed Y, se le equazioni:
z=g(x,y)
w=h(x,y)
hanno un insieme numerabile di soluzioni ^ xi,yi `, ed in questi punti il determinante
dello Jacobiano J, dato da:
ª wg wg º
« wx wy »
J «
»
« wh wh »
«¬ wx wy »¼
è non nullo, allora:
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f Z ,W ( z , w )
¦
i
f ( xi , y i )
| det( J ( xi , y i ) |
1.8. Processi Stocastici
Per processo stocastico si intende una v.a. aleatoria indicizzata X(t), dove l’indice t
può assumere valori sia in un insieme discreto che continuo. Comunemente si
utilizza X(t) per descrivere l’evoluzione temporale di un fenomeno aleatorio. In questo
caso t indica il tempo. Questo significa che ogni realizzazione xi(t) di X(t) rappresenta
un segnale che evolve nel tempo e a cui corrisponde, ad ogni istante di tempo tk, una
variabile aleatoria X(tk) descritta da una densità di probabilità f X ( t ) ( x ) , con
k
realizzazione xi(tk). Un fenomeno che comunemente viene descritto attraverso un
processo stocastico è il rumore n(t) che si sovrappone ai segnali di interesse.
In figura 3 si fornisce un esempio di quello che si intende per processo stocastico.
H(t3,x2)
H(t2,x1)
H(t,X)
H(t2,x2)
H(t2,x3)
H(t1,x2)
t
Figura 3. Esempio di processo stocastico.
Nell’esempio di figura 3 è evidente come i processi stocastici possano essere trattati
in due domini. In quello t (in genere temporale) una volta che si sia osservata una
manifestazione della variabile aleatoria X per ogni t, oppure scegliendo un particolare
istante temporale ed osservando soltanto le manifestazioni della variabile X(tk.)
La media di un processo stocastico X (t ) è una funzione deterministica dipendente
dal tempo tale che: P X (t ) E X (t ) per ogni t . Poiché, per ogni t0 il processo è
definito con una densità di probabilità ben precisa allora avremo che:
f
P X (t0 ) E X (t0 ) ³ xf
X ( t0 )
( x)dx
(58)
f
E’ ben noto che la funzione di autocorrelazione per un segnale deterministico è
definita come:
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f
*
RX (t )
³ x(W ) x (W t )dW
(59)
f
La (59) per i processi stocastici si ottiene analogamente una volta fissati gli istanti
temporali di interesse. In altre parole RXX (t1 , t2 ) , funzione di autocorrelazione, è
definita come:
f f
RXX (t1 , t2 )
³ ³ xx
1 2
f X (t1 ) X ( t2 ) ( x1 , x2 )dx1dx2
E X (t1 ) X (t2 ) (60)
f f
Un processo stocastico si dice stazionario se le sue proprietà statistiche non
dipendono dall’istante temporale scelto. In realtà tale assunzione è molto stringente.
Si preferisce pertanto definire una condizione meno stringente, che possa essere più
facilmente verificata.
Un processo stocastico si dice stazionario in senso lato (Wide Sense Stationary,
WSS) se sono soddisfatte le seguenti ipotesi:
1. P X (t ) è indipendente dal tempo
2. RXX (t1 , t2 ) E X (t1 ) X (t2 ) RX (t1 , t2 ) dipende solamente da W
t2 t1 e non dai
singoli istanti temporali. Il processo, in pratica, ha la stessa autocorrelazione
per archi temporali uguali indipendentemente dall’istante iniziale.
ESEMPIO:
Si consideri per semplicità il processo del tipo: A cos(2S f 0t T ) , dove T è una
variabile aleatoria uniformemente distribuita tra [0, 2S ) . Si abbia pertanto:
f 4 (T )
­ 1
°
® 2S
°¯ 0
0 d T 2S
(61)
altrove
calcoliamo la media:
2S
E ( X (t ))
E A cos(2S f 0t T ) 1
³ A cos(2S f t T ) 2S dT
0
0
(62)
0
e la funzione di autocorrelazione:
RX (t1 , t2 )
E X (t1 ) X (t2 ) E > A cos(2S f 0t1 T ) A cos(2S f 0t2 T ) @
(63)
la (63) può essere ulteriormente semplificata:
R X ( t 1 ,t 2 )
A2
E >cos( 2Sf 0 ( t 1 t 2 )) cos( 2Sf 0 ( t 1 t 2 ) 2T )@
2
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(64)
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nella (64) il secondo termine del secondo membro diviene zero se si applica la
definizione di media e quindi l’autocorrelazione risulta pari a:
R X ( t 1 ,t 2 )
A2
E >cos( 2Sf 0 ( t 1 t 2 ))@
2
A2
cos( 2Sf 0 ( t 1 t 2 ))
2
(65)
Risulta quindi che la media è tempo-indipendente e l’autocorrelazione dipende
soltanto dalla differenza dei due istanti temporali scelti. Pertanto il processo si dice
WSS.
Per un processo stocastico, oltre alle medie statistiche già definite, che vengono
dette medie d’insieme, è possibile definire anche medie temporali. In tal caso il
dominio in cui si effettua il processo di media non è l’insieme delle realizzazioni, ma è
il dominio temporale.
Fissata una realizzazione x(t) del processo X(t), si definisce media temporale:
1 T
³ 2T x( t )dt
T of
T 2
A^x( t )` lim
(66)
si definisce autocorrelazione nel tempo:
R( W )
1 T
³ 2T x( t ) x( t W )dt
T of
T 2
A^x( t ) x( t W )` lim
(67)
Un processo si dice regolare se per ogni realizzazione si ottengono le stesse medie
temporali (rappresenta il concetto duale di stazionarietà).
Un processo stazionario si dice ergodico se medie d’insieme e medie temporali
possono essere scambiate. Questo concetto è molto utile perché stabilisce
l’equivalenza dei due domini: il dominio delle realizzazioni e il dominio temporale, e
stabilisce di poter acquisire informazioni complete sul processo a partire
dall’osservazione su un periodo infinito di una sola realizzazione. Per il rumore nelle
applicazioni tipiche delle misure l’ipotesi di ergodicità viene quasi sempre assunta.
D’ora innanzi si considereranno processi ergodici e stazionari.
Una funzione che viene utilizzata per caratterizzare un processo stocastico
stazionario è la Densità Spettrale di Potenza (D.S.P.), definita come:
f
P( f )
³ R( t )e
j 2 Sft
dt
(68)
f
La D.S.P. rappresenta la distribuzione spettrale media della potenza del processo.
Infatti è possibile dimostrare che:
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P( f )
1
lim T E ( F ( f )
T
2
(69)
)
T of
in cui FT(f) rappresenta la trasformata di Fourier del segnale x(t) troncato in una
finestra temporale di durata T.
Fatte queste premesse si evince che la potenza media di un segnale stocastico
(media temporale di una realizzazione) si può ottenere anche attraverso un processo
di media d’insieme, e sono vere le seguenti equazioni:
T
P
1 2
2
lim ³ x( t ) dt
T of T T
E( x 2 )
f
R( 0 )
³ P( f )df
-(70)
f
2
1.9. Processi Bianchi
I processi bianchi sono caratterizzati da una densità spettrale di potenza costante
N0/2. Dalla relazione che lega la densità spettrale di potenza all’autocorrelazione
possiamo dedurre il legame inverso semplicemente antitrasformando ed ottenendo
così:
RX (W )
F 1 >P( f )@
N0
G (W )
2
(71)
La (71) è importante perché dimostra che per ogni W z 0 , Ÿ RX (W ) 0 . Per un
processo bianco, quindi, le variabili aleatorie relative a due istanti generici, purché
diversi, risultano scorrelate. Se poi il processo è anche gaussiano, allora le due
variabili così ottenute saranno indipendenti (non c’è nessuna memoria).
Il processo bianco è un concetto puramente matematico: si nota infatti da quanto
argomentato in precedenza che la potenza associata a un processo bianco è infinita:
f
P
³
f
f
P( f )df
N0
df
2
f
³
f
(72)
e dunque X(t) ha varianza infinita.
Questo risulta essere uno strumento molto utile qualora si noti che qualunque
sistema di osservazione del processo è caratterizzato da una banda finita. Il
processo bianco osservato avrà perciò densità spettrale di potenza P(f) costante in
una certa banda e nulla al di fuori. Potrà perciò essere rappresentato da una densità
di potenza:
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14
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 1: Fondamenti e Richiami di Statistica per Le Misure
P( f )
­ N0
°
® 2
°¯ 0
-B f B
(73)
altrove
La potenza del segnale sarà perciò uguale a N0B. Questo significa che per un
processo bianco la potenza dipende dalla banda del sistema di osservazione.
La funzione di autocorrelazione sarà invece data dall’antitrasformata:
Rx ( W )
N 0 B sin c( 2SBW )
(74)
Come già accennato, nella realtà i processi bianchi non esistono, anche se alcuni
fenomeni come il rumore termico possono essere ben approssimati da un processo
di questo tipo. In particolare, si è soliti associare il rumore termico generato da una
resistenza (peraltro sempre presente durante le misure) a una tensione
corrispondente ad un processo bianco con densità spettrale di potenza pari a 4kTR
(k=costante di Bolzman, T temperatura in Kelvin).
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
15
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 2: Introduzione alla Misura
2. Introduzione alla Misura
2.
Introduzione alla Misura .................................................................................... 16
2.1. Introduzione ............................................................................................... 16
2.2. L’Errore ...................................................................................................... 17
2.3. L’Incertezza................................................................................................ 17
2.3.1. Altri Termini Utilizzati per Descrivere la Qualità del Processo di Misura
18
2.4. Valutazione dell’Incertezza........................................................................ 18
2.4.1. Valore Assoluto e Valore Relativo....................................................... 19
2.5. Il legame con la Statistica: Stima dell’Incertezza di Tipo A......................... 19
2.6. Stima di Altri Parametri Statistici ................................................................ 23
2.7. Incertezza Combinata ................................................................................ 24
2.8. Sommario................................................................................................... 25
2.9. Misurazioni Dirette ed Indirette................................................................... 26
2.10.
Propagazione delle Incertezze di Tipo A e B .......................................... 26
2.10.1.
Misure Indirette................................................................................ 26
.
2.1. Introduzione
In questo capitolo cercheremo di fornire allo studente i metodi di base per
l’interpretazione del risultato di una misura.
Il processo di misura è definito come:
un procedimento in grado di quantificare le proprietà di un oggetto o di
un fenomeno.
Il processo di misura si avvale di varie tecniche riconducibili comunque ad un
confronto (diretto o indiretto) del misurando (oggetto della misura) con una quantità
nota detta campione.
Il processo di misura si basa quindi su convenzioni che devono portare a una
definizione di un’unità campione riconosciuta in un contesto il più ampio possibile.
I campioni sono infatti fissati da norme, accordi internazionali e/o leggi.
Come già illustrato nel capitolo precedente, il risultato di una misurazione non
coincide con il valore vero ma si discosta da esso di una quantità detta errore.
Le cause che contribuiscono all’entità dell’errore sono molteplici:
-
incompleta definizione del misurando
imperfetta realizzazione del misurando
imperfetta conoscenza del processo di misura
imperfetta realizzazione del campione di confronto o degli strumenti di misura
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
16
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 2: Introduzione alla Misura
-
inadeguata conoscenza delle grandezze di influenza, cioè di quelle
grandezze (non ci si riferisce al misurando) che, variando, causano
oscillazioni della misura impredicibili.
Il risultato della misura dovrebbe essere perciò composto da:
- un numero N: valore misurato (la stima quantitativa del misurando),
- un’unità di misura [U] (che individua il campione) ,
- un numero u: incertezza (che fornisce informazioni sull’errore)
Xm=N [U]+ u
Operativamente l’incertezza viene definita così [GUM (Guide to Uncertainty
Expression in Measurement)]:
l’incertezza è un parametro associato al risultato di una misura che descrive
l’intervallo (o la dispersione) dei valori che possono essere ragionevolmente
attribuiti al misurando
Pertanto è necessario tenere ben distinto il concetto di errore da quello di
incertezza. Per errore infatti si intende una grandezza inconoscibile, (tutti gli scarti
noti devono essere considerati corretti) che può essere trattata come una v.a..
Si sottolinea come l’errore debba essere considerato non conoscibile, poiché se
fosse noto si potrebbe correggere ed arrivare al valore vero convenzionale del
misurando.
Per incertezza invece si intende un valore che caratterizza la distribuzione di
probabilità dell’errore (in particolare la sua larghezza).
2.2. L’Errore
Tradizionalmente l’errore si divide in due contributi:
errori sistematici: tutti gli errori che si ripetono con lo stesso segno e lo stesso
valore ogniqualvolta si ripeta la misura nelle stesse condizioni (hanno lo stesso
valore per prove ripetute). L’errore strumentale è un tipico esempio di errore
sistematico.
errori accidentali o aleatori: errori che si presentano con valore e segno diversi
ogniqualvolta si ripeta la misura nelle stesse condizioni. Sono errori dovuti alle
fluttuazioni delle condizioni ambientali, alla presenza di disturbi variabili, al rumore
elettronico etc.
Entrambi i contributi devono essere trattati come v.a.; la ripetizione della prova
porta a diverse realizzazioni della v.a. errore accidentale, mentre l’errore sistematico
è legato alla stessa realizzazione della v.a. Ad esempio per ottenere una diversa
realizzazione dell’errore strumentale occorre cambiare strumento.
2.3. L’Incertezza
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17
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 2: Introduzione alla Misura
Come già detto l’incertezza è un parametro associato ad una misura che ne esprime
quantitativamente la bontà, cioè quantifica l’entità dell’errore.
In particolare essa identifica una fascia di valori nella quale con elevata probabilità
cade l’errore (e dunque una fascia di valori entro la quale con elevata probabilità
cade il valore vero del misurando).
E’ perciò un parametro che dà informazioni sulla larghezza della densità di
probabilità dell’errore complessivo, intorno al suo valore medio che per definizione è
nullo. E’ ormai prassi comune far corrispondere l’incertezza alla stima della
deviazione standard (o scarto tipo) dell’errore.
Incertezza
-u
+u
xv
Figura 1. Esempio per la descrizione di una fascia di incertezza
2.3.1. Altri Termini Utilizzati per Descrivere la Qualità del Processo di Misura
Per sintetizzare la qualità del processo di misura vengono utilizzati altri termini oltre a
quelli già definiti (incertezza ed errore):
Ripetibilità:
vicinanza dei risultati ottenuti da prove ripetute nelle stesse condizioni operative.
Accuratezza:
deviazione tra il valore vero convenzionale,xv,(§ cap.1.1) e il risultato della misura.
a 1
xv x
xv
Da notare che questo termine viene utilizzato correntemente dai costruttori degli
strumenti elettronici per indicare il massimo errore (anche questo dovrebbe essere
inteso in probabilità: l’errore è con probabilità molto elevata minore dell’accuratezza
specificata, e.g. 0.99)
Riproducibilità:
vicinanza dei risultati ottenuti variando le condizioni operative.
Precisione:
vicinanza dei risultati della misura alla media aritmetica ottenuta con prove ripetute.
2.4. Valutazione dell’Incertezza
Secondo quanto consigliato dalla GUM, per valutare l’incertezza associata ad una
misura è possibile ricorrere alla seguente procedura.
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18
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 2: Introduzione alla Misura
Innanzitutto l’incertezza viene suddivisa in due contributi che devono essere valutati
separatamente:
Tipo A: è la parte dell’incertezza che può essere stimata con metodi statistici, cioè
attraverso l’analisi dei risultati di prove ripetute (stima della deviazione standard
dell’errore accidentale).
Tipo B: è la parte dell’incertezza che non può essere valutata attraverso l’analisi
statistica dei risultati di prove ripetute, ma che deve essere stimata attraverso
informazioni note a priori, sugli strumenti e sul processo di misura.
La sua determinazione si basa su opportune ipotesi sulla densità di probabilità degli
errori sistematici. Tali contributi non possono essere in alcun modo eliminati né
compensati dall’operatore, il quale non può fare altro che tenerne conto.
Non è infrequente nel campo delle misure elettroniche che il contributo di tipo A
risulta di entità molto minore rispetto al contributo di tipo B, e pertanto viene
trascurato.
.
fX(x)
d
A
xv
x
La figura 2 rappresenta la densità di probabilità del
valore misurato al ripetersi della misura; essa
rappresenta cioè la probabilità che al ripetersi della
misura si ottenga il valore misurato x, x-A,
rappresenta dunque la v.a. errore accidentale, e la
larghezza della distribuzione determina il valore
dell’incertezza di tipo A; la deviazione d è la v.a.
errore sistematico. La sua distribuzione, che non
influenza la fluttuazione del risultato della misura al
ripetersi della stessa, determina l’incertezza di tipo
B.
Figura 2
2.4.1. Valore Assoluto e Valore Relativo
Sia l’errore sia l’incertezza possono essere espressi in forma assoluta o relativa:
Valore Assoluto: V m rappresenta l’incertezza cioè la semiampiezza della fascia
d’errore, e ha la stessa unità di misura del misurando.
Valore Relativo:
Vm
mi
u 100 dove mi è il valore centrale della stima del misurando.
2.5. Il legame con la Statistica: Stima dell’Incertezza di Tipo
A
Supponiamo di effettuare N misure ripetute xi di un certo misurando: i risultati delle
singole misure xi sono le realizzazioni di N v.a. Xi indipendenti e distribuite
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19
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 2: Introduzione alla Misura
identicamente (i.i.d.). Ciascuna variabile ha dunque la medesima densità di
probabilità (vedi figura 2).
Utilizzando i risultati di prove ripetute è possibile stimare il valor medio A delle v.a. Xi,
e ridurre la fascia di incertezza di tipo A.
Si stima A attraverso la media aritmetica x :
1 N
x
(1)
¦ xi
N i1
1 N
x è una realizzazione della v.a. X
¦ X i che gode delle seguenti proprietà:
N i1
1. lo stimatore X è non polarizzato, cioè converge in media:
E( X ) E( X i ) A
2. La stima è efficiente nel senso dei minimi quadrati, cioè:
E (( X A) 2 ) d E (( X j A) 2 )
In cui X j rappresenta qualunque altra stima di A.
3. La stima è consistente, cioè converge in probabilità:
lim P X A t H =0
N of
H >0
Dalla proprietà 1. si desume che la media aritmetica è una v.a. con densità di
probabilità centrata su A. La varianza di X si ottiene come segue:
E (( X A) 2 )
E(
1
N2
1
N2
N
E ((
1
N
N
¦X
A) 2 )
i 1
N
¦ ( X i A)2 ) E (
i 1
¦ E (( X i A)2 ) i 1
i
1
N
N
¦ ( X i A)
i 1
1
N
N
¦(X
j
A))
(2)
j zi
j 1
1 N N
¦¦ E ( X i A)( X j A)
N2 i 1 j 1
V X2
N
j zi
Questo risultato si ottiene tenendo presente che le variabili Xi sono tra loro
indipendenti, dunque scorrelate.
La varianza della media aritmetica diminuisce pertanto al crescere del numero delle
ripetizioni della misura. Con un numero infinito di ripetizioni si otterrebbe una densità
di probabilità con varianza nulla. Questo significa che al crescere del numero delle
prove si acquistano sempre più informazioni sul valore medio, potendone ottenere
una stima sempre più accurata.
L’incertezza di tipo A viene valutata attraverso la stima della varianza della media
aritmetica X .
In generale per stimare la varianza a partire dai risultati di prove ripetute si utilizza il
seguente stimatore:
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20
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 2: Introduzione alla Misura
1 N
¦ ( xi x)2
N 1 i 1
s X2
(3)
si dimostra che questo stimatore è non polarizzato, efficiente e consistente.
Ad esempio qui di seguito si dimostra come esso non sia polarizzato.
E ( S X2 )
E(
E ((
1 N
( X i X )2 )
¦
N 1 i 1
E(
1 N
( X i A A X )2 )
¦
N 1 i 1
1 N
1 N
1 N
2
2
(
)
(
(
)
)
2
(
X
A
E
X
A
E
¦ i
¦
¦ ( X i A)( X A))
N 1 i 1
N 1 i 1
N 1 i 1
1
N
N 1 N
( ¦ ( X i A))( X A))
V X2 V X2 2 E (
N 1
N 1
N 1 N i 1
1
N
N
N
1
( X A) 2 )
V X2 V X2 2 E (
V X2 V X2
N 1
N 1
N 1
N 1
N 1
(4)
V X2
Poiché a noi interessa stimare la varianza di X e sappiamo che:
V X2
V X2
(5)
N
utilizzeremo il seguente stimatore:
s X2
N
1
( xi x) 2
¦
N ( N 1) i 1
(6)
da cui si ottiene la deviazione standard (o scarto tipo):
sX
N
1
( xi x) 2
¦
N ( N 1) i 1
(7)
La (7) prende il nome di deviazione standard sperimentale.
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21
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 2: Introduzione alla Misura
f X ( x ), f X ( x )
d
A
xV
X,X
Figura 3. Densità di probabilità per X e la media di X
In figura 3 sono rappresentate le densità di probabilità di X ed X per N = 30.
Nel caso in cui si abbiano a disposizione i risultati di N prove ripetute, il
risultato della misura sarà dato dunque dalla media aritmetica, mentre
l’incertezza di tipo A sarà data dalla deviazione standard sperimentale (o scarto
tipo) della media aritmetica (eq. (7)).
2.5.1. INTERVALLI DI CONFIDENZA
Fissata una probabilità p (livello di confidenza) si vuole determinare quale sia
l’ampiezza dell’intervallo centrato in x in cui cade A con probabilità p.
Per ottenere quest’informazione è ovviamente necessario fare altre ipotesi sulla
densità di probabilità di X . Ad esempio, se supponiamo che X segua una
distribuzione Gaussiana otteniamo i seguenti risultati:
P ( A x V X ) 0.684
P ( A x 2V X ) 0.954
(8)
P ( A x 3V X ) 0.997
Occorre sottolineare che se N è sufficientemente grande (>30) questa ipotesi è
sicuramente accettabile, per il teorema del limite centrale, poiché la media aritmetica
è ottenuta come somma di v.a. indipendenti. Inoltre se N è grande, il valore incognito
V X è ben stimato da S X .
Pertanto l’intervallo attorno ad
x
di semi-ampiezza
sX
contiene con
probabilità 0.684 il valor medio A (che coincide con il valore vero
convenzionale solo in assenza di effetti sistematici). L’intervallo di semiampiezza 3 s X contiene invece con probabilità 0.997 il valore A.
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22
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 2: Introduzione alla Misura
Se il numero N di ripetizioni non è sufficientemente grande, non è più ragionevole
considerare che il valore s X sia una stima corretta per la varianza. Però la variabile t
che si ottiene come:
t
x A
sX
(9)
nel caso di variabili Xi i.i.d. e tutte gaussiane, segue una distribuzione nota, detta di
Student a Q=N-1 gradi di libertà.
Pertanto è possibile ricorrere alla distribuzione di Student per ottenere la probabilità
che A cada in un intervallo di valori centrato sulla media aritmetica con ampiezza
proporzionale ad s X . Tale probabilità dipende dal numero di gradi di libertà.
Se si considera ad esempio:
P( x A k p (Q ) s X )
p
si ottiene il seguente risultato:
Q
1
10
30
100
f
p=0.682
kp(Q)=1.84
1.05
1.021
1.005
1
p=0.954
13.97
2.28
2.11
2.025
2
p=0.997
235.80
3.96
3.33
3.077
3
2.6. Stima di Altri Parametri Statistici
Se si è interessati a stimare anche la densità di probabilità della variabile X (misura)
a partire da risultati di N prove ripetute, occorre procedere nel modo seguente:
1) se la misura è rappresentabile con una v.a. discreta, dato l’insieme di valori che
la v.a. può assumere ^x1 , x2 ,...x M `, sia Fm il numero di volte che si verifica
l’evento X=xm (Fm è detta frequenza) e sia fm=Fm/N (frequenza relativa). Fm ed fm
sono v.a. e per la legge dei grandi numeri vale che:
lim f
m
P( X
xm )
pm
N of
2) per una v.a continua X è necessario dividere il dominio in classi, ovvero, dato
xMAX realizzazione con il massimo valore e xMIN realizzazione con il minimo
valore, si divide l’intervallo (xMIN, xMAX ) in M sottointervalli Cm (m=1,…,M) (M
classi) di lunghezza 'x= (xMIN-xMAX)/M. Detto xm l’estremo inferiore di Cm, si
definisce l’evento Am = XCm con probabilità pm=P(xm< X d xm+'x )=FX (xm+'x)FX(xm)# fX(xm) 'x.
La frequenza Fm si ottiene contando il numero di volte che si verifica l’evento Am
e la frequenza relativa come fm=Fm/N.
Sia Fm che fm sono v.a. e per la legge dei grandi numeri vale che:
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23
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 2: Introduzione alla Misura
lim f m
FX ( x m 'x ) FX ( x m ) # f X ( x m )'x
P( Am )
N of
Attraverso le frequenze relative è dunque possibile stimare la densità di probabilità.
2.6.1. Legame tra media aritmeca e valor medio
A questo punto è possibile mostrare in modo più chiaro quale sia il legame tra la
media aritmetica ed il valore medio, ad esempio per una v.a. discreta:
x
1
N
N
¦x
i
i 1
1
N
e per N o f
M
¦f
j 1
M
j
xjN
¦f
j
xj
j 1
f j o p( x j )
(10)
dunque:
x o E( X )
2.7. Incertezza Combinata
Si è gia visto quali siano i contributi che devono essere considerati nel calcolo
dell’incertezza (contributi di tipo A e tipo B). Dunque, per valutare la qualità della
misura occorre anche valutare lo scarto o errore dovuto a cause che non fluttuano al
ripetersi della misura (tipo B) e che non possono essere valutate a partire dall’
osservazione dei risultati della misura.
Per il calcolo dell’incertezza combinata si ricorre alla seguente formulazione del
problema: supponiamo che l’errore totale sia dato dalla sovrapposizione di due errori
(per definizione a media nulla) tra loro indipendenti,
eTOT
eA eB
(11)
in cui eA è l’errore descritto dall’incertezza di tipo A (che fluttua con valor medio nullo
al ripetersi della misura) mentre eB è descritto dall’incertezza di tipo B.
Se i due errori sono indipendenti, la varianza dell’errore totale sarà data da:
2
E (eTOT
)
E (eA2 eB2 2eAeB )
E (eA2 ) E (eB2 ) 2 E (eAeB )
(12)
e l’ultimo termine, la covarianza, sarà nullo data l’indipendenza dei due contributi.
Quindi:
2
V TOT
2
E (eTOT
)
E (eA2 ) E (eB2 )
(13)
Il primo termine rappresenta la varianza dell’errore accidentale. La procedura per
ottenere la sua stima ( s x2 ) attraverso l’analisi dei risultati di prove ripetute è stata
oggetto del paragrafo precedente. Per ottenere la stima della varianza dell’errore
totale occorre valutare la varianza dell’errore di tipo B o l’incertezza di tipo B, uB,
data dalla seguente uguaglianza:
uB2
E (eB2 )
(14)
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24
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 2: Introduzione alla Misura
L’incertezza combinata, uTOT, viene poi ottenuta come stima della deviazione
standard dell’errore totale, ovvero come:
s X2 uB2
uTOT
(15)
Per capire come si possa affrontare questo problema consideriamo un semplice
esempio.
Esempio:
Vediamo come sia possibile trattare l’errore strumentale, che è una tipica causa di
incertezza di tipo B.
Supponiamo di effettuare una lettura diretta e che il manuale dello strumento
utilizzato per la misura riporti come dato l’accuratezza della misura, a. Questo dato
viene solitamente interpretato come il massimo errore che gli strumenti di quella
famiglia possono commettere.
Occorre formulare alcune ipotesi sulla densità di probabilità della v.a errore
strumentale. L’ipotesi più conservativa in assenza di ulteriori informazioni si ottiene
considerando una densità di probabilità uniforme nell’intervallo (-a, a).
La varianza associata ad una distribuzione uniforme centrata sullo zero è:
a2
2
uB
3
Se si ipotizza che per la misura presa in considerazione questa sia l’unica causa di
errore di tipo B (o più realisticamente che tutti gli altri errori siano di entità
trascurabile rispetto a questo), si sarà ottenuta la stima della varianza E(eB2), che
potrà essere utilizzata per valutare l’ultimo termine dell’equazione (15).
2.8. Sommario
In breve, per ottenere la stima dell’incertezza combinata si consiglia di seguire la
procedura sintetizzata qui di seguito:
1. considerando di avere a disposizione i risultati di N prove ripetute, stimare il
valore misurato come:
x
1
N
N
¦x
(16)
i
i 1
2. stimare l’incertezza di tipo A come:
sX
N
1
( xi x) 2
¦
N ( N 1) i 1
(17)
3. individuare tutti i contributi significativi che contribuiscono all’errore di tipo B,
eB,i ed effettuare le opportune ipotesi sulle loro distribuzioni (ed eventualmente
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
25
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 2: Introduzione alla Misura
sulla loro correlazione) utilizzando le informazioni disponibili (dati presenti nei
manuali degli strumenti, caratteristiche dei campioni utilizzati, conoscenza del
procedimento di misura, etc.)
4. calcolare E(eB2) come uB2 E ((¦ eB ,i ) 2 ) , valutando per ogni contributo la
i
varianza ed eventualmente la covarianza con altri contributi, se non nulla.
5. stimare l’incertezza combinata come:
S x2 uB2
uTOT
6.
(18)
presentare il risultato della misura come:
x r uTOT
2.9. Misurazioni Dirette ed Indirette
Le misurazioni possono essere fatte sostanzialmente mediante due tipi di
approcci. Si può misurare una grandezza effettuando direttamente un confronto
con il campione (per esempio una lunghezza utilizzando un metro campione). In
tal caso la misura che si effettua prende il nome di misurazione diretta.
L’altro approccio che può essere utilizzato è quello detto misurazione indiretta,
in cui si sfrutta il legame funzionale tra il misurando ed alcune grandezze che si
misurano in maniera diretta. Dunque da più misure dirette si ricava, applicando
il legame funzionale noto, il misurando incognito. In questo caso l’incertezza
dipende ovviamente sia dall’incertezza ottenuta nei processi di misura diretti sia
dal legame funzionale utilizzato. Un tipico esempio è la misura del valore di un
resistore con un metodo Volt-Amperometrico. La resistenza, infatti, è
esprimibile come:
R
V
I
(19)
,
quindi, misurando V ed I , si ricava il valore della resistenza di interesse.
2.10.
Propagazione delle Incertezze di Tipo A e B
2.10.1.
Misure Indirette
Data la grandezza Y esprimibile come funzione di altre grandezze Xi (i=1,..K):
Y
f X 1 , X 2 , X 3 , (20)
Se si suppone di misurare in modo indiretto la Y attraverso la misura delle Xi, il valore
misurato y si ottiene come:
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26
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 2: Introduzione alla Misura
y
f x1 , x2 , x3 ,...
(21)
per calcolare l’incertezza, si deve considerare come l’errore eY sia legato agli errori
sulle grandezze misurate exi:
f x1v eX1 , x2v eX 2 , x3v eX 3 ,
yv eY
(22)
in cui yv ed xiv indicano i valori veri convenzionali.
Considerando errori di piccola entità e sviluppando in serie di Taylor la (22) (troncata
al primo ordine) si ottiene:
wf
wxi
f ( x1v , x2 v ,x 3v ,....) ¦
yv eY
i
exi
(23)
x1 , ,x 2 ,.. x1 v ,x 2 v ,..
La varianza dell’errore (che coincide con quella della grandezza misurata) può
essere ottenuta nel seguente modo:
2
§ § wf
§ § wf
··
· ·¸
·§ wf
¨
E( eY ) E ¨¨ ¦
ex ¸¸
E ¨ ¨¨ ¦
ex ¸¸¨ ¦
ex ¸ ¸
¨ © i wxi ¹¨ j wx j ¸ ¸
¨ © ii wxi ¹ ¸
©
¹¹
©
©
¹
2
§ § wf
§ § wf
··
· ·¸
·§ wf
¨
E ¨¨ ¦
ex ¸¸ E ¨ ¨¨ ¦
ex ¸¸¨ ¦
ex ¸ ¸
¨ © i wxi ¹¨ j wx j ¸ ¸
¨ © i wxi ¹ ¸
© iz j
¹¹
©
¹
©
2
i
i
i
i
j
2
§ wf
¦ ¨¨
i
© wxi
§ wf
¦ ¨¨
i
© wxi
j
(24)
·
¸ E( ex 2 ) ¦ ¦ wf wf E( ex ex )
¸
i j
wxi wx j
iz j
¹
x
i
j
2
· 2
¸ V x ¦ ¦ wf wf U x x V x V x
¸
i j
wxi wx j
iz j
¹
i
i
j
i
j
in cui UXi,Xj rappresenta il coefficiente di correlazione.
Pertanto utilizzando questa formula e sostituendo le varianze con i quadrati delle
incertezze stimate, l’incertezza uy di y si ottiene con la seguente espressione:
2
uy
§ wf · 2
wf wf
¸¸ u x ¦ ¦
U x x u x u x (25)
¦ ¨¨
i
j
i
w
w
x
x
x
w
i
j
© i¹
iz j
i
i
j
i
j
Se gli errori sulle grandezze Xi si possono considerare statisticamente indipendenti, il
coefficiente di correlazione U X , X è nullo.
i
j
In caso contrario è necessario stimarlo facendo delle ipotesi statistiche, oppure, nel
caso di errori di tipo A, sfruttando i risultati di N prove ripetute e applicando la
seguente formula per calcolare la covarianza sperimentale:
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
27
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 2: Introduzione alla Misura
1
( N 1) N
CX i , X j
N
N
¦¦ ( x
xi )( x jn x j )
im
(26)
n 1m 1
in cui xim rappresenta la misura della i-esima grandezza alla m-esima ripetizione. La
stima di U X , X si ottiene come:
i
rX i , X j
j
CXi , X j
(27)
sxi sx j
nel caso in cui U X
i
,X j
=1 si ha totale correlazione degli errori (dipendenza lineare) la
(25) diventa:
uy
¦
i
wf
ux
wxi
i
(28)
Questa equazione è del tutto identica alla legge che si utilizza per calcolare l’errore
massimo, ed è il valore più conservativo che possa essere ottenuto (worst case
design ovvero massimo per la (21)).
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
28
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 2: Introduzione alla Misura
2.A. Appendice: Il sistema internazionale (SI)
La definizione di un sistema di unità di misura nasce dall'esigenza di utilizzare
comuni unità di misura per la quantificazione delle grandezze fisiche, allo scopo di
favorire gli scambi commerciali e gli studi scientifici tra persone della stessa, o
differente nazione. In tal senso nel 1875, a Parigi, i rappresentanti di soli 17 paesi, si
riunirono per approvare la CONVENZIONE SUL METRO, e conseguentemente
adottare una comune Unità per la Misura delle lunghezze. In contemporanea vide
la luce anche l'organismo internazionale della metrologia: la Conferenza
Generale dei Pesi e delle Misure (CGPM).
Il Sistema Internazionale di unità di misura è stato adottato dalla XI Conferenza
generale di pesi e misure, tenutasi a Parigi nel 1960; è indicato in tutto il mondo con
la sigla SI. Nella Conferenza, organizzata con lo scopo di adottare un sistema di
misura universale, unificato e coerente, basato sul sistema MKS (metro-kilogrammosecondo), sono state definite le unità di sei grandezze fondamentali e di due
grandezze supplementari; una settima unità fondamentale, la mole, è stata aggiunta
nel 1971. Le unità fondamentali che definiscono l’SI sono riportate in tabella 1.
Il SI è un sistema metrico completo che consente di rappresentare tutti i fenomeni
fisici e chimici conosciuti, è razionale (cioè non contiene fattori irrazionali nelle
relazioni che legano le unità), assoluto (indipendente dal tempo e dallo spazio)
decimale e coerente.
IIn Italia il DPR 802 del 1982 stabilisce l’adozione del SI, mentre nel DM 591 del 1994 sono definiti
i campioni nazionali, realizzati e custoditi presso gli Istituti Metrologici nazionali (INRIM, ex IEN e IMGC)
ed ENEA. La legge 273/91 istituisce il servizio Nazionale di Taratura.
Tabella1 – Unità SI
grandezza
unità
simbolo
definizione
lunghezza
metro
m
tragitto percorso dalla luce nel vuoto in un tempo di 1/299 792 458 di secondo
massa
kilogrammo
kg
massa del campione platino-iridio, conservato nel Museo Internazionale di Pesi e
Misure di Sèvres (Parigi)
intervallo di
tempo
secondo
s
durata di 9 192 631 770 periodi della radiazione corrispondente alla transizione tra i
livelli iperfini dello stato fondamentale dell'atomo di cesio-133
intensità di
corrente
elettrica
ampere
A
quantità di corrente che scorre all'interno di due fili paralleli e rettilinei, di lunghezza
infinita e sezione trascurabile, immersi nel vuoto ad una distanza di un metro, induce in
loro una forza di attrazione o repulsione di 2*10 -7 N per ogni metro di lunghezza
temperatura
termodinamica
kelvin
K
valore corrispondente a 1/273,16 della temperatura termodinamica del punto triplo
dell'acqua
quantità di
sostanza
mole
mol
quantità di materia di una sostanza tale da contenere tante particelle elementari quante
ne contengono 0,012 kg di carbonio-12. Tale valore corrisponde al numero di Avogadro
intensità
luminosa
candela
cd
intensità luminosa di una sorgente che emette una radiazione monocromatica con
frequenza 540*10 12 Hz e intensità energetica di 1/683 W/sr.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
23-1
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 2: Introduzione alla Misura
Tabella 2- Unità supplementari SI
angolo piano
radiante
rad
angolo solido
steradiante
sr
angolo al centro di una circonferenza che sottende un arco di lunghezza pari al raggio. 1rad
=180°/S
angolo che su di una sfera con centro nel vertice dell' angolo intercetta una calotta di area
uguale a quella di un quadrato avente lato uguale al raggio della sfera stessa.
(1) norma ISO 31 – 1 :1992
2.A.1.
2.A.1.1
Le grandezze fondamentali
Intervallo di tempo
Il secondo (s) è la durata di 9 192 631 770 periodi della radiazione corrispondente
alla transizione fra i due livelli iperfini dello stato fondamentale dell’atomo di cesio
133.
2.A.1.2
Lunghezza
Il metro (m) è la lunghezza del tragitto percorso nel vuoto dalla luce in 1/299 792 458
di
secondo.
La definizione formulata come equazione matematica è la seguente:
1 m = c•t, dove t = 1/299 792 458 s.
Ne consegue che c = 299 792 458 m/s.
I simboli c, t e s stanno rispettivamente per velocità della luce nel vuoto, tempo e
secondo.
La definizione del metro assegna un valore fisso alla velocità della luce c. Quindi,
questa costante fondamentale non può più essere misurata essendo stata
assunta come esatta. Ne consegue che l’unità di lunghezza dipende dal secondo,
unità di tempo.
2.A.1.3 Massa
Il chilogrammo (kg) è pari alla massa del prototipo internazionale del chilogrammo.
Finora non è stato possibile associare con sufficiente accuratezza l’unità della massa
a costanti naturali. Pertanto, come campione di riferimento per determinare la massa
si utilizza ancora oggi il chilogrammo prototipo materiale preparato nel 1889 con una
lega del 90 % di platino e del 10 % d’iridio. È custodito nel Bureau International des
Poids et Mesures (BIPM) a Sèvres presso Parigi.
Per trasmettere questa unità alla grande maggioranza delle Nazioni aderenti alla
Convenzione del Metro sono state consegnate copie del chilogrammo prototipo di
Parigi, i così detti campioni nazionali, i quali vengono utilizzati nei Laboratori
nazionali di metrologia per controllare i campioni di lavoro con i quali si verificano
infine i pesi e le bilance usati nella pratica.
Si sta recentemente studiando una nuova definizione di chilogrammo, basata su
costanti fondamentali e fenomeni atomici. Ciò allo scopo di renderla maggiormente
accurata e realizzabile in ogni laboratorio specializzato.
Una delle proposte su cui si sta lavorando è quella di legare la definizione di
chilogrammo al numero di Avogadro N = 6.022 141 99(47) u 1023 mol-1 , questo valore
è stato determinato con un’incertezza relativa di 8 parti su cento milioni ed è definito
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
23-2
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 2: Introduzione alla Misura
come il numero di atomi che sono contenuti in 12 g (numero esatto) del nuclide 12C
(si rammenti che 12C = 12 è la base di riferimento dei pesi atomici). Siccome questo è
il numero di unità chimiche contenuto in ogni mole, N ha unità di misura mol-1. Se si
riuscisse a ridurre l’incertezza con cui è noto ad una sola parte su cento milioni,
sarebbe possibile fondare la definizione dell’unità di massa sulla costante di
Avogadro (che sarebbe a tal punto considerato una costante fondamentale senza
alcuna incertezza), così come il metro è definito assegnando il valore 299 792 458
m/s alla velocità della luce.
Delle proposte alternative di definizione del kilogrammo sono:
x L'utilizzo della bilancia di Watt (un apparato elettromeccanico usato per la
definizione dell'ampere) per correlare il chilogrammo alla costante di Planck,
sfruttando le definizioni di volt e di ohm.
x Da quando il valore della costante di Josephson (CIPM (1988) Raccomandazione
1, PV 56; 19) e della costante di Von Klitzing (CIPM (1988), Raccomandazione 2,
PV 56; 20) si conoscono con sufficiente accuratezza (KJ Ł 4.835 979×1014 Hz/V e
RK Ł 2.581 280 7×104 ȍ), è stato proposto di ridefinire il chilogrammo come:
Il chilogrammo è quella massa che subisce una accelerazione di 2×10í7 m/s2 se
soggetta alla forza che si sviluppa tra due conduttori retti, paralleli, di lunghezza
infinita e sezione circolare trascurabile, posti nel vuoto alla distanza di un metro,
attraverso cui scorre una corrente elettrica costante di 6,241 509 629 152
65×1018 cariche elementari al secondo.
2.A.1.4
Temperatura
Il kelvin (K) è la frazione 1/273.16 della temperatura termodinamica del punto triplo
dell’acqua.
Il punto triplo dell’acqua corrisponde all’unico stato termodinamico in cui le fasi
liquida, solida e gassosa sono in equilibrio fra loro. Fintanto che le tre fasi
coesistono, la temperatura e la pressione rimangono costanti e sono indipendenti
dalla quantità delle singole fasi. Il punto triplo dell’acqua e lo zero assoluto risultante
dalla legge naturale definiscono la scala termodinamica della temperatura.
La realizzazione pratica della scala termodinamica avviene di regola con una serie di
punti fissi di temperatura altamente stabili i cui valori termodinamici sono stati
determinati tramite termometri primari – ad es. termometri a gas - e quindi stabiliti a
livello internazionale dalla Scala internazionale della temperatura (ITS-90).
2.A.1.5
Quantità di sostanza
La mole (mol) è la quantità di sostanza di un sistema che contiene tante entità
elementari quanti sono gli atomi in 0.012 chilogrammi di carbonio 12. Quando si usa
la mole, le entità elementari devono essere specificate; esse possono essere atomi,
molecole, ioni, elettroni, altre particelle, oppure raggruppamenti specificati di tali
particelle.
Nota: Questa definizione si riferisce ad atomi che si trovano nello stato
fondamentale, in riposo e non legati.
Se si conoscono le masse atomica e molecolare relative, il numero di particelle (che
debbono essere esattamente definite) può essere determinato tramite pesatura,
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
23-3
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 2: Introduzione alla Misura
tenendo conto che 1 mole contiene tante entità elementari quanti sono gli atomi
contenuti in 12 g del nuclide di carbonio 12C, cioè un numero pari al numero di
Avogadro. La mole è stata accettata come settima unità di base nel SI soltanto nel
1971, in occasione della 14a Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure (CGPM).
2.A.1.6
Intensità di corrente elettrica
L’ampere (A) è l’intensità di una corrente elettrica costante che, percorrendo due
conduttori paralleli rettilinei, di lunghezza infinita, di sezione circolare trascurabile,
posti alla distanza di un metro l’uno dall’altro nel vuoto, produrrebbe fra questi
conduttori una forza uguale a 2•10-7 N per metro di lunghezza.
Proposta nel 1946 dal Comité International des Poids et Mesures (CIPM), la
definizione attualmente valida dell’ampere è stata accettata a livello internazionale
nel 1948. La definizione dell’ampere non si presta alla realizzazione pratica dell’unità
d’intensità della corrente elettrica; con essa però si stabilisce il valore della
permeabilità magnetica del vuoto µ0. Se si calcola con l’ausilio della legge di
Ampère la forza tra due conduttori paralleli rettilinei a distanza di un metro e si
introducono i valori della definizione di ampere, si ottiene:
F
I2
P0
o P 0 4S 10 7 Hm 1
l
2Sd
F/l: forza per metro di lunghezza del conduttore; I: intensità di corrente; d: distanza
dei conduttori
Come quella del metro, la definizione di ampere serve unicamente a stabilire una
costante fondamentale. Stabilendo µ0 e la velocità della luce c (definizione metrica),
è pure stabilita la costante dielettrica del vuoto H0. Tramite questi valori e le note leggi
fisiche vi sono molte possibilità di realizzare valori assoluti di grandezze elettriche per
l’utilizzo in tarature. Presso numerosi laboratori nazionali di metrologia i campioni di
grandezze elettriche vengono realizzati sfruttando effetti quantistici.
2.A.1.7
Intensità luminosa
La candela (cd) è l’intensità luminosa, in una determinata direzione, di una sorgente
che emette una radiazione monocromatica di frequenza 540•1012 Hz e la cui intensità
energetica in tale direzione è di 1/683 watt per steradiante.
Essendo la luce nient’altro che una radiazione elettromagnetica misurabile con unità
già note, non sarebbe di per sé necessario creare un’unità di misura particolare. E’
stato tuttavia convenuto di creare unità che servano per la quantificazione dell’effetto
della radiazione elettromagnetica sulla vista umana e, per ragioni storiche, è stata
anche definita una unità di base specifica. Con le unità fotometriche non viene quindi
misurata la luce soltanto secondo la sua natura fisica, ma ne viene misurata la
percezione dell’occhio umano.
Ove si voglia quantificare l’effetto della luce sull’occhio umano, come è attualmente il
caso nella fotometria, occorre una misura per la sensibilità media dell’occhio umano
alle singole componenti cromatiche della luce visibile. Tale misura è data dal fattore
spettrale di visibilità V(Ȝ), i cui valori sono stati determinati a partire da misurazioni
fatte su numerosi individui e sono state fissate internazionalmente per le lunghezze
d’onda comprese tra 360 e 830 nm.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
23-4
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 2: Introduzione alla Misura
2.A.2.
Costanti fondamentali del sistema internazionale:
x permeabilità magnetica del vuoto µ0 = 4S10-7 m kg/(s2A2) (H/m)
x velocità della luce nel vuoto c=299 792 458 m/s
x costante dielettrica del vuoto H0=8.8541878176 10-12 s4A2/(kg m3) (F/m)
2.A.3.
Prefissi utilizzati nel sistema internazionale
Tabella 3
1 000 000 000 000 000 000 000 000
1 000 000 000 000 000 000 000
1 000 000 000 000 000 000
1 000 000 000 000 000
1 000 000 000 000
1 000 000 000
1 000 000
1 000
100
10
0.1
0.01
0.001
0.000 001
0.000 000 001
0.000 000 000 001
0.000 000 000 000 001
0.000 000 000 000 000 001
0.000 000 000 000 000 000 001
0.000 000 000 000 000 000 000 001
2.A.4.
= 1024
= 1021
= 1018
= 1015
= 1012
= 109
= 106
= 103
= 102
= 101
= 10-1
= 10-2
= 10-3
= 10-6
= 10-9
= 10-12
= 10-15
= 10-18
= 10-21
= 10-24
Yotta
Zetta
Exa
Peta
Tera
Giga
Mega
Chilo
Etto
Deca
Deci
Centi
Milli
Micro
Nano
Pico
Femto
Atto
Zepto
Yocto
Y
Z
E
P
T
G
M
k
h
da
d
c
m
µ
n
p
f
a
z
y
Unità definite indipendentemente alle unità SI di base
grandezza
unità
simbolo
definizione
massa
unità di massa
atomica
u
l'unità di massa atomica è pari a 1/12 della massa di un atomo del nuclide 12C
energia
elettronvolt
eV
l'elettronvolt è l'energia acqusita da un elettrone che passa nel vuoto da un punto ad un'altro che
abbia un potenziale superiore di 1 volt
1 u = 1.6605655 x 10-27 kg
1 eV = 1.6021892 x 10-19 J
2.A.5.
Definizione delle Unità SI derivate
Le unità SI derivate si ottengono combinando tra loro le unità di base in monomi del
tipo seguente:
mD· kgE· sJ· AG· KH· mol[· cdK
con coefficiente numerico 1; gli esponenti D, E, J, ecc sono numeri interi (compreso lo
zero).
Ad esempio l'unità SI di volume è il metro cubo (simbolo m3); l'unità di accelerazione
è il metro al secondo al quadrato (simbolo m·s-2 o m/s2), l'unità di quantità di moto è il
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
23-5
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 2: Introduzione alla Misura
metro per kilogrammo al secondo (simbolo m·kg·s-1 ovvero m·kg/s). Quando, nel
rappresentare un'unità derivata, al denominatore compaiono più unità bisogna fare
ricorso agli esponenti negativi o all'uso di parentesi per evitare equivoci. L'unità di
viscosità dinamica è il kilogrammo al metro al secondo; essa si esprime quindi in
kg·m-1·s-1 o, in modo sicuramente non ambiguo, in kg/(m·s).
Tra le unità SI di base l’unità di massa è la sola il cui nome contiene un prefisso, per
ragioni storiche. I multipli e sottomultipli dell’unità di massa si formano aggiungendo i
nomi del prefisso all’unità "grammo" ed il simbolo del prefisso al simbolo dell’unità
"g".
Esempio: 10-6 kg = 1 mg (un milligrammo) e non 1 µkg (un microkilogrammo).
Nelle tabelle seguenti sono riportate le grandezze derivate con unità di misura
dotate di nome proprio.
Tabella 4 Grandezze definite in meccanica
Grandezza
Unità
Simbolo
hertz
Hz
1 Hz = 1 s-1
Forza
newton
N
1 N = 1 kg m s-2
Pressione
pascal
Pa
1 Pa = 1 N m-2
Lavoro, energia
joule
J
1J=1Nm
Potenza
watt
W
1 W = 1 J s-1
Frequenza
Comversione
Tabella 5 Grandezze definite in termodinamica
Grandezza
Temperatura Celsius
Unità
Simbolo
grado Celsius
°C
Conversione
T(°C) = T(K) –
273,15
Tabella 6 Grandezze definite in elettromagnetismo
Grandezza
Carica elettrica
Differenza di potenziale
elettrico
Capacità elettrica
Resistenza elettrica
Conduttanza elettrica
Flusso
d'induzione
magnetica
Induzione magnetica
Unità
Simbolo
coulomb
C
1C=1sA
volt
V
1 V = 1 W A-1
farad
F
1 F = 1 C V -1
ohm
siemens
Ÿ
S
1 Ÿ = 1 V A -1
1 S = 1 W-1
weber
Wb
1 Wb = 1 V s
tesla
T
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
Conversione
1 T = 1 Wb m -2
23-6
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 2: Introduzione alla Misura
Induttanza
henry
1 H = 1 Wb A-1
H
Tabella 7 Grandezze definite in fotometria
Grandezza
Unità
Simbolo
Flusso luminoso
lumen
lm
1 lm = 1 cd sr
lux
lx
1 lx = 1 lm m -2
Illuminamento
Conversione
Tabella 8 Grandezze definite in dosimetria
Grandezza
Unità
Simbolo
Attività (di un radionuclide)
becquerel
Bq
1 Bq = 1 s -1
gray
Gy
1 Gy = 1 J kg-1
sievert
Sv
1 Sv = 1 J kg -1
Dose assorbita, kerma
Equivalente di dose
2.A.6.
Conversione
Unità di misura non SI autorizzate
Tabella 9 Unita non SI
Grandezza
Unità
Simbolo
Conversione
Volume
litro
l
1 l = 10 m3
Massa
tonnellata
t
1 t = 103 kg
Massa
unità di massa atomica
u
1 u = 1,66x10-27 kg
Tempo
minuto
min
1 min = 60 s
Tempo
ora
h
1 h = 3600 s
Tempo
giorno
d
1 d = 86400 s
bar
bar
1 bar = 105 Pa
elettronvolt
eV
1 eV = 1,6x10 -19 J
Pressione
Energia
-3
2.A.7.
Unità di misura non SI vietate
Nella tabella seguente sono elencate alcune unità di misura spesso usate nella
pratica e non più ammesse legalmente. Fino al 31-12-2009 tali unità potranno essere
utilizzate solo se accompagnate dalle corrispondenti unità legali.
Tabella 10 Unità non SI vietate
Grandezza
Massa
Forza
Pressione
Pressione
Energia
Denominazione
quintale
kilogrammo-forza
torr
atmosfera
caloria a 15 C
caloria internaz.
caloria termochim.
Simbolo
q
kgf
torr
atm
cal15
calit
caltc
Conversione
100 kg
9,80665 N
33,322 Pa
101325 Pa
4,1855
4,1868
4,1840 J
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
J
J
23-7
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 2: Introduzione alla Misura
Potenza
2.A.8.
cavallo vapore
CV
735,499 W
SNT - Sistema Nazionale di Taratura
Con legge 11 agosto 1991 n. 273: Istituzione del Sistema Nazionale di Taratura, il
legislatore ha affidato al SNT il compito di assicurare la riferibilità dei risultati delle
misurazioni ai campioni nazionali. Questo Sistema è costituito dagli istituti metrologici
primari e dai Centri di taratura. In virtù di tale legge, svolgono le funzioni di Istituti
metrologici primari:
1) L’INRIM (Isituto Nazionale di Ricerca Metrologica, http://www.inrim.it/) istituito nel
2006 che riunisce i preesistenti Istituti:
x Istituto di Metrologia Gustavo Colonnetti (IMGC) del Consiglio Nazionale delle
Ricerche, di Torino, per i campioni riguardanti le unità di misura impiegate nel
campo della meccanica e della termologia (http://www.imgc.to.cnr.it/)
x Istituto Elettrotecnico Nazionale Galileo ferrarsi (IEN), di Torino, per i campioni
riguardanti le unità di misura del tempo e delle frequenze e per le unità di misura
impiegate nel campo dell'elettricità, della fotometria, dell'optometria e dell'acustica
(http://www.ien.it/);
2) L'Ente per le Nuove Tecnologie, l'Energia e l'Ambiente (ENEA) di Roma, per i
campioni nazionali delle unità di misura impiegate nel campo delle radiazioni
ionizzanti (http://www.enea.it/).
Su proposta degli Istituti metrologici primari, nel febbraio 1994, è stato infine definito,
con un apposito decreto legge, l'insieme dei campioni nazionali di alcune unità di
misura del Sistema Internazionale per quanto riguarda sia le unità SI di base sia
alcune unità derivate. Per ciascuna di esse viene indicato il campione (e la relativa
incertezza), l'istituto che lo realizza, mantiene e dissemina. Gli Istituti metrologici
primari, per svolgere la loro attività, si avvalgono anche delle risorse messe a
disposizione da altri Istituti che svolgono attività metrologiche.
A partire dal 1997 gli Istituti metrologici primari, per mezzo delle loro Strutture di
Accreditamento hanno effettuato l’accreditamento di numerosi Laboratori metrologici
secondari quali Centri di taratura, costituendo così il SIT – SERVIZIO DI TARATURA
IN ITALIA.
Con deliberazioni del dicembre 2003 IMGC/CNR e IEN hanno trasferito la
responsabilità e il controllo dell’accreditamento al Responsabile della Segreteria
Centrale del SIT. Dal maggio 2004 tale autorità è stata estesa per le attività che
riguardano ogni tipo di Laboratorio di taratura, per qualunque tipo di grandezza fisica.
La procedura di accreditamento iniziale si conclude con l’emissione di un Certificato
di accreditamento, in cui il SIT attesta la competenza del Laboratorio ad effettuare
tarature che assicurano nel tempo la riferibilità ai campioni nazionali o internazionali
e riconosce al Laboratorio la facoltà di emettere certificati di taratura SIT, che
presentano l’intestazione SIT – SERVIZIO DI TARATURA IN ITALIA, per gli
strumenti, i campi, le incertezze e le condizioni di misura specificate in un’apposita
tabella di accreditamento.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
23-8
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 2: Introduzione alla Misura
Questi certificati, che hanno la stessa validità tecnica di quelli rilasciati dagli Istituti
metrologici primari, naturalmente tenendo conto dei livelli d’incertezza dichiarati,
garantiscono la riferibilità della strumentazione tarata. Essi hanno trovato una
favorevole accoglienza non solo a livello nazionale, ma anche in misura crescente a
livello internazionale, grazie agli accordi di mutuo riconoscimento tra il SIT e gli
analoghi Organismi di accreditamento di Paesi diversi.
La riferibilità della strumentazione è richiesta in misura crescente nei più diversi
settori: attività di ricerca e sviluppo, laboratori di prova addetti alla certificazione
tecnica dei prodotti, sistemi per il controllo automatico di processi di produzione,
aziende che operano in regime di assicurazione della qualità e pubbliche
amministrazioni. In particolare, sono stati stabiliti stretti rapporti con il Sistema
Nazionale Accreditamento di Laboratori (SINAL) e con il Sistema Nazionale
Accreditamento di Organismi di Certificazione (SINCERT), con i quali si collabora
nella federazione FIDEA, al fine di garantire un coordinamento delle procedure
operative richieste da tali sistemi.
2.A.8.1
I Campioni nazionali
Tabella 10 Campioni nazionali delle unità fondamentali dell’istituto G. Colonnetti
Grandezza
nome dell’unità
(simbolo)
Descrizione
Incertezza tipo
o incertezza tipo relativa
lunghezza
metro [m]
Laser HeNe stabilizzati per riferimento a
transizioni dello iodio.
2,5u10-11
massa
kilogrammo [kg]
Copia n. 62 del prototipo internazionale
2,3 Pg
temperatura
termodinamica
kelvin [K]
Scala internazionale di temperatura del 1990 (STI90)
0,1mK (273,16 K)
0,1 mK (24,6 K)
0,3 K (2500 K)
angolo piano
radiante [rad]
Tavole a indice e generatori di piccoli angoli
0,24 Prad
Tabella 11 Campioni nazionali delle unità fondamentali dell’istituto G. Ferraris
Grandezza
nome dell’unità
(simbolo)
tempo
secondo [s]
Descrizione
Incertezza tipo
o incertezza tipo relativa
da un insieme di orologi atomici al cesio
indipendenti ed è confrontata via satellite con le
1u10-13
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
23-9
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 2: Introduzione alla Misura
secondo [s]
scale di tempo degli altri paesi. Essa è mantenuta
entro ± 100 ns rispetto alriferimento internazionale
UTC (Universal Time Coordinated ).
Intensità di
corrente
ampere [A]
è derivata dal campione nazionale di tensione
elettrica (schiera di giunzioni Josephson) e di
resistenza elettrica (dispositivo per l'effetto Hall
quantistico). La derivazione avviene secondo la
relazione I = U/R tra la corrente
5u10-7
Intensità di
radiazione
candela [cd]
derivazione dai campioni nazionali di tensione
elettrica e di resistenza elettrica mediante un
radiometro assoluto; essa è conservata mediante
un gruppo di lampade ad incandescenza
alimentate in corrente continua e tarate ad
intensità dicorrente costante.
5u10-3 per intensità
luminose da 100cd a
500cd
Tabella 12 campioni nazionali di unità SI derivate
Angolo piano
IMGC
Massa volumica
IMGC
Portata di massa
IMGC
Forza
IMGC
Pressione
IMGC
Pressione sonora
IEN
Potenza elettrica
IEN
Tensione elettrica
IEN
Intensità di campo elettrico
IEN
Resistenza elettrica
IEN
Capacità elettrica
IEN
Flusso di induzione magnetica
IEN
Induzione magnetica
IEN
Induttanza
IEN
Flusso luminoso
IEN
Attività (dei radionuclidi)
ENEA
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
23-10
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 2: Introduzione alla Misura
Dose assorbita
ENEA
Densità di flusso di neutroni
ENEA
Esposizione
ENEA
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
23-11
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
alternata
3. Strumenti per la misura di grandezze
elettriche in continua ed alternata
3.
Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata .......... 29
3.1. Introduzione ............................................................................................... 29
3.2. Strumenti Elettromeccanici......................................................................... 29
3.2.1. Strumenti Magnetoelettrici .................................................................. 30
3.2.2. Strumenti Elettrodinamici .................................................................... 38
3.2.3. Considerazioni Finali........................................................................... 39
3.3. Strumenti Elettronici Analogici.................................................................... 40
3.3.1. Dal Voltmetro all’Amperometro ........................................................... 41
3.3.2. Dal Voltmetro all’Ohmetro ................................................................... 42
3.3.3. Voltmetro in AC ................................................................................... 43
3.3.4. I Multimetri........................................................................................... 50
3.4. Strumenti Elettronici Numerici: Voltmetri Numerici ad Integrazione ........... 51
3.4.1. Il Voltmetro Numerico con Convertitore AD a Doppia Rampa............. 51
3.4.2. Multimetri Digitali................................................................................. 57
3.4.3. Specifiche di un DMM ......................................................................... 58
.
3.1. Introduzione
In questa sezione verranno presentati alcuni strumenti elettronici tra i più semplici e
diffusi. La prima parte del capitolo fornisce un accenno sugli strumenti
elettromeccanici; tali strumenti, sebbene obsoleti, presentano caratteristiche che
possono risultare utili per la comprensione del funzionamento degli strumenti più
attuali e delle loro caratteristiche (sensibilità, portata,errori di misura e banda).
3.2. Strumenti Elettromeccanici
Gli strumenti elettromeccanici classici si dividono in diverse categorie a seconda del
principio di funzionamento. In generale sono strumenti che sfruttano la conversione
dell’energia elettrica in energia meccanica. Quest’ultima viene utilizzata per muovere
un indice ancorato ad un equipaggio mobile (indicatore) su di una scala graduata, ed
ottenere così l’indicazione della grandezza misurata.
Sono perciò intrinsecamente passivi: l’energia utilizzata per il funzionamento dello
strumento viene infatti sottratta al sistema sotto misura.
Qui di seguito descriveremo brevemente il funzionamento degli strumenti detti ad
azione proporzionale o magnetoelettrici, che possono essere utilizzati per misure in
corrente continua e quello degli strumenti elettrodinamici, che vengono normalmente
utilizzati per le misure di tensioni e correnti in AC (a frequenza industriale).
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
29
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
alternata
3.2.1. Strumenti Magnetoelettrici
Sono strumenti ampermetrici (misurano la corrente che percorre una spira). Sono
costituiti da un equipaggio mobile su cui è montata una bobina percorsa dalla
corrente sotto misura, I. Le spire della bobina (vedi figura 1) sono poste in un campo
magnetico B generato da un magnete permanente tra le espansioni polari.
I due lati della spira ortogonali al campo B sono soggetti ad una forza data da:
dF
I dL š B
(1)
La bobina mobile (composta da N spire) è soggetta ad una coppia elettromotrice, Cm,
data da:
Cm
NBIL1 L2
(2)
KI
La coppia elettromotrice è proporzionale alla corrente I sotto misura, tramite una
costante che dipende dalle caratteristiche costruttive dello strumento.
L’equipaggio mobile è vincolato alla sua posizione di riposo tramite una molla
torsionale. Esso è pertanto sottoposto anche alla coppia antagonista data
da: C A K M G , in cui KM è la costante della molla e G indica la deviazione angolare
dell’equipaggio mobile dalla sua posizione di riposo.
All’equilibrio le due azioni si bilanceranno nel modo seguente:
KI
KM G Ÿ G
K
I
KM
(3)
La posizione angolare dell’equipaggio mobile risulta proporzionale alla corrente che
circola nella bobina mobile. Vincolando un indice all’equipaggio mobile e facendolo
muovere su di una scala graduata opportunamente tarata è possibile ottenere una
lettura diretta della corrente che percorre la bobina.
B
L2
Fa
I
Fb
G
L1
Asse di rotazione
qG
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30
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
alternata
Figura 1. Schemi di uno strumento magneto-elettrico
3.2.1.1 Analisi della Risposta Dinamica dello Strumento
Consideriamo adesso la risposta dinamica del sistema. L’equazione del moto del
dell’equipaggio mobile è data da:
J G K M G K V G KI
(4)
La (4) tiene conto del coefficiente di attrito viscoso (Kv), della forza di richiamo
elastica (KM) e della costante strumentale (K). J è il momento d’inerzia.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
31
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
alternata
E’ una dinamica del secondo ordine che, come ben noto, può presentare, in funzione
dei parameri caratteristici, un andamento con presenza o meno di sovraelongazioni
ed oscillazioni più o meno marcate. Riportando il sistema nella variabile di Laplace e
considerando come ingresso la corrente e come uscita la variazione angolare della
bobina otteniamo:
G( s )
Cm ( s )
1
Js K V s K M
2
(5)
La (5) rappresenta la f.d.t. nel dominio s del sistema sotto esame.
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32
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
alternata
Questo strumento si utilizza per la misura di grandezze in DC.
Tipicamente per gli strumenti elettromeccanici la risposta al transitorio si esaurisce in
tempi che sono dell’ordine del secondo. Una caratteristica desiderabile per questi
strumenti è che la dinamica non risulti sottosmorzata: si cerca in genere di realizzare
strumenti che siano caratterizzati da uno smorzamento leggermente al di sopra di
quello critico.
La dinamica del sistema qualifica lo strumento in termini di prontezza, cioè ci dice
quale sia il tempo che lo strumento impiega per adattare l’indicazione ad una brusca
variazione della grandezza sotto esame.
Si vede anche che questi strumenti ad azione proporzionale sono filtri passa-basso,
con una banda che è determinata essenzialmente dalle caratteristiche meccanicocostruttive. Se si pone in ingresso ad uno di questi strumenti una grandezza in AC (a
frequenze industriali 50 Hz) si ottiene l’indicazione del valor medio ovvero
un’indicazione nulla.
3.2.1.2 Portata dello Strumento
In generale ciascuno strumento sarà utilizzabile per misurare grandezze che cadono
in un ben preciso intervallo di valori. La portata (o fondo-scala) dello strumento
indica la massima grandezza misurabile. Ad esempio per il semplice strumento
presentato la portata indica la corrente IFS che causa la massima deviazione
ammissibile dell’indicatore.
Per quanto riguarda la portata dello strumento, questa si aggira, per un buon
galvanometro intorno ai 50PA. Resta un’ultima considerazione sulla polarità della
corrente. Poiché l’ago indicatore solitamente poggia, in posizione di riposo, su un
perno in corrispondenza dello zero della scala è necessario fornire la corrente nel
verso opportuno (indicato dal costruttore) per non danneggiare lo strumento facendo
piegare l’ago. Tuttavia per ovviare a questa situazione esistono strumenti con lo zero
a centro scala, liberi cioè di muoversi indifferentemente in entrambe le direzioni.
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33
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
alternata
3.2.1.3 Dal Galvanometro all’Amperometro
Per ottenere uno strumento di maggior utilità è possibile estendere la sua
applicabilità inserendo dei componenti aggiuntivi:
Vediamo in figura 2 rappresentati a) lo strumento magnetoelettrico descritto in
precedenza, come un ampermetro ideale (resistenza nulla) con in serie una
resistenza Ra che rappresenta la resistenza della bobina, b) uno strumento ottenuto
connettendo una resistenza Rs in parallelo alla bobina ampermetrica.
Questa resistenza detta resistenza di Shunt viene utilizzata per estendere la portata
dello strumento. E’ infatti ovvio che la corrente che raggiunge la bobina Ia è una
frazione della corrente Is che entra nello strumento:
Ia
Is
Rs
Ra Rs
(6)
KR Is
Il rapporto KR può essere realizzato in modo arbitrario, 1/10 1/100 etc...
eventualmente aggiungendo ad Ra un resistore.
L’inserzione del resistore di Shunt aumenta la portata diminuendo ovviamente la
wG
sensibilità dello strumento (s=
) (vedi paragrafo 3.2.1.5).
wI
In genere uno strumento è realizzato prevedendo più portate, comprendendo alcuni
resistori di shunt di diverso valore che possono essere inseriti in parallelo attraverso
un deviatore. In portata minima si ha accesso diretto alla bobina ampermetrica
(massima sensibilità).
L’insieme di possibili portate a disposizione di un particolare strumento, determina il
campo (‘range’) di misura.
Ra
Ra
Rs
Figura 2. Inserzione di un amperometro ideale e reale
Si noti che l’avvolgimento è realizzato con particolare accorgimenti per la leggerezza
e la bassa resistività: perciò la sua resistenza è molto suscettibile di variazioni indotte
dalla temperatura, il che comporta una scarsa accuratezza del sistema. Si preferisce
pertanto inserire in serie al galvanometro una resistenza nota Rn>>Ra, in modo da
stabilizzarne le prestazioni. La corrente pertanto non sarà più data dalla (6) ma dalla
(7):
Ig
Rsn
I
Rsn Ra Rn
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
(7)
34
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
alternata
dove è stato necessario, a parità di portata dello strumento sostituire (aumentare) la
resistenza Rs con una nuova Rsn. Per potere coprire più portate viene posto un
selettore di resistenze di shunt in parallelo al galvanometro e in funzione della
resistenza scelta e del valore della corrente letta dal galvanometro si ottiene una
lettura pari a :
I
Rsn Ra Rn
Ig
Rsn
(8)
Per adesso abbiamo considerato il generatore di corrente come un generatore
ideale. Di fatto se considerassimo un generatore reale di corrente dovremmo anche
preoccuparci di come lo strumento carichi il circuito. In altre parole si dovrebbe
tenere in considerazione la differenza fra la corrente che scorre idealmente nel
circuito e quella che effettivamente vi scorre una volta che lo strumento venga
connesso al sistema. La situazione reale è quella schematizzata in figura 3, dove Ro
è la resistenza di sorgente del circiuto sotto misura ed Re è la resistenza equivalente
data dal parallelo della resistenza di Shunt (Rs) con la serie di Rn e Ra. L’effetto di
carico che lo strumento induce sul bipolo da misurare può essere stimato per
differenza tra la corrente ideale di cortocircuito I e la corrente Ic che scorre quando
viene inserito lo strumento. In particolare, da tale relazione si capisce come lo
strumento debba essere costruito al fine di minimizzare questo errore detto di
inserzione.
Ic
Re
I
R0
Figura 3. Valutazione dell’errore di inserzione nel caso reale
L’errore di inserzione EI si esprime come:
EI
I Ic
I I
R0
R0 Re
Re
I
R0 Re
(9)
La (9) rende evidente un fatto chiaro, e cioè che l’amperometro deve avere una Re
minima al fine di non perturbare la corrente che idealmente scorrerebbe nel circuito
sotto esame (Re=0 situazione ideale ed ottima).
3.2.1.4 Dall’Amperometro al Voltmetro
Una volta realizzato un amperometro, il passaggio alla misurazione di tensione è
molto semplice. Basterà infatti avvalersi di un resistore noto Rv in modo da potere
sfruttare la legge di Ohm. La connessione base per la realizzazione di un voltmetro è
quella mostrata in figura 4, dove si è supposto, come nel paragrafo precedente, di
schematizzare il bipolo (ai capi del quale si vuole misurare la tensione) come una
sorgente di tensione ideale.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
35
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
alternata
Rv Ra
Figura 4. Schema di misura per un voltmetro realizzato mediante galvanometro
La tensione sarà quindi espressa dalla relazione:
V
( Ra Rv ) I
(10)
Una volta nota la portata dal galvanometro, inoltre, la (10) consente di stabilire i
valori della serie resistiva in modo da fissare la portata in tensione dello strumento.
Anche in questo caso per avere uno strumento versatile è possibile connettere in
serie al galvanometro un selettore di portata. Un interruttore, cioè, in grado di
cambiare la resistenza della serie in funzione della tensione da misurare.
Come prima, si presenta il problema dell’effetto di carico del sistema nel caso reale.
Il circuito reale di cui si vuole misurare la tensione non è quello di figura 4 ma quello
di figura 5a). Anche in questo caso quindi è possibile effettuare una valutazione di
quale possa essere l’impatto dell’inserzione di uno strumento sulle caratteristiche
dalla grandezza che si vuole misurare. Tale relazione è valutabile mediante la
seguente:
R0
R0
Re
V
Figura 5. a) Generatore reale di tensione b) Schema con rappresentazione del voltmetro e
conseguente carico circuitale
EV
V Vc V V
Re
R0 Re
V
R0
R0 Re
(11)
La (11) dimostra come tale errore di inserzione sia minimo una volta che la
resistenza equivalente del voltmetro tenda ad infinito: quando cioè lo strumento non
assorbe corrente.
Si noti che l’effetto di carico è maggiore nelle portate più basse.
3.2.1.5 Caratteristiche Metrologiche di Uno Strumento Elettromeccanico
Per quantificare l’errore commesso da uno strumento si utilizza in genere il termine
accuratezza, che, come già detto, indica (impropriamente) il massimo errore che uno
strumento commette. Per quanto concerne gli strumenti elettromeccanici,
l’accuratezza viene espressa tramite un solo parametro detto classe dello strumento.
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36
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
alternata
Esso rappresenta il massimo errore (ev)considerato costante su tutta la scala,
espresso in percentuale del fondo scala, vale a dire:
ev
u100
vFS
classe
(12)
Dalla (12) è possibile ottenere, attraverso la relazione inversa, l’errore massimo, per
una certa portata, una volta nota la classe dello strumento.
Dalla (12) è inoltre ricavabile l’errore relativo come:
wvR
vFS u classe
100 u vmis
(13)
La (13) in particolare riveste un ruolo importante dal punto di vista didattico perché
spiega il motivo per cui è molto più conveniente effettuare misure vicino al fondo
scala scelto sfruttando tutta la dinamica dello strumento a disposizione.
Tuttavia l’indicazione della classe non viene utilizzata per gli strumenti elettronici che
vedremo dopo (specialmente per quelli digitali o numerici), in quanto essi presentano
caratteristiche metrologiche diverse, dipendenti dalle tipologie di misura che possono
effettuare. L’utilizzo di un unico indice per esprimere l’accuratezza assoluta dello
strumento risulterebbe dunque in un’informazione troppo penalizzante per le
potenzialità dello strumento.
Un altro parametro utilizzato per definire la qualità dello strumento e le sue
prestazioni è l’impedenza di ingresso, che rende conto degli errori di consumo. Per
gli strumenti magnetoelettrici viene fornita in particolare la resistenza specifica
Rspec=1/IFS, definita per i voltmetri come resistenza offerta dallo strumento in portata 1
V. La resistenza d’ingresso del voltmetro in qualunque altra portata può essere
ottenuta come:
Rin
(14)
RspecVFS
Valori tipici per Rspec sono alcune decine di k:.
E’ importante definire anche la sensibilità di uno strumento, cioè la minima
variazione dell’indicazione dello strumento stesso distinguibile dal rumore rapportata
alla variazione della grandezza d’ingresso che l’ha causata. La sensibilità indica il
guadagno dello strumento quando esso misuri la grandezza più piccola: nel caso di
uno strumento magnetoelettrico, la sensibilità è data da:
s
wG
wI
(15)
Talvolta con sensibilità si intende la minima portata dello strumento. Per uno
strumento magnetoelettrico di buona qualità si può arrivare con IFS ad alcuni PA.
Negli strumenti elettromeccanici la sensibilità è limitata essenzialmente dalla
presenza degli attriti.
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37
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
alternata
In modo analogo, è possibile definire la risoluzione come minima grandezza che
produce una deviazione dell’indicazione dello strumento che sia distinguibile dal
rumore.
3.2.2. Strumenti Elettrodinamici
Gli strumenti elettrodinamici sono noti anche come strumenti ad azione quadratica, e
vengono utilizzati per le misure in AC di corrente, tensione e potenza. Questi
strumenti nascono per applicazioni industriali nelle quali la forma d’onda dei segnali è
sostanzialmente sinusoidale.
Sinteticamente la loro struttura prevede due bobine, una fissa percorsa dalla
corrente di valore istantaneo iF e di valore efficace IF e l’altra mobile solidale con
l’indice, percorsa della corrente di valore istantaneo iM e di valore efficace IM.
Figura 6.
Esprimendo l’energia immagazzinata dal sistema magnetico come:
WM
La variazione
wWM
wG
1
1
LF i F2 LM i M2 MiM i F
2
2
(16)
wWM
esprime la coppia magnetica, dunque all’equilibrio otteniamo:
wG
wM
i F iM
wG
k AG
(17)
in cui la coppia antagonista è data da: C A k AG , di cui kA è la costante della molla e G
indica la deviazione angolare dell’equipaggio mobile dalla sua posizione di riposo.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
38
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
alternata
Questi strumenti possono essere utilizzati come ampermetri (o voltmetri in AC) infatti
collegando le due bobine in serie al circuito sotto misura, l’indicazione dello
strumento risulta proporzionale al valor quadratico della corrente incognita. Poiché lo
strumento risponde con una dinamica piuttosto lenta, l’indicazione risulterà in realtà
proporzionale al valore quadratico medio della corrente (valore efficace al quadrato)
alle frequenze d’interesse (in genere frequenze industriali 50 Hz). La scala sarà
tuttavia quadratica, quindi le prestazioni dello strumento in termini di sensibilità ed
accuratezza risulteranno non costanti lungo il campo di misura.
Vengono frequentemente utilizzati anche come Wattmetri, ricorrendo per esempio
alla seguente inserzione (figura 7):
Figura 7. Schema di principio di utilizzo dello strumento come wattmetro
Si vede che la bobina mobile viene posta in serie ad una resistenza Rm piuttosto
elevata, tale da non caricare in modo sensibile il circuito. La corrente IM data da
Vm/Rm sarà dunque proporzionale alla tensione sul carico. La bobina fissa viene
invece percorsa dalla corrente di carico.
L’indicazione dello strumento sarà perciò proporzionale alla potenza attiva, cioè al
valor medio della potenza istantanea (tenendo conto della risposta dinamica di tipo
passa basso dello strumento stesso):
k AG
wM Vm
I F cos M
wG Rm
(18)
In questa trattazione si sono ritenuti trascurabili gli errori di consumo (con questa
inserzione la tensione sul ramo voltmetrico non è uguale alla tensione sul carico) e
quelli dovuti allo sfasamento aggiuntivo introdotto dalle due bobine.
Anche questi strumenti seguono essenzialmente una dinamica del secondo ordine.
3.2.3. Considerazioni Finali
L’aver presentato brevemente alcuni strumenti elettromeccanici ha consentito di
rendere familiare la terminologia ed alcuni concetti fondamentali nel campo delle
misure elettriche, vale a dire consumo ed impedenza di ingresso, comportamento
dinamico e banda di uno strumento, sensibilità, risoluzione ed accuratezza. Questi
termini e questi concetti verranno ripresi nel prosieguo della trattazione.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
39
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
alternata
3.3. Strumenti Elettronici Analogici
A differenza dei loro predecessori elettromeccanici, gli strumenti elettronici,
prevedono l’inserimento di una catena di condizionamento basata su componenti
elettronici. Non sono più strumenti puramente passivi, ma prevedono
un’alimentazione propria, ciò che rende possibile innanzitutto ridurre gli errori di
consumo. La strumento di base è un voltmetro in DC la cui struttura è rappresentata
in figura 8a. In questo schema uno strumento indicatore elettromeccanico, ad
esempio magnetoelettrico, viene preceduto da due blocchi di condizionamento.
L’attenuatore consente di stabilire la portata dello strumento, in genere è possibile
selezionare diverse attenuazioni tramite una serie di interruttori (selettori di portata).
In portata minima l’attenuatore viene by-passato.
Viene introdotto un blocco amplificatore che separa il circuito sotto misura dallo
strumento indicatore. Questo porta i seguenti benefici:
x adattamento d’impedenza, l’impedenza d’ingresso dello strumento diventa (in
portata minima, quando l’attenuatore non è utilizzato) l’impedenza d’ingresso
dell’amplificatore, poiché si tratta di un voltmetro la sua impedenza di ingresso
deve essere il più elevata possibile, in genere si realizzano valori dell’ordine
delle decine di M:.
x adattamento di livello, l’amplificatore consente di aumentare notevolmente la
sensibilità dello strumento.
L’accuratezza viene comunque determinata dallo strumento indicatore utilizzato.
ATTENUATORE
AMPLIFICATORE
STRUMENTO
INDICATORE
Figura 8a. Struttura di base di un voltmetro in DC di tipo elettronico
La sensibilità del voltmetro è limitata non più dalle prestazioni dello strumento
elettromeccanico, ma essenzialmente dalle caratteristiche dell’amplificatore. In
particolare, pensando ad un amplificatore accoppiato in continua con stadio
d’ingresso differenziale, diventano critiche le derive della tensione di offset. Tali
disturbi sono dovuti alla variazione di temperatura, all’invecchiamento etc..,
rappresentabili con segnali di bassa frequenza, con le stesse caratteristiche
frequenziali del segnale d’ingresso. Pertanto con i voltmetri ad amplificatore si
raggiungono tipicamente risoluzioni dell’ordine delle diecine di mV e fondo scala
minimi tipici di 0.3 V (considerando derive dell’ordine delle centinaia di PV e
accuratezze dell’1%). Con soluzioni circuitali più raffinate si riduce di un ordine di
grandezza la deriva e si arriva a risoluzioni dell’ordine dei mV.
Per ottenere risoluzioni migliori occorre ricorrere a soluzioni circuitali diverse, quali ad
esempio gli amplificatori chopper, il cui schema di principio è riportato in figura 8b. Il
segnale in DC viene utilizzato come modulante, le frequenze che si utilizzano per la
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
40
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
alternata
portante sono tra i 10 e 100 kHz se si utilizzano interruttori allo stato solido, molto
inferiori altrimenti.
Si osserva che in questo caso le derive vengono reiettate grazie all’accoppiamento
in alternata dell’amplificatore. Utilizzando sistemi in cui ai filtri passa-alto vengono
sostituiti filtri passa-banda molto selettivi è possibile ridurre anche il contributo del
rumore bianco introdotto dall’amplificatore ed ottenere amplificatori estremamente
accurati.
Il limite di queste soluzioni risiede essenzialmente nella realizzazione degli interruttori
che costituiscono i modulatori ed i demoldulatori, che, se realizzati con dispositivi
elettronici, si comportano in maniera non lineare, presentando una resistenza di on
che dipende dal livello del segnale.
Mediante questa soluzione circuitale si arriva ad un microvoltmetro con tensione di
fondo scala minima nell’ordine dei PV.
Quando si raggiungono queste sensibilità, occorre tener presente che qualunque
disturbo può influenzare la misura. Devono essere presi in considerazione ad
esempio il rumore termico generato dalla resistenza di sorgente, le f.e.m.
termoelettriche che si presentano in corrispondenza delle giunzioni fra conduttori
diversi, poiché possono dare un contributo significativo: nelle giunzioni Cu-Ag ad
esempio si hanno f.e.m pari a 0.3PV/°C.
Amplificatore
AC
Pilota
Vx
AM
Filtro
P.A.
Amplificatore
DC
Filtro
P.A.
AD
Filtro
P.B
AA
figura 8b. Amplificatore Chopper
3.3.1. Dal Voltmetro all’Amperometro
Per ottenere un amperometro occorre anteporre al voltmetro elettronico un blocco di
condizionamento che esegua la conversione I-V; generalmente questo viene
realizzato semplicemente da una resistenza campione, la scala è tarata direttamente
in corrente.
Le esigenze di elevata sensibilità e basso carico sono contrastanti: in questo caso,
infatti, la tensione che si misura è pari a Vm = RAI, mentre la resistenza serie che
mostra l’amperometro corrisponde proprio ad RA. Normalmente i valori di RA vanno da
0.1: a 10: a seconda delle portate.
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41
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
alternata
+
I
RA Vm
Voltmetro
DC
-
Figura 9.
E’ possibile utilizzare un blocco di conversione che contiene un amplificatore
operazionale, secondo lo schema di figura 10:
I
RA
+
Vm
Voltmetro
DC
Figura 10. Schema con blocco di conversione con amplificatore operazionale
In questo caso la resistenza di ingresso sostanzialmente risulta RA/A, se A è il
guadagno dell’amplificatore ad anello aperto mentre Vm=-IRA.
A seconda del voltmetro che si impiega si possono ottenere portate minime che
vanno dai PA alle centinaia di nA.
3.3.2. Dal Voltmetro all’Ohmetro
Per ottenere un ohmetro, è necessario preporre al voltmetro un blocco di
condizionamento R-V: Per i voltmetri analogici lo schema più utilizzato è quello di
figura 11:
I
RR
VR
Rx Vm
Voltmetro
DC
Figura 11. Schema di principio dell’ohmetro
La tensione che si misura è legata alla resistenza incognita RX dalla seguente
relazione non lineare:
Vm
VR
Rx
Rx RR
(19)
La scala è tarata in valori di resistenza, quando Rx=RR l’indice si trova a metà scala
(RR determina le portate), non è opportuno effettuare misure nella seconda metà
della scala che risulta ovviamente densa.
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42
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
alternata
Una soluzione circuitale che porta ad una indicazione proporzionale alla resistenza è
quella in figura 12, normalmente utilizzata nei multimetri digitali, che richiede un
generatore di corrente costante.
IS
Rx
Vm
Voltmetro
DC
Figura 12. Schema che fornisce un’indicazione proporzionale al valore resistivo
In questo caso la tensione misurata è proporzionale alla resistenza incognita tramite
un fattore pari ad IS, che determina la portata dello strumento. Gli strumenti comuni
misurano dalle centinaia di m: fino alle decine di M:.
3.3.2.1 Misure a 4 fili
Si noti che la tensione misurata Vm rappresenta la caduta sulla resistenza incognita e
sui cavetti di collegamento. Se la resistenza Rx è di piccola entità la resistenza
misurata, che rappresenta la serie della resistenza incognita con le resistenze dei
collegamenti, può risultare affetta da un errore relativo piuttosto consistente. Esistono
ohmetri che consentono di effettuare la cosiddetta misura a 4 fili, secondo lo schema
riportato in figura 13.
V+
Voltmetro
DC
I+
IS
Rx
Vm
IV-
Figura 13. Schema di principio della misura a 4 morsetti
In tale configurazione i collegamenti che servono ad alimentare in corrente la
resistenza incognita sono distinti da quelli utilizzati per prelevare la tensione. Questi
ultimi, anche se lunghi, sono percorsi da una corrente bassa (idealmente nulla)
poiché il circuito di misura della tensione si chiude sulla resistenza d’ingresso del
voltmetro, che è molto elevata, e la caduta parassita risulta molto ridotta.
3.3.3. Voltmetro in AC
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43
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
alternata
Il voltmetro in AC nasce per la misura dell’ampiezza o del valore efficace di segnali
sinusoidali. L’applicazione di questi strumenti a segnali con forme d’onda (a valor
medio nullo) diverse è possibile, ma le caratteristiche metrologiche dello strumento
peggiorano man mano che ci si discosta dal caso puramente sinusoidale (al crescere
della banda del segnale).
Per ottenere un voltmetro in AC si utilizzano due diverse soluzioni (vedi figura 13).
Nel primo caso si antepone al voltmetro in DC (comprendente l’amplificatore) un
circuito di condizionamento, che trasforma il segnale in AC in un segnale in continua
di livello proporzionale al valore medio del segnale raddrizzato, al valore di picco o al
valore efficace della forma d’onda. La seconda soluzione prevede di amplificare il
segnale in AC e successivamente convertirlo in un segnale continuo. Questa
seconda soluzione è sicuramente più vantaggiosa dal punto di vista della sensibilità,
della linearità e del consumo dello strumento: infatti attraverso l’amplificatore in AC è
possibile adattare il livello e l’impedenza d’uscita per pilotare opportunamente il
convertitore AC-DC, ed aumentare l’impedenza d’ingresso dello strumento. La
seconda soluzione è però svantaggiosa in termini di banda. Qualora si volessero
misurare segnali in Radio Frequenza sarebbe praticamente obbligatorio scegliere la
prima catena di misura, nella quale il segnale viene immediatamente convertito in
continua (o in alternativa in bassa frequenza).
I voltmetri in AC sono caratterizzati da una banda utile. Per i segnali sinusoidali con
frequenza contenuta all’interno di tale banda i costruttori garantiscono le
caratteristiche metrologiche dello strumento.
I voltmetri sono spesso realizzati con un condensatore in serie all’ingresso
(accoppiati in alternata) al fine di eliminare le eventuali componenti in continua
presenti.
vm
Attenuatore
Convertitore
AC-DC
vm
Attenuatore
Amplificatore
AC
Vm
Amplificatore
DC
Convertitore
AC-DC
Indicatore
Vm
Indicatore
Figura 13. Possibili schemi di misura per grandezze alternate
A seconda di come si realizzi il convertitore AC-DC la grandezza Vm può essere:
1. Il valore medio convenzionale.
2. Il valore di picco.
3. Il valore efficace.
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44
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
alternata
La scala del voltmetro viene invece sempre tarata in valore efficace; pertanto, se il
voltmetro misura una delle altre due possibili grandezze, lo strumento effettua una
conversione sulla base di un coefficiente valido solo nel caso di forma d’onda
sinusoidale. Nel caso di forma d’onda diversa l’indicazione sarà dunque sbagliata ed
occorrerà effettuare una correzione del risultato letto.
3.3.3.1 Valore Efficace e Valore Medio Convenzionale
E’ ben nota la definizione di valore efficace per un segnale v(t) periodico di periodo T:
1
T
Veff
T
³ v(t ) 2
(20)
dt
0
per una sinusoide di ampiezza Vp e frequenza f = 1/T, il valore efficace risulta:
1
T
Veff
T
³ V sen(2S ft ) p
2
Vp
dt
2
0
(21)
Per i segnali periodici di periodo T, a valor medio nullo (si ricorda che queste sono
definizioni del tutto generiche riportate per comodità relativamente al caso di segnale
sinusoidale) si è soliti definire anche un valore medio raddrizzato dato da:
VMC
1
T
T
³ v(t ) dt
(22)
0
che per una sinusoide vale:
T
VMC
1
V p sen(2S ft ) dt
T ³0
2V p
S
(23)
mediante la (20) è possibile esprimere il valore efficace del segnale così misurato e
mediante le relazioni (24) e (25) è possibile legare tra loro il VMC e Veff. Definito
pertanto fattore di forma F come:
F
Veff
(24)
VMC
che per una sinusoide vale
Veff
VMC
S # 1.11VMC
2 2
(25)
Si definisce inoltre il fattore di picco FP, come:
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45
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Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
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FP
Vp
(26)
Veff
per una sinusoide si ha ovviamente FP
2.
3.3.3.2 Voltmetri a Valor Medio
In questi voltmetri si misura il valor medio del segnale raddrizzato (valore medio
convenzionale) e si riporta un’indicazione del valore efficace ottenuta sfruttando il
fattore di forma per una sinusoide, 1.1VMC. Un classico circuito convertitore si ottiene
effettuando un raddrizzamento e a seguire un filtraggio passa-basso.
Tipicamente si può utilizzare un circuito basato sul ponte (oppure in alternativa
raddrizzatore) a diodi come mostrato in figura 14.
IN
OUT
Figura 14. a) Raddrizzatore a singola semionda b) Ponte a doppia semionda
E’ chiaro che tali circuiti sono non lineari data la caratteristica I-V dell’elemento diodo.
Tuttavia ciò costituisce fonte di incertezza solo quando il livello di tensione che deve
essere convertita è vicino alla tensione di innesco del diodo, ovvero quando si lavora
nella zona di ginocchio di tale caratteristica.
Re
Re
Figura 15. a) Effetto della non linearità del diodo nello schema con raddrizzatore a singola
semionda b) Effetto con raddrizzatore a doppia semionda
La misura che si ottiene utilizzando questi convertitori, considerando di porre a valle
direttamente lo strumento ampermetrico a bobina mobile, dipende dalla corrente
media I, data dalle seguenti equazioni:
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46
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Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
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I
I
Vp
S ( R e RJ )
2V p
(27)
VJ
2( Re RJ )
VJ
(28)
S ( R e RJ ) ( R e RJ )
sotto le ipotesi che Vp>VJ.
La sensibilità è sicuramente limitata dalla tensione di soglia dei diodi. Per strumenti
più raffinati è possibile utilizzare raddrizzatori che sfruttano amplificatori operazionali
nei quali la tensione di soglia viene ridotta di un fattore pari al guadagno
dell’operazionale ad anello aperto (vedi figura 16).
R V
out
R
R
Vin
+
Figura16.
L’argomento è stato affrontato con considerazioni su voltmetri, quando in realtà con
analoghi ragionamenti esso non perde di validità per gli amperometri.
3.3.3.3 Voltmetri a Valore di Picco (a Valore di Cresta)
Un’alternativa agli schemi fino a qui proposti è rappresentata dal voltmetro a valore di
picco, che esegue una misurazione del valore massimo che il segnale raggiunge
durante il periodo di misurazione. Lo schema di principio per effettuare tali tipologie
di misure è fornito in figura 17.
Questo convertitore si utilizza ad alte frequenze, alle quali la capacità parassita del
diodo in OFF riduce l’impedenza del diodo e l’efficacia del raddrizzatore illustrato nel
paragrafo precedente.
V
Vin
Vc
Vr
t
C
RL
Vdc
Figura 17. a) Schema di principio per la misura del valore di picco b) Andamenti della tensione
di ingresso (Vin) di quella ideale sul condensatore (Vc) e di quella reale con ripple (Vr)
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47
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Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
alternata
Il capacitore, supposto inizialmente scarico, si carica finché la tensione in ingresso è
crescente; successivamente il diodo si interdice ed
impedisce la scarica del capacitore. Il capacitore si porta in tal modo fino al valore
massimo della tensione in ingresso e la mantiene, supponendo la resistenza di
misura molto grande (idealmente infinita). La tensione continua che si ottiene viene
quindi letta dal voltmetro in continua. In realtà essendo la resistenza del misuratore,
RL, non infinita, si assiste ad un fenomeno che prende il nome di ripple: la tensione ai
capi del capacitore tende a diminuire lentamente (Vr), fino a quando, nella
successiva semionda positiva, si riporta al valore massimo. Questo causa un errore
tanto più grande quanto minore è la frequenza del segnale. Pertanto, fissata
un’accuratezza accettabile (errore in tensione), H, ci sarà una frequenza
limite inferiore per il funzionamento del voltmetro a valore di picco.
Vp
f min
2 R L CH
La configurazione di figura 17a) non è comunque utilizzata. Qualora, infatti, il segnale
in ingresso avesse una componente in continua, questa contribuirebbe ad innalzare il
valore della lettura fornendo in tal modo una interpretazione sbagliata della misura
del segnale alternato
Un circuito che consente di eliminare la componente continua dell’ingresso è quello
mostrato in figura 18, a cui viene fatto seguire un rivelatore di picco oppure un filtro
passa basso.
Vo
Vi
Figura 18.
In figura 19 sono riportati gli andamenti della tensione di uscita.
2
1.5
Vi
1
0.5
0
Vo
-0.5
-1
-1.5
-2
0
0.01
0.02
0.03
0.04
0.05
t
0.06
0.07
0.08
0.09
0.1
Figura 19
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48
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Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
alternata
Come negli altri strumenti di questo tipo la scala con la quale viene espresso il
risultato è tarata per fornire il valore efficace per un segnale sinusoidale e pertanto,
se il segnale è di diversa natura, è possibile ricavare il valore di picco del segnale
mediante il fattore di cresta (ricordiamo che Valore di cresta Ł Valore di Picco):
V picco
Vletto u 2
(29)
3.3.3.4 Voltmetri a Valore Efficace
I voltmetri a valore efficace misurano direttamente il valore efficace del segnale
incognito Vx. In figura 20 è riportato un possibile schema di principio.
In questo voltmetro la tensione incognita provoca il riscaldamento di una resistenza
Rs (riscaldatore), la cui temperatura risulta proporzionale alla potenza dissipata Vx2
/Rs. Se il sistema termico presenta un’inerzia sufficiente la temperatura sarà
proporzionale al valor medio della potenza istantanea, cioè valore efficace della
tensione al quadrato. Un sensore di temperatura posto in contatto termico con il
riscaldatore (in questo esempio una termocoppia) trasduce la temperatura in un
segnale elettrico, in questo caso per effetto Seebeck, la tensione Vm, che viene alla
fine misurata dal voltmetro in DC.
In linea di principio questi voltmetri possono essere applicati a forme d’onda di
qualunque tipo, fornendo un’indicazione corretta del valore efficace. In realtà lo
strumento è caratterizzato da una banda finita, e solo i segnali che hanno spettro
contenuto nella banda dello strumento vengono misurati correttamente.
La limitazione di banda deriva dalle caratteristiche del riscaldatore che non può
essere considerato una resistenza pura di valore costante a frequenze troppo
elevate. E’ dalla realizzazione del riscaldatore che dipende dunque la banda del
voltmetro. E’ possibile realizzare questo dispositivo in modo da ottenere voltmetri
applicabili anche al campo della radio frequenza.
E’ uno strumento ampermetrico, per misurare la tensione senza caricare
eccessivamente il circuito sotto misura, è in genere necessario introdurre un circuito
di adattamento (che però limita la banda).
ix
vx
RS
Vm
Voltmetro
DC
Figura 20. Schema di principio dl voltmetro a vero valore efficace
Una struttura alternativa per ottenere la misura del valore efficace si basa su un
sistema di calcolo analogico tradizionale, che sfrutta una serie di amplificatori
operazionali. Questa soluzione è appropriata per strumenti con banda limitata
(frequenze massima del segnale incognito dell’ordine delle centinaia di kHz).
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49
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
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3.3.3.5 Calcolo Analogico
Sfruttando le configurazioni base per il calcolo analogico, riportate come schemi di
principio nella figura 21, è possibile realizzare il calcolo della tensione efficace come
da equazione (20).
R
R2
+
R1
V2
R
C
V1
V out
+
Vin
SOMMATORE
C
R
Vout
+
Vin
Vout
INTEGRATORE
DERIVATORE
R
R
+
Vin
+
Vin
Vout
LOGARITMICO
Vout
ESPONENZIALE
log
vx
|vx|
log
x
-
exp
³
V DC
2
Figura 21. Schema per il calcolo analogico del valore efficace
3.3.4. I Multimetri
In figura 22 è riportato lo schema di un multimetro analogico. Come è possibile
osservare questo strumento permette di effettuare una serie di misure diverse poiché
contiene diverse catene di misura selezionabili dall’utente attraverso selettori. In
generale un multimetro può effettuare le seguenti misure:
V-DC, I-DC, R, V-AC,I-AC
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50
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
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I(DC)
CONVERSIONE
I-V (DC)
:
CONVERSIONE
SWITCH
AMPLIFICATORE
DC
R-V
V(AC)
STRUMENTO
INDICATORE
CONVERSIONE
AC-DC
V(DC)
Figura 22. Schema di principio del multimetro analogico
3.4. Strumenti Elettronici Numerici: Voltmetri Numerici ad
Integrazione
I voltmetri numerici sostituiscono lo strumento indicatore ad ago con un sistema di
conversione analogico digitale ed un sistema di visualizzazione vedi figura 23. Con
questa soluzione è possibile superare il limite ultimo sull’accuratezza dello
strumento, che come già detto in precedenza, era dettato dallo strumento
elettromeccanico indicatore. E’ possibile pertanto ottenere una classe di strumenti
con caratteristiche metrologiche molto più spinte dei tradizionali strumenti analogici.
E’ importante sottolineare come gli strumenti numerici presentino ulteriori vantaggi.
Infatti il dato numerico convertito si presta ad essere memorizzato ed elaborato, e
trasferito attraverso opportune interfacce ad altri sistemi di elaborazione o
memorizzazione digitale.
ATTENUATORE
AMPLIFICATORE
DC
CONVERTI
TORE A/D
ELABORAZIONE
SISTEMA
DI
VISUALIZZAZIONE
MEMORIZZAZIONE
INTERFACCIA I/O
Figura 23. Schema del voltmetro ad integrazione
3.4.1. Il Voltmetro Numerico con Convertitore AD a Doppia Rampa
Il voltmetro in DC, normalmente utilizza un convertitore A/D ad integrazione, la
struttura più utilizzata è il convertitore a doppia rampa riportato in figura 24 a)
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51
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
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Ic
Iu
Integratore
di Miller
C
Vx
T
Oscillatore
interno
R
Conteggio
Al display
Td
Start/Stop
Id
Xc
Vs
Blocco di
controllo
Vr
Reset
Figura 24 a). Schema del voltmetro ad integrazione
Inizialmente il condensatore viene scaricato, dopo di chè lo strumento opera
essenzialmente in due fasi che sono rappresentate in figura 24 b).
V
Tu
Tcommutazione
Td
t
Figura 24. Schema che illustra le rampe dovute rispettivamente a Vx (considerata positiva
nell’esempio) nella fase di run-up e Vr in quella di run-down
FASE I:
con Ic aperto, all’istante t=0 l’interruttore Iu si chiude applicando all’ingresso
dell’integratore di Miller (vedi figura 24a) la tensione incognita Vx da misurare.
Questa fase detta di run-up ha durata fissa, Tu. Il livello finale di tensione all’uscita
dell’integratore Vs, è pari a:
Vs
1
VxTu
RC
(30)
FASE II:
L’interruttore Iu si apre e si chiude l’interruttore Id (fase di run-down). Supponendo
che Vr sia sempre di segno diverso da Vx e di valore assoluto maggiore (Vr
rappresenta il fondo scala), si ottiene una rampa con pendenza di segno opposto e
determinata da R,C e Vr, pertanto, durante questa fase si scarica completamente il
condensatore riportandolo alla tensione iniziale (0 V). Il conteggio Nd (Td) della
durata di detta fase si può ottenere imponendo la condizione:
Vs −
1
Vr Td
RC
0Ÿ
Vx
Tu
RC
Vr
Td
RC
(31)
Dalla (31) si deriva la (32):
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52
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
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Vx
Td
Vr
Tu
N d Tc
Vr
N u Tc
Nd
Vr
Nu
(32)
in cui Tc = tempo di clock. I vantaggi principali di questa configurazione risiedono
principalmente nel fatto che nessun componente incide sull’accuratezza della misura.
Essa dipende soltanto dalla stabilità della tensione di riferimento e del clock, e dalle
tensioni di offset dell’integratore e del comparatore.
3.4.1.1 Risoluzione e Tempo di Misurazione
Per quanto riguarda la risoluzione del convertitore si vede che essa dipende dalla
quantizzazione di Td mentre non si hanno errori nella valutazione di Tu, che viene
scelto come multiplo intero dell’inverso della frequenza di clock.
Dalla (32) possiamo derivare l’espressione del passo di quantizzazione:
Vx
Nd
Vr Ÿ 'V x
Nu
Vr
(33)
Nu
Inoltre si ha che:
'V x
Vr
Vx
V fondoscala
Nu
Nd
N d max
(34)
La (34) si rivela utile al fine di determinare il legame che intercorre tra il passo di
quantizzazione e la durata complessiva della misurazione stessa Tmis. Si può infatti
scrivere:
Tmis
Tu Td
(35)
La (35) può nuovamente essere espressa come:
Tmis
N u N d Tclock
(36)
Utilizzando adesso nella (36) la (34) possiamo nuovamente esprimere il tempo di
misura come:
Tmis
N d max Tclock
V r V x
V fondoscala
(37)
La (37) rappresenta il tempo di misura espresso in funzione della tensione misurata
Vx. Esso risulterà massimo proprio per il valore massimo di Vx che è misurabile.
Scegliendo ipoteticamente come Vx massimo il valore del fondo scala scelto si avrà:
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53
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Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
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N d max Tclock
Vr V fondoscala V fondoscala
Tmis max
§
Vr
¨1 ¨ V
fondoscala
©
·
¸ N d max Tclock
¸
¹
(38)
Scegliendo come Vr proprio la V di fondo scala, si ricava/ottiene che il tempo di
misura massimo è pari a :
Tmis
(39)
2 N d max Tclock
La (39) permette di esprimere chiaramente il legame inverso che lega il passo di
quantizzazione al tempo di misura. Infatti sostituendo la (34) nella (39)
Tmis
2
V fondoscala
'V
(40)
Tclock
Considerando adesso b il numero di bit con il quale rappresentare il risultato della
misurazione, si deriva che il numero massimo di conteggi potrà essere Ndmax=2b e
pertanto il Tmismax=2b+1Tclock.
3.4.1.2 Cause di Incertezza
Le principali cause di incertezza per questo tipo di strumento sono:
1.
2.
3.
4.
tensioni di offset dell’integratore
tensione di offset del comparatore
non linearità della rampa di integrazione
cariche residue sul condensatore
Voff
Vr
Vx
Vout
Figura 25. Schema semplificato dell’integratore con presenza di una sorgente di tensione che
simula la tensione di offset
La nuova relazione equivalente alla (30) diviene adesso:
V
x
Voffset Tc
V
r
Voffset Tx
(41)
dove con Tc si è indicato il tempo della fase di runup (definito a priori) e con Tx il
tempo incognito della fase di rundown.
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54
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
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La (36) diviene quindi
Vx
Vr
§ T
Tx
Voffset ¨¨1 x
Tc
© Tc
·
¸¸
¹
(42)
che dimostra come rispetto alla (30) ci sia un termine dipendente da Voffset indicato
nella (42)
'V x
ª T º
Voffset «1 x »
¬ Tc ¼
(43)
La seconda fonte di incertezza introduce un ritardo che causa un errore di conteggio
e quindi in un errore nella valutazione della tensione incognita Vx.
Dal momento che possiamo indicare con (Vx)err la tensione comprensiva di un errore
dovuto alla presenza dell’offset del comparatore, possiamo scrivere:
V x err
Vr
Tx Terr
Tc
Vr Tx Vr Terr
Tc
Tc
(44)
e tenendo conto che
TerrVr
RC
Voffset œ Terr
RCVoffset
Vr
(45)
possiamo sostituire la (45) nella (44) ed ottenere nuovamente la (30) con un
V RC
V x err Vr Tx Terr Vr Tx offset
(46)
Tc
Tc
Tc
Il termine
'Vx
Voffset
RC
Tc
(47)
rappresenta il contributo dell’offset del comparatore.
In generale, una volta ricavati anche gli altri contributi per i punti restanti, con
considerazioni appropriate è possibile calcolare
n
'V xtot
¦ 'V
(48)
xi
i 1
3.4.1.3 Reiezione del Rumore
I sistemi di misura possono essere soggetti a rumori periodici; in genere questi
disturbi sono legati ai ripple presenti sull’alimentazione dello strumento, quando essa
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
55
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
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viene ricavata a partire dalla tensione di rete tramite un alimentatore stabilizzato.
Tuttavia tali tipi di disturbi sono all’occorrenza eliminati seguendo alcuni
accorgimenti.
Consideriamo per esempio un disturbo periodico del tipo:
Vn (t ) V N sen(2Sf 0 t )
(49)
Dal momento che lo strumento selezionato compie un’operazione di integrazione sul
segnale di misura, si avrà:
Vn
V N t T1
³ sen( 2Sf 0 s )ds
T1 t
(50)
La soluzione della (50) è data dalla (51) e dalla (52)
VN
>cos( 2Sf 0 ( t T1 )) cos( 2Sf 0 t )@
2Sf 0 T1
Vn
Vn
VN
§ 1 ·
sen( Sf 0 T1 ) sen2Sf 0 ¨ t T1 ¸
2Sf 0 T1
© 2 ¹
(51)
(52)
La (48) in particolare dimostra che, scegliendo opportunamente il prodotto f0T1, è
possibile annullare il contributo additivo che tale rumore da’ alla misura. Valori tipici
di f0 sono 50Hz in Europa e 60Hz negli Stati Uniti.
Talvolta si definisce anche un fattore di reiezione del rumore come:
RN
VN
Vn
(53)
Poiché nella (53) la situazione ideale sarebbe quella di avere reiezione infinita
(RN=f), si dovrà necessariamente integrare il disturbo periodico per un numero
intero di periodi, mentre si avrà il massimo rumore per Tm=(2k+1)/2f0.
Infatti un rumore periodico sovrapposto al segnale dà un contributo pari al suo valore
medio nel tempo di misura Tm. Se il rumore fosse stato di tipo impulsivo, di area A,
l’errore sovrapposto alla misura sarebbe stato pari al rapporto A/Tm.
3.4.1.4 Fase di Run-Up Ridotta
Descritto il principio di funzionamento del voltmetro ad integrazione, possiamo
illustrare come alcune modifiche consentano di ottimizzare la durata della misura. Un
primo intervento è quello che si opera sulla struttura di integrazione del circuito di
figura 23, per ridurre il tempo della fase di run-up stessa (figura 26).
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56
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
alternata
Ic
Iu
Ru
Integratore
di Miller
C
Vx
Id
Vs
Rd
Vr
Figura 26. Modifica circuitale per la riduzione del tempo di Run-Up
Se RuRd, ripetendo i medesimi ragionamenti che hanno portato a formulare la
(30), si ottiene:
V x Tu
Ru C
Vr Td
Ÿ Vx
Rd C
Ru N d Tclock
Vr
Rd N u Tclock
(54)
Dalla (54) si possono subito derivare alcune considerazioni. Il passo di
quantizzazione sarà pari a:
'V x
Vr Ru
N u Rd
Vx
V fondoscala
Nd
N d max
(55)
Quindi anche in questo caso la risoluzione del voltmetro dipende soltanto dal valore
di fondo scala e dal numero massimo di conteggi che si possono fare nella fase di
run-down. Inoltre il tempo di misurazione risulta pari a:
Tmis max
N d maxTclock
V fondoscala
R
§
Vr u
¨
§
·
Ru
Rd
V fondoscala ¸ ¨ 1 ¨ Vr
Rd
©
¹ ¨ V fondoscala
¨
©
·
¸
¸ N d maxTclock
¸
¸
¹
(56)
La (56) risulta inferiore alla (37) poiché il rapporto Ru su Rd è minore di 1.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
57
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
alternata
3.1.1. Multimetri Digitali
I multimetri digitali (Digital Multi Meter DMM) sono l’analogo dei multimetri analogici e
consentono di eseguire una serie di misure diverse, tipicamente misure di tensione
(DC e AC), corrente (DC e AC) e resistenza, spesso implementano anche misure di
frequenza e di capacità.
3.1.1.1 Struttura Generale di un DMM
Lo strumento descritto in figura 27 viene utilizzato come accennato sia per le misure
in continua sia per quelle in alternata. In particolare, sono indicati i morsetti di
ingresso che consentono di prelevare correnti e tensioni e di effettuare misure di
resistenze a due o quattro morsetti (quest’ultima tipologia di misura con l’ausilio dei
cavi di ingresso denominati sense).
Generatore di
Corrente
Tensione di
Riferimento
Amplificazione
Sense
H
L
Selettore
(Switch)
ADC
AC/DC
Controllo ADC
A
Sense
Elaborazione
Dati
Visualizzazione
Figura 27. Schema a blocchi di principio di un DMM
Il blocco di switch, oltre a selezionare la funzione e gli ingressi da analizzare per il
tipo di misura scelta, provvede a minimizzare l’effetto di carico (del DMM sul circuito
in esame, fenomeno questo peraltro già discusso) e condiziona il segnale. Il campo
di misura della tensione continua si estende per un apparecchio commerciale di
media qualità da alcuni PV alle centinaia di V.
Nel caso di tensioni alternate, il DMM fornisce in genere il vero valore efficace. Come
primo approccio la tensione alternata viene trasformata secondo la (20), ha bande
nell’ordine delle centinaia di kHz,.
Per la misura di correnti continue ed alternate si utilizza una resistenza come
convertitore I-V (vedi figura 27) del valore di 0,1 : per le portate più grandi di alcuni
: per le portate più piccole.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
58
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
alternata
La misura di resistenza viene effettuata iniettando una corrente costante nella
resistenza incognita nel range 1 mA (per le portate più piccole, fino al k:) 500nA (per
le portate più grandi 10 M:).
3.1.1.2 Misure di frequenza e di tempo – Contatori universali
Per la misura di frequenza vengono comunemente impiegati sistemi basati su
contatori. Lo schema a blocchi della catena misura tipica è riportato in figura (a).
(a)
(b)
figura 27-bis (a) Catena di misura di frequenza. (b) Catena di misura di periodo
Il segnale del quale si vuole misurare la frequenza viene condizionato da un circuito
di ingresso che lo trasforma in segnale a due livelli (treno di impulsi con duty cycle
fissato). Un sistema detto base dei tempi che contiene un oscillatore, serve a
generare segnali con periodo noto a partire dai quali viene generata, dal blocco
detto porta, l’abilitazione al conteggio. Il contatore conta cioè i periodi del segnale
oggetto di misura per un tempo T0 noto (gate), determinato dalla base dei tempi.
Il numero N degli impulsi contati dal contatore in tale intervallo di tempo T0 risulta
proporzionale alla frequenza fx degli impulsi in arrivo.
N
T0 NTx f x
T0
In particolare, se il tempo T0 è pari a un secondo, il numero N rappresenta
direttamente la frequenza. Altrimenti T0 determina il fattore di scala dello strumento.
La stessa struttura viene utilizzata per effettuare misure di periodo (figura 27 bis ( b)
), in questo caso la base dei tempi fornisce il clock per il contatore mentre il segnale
di abilitazione al conteggio (gate) viene generato a partire dal segnale oggetto della
misura, perciò il contatore è abilitato durante la finestra temporale di durata ¨T
mentre il clock ha frequenza fissa fc, nota e stabile, cui corrisponde il periodo Tc =1/fc
.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
59
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
alternata
Il numero N degli impulsi contati risulta quindi proporzionale alla durata ¨T, perciò
detto Tx il periodo del segnale, se Tx=¨T, si avrà:
Tx
'T
NTc
Nelle misure che impiegano contatori elettronici l’incertezza è determinata dall’errore
sul valore risultante del conteggio e dall’incertezza della durata del gate (misure di
frequenza) o del periodo del clock (misure di periodo).
L’errore di conteggio (count error) di ± 1 impulso è dovuto al fatto che la finestra
temporale, durante la quale si contano gli impulsi, non risulta necessariamente un
multiplo intero del periodo degli impulsi contati.
L’incertezza sulla durata della finestra di conteggio è causata sia dal gating error,
dovuto ai disturbi sovrapposti ai segnali di controllo della porta che al time-base
error, dovuto all’instabilità dell’oscillatore di clock.
È evidente che considerando la propagazione dell’errore massimo nel caso di misure
in frequenza si avrà:
e fx
Hf
x
In
T0
N
1
eT0 2
T0
T0
1
H T0
N
cui con e si indicano gli errori massimi assoluti e con H quelli relativi e
kTc ; eT0 keTc ; H T0 H Tc (considerando soltanto il time base error).
La risoluzione del sistema di misura è in genere principalmente determinata dalla
durata della finestra temporale. Per avere la risoluzione di 1 Hz è necessario
prevedere un conteggio della durata di 1 s.
Analogamente, nel caso di misure di periodo si avrà:
eTx
Tc eTc N
1
H Tc
N
L’errore massimo relativo sul conteggio risulta quindi 1/N, e rappresenta anche la
risoluzione relativa del dispositivo. Per ridurre l’incidenza percentuale dell’errore di
conteggio, bisogna che il numero di impulsi N complessivamente contati durante la
finestra temporale di osservazione sia elevato.
E’ ovvio perciò come per segnali a bassa frequenza sia preferibile utilizzare misure di
periodo, mentre per segnali ad alta frequenza misure di frequenza.
Nel caso in cui si eseguano misure di periodo è possibile migliorare l’accuratezza
della misura utilizzando una finestra di conteggio di durata 'T, che sia un multiplo del
periodo del segnale da misurare, infatti posto 'T=K Tx, sia avrà:
HT
x
KTx
'T
N ' Tc
Tx
N'
Tc
K
NTc
e
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
60
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
alternata
Tc
N'
eTc
K
K
1
H Tx
H Tc
N'
Quindi l’errore relativo di conteggio è diminuito di un fattore pari a K.
eTx
3.1.1.3 Specifiche di un DMM
Tra le caratteristiche principali dei DMM (in realtà i punti 2 e 3 valgono per qualunque
strumento numerico) si possono elencare:
Numero di cifre
Solitamente sono indicate con 3 ½, 4 ½ (multimetri palmari), 5 ½ oppure 6 ½, 8 ½
(multimetri da banco) dove il numero intero indica le cifre decimali utili, mentre il ½
indica che la cifra più significativa può assumere i valori 0 oppure 1. Ci sono alcune
varianti indicate dai costruttori che consentono di leggere oltre il valore massimo di
fondo scala. Tale caratteristica prende il nome di over-range (50% o 100%).
Risoluzione
Corrisponde al peso della cifra meno significativa, nel fondo scala utilizzato.
Esempio: supponiamo di avere un DMM con 3 ½ e di effettuare una misura con
fondo scala pari ad 1V. La risoluzione sarà pari a:
Ris
1
u 1V
1000
1 u 10 3 V
3. Impedenza di ingresso
3.1.1.4 Valutazione dell’Accuratezza di un DMM
Non esiste una normativa precisa riguardante la definizione dell’accuratezza dei
DMM.
Si ricorda che l’accuratezza fornita dal costruttore deve essere in genere intesa come
massimo errore.
Normalmente l’accuratezza assoluta viene espressa nel modo seguente
'X
k1 X k2 '
dove il primo termine della somma rappresenta un contributo all’errore proporzionale
al valore letto |X| (errore di guadagno), mentre il secondo termine rappresenta un
errore proporzionale al fondo scala, cioè un contributo costante una volta fissata la
scala (errori di offset)
k2 e k1 vengono forniti sotto forma tabulare dal costruttore dello strumento (vedi
esempio in tabella 1), ed il loro valore dipende ovviamente dalla funzionalità scelta
per lo strumento (V-DC, V-AC,..), dalla portata scelta, dal range di frequenza per le
misure in alternata, dalle condizioni di utilizzo (temperatura umidità etc.)
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
60 b
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed
alternata
Accuracy Specifications ± (% of reading + % of range)[1]
24 Hour [2]
23°C ± 1°C
90 Day
23°C ± 5°C
1 Year
23°C ± 5°C
Temperature
Coefficient
0°C – 18°C
28°C – 55°C
0.0030 + 0.0030
0.0020 + 0.0006
0.0015 + 0.0004
0.0020 + 0.0006
0.0020 + 0.0006
0.0040 + 0.0035
0.0030 + 0.0007
0.0020 + 0.0005
0.0035 + 0.0006
0.0035 + 0.0010
0.0050 + 0.0035
0.0040 + 0.0007
0.0035 + 0.0005
0.0045 + 0.0006
0.0045 + 0.0010
0.0005 + 0.0005
0.0005 + 0.0001
0.0005 + 0.0001
0.0005 + 0.0001
0.0005 + 0.0001
3 Hz - 5 Hz
5 Hz - 10 Hz
10 Hz - 20 kHz
20 kHz - 50 kHz
50 kHz - 100 kHz
100 kHz - 300 kHz[6]
1.00 + 0.03
0.35 + 0.03
0.04 + 0.03
0.10 + 0.05
0.55 + 0.08
4.00 + 0.50
1.00 + 0.04
0.35 + 0.04
0.05 + 0.04
0.11 + 0.05
0.60 + 0.08
4.00 + 0.50
1.00 + 0.04
0.35 + 0.04
0.06 + 0.04
0.12 + 0.04
0.60 + 0.08
4.00 + 0.50
0.100 + 0.004
0.035 + 0.004
0.005 + 0.004
0.011 + 0.005
0.060 + 0.008
0.20 + 0.02
1.000000 V
to
750.000 V
3 Hz - 5 Hz
5 Hz - 10 Hz
10 Hz - 20 kHz
20 kHz - 50 kHz
50 kHz - 100 kHz[5]
100 kHz - 300 kHz[6]
1.00 + 0.02
0.35 + 0.02
0.04 + 0.02
0.10 + 0.04
0.55 + 0.08
4.00 + 0.50
1.00 + 0.03
0.35 + 0.03
0.05 + 0.03
0.11 + 0.05
0.60 + 0.08
4.00 + 0.50
1.00 + 0.03
0.35 + 0.03
0.06 + 0.03
0.12 + 0.04
0.60 + 0.08
4.00 + 0.50
0.100 + 0.003
0.035 + 0.003
0.005 + 0.003
0.011 + 0.005
0.060 + 0.008
0.20 + 0.02
100.0000 Ω
1.000000 kΩ
10.00000 kΩ
100.0000 kΩ
1.000000 MΩ
10.00000 MΩ
100.0000 MΩ
1 mA Current Source
1 mA
100 µA
10 µA
5.0 µA
500 nA
500 nA || 10MΩ
0.0030 + 0.0030
0.0020 + 0.0005
0.0020 + 0.0005
0.0020 + 0.0005
0.002 + 0.001
0.015 + 0.001
0.300 + 0.010
0.008 + 0.004
0.008 + 0.001
0.008 + 0.001
0.008 + 0.001
0.008 + 0.001
0.020 + 0.001
0.800 + 0.010
0.010 + 0.004
0.010 + 0.001
0.010 + 0.001
0.010 + 0.001
0.010 + 0.001
0.040 + 0.001
0.800 + 0.010
0.0006 + 0.0005
0.0006 + 0.0001
0.0006 + 0.0001
0.0006 + 0.0001
0.0010 + 0.0002
0.0030 + 0.0004
0.1500 + 0.0002
Frequency,
etc.
Function
Range[3]
dc Voltage
100.0000 mV
1.000000 V
10.00000 V
100.0000 V
1000.000 V
True rms
ac Voltage[4]
100.0000 mV
Resistance[7]
Tabella 1. Caratteristiche strumentali fornite dal costruttore
Valutando l’accuratezza relativa espressa come:
*X
'X
X
k1 k2
'
X
(60)
ci si rende conto di come, scelto un fondo scala, possa pesare maggiormente il primo
contributo rispetto al secondo o viceversa, a seconda del valore assunto dal valore
letto (figura 28).
K1 e K2 hanno lo stesso peso
*X
Predomina K2
Predomina K1
X
Figura 28. Andamento dell’accuratezza relativa di un DMM, dove si è posto K1=k1e K2=k2'/|X|.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
60 c
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali
4. Oscilloscopi Analogici e Digitali
4.
Oscilloscopi Analogici e Digitali ......................................................................... 61
4.1. Introduzione ............................................................................................... 61
4.2. L’Oscilloscopio Analogico........................................................................... 61
4.2.1. Struttura Generale............................................................................... 62
4.2.2. Analisi Dinamica della Deflessione ..................................................... 66
4.2.3. Deflessione Verticale .......................................................................... 68
4.2.4. Deflessione Orizzontale ...................................................................... 69
4.2.5. Sistema di Trigger ............................................................................... 71
4.2.6. Base dei Tempi ................................................................................... 72
4.2.7. Base dei Tempi Ritardata.................................................................... 74
4.2.8. I comandi posizione orizzontale e posizione verticale......................... 76
4.2.9. Oscilloscopi a Tracce Multiple............................................................. 76
4.3. Sonde......................................................................................................... 77
4.3.1. Sonde Passive .................................................................................... 78
4.3.2. Sonde Attive........................................................................................ 80
4.4. L’Oscilloscopio Digitale .............................................................................. 81
4.4.1. Campionamento in Tempo Reale........................................................ 85
4.4.2. Campionamento Asincrono (Tempo Equivalente)............................... 86
4.4.3. Confronto con l’Oscilloscopio Analogico ............................................. 89
4.4.4. Oscilloscopi Digitali a Larghissima Banda........................................... 90
4.4.5. Ricostruzione della Traccia ................................................................. 91
4.4.6. Considerazioni sulla Visualizzazione di un Oscilloscopio Digitale....... 92
4.4.7. La Persistenza .................................................................................... 93
4.4.8. Parametri Caratterizzanti dello Strumento .......................................... 94
4.4.9. Trigger di un Oscilloscopio Digitale ..................................................... 96
4.4.10.
Misure Automatiche......................................................................... 97
4.1. Introduzione
L’oscilloscopio consente la visualizzazione e l’analisi dei segnali nel dominio del
tempo. E’ uno strumento complesso e molto versatile largamente utilizzato in tutti i
campi delle misure elettriche ed elettroniche; è importante quindi conoscerne la
struttura e i principi di funzionamento, per poter valutare con criticità i risultati ottenuti
e per poter interpretare le caratteristiche metrologiche dello strumento.
4.2. L’Oscilloscopio Analogico
Storicamente questo strumento si è dimostrato uno dei dispositivi di misura più
potenti. Lo scopo sostanziale è quello di rappresentare una tensione Vy in funzione
del tempo oppure di un’altra tensione Vx.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
61
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali
In generale quindi esso potrà fornire due tipi di visualizzazione:
Vy
g t (1)
Vy
f V x (2)
Per la (1) parleremo di funzionamento in base dei tempi mentre per la (2) si parlerà di
modalità di funzionamento xy.
4.2.1. Struttura Generale
I blocchi fondamentali che
sostanzialmente tre vedi figura 1:
costituiscono
l’oscilloscopio
analogico
sono
1. Il tubo a raggi catodici
2. Il sistema di condizionamento del segnale X (o canale X)
3. Il sistema di condizionamento del segnale Y (o canale Y)
Il tubo a raggi catodici o più comunemente CRT (Cathod Ray Tube) è costituito da un
tubo elettronico a vuoto, al cui interno viene generato un fascio di elettroni,
rappresentato in figura 1a. Il fascio di elettroni che viene generato dal catodo
colpisce l’estremità opposta del tubo (schermo), che è ricoperta di fosfori.
Nel punto in cui lo schermo viene colpito, gli effetti di fosforescenza e fluorescenza
danno luogo ad una punto luminoso, la cui permanenza ha durata determinata dal
tipo di fosfori utilizzato. Con i fosfori giallo-verdi normalmente utilizzati i tempi di
permanenza sono nell’ordine di alcuni di ms.
Lo schermo in genere è provvisto di un reticolo, che lo suddivide in 8 divisioni
verticali e 10 divisioni orizzontali, per aiutare la visualizzazione e la misura.
Figura 1. struttura dell’oscilloscopio
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
62
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali
X
G
F
C
A1
A2
A3
Z
Y
E
-AT
Figura 1a. Schema del tubo a raggi catodici
Il CRT può essere suddiviso in tre sezioni:
1. La parte di generazione del fascio (gruppi F,G,C)
2. La parte di accelerazione (A1,A2,A3)
3. La parte di deflessione e visualizzazione (X
,,YE)
Gli elettroni vengono inizialmente emessi dal catodo C per effetto termoionico, una
volta che questo venga opportunamente riscaldato dal filamento F. Il cilindro di
wehnelt (griglia G) serve a controllare la quantità di elettroni che raggiungeranno lo
schermo e dal suo potenziale dipende l’intensità del fascio di rappresentazione.
Il fascio elettronico viene accelerato lungo l’asse del tubo da una serie di elettrodi A1,
A2, A3 (che sono sostanzialmente anodi) collegati ad un potenziale maggiore di
quello del catodo (si tenga conto che la differenza di potenziale è molto elevata,
nell’ordine delle migliaia di Volt). Solitamente il potenziale di A2 può essere variato,
mentre quelli di A1 e A3 rimangono fissi. Il sistema di anodi ha il compito di
accelerare e di focalizzare il fascio. L’elettrodo A1 prende il nome di elettrodo di pre–
accelerazione, l’elettrodo A2 è detto elettrodo di focalizzazione, mentre A3 prende
il nome di elettrodo di accelerazione. Il campo generato dal sistema dei tre anodi
costituisce una lente elettronica convergente che collima il fascio elettronico e riduce
la dimensione del punto luminoso sullo schermo.
Una volta che il fascio di elettroni ha attraversato il sistema anodico, entra nel
sistema di deflessione costituito da due coppie di placchette ortogonali (una per
asse).
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
63
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali
Prima di procedere oltre elenchiamo le ipotesi che si possono formulare al fine di
semplificare al massimo la trattazione:
1. Il fascio elettronico ha spessore nullo. In pratica è come se tutti gli elettroni
fossero allineati.
2. Le placchette possono essere considerate come le armature di un
condensatore a facce piane e parallele.
3. Gli elettroni entrano nel condensatore formato dalle placchette con velocità
solo lungo z (figura 1).
Y
D
d/2
D
L/2
Z
L
H
Figura 2. Principio secondo cui avviene la deflessione e rappresentazione della traiettoria del
fascio elettronico
Ciascuna coppia di placchette provvede alla deflessione lungo uno degli assi di un
ipotetico diagramma cartesiano, che corrisponderà a quello di rappresentazione del
segnale posto sullo schermo.
In figura 2 è mostrato lo schema di base secondo il quale avviene la deflessione del
fascio elettronico.
Il campo che si genera tra le due placchette è pari a:
Ey
Vy
(3)
d
Supponiamo che la particella abbia velocità lungo z pari a vz. Poiché il campo è
diretto lungo Y il moto che risulterà sarà rettilineo uniforme lungo Z ed in particolare
avremo:
Z t v Z t
(4)
Lungo Y, invece, la particella sarà sottoposta ad una forza pari a:
Fy
ma y
qEy œ ay
qE y
m
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
(5)
64
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali
ay
qV y
(6)
md
Sostituendo la (6) nella legge del moto uniformemente accelerato si ottiene:
1
ayt 2
2
Y (t )
1 q Vy 2
t
2m d
(7)
Ricavando il tempo dalla (4) e sostituendo l’espressione trovata nella (7) si ricava la
traiettoria percorsa dall’elettrone all’interno delle placchette di deflessione:
Y( Z )
1 q Vy Z 2
2 m d v Z2
(8)
La (8), come del resto la figura 2, mostra che l’elettrone percorre all’interno delle
placchette una traiettoria parabolica, mentre, una volta uscito dal sistema di
deflessione, esso percorre un moto rettilineo uniforme con la direzione e la velocità
acquisite all’uscita.
In particolare, è possibile ricavarsi l’angolo di uscita (e quindi la direzione) mediante
la (9)
dY
dZ |Z
tgD
L
q L Vy
m d v Z2
(9)
L’equazione della traiettoria pertanto può essere approssimata con:
Y( Z )
q L Vy §
L·
¨Z ¸
2
m d vZ ©
2¹
(10)
la quota alla quale gli elettroni colpiscono lo schermo è data dalla (11)
D
H u tgD
q L H
Vy
m d v Z2
(11)
Per trovare la velocità iniziale vZ, in Z=0 si utilizza la seguente equazione:
1 2
mv Z
2
(12)
qVa
La (12) esprime il principio di conservazione dell’energia, avendo supposto un
potenziale di accelerazione anodico pari a Va.
Attraverso la (12) la (11) diviene:
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
65
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali
D
H u tgD
H L Vy
2 d Va
qL H
Vy
2 d qVa
(13)
La (13) dimostra che il tubo a raggi catodici si comporta come un convertitore lineare
tensione - deviazione.
Dunque è possibile spostare il punto luminoso sullo schermo del CRT di una quantità
proporzionale alla tensione applicata alle placchette di deflessione, ed imporre una
traiettoria arbitraria al punto luminoso, scegliendo opportunamente la legge di
variazione della tensione imposta alle placchette di deflessione x ed y.
Ad esempio, per utilizzare l’oscilloscopio in modalità base dei tempi, sarà necessario
pilotare le placchette y con una tensione proporzionale al segnale da visualizzare Vy,
e le placchette orizzontali con una tensione Vx, proporzionale al tempo (rampa).
E’ possibile definire una grandezza detta sensibilità, che si misura in [mm/V] e che è
esprimibile mediante la (14):
Sy
D
Vy
H L 1
2 d Va
(14)
La (14) mostra che per aumentare questo parametro sarebbe sufficiente
incrementare la lunghezza delle placchette oppure diminuire la tensione anodica.
Come avremo modo di vedere in seguito non è possibile utilizzare queste due
soluzioni (con placchette eccessivamente lunghe l’elettrone colliderebbe con le
medesime).
4.2.2. Analisi Dinamica della Deflessione
Fino ad ora si è supposto che la tensione in ingresso Vy (proporzionale al segnale da
analizzare) sia costante. In realtà tale tensione è variabile nel tempo. Perciò da
questo punto in avanti dovremo ragionare in termini non solo di tensione, ma anche
inevitabilmente di massima velocità di variazione del segnale in ingresso, correlata al
tipo di strumento selezionato.
La (11) era stata derivata in condizioni di Vy costante: se tuttavia questa ipotesi
decadesse si avrebbe la (15) utilizzando un qualunque istante t1:
D # H u tgD
dY
dY
H
dZ
H
dZ
dt
dt
(15)
t t1
ed ancora si potrebbe ottenere la velocità presente nella (15) integrando
l’accelerazione descritta nella (6)
t1
u y (t )
³a
t0
t1
y
(t )dt
q
³ md V
y
(t )dt
(16)
t0
Supponiamo adesso di utilizzare come segnale in ingresso un segnale sinusoidale di
ampiezza Vy e pulsazione Zp. Facendo inoltre l’ipotesi che, definito T=t1-t0, si ha
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
66
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Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali
Tp>>T si può dunque integrare la (16) considerando Vy costante; sostituendo il
risultato nella (15) si ottiene ancora la (11). Tuttavia per un Tp qualsiasi si ottiene:
q
md
u y (t )
t 0 T
³ V y sen(Z p t )dt
t0
qV y
Z p md
>cos Z
p
(t 0 T ) cos Z p t 0
@
(17)
La (17) può essere ulteriormente sviluppata
§T ·
T
senZ p ¨ ¸
©2¹
2 senZ § t T ·
p¨ 0
¸
T
2¹
Z p md
©
2
qVy
u y (t )
(18)
La (18) mostra come il valore di D dipenda sia dal valore della tensione in t0+T sia dal
sinc(ZpT/2), dove la funzione sinc è definita secondo la (19):
sin c( x)
sin( x)
x
(19)
La (18) mostra come anche il CRT contribuisca a determinare la banda
dell’oscilloscopio. Infatti poiché non si vuole avere una diminuzione della sensibilità,
si dovrà necessariamente imporre che sia fpT<<1, come mostrato in figura 3.
1
0.8
sinc(fpT/2)
0.6
0.4
0.2
0
-0.2
0
1
2
3
4
5
fpT
6
7
8
9
Figura 3. Andamento della funzione sinc
Questo implica, riprendendo la (12), che si avrà:
qV a
1
mv Z2
2
2
1 §L·
m¨ ¸ Ÿ T
2 ©T ¹
L
m
2 qV a
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
(20)
67
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Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali
Dalla (20) discende immediatamente la condizione di frequenza massima del
segnale e quindi di banda del CRT. Infatti si dovrà avere che:
f p 1 2qVa
L
m
(21)
La (21) mostra che la banda aumenta diminuendo la lunghezza delle placchette ed
aumentando la tensione di generazione del fascio. Tuttavia, per motivi costruttivi, non
è possibile aumentare la tensione Va oltre certi limiti, in quanto la sensibilità descritta
nella (14) diverrebbe troppo piccola. D’altra parte non è possibile diminuire la
lunghezza delle placchette, altrimenti sia la sensibilità sia il potere deflettente dello
strumento sarebbero non sufficienti.
Per aumentare la banda dello strumento nascono quindi delle soluzioni dette di
deflessione distribuita: in pratica si costruiscono una serie di linee di ritardo, come
mostrato in figura 4, che consentono di arrivare a bande del CRT dell’ordine del GHz,
mentre con la deflessione tradizionale si arriva soltanto a frequenze dell’ordine delle
centinaia di MHz.
Figura 4. Schema di principio della deflessione distribuita mediante linee di ritardo
4.2.3. Deflessione Verticale
Una volta affrontato il problema della deflessione in modo generico possiamo
descrivere come un segnale specifico in ingresso allo strumento venga condizionato
per pilotare il sistema di deflessione. Lo schema di principio per il condizionamento è
quello mostrato in figura 5.
AC
DC
Attenuatore
Amplificatore
Alle Plachette
di Deflessione
Verticale
GN
Volt/ div
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68
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Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali
Figura 5. Schema di principio della deflessione verticale
In ingresso (presente anche sul pannello dello strumento) è posto un selettore
commutabile a seconda della funzione richiesta su tre posizioni distinte AC, DC,
GND. La posizione AC viene selezionata quando si vogliano escludere eventuali
componenti in continua del segnale, per visualizzarlo soltanto nelle sue componenti
armoniche. Il condensatore deve potere sopportare tensioni di isolamento molto alte,
che possono raggiungere le centinaia di Volt. Selezionando DC si accoppia
direttamente il segnale al sistema di condizionamento, mentre con GND si
cortocircuita l’ingresso del sistema di condizionamento verso terra, in modo da
visualizzare un riferimento di tensione (il livello di terra) sullo schermo dello
strumento, per eventuali calibrazioni iniziali.
Il blocco successivo (attenuatore), che provvede all’adattamento di livello, consente
di variare il fattore di deflessione complessivo. Consente in altre parole di modificare
la taratura verticale del reticolo (Volt/div) ed è un comando impostabile da pannello,
detto scala verticale. Tale blocco presenta un’impedenza in ingresso costante al
variare della posizione del commutatore. Valori tipici sono 1-10M: e capacità di
~
10pF.
Valori tipici per la scala verticale sono sono: [5], [2], [1], [0,5], [0
,2], [0,1], ... in genere
fino a 0
[ .002]Volt/div.
Una volta scalato, il segnale viene passato al blocco di amplificazione prima di
giungere alle placchette. In condizioni di massima sensibilità il segnale entra
direttamente nell’amplificatore. La banda dell’amplificatore determina in genere la
banda dello strumento.
Le prestazioni in termini di velocità del blocco di condizionamento possono essere
espresse anche in funzione del tempo di salita Ts. Infatti, associando tale blocco ad
un sistema del primo ordine (assunzione in genere realistica), vale la seguente:
Ts B # 0,35
(22)
dove il tempo di salita è definito tra il 10% ed il 90% del valore finale della risposta al
gradino del sistema. Se il blocco di amplificazione ha un tempo di salita pari a Tsa ed
il segnale pari a Tss, allora il tempo complessivo Tstot, che si misura analizzando il
segnale visualizzato, sarà ben approssimato dalla seguente:
2
Tstot
Tsa2 Tss2
(23)
Pertanto Tstot è circa uguale a Tss solo se Tsa<<Tss (in genere si vuole che Tsa=Tss/5)
4.2.4. Deflessione Orizzontale
Come detto esistono due modi di pilotare la deflessione orizzontale: il primo in base
tempi, il secondo in modalità XY. Il principio di funzionamento è il medesimo: quello
che cambia è solo il risultato della rappresentazione. Pertanto illustreremo a titolo
esemplificativo il primo modo.
L’asse delle X viene tarato in unità temporali e vale sempre la relazione (13):
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69
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H L Vx
2 d Va
D
(24)
dove al posto di Vy abbiamo sostituito per ovvi motivi Vx.
Come già accennato, Vx deve variare linearmente con il tempo. L’andamento del
segnale che si utilizza per pilotare le placchette di deflessione orizzontale, detto base
dei tempi, è quello a dente di sega mostrato in figura 6.
V
Ideale
Reale
Estrema dx
ta
tb
t
Estrema sx
Figura 6. Andamento ideale e reale della tensione di deflessione orizzontale
La pendenza dei tratti rettilinei mostrati in figura 6 indica la velocità di scansione
orizzontale del pennello elettronico (punto luminoso). La pendenza può essere
settata da un comando sul pennello che determina la taratura dell’asse orizzontale
('T/div), detto scala orizzontale. In particolare, il livello di tensione più basso
corrisponde alla condizione in cui il pennello si trova all’estrema sinistra dello
schermo, mentre il valore di tensione più alto corrisponde all’estrema destra.
Nella figura 6, sono rappresentate due curve: quella a tratto unito è teorica, mentre
quella in tratteggio rappresenta l’andamento della base dei tempi reale, tra una
spazzolata e l’altra (di durata ta) trascorre un certo tempo, tb, necessario per riportare
il pennello dall’estrema destra all’estrema sinistra. In realtà il segnale dovrà
presentare alla fine della spazzolata anche tratti a pendenza nulla, per permettere la
sincronizzazione della base dei tempi con il segnale. Durante i tratti con pendenza
negativa che servono semplicemente per riportare il pennello elettronico all’estremità
sinistra dello schermo o i tratti a pendenza nulla di attesa, il raggio elettronico viene
spento, e la visualizzazione è inibita.
Abbiamo visto come sia possibile far percorrere una traiettoria arbitraria al pennello
elettronico, ed in particolare come sia possibile rappresentare la funzione Vy=g(t).
Una volta effettuata una spazzolata da sinistra a destra della schermo in un tempo ta,
il pennello, come abbiamo visto, è pronto a percorrere una nuova traiettoria,
rappresentando Vy=g(t+ta+tb). Ovviamente per avere un’immagine stabile sullo
schermo è necessario scegliere il ritardo complessivo, in modo da garantire che
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70
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Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali
tracce successive si sovrappongano esattamente. Questo è possibile solo per
segnali ripetitivi, grazie ad un sistema di sincronizzazione detto trigger.
In particolare, per segnali ripetitivi, è possibile ottenere una traccia stabile facendo
iniziare la spazzolata in corrispondenza degli istanti in cui il segnale assume lo
stesso valore con pendenza (derivata = slope) di segno prestabilito.
4.2.5. Sistema di Trigger
Il Trigger (grilletto) è il sistema fondamentale della base dei tempi di un
oscilloscopio. In qualsiasi strumento di questo tipo esiste sempre la possibilità di
utilizzare le seguenti sorgenti di trigger (la selezioni tra le possibili sorgenti avviene
tramite il comando TRIGGER SOURCE):
INT il segnale di trigger viene ricavato dal segnale Y.
EX
T
il segnale di trigger viene ricavato da un segnale esterno.
LINE il segnale di trigger viene ricavato dalla tensione di alimentazione.
-
L’ingresso scelto può essere accoppiato direttamente al sistema di trigger oppure
essere condizionato. Sono previsti in genere i seguenti tipi di accoppiamento:
- DC accoppiamento diretto
- AC accoppiamento attraverso una capacità serie. Corrisponde ad un filtro
passa alto con frequenza di tagli molto bassa (pochi Hz)
- LF Reject il segnale viene filtrato da un filtro passa basso con frequenza di
taglio intorno al kHz
- HF Reject, il segnale viene filtrato con un filtro passa basso con frequenza di
taglio intorno alle diecine di kHz.
- Noise Reject, il comparatore a soglia (vedi figura 7) presenta un’isteresi
maggiore, divengono ininfluenti i segnali di piccola ampiezza.
Lo schema di principio del trigger è quello mostrato in figura 7.
VL
Va
Comparatore a
soglia
Base dei
Tempi
VD
VS
Derivatore
Clipper
VI
Figura 7. Schema di principio del trigger
All’uscita dell’amplificatore differenziale si ottiene una tensione (Va) proporzionale alla
differenza tra un livello regolabile (VL, comando TRIGGER LEVEL sul pannello
dell’oscilloscopio) mediante potenziometro ed il segnale in ingresso Vi, come
mostrato in figura 8. Il livello dal quale parte la visualizzazione del segnale è quindi
stabilito con un comando dall’utilizzatore.
Il segnale differenza può essere invertito tramite il comando (SLOPE) che può
scambiare gli ingressi del differenziale, ciò che consente di selezionare di quale
pendenza (positiva o negativa) ci si intenda avvalere per avviare la rappresentazione
del segnale.
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71
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali
VI
Va
VL
t
t
VD
VS
t
t
Figura 8. Andamento delle tensioni all’interno dei blocchi che costituiscono il trigger
Il segnale Va costituisce l’ingresso di un comparatore a soglia con uscita Vs, come
mostrato in figura 8; successivamente tale segnale passa in un derivatore che
permette di ottenere una serie di impulsi sui fronti dell’onda quadra ed un clipper che
taglia gli impulsi con polarità negativa, in corrispondenza dell’attraversamento a
derivata minore di zero.
E’ chiaro che cambiare la pendenza per la generazione degli impulsi di trigger
corrisponde ad uno spostamento temporale della finestra di visualizzazione.
L’impulso di trigger è il comando di sgancio della rampa.
4.2.6. Base dei Tempi
Una volta descritto il sistema di trigger, analizziamo gli altri blocchi funzionali che
costituiscono il canale orizzontale o base dei tempi, facendo riferimento allo schema
a blocchi di figura 9.
ms/div
VT
VI
VG
Gate
Impulso di
Unblanking
Generatore di
Rampa
VR
VM
Rampa
Hold-Off
Figura 9. Schema di principio della base dei tempi
La base dei tempi genera (sgancia) la rampa in corrispondenza di un impulso di
trigger. La pendenza della rampa viene settata dall’apposito comando scala verticale.
Deve inoltre ignorare gli impulsi di trigger successivi fintanto chè non è terminata la
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72
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Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali
spazzolata, cioè finchè la rampa non ha raggiunto il valore massimo e durante il
periodo di tempo necessario a riportare il pennello all’estremità sinistra dello schermo
e reinizzializzare l’elettronica.
Ci sono sostanzialmente tre modalità di funzionamento per la base dei tempi:
-
NORMAL
AUTO
SINGLE
Per spiegarne il funzionamento faremo riferimento ai segnali rappresentati nella
figura 10.
In modalità NORMAL la rampa viene avviata solo in corrispondenza di un impulso di
trigger; se l’impulso di trigger non viene generato la rampa non parte e sullo schermo
non viene visualizzata alcuna traccia. Questo evento è possibile ad esempio se il
segnale Vy non raggiunge mai il livello di trigger selezionato.
Una volta partita la rampa, fintanto che la spazzolata non è stata completata e il
sistema non è stato riportato alle condizioni iniziali (ritardo tb), i successivi impulsi di
trigger non devono avere effetto; sarà dunque presente un blocco in grado di inibire
gli impulsi di trigger in tutto questo periodo.
Vediamo in dettaglio il funzionamento in modalità NORMAL. La porta di Gate si
comporta come un comparatore. La sua uscita è normalmente bassa,
se il segnale VI è compreso tra VGL e VGH. Il circuito di hold off mantiene inizialmente
tale tensione ad un valore VHO con VGL < VHO < VGH . L’impulso di trigger VT porta il
valore di VI al di sotto della tensione di soglia VGL ed il Gate commuta, dando l’avvio
alla rampa.
Durante la generazione della rampa, l’uscita (VM) del sistema di Hold-off cresce
seguendo la rampa stessa. Terminata la rampa (raggiunta la tensione corrispondente
alla estrema destra dello schermo), il circuito di Hold-off si comporta come un
monostabile e mantiene la tensione VGH per un intervallo regolabile (con il comando
che seleziona la durata dell’Hold-off, appunto). Il valore minimo dell’Hold off è quello
che consente al fascio elettronico di portarsi all’estrema sinistra dello schermo, ma
l’utente può scegliere di imporre un tempo di Hold-off (di inibizione del trigger)
maggiore.
In genere per una corretta rappresentazione si dovrà avere:
Tx
t a tb tc
mT y
(25)
Dove ta rappresenta il tempo di spazzolata (settato dal comando Time/div), tb è il
tempo di Hold-off, mentre tc è il tempo che intercorre fino al successivo impulso di
trigger.
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VT
t
VGH
VM
VGL
t
VG
t
VR
ta
t
tb
tc
Figura 10. Andamento delle tensioni nella base dei tempi
Per risolvere eventuali problemi di sincronizzazione (e.g. visualizzazione di una
continua), ed evitare la situazione in cui non si evidenzia nessuna traccia sullo
schermo, si sceglie la posizione AUTO, che consente di utilizzare il Gate come un
vero e proprio oscillatore astabile per generare una forma d’onda quadra (e di
conseguenza una rampa) periodica.
Con il comando SINGLE, infine, si abilita una singola spazzolata con un comando
esterno (one shot). In questo caso non si avrà una rappresentazione persistente
sullo schermo.
Insieme alla rampa viene generato un impulso di unblanking, che è un segnale che
pilota la griglia del CRT. Normalmente il pennello elettronico è spento, perché la
griglia è posta ad un potenziale molto negativo. Durante la rampa il segnale di
unblanking fa aumentare il potenziale di griglia, così da abilitare il fascio.
4.2.7. Base dei Tempi Ritardata
Un’altra funzionalità comune degli oscilloscopi è quella della base dei tempi ritardata,
il cui schema a blocchi è mostrato in figura 11. La funzione della base dei tempi
ritardata è quella di poter selezionare ed espandere temporalmente una porzione del
segnale visualizzato; a tal fine si genera una rampa con una pendenza maggiore
rispetto a quella utilizzata per la base dei tempi principale.
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Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali
Generatore di
Trigger
VTP
VUBP
Base dei tempi
Principale
VRP
VTR
Generatore di
Trigger
Base dei tempi
Ritardata
VUBR
VRR
VD
Figura 11. Schema di principio per la base dei tempi ritardata
La generazione del trigger della base dei tempi ritardata si ottiene mediante un
comparatore a soglia che consente attraverso l’uso di un comando potenziometrico
(delay del pannello dello strumento) di fare partire la scansione della rampa da un
qualunque punto. Il livello della soglia stabilisce il ritardo rispetto al trigger principale;
in genere negli oscilloscopi il comando Delay è tarato direttamente in tempo.
La pendenza è regolata in modo da stabilire la durata della rampa. Entrambi i blocchi
generatori di rampa consentono di creare degli impulsi di unblanking.
Anche per questa struttura esistono diverse modalità di funzionamento:
-
-
-
OFF
La base dei tempi ritardata non funziona
INTENSIFIED
In questa modalità, si utilizza la base dei tempi principale per la spazzolata ma
si sommano i due impulsi di unblanking (principale e ritardato) si ottiene
un’intensità maggiore della porzione temporale del segnale in corrispondenza
della rampa delayed.
DELAYED
Anche in questo caso funzionano entrambi i blocchi, ma la deflessione del
pennello elettronico è ottenuta tramite la base ritardata. La base dei tempi
principale serve solo per fornire l’ingresso al comparatore e fare partire la
seconda rampa.
MIXED
Si utilizzano entrambe le rampe, ma la visualizzazione è mista. Una prima
parte del segnale è in modalità standard ed una seconda parte in modalità
ritardata. Si ottiene così l’effetto di ingrandimento della porzione del segnale
d’interesse.
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Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali
4.2.8. I comandi posizione orizzontale e posizione verticale
In tutti gli oscilloscopi sono presenti due comandi: posizione orizzontale e posizione
verticale, che permettono di traslare la traccia sullo schermo orizzontalmente e
verticalmente. I due comandi agiscono su due potenziometri che determinano due
livelli di continua che vengono sommati agli ingressi degli amplificatori finali dei
canali x ed y.
4.2.9. Oscilloscopi a Tracce Multiple
In genere gli oscilloscopi consentono di visualizzare più di una traccia (almeno due)
contemporaneamente. La soluzione più utilizzata per ottenere questa funzionalità è
quella di replicare la struttura del canale Y mantenendo un unico canale X (base dei
tempi) e un unico cannone elettronico. Lo stesso pennello elettronico sarà dunque
utilizzato per disegnare tutte le tracce.
Lo schema di principio che consente ad un oscilloscopio di visualizzare più di una
traccia sullo schermo è costituito da un multiplexer (MUX
) e da un sommatore a valle
(vedi figura 12).
CH1
6
CH2
S1
Vy
All’amplificatore finale del
canale Y
S2
Figura 12
A seconda dello stato degli interruttori che costituiscono il multiplexer è possibile la
visualizzazione di ciascuno dei canali in ingresso o la loro somma.
E’ possibile visualizzare simultaneamente le due tracce relative ai canali CH1 e CH2.
Esistono due modalità da utilizzare a seconda della frequenza del segnale da
analizzare:
-
ALTERNATE
Si visualizzare entrambe le tracce, disegnando a turno le tracce, il MUXè
comandato dal Gate stesso. Tale modalità di visualizzazione si adatta molto
bene a segnali con frequenza elevata. In tale modalità è possibile ricavare il
sincronismo da uno solo dei segnali (in questo caso si mantiene tra i due la
relazione di fase), oppure alternativamente da entrambi (la visualizzazione di
entrambe le tracce risulta sicuramente stabile ma si perde la relazione di
fase). Nel primo caso si avrà una visualizzazione della seconda traccia stabile
quando
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76
Dispense di Misure per L’Automazione
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Tx
mT ya
(26)
nT yb
con m e n interi
-
CHOPPED (Affettato)
Nella modalità chopped la frequenza di chiusura degli interruttori del MUXè
comandata da un multivibratore astabile con frequenze dell’ordine delle 1
~00
kHz. Tale modalità non consente di prelevare il sincronismo all’uscita del
sommatore, quindi è sempre mantenuta la relazione di fase tra i segnali.
4.3. Sonde
La banda passante dello strumento è determinata essenzialmente dal polo
dell’amplificatore del canale Y. Tuttavia per assicurare una corretta visualizzazione
del segnale in esame bisogna tener conto anche di altri effetti:
-effetto di carico dell’oscilloscopio;
-effetto dei circuiti di prelievo (cavi, connessioni, sonde).
L’operazione di connessione viene spesso realizzata mediante un cavo BNC. Si
ricorda che l’ingresso dell’oscilloscopio viene visto come una resistenza con in
parallelo una capacità, come mostrato in figura 13 a).
VI
RI
CC
RI
CI
CI
VS
Figura 13. a) Equivalente in ingresso dell’oscilloscopio b) Equivalente con inserimento di cavo
BNC
Zs
Vx
CC
CI
RI
Vin
ZTot
Figura 13 c). Equivalente di circuito in ingresso, cavo e strumento
In figura 13 c) si vede il circuito equivalente cavo + oscilloscopio; la tensione in
ingresso al canale Ysarà data perciò da:
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Dispense di Misure per L’Automazione
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Vin
Vx
ZTot
Z s ZTot
(27)
Schematizzando come un generatore di tensione con un’impedenza equivalente
serie come mostrato in figura 13 c).
Supponiamo ora che sia per semplicità Zs = Req. L’insieme di cavo, circuito in
ingresso ed impedenza equivalente dell’oscilloscopio rappresenta da un punto di
vista ingresso uscita un filtro passa basso con frequenza di taglio pari a:
ft
1
2S CC CI Req // RI (28)
e considerando, come quasi sempre accade, che nella (28) RI>>Req si avrà:
ft
1
2S C C C I Req
(29)
Se accade che ft sia minore della frequenza di taglio dell’amplificatore del canale
verticale ecco che il segnale risulta distorto anche se il suo spettro ha banda minore
di quella dello strumento. Per ovviare a tale problema solitamente si fa uso di un
sistema di interfacciamento mediante sonde che possono essere passive (sonde
compensate) oppure attive.
4.3.1. Sonde Passive
Le sonde compensate hanno questo nome in quanto consentono di ridurre la
dipendenza dalla frequenza della parte a destra del circuito di misura di figura 13.
CS
Req
CC
VIN
CI
RI
RS
VOUT
Figura 14. Circuito con inserimento di sonda compensata per interfacciamento con
l’oscilloscopio ed il cavo
Facendo riferimento allo schema di figura 14 infatti, si nota come la sonda
compensata non sia altro che un parallelo tra una capacità variabile ed una
resistenza, posto in serie al percorso del segnale. La funzione di trasferimento
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Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali
(rapporto tra la tensione di uscita e quella di ingresso) è data dalla (31), avendo
definito la (30) come:
CC CI
CP
(30)
RI
1 jZC P RI
VOUT
V IN
(31)
RS
RI
1 jZC P R I 1 jZC S RS
Attraverso qualche passaggio possiamo dedurre dalla (31) che se viene soddisfatta
la (32) e cioè:
RI C P
(32)
RS C S
la funzione di trasferimento diviene indipendente dalla frequenza. Tuttavia la
presenza della resistenza equivalente in ingresso del circuito da misurare cambia le
cose rispetto ad una situazione ideale. Infatti calcolando l’impedenza di ingresso
dello strumento (compresa la sonda) si ottiene, se vale la (32), vale a dire in
condizioni di compensazione:
(33)
Z in Z C ' // R '
in cui:
R ' RS RI
e ZC’ è l’impedenza della capacità C’, data da:
(34)
CS CP
CS CP
C'
(35)
Se adesso calcoliamo nuovamente la frequenza di taglio della funzione di
trasferimento relativa alla tensione del generatore rispetto alla tensione
dell’oscilloscopio otteniamo:
ft '
1
2S ( Req // R ' )C '
(36)
se Req<<R’ (come si suppone in genere)
ft '
1
2S Req C '
(37)
Si noti che se RS>>RI e se vale la (32), allora CS<<CP e ft’>>ft. Tuttavia tale aumento
di frequenza di taglio ha come effetto l’introduzione di un fattore di attenuazione che
dipende dalla scelta del rapporto RS /RI.
Normalmente il fattore di attenuazione dato dalla (31) in condizioni di compensazione
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Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali
VOUT
RI
(38)
VIN
RI Rs
viene scelto pari a 10 o a 100: in tal caso sonde passive compensate si indicano
rispettivamente come 10x o 100x. L’attenuazione introdotta dalla sonda ha l’effetto di
allargare la banda del sistema, ovviamente a spese della sensibilità. Le sonde
passive più diffuse sono le sonde 10x, in cui Rs è circa 9 M: e Cs alcuni pF; le sonde
100x vengono utilizzate nelle applicazioni in cui si misurano alte tensioni
(applicazioni industriali). Nelle situazioni in cui il livello del segnale è molto basso si
può preferire sacrificare la banda a vantaggio della sensibilità, e per questo si
utilizzano sonde non attenuate (e non compensate) 1x.
Si osservi che se la condizione (32) non è rispettata, la sonda si comporterà come un
filtro passa alto o passa basso a seconda che domini la costante di tempo serie o
parallelo. Pertanto, prima dell’utilizzo di un oscilloscopio è sempre buona norma
verificare lo stato di compensazione delle sonde, cioè la condizione (32). Per fare
questo si connette la sonda ad un generatore di riferimento interno all’oscilloscopio
(è predisposto un morsetto sul pannello frontale) che è preposto alla generazione di
un’onda quadra stabile a frequenza fissata. La visualizzazione sullo schermo di
quest' onda si potrà presentare, a seconda dei casi, come in figura 15.
V
t
V
t
V
t
Figura 15. Onda quadra di riferimento. Sonda sovracompensata. Sonda sottocompensata
4.3.2. Sonde Attive
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80
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Le sonde attive prevedono di prelevare il segnale con un amplificatore posto nelle
immediate vicinanze del punto di prelievo, con
caratteristiche di elevata resistenza di ingresso (anche G:) e bassissima capacità
(minore di un pF); esse consentono perciò di aumentare la sensibilità del sistema.
Queste sonde necessitano di alimentazione ed il loro principale svantaggio, a parte il
costo, è rappresentato dalla fortissima limitazione introdotta sulla dinamica del
sistema. In genere Vin deve essere minore di 5V.
Tra le sonde attive, sono di particolare interesse le sonde differenziali, che
contengono un amplificatore differenziale e consentono di visualizzare la differenza
di potenziale tra due punti fuori massa.
Le misure differenziali non si possono ottenere altrimenti utilizzando un solo canale
dell’oscilloscopio, perché l’ingresso del canale verticale per motivi di sicurezza è
sempre riferito allo chassis e a terra.
4.4. L’Oscilloscopio Digitale
La naturale evoluzione dell’oscilloscopio analogico è rappresentata dall’oscilloscopio
digitale. Fino agli anni ‘90 l’oscilloscopio analogico e quello digitale potevano
considerarsi, nonostante la funzione svolta fosse sostanzialmente la stessa,
strumenti ben diversi e svolgevano compiti in qualche modo complementari.
L’oscilloscopio digitale presenta l’indubbio vantaggio di permettere la
memorizzazione delle forme d’onda, e quindi la rappresentazione di forme d’onda
non ripetitive. Tuttavia, come avremo modo di illustrare in seguito, alcuni problemi
non hanno permesso inizialmente a questo strumento digitale di soppiantare il
suo antenato analogico.
Occorre infine notare che gli oscilloscopi digitali di recente concezione presentano
soluzioni più o meno efficaci a tali problemi; per questo l’uso dell’oscilloscopio
analogico sta diventando sempre meno frequente.
Clock
Condizionamento
Analogico
Generatore di
Trigger
Memoria di
acquisizione
A/D
Sistema di
condizionamento ed
acquisizione
BUS
I/O
Memoria
Programmi
CPU
Visualizzazione
Figura 16. Architettura di base di un oscilloscopio digitale
L’oscilloscopio digitale ha la struttura illustrata in figura 16: oltre ai blocchi che
costituiscono il sistema di condizionamento ed acquisizione contiene al suo interno
dei blocchi di memoria programmi e di memoria di visualizzazione, il sistema di
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
81
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali
visualizzazione, un processore CPU (Central Processor Unit) e generalmente delle
interfacce I/O standard che consentono lo scambio dati con altri sistemi.
I segnali vengono campionati e quantizzati, i campioni vengono memorizzati nella
memoria di acquisizione e al termine dell’acquisizione vengono trasferiti attraverso il
bus al sistema di elaborazione e visualizzazione.
La prima differenza di questo strumento con l’antenato analogico risiede nella
struttura, che, come mostrato in figura 16 non è più costituita da una serie di blocchi
in cascata con velocità che condizionano la banda dello stumento. L’unica sezione
veloce deve essere in linea di principio la sezione di acquisizione (condizionamento
analogico, conversione A/D memoria di acquisizione, sistema di trigger). Una volta
memorizzati i dati possono essere trasferiti, elaborati e visualizzati da sistemi più
lenti.
Uno dei vantaggi che si ottengono riguarda il sistema di visualizzazione: le sue
caratteristiche dinamiche e di linearità non sono più importanti come nella
controparte analogica. Infatti il processo di visualizzazione è a valle della
memorizzazione, ed avviene in un tempo sostanzialmente indipendente dalla durata
finestra di osservazione del segnale (in genere frequenza di refresh del video
dell’ordine delle decine di Hz, una visualizzazione ogni 20-10 ms indipendentemente
dal tempo di osservazione). Negli oscilloscopi digitali viene utilizzato un CRT raster,
di qualità molto inferiore rispetto ai tubi vettoriali, utilizzati nell’oscilloscopio analogico
(costituito ad esempio da matrici di 368 x 576 pixel).
La struttura dell’oscilloscopio digitale consente di superare tutti i problemi di visualizzazione che si
avevano con gli oscilloscopi analogici, in particolare:
- i problemi legati alla scarsa luminosità delle tracce in corrispondenza di spazzolate molto
veloci
- l’impossibilità di ottenere una rappresentazione a traccia continua con basi dei tempi molto
strette, per le quali la permanenza dei fosfori non è sufficiente a mascherare il movimento del
punto luminoso.
Il sistema di condizionamento e acquisizione è riportato in figura 17, il segnale
analogico entra in un attenuatore e nel sistema di amplificazione (vedi oscilloscopio
analogico). Questi blocchi analogici hanno banda piuttosto larga (da 100 MHz per gli
oscilloscopi meno costosi fino a 12 GHz per gli oscilloscopi di gamma più alta);
pertanto è in genere possibile inserire uno o più filtri passa basso per ridurre la
banda e quindi il rumore nel caso in cui si stia utilizzando lo strumento per
visualizzare segnali a bassa frequenza.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
82
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali
Input
1. Condizionamento
Analogico
Amplificazione
Attenuazione
Filtraggio
Comando
Conversione
Gestione
Memoria
2. Convertitore
A/D
3. Memoria di
Acquisizione
Numero Massimo
di Bit
Velocità di
conversione
Immagazzinamento
dati
Figura 17. Blocchi principali dell’oscilloscopio digitale
Il segnale condizionato viene campionato e quantizzato dal convertitore A/D che
opera a frequenza di campionamento fissa. I convertitori impiegati negli oscilloscopi
hanno in genere risoluzione ridotta (8 o 9 bit) ed elevata frequenza di
campionamento. La tendenza è quella di realizzare campionatori sempre più veloci
(anche alcuni GHz) per aumentare le capacità di visualizzazione di segnali non
ripetitivi. Le soluzioni circuitali adottate dai vari costruttori, descritte solo
sommariamente, si basano sulla parallelizzazione delle catene di conversione.
Alcuni oscilloscopi utilizzano campionatori a frequenze piuttosto ridotte (decine di
MHz); questo, come vedremo, limita molto l’applicabilità all’osservazione di segnali
non ripetitivi.
La memoria di acquisizione deve garantire la memorizzazione dei campioni a mano
che vengono convertiti; dunque cicli di scrittura minori dei tempi di campionamento,
Si utilizzano perciò memorie veloci e costose. La profondità di tale memoria era
molto limitata negli anni ‘90 (tipicamente 1-10 kSamples), mentre negli oscilloscopi
più recenti è possibile ottenere espansioni di memoria fino alle decine di MSamples.
La memoria di acquisizione in pratica è schematizzabile come un buffer circolare (di
tipo FIFO First In First Out) di lunghezza N. Normalmente la memoria viene riempita
via via che i campioni vengono convertiti. Al tempo t saranno presenti in memoria il
campione attuale e N-1 campioni precedenti che coprono una finestra temporale pari
a NTc. La memorizzazione viene gestita dal sistema di trigger, che è realizzato in
modo identico a quello visto per l’oscilloscopio analogico. Se l’impulso di trigger
arresta la memorizzazione, il contenuto della memoria, che poi viene visualizzato,
rappresenta una finestra di osservazione lunga NTc che termina all’istante
corrispondente all’evento di trigger. Questa modalità di acquisizione e
visualizzazione viene detta pre-trigger. Nel caso in cui la memorizzazione si arresti M
impulsi di clock dopo l’evento di trigger, si avrà la visualizzazione di una finestra
temporale di lunghezza pari a (N-M)Tc precedente al trigger (pre-trigger) ed una
finestra di durata MTc successiva al trigger (posttrigger) (vedi figura 18). Nel caso in
cui M=N, la visualizzazione sarà tutta in post-trigger, che è la situazione
corrispondente alla visualizzazione che si ha con un oscilloscopio analogico.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
83
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali
La possibilità di visualizzare porzioni del segnale antecedenti al trigger rappresenta
un vantaggio dell’oscilloscopio digitale, che può risultare particolarmente utile nelle
applicazioni legate al test ed alla diagnosi.
Normalmente negli oscilloscopi è possibile scegliere il valore di M con il comando
TRIGGER POSITION. Mentre non è possibile in genere scegliere un qualunque
valore di M, esistono invece tipicamente le seguenti opzioni:
V
Livello di Trigger
N-M
M
t
N
Figura 18. Schematizzazione della profondità (N) di memoria rispetto alla porzione effettiva (M)
di segnale acquisito. I restanti campioni (N-M) hanno immagazzinato una porzione di segnale
evidentemente non di interesse, ma tuttavia ancora disponibile
1. M=N: Sart/Left
2. M=N/2
3. M=0: End/Right
Tutto il segnale appartiene alla posizione di post-trigger
Metà segnale appartiene al pre-trigger e l’altra metà al
post-trigger
Tutto il segnale appartiene alla posizione di pre-trigger
Solitamente, negli oscilloscopi moderni M può assumere un qualunque valore intero
anche maggiore di N. Un esempio di tale evenienza è mostrato in figura 19, dove si
acquisisce con M=4N.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
84
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Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali
V
M=0
M=N
M=2N
M=3N
M=4N
t
Figura 19. Segnale acquisito con M=4N
Esistono almeno due diversi modi di effettuare il campionamento a seconda delle
misure che si vogliono condurre e della tipologia di segnale:
1. Campionamento in tempo reale (One Shot o Single Shot)
2. Campionamento in tempo equivalente (Sequenziale oppure asincrono)
Di fatto, date le prestazioni degli odierni convertitori, quasi tutti gli oscilloscopi di un
certo livello funzionano in tempo reale.
Per quanto riguarda il campionamento in tempo equivalente la modalità più utilizzata
è quella detta asincrona o random, che verrà illustrata nel dettaglio più avanti. Il
campionamento sequenziale viene utilizzato soltanto in strumenti particolari con
banda analogica elevatissima (decine di GHz) detti oscilloscopi a campionamento.
4.4.1. Campionamento in Tempo Reale
Questa modalità di acquisizione è quella che più si avvicina al modo di
funzionamento di un oscilloscopio analogico, per cui il segnale che entra in ingresso
allo strumento viene visualizzato praticamente in tempo reale. Ovviamente
nell’oscilloscopio di tipo digitale la frequenza massima del segnale oggetto di misura
sarà determinata sia dalla banda analogica del sistema di campionamento sia dalla
frequenza di campionamento.
Il segnale viene campionato come mostrato in figura 20, ciascun campione segue il
precedente temporalmente. Questa strategia di campionamento consente
l’osservazione di segnali non ripetitivi.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
85
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali
V
C2
C3
C4
C1
C5
t
C6
C7
C8
C9
Figura 20. Schema del campionamento in tempo reale, dove ciascun campione è
temporalmente consecutivo all’altro
Ovviamente la frequenza di campionamento Fc dovrà soddisfare la condizione
di Nyquist, secondo cui data la massima frequenza del segnale B:
FC ! 2 B
(39)
Se il segnale viene rappresentato usando i campioni acquisiti, senza effettuare
nessun tipo di ricostruzione per ottenere una rappresentazione leggibile, sarà
necessario sovracampionare il segnale, ottenendo così una condizione più
stringente.
4.4.2. Campionamento Asincrono (Tempo Equivalente)
Il campionamento in tempo equivalente permette di estendere la banda dello
strumento e di superare il limite di Nyquist per segnali ripetitivi.
Si suppongono verificate le seguenti ipotesi:
1. Il segnale è ripetitivo
2. La durata della finestra di osservazione è fissata ed è pari a T.
3. il sistema è in grado valutare intervalli temporali con risoluzione migliore di
T/N.
4. Il periodo di campionamento è pari a Tc.
Il periodo T è suddiviso in N time slot di durata Teq = T/N. La memoria di acquisizione
è mappata sulla finestra temporale, ogni cella contiene il campione relativo ad un
time slot. Vediamo con riferimento alla figura 21 come sia possibile memorizzare i
campioni al fine di ottenere una ricostruzione del segnale, anche quando non è
verificato il teorema di Shannon.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
86
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Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali
Il convertitore A/D lavora continuamente ed indipendentemente dall’evento di trigger,
perciò ad ogni evento di trigger corrisponde un ritardo temporale 'T diverso.
V
Eventi di trigger
C4
C1
C7
C6
'Tb
C2
t
'Ta
T
C3
C5
C8
Livello di
Trigger
Figura 21. Schema del campionamento asincrono
Si determina a quale degli N slot temporali, (P1,P2,...,PN), appartiene il primo
campione acquisito C1 dopo l’evento di trigger, avendo misurato il ritardo 'Ta. C1
apparterrà al time slot PK1, dove:
« 'T » « 'T »
(40)
K1 « a » « N a »
¬« Teq ¼» ¬ T ¼
L’appartenenza del campione C2 ad uno slot può essere determinata come segue:
C2 Ÿ TC 'Ta
K2
« (Tc 'Ta ) »
«
»
Teq
«¬
»¼
« (Tc 'Ta ) »
«N
» Ÿ C2  PK 2
T
¬
¼
(41)
ed allo stesso modo, fintanto che 'Ta +mTc<T, si valuterà lo slot Pkm per l’m-esimo
campione come :
Cm Ÿ mTc 'Ta
Km
« (( m 1 )Tc 'Ta ) »
«
»
Teq
¬«
¼»
« (( m 1 )Tc 'Ta ) »
«N
» Ÿ Cm  Pkm
T
¬
¼
(42)
Nell’esempio in figura, C3 è l’ultimo campione relativo al primo evento di trigger che
appartiene alla finestra di osservazione lunga T. A questo punto, prima di continuare
la ricostruzione della traccia, occorre attendere il successivo evento di trigger, che
supponiamo avvenga dopo il (M)-esimo campione. Si misura poi il ritardo 'Tb tra il
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
87
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali
nuovo evento di trigger e il successivo campione (M+1-esimo) e si calcola la
posizione degli slot temporali nei quali cadono i nuovi campioni, come segue:
CM m Ÿ ( m 1 )Tc 'Tb
« (( m 1 )Tc 'Tb ) »
»
«
Teq
»¼
«¬
KM m
« (( m 1 )Tc 'Tb ) »
«N
» Ÿ CM m  PK ( M m )
T
¬
¼
(43)
e così via finché a tutti gli slot temporali non sia stato attribuito un campione.
Per esempio, in relazione alla figura 21 con N=8, la forma d’onda ricostruita sarà
quella di figura 22.
V
C4
C1
C6
C7
C2
t
C5
C8
C3
Figura 22. Ricostruzione della forma d’onda
La frequenza di campionamento equivalente che risulta è quindi pari a:
'
FCeq
N
T
1
Teq
(44)
mentre quella effettiva utilizzata dal convertitore A/D è pari a:
FC
'
FCeq
k
N
kT
(45)
In particolare la (44) e la (45) mostrano come, essendo ridotta la frequenza di
campionamento reale rispetto a quella equivalente, il segnale debba essere acquisito
in k periodi. La massima frequenza di campionamento equivalente è limitata
dall’accuratezza con cui viene misurato il ritardo 'Ta.
Se il periodo di campionamento è molto maggiore del periodo di campionamento
equivalente e/o se gli eventi di trigger sono rari, il tempo necessario a riempire la
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
88
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali
memoria di acquisizione può essere molto lungo. Pertanto in genere il contenuto
della memoria viene visualizzato man mano che essa si riempie.
La spiegazione data fino ad ora riguarda l’acquisizione in post-trigger, ma con una
gestione leggermente più complicata della memoria è possibile ottenere anche
l’acquisizione in pre-trigger. Sarà infatti sufficiente avere un buffer dove salvare i
campioni che non appartengono alla porzione post-trigger (distanza temporale dal
trigger >T), e all’arrivo del trigger successivo valutare la distanza temporale dei
campioni dal nuovo evento di trigger in modo da stabilirne la posizione temporale
all’interno della porzione di pre-trigger).
4.4.3. Confronto con l’Oscilloscopio Analogico
Con riferimento al diagramma in figura 23, discuteremo di un problema che ha
impedito inizialmente l’utilizzo degli oscilloscopi digitali in alcune applicazioni.
Acquisizione
Visualizzazione – 8ms
Figura 23.
Il refresh dello schermo viene effettuato con periodo prossimo a 10 ms; la frequenza
di refresh corrisponde alla frequenza con cui viene acquisita la singola traccia. Nel
caso in cui si utilizzino frequenze di campionamento equivalenti elevate (alcuni
GSample/s), la frequenza con cui si osserva il segnale è significativamente bassa.
Conseguentemente anche la probabilità di osservare eventi casuali rari può
diventare molto bassa. Con un oscilloscopio analogico impostato con basi dei tempi
molto espanse, l’informazione che si ha a video è data dalla sovrapposizione di
moltissime tracce (anche 400-500 ktracce al secondo), per effetto della persistenza
dei fosfori (alcuni ms) anche un evento sporadico può risultare visibile. Per questo
motivo nelle applicazioni legate alla diagnosi di guasto o al test di circuiti,
l’oscilloscopio analogico risultava di gran lunga più efficace.
Le soluzioni che vengono proposte oggi dai costruttori sono di due tipi:
- Utilizzare una memoria di acquisizione molto profonda, in modo da allungare
la finestra di osservazione anche con frequenze di campionamento molto
elevate. Spesso offrono la possibilità di segmentare la memoria stessa, anche
in modo molto flessibile, salvando in ciascun segmento il segnale contenuto in
finestre temporali individuate da eventi di trigger vicini.
- Condensare in una sola immagine (schermata) l’informazione relativa a molte
tracce (anche migliaia) elaborando i dati acquisiti in tempo reale.
Questa seconda soluzione porta ad uno strumento detto DPO (Digital Phosphor
Oscilloscope), poiché ricalca le prestazioni di un oscilloscopio analogico. Un’
immagine mostrata sullo schermo infatti è ottenuta sovrapponendo un grande
numero di tracce (max 400 ktracce/s), sfruttando l’intensità luminosa di ciascun
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
89
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali
pixel (o il colore) per esprimere il numero di tracce che si sovrappongono in quel
punto; viene in tal modo emulato il funzionamento di uno schermo ai fosfori. La
generazione di questa immagine viene effettuata da un processore dedicato,
posto immediatamente a valle del campionatore che genera l’immagine
rasterizzata operando alla frequenza del campionatore stesso (Vedi figura 24).
30
30
30
25
25
25
20
20
20
15
15
15
10
10
10
5
5
5
5
10
15
20
25
30
5
10
15
20
25
30
5
10
15
20
25
30
5
10
15
20
25
30
30
25
20
15
10
5
Figura 24. Costruzione della visualizzazione offerta da un DPO. Nell’esempio sono condensate
le informazioni relative a tre tracce rappresentate nella riga superiore nell’immagine riportata
nella riga inferiore.
4.4.4. Oscilloscopi Digitali a Larghissima Banda
Esiste una famiglia di oscilloscopi (oscilloscopi campionatori) con banda analogica
nell’ordine delle diecine di GHz, che sfrutta un campionamento in tempo equivalente
di tipo sequenziale. I campioni utilizzati per ricostruire la traccia vengono ottenuti
acquisendo al più un campione in corrispondenza di ogni evento di trigger. Il
campionamento viene effettuato con ritardi crescenti rispetto agli eventi di trigger ('T
dal primo impulso di trigger, 2'T dal secondo, 3'T dal terzo, ...).
La differenza nell’architettura tra oscilloscopio digitale tradizionale e strumenti
campionatori è evidenziata in figura 25.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
90
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali
Attenuatori
A/D
Amplificatori
Amplificazione
Campionamento
A/D
Segnale in Digitale
in Uscita
Segnale in Digitale
in Uscita
Figura 25. Schemi degli oscilloscopi digitali (sopra) e a campionamento (sotto)
In particolare si vede che il sistema tradizionale prevede il condizionamento del
segnale a monte del campionatore; gli stadi di amplificazione ed attenuazione
determinano perciò la banda dello strumento.
Viceversa gli strumenti campionatori effettuano prima il campionamento (con un
circuito Sample and Hold) cosicché l’amplificatore per il segnale campionato può
avere una banda analogica più bassa della banda del segnale analogico.
4.4.5. Ricostruzione della Traccia
Le prestazioni di un oscilloscopio digitale dipendono da molti fattori. Per chiarire
quello che può accadere supponiamo di avere uno strumento dotato delle seguenti
caratteristiche:
1
100GS / s
10 ps
dove con 'T si intende il minimo tempo che si può misurare con incertezza fissata da
cui deriva la massima frequenza di campionamento equivalente F’Ceq, Fc indica
invece la massima frequenza di campionamento a cui opera l’A/D.
Supponiamo che la visualizzazione avvenga mediante una traccia costituita da 500
punti. Sia inoltre il coefficiente di deflessione orizzontale (scala orizzontale) variabile
tra 5s/div e 0,5ns/div.
Si possono verificare due condizioni estreme:
FC
-
'T # 10 ps
40MS / s
'
FCeq
Asse temporale espanso
La massima porzione di segnale visualizzabile sarà pari a:
0,5ns / div u 10div 5ns che è inferiore a TC=25ns
Ogni campione che viene acquisito avrà perciò solamente 5/25=0,2 come
probabilità di appartenere alla porzione di segnale di interesse e pertanto
l’acquisizione richiederà un tempo molto lungo, dipendente dalla frequenza
degli impulsi di trigger.
Due campioni consecutivi distano:
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
91
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali
T0
N qtime slot
-
5ns
500
10 ps ed e F’ceq=100 GS/s
Asse temporale compresso
Supponiamo di selezionare 100Ps/div. La porzione di segnale visualizzabile
sarà pari a:
100 Ps / div u 10div 1ms
Poiché si rappresenta la traccia con soli 500 punti, si avrà una nuova F’c pari
a:
500
FC'
500kS / s
1ms
e quindi rispetto alla frequenza di campionamento effettiva si dovrà decimare il
segnale campionato (i campioni) di un fattore pari a:
D
40MS / s
500kS / s
80
Quando si usa un asse temporale compresso, il campionatore in realtà fornisce più
informazione di quanta venga poi effettivamente utilizzata. Gli oscilloscopi
permettono in genere di utilizzare parte dell’informazione sovrabbondante,
consentendo di scegliere la strategia di decimazione.
In modalità RANDOM si effettua una decimazione vera e propria, scegliendo
semplicemente un campione ogni D campioni senza alcun criterio.
In modalità PEAK si sceglie fra D campioni quello a modulo maggiore e fra i D
successivi quello a modulo minore.
In tal modo è possibile ottenere informazioni sul segnale visualizzato (per esempio
un buon campionamento del suo inviluppo), anche se la frequenza di
campionamento equivalente non rispetta il teorema di Shannon.
Alcuni oscilloscopi consentono di utilizzare anche la modalità HI RES, che prevede di
ottenere un campione come media del blocco di D campioni. In questo modo si
ottiene un effetto di filtraggio e diminuzione del rumore (aumentano i bit equivalenti).
4.4.6. Considerazioni sulla Visualizzazione di un Oscilloscopio Digitale
Le limitazioni sulla banda del segnale da osservare dipendono dalle caratteristiche
dello strumento, ma anche dalle impostazioni scelte. In particolare vediamo che le
limitazioni imposte dal campionamento non dipendono dall’effettiva frequenza di
campionamento, ma da quella equivalente, che come abbiamo visto può essere
ottenuta da:
F 'eq
N
T
(46)
in cui N è il numero di punti che compongono la traccia e T è la durata della finestra
temporale visualizzata. T dipende dalle impostazioni dell’asse orizzontale scelte:
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
92
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali
T
't / div 10
(47)
in cui si è considerato che ci siano 10 divisioni orizzontali.
Scelta una frequenza equivalente, possono essere visualizzati in maniera corretta
tutti i segnali con banda fs che soddisfa queste condizioni:
-
in modalità di visualizzazione SAMPLE, visualizzando cioè solo i punti che
rappresentano i campioni (vedi figura 24). In genere si deve imporre
fs F 'eq
(48)
20 25
in altre parole sono richiesti per una visualizzazione chiara 20 2
–5 punti per
periodo.
In realtà questa condizione può non essere sufficiente: bisogna infatti
cautelarsi dall’aliasing ottico, cioè dalla tendenza dell’occhio umano a
collegare i campioni che sono più vicini nel piano x-y, trascurandone la
sequenza temporale. L’aliasing ottico non dipende solo dalle impostazioni del
canale orizzontale, ma anche da quelle del canale Y.
-
quasi tutti gli oscilloscopi consentono di utilizzare la modalità di
visualizzazione VECTORS: in questo caso i campioni sono collegati da
interpolanti lineari. Di fatto quindi viene applicato un filtro ricostruttore lineare,
che consente di rilassare la condizione (48), ottenendo:
fs -
F 'eq
(49)
10
alcuni oscilloscopi di pregio consentono (modalità SINC) di utilizzare anche
filtri ricostruttori di tipo sinc troncato, avvicinandosi molto al limite di Shannon:
fs F 'eq
(50)
2.5
In genere esiste un’ulteriore modalità di visualizzazione AVERAGE, che prevede di
visualizzare una traccia ottenuta come media di K tracce successive. Tale modalità è
molto utile nelle situazioni di basso rapporto segnale rumore, il valore efficace del
rumore si riduce sostanzialmente di un fattore pari a K .
4.4.7. La Persistenza
In quasi tutti gli oscilloscopi è possibile emulare una persistenza dei fosfori di durata
settabile (fino ad un tempo infinito). Questo comando permette di accumulare nella
memoria video un numero predefinito di tracce, ad esempio le tracce relative ad un
intervallo di 10s. Il meccanismo di costruzione dell’immagine è del tutto simile a
quello discusso nella sezione che riguarda il DPO, ma viene implementato nella
sezione video dell’oscilloscopio.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
93
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali
4.4.8. Parametri Caratterizzanti dello Strumento
In teoria un oscilloscopio digitale dovrebbe essere qualificato per ogni modalità di
funzionamento e quindi descritto dal costruttore in maniera esaustiva. In realtà i
fornitori tendono a fornire parametri diversi evidenziando i punti di forza della propria
linea di produzione rendendo un confronto con i concorrenti non sempre facile ed
immediato. Ciò nondimeno alcuni parametri possono essere ritenuti fondamentali:
1. BW (BandWidth), che è la larghezza di banda analogica dello strumento
2. Numero di punti per traccia (profondità della memoria di acquisizione).
3. Frequenza di campionamento single shot e in tempo equivalente.
4. Il minimo tempo di salita di una forma d’onda visualizzabile correttamente.
5. accuratezza verticale
6. accuratezza temporale
In particolare, per il punto 1 tale banda è definita mediante la frequenza di taglio
superiore (Ft) alla quale il guadagno dello strumento diminuisce di 3 dB:
§V
20 log¨¨ V
© VI
·
¸¸
¹
3dB Ÿ VV
0.707VI
VI
2
(51)
VI = tensione all’ingresso dello strumento
VV = tensione visualizzata
Quindi, anche in questo caso, la BW serve per definire il campo applicativo dello
strumento. Tuttavia anche se un costruttore dichiara una banda passante pari a 350
MHz, per esempio, non si può pensare di lavorare fino a tale frequenza, in quanto
considerando lo strumento come un filtro passa basso del primo ordine vale la
seguente:
VV
VI
1
(52)
f
1 j
Ft
La (52) consente di valutare come vari l’attenuazione di un qualunque segnale in
funzione della frequenza.
Supponendo per esempio di avere un segnale in ingresso con f = 0,5Ft, si avrà:
§
1
20 log ¨
¨ 1 ( 0 ,5 ) 2
©
·
¸ # 1dB
¸
¹
(53)
Dalla (53) possiamo dedurre che:
VV
VI
10
1
20
0,89 Ÿ# 10%
di attenuazione
con f = 0,1Ft si avrà in modo analogo:
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94
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali
VV
VI
10
0 , 05
0,994 Ÿ# 1%
20
di attenuazione
Perciò è uso comune considerare la banda utile dello strumento circa 1/10 della BW
dichiarata.
Il punto 4 poi permette di esprimere un legame tra la BW ed il tempo di salita limite
dello strumento, Tsa. Infatti, poiché abbiamo ipotizzato di considerare lo strumento
come un sistema del primo ordine si è gia visto eq. (22) che :
BW u Ts
(54)
0 ,35
e che il tempo misurato di salita Tstot sarà dato da:
TStot
TSS2 TSa2
(55)
La (55) approssima la relazione tra il tempo di salita effettivamente
rappresentato (visualizzato) dallo strumento (TStot), il tempo di salita del segnale (TSS),
e quello proprio dello strumento (TSa).
Quindi il tempo di salita minimo per il segnale di ingresso, una volta noto il tempo di
salita dello strumento, può essere conosciuto con un certo livello di confidenza
indicato da (p%), attraverso la:
Tstot TSS
p
d
TSS
100
(56)
Infatti sostituendo la (55) nella (56) si ottiene la (57)
2
§T ·
p
1 ¨ Sa ¸ 1 d
100
© TSS ¹
(57)
Dalla (57) è possibile ricavare il tempo minimo di salita del segnale, fissata p:
TSS t
TSa
(58)
2
p ·
§
¨1 ¸ 1
100 ¹
©
La (58) assume una forma più leggibile se si usa la (54). Infatti il tempo di salita
massimo che si può rappresentare viene legato in modo diretto alla larghezza di
banda dello strumento con la (60):
TSS t
0 ,35
2
(60)
p ·
§
BW ¨ 1 ¸ 1
100 ¹
©
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
95
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali
Accettando per esempio uno scostamento massimo tra TStot e TSS del 5%,, si avrà un
tempo di salita minimo del segnale dato da:
TSS t
TSa
1,1
#
0,32 BW
(61)
Alcuni esempi di caratteristiche di oscilloscopi digitali possono essere:
BW = 1 GHz, FC = 20 MS/s, FCeq = 20GS/s, oppure BW = 300 MHz, FC = 400 MS/s,
FCeq = 10GS/s. Si deve ricordare che molti oscilloscopi hanno un’opzione nel pannello
principale che permette di limitare la banda ad un valore pari a 20MHz, per
aumentare il SNR.
L’accuratezza verticale dello strumento solitamente viene fornita per tensioni DC ed
espressa come una percentuale del valore di fondo scala. Un valore ragionevole può
essere:
DC accuracy =<2% del fondo scala.
In alcuni strumenti viene fornita l’accuratezza verticale in termini di risoluzione con
riferimento al convertitore A/D.
DC accuracy =<2 risoluzione.
Supponiamo a tale scopo di avere uno strumento con un convertitore a 8bit, con 8
divisioni verticali, e che l’asse verticale sia tarato in modo da rappresentare 1 V/div.
La risoluzione dello strumento sarà data da:
'V
8V
# 31mV
256
(58)
Dalla (58) emerge subito che quando non si rappresenta a fondo scala la
forma d’onda (non si sfrutta tutta la dinamica dello strumento) l’incertezza aumenta.
In alcuni strumenti si fornisce anche l’incertezza sul guadagno, esprimendo
l’accuratezza complessiva nel seguente modo:
DC accuracy =<2 risoluzione + gain accuracy
Infine può essere distinto il contributo di incertezza relativo ad un un offset introdotto:
DC accuracy =<2 risoluzione + gain accuracy+offset accuracy
Per segnali variabili nel tempo si deve aggiungere la componente dovuta alle
prestazioni dinamiche dei blocchi di condizionamento analogico e del convertitore
dello strumento.
4.4.9. Trigger di un Oscilloscopio Digitale
Spesso gli oscilloscopi digitali prevedono modalità di trigger più flessibili rispetto a
quelle presenti negli oscilloscopi analogici. La flessibilità del sistema di trigger
dipende molto dal pregio dell’oscilloscopio: gli oscilloscopi digitali a basso costo
prevedono solo le funzionalità classiche analizzate fino ad ora per gli oscilloscopi
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
96
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali
analogici mentre gli oscilloscopi più costosi prevedono una serie di modalità
avanzate.
Tra le possibili modalità di trigger sono piuttosto diffuse quelle basate sulle
CONDIZIONI TEMPORALI.
L’evento di trigger si verifica se il segnale attraversa in salita ed in discesa (o
viceversa) il livello di trigger in un intervallo temporale che è minore (o maggiore) di
un intervallo fissato dall’utente. Questo permette di triggerarsi su eventuali glitch (o di
reiettarli).
Le modalità basate su EVENTI prevedono di convertire i segnali di ingresso in
segnali logici fissando arbitrariamente le soglie di conversione, ed infine di fissare
l’evento di trigger mediante una serie di condizioni logiche sui segnali così
condizionati.
E’ possibile inoltre fissare condizioni di abilitazione o di inibizione del trigger, fissarne
l’isteresi e così via.
4.4.10.
Misure Automatiche
Gli oscilloscopi digitali offrono in genere una vasta gamma di misure automatiche.
Questo significa che accanto alla visualizzazione si mette a disposizione dell’utente
una serie di algoritmi di elaborazione del segnale che agiscono sulla forma d’onda
acquisita e che consentono di valutarne le principali caratteristiche, ad esempio
valore efficace, di picco, valor medio, frequenza, periodo, tempo di salita etc. I
risultati numerici ottenuti applicando tali algoritmi vengono visualizzati, ed aggiornati
in tempo quasi reale.
L’applicazione delle misure automatiche consente di evitare tutti gli errori di misura
legati alla visualizzazione, risoluzione dello schermo etc. Tuttavia, il fatto che gli
algoritmi eseguiti spesso non vengono descritti dal costruttori rende molto difficile
valutare la loro accuratezza.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
97
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
5. Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione
Dati
5. Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati ............................................ 98
5.1.
Introduzione ............................................................................................... 98
5.2.
Un Breve Sguardo al Sistema Generale ................................................. 100
5.3.
Gli Interruttori Analogici (MUX)................................................................. 100
5.4.
Sample and Hold...................................................................................... 102
5.5.
Gli Amplificatori per Strumentazione ........................................................ 105
5.6.
Circuiti raziometrici: amplificatore a ponte................................................ 107
5.7.
I Convertitori Analogico/Digitali (A/D) ....................................................... 111
5.7.1.
Caratteristiche Generali .................................................................... 111
5.7.2.
Famiglie di Convertitori ..................................................................... 117
5.8.
Schede DAQ ............................................................................................ 129
5.8.1.
Connessione di ingressi analogici ..................................................... 132
5.9.
Standard di Comunicazione per L’Interfacciamento dei Componenti dei
Sistemi di Misura Automatici................................................................................... 134
5.9.1.
Interfaccia Seriale RS232 ................................................................. 135
5.9.2.
I Sistemi Automatici di Misura: il Protocollo IEEE 488....................... 138
5.9.3.
Sistemi di controllo e di misura distribuiti .......................................... 145
5.1. Introduzione
I sistemi automatici di misura prevedono che la supervisione della misura sia affidata
ad un unità logica intelligente, quindi l’intervento dell’operatore umano si ha soltanto
in fase di progettazione e di realizzazione della catena di misura. La misurazione
avviene im maniera automatica, con tutti i vantaggi che ne conseguono, possibilità di
provvedere ad un elevato numero di ripetizioni, flessibilità, velocità, affidabilità ....
Un sistema automatico di misura può essere realizzato essenzialmentre seguendo
due approcci diversi:
- utilizzare una serie di strumenti dedicati ed affidare all’unità intelligente (ex.
PC) soltanto il compito di gestione degli stessi e di raccolta dei risultati (ed
eventualmente semplici compiti di post elaborazione).
In questo caso i componenti del sistema sono tipicamente:
Strumenti dedidcati
Interfacce standard (GPIB, RS232,...)
Software di gestione delle interfacce
Software di gestione degli strumenti
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
98
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
-
utilizzare un sistema di acquisizione dati general-purpose in grado di
campionare una serie di segnali e da essi ricavare attraverso elaborazioni
affidate all’unità intelligente i parametri oggetto della misura.
In questo caso i componenti del sistema sono:
sistema di condizionamento e schede di acquisizione che contengono
interfacce standard
software di gestione delle interfacce
software di elaborazione e visualizzazione dati.
Nel secondo caso all’unità intelligente vengono forniti dati grezzi che devono essere
elaborati per ottenere la misura vera e propria, nel primo caso invece al PC vengono
forniti direttamente i campioni del misurando. Gli strumenti che si ottengono
sfruttando anche la potenza di calcolo di un’unità intelligente (non dedicata e non
contenuta nello strumento stesso), spesso un PC, si chiamano in genere
STRUMENTI VIRTUALI.
Un esempio semplice per capire la differenza tra i due schemi di principio è costituito
da un sistema di misura automatico della potenza per un segnale in AC. Nel primo
caso si ottiene un sistema automatico di misura intrerfacciando un Wattmetro
numerico ad un PC tramite un interfaccia standard. Nel secondo caso invece, si
ottiene una stima della potenza elaborando i campionamenti della tensione e della
corrente (opportunamente tasdotta) acquisiti ad esempio con una scheda di
acquisizione general purpose plug & play.
I sistemi del primo tipo sono meno flessibili, possono raggiungere prestazioni più
spinte (sono dedicati), e sono generalmente più costosi. Lo sviluppo della catena
automatica di misura è in genere molto semplice, si tratta d sviluppare un software
che effettui le operazioni di settaggio degli stumenti, ed attualmente esistono molti
applicativi che rendono standard e facili queste operazioni.
I sistemi del secondo tipo hanno un costo di sviluppo maggiore (anche temporale),
ma sono più flessibili e utilizzano hardware a costo contenuto.
In questo capitolo descriveremo alcuni dei blocchi hardware e software che servono
per realizzare un sistema automatico di misura, facendo riferimento alle soluzioni più
diffuse.
Dapprima descriveremo i blocchi che costituiscono un sistema di acquisizione
general purpose, a partire dalla struttura tipica di un sistema di condizionamento
(front end) così come viene realizzato nei sistemi di acquisizione dati per sensori a
bassa frequenza, per poi descrivere alcune delle soluzioni architetturali di base per i
convertitori AD.
Infine descriveremo alcune interfacce e protocolli di comunicazione standard,
particolarmente diffusi nel campo delle misure.
I blocchi che prenderemo in esame sono rappresentati in figura 1, in cui viene
rappresentata un tipico sistema di acquisizione multiplexato, nel quale un solo
convertitore analogico digitale e spesso un solo sistema di amplificazione viene
utilizzato per convertire i segnali provenienti da più canali analogici. Questa struttura
è utile specialmente qualora si vogliano acquisire segnali da sensori che rispondono
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
99
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
a frequenze piuttosto basse (fino all’audiofrequenza), perchè consente di ridurre
notevolmente la complessità circuitale, ottenendo soluzioni a basso costo ed elevate
prestazioni.
Non tratteremo la struttura di filtri passa-basso che spesso vengono posti all’ingresso
o all’inetrno dalla catena di condizionamento sia per ridurre il rumore che per evitare
fenomeni di aliasing.
5.2. Un Breve Sguardo al Sistema Generale
In generale un sistema di interfacciamento per l’acquisizione dei dati può essere
schematizzato in linea di principio come in figura 1
Segnale in
Ingresso
MUX Analogici
Amplificatori per
Strumentazione
Convertitore A/D
Segnale in Digitale
in Uscita
Figura 1. Schema di base dell’elettronica di front end
5.3. Gli Interruttori Analogici (MUX)
Un interruttore analogico viene solitamente implementato al fine di permettere o
impedire ad un segnale analogico il passaggio verso un punto di prelievo.
Utilizzando più interruttori si realizza quello che prende il nome di multiplexer
analogico come mostrato in figura 3.
Invertendo la struttura un singolo ingresso può essere distribuito a più uscite
realizzando così la struttura duale alla precedente che prende il nome di
demultiplexer analogico.
Le caratteristiche di un interruttore analogico allo stato solido possono essere in
generale espresse mediante i seguenti parametri:
-
Attenuazione diretta (resistenza in stato di ON)
Attenuazione in funzionamento inverso (corrente di OFF)
Campo di tensioni
Tempi di commutazione
Isolamento tra i canali (nei casi di MUX)
Capacità parassite.
Tutte questa grandezze dipendono oltre che dal dispositivo, dall’alimentazione, e
dal livello del segnale.
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100
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
V1
V2
Vo
V3
V4
Figura 2. Schema di principio di un multiplexer analogico
Esistono varie strategie per la realizzazione degli interrutori analogici, che si basano
sull’uso di diodi, BJT o FET, ciascuna soluzione tecnologica presenta vantaggi
peculiari e permette di ottimizzare alcune delle caratteristiche elencate in
precedenza. Sono molto diffusi per le applicazioni in cui la velocità non è un fattore
critico gli interruttori CMOS che vengono descritti nel seguito.
Lo schema è quello mostrato in figura 3.
V+
T2
Vi
Vin
Vo
T1
Vc
Figura 3. Schema di interruttore elettronico realizzato in tecnologia CMOS
Per portare l’interruttore in condizione ON si applica una tensione V+ al terminale di
gate del transitor T1 a canale n, (quello di T2 a canale p viene posto a massa).
Quando Vin si trova ha un valore intermedio tra 0 e V+ entrambi i MOS conducono
ma non appena Vin si sposta verso lo V+ si ha che VGS1 si riduce ed aumenta
l’impedenza di T1. Questo aumento viene compensato dalla diminuzione
dell’impedenza del MOS T2 che è posto in parallelo, poiché il valore assoluto di VGS2
aumenta. Se si va verso 0 si ha il comportamento opposto. La dipendenza della
resistenza di ON dal valore della tensione analogica di ingresso viene così
drasticamente ridotta: la variazione della resistenza di ON dalla tensione di ingresso
è riportata in figura 4.
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101
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
Canale-n
R
Canale-p
Ron
0
0
0.5
1
1.5
2
2.5
3
3.5
4
4.5
5
Vin
Figura 4. Andamento della resistenza di on in funzione della tensione di ingresso in un
interruttore analogico CMOS con VcON=V+=5V, VcOFF=0V. Nelle figure inferiori si fa riferimento
alle caratteristiche dell’interruttore analogico Analog Device (ADG528A).
Con gli interruttori CMOS standard, né la tensione di controllo né l tensione
d’ingresso analogica devono eccedere il range dell’alimentazione, questo potrebbe
addirittura portare alla distruzione dell’interruttore dovuta all’innesco di fenomeni di
latch-up. Esistono interruttori più costosi per i quali questo problema viene eliminato
attraverso circuiti di protezione o particolari soluzioni tecnologiche. L’isolamento
garantito da questi interruttori è nell’ordine di 0.nA-1 nA a temperatura ambiente, ma
questo valore può raddoppiare per ogni aumento di 10 °C. I tempi di commutazione
sono in genere compresi tra i 100 ns e i 300 ns.
5.4. Sample and Hold
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102
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
Vc (tensione di comando)
Uo
U1
C
Figura 5. Schema di principio di un sample and Hold
Questi circuiti effettuano il campionamento dei segnali analogici e vengono posti
prima del convertitore analogico digitale o prima dell’amplificatore.
Il funzionamento di un Sample and Hold (S&H) si divide in due fasi, quando
l’interruttore è chiuso il S&H è in fase di track o di inseguimento e l’uscita Uo segue
l’ingresso Ui. Durante la fase di hold o di mantenimento, successiva all’apertura
dell’interruttore, Uo deve mantenere, immagazzinato nella capacità C, il valore che
ha assunto Ui all’atto dell’apertura dell’interruttore.
I S&H reali ovviamente si discostano dal comportamento ora descritto. Ad esempio
per la configurazione riportata in figura la presenza dell’offset (Vos) dei due
operazionali, fa sì che in realtà Vo=Ui-2Vos, durante la fase di track e che tale errore
sia mantenuto nella fase di hold. Esistono tuttavia configurazioni circuitali diverse
che eliminano questo problema.
Durante la fase di track, è importante che tutti gli elementi del circuito siano
sufficientemente veloci da far caricare la capacità ed adeguare l’uscita del S&H al
nuovo valore di Ui il più rapidamente possibile. Il limite principale in termini di velocità
è dovuto alla costante di carica della capacità C e allo slew rate degli amplificatori.
Durante la fase di hold, l’uscita deve essere efficacemente isolata dall’ingresso e la
capacità non deve scaricarsi in modo significativo. E’ importante perciò che la
resistenza d’ingresso dell’operazionale del secondo buffer sia molto elevata, ed è
necessario scegliere valori di capacità non troppo piccoli. Le non idealità degli
elementi del circuito si traducono inevitabilmente in errori, che devono essere stimati e
confrontati con l’entità degli errori introdotti dagli altri blocchi del sistema di
condizionamento e di acquisizione. Primo fra tutti il convertitore A/D che segue
immediatamente a valle: l’errore del S&H deve essere confrontato con il bit meno
significato dell’A/D, ovvero con il quanto utilizzato per la quantizzazione del segnale
campionato.
Vediamo brevemente quali sono i parametri che qualificano un S&H e come si
possono utilizzare in fase di progetto.
Fase di track:
Acquisition time - è il tempo massimo che intercorre tra la chiusura dell’interruttore
e l’istante in cui Uo si assesta in una fascia di tolleranza assegnata (espressa in %
del valore finale). E’ legato essenzialmente allo slew-rate degli operazionali.
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103
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
Fase di Hold:
Aperture delay (tA) – è il tempo che intercorre tra il comando di hold e l’apertura
effettiva dell’interruttore (è una variabile aleatoria). Questo parametro è
particolarmente critico, a causa della sua aleatorietà è impossibile determinare quale
valore della tensione viene effettivamente campionato. Viene fornito il parametro 'tA,
jitter del ritardo di apertura, che rappresenta la massima variazione di tA. L’errore
massimo che si può commettere viene calcolato considerando di campionare una
sinusoide di massima ampiezza (Full Scale) e con la massima frequenza, nel punto
a massima pendenza, con queste ipotesi si può scrivere:
'Vo max
't AZ maxVmax
(1)
Vmax sarà uguale a VFS/2 dove VFS è la tensione di fondo scala dell’A/D.
Supponendo di utilizzare a valle un convertitore A/D a N bit funzionante alla
frequenza di conversione fc si deve porre:
VLSB t 't AS f c 2 N 1VLSB
(2)
in cui VLSB è l’ampiezza del bit meno significativo data da VFS/2N. Questa equazione
esprime un limite molto stringente su questo parametro, per esempio per un
convertitore ad 8 bit ed una frequenza di campionamento 10 MHz il ritardo di
apertura deve essere minore di 250 ps. E’ chiaro che questo pone un limite
sull’applicabilità di S&H analogici per la digitalizzazione di segnali a frequenza
elevata.
Settling time - è il tempo massimo che intercorre tra l’apertura dell’interruttore e
l’istante in cui Uo si assesta in una fascia di tolleranza assegnata (espressa in % del
valore finale).
Hold step - è la variazione di tensione che si ha all’atto dell’apertura dell’interruttore
dovuto alla ridistrubuzione di carica tra le capacità parassite dell’interruttore (spesso
realizzato con MOSFET) e la capacità C in corrispondenza del cambio di livello del
segnale di comando.
Feedthrough – è il rapporto tra le variazioni di Uo e di Ui quando l’interruttore è
aperto. Esprime l’isolamento assicurato dall’interruttore in off. A causa della capacità
parassita tra i poli dell’interruttore, l’isolamento dipende dalla frequenza del segnale
d’ingresso.
Droop ('Vo/'t quando l’interruttore è OFF ) – è la velocità di scarica della capacità
di mantenimento C.
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104
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
0.1%
Ui
Hold step
Feedthrough (dB)
Vo
Droop (V/s)
Slew-rate (V/s)
Aperture
Delay (s)
Acquisition time (s)
Settling time (s)
HOLD
TRACK
0
0.2
0.4
0.6
0.8
1
1.2
1.4
1.6
time
1.8
x 10
-4
Figura 6. Parametri caratteristici del funzionamento di un Sample and Hold
5.5. Gli Amplificatori per Strumentazione
L’amplificazione del segnale è un tipico compito della catena di condizionamento,
serve sia a disaccoppiare la sorgente del segnale dai circuiti di elaborazione e/o di
conversione a valle (in termini di impedenza) che ad adattare il livello.
Per segnali con una banda di frequenza limitata e piccoli livellI, una configurazione
molto utilizzata è quella denominata amplificatore per strumentazione.
Un amplificatore per strumentazione viene presentato in figura 7, per questo circuito
la tensione di uscita viene ricavata, in condizioni ideali, come:
U0
R2
V2 V1 R1
(3)
Definendo la tensione differenziale come:
UD
V2 V1
(4)
e la tensione di modo comune come:
U MC
1
V2 V1 2
(5)
Si vede dalla (3) che in condizioni ideali l’uscita dell’amplificatore dipende solo dalla
tensione differenziale in ingresso, mentre viene reiettata totalmente la tensione di
modo comune.
L’amplificatore per strumentazione è perciò un amplificatore differenziale. Poiché
molti disturbi si presentano come segnali di modo comune (derive, disturbi radiati
etc.) questo amplificatore è caratterizzato da una elevata immunità ai disturbi.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
105
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
Questa configurazione ha inoltre il vantaggio di presentare un’alta impedenza
d’ingresso.
R1
R2
V1
U1
U0
R1
V2
R2
U2
Figura 7. Amplificatore per strumentazione (sottrattore di tensioni)
Naturalmente ogni implementazione reale presenta una reiezione parziale del
segnale di modo comune e un range massimo per tale segnale, il fattore di reiezione
di modo comune, Common Mode Rejection Ratio (CMRR), definito dall’equazione (6)
caratterizza le prestazioni di una struttura differenziale.
CMRR
AD
AMC
(6)
In cui:
AD
Uo
UD
e
U CM 0
AMC
Uo
U CM
UD 0
Nella struttura di figura 7, il CMRR dipende essenzialmente dal mismatching delle
resistenze, ciè dallo scostamento del valore vero delle resistenze rispetto al loro
valore nominale.
Il fattore di reiezione delle tensioni di modo comune può essere incrementato
realizzando uno stadio di ingresso con guadagno, e l’amplificatore sottrattore vero e
proprio (op amp. più a destra di figura 7) a guadagno unitario come mostrato in figura
8.
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106
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
U’1
R3
R3
V
1
U1
R2
U0
R1
R2
V
2
U’2
U
2
R3
R3
Figura 8. Schema di amplificatore per strumentazione con blocco sottrattore a guadagno
unitario
Nel caso in cui la resistenza variabile R1 dello schema di figura 8 tenda a divenire
molto grande allora i due amplificatori operazionali in ingresso si comportano da
inseguitori di tensione e lo schema (a parte per il guadagno unitario dell’ultimo
stadio) si comporta virtualmente come quello di figura 7. Questa configurazione
presenta il notevole vantaggio che il guadagno espresso dalla (7)
U0
§ 2 R2
¨¨1 R1
©
·
¸¸V2 V1 ¹
(7)
può essere sintonizzato variando soltanto il valore di R1. Inoltre considerando che la
tensione di modo comune si presenta uguale su entrambi i terminali di ingresso,
(V1=V2=VMC), il guadagno di modo comune dello stadio di ingresso mantiene il
valore unitario indipendentemente dal guadagno differenziale selezionato
(U’1=U’2=VMC). Se gli AO sono ideali, si dimostra che il CMRR è dato da:
CMRR
AD
AC
§ 2 R2 · 2D
¸
¨¨1 R1 ¸¹ 'D
©
(8)
Nella (8) 'D/D è la tolleranza relativa delle resistenze dell’ultimo stadio.
5.6. Circuiti raziometrici: amplificatore a ponte
L’amplificatore a ponte, discende dalla configurazione a ponte (vedi figura 9)
largamente utilizzata per alcuni tipi di sensori (ad esempio strain gauge), che
consente di effettuare misure raziometriche e perciò di compensare gli effetti di
alcune grandezze di influenza. In genere questa configurazione costituisce il primo
elemento della catena di condizionamento.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
107
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
Z3
Z1
VREF
VOUT
Z2
Z4
Figura 9. Ponte
Se la tensione VOUT viene letta con un voltmetro ideale si ha:
VOUT
§ Z2
Z4 ·
¨
¸ VREF
Z
Z
Z
Z
1
2
3
4
©
¹
(9)
Considerando di volere misurare una grandezza g, si ipotizza di avere Z1=Z1(g)
Z2=Z2(g), Z3=Z3(g), Z4=Z4(g).
All’equilibrio (g=0), si fa in modo che il ponte sia bilanciato cioè che VOUT=0,
imponendo in fase di progetto che Z3(0)/ Z4(0)= Z1(0)/ Z2(0), in tal caso se g varia
almeno una delle impedenze cambia ed il ponte si sbilancia, la variazione della
tensione di uscita sarà data da:
wVOUT
VREF
wZ 2 Z 1 wZ 1 Z 2 wZ 4 Z 3 wZ 3 Z 4
( Z 1 Z 2 )2
( Z 3 Z 4 )2
Se le variazioni relative di Z1, Z2, (o Z3, e Z4) sono uguali, cioè
(10)
wZ1
Z1
wZ 2
, si ha una
Z2
compensazione di tipo raziometrico.
Tutti gli effetti dovuti alle grandezze di influenza (ex. Temperatura) che fanno variare
le impedenze del ponte in questo modo si compensano. Una soluzione semplice che
permette di sfruttare quest’effetto è realizzare il ponte con quattro componenti
identici, posti nelle vicinanze, che subiscano le stesse variazioni delle grandezza di
influenza, e che, data la loro uguaglianza, reagiscano nello stesso modo.
Se solo Z1 varia in funzione di g e Z1(0)=Z2=Z3=Z4=Z, e si suppone che Z1=Z (1+Dg),
si avrà:
wVOUT
VREF
wZ 1
4Z
Dg
4
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(11)
108
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
Mentre se tutte le impedenze sono utilizzate come sensori della grandezza g, con le
seguenti leggi di trasduzione:
Z1
Z (1 D g ); Z 2
Z (1 D g ); Z 3
Z (1 D g ); Z 4
Z (1 D g )
(12)
si avrà:
wVOUT
VREF
wZ
Z
Dg
(13)
Pur consentendo la compensazione delle variazioni delle impedenze che
costituiscono il ponte con le grandezze di influenza, la configurazione a ponte di per
sé non consente di compensare la variazione di sensibilità che normalmente si ha in
funzione della temperatura. Infatti per molti sensori (strain gauge) la sensibilità
diminuisce al crescere della temperatura. Dunque resta un problema la dipendenza
di D dalla temperatura, poichè si vede che l’uscita del ponte varia al variare della
temperatura pur mantenendo g costante.
Esistono varie tecniche per compensare anche quest’effetto, infatti è sufficiente
osservare la relazione (13) per notare che l’uscita del ponte sbilanciato è
proporzionale a g tramite il prodotto DVREF, in formula:
VOUT
wVOUT
DVREF g
(14)
e’ dunque sufficiente far aumentare la tensione di alimentazione del ponte con la
temperatura in modo da compensare la diminuzione della sensibilità dei sensori,
rendendo costante la sensibilità del ponte. In particolare, essendo:
wVOUT
wT
g
wD
wV
VREF g REF D
wT
wT
(15)
si dovrà realizzare l’alimentazione in modo che:
TCS
wVREF 1
wT VREF
dove
wD 1
wT D
(16)
TCS
In cui la variazione relativa della tensione di alimentazione eguaglia TCS
(Temperature sensitivity coefficient). Esistono varie soluzioni circuitali che
consentono di approssimare l’uguaglianza espressa dalla (16).
Soluzione 1:
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
109
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
RT
VREF
R
R
VR
VOUT
R
R
Figura 10. Ponte con compensazione in temperatura
Si pone in serie ad un alimentatore una resistenza variabile con la temperatura a
coefficiente negativo, si calcola il coefficiente di temperatura di RT in modo da
soddisfare la (16).
Soluzione 2:
Si utilizza la configurazione circuitale in figura 10, con RT costante non dipendente
dalla temperatura. Poichè in genere il coefficiente di temperatura dei rami del ponte
(TCR=1/R wR/wT) è positivo, il rapporto di partizione cresce all’aumentare della
temperatura,
La compensazione viene effettuata scegliendo il valore opportuno della RT. I valori
che risulatno per RT sono a volte elevati, perciò l’alimentazione del ponte risulta molto
ridotta rispetto a quella fornita dall’alimentatore. Inoltre si deve avere TCR >|TCS|.
Soluzione 3:
Alimentazione del ponte in corrente. In tal caso la tensione di alimentazione VREF=RI
(I costante) e se R ha coefficiente di temperatura maggiore di zero la tensione di
alimentazione cresce come richiesto al crescere della temperatura. Tuttavia la
compensazione risulta completa solo se per i sensori utilizzati TCR=-TCS.
La struttura a ponte può essere sfruttata anche in un amplificatore, secondo vari
possibili schemi uno dei quali è presentato in figura 11.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
110
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
R
R
VREF
U0
R
R
Figura 11.
5.7. I Convertitori Analogico/Digitali (A/D)
5.7.1. Caratteristiche Generali
I convertitori A/D provvedono alla quantizzazione di un livello di tensione.
L’ingresso del convertitore A/D è una tensione analogica, Vi, da considerarsi
costante durante il processo di conversione mentre l’uscita è un codice binario, B,
che rappresenta la tensione analogica con precisione finita. In particolare si ha:
B
« Vi »
«
» oppure B
¬VLSB ¼
ª Vi º
«
»
¬VLSB ¼
(17)
in cui VLSB è il livello di tensione corrispondente al bit meno significativo e per un
convertitore A/D N bit è pari a:
VLSB
VFS
2N
(18)
e VFS (tensione di fondo scala) rappresenta la tensione analogica massima che si può
convertire, detta anche dinamica del convertitore.
Nel processo di quantizzazione è insito un errore dovuto al fatto che nel passaggio
da un livello analogico continuo ad un valore discreto si commette
un’approssimazione.
Nell’arrotondamento l’errore massimo commesso è pari a:
emax
1
VLSB
2
(19)
La densità di probabilità che normalmente si assegna all’errore di quantizzazione è
uniforme nell’intervallo [-VLSB/2,VLSB/2]
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
111
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
f ( e)
1
(20)
VLSB
e l’errore medio commesso è nullo.
Nel troncamento si considera sempre una densità uniforme, questa volta tra [ -VLSB 0]
e l’errore medio è pari a:
e
1
V LSB
2
(21)
La varianza dell’errore di quantizzazione può essere valutata nel modo seguente:
1
VLSB
2
V2
³
(e e) 2 p(e)de
1
VLSB
2
VLSB
12
2
(22)
quindi:
V
VFS
2 N 12
(23)
Considerando il rumore di quantizzazione associato all’arrotondamento (media nulla)
e assumendo che tale rumore si comporti come un segnale stazionario ed ergodico
la varianza esprime anche la potenza media.
E’ possibile calcolare il rapporto segnale rumore massimo che si ottiene con un
convertitore A/D ideale ad N bit, supponendo di convertire una sinusoide a massima
ampiezza, VFS/2:
2
SNR
VFS 22 N12
2 ˜ 4 VFS2
3 2N
˜2
2
(24)
che espresso in dB:
SNR
N ( 20 log 2 ) 1.76 dB
N ˜ 6.02dB 1.76 dB
(25)
Utilizzando questa formula è possibile scegliere il numero di bit del quantizzatore
sulla base del rapporto segnale rumore desiderato.
Un A/D reale naturalmente si discosta dal comportamento ideale, quindi all’errore di
quantizzazione insito nel processo di discretizzazione unisce altri errori dovuti alle
sue caratteristiche reali. Normalmente un convertitore viene qualificato mediante una
serie di parametri, i principali verranno elencati nel seguito.
Per rendere più chiara la trattazione risulta utile fornire le seguenti definizioni:
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
112
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
caratteristica reale (verde)-caratteristica ideale (blu)
1
0.8
0.8
U(Z)=Z*VLSB
U(Z)=Z*VLSB
caratteristica ideale
1
0.6
0.4
0.2
0
0.6
0.4
0.2
0
0.2
0.4
0.6
0.8
0
1
non linearità integrale
0
0.2
0.4
Vin
0.6
0.8
1
0.6
0.8
1
Vin
0.5
1
(Vin-U(Z))/VLSB
(Vin-U(Z))/VLSB
0.5
0
0
-0.5
-0.5
0
0.2
0.4
0.6
0.8
1
-1
0
0.2
Vin
0.4
Vin
Figura 12. Non linearità di un A/D
x Si definisce T(k) il livello di transizione relativo al codice d’uscita k, quel
livello di tensione analogica in corrispondenza del quale si ha una pari
probabilità di ottenere in uscita dal quantizzatore il codice k e il codice
precedente.
Il livello di transizione ideale Ti(k) si ottiene con la seguente equazione:
Ti(k)=1/2VLSB+(k-1)VLSB.
x Si definisce larghezza di codice W(k) l’intervallo di tensione analogica che
viene codificata con il codice k dal quantizzatore.
La larghezza di codice ideale è ovviamente pari a VLSB, e W(k)=T(k+1)-T(k).
Parametri principali
Errore di offset – con riferimento alla figura 12, si vede che la caratteristica statica
ingresso-uscita di un convertitore ideale è costituita da una gradinata, con larghezza
del gradino pari a VLSB (eccetto il primo e l’ultimo nel caso di arrotondamento che
sono pari a ½ VLSB), la linea che unisce i punti medi dei gradini perciò è una retta che
passa dall’origine. L’errore di offset non è che una traslazione della caratteristica
ideale, per cui i livelli di transizione o di scatto relativi a ciascun codice vengono
spostati di uno stesso valore pari appunto all’errore di offset. Questo errore è
correggibile attraverso un sistema di compensazione esterno (si sottrae dalla Ui una
tensione pari all’offset).
Errore di Fondo scala o di Guadagno – questo errore agisce sulla pendenza della
caratteristica che si discosta dalla pendenza della caratteristica ideale ( tutti i gradini
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
113
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
hanno ampiezza uguale ma diversa da VLSB). Anche questo errore che non influisce
sulla linearità del sistema di conversione può essere compensato esternamente.
Considerando di aver corretto questi due errori, si devono comunque considerare gli
errori di non-linearità, che sono in genere quantificati con due parametri:
Non linearità differenziale – nella caratteristica reale del convertitore
ciascun gradino ha in realtà larghezza diversa, lo scostamento della larghezza del
gradino rispetto a VLSB rappresenta la non linearità differenziale (Differential Non
Linearity, DNL) in genere espressa in frazioni di VLSB. Più precisamente:
W ( k ) VLSB
e DNL max DNL( k ) . La linea che unisce i punti intermedi
DNL( k )
K
VLSB
dei gradini è una spezzata. Se DNL è maggiore del valore del VLSB possono esserci
codici mancanti o non monotonicità della caratteristica.
Non linearità integrale – Lo scostamento tra la caratteristica reale e quella
ideale viene normalmente definito non linearità integrale (Integral Non Linearity, INL):
1
INL( k ) T ( k ) Ti ( k ) T ( k ) VLSB ( k 1 )VLSB . In genere il parametro INL è dato
2
da: INL max INL( k )
K
Comportamento in frequenza
Per quanto riguarda la non linearità integrale, la caratteristica reale di un convertitore
può essere modellata da una struttura composta da due blocchi, come in figura 13
e(x)
x
g(x)
+
y
Figura 13. Modello di convertitore A/D, che evidenzia il suo coportamento non lineare
In figura 10, y è la versione quantizzata del segnale x, la funzione g(x) tiene conto
del comportamento non lineare, e(x) rappresenta l’errore di quantizzazione.
Considerando di utilizzare il convertitore per campionare una sinusoide, il segnale
campionato y sarà costituito dalle seguenti componenti: la versione campionata e
quantizzata della sinusoide, una componente additiva data dal rumore di
quantizzazione, e le componenti armoniche superiori che nascono per effetto della
funzione non lineare g(x). Se si osserva lo spettro del segnale campionato e
quantizzato si vede dunque il picco alla frequenza del segnale (e le sue repliche
spettrali), il rumore di quantizzazione che in genere si può considerare bianco, (la
validità di questa ipotesi dipende dal rapporto tra la frequenza del segnale e quella di
campionamento, si veda la figura 11) e i picchi dovuti alla distorsione cioè alle
componenti armoniche superiori, che per aliasing possono trovarsi anche in banda
base.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
114
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
Occorre sottolineare che in genere la non linearità differenziale è distribuita su tutta
la dinamica dell A/D, perciò per segnali che coprono tutta la dinamica dell’A/D è la
non-linearità integrale a determinare il comportamento del convertitore per quanto
riguarda la distorsione. Per segnali di basso livello invece il contenuto armonico
dipende fortemente anche dalla forma della non-linearità differenziale, e non
diminuisce al decresecere del livello dell’ingresso.
Figura 14. a) distribuzione spettrale del rumore di quantizzazione per due diverse scelte della
frequenza del segnale fs e della frequenza di campionamento fa (SFDR=Spurious Free
Dynamic Range, rapporto tra la potenza della portante e la componente armonica di
distorsione con ampiezza maggiore)
Figura 14. b) distribuzione spettrale delle armoniche spurie
La distorsione armonica è specificata in dBc (decibels below Carrier), e viene
misurata in genere con un segnale sinusoidale di ampiezza prossima al fondo scala.
Ci sono molti modi per descrivere la distorsione, i parametri più utilizzati sono:
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
115
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
Total Harmonic Distortion (THD) – è il rapporto tra il valore efficace, (r.m.s.), delle
componenti armoniche (in gnere si considerano le prime 5) e quello del segnale.
Vrms ( fs )
THD 20 log
2
2
2
Vrms (2 fs ) Vrms (3 fs ) .. Vrms (nfs )
Total Harmonic Distortion plus Noise (THD+N) - è il rapporto tra il valore r.m.s
delle componenti armoniche più tutte le altre componenti di rumore (escluse quelle in
DC) ed il valore efficace del segnale, occorre specificare la banda che si utilizza per
la misura.
Signal to Noise and Distrotion Ratio (SINAD) - è il rapporto segnale rumore che si
ottiene considerando tutte le componenti di rumore anche quelle dovute alla
distorsione (escluse le componenti in DC) in tutta la banda, è uguale al valore
assouluto del THD+N se la banda per la misura della potenza del rumore è la
stessa.
Effective Number of Bits (ENOB) - è il numero di bit che dovrebbe avere un A/D
ideale per assicurare un rapporto segnale rumore pari al valore misurato del SINAD.
Si ottiene invertendo la formula (25) sostituendo al SNR dovuto al solo rumore di
quantizzazione il SINAD misurato.
ENOB
SINAD 1.76dB
6.02
Banda analogica – la banda analogica di un A/D è la frequenza alla quale
l’ampiezza della fondamentale (stimata a partire dal segnale campionato) si riduce di
3dB.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
116
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
figura 15. Dipendenza dalla frequenza di SINAD e ENOB, per dieverse ampiezze del segnale in
ingresso (-0.5 dB sotto il fondoscala, -6 dB sotto il fondoscala, -20 dB sotto il fondoscala)
E’ da sottolineare che i parametri elencati non sono indipendenti dalla frequenza, le
prestazioni di un A/D tendono infatti sempre a peggiorare al crescere della frequenza
del segnale d’ingresso (vedi figura 15).
5.7.2. Famiglie di Convertitori
I convertitori che saranno descritti in queste dispense sono classificabili in tre grandi
famiglie:
1. Convertitori a Rampa
2. Convertitori ad Approssimazioni Successive
3. Convertitori di Tipo Parallelo (Flash e Half Flash)
Queste famiglie sono caratterizzati da diverse velocità di conversione e risoluzione
cioè numero di bit, con i convertitori doppia rampa (o multipla rampa) si riescono ad
ottenere risoluzioni molto elevate (20 bit), a scapito della velocità di conversione.
Come abbiamo visto nei capitoli precedenti vengono utilizzati tipicamente nei
voltmetri numerici, per la conversione di segnali in DC.
I convertitori ad
approssimazioni successive vengono utilizzati nelle applicazioni in cui la velocità di
conversione è contenuta (al massimo qualche MHz) e raggiungono risoluzione di 1216 bit, sono i convertitori utilizzati nelle schededi acquisizione general purpose. Per
ottenere velocità di conversione molto elevate (anche centinaia di MHz) si utilizzano
convertitori flash o half-flash, che offrono risoluzioni tra gli 8 e i 9 bit (vedi figura 13).
Un'ultima famiglia è rappresentata dai convertitori A/D 6-' che, basandosi su una
strategia diversa rispetto al semplice confronto con i livelli di tensione quantizzati,
riescono a garantire un’elevatissima risoluzione con frequenze di campionamento
nell’ordine delle diecine di kHz (tipico: 24 bit 44 kHz). Tali convertitori nati per
applicazioni audio si stanno diffondendo anche nel campo delle misure per la
conversione di segnali da sensori (banda stretta ed elevata accuratezza).
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
117
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
24
20
risoluzione (bit)
16
doppia rampa o
multipla rampa
approssimazioni
successive
12
HALF
FLASH
FLASH
8
4
0 0
10
10
2
4
10
f(Hz)
10
6
10
8
Figura 16. Caratteristiche dei convertitiori A/D
5.7.2.1 Convertitori a Doppia Rampa
Il principio di funzionamento di questa architettura è già stata presentato nel
voltmetro a doppia rampa del Capitolo 3 pertanto non ci dilungheremo molto sul
funzionamento quanto sulle caratteristiche peculiari di questo tipo di convertitore.
Logica di
Controllo
Ic
Iu
C
Integratore
di Miller
Vx
Id
Vs
Vr
Contatore
Clock
Figura 17. Schema di principio del convertitore a doppia rampa
La relazione che determina il valore di conversione è la seguente:
nTck
2 N Tck
Vx
Vr
RC
RC
Vx
Vr
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
(26)
118
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
Dove 2N è il numero di conteggi nella fase di run-up ed n è quello della fase di
rundown. La (26) può essere ulteriormente esplicitata come:
n
Vx N
2
Vr
(27)
V
Tu
Tcommutazione
Td
t
Figura 18. Andamento delle fasi di runup e rundown. Si vede come le fasi di run up abbiano
pendenza che dipende dal livello di tensione che si vuole convertire mentre le rette della fase
di rundown sono tutte parallele
Il tempo di conversione è pari sostanzialemte a:
T
2 ˜ 2 N TCK
(28)
I fattori che maggiormente incidono sulle caratteristiche di un convertitore di questo
genere sono:
accuratezza della tensione di riferimento
errori di fuori zero dell’integratore e del comparatore (dovuti a tensioni di offset
e a correnti di polarizzazione degli operazionali)
Gli errori di fuori zero possono essere compensati ricorrendo a particolari soluzioni
circuitali.
Questo convertitore è caratterizzato da un’ elevata immunità ai disturbi di modo
normale*1, garantita dal processo di integrazione: tutti i disturbi a media nulla
tendono ad essere attenuati. I disturbi periodici (come il ripple sull’alimentazione)
possono essere completamente reiettati se si utilizzano tempi di integrazione multipli
del periodo del disturbo.
1 Per reiezione di modo normale, si intende la capacità di un sistema di eliminare i
disturbi che si presentano sovrapposti al segnale, ad esempio in un sistema
differenziale i disturbi che si presentano come segnali di modo differenziale.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
119
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
120
110
100
90
NMR (dB)
80
70
60
50
40
30
20
1
10
2
3
10
f(Hz)
10
Figura 19. Normal Mode Rejection per un convertitore con periodo di integrazione pari a 20 ms
5.7.2.2 Convertitori ad Approssimazioni Successive
In figura 20 è riportata la struttura di un convertitore SAR (Successive Approximation
Register). Una macchina a stati (SAR) genera i codici secondo la strategia
presentata in figura 21, i codici generati dal SAR vengono convertiti in una tensione
analogica da un convertitore Digitale Analogico (DAC), la tensione così ottenuta
viene confrontata con la tensione Ui da un comaparatore. La tensione di uscita del
comparatore è alta (Vy=1) se la tensione Ui è maggiore dell’uscita del convertitore
digitale analogico, è zero altrimenti.
SAR
Clock
Registro di
Scorrimento
…
Ui
Vy
Logica di Controllo
Registro di Memoria
b0
b1
b2
bn
DAC
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
VFS
120
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
Figura 20. Schema di principio del convertitore ad approssimazioni successive SAR
In figura 21 è riportato il diagramma degli stati seguito dal SAR per N=3;
100
Vy=0
Vy=1
010
Vy=0
Vy=1
001
Vy=0
000
110
Vy=0
011
Vy=1
001
Vy=0
010
Vy=1
101
Vy=1
011
Vy=0
100
111
Vy=1
101
Vy=0
110
Vy=1
111
Figura 21. Diagramma di flusso per un convertitore SAR
L’approccio seguito dai convertitori di tipo SAR è efficiente in termini di rapidità
perché opera secondo uno schema di approssimazioni successive in grado di
condurre al risultato finale dopo un numero di passi pari al numero di bit. Il processo
che viene utilizzato in questa tipologia di convertitori prende il nome di processo
dicotomico. Infatti si procede come segue: sia Ui il livello di tensione da
discretizzare, si discrimina, come primo passo se Ui stia sopra o sotto VFS/2. Perciò il
SAR porrà ad 1 il bit più significativo (MSB) con tutti gli altri bit a zero (in tal modo ci
si pone a metà della scala) ed il DAC genererà proprio il livello di tensione VFS/2. Se
Ui è maggiore di VFS/2, il SAR lascerà invariato il MSB e porterà ad uno il bit
immediatamente successivo, il livello analogico che viene generato sarà pari dunque
alla somma di VFS/2, con la sua metà cioè VFS/4 e si effettua il confronto con 3VFs/4.
Altrimenti il bit più significativo viene posto a zero e viene portato ad uno il bit
immediatamente succesivo, effettuando il confronto tra Ui e VFS/4 e così via, con una
logica di bisezione fino ad ottenere il risultato finale.
Solitamente questo tipo di convertitore è notevolmente più veloce di quelli di tipo a
doppia rampa e si raggiungono frequenze di clock dell’ordine dei MHz con tempi di
risposta nella fascia 1-40 Ps per conversioni da 8 a 16 bit.
Come già detto il processo di quantizzazione nel caso del convertitore a doppia
rampa richiede un tempo di conversione pari a 2N+1*Tck, mentre per questo tipo di
convertitori il tempo massimo di conversione è pari a N*Tck dove N rappresenta il
numero di bit.
Le caratteristiche di questo convertitore dipendono da quelle del convertitore digitale
analogico, che deve essere realizzato con un numero di bit superiore al numero di bit
dell’ A/D.
5.7.2.3 Convertitori Flash
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
121
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
Come visto in precedenza il tempo di conversione dei convertitori SAR è di N*Tck.
Qualora si debbano convertire segnali con frequenze di alcune decine di MHz si
devono considerare i convertitori di tipo parallelo.
Ui
VFS
R/2
W0
R
W1
R
W2
R
W3
R
W4
Priority
Priority Encoder
Encoder
bit
W5
R
.
.
.
.
.
.
.
.
.
W2N-1
R/2
Figura 22. Schema di principio del funzionamento di un convertitore parallelo di tipo Flash
La conversione parallela è dal punto di vista concettuale la più semplice di tutte e
risulta in pratica la più veloce (da cui il nome Flash per i convertitori di questa
categoria). Il campo di applicazione è quello della elaborazione dei segnali video,
l’analisi dei segnali radar, ed il trattamento digitale delle immagini.
Dal momento che per ottenere una conversione A/D si deve sempre effettuare un
confronto con i 2N livelli di tensione possibili, invece di procedere per passi successivi
si confronta il segnale con tutti i livelli in un solo colpo di clock, utilizzando un circuito
come quello mostrato in figura 22. L’architettura è basata su di una batteria di
comparatori con i livelli di riferimento dati dai livelli di quantizzazione a partire dal
valore nullo fino al valore di fondo scala VFS. I livelli di riferimento sono generati
mediante un sistema di partizione della tensione.
Quello che si ottiene all’uscita dei comparatori è una serie di uno e zero che che
indicano a quale intervallo di conversione appartiene la tensione analogica.
Infatti per un convertitore a 3 bit, si avranno 8 resistenze (arrotondamento) e 7
comparatori e l’uscita dei comparatori sarà definita dalla seguente tabella:
Se Vi< VLSB/2
Se VLSB/2<Vi< 3VLSB/2
Se 3VLSB/2<Vi< 5VLSB/2
W6
0
1
1
W5
0
0
1
W4
0
0
0
W3
0
0
0
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
W2
0
0
0
W1
0
0
0
W0
0
0
0
122
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
Se 5VLSB/2<Vi< 7VLSB/2
Se 7VLSB/2<Vi< 9VLSB/2
Se 9VLSB/2<Vi<11VLSB/2
Se 11VLSB/2<Vi< 13VLSB/2
Se 13VLSB/2<Vi
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
1
0
1
1
1
1
0
0
1
1
1
0
0
0
1
1
0
0
0
0
1
Tabella 1. Codifica di un convertitore SAR
L’encoder a priorità codifica le 7 diverse configurazioni riportate in tabella con codici
binari a 3 bit.
Si nota subito come a fronte di una conversione veloce questo tipo di architettura
richieda per N bit, 2N –1 comparatori e 2N resistori. Ciò spiega perché questa
architettura fino agli anni ‘80 non veniva mai realizzata con più di 8 bit.
La risoluzione per i convertitori flash è limitata dalla complessità circuitale e dalla
potenza dissipata. Le caratteristiche di questi convertitori dipendono dalla
realizzazione dei comaparatori (tensioni di iffset e correnti di polarizzazione) e dal
matching delle resistenze.
Spesso alle frequenze di utilizzo di questi convertitori, non è possibile utilizzare un
sample and hold analogico, pertanto molti A/D Flash sono dotati di sample and hold
digitali, questi non sono altro che dei latch a valle dei comparatori che consentono di
congelare (con miglior accuratezza temporale rispetto ad un S&H analogico) l’uscita
dei comaparatori nell’istante in cui si vuole campionare il segnale.
5.7.2.4 Convertitori Half Flash (Serie-Parallelo)
Questa ultima architettura che presentiamo mantiene pressoché inalterate le
caratteristiche di velocità dei convertitori di tipo parallelo riducendone però
notevolmente la complessità circuitale. La filosofia del funzionamento di questo tipo
di convertitori è quella di effettuare la conversione in due passi distinti. Supponendo
di volere effettuare una conversione a 10 bit di un segnale analogico si può pensare
di effettuare una prima conversione a 5 bit per determinare il valore dei bit più
significativi ed una seconda conversione per i restanti 5 bit meno significativi.
Fare una codifica a 5 bit vuole dire dividere il VFS in 32 livelli ed individuare in quale
intervallo cade la tensione incognita Ui. Una volta effettuata la conversione a 5 bit si
fa la differenza tra il valore trovato dalla conversione e il segnale in ingresso e si
converte il residuo (amplificato) trovando così i restanti bit meno significativi. Lo
schema di principio è quello mostrato in figura 23.
VREF
Vin
Sample
and
Hold
X2
A/D
DAC
grossolano
(M bit)
-
M
A/D
fine
(K bit)
M MSBs
K LSBs
Clock 2
Clock 1
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123
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Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
Il maggiore vantaggio di questa configurazione risiede nel fatto che i due convertitori
da M e K bit rispettivamente (M e K sono valori definiti a priori) possono essere
uguali possono cioè lavorare con la stessa tensione di fondo scala, interponendo,
come mostrato in figura 13 un amplificatore di guadagno 2M per dilatare la differenza
massima di 1 VLSB al valore massimo del fondo scala iniziale del convertitore a M bit.
In sostanza quindi il maggiore vantaggio che si trae è la possibilità di di contenere la
complessità circuitale al crescere della risoluzione riducendo moderatamente la
velocità di conversione.
5.7.2.5 Convertitori 6'
I convertitori 6'
campionamento.
rappresentano
un’evoluzione
dei
convertitori
a
sovra-
Convertitori a sovra-campionamento
Il principio di funzionamento di questi ultimi si basa sull’ipotesi di poter rappresentare
il rumore di quantizzazione con un processo stocastico bianco, caratterizzato da una
densità spettrale di potenza costante su tutta la banda del segnale campionato [-fc/2
fc/2], in cui fc rappresenta la frequenza di campionamento del sistema. Detto No il
valore di tale costante è noto che la potenza media del rumore, N, è data da:
V 2 LSB
(29)
N No fc
12
Supponendo di campionare e quantizzare un segnale caratterizzato da una banda
fs, è noto che per il teorema di Shannon deve essere soddisfatto il vincolo fc>2fs. La
frequenza limite 2fs è detta frequenza di Nyquist, il campionamento effettuato ad una
frequenza maggiore della frequenza limite si dice sovra-campionamento.
Si definisce fattore di sovra-campionamento OSR (oversampling ratio) il rapporto tra
la frequenza di campionamento utilizzata e la frequenza limite di Nyquist.
Perciò:
fc
(30)
OSR
2 fs
Si consideri che il sistema di campionamento e quantizzazione venga realizzato
utilizzando lo schema riportato nella figura seguente:
/2
2
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124
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Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
Filtro LP
segnale
No
fs
Fc/2=Kfs/2
f
Figura 24. Schema di principio del convertitore a sovra-campionamento
in cui OSR=K/2. Dopo il filtro anti-aliasing in ingresso, che taglia le componenti a
frequenza maggiore di fc/2, il convertitore esegue un campionamento con frequenza
pari fc=Kfs, introducendo un rumore di potenza pari ad N, il cui valore dipende dal
numero di bit utilizzati per la quantizzazione. Se a seguire il convertitore si introduce
un filtro digitale passa basso (ideale) con banda passante pari a fs, la potenza di
rumore, N’, all’uscita del filtro sarà:
N
N
(31)
N' N 0 2 f s
2 fs
fc
OSR
perciò il convertitore a sovra-campionamento ottenuto dalla cascata del convertitore
A/D veloce (a frequenza fc),del filtro digitale (con banda fs) e del decimatore a valle,
che elimina i campioni ridondanti, è caratterizzato da un rapporto segnale - rumore
di quantizzazione, SNR’, pari a:
S
S
SNR '
OSR o SNR ' dB SNR 10 log(OSR)
(32)
N' N
in cui con SNR si è indicato il rapporto segnale rumore del convertitore A/D utilizzato
nella catena.
Se si considera che il numero di bit n di un convertitore A/D è legato al rapporto
segnale rumore ottimo, nel caso di segnale sinusoidale, dalla seguente relazione:
SNRdB
(33)
#n
6dB
si vede che il convertitore a sovra-campionamento si comporta globalmente come un
quantizzatore ideale con neq bit:
neq
SNR '
6dB
SNR 10 log(OSR)
6dB
n
10 log(OSR)
6dB
(34)
pertanto il convertitore a sovra-campionamento si comporta come un A/D con un
numero di bit maggiore di quello effettivamente utilizzato, ma più lento. L’incremento
del numero di bit equivalente risulta pari a 0.5 bit per ottava, in altre parole per
ottenere un incremento di un bit è necessario campionare ad una frequenza, fc,
quadrupla rispetto a quella effettiva valle del decimatore, 2fs, cioè avere un fattore
OSR pari a 4.
La filosofia di questi convertitori è dunque quella di generare un campione
sintetizzando l’informazione ottenuta a partire da OSR campioni, con un’operazione
di media. Questo permette di ridurre il rumore (in potenza proprio di un fattore OSR),
ma naturalmente porta ad una riduzione della frequenza di conversione. Risulta
evidente perciò che questa filosofia risulta efficace se è ragionevole pensare che i
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125
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Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
campioni del rumore di quantizzazione si presentino come variabili aleatorie
indipendenti (o comunque scorrelate) il che equivale ad accettare l’ipotesi di rumore
bianco.
Convertitori 6'
I convertitori 6', si basano sulla strategia ora descritta del sovra-campionamento ma
sono caratterizzati da una struttura più complessa che consente di ottenere un
miglior filtraggio del rumore.
Lo schema di principio di un convertitore 6' del primo ordine è riportato in figura:
LOW
PASS
DIGITAL
FILTER
H(Z)
A/D converter
Figura 25: Schema di principio di un convertitore 6'
Nello schema di principio il convertitore è schematizzato con il suo equivalente
lineare, ovvero con un sommatore che introduce il rumore di quantizzazione.
Il convertitore A/D è inserito in un anello di reazione negativa.
Si indichi con X(z) la trasformata zeta del segnale in ingresso campionato, con Y(z)
quella del segnale in uscita e con E(z) quella dell’errore di quantizzazione,si indichi
inoltre con H(z) la funzione di trasferimento del filtro analogico mostrato nello schema
a blocchi, si vede che:
H ( z)
X ( z) H x ( z)
E(z) 0
1 H ( z)
1
(35)
Y ( z)
E( z)
E( z)H e ( z)
X (z) 0
1 H ( z)
1
H ( z)
Y ( z) E( z)
X ( z)
X ( z) H x ( z) E( z)H e ( z)
1 H ( z)
1 H ( z)
Per ottenere questo risultato si è applicato il principio di sovrapposizione degli effetti.
Poiché l’ingresso analogico e l’errore di quantizzazione entrano in punti diversi della
catena di conversione, si ottengono due diverse funzioni di trasferimento.
Y ( z)
X ( z)
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126
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Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
Con questa struttura si vuole rendere più efficace l’azione di attenuazione del rumore
data dal filtro passa-basso digitale che si trova subito valle dell’anello di reazione, è
perciò evidente che si desidera che la funzione di trasferimento del rumore, He
corrisponda ad un filtro passa alto, mentre bisogna garantire che la funzione di
trasferimento del segnale Hx, non distorca il segnale.
Come si vedrà nel seguito questo si ottiene realizzando la funzione H(z) con la
seguente struttura:
H(z)
z-1
+
Figura 26: realizzazione della funzione H(z)
Dunque:
H ( z)
z 1
1 z 1
(36)
Si noti che la struttura riportata in figura rappresenta un integratore tempo discreto,
in quanto nel dominio del tempo esegue la seguente operazione:
n 1
xout (nTc )
¦x
in
(kTc )
(37)
k 0
Si ottengono quindi i seguenti risultati:
1
1 z 1
H e ( z)
1 z 1
1
1
1
z
1 z z
1
1
1 z
(38)
z 1
1 z 1
H x ( z)
z 1
z 1
1
1 z 1
Da cui si vede che Hx rappresenta semplicemente un ritardo, mentre He presenta uno
zero sul cerchio unitario, cioè si comporta come un differenziatore tempo discreto.
Ricordando che per passare al dominio s, si pone z=esTc (Tc =1/fc) si vede infatti che
la funzione He(s) presenta uno zero in 0.
A questo punto occorre quantificare l’effetto di reiezione del rumore ottenuto
attraverso questa architettura. Per fare questo si considera ancora una volta di avere
a valle un filtro passa-basso digitale ideale con frequenza di taglio fs e si calcola la
potenza di rumore in uscita da filtro NLP.
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127
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Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
fs
N LP
³
fs
N
2
H e ( f ) df
fc
(39)
In cui N rappresenta la potenza del rumore di quantizzazione introdotto dal
N
2
H e ( f ) rappresenta la
convertitore A/D nella catena ovvero la potenza di e(n),
fc
densità spettrale di potenza del rumore in uscita dal modulatore 6', ed H e ( f )
rappresenta la funzione di trasferimento relativa al rumore di quantizzazione nel
dominio della frequenza, che si ottiene ponendo z=ej2SfTc.
In particolare si ha:
H e ( f ) 1 e j 2SfTc
(40)
2
He ( f )
(1 cos 2SfTc ) 2 (sin 2SfTc ) 2
e poichè interessa valutare H e ( f )
2
soltanto nella banda del filtro digitale (-fs, fs) e
supponendo di avere un OSR elevato, che equivale a dire una frequenza di
campionamento fc >> fs, si potrà considerare che il prodotto ZTc sia sempre <<1 in
tale banda, pertanto la funzione di trasferimento in potenza potrà essere
approssimata con il suo sviluppo in serie al primo ordine, nel seguente modo:
2
H e ( f ) | (2SfTc ) 2
(41)
Infine si avrà per la potenza del rumore in uscita dal filtro passa basso, NLP:
fs
N LP
³
fs
N
2
H e ( f ) df
fc
fs
³
fs
N
2
4S 2 f 2Tc df
fc
3
N
2 f
4S 2Tc
3
fc
fs
fs
3
f
N
8S 2 s
3
3
fc
(42)
2
N S
OSR 3 3
Perciò il rapporto segnale –rumore di quantizzazione, SNR’’ relativo all’intera
struttura del convertitore 6', sarà:
SNR ' ' dB 10 log(S ) 10 log( N ) 30 log(OSR) 10 log(
S2
) SNRdB 30 log(OSR) 5.17dB
3
In cui ancora una volta SNRdB rappresenta il rapporto segnale rumore del
convertitore A/D inserito nel convertitore 6', e rappresentato nello schema di
principio con un sommatore.
Da questa equazione si vede che il rapporto segnare rumore cresce con il cubo di
OSR.
Ancora una volta ricordando che il rapporto segnale rumore ottimo per un
quantizzatore, nel caso di ingresso sinusoidale è legato al numero di bit dalla
seguente equazione:
SNRdB
n|
(43)
6dB
potremo calcolare il numero di bit equivalente che si riescono ad ottenere con un
convertitore 6' in funzione del OSR:
SNR ' ' dB SNRdB 30 log OSR
neq |
|
(44)
6dB
6dB
6dB
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128
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Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
Si vede che stavolta per ogni ottava nell OSR (ad ogni raddoppio di questo
parametro) si ha un guadagno di 1.5 bit equivalenti, il che significa ad esmpio che
scegliendo una frequenza di campionamento, fc, quadrupla di quella limite di di
Nyquist si ottiene un guadagno in termine di bit equivalenti pari a 3.
Lo schema a blocchi di un sistema che implementa lo schema di principo in fig.27
e che tipicamente viene utilizzato è riportato nella figura seguente, in cui si vede che
il convertitore A/D vero e proprio è ad un solo bit, (come pure il convertitore D/A che
permette di chiudere l’anello di reazione e valutare l’errore). Questo consente di
eliminare gli errori di non linearità.
Figura 27. Schema realizzativo di un convertitore
5.8. Schede DAQ
Nelle figure 28 e 29 sono riportate due diverse architetture di schede di acquisizione
commerciali, Plug & Play per PC (National Instruments serie E e serie S). Le schede
sono costituite da una sezione di condizionamento e di acquisizione e da
un’interfaccia verso un bus standard.
La prima scheda utilizza un’architettura con ingresso analogico multiplexato, (16
ingressi single ended o 8 ingressi differenziali), un solo amplificatore per
strumentazione a guadagno variabile, impostabile via software.
La velocità di questa scheda è principalmente limitata proprio dall’amplificatore che
deve garantire di essersi assestato entro la fascia di accuratezza corrispondente al
livello del bit meno significativo del convertitore successivo a 12 bit (0.025%) entro il
tempo di conversione minimo. L’amplificatore sviluppato dalla National Instruments
assicura tempi di assestamento a guadagno costante leggermente maggiori di un Ps
per un gradino in ingresso a massima ampiezza; per ciò con questa architettura non
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
129
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
è possibile superare un tempo di campionamento massimo poco superiore al MHz. Il
tempo di assestamento che segue un cambiamento di guadagno dell’amplificatore è
ovviamente molto maggiore.
Il guadagno variabile dell’amplificatore realizza un sistema di acquisizione a dinamica
variabile, da r50mV (guadagno 200) fino a r10 V (guadagno 1). La scheda non
contiene filtri anti-aliasing. E’ pertanto cura dell’utilizzatore controllare che le
caratteristiche in frequenza del segnale garantiscano di non violare il teorema di
Shannon (e/o che l’aliasing sul rumore non degradi troppo le caratteristiche del
sistema), o inserire un filtro antialiasing esterno. Si ricorda che se la scheda deve
funzionare con frequenza di campionamento variabile può risultare vantaggioso
realizzare un solo filtro anti-aliasing analogico, e far funzionare a frequenza fissa il
convertitore (pari alla massima ammissibile). Le frequenze di campionamento minori
possono essere ottenute per decimazione dopo aver effettuato un filtraggio digitale.
Figura 28 Architettura multiplexata
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130
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
Figura 29 Architetturta non multiplexata
Nelle schede multiplexate la massima frequenza di campionamento si ottiene solo
nel caso si utilizzi un solo canale analogico. Utilizzando k canali la massima
frequenza di campionamento si riduce di un fattore k. Non è inoltre possibile il
campionamento simultaneo dei canali analogici, anche se esistono modalità di
utilizzo che indipendendentemente dalla frequenza di campionamento considerata
minimizzano il ritardo tra gli istanti di campionamento di ciascun canale.
Figura 30. Ingresso multiplexato. Configurazione differenziale
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131
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
Nelle operazioni di acquisizione il convertitore può essere attivato da un comando
software, oppure da un clock presente sulla scheda.
Le schede prevedono in genere varie opzioni di trigger (software o hardware,
analogico o digitale).
Sulla scheda è presente un buffer FIFO, che disaccoppia l’acquisizione dal
trasferimento verso il PC. Sono presenti anche due convertitori DAC a 12 bit , con
massima frequenza di conversione sempre intorno al MHz, una o più porte di I/O
digitali, e uno o più timer.
Per ottenere frequenze di campionamento maggiori è necessario ricorrere ad
architetture non multiplexate, come quella della scheda riportata in figura 29), che
campiona alla frequenza massima di 10 MS/s (12 bit). In questo caso il sistema di
condizionamento ed acquisizione è replicato per ogni canale analogico in ingresso.
La scheda contiene anche i filtri antialiasing analogici programmabili (50 o 500kHz).
Queste schede sono corredate di driver e pacchetti software molto evoluti (VI di
Labview) che consentono un utilizzo versatile e molto facilitato.
Le modalità di acquisizione, supportate in genere dall’hardware e dal software, sono:
untimed single point: lettura di un campione con comando software, se si utilizzano
sistemi operativi standard come Windows
questo non garantisce una
temporizzazione precisa dell campionamento
timed single point: lettura di un campione dal buffer, il campionamento viene
comunque temporizzato dal clock della scheda.
Buffered: un certo numero di campioni viene acquisito in modo timed (temporizzato
dal clock della scheda) e salvato sul buffer FIFO i campioni vengono poi trasferiti al
PC (scarsamente utili nei sistemi di controllo).
Stream to disk: dipendentementemente dall’hardware del sistema che ospita la
scheda è possibile acquisire e salvare direttamente sulla memoria di massa a
velocità anche pari ad 8 MS/s.
5.8.1. Connessione di ingressi analogici
In figura 31 sono riassunti gli schemi di connessione possibili, per gli ingressi
analogici di schede di acquisizione del tipo riportato in figura 28.
Le prestazioni del sistema di acquisizione dipendono dallo schema di connessione
scelto, particolarmente critico risulta il caso in cui sia la sorgente analogica che il
sistema di condizionamento siano riferiti a terra in punti diversi. In tal caso la diversa
tensione dei riferementi di terra, Vg, viene a trovarsi in serie alla tensione di misura.
Poichè i collegamenti di terra non sono a resistenza nulla e le correnti che vi
circolano sono di elevato valore (dipendentemente dalle utenze collegate), questa
tensione può essere anche molto maggiore della tensione sotto misura.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
132
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
Figura 31. Schemi di connessione degli ingressi di una DAQ
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
133
5.8.2.
Convertitori Digitali analogici (DAC)
Per completare la descrizione delle schede di acquisizione verrà brevemente trattato in
questa sezione il blocco di conversione digitale analogico (DAC), che come si vede dalle
figure presentate nelle pagine precedenti è usualmente presente a bordo delle schede
DAQ.
Un convertitore D/A o DAC ad N bit con dinamica 0-VFS produce in uscita un livello di
tensione VOUT legato al codice Z posto al suo ingresso digitale, dalla seguente relazione:
VOUT ZV LSB VLSB (bN 1 2 N 1 bN 2 2 N 2 .. b1 21 b0 )
in cui il codice Z è composto dalla N-upla di bit (bN-1, bN-2, …., b1, b0) e bi =[0,1], e
VLSB=VFS/2N.
Quindi sono possibili all’uscia 2N livelli di tensione.
Le architetture di questi dispositivi si basano su tre metodi di conversione:
1) metodo parallelo
è l’analogo del convertitore A/D flash, con un partitore si generano i 2n livelli di tensione
e una rete di 2N interruttori connette all’uscita il livello corrispondente al codice Z. I
comandi degli interruttori sono generati da un decodificatore 1-N.
2) metodo pesato
ci sono N interruttori, ciascuno comandato da un bit. Si sommano correnti o tensioni
proporzionali ai pesi binari associati a ciascun bit, ad esempio VLSB al bit meno
significativo 2N-1 VLSB al bit più significativo.
3) metodo a conteggio
attraverso un solo interruttore viene generata un’onda rettangolare con duty cycle
proporzionale al codice da convertire, un filtro passa basso estrae il valor medio.
VFS
R
Z=(11)
R
Z=(10)
VOUT
R
Vcc
I
b0
Z=(01)
VOUT
Ton= k Z
2I
b1
R
Vcc
R
R
C
Z=(00)
(1)
(2)
(3)
Figura 31 a - Metodi di conversione D/A
Il metodo più utilizzato per la realizzazione di D/A integrati è quello pesato, gli
interruttori sono CMOS o bipolari,. Forniscono un’uscita in tensione o in corrente
(questo consente di realizzare strutture più veloci)
132-6
5.8.2.1 Convertitore a resistenze pesate
Una soluzione circuitale classica è rappresentata dal circuito nella figura seguente:
VFS
2R
4R
8R
S2
S3
S1
2NR
Sn
R
V OUT
bN-1 bN-2 bN-3
b0
Figura 31 b - Convertitore D/A a resistenze pesate
In questo circuito si ha:
VOUT
VLSB
§ V
V
V
V
R¨¨ b0 NFS ....... bN 3 FS bN 2 FS bN 1 FS
8R
4R
2R
© 2 R
b0 ....... bN 3 2 N 3 bN 2 2 N 2 bN 1 2 N 1
·
¸¸
¹
Questa struttura, che si basa sull’utilizzo di interruttori a due vie, consente di mantenere il
potenziale ai capi degli interruttori costanti riducendo i ritardi legati alla carica e scarica
delle capacità parassite, è altresì costante il carico visto dal generatore della tensione di
riferimento VFS.
Tuttavia il numero di bit è limitato dalla accuratezza con cui è possibile realizzare le
resistenze nei rapporti 2i, e dalla possibilità di integrare resistenze di elevato valore.
5.8.2.2 Convertitore con rete a scala
Una soluzione alternativa ed efficiente si basa sulla sostituzione della rete di resistenze
pesate con una rete di resistenze detta R-2R o rete a scala, ottenendo il circuito
rappresentato nella seguente figura:
VFS
RV(N-2)R V(N-3)
V(N-1)
2R
2R
2R
S1
S2
S3
V(1)
.......... 2R
Sn-1
R V(0)2R
2R
R
Sn
Io
bN-1 bN-2 bN-3
b1
b0
VOUT
I*o
figura 31 c - Convertitore D/A con rete a scala
132-6
Poiché il carico visto da ciascun nodo V(i), è R (es. per il nodo V(0) è 2R//2R=R, per il
nodo V(1) è (2R//2R+R)//2R= R, etc.), per questo circuito si ottiene:
V ( N 1) VFS
V ( N 2)
1
V ( N 1)
2
1
VFS
2
...
1
1
V (2)
VFS
N 2
2
2
1
1
V (0)
V (1)
V
N 1 FS
2
2
e dunque:
V
V
V
V
V ·
§
b1 N FS
... bN 3 FS bN 2 FS bN 1 FS ¸
VOUT R¨ b0 N FS
1
2
8R
4R
2R ¹
2 2R
© 2 2R
VLSB b0 b1 2 ... bN 3 2 N 3 bN 2 2 N 2 bN 1 2 N 1
V (1)
Le resistenze utilizzate in questo convertitore hanno valori R e 2R solamente, questo
rende molto più compatta la struttura.
E’ possibile realizzare una rete a scala cosiddetta inversa, basata sullo stesso principio,
che sfrutta cioè partitori resistivi identici ripetuti, che consente di non utilizzare un
amplificatore operazionale come sommatore delle correnti in uscita. Pertanto è possibile
realizzare convertitori D/A con uscita in corrente.
Nel caso in cui si debbano convertire numeri con segno (usualmente rappresentati in
complemento a 2, Zc=2N-Z, in rappresentazione ad N bit) è possibile utilizzare un sistema
del tipo riportato nella figura successiva nel quale si passa prima dalla rappresentazione in
complemento a due a quella con offset binario (-2N-1,0) ed infine si somma
analogicamente un offset per riportare le tensioni generate in un intervallo simmetrico
centrato su 0V.
2R
R
VFS
VOUT
D/A
R
+
R
…
+
b7 b6 b5……….b1 b0
decimale
-128
-127
..
-1
0
1
..
126
127
Complemento a 2
Zc= Zc=2N-Z
10000000
10000001
…
11111111
00000000
00000001
…
01111110
01111111
Offest binario
Z’=Z-2N-1
00000000
00000001
01111111
10000000
10000001
….
11111110
11111111
V OUT
Vo
0
VLSB
0 –128 VLSB=-VFS/2
VLSB-128 VLSB
127 VLSB
128 VLSB
129 VLSB
127 VLSB–128 VLSB
128 VLSB–128 VLSB
129 VLSB–128 VLSB
254 VLSB
255 VLSB
254 VLSB–128 VLSB
255 VLSB–128 VLSB=VFS/2
Figura 31 d Convertitore D/A bipolare
132-6
5.8.2.3 Applicazioni
Poiché un convertitore D/A genera una tensione VOUT = Z VLSB= Z VFS / 2N , è possibile
utilizzare questo dispositivo come moltiplicatore, in tal caso uno dei due fattori è costituito
proprio da VFS.
Con un D/A è anche possibile realizzare un divisore, sfruttando un circuito del tipo
mostrato nella figura 31 e, in cui si sfrutta un convertitore con uscita in corrente:
VFS=VOUT
Z
IK
D/A
R
+
VOUT
IK
Vi
Figura 31 d - Divisore
Nel circuito in figura si ha:
Vi
Vi
IK
Ÿ ZI LSB
R
R
V
Vi
V
Z NFS
Ÿ Z OUT
Vi
R
2 R
2N
VOUT
Vi N
2
Z
Una applicazione molto importante dei convertitori D/A è la generazione di forme d’onda.
La struttura impiegata è la seguente:
Generatore di indirizzi
(contatore o sommatore
con accumulo )
M bit, MtK
K bit
K>n
M emoria
RAM/ROM
(look up table)
D/A
n bit
Filtro passa
basso
oscillatore
Figura 31 e - Generazione di forme d’onda.
In cui la look-up table è una memoria contenete una sequenza di campioni, (segnale
campionato). La look-up table viene letta ciclicamente, infatti il generatore di indirizzi
132-6
scandisce la memoria, passando da una locazione alla seguente in un periodo del clock
generato dall’oscillatore, TC.
La soluzione più semplice è quella di implementare il generatore di indirizzi con un
contatore binario, in tal caso si avrà M=K e il periodo del segnale generato sarà 2KTC. E’
ovviamente necessario soddisfare il teorema di Shannon, pertanto si dovrà avere K>1,
quanto deve essere maggiore sarà poi determinato dalle caratteristiche del filtro
ricostruttore e del segnale generato.
5.8.2.4 Caratteristiche ed errori dei convertitori D/A
Per quanto riguarda la caratteristica ingresso-uscita e gli errori statici vale quanto è già
stato detto a proposito dei convertitori A/D. Si avranno cioè errori lineari di guadagno o
fondo scala (legati all’accuratezza con cui è realizzato il riferimento di tensione) ed errori di
offset (determinati ad esempio dall’offset dell’operazionale).
Si possono anche definire in maniera perfettamente duale rispetto ai convertitori A/D la
non linearità differenziale (DNL) e la non linearità integrale (INL), parametri che
caratterizzano il comportamento non lineare del convertitore D/A.
In figura è riportata la caratteristica ingresso uscita di un convertitore D/A ideale (blu-‘o’)
sovrapposta a quella di due diversi convertitori D/A reali (linee rosse), caratterizzati da
valori della Non Linearità Integrale (INL) diversi, ma da valori simili di Non Linearità
Differenziale (DNL).
6
5
Vout (V)
4
3
2
1
0
0
5
10
15
10
15
INL, DNL (VLSB)
Z
3
2
1
0
0
5
Z
Figura 31 f - Caratteristiche statiche ingresso-uscita di un convertitore ideale (‘o’) e due convertitori
reali (‘’ linee intera e tratteggiata). Nel grafico inferiore sono mostrate le INL (‘*’) e DNL (‘ š’) per i
due convertitori reali.
.
132-6
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
5.9. Standard di Comunicazione per L’Interfacciamento dei
Componenti dei Sistemi di Misura Automatici
Uno standard di comunicazione specifica le principali caratteristiche dell’hardware
(elettrico e meccanico), del protocollo e del software di basso livello di un sistema di
interfacciamento fra sistemi elettronici.
A seconda delle scelte realizzative per l’interfaccia e per il protocollo si otterranno
diverse prestazioni in termini di velocità di trasmissione (limitata dalla natura e dalla
lunghezza del mezzo trasmissivo e dalla complessità dell’interfaccia), di immunità al
rumore (dipendentemente dal mezzo trasmissivo, dalle caratteristiche dei segnali
utilizzati per la trasmissione), di lunghezza delle interconnessioni, di semplicità di
uso.
La scelta di uno standard di comunicazione deve essere effettuata considerando
essenzialmente i seguenti aspetti:
ZLe dimensioni del sistema di misura (nei sistemi di misura per l’automazione la
dislocazone fisica dei componenti del sistema può richiedere connessioni di
lunghezza dell’ordine delle decine o centainaia di metri, mentre per un sistema
da laboratorio le connessioni copriranno distanze dell’ordine dei metri o al più
delle decine di metri, infine per un sistema di misura compatto ospitato in un
rack possono essere sufficienti distanze inferiori al metro).
ZLa mole di dati trasmettere (per interrogare sensori lenti la banda del sistema
di comunicazione può essere piuttosto ridotta).
ZLa necessità di garantire tempi massimi fissati per la comunicazione (nei
sistemi di controllo occorre garantire una temporizzazione precisa per
l’acquisizione dei dati dai sensori e per l’attuazione).
La realizzazione delle interfacce di trasmissione si basa, principalmente, su due
tecniche di trasferimento dati:
Trasferimento seriale: viene trasferito un bit per volta.
Trasferimento in parallelo: viene trasferito un insieme di bit per volta.
La scelta tra l’una e l’altra è legata a diversi fattori (tipo di dati trasmessi, dispositivi
collegati,…) e viene effettuata tenendo in considerazione pregi e difetti delle due
soluzioni: la maggior velocità del trasferimento in parallelo è accompagnata da una
maggior complessità della struttura di controllo e, spesso, da problemi di affidabilità
su collegamenti per distanze elevate, per esempio superiori a qualche metro. Per
contro, la trasmissione seriale offre, in genere, maggiore semplicità nella
realizzazione del canale trasmissivo, a parità di tecnologia impiegata (cavo elettrico,
fibra ottica,…), superiore distanza tra trasmettitore e ricevitore, al prezzo di una
minore efficienza di trasmissione.
Nella letteratura tecnica si incontrano parecchie proposte di standard di interfaccia,
sia nel caso di comunicazioni seriali, sia nel caso di trasferimenti in parallelo. Nel
seguito verranno presi in esame due tra le più diffuse modalità per la connessione di
strumenti elettronici di misura ad un calcolatore:
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
134
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
Lo standard RS-232
Lo standard IEEE 488
E’ da notare che sebbene questi due standard siano ad oggi i più diffusi, altri
standard di comunicazione sviluppati per altri settori applicativi si stanno diffondendo
anche per il controllo della strumentazione. Tra gli altri, due esempi significativi sono
costituiti dalllo standard USB (Universal Serial Bus) e dal protocollo ETHERNET.
L’USB è stato sviluppato originariamente per connettere PC a periferiche quali
stampanti, scanner e dischi. Negli ultimi due anni il numero di computer dotati di
interfaccia USB è aumentato in maniera significativa. Questo standard ha alcune
caratteristiche che lo rendono vantaggioso, velocità elevata, facilità di utilizzo e di
connettività. L’USB 1.1 prevede una massima velocità di trasmissione di 1.5 Mbit/s,
ma già la generazione successiva, USB 2, supera questo limite offrendo velocità
massime di 60 Mbit/s; è una tecnologia plug and play. Fino a 127 dispositivi possono
essere connessi alla stessa porta con cavi (max 30 m) flessibili. D’altra parte la
tecnologia USB non è uno standard industriale, e le sue prestazioni non sono
garantite in ambienti rumorosi.
Recentemente, i produttori di strumentazione elettronica hanno cominciato ad includere tra le possibili
interfaccie di comunicazione di strumenti stand-alone, l’interfaccia Ethernet. Questa scelta è obbligata
vista la sua diffusione in altri campi di applicazione e porta ad indubbi vantaggi quali elavata velocità
(10 Mb/s o 100 Mb/s), facilità di condivisione degli strumenti tra diversi utenti e pubblicazione
efficiente dei risulati della misura, tuttavia pone anche dei problemi nelle applicazioni che riguardano il
controllo di strumentazione, legati all’ assenza di determinismo temporale nelle comunicazioni e alla
sicurezza.
5.9.1. Interfaccia Seriale RS232
Nasce per l’interfacciamento di un’ unità centrale (DTE, Data Terminal Equipment)
ed una dispositivo di comunicazione (DCE, Data Communication Equipment che può
essere una periferica di varia natura, ad esempio una stampante, un modem,
strumentazione elettronica, etc..)
Prevede una modalità di cumunicazione molto semplice, il canale fisico di
trasmissione può essere costituito nel caso più semplice da soli tre conduttori, due
per la trasmissione dei dati ed il terzo per il riferimento dei potenziali elettrici. Inoltre
le distanze percorribili con questo metodo di trasmissione sono, in generale,
sufficienti per le normali esigenze di un sistema di misura o nella pratica industriale,
dal momento che è possibile coprire facilmente una decina di metri.
La connessione tra periferica e calcolatore secondo lo standard RS-232 è del tipo
“da punto a punto” e prevede cioè un trasmettitore ed un ricevitore. Il cavo di
collegamento tra periferica e calcolatore è costituito da più conduttori: lo standard
fissa il significato assunto da ciascuno di essi. Al contrario, non stabilisce
univocamente un tipo di connettore da utilizzare, ma il modello DB-25 a 25 pin è
quello più usato, insieme alla versione minima DB-9 a 9 pin.
Il connettore femmina dovrebbe, di norma, essere associato a DCE, cioè la
periferica, il connettore maschio a DTE (Data Terminal Equipment), il computer.
Lo scambio di dati avviene formando un frame molto semplice costituito da gruppi di
8 bit informativi e da due bit di controllo START e STOP (vedi figura 32). La
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
135
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
rappresentazione dei dati è ASCII a 7 bit l’ottavo bit viene utilizzato per il controllo di
parità.
7 bit (ASCII)
STOP
PARITY BIT
IDLING BITS START
BIT
0
0/1
1
IDLING BITS
1
1
START
BIT
Figura 32. Pacchetto trasmesso secondo lo standard RS-232
Il ricevitore ed il trasmettitore devono avere clock di frequenza nominalmente identica
con uno scarto ammissibile entro il 3%.
In realtà il ricevitore opera ad una frequenza che è 16 volte la frequenza del
trasmettitore, in questo modo la sincronizzazione del ricevitore e del trasmittore
avviene in modo molto semplice, secondo lo schema in figura 33. Dopo il fronte di
discesa rivelato sulla linea di ricezione dati (fronte dello start bit) il ricevitore
campiona RXD con 16 fTX, quando rileva otto 0 logici consecuitivi, individua l’istante
centrale del bit trasmesso e dà inizio al campionamento a frequenza pari ad fTX
proprio da quell’istante.
START
BIT
Sample
from here with
fTX
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
0
fRX=16 fTX
Figura 33. Schema di sncronizzazione tra ricevitore e trasmettitore
I segnali principali definiti dallo standard ed la loro gestione sono riportati nella
tabella 2:
pin #
(25 poli)
1
Nome del segnale
TXDTransmit Data
3
RXD
Receive Data
RTS
Request To Send
Funzione
Normalmente collegato alla struttura esterna
di uno dei dispositivi, il DCE o il DTE, e
opportunamente collegato a terra.
Protective Ground
2
4
direzione
dal DTE
(periferica)
a DCE (computer)
dal DCE a DTE
Dal DTE al DCE
Linea di trasmissione dei bit di informazione
Linea di trasmissione dei bit di informazione
Abilita i circuiti di trasmissione. Questo
segnale, in combinazione con Clear To Send,
coordina il trasferimento. Indica al DCE che
deve ricevere dati dal DTE.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
136
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
5
CTS
Clear To Send
Dal DCE al DTE
Segnale di risposta a DTE. Quando attivo,
indica a DTE che la trasmissione può iniziare
6
DTS
Data Set Ready
Dal DCE al DTE
7
SG
Signal Ground
Con questa linea DCE avvisa DTE che il
canale di comunicazione è disponibile, cioè
che DCE è pronto a trasmettere o a ricevere
Riferimento di tensione per tutti gli altri
segnali.
8
DCD
Receive Line
Signal Detect (or
Data Carrier
Detect)
DTR
Data Terminal
Ready
Dal DCE al DTE
DCE utilizza questa linea per segnalare a DTE
che sta ricevendo un “buon segnale”, cioè una
portante analogica in grado di assicurare una
demodulazione dei dati ricevuti priva di errori.
Dal DTE al DCE
Se questo segnale è a livello logico 1, DCE
viene informato che DTE è pronto per la
ricezione. Il segnale DTR deve essere attivo
prima che DCE attivi il segnale Data Set
Ready, indicando così di essere connesso al
canale di comunicazione. Se il segnale DTR
assume il valore logico 0, DCE interrompe la
trasmissione in corso.
RI
Ring Indicator
Dal DCE al DTE
Linea usata da DCE per segnalare a DTE che
sta
per
giungere
una
richiesta
di
collegamento. Il segnale Ring Indicator viene
mantenuto sempre a livello logico 0, tranne
quando DCE riceve un segnale di chiamata in
arrivo.
20
22
Tabella 2. Segnali definiti nello standard RS232
RI
COMPUTER
DTR
DCD
DSR
CTS
RTS
RXD
TXD
modem
Figura 33. Schema di connessione tra un DTE ed un DCE
Si osservi che un segnale è considerato attivo quando è a livello logico 1. Il Livello
logico 0 è associato ad una tension tra 3V e 15 V, mentre l’1 tra –3V e -15V (logica
negata).
In realtà è possibile collegare anche due dispositivi di tipo DTE creando un null
terminal, cioè collegando le linee dell’interfaccia in modo che ciascun DTE appaia un
DCE all’altro computer. E’ possibile realizzare questo collegamento prevedendo la
gestione hardware dell’handshaking, o a tre fili senza alcuna gestione hardware
dell’handshaking. In questo caso si può effettuare un handshaking software
(protocollo X-on/X-off) in cui si prevede di aprire e chiudere i messaggi con caratteri
speciali.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
137
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
DTE
GND
TXD
RXD
RTS
CTS
DSR
SG
DCD
DTR
GND
TXD
RXD
RTS
CTS
DSR
SG
DCD
DTR
DTE
DTE
GND
TXD
RXD
RTS
CTS
DSR
SG
DCD
DTR
GND
TXD
RXD
RTS
CTS
DSR
SG
DCD
DTR
DTE
figura 34-schema di connessione tra due DTE, creando un null terminal, a) gestione
dell’handshaking b)a tre fili senza gestione dell’handshaking.
Le tensioni lette in corrispondenza al ricevitore sono diverse da quelle imposte al
trasmettitore: tale definizione dei livelli di tensione permette di compensare le cadute
di tensione lungo il cavo (canale di trasmissione). Questi effetti sono dovuti per lo più
alla capacità associata al cavo. Lo standard impone una capacità massima di carico
pari a 2500 pF: poiché un metro di cavo presenta tipicamente una capacità di circa
130 pF, la lunghezza massima accettabile risulta attorno ai 17 m. Chiaramente si
tratta di un calcolo approssimato; nella pratica si riescono a coprire distanze
massime dell’ordine dei 30 m, quando si impieghino cavi con bassa capacità oppure
nel caso di ridotte velocità di trasmissione o ancora impiegando tecniche software di
correzione degli errori di trasmissione.
Lo standard RS-232 è molto diffuso, tuttavia esistono altri standard seriali che
superano alcuni dei suoi limiti, i più diffusi sono riassunti nella tabella seguente.
Ricevitori e
Driver
Connettività
Max.
Lunghezza
Banda
RS232
Single ended
RS422
Differenziale
RS423
Single ended
RS485
Differenziale
1 trasmettitore
1 ricevitore
15 m
(30 m)
20 kbit/s
1 driver
10 rivcevitori
1200 m
(4 km)
10 Mbit/s
1 driver
10 ricevitori
1200 m
32 driver
32 ricevitori
1200 m
(4 km)
10 Mbit/s
100 kbit/s
Tabella 3. Schema relativo ad alcuni standard seriali
5.9.2. I Sistemi Automatici di Misura: il Protocollo IEEE 488
Lo standard IEEE 488 (IEC 625, IEEE 488, ANSI MC1) nasce con gli obiettivi di:
1. Definire un sistema di interconnessione su breve distanza.
2. Rendere possibile l’integrazione di strumenti di diversi costruttori in un unico
sistema.
3. Permettere lo scambio dati ad una velocità sufficientemente elevata (fino ad
1MByte/s).
Nello standard 488.1 le funzioni di interfaccia sono chiaramente distinte dalle funzioni
svolte dai dispositivi; i costruttori sono liberi di implementare queste ultime a loro
discrezione utilizzando, per il comando dei dispositivi, opportune istruzioni inviate sul
bus, le quali possono variare a seconda del dispositivo specifico.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
138
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
Una successiva revisione dello standard ha avuto come risultato una nuova versione
dello stesso, denominata IEEE 488.2. In tale nuovo insieme di norme, sono definiti
anche I protocolli per la comunicazione tra i dispositivi e l’host, il formato della
trasmissione dei dati sul bus ed infine sono fornite utili linee guida alla
programmazione dei dispositivi. A tale proposito si ricorda la presenza delle
indicazioni fornite dal consorzio SCPI (Standard Commands for Programmable
Instruments), le quali sono perfettamente compatibili con le norme dello standard
IEEE 488.2. Le indicazioni fornite da SCPI riguardano la sintassi e il significato
associato ai comandi scambiati tra host e strumenti.
I connettori 488 hanno una particolare struttura meccanica, rigorosamente stabilita
dallo standard, e presentano 24 terminazioni o pin.
Le caratteristiche essenziali dello standard IEEE 488 possono essere riassunte come
segue:
1. Il bus è formato da 24 linee, 8 linee dati DIO0-7 (sulle quali viaggiano anche, a
seconda del valore della linea ATN, i comandi multilinea), 3 linee per il
protocollo di Handshake e 5 linee di comando (unilinea) (ATN, IFC, REN,
SRQ, EOI), e 8 linee di massa.
2. Utilizza logica negata con livelli TTL compatibili, utilizza per le linee del bus
driver TTL open collector o tri-state allo scopo di ridurre il consumo di corrente
nello stato logico falso e utilizza la connessione wired-or (logica negata).
3. Il codice utilizzato per il protocollo è l’ASCII a 7 bit più un ulteriore bit di parità.
4. Il sistema ammette di interconnettere un massimo di 15 strumenti (di cui
almeno 2/3 autoalimentati) oppure un numero N di strumenti tali che la
lunghezza della connessione sia al massimo 2*N metri ma che non superi i 20
m. Pertanto il numero massimo di strumenti connettibili è vincolato dalla più
restrittiva delle due condizioni enunciate sopra.
5. La connessione può avvenire in modo daisy chain (festone) oppure a stella
come mostrato in figura 36.
Oscilloscopio
PC
Oscilloscopio
PC
Generatore di
Funzioni
Generatore di
Funzioni
Multimetro
Figura 36. Schema di connessione a festone oppure a stella
Si noti che la limitazione di distanza è in realtà solo apparente. Infatti esistono sul
mercato opportuni dispositivi (REPEATER) che consentono di realizzare
collegamenti più lunghi. Al limite, attraverso convertitori di protocollo 488-
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
139
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
ETHERNET, è possibile connettere due sottostazioni di strumenti, collegate al bus
488, mediante rete ethernet, in modo da coprire distanze molto maggiori.
Lo standard prevede un solo controller del bus che stabilisce i ruoli di tutti i
componenti del sistema e gestisce il bus.
Ciascun dispositivo connesso è individuato da un indirizzo (che va da 0 a 30) e può
agire come Listener (il dispositivo riceve, quindi più strumenti contemporaneamente
possono essere in questo stato), o come Talker (il dispositivo è l’unico a
trasmettere), è il Controller (generalmente il PC) che attribuisce di volta in volta la
capacità di funzionare come listener oppure come talker. Ciascun dispositivo può
infine essere nello stato Idle (in grado di ricevere dal controllore i segnali che ne
facciano commutare lo stato).
Dispositivo 1
Dispositivo 2
Dispositivo3
8 Linee DI/O
BUS
5 Linee Gestione Apparati Interconnessi
3 Linee per il protocollo di Hanshake
Figura 37. Struttura del Bus IEEE 488. Si individuano le 8 linee per il trasferimento dati, le 5
linee per la gestione delle periferiche, e le 3 linee del protocollo di trasmissione.
Il trasferimento di dati sul bus prevede un protocollo di handshaking che utilizza le
tre linee DAV (Data Valid), NRFD (Not Ready for Data), NDAC (Not Data Accepted).
Fintanto che tutti i dispositivi listner non sono pronti per ricevere un dato la linea
NRFD rimane bassa (la logica è negata e quindi nello stato logico vero), non appena
tutti i dispositivi sono potenzialmente pronti per ricevere un dato tale linea viene
negata e passa allo stato logico falso. Tutti i listner devono pilotare la linea NFRD e
la linea NDAC (in wired or).
La sorgente emette il primo pacchetto dati sulle linee DIO e dopo un tempo
sufficientemente lungo per fare estinguere i transitori, se NRFD è alta e NDAC è
bassa, abbassa la linea DAV. Da questo momento i dispositivi cominciano ad
acquisire il dato asserendo la linea NRFD in modo da inibire l’invio di ulteriori
pacchetti. Quando tutti i dispositivi hanno acquisito il dato (in tale senso il più lento è
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
140
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
vincolante) la linea NDAC viene negata per avvertire il controller che tutti i dispositivi
hanno ricevuto l’informazione.
Il processo si ripete come mostrato in figura 38.
DIO0-7
DATI
DATI
DAV
NRFD
NDAC
Figura 38. Schema del funzionamento del protocollo di Handshake
Come già accennato in precedenza sulle 8 linee DIO possono essere trasmessi
comandi oppure dati a seconda di come il controllore gestisce il segnale ATN. Se la
linea ATN è asserita infatti i livelli delle linee di DIO devono essere acquisiti ed
interpretati come comandi da tutti i componenti del sistema, mentre se ATN è
disasserito i livelli delle linee DIO devono essere interpretati come dati e acquisiti
soltanto dai LISTNER.
Le tipologie di comandi multilinea che possono essere trasmesse ai vari dispositivi
utilizzando le linee DIO sono:
1.
2.
3.
4.
Indirizzamenti
Comandi Universali
Comandi Indirizzati
Comandi Secondari
Chiaramente si deve distinguere tra i comandi IEE 488 che sono in generale device
independent perché attivano una particolare funzione di interfaccia di uno o più
ricevitori mentre i dati (che possono correre sulle stesse linee) sono device
dependent perché attivano una funzione interna di uno o più dispositivi.
Gli indirizzamenti servono a stabilire lo stato di un dispositivo, cioè a attivarlo come
LISTNER o come TALKER, il controller trasmette sulle DIO 7 bit, (l’ottavo non viene
utilizzato): i primi due (MSBs) sono utilizzati per stabilire lo stato del dispositivo, e gli
altri cinque contengono l’indirizzo IEEE488 del dispositivo (in codice binario) al quale
si vuole indirizzare il comando.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
141
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
Più in dettaglio, Il bit più significativo del comando 488 di indirizzamento è sempre
posto a zero. Il controller pone ad 1 il bit LA per indirizzare un dispositivo come
listener, il bit TA per indirizzare un dispositivo come talker; è possibile, inoltre,
assegnare ad un dispositivo contemporaneamente i ruoli di listener e talker, settando
entrambi i bit TA e LA. Il controller utilizza normalmente l’indirizzo 0.
Ad esempio per attivare il dispositivo con indirizzo 7 come Talker viene mandato il
comando (MYTALKERADDRESS, MTA) 010 00111 mentre per configurarlo come
listener si usa il comando (MYLISTNERADDRESS, MLA) 001 00111:
I comandi multilinea universali sono ricevuti dalle apparecchiature in grado di
svolgere la funzione del comando stesso e sono codificati con un codice ASCII
standard. Tra i più importanti abbiamo:
UNT (Untalk), disabilita il parlatore attivo.
UNL (Unlisten), disabilita gli ascoltatori.
SPE (Serial Polling Enable), Abilita il polling seriale (vedi oltre)
PPU (Parallel Port Unconfigure) Disabilita i dispositivi a rispondere ad interrogazioni
di tipo parallelo.
Esistono inoltre i comandi secondari utilizzati come estensione e sempre in
combinazione con comandi universali o indirizzamenti per estendere la tipologia di
codici utilizzabile.
Infine i comandi indirizzati sono quei comandi che consentono di ricevere, in modo
selettivo, le istruzioni ai soli dispositivi abilitati come ascoltatori.
Oltre ai comandi multilinea, il controller può inviare messaggi unilinea sfruttando 5
linee del bus appositamente previste nel protocollo. Ciascuna di queste linee ha una
sua peculiare funzione, con l’eccezione del segnale EOI (End or Identify) che
acquista due significati diversi a seconda del valore della linea ATN. Le linee di
comando sono le seguenti:
1. ATN (Attention)
Linea gestita dal controllore per segnalare se il dato sulle linee DIO debba essere
inerpretato come comando multilinea o come dato.
2. REN (Remote Enable)
Serve per abilitare alla programmazione e alla gestione remota tutti I dispositivi che
riconoscono il commando
3. SRQ (Service Request)
Questa linea serve per richiedere l’attenzione del controllore da parte di un
dispositivo
4. IFC (Interface Clear)
Serve come segnale di reset per tutti gli strumenti e per interrompere il polling seriale
5. EOI (End or Identify)
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
142
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
Se ATN è negata serve per indicare al parlatore attivo la fine della
trasmissione di una sequenza di dati
Se ATN è asserito EOI è utilizzato dal controllore per rilevare quale sia il
dispositivo responsabile di una richiesta di polling parallelo
Fino ad adesso abbiamo soltanto citato la parola polling. In realtà questo termine
identifica il modo in cui il controllore scandisce i dispositivi per capire quale di essi
abbia fatto richiesta della sua attenzione. Si possono scegliere due strategie:
1. Polling Seriale
2. Polling Parallelo
Serial Poll
Il Serial Poll è una procedura che consente al controller di ricevere informazioni sullo
stato di un dispositivo: in particolare il controller può stabilire se uno o più dispositivi
hanno effettuato una richiesta di servizio. I dispositivi in grado di rispondere ad un
Serial Poll inviano al controller uno Status Byte, che ne descrive lo stato.
La procedura di interrogazione mediante Serial Poll prevede l’invio del comando SPE
seguito dall’abilitazione sequenziale di ciascun dispositivo collegato al bus a
rispondere al comando Serial Poll inviando il byte di stato (Status Byte). Il controller,
una volta conclusa la scansione dei dispositivi per la lettura dello status byte, deve
inviare i comandi SPD e UNT (la maggior parte dei controller permettono
l’esecuzione di tutti i precedenti passi automaticamente, attraverso chiamate a
funzioni di libreria di alto livello).
Parallel Poll
Lo scopo di tale procedura è di ottenere informazioni sullo stato dei dispositivi
connessi al bus. I dispositivi, individualmente o collettivamente, ritornano uno Status
Bit su una delle linee DIO. L’assegnazione di una linea DIO ad un dispositivo viene
effettuata attraverso interruttori, jumpers o dal controller per mezzo del comando
PPC. Quando più dispositivi rispondono collettivamente, la lettura delle linee DIO
fornisce al controller l’AND logico (se il livello logico 1 corrisponde a tensione alta) o
l’OR logico (se il livello logico 1 corrisponde a tensione bassa) dei bit di stato. Lo
standard 488 specifica che i dispositivi coinvolti debbano rispondere al Parallel Poll
entro 200 ns; il controller deve leggere la risposta 2 ms dopo lo scadere dei 200 ns di
attesa seguente al Parallel Poll.
Lo standard IEEE 488.2
Lo standard IEEE 488.2 costituisce un’estensione dello standard 488, rinominato
488.1, per distinguerlo, appunto dalla nuova versione. In accordo a tale estensione
dello standard, un’interfaccia per strumenti di misura può essere descritta come
costituita da un insieme di livelli funzionali. Il livello più basso (Remote Interface
Messages) rappresenta l’interfaccia fisica, realizzata seguendo le specifiche del bus
IEEE 488.1 (connettore, cablaggi, segnali elettrici, protocollo di handshaking, etc.).
Lo standard IEEE 488.2 definisce i seguenti livelli funzionali intermedi:
Il livello delle Syntax and Data Structures, che definisce le modalità di
intercomunicazione tra gli strumenti nonché il formato dei dati scambiati.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
143
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
Il livello dei Common Commands and Queries.
Il livello Device Dependent Messages, che rappresenta l’insieme dei comandi che
possono essere inviati ad uno strumento affinché svolga operazioni utili, ed è definito
dal costruttore dello strumento.
Riassumendo, dunque, si noti che il protocollo 488.1 non definisce:
x Funzioni di interfaccia di uno strumento
x Formato comune di dati
x Standardizzazione dei messaggi
x Insieme di comandi comune a tutti gli strumenti
x Significato e gestione dello Status Byte di un dispositivo
Lo standard IEEE 488.2 risolve questi problemi definendo:
x Insiemi di funzioni di interfaccia che devono essere rese disponibili da parte di
uno strumento
x Formato e sintassi per i dati scambiati
x Protocollo relativo ai device-message
x Modello per il formato dello Status Byte fornito da dispositivo in seguito ad una
interrogazione
Funzioni di interfaccia obbligatorie nel protocollo 488.2
La seguente tabella elenca l’insieme di funzioni di interfaccia che uno strumento può
supportare:
In sostanza, tutti i dispositivi sono in grado di inviare e ricevere dati, richieste di
servizio e di rispondere al comando Device Clear. La tabella specifica anche le
funzioni minime che lo strumento deve poter gestire per svolgere il ruolo di controller,
per rispondere ad un Parallel Poll e per operare nelle modalità remota e locale.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
144
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
5.9.3. Sistemi di controllo e di misura distribuiti
Figura 39
Nella figura 39 è riportato un sistema di controllo industriale in cui vari segnali digitali
ed analogici che provengono da sensori (analogici o digitali), acquisiti mediante
schede di acquisizione, vengono utilizzati da controllori di diversa natura
(microprocessori, PLC, PC) che gestiscono i singoli processi.
I controllori sono connessi tra loro o con controllori di livello gerarchico superiori
dedicati al monitoraggio dell’impianto alla compilazione dei database alla gestione e
post-processing dei dati storici.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
145
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati
Le caratteristiche di ciascun elemento del sistema di automazione sono molto
diverse. Partendo dal livello più basso: i sensori e le schede di acquisizione
connessi ai controllori di basso livello devono essere interrogati con temporizzazioni
deterministiche, attraverso bus robusti dal punto di vista dell’immunità al rumore e
della connettività. Si utilizzano in genere i così detti BUS di CAMPO (esistono vari
standard ProfiBus, CanBus, FieldBus-National Instruments...). I controllori di basso
livello devono garantire di effettuare i cicli di controllo che consistono nella lettura
degli ingressi dai sensori, nel calcolo delle variabili di controllo e nell’attuazione delle
stesse, entro tempi minimi fissati (a volte piuttosto brevi ms) devono cioè garantire
operazioni in tempo reale. Devono inoltre rendere disponibili alcuni dati ai livelli
gerarchici superiori.
I controllori di livello gerarchico superiore devono garantire una gestione efficiente
delle informazioni (data logging), la gestione degli accessi a più utenti e la sicurezza.
Come si vede dalla figura un sistema di automazione può essere composto da
elementi che prevedono diverse soluzioni anche di interfacciamento. Un aspetto
fondamentale è la standardizzazione dei protocolli di scambio dati tra applicazioni e
componenti. Questo consente di rendere estremamente flessibile il sistema e di
ridurre i tempi di manutenzione e di sviluppo.
Lo standard OPC (OLE for process control) è un standard di comunicazione tra
processi (e driver di componenti hardware) nato proprio per questo scopo, risolvere i
problemi di connessione nei sistemi multi-vendor.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003
146
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
6. Il Rumore Elettrico
6.
Il Rumore Elettrico ........................................................................................... 147
6.1. Introduzione ............................................................................................. 147
6.2. Caratteristiche Essenziali Del Rumore ..................................................... 148
6.2.1. Valore quadratico medio (r.m.s.) ....................................................... 148
6.2.2. Funzione Densità Spettrale (spot noise) ........................................... 148
6.2.3. Banda Equivalente Di Rumore .......................................................... 150
6.3. Rumori Inerenti......................................................................................... 151
6.3.1. Rumore Termico ............................................................................... 151
6.3.2. Rumore shot...................................................................................... 154
6.3.3. Rumore Flicker.................................................................................. 155
6.4. Il Rumore Nei Sistemi Elettronici .............................................................. 156
6.4.1. Cifra Di Rumore ................................................................................ 156
6.4.2. Sorgenti Di Rumore Equivalenti In Ingresso ..................................... 159
6.4.3. Cifra Di Rumore E Generatori Equivalenti In Ingresso ...................... 160
6.4.4. Cifra Di Rumore Di Stadi In Cascata................................................. 161
6.5. Rumori Esterni.......................................................................................... 163
6.5.1. Introduzione ...................................................................................... 163
6.5.2. Modalita’ Di Accoppiamento Del Rumore.......................................... 164
6.5.3. Rumore Radiato ................................................................................ 165
6.5.4. Accoppiamento Capacitivo (Campo Elettrico) ................................... 165
6.5.5. Accoppiamento Magnetico (Campo Magnetico)................................ 170
6.5.6. Rumore Condotto.............................................................................. 176
6.6. Collegamenti Di Massa ............................................................................ 177
6.6.1. Masse Di Segnale A Punto Singolo Connessione Serie ................... 178
6.6.2. Masse A Punto Singolo Connessione Parallelo ................................ 179
6.6.3. Masse A Punto Singolo Connessione Ibrida ..................................... 179
6.6.4. Circuiti Con Riferimento Di Massa Multiplo ....................................... 179
6.6.5. Isolamento Mediante Trasformatore ................................................. 181
6.6.6. Isolamento Con Fotoaccoppiatore .................................................... 184
6.6.7. Amplificatori Differenziali ................................................................... 185
6.7. Alimentazioni ............................................................................................ 187
6.1. Introduzione
Ogni segnale elettrico presente in un circuito oltre a quello desiderato si può definire
rumore.
Una importante eccezione a questa definizione sono i prodotti di distorsione prodotti
in un circuito non lineare per cui la nostra attenzione è limitata ai circuiti lineari.
Le tensioni (o correnti) di rumore si combinano con il segnale in vari modi, ma la
distinzione principale riguarda la loro origine:
Valerio Gabbani anno 2003/2004
147
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
Rumori esterni; sono generati da altri sistemi elettronici, principalmente di
potenza e si accoppiano al sistema elettronico “vittima” in va ri modi al cui
studio ed alle relative
‰ Rumori interni od inerenti; sono generati dai componenti elettronici del circuito.
Sebbene l’effetto dei rumori esterni su di un circuito elettronico posso essere, con
opportuni accorgimenti praticamente annullato, un livello minimo di rumore è sempre
presente a causa delle sorgenti inerenti.
‰
6.2. Caratteristiche Essenziali Del Rumore
6.2.1. Valore quadratico medio (r.m.s.)
Il rumore generato in un circuito elettronico si manifesta come variazioni casuali di
tensioni e correnti.
Una grandezza utilizzata spesso per caratterizzare il livello di rumore è il suo valore
quadratico medio (R.M.S.). Se vn(t) rappresenta il valore istantaneo di una tensione
di rumore, il suo valore rms .Vn è definito:
Vn
2
vn (t )
lim
T of
1
T
T
2
³v
2
n
(t )dt
T
2
Quando i valori istantanei di due sorgenti di rumore vn1(t) e vn2(t) si sommano, il
valore istantaneo risultante è:
vnt (t )
vn1 (t ) vn 2 (t )
e quindi il valore efficace:
>vn1 (t ) vn 2 (t )@2
2
2
2
vn1 (t ) 2 ˜ vn1 (t ) ˜ vn 2 (t ) vn 2 (t ) Vn1 2 ˜ J ˜ Vn1 ˜ Vn 2 Vn 2
2
dove:
vn1 (t ) ˜ vn 2 (t )
Vn1 ˜ Vn 2
Il coefficiente J è chiamato c“ oefficiente di correla zione” ed è 0 se le sorgenti sono
completamente scorrelate (statisticamente indipendenti), nel qual caso:
J
Vnt
2
Vn1 Vn 2
2
6.2.2. Funzione Densità Spettrale (spot noise)
I segnali aleatori sono caratterizzati anche nel dominio della frequenza mediante la
f“unzione di densità spettrale” (S.D.F), ch iamata anche s“ pot noise”. Per capirne il
significato, supponiamo di filtrare il rumore generato da una sorgente generica con
Valerio Gabbani anno 2003/2004
148
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
un filtro passa banda ideale con frequenze di taglio fL
f B
, fH
2
f B
e di
2
misurare in uscita un valore efficace Vn(B,f).
Figura 1: Definizione di "spot noise"
Il valore dello spot noise alla frequenza f è definito:
vˆn ( f )
§ V ( B, f ) · § V ·
l im ¨ n
¸ ¨
¸
Bo0
B ¹ © Hz ¹
©
Se pensiamo di effettuare la misura per ogni frequenza f, otteniamo una funzione che
indica come la potenza del rumore si distribuisce nel dominio della frequenza.
In funzione della loro S.D.F. le sorgenti di rumore sono classificate in due grandi
categorie:
x Sorgenti di rumore bianco
x Sorgenti di rumore colorato
Figura 2: Rumore bianco e rumore rosa
Se conosciamo il valore la funzione s“ pot noise” di una sorgent e per ottenere il
valore rms nella banda B=fH-fL:
Valerio Gabbani anno 2003/2004
149
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
fH
2
³ v̂n ( f )df
Vn
fL
Nel caso di rumore bianco il valore efficace ha senso solo se è valutato su di una
banda finita, cosa che in pratica avviene sempre a causa della risposta in frequenza
di tipo passa-basso/passa-banda di un sistema elettronico.
6.2.3. Banda Equivalente Di Rumore
Come vedremo parlando delle sorgenti, nel caso di rumore bianco è sempre
necessario specificare una banda se si vuole caratterizzare il rumore in termini di
valore rms.
Pensiamo ad una semplice e ricorrente situazione; una rete lineare con risposta in
frequenza di tipo passa-basso o passa-banda ha in ingresso una sorgente di rumore
bianco con valore spot, vn 0
il valore efficace del rumore in uscita al filtro è:
Figura 3:Banda equivalente di rumore
Vno
2
f
2
2
³ A( f ) ˜ vn0 df
0
2
f
2
vn0 ³ A( f ) df
0
Sostituiamo alla rete originaria un passa banda ideale con banda BEQ e guadagno in
centro banda pari a A0, il valore rms del rumore in uscita è:
Vno ,BP
2
2
2
vn0 ˜ A0 ˜ BEQ
BEQ rappresenta la banda equivalente di rumore del quadripolo nel caso che:
Vno ,BP
2
Vno
2
vale a dire:
B EQ
1
A0
f
2
2
³ A( f ) df
0
Quindi per valutare il rumore in uscita da una rete lineare quando in ingresso è
presente una sorgente di rumore bianco basta considerare la sua banda equivalente
di rumore ed il guadagno in centro banda A0:
2
2
2
Vno vn0 ˜ A0 ˜ BEQ
ESEMPIO: Banda equivalente di rumore di un filtro LP passivo RC.
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150
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
Figura 4:Filtro LP RC
A( f )
VO
Vin
f0
j ˜ f f0 BEQ
f 02 ˜ ³
f
0
BEQ
S
2
˜ f0
1
2
o
f f2
S
2
1
2S ˜ R ˜ C
f0
˜ df
˜ B3 dB
6.3. Rumori Inerenti
6.3.1. Rumore Termico
Il rumore termico (Johnson noise) deriva dalla agitazione termica degli elettroni
(portatori di carica) in un conduttore e determina il limite inferiore del livello di rumore
presente in un circuito.
I valori istantanei di una tensione o corrente di rumore sono casuali e possono
essere trattati in termini statistici.
Il valore R.M.S. della tensione di rumore misurata a circuito aperto ai capi di un
resistore di resistenza R (:) e alla temperatura assoluta T (°K
) vale:
Vnt
4 kTBR ( V )
-23
k = costante di Boltzmann (1.38 10 J/°K
)
B = (fH-fL)banda equivalente di rumore del sistema di misura (Hz)
La formula indica una caratteristica importante del rumore termico; il valore rms della
tensione di rumore dipende unicamente dalla banda equivalente del sistema e non
fL fH
dalla frequenza di centro banda f 0
.
2
Il rumore termico è quindi bianco e lo s“ pot noise” vale:
§ V ·
4kTR ¨
vˆ nt ( f )
¸
© Hz ¹
Alla temperatura ambiente TAMB=290°Ke per R=10k:
nV
vˆ nt ( f ) 13
Hz
Il rumore termico è presente in qualsiasi componente che presenti resistenza
elettrica quindi non solo nei resistori ma anche nei diodi e nei transistori.
Per ridurre il livello di rumore termico in un circuito, conviene ridurre (se possibile) i
valori delle resistenze e la banda equivalente di rumore del sistema con opportune
tecniche circuitali. In casi estremi, per esempio negli amplificatori a radio frequenza
utilizzati nei radiotelescopi, si interviene anche sulla temperatura, raffreddando il
circuito ad una temperatura vicina allo zero assoluto.
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151
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
La figura illustra i modelli di Thevenin e di Norton del resistore rumoroso.
I nt
4kTB
R
Figura 5:Resistore rumoroso: circuiti equivalenti
In una rete passiva con condensatori, induttori e resistori, solo quest’ultimi generano
rumore termico. Se Z(f) è l’impedenza complessa ad una porta della rete, il valore
efficace della tensione di rumore a circuito aperto generato dalla rete nella banda di
frequenza B=f1-f0 è:
Vn
2
f1
4 kT ³ Re^Z ( f )`df
f0
Ed il valore spot:
v̂ n2 4 kT Re^Z ( f )`
La formula di Nyquist permette di ottenere una stima più realistica del rumore
generato da un resistore reale considerando l’effetto della capacità parassita:
Figura 6:Modello resistore reale
Z12 ( Z )
Vnt
R
R
; Re^Z12 `
2 2 2
1 jZRC
1Z C R
4 kT f
R
˜ dZ
³
2 2 2
2S 0 1 Z C R
2
vˆn ( f )
kT
C
4kTR
2
1 2SfCR ESEMPIO: Collegando due resistori in parallelo alla stessa temperatura (equilibrio termico) ed
indicando con P12 la potenza fornita dal generatore Vnt1 alla resistenza R2 e P21 quella fornita dal
generatore Vnt2 alla resistenza R1 si ha:
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152
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
R2
˜ Vnt21
( R1 R2 ) 2
R1
˜ Vnt2 2
2
( R1 R2 )
P12
P12
P21
P21
4kTBR1 R2
( R1 R2 ) 2
4kTBR1 R2
( R1 R2 ) 2
Nel caso particolare di R1=R2=R si ha:
P12
P21
Pn
Vnt
4R
kTB
La quantità kTB è chiamata “potenza di rumore disponibile” della sorgente
ESEMPIO: Calcolo della tensione efficace di rumore termico fra due nodi di una rete resistiva
complessa.
I resistori del circuito sono tutti alla stessa temperatura assoluta T. Si vuole valutare il valore efficace
Vnt della tensione di rumore fra i nodi 1 e 2.
Figura 7:Rete rumorosa (rumore termico)
Se indichiamo con vn1(t), vn2(t), vn3(t) i valori istantanei dei generatori,vale per essi il principio di
sovrapposizione degli effetti, per cui:
v n 2 (t ) v n1 (t ) ˜
v nt (t )
R3
R1
v n 3 (t ) ˜
R3 R1
R1 R3
Essendo le tre sorgenti statisticamente indipendenti:
2
Vnt
2
2
Vn 2 Vn1
2
R1 ·
§ R3 ·
2 §
˜¨
¸ Vn 3 ˜ ¨
¸
© R3 R1 ¹
© R3 R1 ¹
2
trattandosi di rumore termico:
Vnt
2
R 3 ˜ R1 ·
§
4kTB ˜ ¨ R2 ¸
R 3 R1 ¹
©
4kTBRt
Ovvero, in termini circuitali:
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153
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
Rt
R2 R 3 ˜ R1
R 3 R1
Figura 8:Equivalente di Thevenin fra i nodi 1-2
Il risultato è perfettamente generalizzabile: una rete resistiva qualsiasi per quanto riguarda il valore
efficace della tensione di rumore fra i nodi due nodi qualsiasi (1,2), è equivalente ad un resistore
rumoroso di valore pari alla resistenza equivalente vista fra in nodi in questione.
6.3.2. Rumore shot
Il rumore shot è associato al flusso di corrente attraverso una barriera di potenziale
ed è dovuto alla fluttuazione casuale della corrente attorno al valore medio a causa
della emissione casuale dei portatori di carica (elettroni, lacune).
E’ un rumore bianco ed è presente nei componenti a semiconduttore con giunzioni
polarizzate direttamente (transistori BJT, diodi), il valore efficace della componente
variabile della corrente di rumore valutato sulla banda equivalente B e relativo ad una
componente media della corrente IDC è:
In
2
2qI DC B
q 1.6 u 10 19 C
La figura illustra il circuito equivalente del diodo rumoroso, l’effetto del rumore è
modellato da un generatore di corrente aleatorio e il modello non è valido nel caso il
diodo operi nella regione di breakdown.
Figura 9: Modello equivalente del diodo rumoroso (shot noise)
Per questa loro caratteristica i diodi sono utilizzati anche come generatori di rumore
nelle misure di cifra di rumore.
ESEMPIO: calcolo della tensione di rumore “spot” in un circuito con diodo
Valerio Gabbani anno 2003/2004
154
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
Parametri del circuito: E=10V, R=100:, T=290°K, diodo ideale.
La tensione istantanea fra l nodi 1-2 è la somma di una componente continua dovuta alla
polarizzazione diretta del diodo e di una componente, variabile dovuta alle sorgenti di rumore Jhonson
e Shot presenti nel circuito.
v12 (t ) VDC v nt (t )
Il circuito equivalente si riferisce solo alla componente variabile delle grandezze elettriche ed è
utilizzato per valutare il valore spot della tensione di rumore.
Dal circuito reale:
I DC #
rD
10V
100:
kT
qI DC
100mA
0.25:
In base a quanto detto precedentemente (rd, resistenza differenziale del diodo, non è rumorosa
perché è fittizzia):
iˆnd2
iˆnj2
3.2 ˜ 10 20
2qI DC
4kT
R
1.6 ˜ 10 22
A2
Hz
A2
Hz
R || rd # rd
v̂ nt2
2
rd î nd2 î nj2
0.8 ˜ 10 18
V2
Hz
Su una banda di 1MHz il valore efficace è:
V nt
v̂ nt2 ˜ B
0.9 PV
6.3.3. Rumore Flicker
Il contatto imperfetto fra due conduttori, fa sì che la sua conduttanza equivalente vari
casualmente in presenza di una corrente continua.
Il fenomeno genera un rumore detto appunto rumore flicker o rumore da contatto ed
è presente in qualunque dispositivo in cui ci siano due conduttori in contatto come
interruttori, commutatori, potenziometri, diodi, resistori, transistori.
Il valore efficace della corrente di rumore flicker è:
I nf
K f ˜ I m DC ˜ B
f0
B
f1 f 0
dove:
m è l’esponente del rumore flicker
Kf è un coefficiente specifico
‰ IDC è la corrente continua
‰
‰
Valerio Gabbani anno 2003/2004
155
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
Il rumore flicker è un rumore rosa, il suo valore efficace, a parità di banda B, è
maggiore alle basse frequenze.
6.4. Il Rumore Nei Sistemi Elettronici
Abbiamo caratterizzato le sorgenti di rumore elementari più comuni in un circuito
elettronico.
In un semplice circuito come l’amplificatore C.E. rappresentato in figura, le sorgenti di
rumore da considerare per quantificare la rumorosità del circuito sono molte è
l’analisi è piuttosto complessa.
Figura 10:Sorgenti di rumore all’interno dell’amplificatore C.E.
Spot Noise:
vˆ NB
4kTR B
iˆNB
2qI B 0
iˆNC
2 qI C 0
iˆNRC
4kT
RC
Per questa ragione, nel caso di circuiti complessi, ma anche per i singoli dispositivi
attivi, si definisce un parametro, la cifra di rumore, che indica la rumorosità di un
sistema a prescindere dai componenti utilizzati.
6.4.1. Cifra Di Rumore
Un parametro utilizzato spesso, soprattutto in radiotecnica, per esprimere la
rumorosità di un circuito è la cifra di rumore, è il rapporto tra il rapporto segnale rumore
(SNR) all'ingresso del circuito e quello all'uscita.
Valerio Gabbani anno 2003/2004
156
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
Figura 11:Definizione cifra di rumore
All’ingresso dell’amplificatore è già presente il rumore, generato dalla resistenza
interna del generatore, si definisce quindi rapporto segnale rumore in ingresso il
rapporto fra la potenza del segnale in ingresso e quella del rumore.
Calcolo del Rapporto segnale rumore in ingresso ed in uscita: La tensione di
ingresso dell’amplificatore è (principio di sovrapposizione degli effetti) :
v i ( t ) v is ( t ) v in ( t )
v is ( t )
vin ( t )
Rumore aditivo
Ri
˜v (t )
R S Ri S
Componente di segnale in ingresso
Ri
˜v (t )
RS Ri ns
Componente di rumore in ingresso
Supponiamo che la risposta in frequenza dell’amplificatore AV0(f) sia di tipo passa banda con banda
equivalente di rumore BEQ:
Vni
VnS
Valore efficace tensione di rumore in ingresso
4 kTR S B EQ
Rapporto segnale rumore in ingresso:
SNRi
D 2 ˜ VS2
D 2 ˜ VnS2
VS2
VnS2
D
Ri
Ri Rs
Il valore efficace della tensione di rumore in uscita vale:
V no
A V2 0 ˜ 4 kTR
S
B EQ α2V nA2
Il termine VnA rappresenta il valore efficace del rumore generato internamente all’amplificatore, ed è
scorrelato con il rumore termico in ingresso.
Il rapporto segnale rumore in uscita:
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157
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
VO
AVS
SNRo
VSo2
Vno2
VS
D ˜ AVO
2
AVS VS2
VS2
2
AVS 4kTBEQ RS VnA2
4kTBEQ RS VnA2
AVS
2
A causa del rumore introdotto dall’amplificatore:
SNRo d SNRi
Si definisce la cifra di rumore F che tiene conto del peggioramento del rapporto
segnale rumore:
SNRi
t1
SNR0
F
Allora:
1
F
VnA2
2
AVS
0 4 kR S TB EQ
è possibile definire anche la cifra di rumore spot, misurata ad una specifica
frequenza f0 su una banda di 1Hz:
Fˆ ( f 0 ) 1 2
( f0 )
vˆ nA
2
AVS ( f 0 )4kRS T
Se il meccanismo di generazione interna del rumore è bianco e se è generato prima
degli stadi del circuito che limitano la banda, allora:
Fˆ ( f 0 )
F
La cifra di rumore è spesso espressa in dB:
NF
10 ˜ log( F )
Per facilitare il confronto fra la rumorosità di circuiti operanti in condizioni termiche
differenti, la cifra di rumore viene specificata ad una temperatura di riferimento di
TO=290°K
.
E’ possibile esprimere la cifra di rumore F alla temperatura T effettiva del circuito in
funzione di quella convenzionale F0:
FT
1 F0 1
T0
T
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158
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
La comparazione fra cifre di rumore misurate con resistenze di sorgente RS diverse è
completamente priva di significato. La conoscenza della cifra di rumore misurata con
un certo valore della RS non consente di calcolarne il valore per valori diversi della
RS, questo perché anche il rumore generato internamente dipende dalla RS.
Il concetto di cifra di rumore ha tuttavia alcune limitazioni:
‰ aumentando la resistenza di sorgente RS la cifra di rumore diminuisce, ma
aumenta il rumore totale nel circuito.
‰ Nel caso si utilizzi una sorgente puramente reattiva la cifra di rumore non ha
significato poiché il rumore della sorgente è nullo
6.4.2. Sorgenti Di Rumore Equivalenti In Ingresso
Un approccio allo studio del rumore nei sistemi elettronici che supera le limitazioni
della cifra di rumore è modellare il rumore in termini di sorgenti equivalenti.
In tal modo l’effetto delle varie sorgenti di rumore interne all’amplificatore può essere
rappresentato da un generatore di corrente ed uno di tensione di valore opportuno
collegati all’ingresso dell’amplificatore:
Figura 12: Sorgenti equivalenti di rumore in ingresso
Le sorgenti di rumore così introdotte in generale non sono né bianche né
statisticamente indipendenti per cui saranno completamente caratterizzate dalla
funzione di "spot noise" e dal coefficiente di correlazione J.
La tensione di ingresso dell’amplificatore è (principio di sovrapposizione degli effetti) :
vi (t )
vis (t ) vin (t )
Ri
˜ v (t )
Componente di segnale in ingresso
RS Ri S
Ri
vin (t )
˜ v (t ) vn (t ) in (t ) RS Componente di rumore in ingresso
RS Ri ns
Il rumore, che nella realtà è generato all’interno dell’amplificatore, in questo modello
è già presente all’ingresso grazie ai generatori equivalenti Vn ed In.
Considerando la sorgente di rumore termico Vns indipendente da In e Vn, il valore
efficace della tensione di rumore totale in ingresso calcolata sulla banda 'f ed alla
temperatura assoluta T è:
vis (t )
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159
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
2
2
4kTRS 'f Vn 2 ˜ J ˜ Vn I n Rs I n RS
Vni
2
4kTRS vˆn2 2 ˜ J ˜ vˆn ˜ iˆn ˜ RS iˆn2 RS2
vˆni
Se poi supponiamo che anche In e Vn siano indipendenti (J=0), allora:
2
2
4kTRS 'f Vn I n RS
Vni
2
4kTRS vˆn2 iˆn2 RS2
vˆni
Questa ipotesi in realtà non è legittima poiché Vn ed In dipendono dalle stesse
sorgenti interne e quindi difficilmente saranno indipendenti.
Essendo AV0(f) il guadagno di tensione a circuito aperto dell’amplificatore, la tensione
di rumore in uscita è (valori spot):
ˆno ( f )
v˜
AV 0 ( f ) ˜ Ri
Ri RS AV 0 ( f ) ˜ Ri
˜ vˆni ( f )
Ri RS Ri
Ri Rs Vno
Vno
AV 0 ˜ Ri
Ri RS AV 0 ˜ Ri
Vni
˜ 4kTRS vˆn2 2 ˜ J ˜ vˆn ˜ iˆn ˜ RS iˆn2R S2
Ri RS ³
2
AV 0 ( f ) ˜ v ni2 ( f )df
'f
2
2
˜ 4kTRS 'f Vn 2 ˜ J ˜ Vn I n Rs I n RS
2
Quest’ultima equazione suggerisce un metodo per valutare Vn ed In in seguito alla misura di Vno su
una banda B.
Per determinare VN, si impone RS=0 e si misura la tensione rms totale di rumore in uscita VNO dalla
quale si ricava:
Vno
Vn
AV 0
Per determinare IN si effettua una seconda misura della tensione rms del rumore in uscita VNO con una
resistenza di sorgente RS molto grande in modo che risulti:
Vno !! AV 0 ˜ 4 kTBRS Vn2
allora:
In
Vno
AV 0 ˜ RS || Ri 6.4.3. Cifra Di Rumore E Generatori Equivalenti In Ingresso
SNRi
D 2 ˜ VS2
D 2 ˜ VnS2
VS2
VnS2
2
SNRO
D ˜ 2 AV 0 VS2
V
2
nS
Vn2 I n2 ˜ RS2 ˜ D ˜ 2 AV 0
F
VnS2 Vn2 I n2 ˜ RS
VnS2
F
§ V 2 I n2 ˜ R S
1 ¨¨ n
© 4 kTRS 'f
Ri
Ri Rs
D
VS2
VnS2 Vn2 I n2 ˜ RS2
2
§ V 2 I n2 ˜ RS
1 ¨¨ n
VnS2
©
·
¸
¸
¹
·
¸
¸
¹
Vno2
AVS
2
˜ 4 ktRS ˜ 'f
Valerio Gabbani anno 2003/2004
160
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
Notare che la cifra di rumore espressa in funzione dei generatori equivalenti di
rumore in ingresso non dipende dall’amplificazione.
ESEMPIO: Cifra di rumore di una semplice rete resistiva
Figura 13:Cifra di rumore di un partitore
Il rumore totale in uscita è (vedi capitoli precedenti):
Vno2 4 kT ( RS || R P ) ˜ 'f
L’ amplificazione della rete riferita alla tensione di sorgente a circuito aperto (VS):
RP
AVS
RP RS
F
1
RS
RP
6.4.4. Cifra Di Rumore Di Stadi In Cascata
E’ interessante calcolare la cifra di rumore di più stadi in cascata in funzione della cifra di rumore dei
singoli stadi sempre nell’ipotesi che tutte le sorgenti di rumore siano statisticamente indipendenti:
Figura 14:Stadi rumorosi in cascata
Tensioni di rumore totale ingresso amplificatore 1
Vi 12n
I n21 ˜ R S || Ri 1 Vn21 ˜
2
D1
2
i 1n
V
2
n1
Ri21
Ri 1 R s 2
Vns2 ˜
Ri21
R i 1 R S 2
Ri 1
Ri 1 R s 2
S
I ˜ R ˜ D 12 Vn21 ˜ D 12 Vns2 ˜ D 12
Valerio Gabbani anno 2003/2004
161
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
Tensione di rumore totale ingresso amplificatore 2
Vi 22 n
I n22 ˜ Ro1 || Ri 2 Vn22 ˜
Ri22
2
·
¸
¸
¹
2
Ri 2
D2
Vi 22 n
Ri 2 R o 1 2
Ri 2
2 §
Vi 12n ˜ AVO1 ˜ ¨¨
© Ro1 R12
Ri 2 Ro1 2
I n22 ˜ Ro21 ˜ D 2 Vn22 ˜ D 22 Vi 12n ˜ AVO1 ˜ D 22
Tensione di rumore totale sul carico:
V
2
on
2
i2n
V
˜ AVO 2
DL
V
2
on
§ RL
˜ ¨¨
© Ro 2 R L
RL
2
·
¸¸
¹
2
R L Ro 2 2
2
i2n
˜ AVO 2 ˜ D L2
V
Amplificazione totale:
AVT
§ Ri 1 ·
§ Ri 2
· § RL
¸ ˜ AVO 2 ˜ ¨
¸˜¨
AVO1 ˜ ¨¨
¸
¨
¸ ¨
© R S Ri 1 ¹
© R o 1 Ri 2 ¹ © R L R o 2
AVT
AVO1 ˜ AVO 2 ˜ D 1 ˜ D 2 ˜ D L
·
¸
¸
¹
Cifra di rumore totale
Von2
FT
2
AVT
˜ 4 kTRS 'f
Sostituendo:
FT
4 KTR S 'f I n21 R S2 Vn21
I n22 Ro21 Vn22
2
4 kTR S 'f
AVO1 ˜ D 12 ˜ 4 kTR S 'f
Nel caso particolare che RS=Ri1=Ro1=Ri2, l’ espressione appena calcolata diviene:
FT
F1 F1
1
I
F2
1
I
Dove:
F2 1
D 12 ˜ AVO1
2
2
n1
2
n2
RS Vn21
4 kTRS 'f
RS Vn22
4 kTRS 'f
L’espressione ottenuta è generalizzabile al collegamento in cascata di N stadi:
FT
F1 F2 1
2
1
D ˜ AVO1
2
F3 1
2
1
2
2
2
D ˜ D ˜ AVO1 ˜ AVO1
2
$$$
Da questa espressione si deduce un fatto molto importante nella progettazione di
sistemi elettronici a basso rumore: collegando in cascata stati amplificatori ad elevato
Valerio Gabbani anno 2003/2004
162
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
guadagno, la cifra di rumore totale del sistema è sostanzialmente uguale a quella del
primo stadio.
6.5. Rumori Esterni
6.5.1. Introduzione
I rumori esterni, a differenza di quelli inerenti sono generati da sistemi esterni al
circuito elettrico. La figura illustra schematicamente una tipica situazione in cui un
sistema di potenza, motore in DC e circuito di controllo, condivide lo stesso sistema
di alimentazione con circuiti elettronici adibiti all’elaborazione di deboli segnali
generati da trasduttori. Durante il normale funzionamento nel collettore del motore
(disturbatore) si generano degli archi che inducono una corrente di rumore nei
conduttori di alimentazione del motore. Il rumore elettrico generato, in determinate
condizioni e con varie modalità, può accoppiarsi con un amplificare per sensore di
temperatura a termocoppia posto nelle vicinanze (circuito vittima) e impedirne il
normale funzionamento.
Figura 15: Modalità di accoppiamento del rumore
Da questo semplice esempio si evince quindi che gli elementi fondamentali sono:
1. Sorgente di rumore. Per esempio il motore elettrico in continua in cui durante
il normale funzionamento si generano degli archi fra le spazzole ed il collettore
che inducono delle variazioni di corrente aleatorie nel circuito.
2. Canale di accoppiamento. E’ in generale composto da due tipi fondamentali
di accoppiamento: accoppiamento condotto (correnti di conduzione) ed
accoppiamento radiato (campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici).
Valerio Gabbani anno 2003/2004
163
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
3. Vittima. Il circuito elettronico dove la sorgente di rumore esterna induce
variazioni casuali nelle tensioni e correnti (rumore) che se di entità sufficiente
ne possono impedire il normale funzionamento. L’effetto indesiderato del
rumore su di un circuito si chiama i“nt erferenza”, mentre per “suscettibilità”si
intende la capacità del circuito di rispondere al rumore.Più la suscettibilità di
un circuito nei confronti di un dato tipo di rumore è elevata più elevata è la
probabilità che risenta del rumore.
Se i tre elementi fondamentali del problema si combinano in modo tale che il livello di
interferenza è inaccettabile devono essere adottate delle contromisure per:
1. Modificare la sorgente in modo che il fenomeno che genera il rumore sia
eliminato o ridotto.
2. Interrompere o ridurre l’efficacia del canale di accoppiamento.
3. Modificare il circuito vittima in modo che sia meno suscettibile ai rumori di
origine esterna.
6.5.2. Modalita’ Di Accoppiamento Del Rumore
Come già accennato precedentemente le modalità di accoppiamento del rumore fra
sorgente e vittima si classificano in due categorie fondamentali:
1. Rumore condotto. L’accoppiamento fra sorgente e vittima avviene quando la
corrente di rumore percorre conduttori che li collegano direttamente
(conduttori di massa e di alimentazione)
2. Rumore radiato. Si considerano tre tipi di accoppiamento:
‰ Accoppiamento capacitivo, dovuto all’interazione fra campi elettrici
statici. Il campo elettrico e magnetico sono considerati campi statici ed
indipendenti (reattivi) quando fra la massima distanza a cui si verifica
l’accoppiamento (dMAX) e la lunghezza d’onda nel vuoto del rumore
radiato (ON) deve esistere la relazione (c, velocità della luce nel vuoto):
d MAX ON
10
ON
c
fN
Accoppiamento magnetico, dovuto all’interazione fra campi magnetici
statici.
‰ Accoppiamento
elettromagnetico. In tal caso l’accoppiamento
energetico fra i circuiti avviene grazie al campo elettromagnetico
radiante.
‰
6.5.3. Rumore Radiato
Supponendo di essere nelle condizioni in cui i campi possono essere considerati
statici ed indipendenti, per semplificare l’analisi dell’accoppiamento conviene
utilizzare la tecnica dell’analisi dei circuiti a parametri concentrati rappresentando il
canale di accoppiamento con un opportuno componente circuitale.
Valerio Gabbani anno 2003/2004
164
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
Un campo elettrico varibile nel tempo fra due conduttori sarà rappresentato da un
condensatore, mentre un campo magnetico variabile che si concatena con due
circuiti è rappresentato da una induttanza mutua.
Figura 16: Rappresentazione circuitale accoppiamento elettrico
Figura 17: Rappresentazione circuitale accoppiamento magnetico
6.5.4. Accoppiamento Capacitivo (Campo Elettrico)
Figura 18: Accoppiamento capacitivo
Valerio Gabbani anno 2003/2004
165
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
La figura rappresenta in modo schematico l’accoppiamento elettrico (capacitivo) i
conduttori del circuito disturbatore e del circuito vittima. Il generatore di tensione
rappresenta la sorgente di rumore (che si considera non influenzabile dalla vittima e
si rappresenta pertanto con un generatore di tensione ideale), la capacità C12 è la
capacità di accoppiamento fra i conduttori, C1G e C2G sono le capacità verso massa
(C2G comprende anche la capacità di ingresso del circuito vittima) e la resistenza Ri è
la resistenza equivalente del circuito vittima.
La tensione V2 indotta sul conduttore 2 (vittima) è:
V2
§ jZ ·
¨¨
¸¸
Z
C12
˜ © C ¹ ˜V
C12 C 2G § jZ · D
¨¨1 ¸¸
Z
C ¹
©
con:
ZC
V2
VD
1
Ri ˜ C12 C 2G Z
ZC
C12
˜
C12 C 2G § Z 2
¨¨1 2
© ZC
·
¸¸
¹
Figura 19: Intensità della tensione di disturbo in funzione della frequenza
Quasi sempre, soprattutto in bassa frequenza, è lecito supporre che la resistenza Ri
sia tale da avere:
Z Z C
In tal caso l’espressione si semplifica:
V2 jZ ˜ Ri ˜ C12 ˜ V D
Da questa equazione si deducono le contromisure adottabili per ridurre il valore della
tensione di rumore V2 fissata l’intensità del disturbo VD e la sua frequenza:
Valerio Gabbani anno 2003/2004
166
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
Riduzione della Ri del circuito vittima quando possibile, circuiti che hanno Ri
elevate sono critici per quanto riguarda l’accoppiamento capacitivo.
‰ Riduzione
della capacità di accoppiamento C12; si ottiene orientando
opportunamente i conduttori 1 e 2 (la condizione di parallelismo è quella
peggiore), schermandoli con altri conduttori (schermo) oppure distanziandoli il
più possibile.
‰
Il distanziamento dei condutttori e l’orientamento sono misure importanti solo se le
distanze in gioco sono limitate. La capacità per metro lineare di due conduttori
rettilinei paralleli di diametro d metri e distanti D metri nel caso che D/d >3 è:
S ˜H0 ˜Hr
C12
§ D ·
acosh ¨
¸
© d ¹
§F·
12 § F ·
¨ ¸ Costante dielettrica del vuoto
¨ ¸ H 0 8.85 ˜ 10
©m¹
©m¹
Si deduce che per distanze D > 40d si ottiene solo un modesto incremento
dell’attenuazione del rumore; se d=1mm, è praticamente inutile distanziare i
conduttori più di 4 cm!
Il massimo livello di accoppiamento, a parità di capacità, si ottiene per:
Z !! Z C
C12
˜ VD
C12 C 2G
L’intensità dell’interferenza dipende solo dalla capacità di accoppiamento C12.
V2
Schermi Elettrostatici
Per schermo si intende un conduttore che circonda anche parzialmente
componenti, circuiti, cavi e linee di trasmissione di segnale il cui scopo è quello di
ridurre il rumore radiato captato dal circuito vittima attraverso l’accoppiamento
capacitivo, magnetico ed elettromagnetico.
Per quantificare il grado di protezione di uno schermo si definisce il fattore di
schermo K ottenuto confrontando la tensione di rumore indotta nel circuito prima e
dopo la sua applicazione.
K
V N (con schermo)
V N ( senza schermo)
K ( dB )
§ V (con schermo) ·
¸¸
20 log¨¨ N
© V N ( senza schermo) ¹
Equazione 1: Definizione fattore di schermo
Una notevole riduzione dell’accoppiamento elettrico si ottiene racchiudendo i
conduttori di segnale della sorgente e/o della vittima all’interno di conduttori di
schermo.La figura rappresenta il circuito equivalente nel caso che il conduttore 2
(vittima) sia parzialmente circondato da uno schermo conduttore coassiale;
CS2: capacità fra schermo e conduttore di segnale
CSG: capacità fra schermo e massa
C1S: capacità fra conduttore della sorgente e schermo
Valerio Gabbani anno 2003/2004
167
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
C2G: capacità fra il conduttore vittima e la massa
C12: capacità fra il conduttore sorgente e la vittima
Figura 20: conduttore vittima schermato
Figura 21: conduttore vittima schermato (flottante), circuito equivalente
Supponiamo per adesso che il conduttore vittima sia completamente schermato
(C12=C2G=0) e che la frequenza del rumore e la resistenza di ingresso siano tali per
cui:
1
Ri !!
ZC S 2
allora il circuito equivalente semplificato è:
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168
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
Figura 22:Circuito equivalente semplificato schermo flottante
Il circuito equivalente ottenuto ci consente di fare un confronnto immediato fra il
livello di interferenza con e senza schermo flottante a parità di altre condizioni, e si
deduce che in presenza di schermo non collegato a massa la situazione può anche
peggiorare perché C1S>
C 12.
Affinchè lo schermo sia efficace deve essere collegato a massa, lo schema equivalente per un
conduttore non completamente schermato diventa:
Figura 23: Circuito equivalente schermo collegato a massa
§ jZ ·
¨¨
¸
1
C12
Z C ¸¹
©
ZC
V2
˜
˜
VD
Ri ˜ C12 C SG C S 2 C12 C SG C S 2
§
jZ ·
¨¨1 ¸¸
© ZC ¹
L’efficacia schermante dello schermo collegato a massa è dovuta al fatto che la
capacità C12 con lo schermo è molto ridotta rispetto al caso di circuito non
schermato e dipende dalla porzione di conduttore non racchiusa dallo schermo che
ovviamente deve essere ridotta il più possibile.
In alta frequenza l’efficacia dello schermo tende a diminuire poichè non è più
trascurabile l’impedenza (induttiva) equivalente del collegamento dello schermo a
massa. Nel caso di conduttore vittima completamente schermato
Valerio Gabbani anno 2003/2004
169
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
Figura 24: Circuito equivalente in alta frequenza schermo a massa
La funzione di trasferimento V2/VD in alta frequenza tende ad 1, ovvero lo schermo
non solo è completamente inefficace, ma peggiora la situazione rispetto al caso di
conduttore non schermato.
Per ottenere un basso valore di LSG ed RSG in alta frequenza, lo schermo viene
collegato in più punti alla massa.
6.5.5. Accoppiamento Magnetico (Campo Magnetico)
Un circuito chiuso percorso da una corrente I (spira) origina nello spazio circostante
un campo magnetico B che si concatena con il circuito stesso, il valore del flusso
magnetico ) autoconcatenato è proporzionale alla corrente secondo la relazione:
) L˜I
La costante di proporzionalità è chiamata auto induttanza del circuito e dipende dalla
geometria del circuito e dalle proprietà magnetiche del mezzo.
Se i circuiti sono due ed orientati in modo opportuno una parte delle linee di forza del
campo magnetico generato dal circuito 1 si concatena con il circuito 2 dando luogo
ad un flusso concatenato )21 che è proporzionale alla corrente generatrice ID tramite
Valerio Gabbani anno 2003/2004
170
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
un coefficiente chiamato mutua induttanza, che dipende solo dalla geometria dei
circuiti e dalla loro orientazione reciproca
) 21 M 21 ˜ I D
Ovviamente anche la corrente nel circuito 2 induce un flusso concatenato nel circuito
1:
) 12 M 12 ˜ I V
Supponiamo che la spira disturbata sia piana di area A e che sia concatenata con un
campo B uniforme la cui direzione forma un angolo - con la normale al piano.
) 21
B ˜ A ˜ cos-
Figura 25: Campo magnetico uniforme concatenato con una spira
Dalla legge sull’induzione elettromagnetica:
d) 21 (t )
dB
v N (t ) A˜
˜ cos dt
dt
Supponiamo che la corrente nel circuito disturbante sia sinusoidale con pulsazione
Z:
V N jZ ˜ B ˜ A ˜ cos Oppure, nel circuito equivalente:
di (t )
d) 21 (t )
v N (t )
M 21 d
dt
dt
V N jZ ˜ M 21 ˜ I D
Per ridurre il rumore indotto per accoppiamento magnetico nel circuito vittima (VN)
possiamo quindi agire sui tre fattori:
1. FATTORE B. Intervenire sulla spira sorgente in modo da ridurre l’intensita del
campo magnetico in corrispondenza della vittima riducendo l’area attiva della
spira sorgente (doppino ritorto, cavo coassiale), utilizzando degli speciali
schermi di materiale ferromagnetico in grado di schermare di per se il campo
B in modo analogo a gli schermi elettrostatici con il campo E , distanziando
opportunamente i circuiti.
2. FATTORE A. Ridurre l’area della spira vittima utilizzando linee di segnale a
doppino ritorto oppure a cavo coassiale.
3. FATTORE cos(T). Ridurre il fattore cos(T) orientando opportunamente le
spire, in particolare nel caso di spire piane ortogonali il fattore si annulla e non
si ha accoppiamento magnetico.
E’ opportuno notare che contrariamente all’accoppiamento mediante campo elettrico
riducendo la resistenza di ingresso dell’amplificatore non si riduce il livello del
rumore.
Valerio Gabbani anno 2003/2004
171
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
Riduzione Del Rumore Magnetico Generato
Il sistema più efficace per ridurre l’accoppiamento magnetico fra due circuiti è ridurre
l’area equivalente, ovvero l’area racchiusa dal flusso di corrente, del circuito vittima e
disturbante.
La riduzione dell’area di loop si ottiene principalmente in due modi:
1. attorcigliando i conduttori del circuito (cavo twisted pair), metodo utilizzato per
esempio nelle moderni reti ethernet
2. usando uno schermo metallico non ferromagnetico coassiale (cavo coassiale).
I sistemi elencati, in particolare il cavo coassiale, possono servire allo scopo a patto
che vengano usati correttamente.
La figura illustra un caso (carico flottante) in cui l’impiego di un cavo coassiale nel
circuito disturbante è efficace nel ridurre l’area equivalente del loop e quindi
l’intensità del flusso che potrebbe concatenarsi con un eventuale circuito vittima.
Figura 26a
L’efficacia schermante del cavo coassiale è dovuta al fatto che se la corrente IS si
distribuisce in modo uniforme sulla superficie dello schermo e IS=I1, data la simmetria
cilindrica, il campo B risultante all’esterno del cavo è nullo.
Figura 26 b: Cavo coassiale; campo magnetico esterno nullo.
La situazione può essere molto diversa nel caso che il carico RL debba
necessariamente avere un riferimento a massa. In tal caso l’impiego del cavo
coassiale con un solo lato collegato alla massa è completamente inefficace poiché la
corrente ritorna al generatore attraverso il collegamento di massa, percorrendo un
Valerio Gabbani anno 2003/2004
172
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
loop (loop di massa) la cui area equivalente non dipende dalla presenza dello
schermo e che nei casi pratici può essere anche considerevole.
Figura 27: Cavo coassiale con carico a massa; collegamento inefficace
Figura 28: Loop di massa
Per avere corrente di schermo è necessario collegare entrambi gli estremi del cavo
coassiale a massa nel qual caso l’efficacia schermante dipende dalla percentuale di
corrente che ritorna al generatore attraverso lo schermo del cavo. Per determinare in
quali condizioni ciò avviene si analizzi il circuito equivalente in figura:
Figura 29: Cavo coassiale, collegamento a massa lato carico e lato generatore
Valerio Gabbani anno 2003/2004
173
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
Figura 30: circuito equivalente figura 15
In cui:
‰ LS: induttanza equivalente dello schermo
‰ RS: resistenza equivalente dello schermo
‰ M: mutua induttanza dovuta all’accoppiamento magnetico fra lo schermo ed il
conduttore centrale del cavo coassiale.
Per valutare M supponiamo che lo schermo sia percorso da una corrente IS distribuita uniformemente
nel qual caso il campo magnetico generato all’interno è nullo.
Se ) è il flusso del campo magnetico (B) generato da IS (entrante nel piano del foglio) e concatenato
con lo schermo si ha:
)
LS
IS
Il flusso generato da IS e concatenato con il conduttore centrale è sempre ), poiché il campo B
all’interno del cavo è nullo, allora:
)
M
LS
IS
Sul loop di massa si ha:
0 I S j ˜ Z ˜ L S R S I 1 jZ ˜ M IS
§
jZ
I 1 ¨¨
© jZ Z c
·
¸
¸
¹
ZC
RS
LS
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174
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
Figura 31:Corrente di schermo in funzione della frequenza
ZC è chiamata frequenza di taglio caratteristica del cavo coassiale e per Z5
< Zc la
corrente di ritorno dal carico tende a passare attraverso l a massa, vanificando la
presenza dello schermo, quindi se si vuole che l’impiego di un cavo coassiale sia una
misura efficace nella riduzione sia dell’emissione che della ricezione del rumore per
accoppiamento magnetico la frequenza di impiego deve essere maggiore almeno di
cinque volte la frequenza di taglio caratteristica del cavo.
Tabella 1: minima frequenza di impiego di alcuni cavi coassiali
Tipo di cavo
RG58
RG59
RG213
Z (kHz)
2
1,6
0,7
5Z (kHz)
10
8
3,5
Riduzione Della Suscettibilita’ All’accoppiamento Magnetico
Il sistema migliore per proteggere un circuito vittima dai campi magnetici è ridurre
l’area del loop ricevente e ciò si ottiene con le tecniche appena esaminate nel caso
della spira disturbatrice (doppino ritorto, cavo coassiale per Z>
5 Zc).
L’efficacia schermante del doppino o del cavo coassiale è fortemente ridotta nel caso
di circuiti con riferimenti di massa multipli. La figura illustra un circuito vittima piuttosto
comune in pratica composto da una sorgente di segnale di resistenza interna R ed
un amplificatore di tensione entrambi con riferimento a massa. In questo caso, anche
supponendo che la pulsasione del disturbo sia Z>
5 Zc , si può ottenere solo una
parziale schermatura dai campi magnetici a causa della corrente IS che circola nel
loop di massa e che dipende dalle seguenti cause:
1. accoppiamento magnetico fra il loop di massa ed il circuito disturbatore
2. differenza di potenziale fra la massa lato sorgente e la massa lato
amplificatore causata per esempio da una corrente di disturbo dovuta ad altri
circuiti che condivicono lo stesso sistema di massa. (accoppiamento per
impedenza comune)
Nella figura i due diversi simboli usati per il collegamento di massa indicano che in
generale i due punti sono a diverso potenziale.
Valerio Gabbani anno 2003/2004
175
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
Figura 32: La corrente indotta nel loop di massa limita l'efficacia dello schermo magnetico
Figura 33: circuito equivalente per l'analisi dell'effetto della corrente di rumore nel loop di
massa
A causa della resistenza equivalente dello schermo e della corrente che circola nel
loop di massa, all’ingresso dell’amplificatore si sviluppa una tensione di rumore :
V I jZ ˜ M ˜ I S jZ ˜ L S ˜ I S R S ˜ I S R S ˜ I S
Effettueremo in modo dettagliato l’analisi del problema del loop di massa nel capitolo
dedicato alle masse.
Tabella 2:Confronto fra i fattori di schermo di alcuni schermi magnetici
6.5.6. Rumore Condotto
Valerio Gabbani anno 2003/2004
176
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
Il rumore può essere trasferito dal disturbatore alla vittima attraverso i conduttori che
distribuiscono le tensioni di alimentazione o attraverso i collegamenti di massa, in tal
caso si parla di rumore condotto.
L’accoppiamento disturbatore-vittima di tipo condotto è dovuto essenzialmente a
impedenze comuni sia al circuito disturbatore che alla vittima,
La figura illustra una tipica situazione di accoppiamento per impedenza comune nel
caso di due circuiti che condividono una stessa connessione di massa.
A causa dell’ impedenza ZGC Il potenziale rispetto alla massa della vittima è modulato
dalla corrente di rumore IN.
Altro esempio di accoppiamento per impedenza comune, è illustrato nella figura
seguente e si riferisce a circuiti che condividono lo stesso generatore.
La tensione di alimentazione della vittima dipende anche dalla corrente di rumore IN a
causa dell’impedenza dei conduttori di distribuzione dell’energia comune ai due
circuiti.
6.6. Collegamenti Di Massa
In generale per massa di segnale si intende un conduttore equipotenziale utilizzato
come potenziale di riferimento da un circuito o da un sistema elettronico.
Nel caso di circuiti o sistemi elettronici che utilizzano come fonte di alimentazione la
rete pubblica di distribuzione dell’energia elettrica, per ragioni di sicurezza
(folgorazione) le masse possono essere collegate a terra mediante opportuni
conduttori e dispersori che costituiscono appunto l’impianto di terra. Nell’analisi del
Valerio Gabbani anno 2003/2004
177
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
rumore il collegamento all’impianto di terra non è considerato equipotenziale, ed è
generalmente la via principale attraverso la quale i disturbi si propagano per via
condotta ed accoppiamento tramite impedenza comune (vedi figura)
I collegamenti di massa, combinati con opportune tecniche di schermaggio sono i
mezzi principali per ridurre il rumore esterno che si accoppia con il circuito vittima.
Il progetto dei collegamenti di massa ha due obbiettivi principali:
‰ minimizzare le tensioni di rumore generate dalle correnti che da due o più
circuiti fluiscono attraverso una impedenza di massa comune
‰ evitare di creare loop di massa che, come abbiamo visto precedentemente,
sono sucettibili ai campi magnetici ed alle differenze dipotenziale fra i
potenziali di massa.
6.6.1. Masse Di Segnale A Punto Singolo Connessione Serie
Figura 34: masse a punto singolo serie
Dal punto di vista dell’immunità al rumore questo tipo di connessione della masse è
la peggiore, ma è anche la più usata data la sua semplicità.
A causa delle impedenze dei conduttori di massa, R1,R2,R3, i potenziali dei nodi
A,B,C dipendono dalle correnti verso massa di tutti i circuiti.
V A I 1 I 2 I 3 ˜ R1
VC I 1 I 2 I 3 ˜ R1 I 2 I 3 ˜ R2 I 3 ˜ R3
Questo tipo di connessione deve essere assolutamente evitato nel caso serva a
collegare masse di circuiti operanti a livelli di potenza molto diversi ed in ogni caso la
massa del circuito più suscettibile deve essere collegata al nodo A.
6.6.2. Masse A Punto Singolo Connessione Parallelo
Figura 35: masse a punto singolo parallelo
Valerio Gabbani anno 2003/2004
178
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
Questo tipo di collegamento è il più efficace alle basse frequenze, specialemte
perché non c’è accoppiamento fra i circuiti a causa delle correnti verso massa; il
potenziale del nodo A dipende unicamente dalla corrente di massa e dall’impedenza
del circuito 1.
La limitazione principale deriva dalla complessità dei collegamenti, specie in un
sistema con numerosi circuiti.
Un’altra importante limitazione si ha nel caso che la frequenza del disturbo sia
maggiore di circa 10MHz a causa dell’induttanza dei conduttori di massa che genera
accoppiamenti induttivi fra i circuiti ed aumenta l’impedenza equivalente tendendo a
rendere inefficace il collegamento di massa.
In tal caso si utilizza al posto del punto singolo di collegamento alla massa un
sistema di collegamenti distribuiti con piano di massa (ground plane) cercando di
ridurre il più possibile la lunghezza dei collegamenti.
Figura 36: masse a punto singolo con piano di massa
6.6.3. Masse A Punto Singolo Connessione Ibrida
Nei casi in cui sistemi di potenza (rumorosi) debbano condividere la massa con
circuiti ad elevata suscettibilità per ridurre al minimo i disturbi condotti occorre avere
l’accortezza di utilizzare il sistema ibrido indicato in figura che coniuga la semplicità
del collegamento serie con l’efficacia del collegamente parallelo.
6.6.4. Circuiti Con Riferimento Di Massa Multiplo
Abbiamo già accennato come i loop di massa influiscano negativamente sulla
suscettibilità di un circuito elettronico al rumore condotto e radiato per via magnetica.
Purtoppo spesso i loop di massa sono inevitabili poiché sia la sorgente che
l’amplificatore sono riferiti ad una propria massa che per ragioni di sicurezza sono
Valerio Gabbani anno 2003/2004
179
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
collegate entrambe all’impianto di terra. La situazione rappresentata in figura è
semplice ma emblematica.
Figura 37: Sensore ed amplificatore riferiti a massa
Figura 38: circuito equivalente semplificato
Il generatore di segnale VS e la resistenza RS potrebbero essere ad esempio l’
equivalente di Thevenin di un sensore di temperatura a termocoppia oppure un
trasmettitore digitale RS232..Il generatore VG rappresenta la tensione che si
stabilisce fra le masse dovuta all’ accoppiamento magnetico con il loop di massa
oppure alle correnti di rumore condotte iniettate da altri circuiti, magari di potenza,
che condividono lo stesso collegamento di terra.
RC1 ed RC2 rappresentano le resistenze equivalenti dei conduttori di collegamento fra
sensore ed amplificatore, mentre RG è la resistenza equivalente fra le due masse.
Supponendo VS=0 e RC2<
R S+RC1+RL si la tensione di rumore all’ingresso
dell’amplificatore vale:
VN
§
RL
¨¨
© RL RC1 RS
· § RC 2
¸¸ ˜ ¨¨
¹ © RC 2 RG
·
¸¸ ˜ VG
¹
Nel caso che piuttosto comune che;
RG RC 2
Si ha:
R S R L
V N # VG
Valerio Gabbani anno 2003/2004
180
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Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
L’immunità di un sistema rispetto ale tensioni di rumore di modo comune è misurato dal rapporto di
reiezione di modo comune del circuito (C.M.R.R.) che è definito:
CMRR dB
§ VG
20 log¨¨
© VN
·
¸
¸
¹
§ VG
20 log¨¨
© V1 V2
·
¸
¸
¹
in questo caso particolare:
CMRR dB
0
Per ridurre la tensione di rumore ed aumentare quindi il CMRR conviene aggiungere
l’impedenza ZSG:
RC 2 RC 1 RS R L
Z SG !! RC 2 RG
§
· § RC 2
RL
¸¸ ˜ ¨¨
V N # ¨¨
R
R
R
C1
S ¹ © Z SG
© L
RC 1 R S R L
·
¸¸ ˜ VG
¹
§R ·
# 20 log¨¨ C 2 ¸¸
© Z SG ¹
-> f VN->
0 CMMR-> f, tuttavia occorre fare le
CMRR dB
Il risultato suggerisce che se ZSG
seguenti osservazioni:
1. Nel caso che il sensore possa essere isolato dall’involucro metallico,esiste un
limite superiore per ZSG dovuto alla capacità parassita fra sensore e incolucro.
2. Nel caso che per ragioni costruttive il sensore debba essere in contatto con
l’involucro, l’impedenza ZSG andrebbe collegata in serie con il collegamento a
terra di sicurezza, vanificandone l’efficacia.
Per avere un’idea dei valori di CMMR ottenibili nei casi pratici, un valore di ZSG=10:
è generalmente compatibile con i sistemi di protezione da guasto a terra presenti nei
moderni impianti elettrici, unaa linea in cavo coassiale RG58 lunga 3 metri ha
RC2=0,01:, per cui CMMR=60 dB.
6.6.5. Isolamento Mediante Trasformatore
Nel caso che non sia possibile isolare da massa il trasduttore o l’amplificatore, si può interrompere il
loop di massa conseguente impiegando un trasformatore “trasversale” di isolamento a rapporto di
trasformazione unitario:
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181
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
Figura 39: isolamento a trasformatore
La soluzione non è ovviamente immune da problemi:
1. L’isolamento elettrico fra le masse introdotto dal trasformatore tende ad essere inefficace in
alta frequenza a causa delle capacità parassite fra l’avvolgimento primario ed il secondario.
2. In alcuni circuiti è richiesta la continuità elettrica fra sorgente e amplificatore anche in continua
oppure a bassissima frequenza, in tal caso il trasformatore “trasversale” non può essere
utilizzato perché la reattanza degli avvolgimenti diventa tanto bassa da cortocircuitare il
segnale.
Il trasformatore può esser ancora utilizzato in un speciale configurazione chiamata trasformatore di
neutralizzazione o balun.
Figura 40: isolamento con trasformatore longitudnale (BALUN)
Figura 41: Circuito equivalente BALUN
Per prima cosa valutiamo l’effetto del trasformatore sul segnale considerando VG=0.
Valerio Gabbani anno 2003/2004
182
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Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
5RC 2
; I1 I 2 I S ; I g 0
2 ˜ S ˜ L2
jZ L1 L2 ˜ I S 2 jZMI S RL RC 2 RC1 ˜ I S
L1 L2 M
VS
Is
I1 I 2
RL RC1 RC 2
f !
VS
Il trasformatore non ha influenza sul funzionamento normale del circuito a patto che per la minima
frequenza del segnale sia verificata l’equazione.
Valutiamo adesso la risposta del circuito alla tensione di disturbo di modo comune (longitudinale) VG
impostando le equazioni alle maglie:
VG
jZ ˜ L1 I 1 jZ ˜ MI 2 I 1 RL I 1 RC1
VG jZ ˜ L2 I 2 jZ ˜ MI 1 I 2 RC 2
da cui risolvendo per I2:
VG jZ ˜ MI 1
jZ ˜ L2 RC 2
I2
L1
L2
M
L
Sostituendo nella equazione ??? e ricavando I1:
VG RC 2
jZ ˜ LRC1 RC 2 RL RC 2 RL
I1
Supponendo poi che: RC2+RC1<<RL:
Vn
Il BALUN è quindi efficace se
Z !!
I 1 RL #
VG ˜ W
W jZ
W
RC 2
L
RC 2
L
Figura 42:Andamento della tensione di rumore in funzione della frquenza (eq. ???)
Possiamo utilizzare direttamente i risultati ottenuti per il BALUN per valutare l’efficacia schermante del
cavo coassiale in presenza di loop di massa:
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183
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Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
Figura 43:Cavo coassiale e loop di massa
Figura 44:Circuito equivalente
In assenza di schermo:
VN
VG
In presenza dello schermo (cavo coassiale) il generatore VG non cambia apprezzabilmente di valore,
perché l’area attiva del loop resta la stessa:
VN
RL ˜ RS ˜ VG
>RL ˜ RS j ˜ Z ˜ LS ˜ RS RL @
RS || RL
ZC
LS
K
ZC
ZC j ˜Z
Spesso in pratica per diminuire la frequenza di taglio ZC del cavo coassiale, e realizzare così un
BALUN che abbia un fattore si schermo soddisfacenti alle basse frequenze, si aumenta la induttanza
dello schermo LS semplicemente avvolgento un tratto di cavo su di un supporto di materiale
magnetico.
6.6.6. Isolamento Con Fotoaccoppiatore
Grazie al progresso della tecnologia optoelettronica sono disponibili a costi contenuti dei componenti
speciali chiamati fotoaccoppiatori, costituiti da un fotodiodo (fotoemettitore) ed un fototransistor
(fotosensore) sigillati in un contenitore isolante ed opaco. Il fotoaccoppiatore può essere impiegato per
interrompere il loop di massa utilizzandolo al posto del trasformatore di isolamento. La trasmissione
del segnale è garantita dall’accoppiamento ottico fra fotodiodo e fototransistore, mentre l’isolamento
longitudinale dalla resina isolante del contenitore. Occorre sottolineare che anche nel caso del
fotoaccoppiatore esiste il problema delle capacità parassite longitudinali che tendono a ridurre
l’isolamento in alta frequenza ma il loro valore tipico è molto più piccolo rispetto al trasformatore.
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184
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
Figura 45: isolamento longitudinale tramite fotoaccoppiatore
In casi particolari la connessione elettrica può essere sostituita completamente dall’accoppiamento
ottico utilizzando la fibra ottica come mezzo di trasmissione del segnale, ottenendo, a fronte di un
aumento del costo e della complessità di installazione e connettorizzazione i seguenti vantaggi:
1. elevatissimo isolamento longitudinale fra i circuiti anche in altissima frequenza
2. nessuna influenza sul segnale trasmesso da parte di campi elettrici e magnetici, nessuna
tecnica di schermaggio richiesta.
3. Elevata banda passante, elevata velocità di trasmissione
Le fibre ottiche ed i fotoaccoppiatori sono utilizzati prevalentemente per la trasmissione di segnali
digitali.
Figura 46: Trasmissione del segnale mediante fibra ottica
6.6.7. Amplificatori Differenziali
Per ridurre l’effetto della tensione di rumore di modo comune (longitudinale) VG sulla
vittima si può utilizzare un amplificatore differenziale (ingresso bilanciato), la cui
risposta ideale dipende dalla differenza delle tensioni in ingresso:
Vo Avd V1 V2 Figura 47:Reiezione al rumore di modo comune meidiante amplificatore differenziale
R L1 !! RG ; RL 2 !! RG
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185
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
VN
V1 V2
§
RL1
RL 2
¨¨
© RL1 RC1 RS RL 2 RC 2
·
¸¸ ˜ VG
¹
In condizioni ideali di bilanciamento dell’amplificatore e della linea (doppino ritorto):
^RL1
RL 2
RL ; RC1
RC 2
RC1 ; RS RL ` Ÿ V N
0
L’ amplificatore differenziale può ridurre notevolmente l’accoppiamento del circuito
con i rumori di tipo longitudinale ed è il primo passo verso un sistema completamente
bilanciato.
Anche nel caso che RC1=RC2 (cavo bilanciato) e RL1=RL2 (amplificatore bilanciato), la
presenza della RS, a meno che non sia trascurabile, sbilancia il circuito e aumenta
l’intensità del rumore captato.Una tecnica di riduzione del rumore sofisticata utilizza
perciò, oltre agli schermi, ed al bilanciamento della linea anche il bilanciamento della
sorgente.
Figura 48: Amplificatore differenziale e sorgente bilanciata
Nel caso di sorgente ad amplificatore bilanciati si ha: RS1=RS2=RS; RL1=RL2=RL;
VS2=VS1=VS.
I generatori V1 e V2 rappresentano le tensioni di rumore indotte in ciascun conduttore
spira da accoppiamenti magnetici mentre V3 è una sorgente di rumore accoppiata
capacitivamente con il circuito.
In condizioni di linea perfettamente bilanciata C2G=C1G , V1=V2 e dall’analisi del
circuito si conclude che la tensione VN=V1-V2=0.
La tipica linea bilanciata è il doppino ritorto semplice o schermato. La schermatura del doppino non è
necessaria in condizioni di bilanciamento perfetto ma è auspicabile come ulteriore misura di
protezione. La linea coassiale, essendo intrinsecamente sbilanciata, non può essere usata in un
sistema bilanciato ad accezione del caso illustrato in figura:
Valerio Gabbani anno 2003/2004
186
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
Figura 49: Impiego di una linea coassiale in un sistema bilanciato
Deve sempre essere tenuto presente che nel funzionamento in alta frequenza, le condizioni ideali di
bilanciamento sono molto difficili da realizzarsi a causa delle capacità ed induttanze parassite.
6.7. Alimentazioni
In molti sistemi elettronici la sorgente di alimentazione DC ed il relativo sistema di
distribuzione è comune ad altri circuiti, ed è quindi importante prendere dei
provvedimenti affinchè non diventi un canale di accoppiamento del rumore.
L’induttanza e la resistenza
dei conduttori utilizzati per la distribuzione
dell’alimentazione sono impedenze attraverso le quali la correnti di rumore iniettate
da un circuito disturbante si accoppiano con i circuiti vittima.
Figura 50: Accoppiamento di rumore attraverso il sistema di distribuzione dell’energia
E’ buona norma quindi dotare tutti i circuiti di opportuni circuiti di disaccoppiamento
che in sostanza non sono altro che filtri passa basso.
Valerio Gabbani anno 2003/2004
187
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 6: Il Rumore Elettrico
Figura 51: Disaccoppiamento dei circuiti con sezioni filtranti passa basso LC ad L
Il valore di LD e CD deve essere scelto in modo che la frequenza di risonanza
caratteristica del filtro
1
f0
2S LD ˜ CD
sia molto minore della frequenza di taglio inferiore del circuito a cui il filtro è
applicato.
L’induttore LD deve inoltre essere dimensionato in modo da poter sopportare la
corrente continua assorbita dal circuito protetto, in particolare se avvolto su nucleo
deve essere evitata la saturazione del materiale ferromagnetico.
Valerio Gabbani anno 2003/2004
188
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 7: Analizzatori di stati logici
7. Analizzatori di stati logici
7.1. Introduzione
Quando si vuole verificare il funzionamento di un circuito digitale complesso,
contenente ad esempio microprocessori, microcontrollori, memorie e logiche
programmabili è necessario controllare lo stato di numerose linee, in questo caso
l’utilizzo di un oscilloscopio può risultare inefficiente, poiché tipicamente questi
strumenti consentono di acquisire e visualizzare da al più 4 canali
contemporaneamente. D’altra parte almeno in un primo tempo non è strettamente
necessario conoscere l’andamento temporale dei segnali digitali, ma è sufficiente
determinare la sequenza degli stati logici da essi assunti. Per il test dei sistemi
digitali risulta dunque più idoneo un sistema di misura in grado di acquisire e
visualizzare in maniera ‘compatta’ e contemporanea lo stato logico di decine di
segnali. L’analizzatore di stati logici è proprio lo strumento che risponde a queste
esigenze (vedi schema a blocchi in figura 1).
figura 1 Schema a blocchi dell’analizzatore di stati logici
Esso permette di verificare che la sequenza di operazioni ‘logiche’ eseguite dal
sistema digitale, sia effettivamente quella stabilita in fase di progetto; i problemi
‘analogici’ che eventualmente possono avere causato una differenza tra il
comportamento previsto del circuito e quello reale, ovvero anomalie di livello,
transizioni spurie, ritardi non possono essere facilmente diagnosticate attraverso
l’uso di questo strumento, a tal fine deve ancora essere utilizzato un oscilloscopio.
Per meglio spiegare questo punto vengono riportati in figura 1 schematicamente due
esempi di applicazione dei due strumenti per il test di un circuito.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2006/2007
189
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 7: Analizzatori di stati logici
Figura 2 Esempi di applicazione
L’analizzatore di stati logici è un sistema di acquisizione, che permette di digitalizzare
ad un bit decine di segnali (34-136 canali in ingresso o più nelle architetture
modulari), prevede sonde compatte, sistemi di trigger evoluti ed un’elaborazione dei
segnali acquisiti mirata alla compattazione dell’informazione ed eventualmente la
correlazione con il codice che viene eseguito se il test riguarda sistemi
programmabili.
Figura 3 Uso dell’analizzatore di stati logici
L’uso di questi strumenti prevede 4 fasi:
1) connessione delle sonde
2) configurazione dello strumento
3) acquisizione dei segnali
4) analisi e visualizzazione dell’informazione.
7.2. Connessione
Nella prima fase viene effettuata la connessione fisica delle sonde alle linee di
segnali, al contrario di quello che accade negli oscilloscopi, la connessione delle
probe può risultare estremamente critica ed onerosa (centinaia di linee da collegare
a centinaia di sonde).
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2006/2007
190
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 7: Analizzatori di stati logici
E’ usuale prevedere in fase di progetto del circuito un connettore dedicato proprio
alla connessione con lo strumento.
E’ importante inoltre sottolineare che l’inserzione delle sonde può perturbare i segnali
e dar luogo a malfunzionamenti. Si ricordi infatti che le logiche attuali sono
caratterizzate da tempi di salita molto brevi (vedi tabella I), l’introduzione delle
capacità delle sonde modifica le condizioni di carico dei circuiti logici, dunque i
tempi di salita ed introduce dei ritardi aggiuntivi che possono portare alla violazione
delle condizioni di temporizzazione (in tabella 2 è riportato il calcolo del ritardo
aggiuntivo introdotto in funzione del diverso carico capacitivo relativo alla sonda).
Figura 4 Effetti di carico: resistivo (non critico per un sistema logico) e capacitivo.
Famiglie logiche
Tempo di salita
tipico
Banda calcolata
TTL
CMOS
(discrete,high speed)
GTL
LVDS
ECL
GaAs
2 ns
1.5 ns
175 MHz
230 MHz
Lunghezza d’onda
in microstriscia su
vetronite (tipica)
1.0286 m
0.7826 m
1 ns
400 ps
100 ps
40 ps
350 MHz
875 MHz
3.5 GHz
8.75 GHz
0.5143
0.2057
0.0514
0.0206
m
m
m
m
Tabella 1 I valori riportati in tabella sono relativi a condizioni di carico tipiche.
Capacità della sonda
15 pF
8 pF
2 pF
Standard CMOS - 'T
25 ns
13 ns
3 ns
High-speed CMOS - 'T
2.5 ns
1.3 ns
0.3 ns
Tabella 2 aumento del ritardo di propagazione per porte CMOS dovuto alla capacità della sonda.
E’ quindi critica la scelta di sonde (‘probe’) adatte all’applicazione, esistono sonde
passive tipicamente terminate con resistenze di 100 k: e capacità di 8 pF, le
prestazioni migliori si ottengono chiaramente con sonde attive (differenziali) che
consentono di ridurre sensibilmente la capacità di carico (pochi pF). Nelle sonde
attive è contenuto un comparatore per linea che esegue la conversione ad 1 bit,
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2006/2007
191
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 7: Analizzatori di stati logici
utilizzando una soglia logica selezionabile dall’utente in modo arbitrario o tra i valori
standard di scatto delle diverse famiglie logiche (ECL, TTL etc).
In ogni caso nel caso di test di sistemi che lavorano a frequenze di clock molto
elevate è necessario valutare dettagliatamente l’impatto che ha l’inserzione delle
sonde sul funzionamento del circuito; a tal fine vengono forniti modelli delle sonde
piuttosto accurati a parametri distribuiti.
Figura 5 Modello a parametri concentrati – applicabili per logiche con tempi di salita di alcuni ns, cioè
quando il ritardo di propagazione nelle connessione risulta minore del 20% del rise time tipico, o
quando la lunghezza della connessione è molto minore della lunghezza d’onda.
Figura 6 Connessione all’analizzatore con stub e connettore dedicato.
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192
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 7: Analizzatori di stati logici
Figura 7 Modello del sistema di prelievo del segnale con stub e connettore e sonde.
Le singole sonde sono raggruppate in probe o pod, in genere a gruppi di 8 o 16, in
un probe alcune linee possono avere una funzione speciale (es. state clock,
ground..), un analizzatore può gestire un certo numero di pod.
Una volta effettuata la connessione fisica, è possibile assegnare dei nomi alle linee in
ingresso allo strumento, e raggrupparli in insiemi (es. è possibile chiamare una linea
EN, altre otto line ADD0-7), specificare le soglie, definire il clock.
7.3. Configurazione dello strumento
7.3.1. Configurazione del clock di acquisizione
Tutti gli analizzatori di stati logici prevedono due modalità di acquisizione:
- timing acquisition (acquisizione asincrona o nel dominio del tempo)
- state acquisition (acquisizione asincrona o nel dominio degli stati)
La prima è un’acquisizione temporizzata da un clock interno allo strumento
(analogamente a quanto accade negli oscilloscopi utilizzati in tempo reale). Questa
modalità è utile qualora interessi individuare la presenza di problemi nelle
temporizzazioni.
Nella seconda modalità il campionamento viene effettuato utilizzando come clock un
segnale proveniente dal sistema.
Talvolta si utilizzano hardware distinti per effettuare il campionamento nelle due
modalità: sono disponibili moduli che effettuano il campionamento veloce di un
sottoinsieme di canali nel dominio temporale, da affiancare ai moduli ‘tradizionali’
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193
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 7: Analizzatori di stati logici
che consentono l’acquisizione più lenta nel dominio degli stati. Questo significa che
due serie di probe devono essere connesse alle linee da analizzare nei due domini.
La frequenza di campionamento massima raggiungibile nel dominio temporale è
chiaramente più alta di quella che è possibile raggiungere nel dominio dello stato.
Infatti nel caso che si voglia utilizzare un segnale proveniente dal circuito sotto test
per gestire il campionamento, tale segnale deve essere portato allo strumento e
condizionato, il che significa che gli altri segnali devono essere ritardati in modo da
mantenere le relazioni temporali originarie. Lo strumento deve perciò lavorare in
realtà a frequenza più alta del clock sincrono (2-4 volte maggiore). Questo pone dei
limiti alla massima velocità raggiungibile in questa modalità di campionamento anche
maggiori di quelli dovuti alla tecnologia del campionatore o delle memorie di
acquisizione (tra i valori più alti attualmente, 2007, 800 MHz su 68 canali).
Alcuni strumenti permettono l’acquisizione contemporanea nei due domini (MagniVu
Tektronix), in questo caso una memoria (al più16 kb) è dedicata all’acquisizione
asincrona ad alta frequenza del segnale (fino ad 8 GHz), anche qualora la memoria
principale sia riempita attraverso un campionamento di tipo sincrono. L’informazione
può essere poi correlata a quella ottenuta nel dominio degli stati perché anche il
segnale di clock sincrono viene acquisito ad alta velocità.
E’ evidente che qualora si campioni ad elevata frequenza risulta impossibile
acquisire finestre temperali lunghe, perché richiederebbe memorie di acquisizione
troppo profonde (profondità massime attualmente 256 Mb su 136 canali). Esiste
perciò una modalità di memorizzazione dei dati che consente in qualche caso di
‘risparmiare’ memoria e di prolungare il tempo di osservazione del segnale. Tale
modalità detta transitional, prevede di salvare soltanto i dati campionati negli istanti in
cui su una linea avviene un transizione.
Dalla figura 1 si vede che gli analizzatori sono in genere dotati di un hardware
dedicato alla rilevazione di glitch, cioè degli impulsi (una transizione in una direzione
seguita da una transizione nell’altra direzione) che avvengono tra due istanti di
campionamento, e che non sarebbero dunque acquisiti.
Figura 8 Rivelatore di glitch (reset ad ogni colpo di clock).
7.3.2. Configurazione del trigger
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194
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 7: Analizzatori di stati logici
L’evento di trigger, come per l’oscilloscopio, stabilisce la posizione della finestra
temporale che viene acquisita. Anche in questo strumento la memoria di acquisizione
viene continuamente riempita come una FIFO, pertanto sono in memoria sempre gli
N (N=profondità della memoria) ultimi campioni dei segnali. L’acquisizione può
essere fermata dall’evento di trigger o può proseguire dopo l’evento di trigger per un
numero di periodi campionamento M prestabilito.
Come è stato già detto gli analizzatori di stati logici hanno sistemi di trigger molto
evoluti in grado di definire in modo estremamente flessibile l’evento di trigger.
Ad esempio è possibile differenziarne le seguenti diverse tipologie:
x
x
x
x
x
x
x
Words: l’evento di trigger corrisponde ad un pattern di stati logici assunti da un sottoinsieme degli
ingressi, il pattern può essere definito utilizzando una codifica binaria, esadecimale etc.
Ranges: l’evento viene individuate quando un segnale assume valori in un intervallo fissato
dall’utente
Counter: l’evento corrisponde alla ripetizione di una condizione sugli stati che si ripete un numero
di volte stabilito dall’utente.
Signal: l’evento si individua controllando lo stato di un segnale esterno
Glitches: l’evento di trigger è definito da un glitch tra due campioni (come già detto i glitch sono
individuate da circuiti dedicati)
Timer: l’evento è definito da un intervallo di tempo tra due eventi o dalla durata di un singolo
evento
Cross-trigger: un altro modulo o strumento arma il trigger dell’ analizzatore di stati logici o
viveversa, si utilizza nei sistemi in cui un analizzatore di stati logici viene affiancato da un
oscilloscopio in grado di acquisire le tensioni di alcune linee ‘critiche’ e che consentono di gestire i
due strumenti in maniera automatica in modo da correlare le informazioni analogiche ottenute con
l’oscilloscopio a quelle digitali ottenute con l’analizzatore di stati logici.
Alcuni analizzatori di stati logici consentono di programmare l’acquisizione non solo
attraverso la definizione di un evento di trigger ma di utilizzare sequenze a livelli,
questo dà la possibilità di effettuare salvataggi selettivi dei dati, come descritto nella
figura successiva.
7.3.3. Analisi e visualizzazione
Vista la complessità dell’informazione salvata nella memoria di acquisizione, questo
tipo di strumenti prevede molta flessibilità nella scelta del tipo di visualizzazione. Tutti
gli analizzatori di stati logici prevedono le seguenti diverse modalità di
visualizzazione:
-
waveform (forma d’onda)
listing
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2006/2007
195
Dispense di Misure per L’Automazione
Capitolo 7: Analizzatori di stati logici
Figura 9 Visualizzazione in modalità waveform.
In modalità waveform i campioni digitali acquisiti vengono rappresentati graficamente
in successione a formare delle forme d’onda. Questo tipo di visualizzazione può
essere utile nella rivelazione di errori di temporizzazione, di assenza o presenza di
impulsi etc..
In modalità ‘listing’, i bit ottenuti campionando le diverse linee relativamente ad un
istante di campionamento vengono compattati a formare parole digitali che possono
essere codificate in formato alfanumerico ad esempio esadecimale, disassemblate e
riportate in mnemonico etc..
7.4. Caratteristiche
Riassumendo la qualità di un analizzatore di stati logici può essere misurata in
riferimento ai seguenti parametri caratterizzanti:
x
x
x
x
x
x
Timing Acquisition Rate (alcuni GS/s negli strumenti più evoluti)
State Acquisition Rate ( fino a 450 MHz, su 136 canali con una finestra di setup/hold di 625 ps
per assicurare il campionamento.
Record Length fino a 256 Mb. E’ possibile anche concatenare le memorie relative a diverse
canali, qualora si utilizzi un sottoinsieme di canali di ingresso.
Channel Count and Modularity, Esistono strumenti modulari che possono essere connessi
insieme a formare strumenti con elevatissimo numero di canali (migliaia)che mantengono
comunque bassi tempi di latenza tra i canali anche appartenenti a strumenti diversi .
Triggering è importante la flessibilità e la facilità d’uso.
Probing sono importanti, la facilità di connessione e le caratteristiche elettriche.
Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2006/2007
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