Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 1: Fondamenti e Richiami di Statistica per Le Misure 1. Fondamenti e Richiami di Statistica per Le Misure 1. Fondamenti e Richiami di Statistica per Le Misure.............................................. 1 1.1. Introduzione ................................................................................................. 1 1.2. Assiomi......................................................................................................... 1 1.3. Probabilità condizionata ............................................................................... 2 1.4. Teorema di Bayes ........................................................................................ 3 1.4.1. Proprietà Importanti............................................................................... 4 1.5. Variabile Aleatoria ........................................................................................ 4 1.6. Funzioni Distribuzione e Densità di Probabilità ............................................ 5 1.6.1. Media e Varianza .................................................................................. 8 1.7. Variabili Aleatorie Multiple ............................................................................ 9 1.8. Processi Stocastici ..................................................................................... 11 1.9. Processi Bianchi......................................................................................... 14 1.1. Introduzione Effettuare una misura non vuol dire solamente leggere il valore che lo strumento utilizzato fornisce ma anche valutare la bontà della misura stessa. Occorre innanzitutto sottolineare che non è possibile infatti fornire una definizione esaustiva del misurando. In altre parole il misurando stesso nella sua definizione presenta un certo grado di incompletezza. Pertanto si definisce il valore vero convenzionale come entità astratta di riferimento, della quale il valore misurato rappresenterà una approssimazione a meno di un errore. L’errore che si commette nel compiere una misura (scostamento del valor misurato dal valore vero convenzionale) risulta quindi per definizione inconoscibile e viene trattato come una variabile aleatoria. In questo capitolo iniziale passeremo in rassegna le principali proprietà delle variabili aleatorie, al fine di richiamare gli strumenti che vengono utilizzati per l’analisi dei risultati di processi di misurazione e per la stima dell’errore associato a tali risultati. In questa sede, il concetto di probabilità sarà dato per scontato (si ricorda comunque che sostanzialmente la probabilità rappresenta il limite della frequenza statistica). 1.2. Assiomi Dato uno spazio di eventi S, (che può essere discreto o continuo) si definisce P(A) la probabilità della manifestazione di un evento A. Tale numero gode delle seguenti proprietà: Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 1 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 1: Fondamenti e Richiami di Statistica per Le Misure 1. P( A) t 0 (1) 2. P( A ) d 1, P(A S) P(S) 1 (2) 3. Se due eventi A e B non hanno elementi in comune allora : P( A B) P( A) P( B) (3) 1.3. Probabilità condizionata Il concetto di probabilità condizionata è fondamentale nella statistica, in quanto esprime il fatto che un particolare evento ne condizioni altri. Dati due eventi A ed M si esprime questo concetto con la seguente formula: P( A / M ) P( M A) P( M ) . (4) P(A/M) si dice probabilità di A condizionata a M. Si dice che due eventi A e B sono statisticamente indipendenti se: P( A B) (5) P( A) P( B) P( A)( M ) P( A) , l’indipendenza P( M ) statistica descrive dunque il fatto che l’accadere di M non influenza la probabilità che accada l’evento A. infatti utilizzando la (5) nella (4) si otterrà P ( A / M ) Teorema della Probabilità Totale Supponiamo che > A1 , A2 , An @ sia una partizione di S in modo tale da avere che Ai A j 2 i z j (6) allora si avrà che un evento B S ha probabilità di manifestarsi data da: P( B) P ( B / A1 ) P( A1 ) P( B / A2 ) P( A2 ), , P( B / An ) P( An ) (7) Dim. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 2 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 1: Fondamenti e Richiami di Statistica per Le Misure Preso un evento B e ricordandosi come è costruito l’insieme A, si potrà scrivere che B B S B ( A1 A2 ... An ) ( B A1 ) ( B A2 ) .... ( B An ) ed utilizzando la (6) e la (3) si avrà: P( B) P( B A1 ) P ( B A2 ) P( B An ) n (8) n ¦ P( B A ) ¦ P( B / A ) P( A ) vale a dire, usando la (4), P ( B ) i i 1 i i (9) i 1 C.V.D. 1.4. Teorema di Bayes Tale teorema è ricorrente nelle applicazioni statistiche in quanto consente di gestire in modo sintetico eventi che sono dipendenti. Tale teorema può essere formulato nel modo seguente, se > A1 , A2 , An @ è una partizione di S, allora: P ( Ai / B) P( B / Ai ) P( Ai ) n (10) ¦ P( B / A ) P( A ) i i i 1 Dim. Possiamo scrivere le probabilità condizionate di A rispetto a B e viceversa come: P ( Ai / B) P( Ai B) P( B) (11) P ( B / Ai ) P( B Ai ) P( Ai ) (12) e Utilizzando la (12) nella (11) si ottiene: P ( Ai / B) P( B / Ai ) P( Ai ) P( B) (13) Sostituendo adesso nella (13) la (9) del teorema della probabilità totale si otterrà la dimostrazione. C.V.D. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 3 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 1: Fondamenti e Richiami di Statistica per Le Misure 1.4.1. Proprietà Importanti Altre importanti proprietà: 1. P ( Ac ) 1 P( A) dove AC indical l’evento complementare di A, cioè S-A. 2. A1 A2 P( A1 ) d P( A2 ) (15) 3. P () 0 (16) 4. P ( A1 A2 ) (14) P( A1 ) P( A2 ) P( A1 A 2 ) (17) 1.5. Variabile Aleatoria Quando lanciamo una moneta (non truccata) in aria e aspettiamo che essa ricada al suolo, non sappiamo a priori se uscirà testa o croce; siamo tuttavia consapevoli che una delle due facce della moneta si presenterà in alto. In questo caso il fatto che si verifichi testa o croce rappresenta una manifestazione o realizzazione della variabile aleatoria “faccia della medaglia”. Inoltre a tale manifestazione sappiamo attribuire una probabilità. Basta infatti ripetere un numero sufficiente di volte l’esperimento per verificare che, se la moneta non è truccata, esiste una pari opportunità che si verifichi o testa o croce. Quindi, se come indicato nella (2), lo spazio complessivo degli eventi ha probabilità pari all’unità e due sono gli eventi equiprobabili possibili ciascuno di essi avrà probabilità pari ad un mezzo, cioè a 0,5. Lo stesso vale per le facce di un dado perfettamente simmetrico, dove la probabilità di ciascuna manifestazione diviene un sesto. Una variabile aleatoria (v.a.) rappresenta una mappatura da uno spazio degli eventi : su uno spazio di numeri reali come mostrato in figura 1. La v.a. può essere discreta se assume valori in un insieme finito o numerabile, continua altrimenti. : Z3 Z1 Z2 X(Z1) X(Z2) X(Z3) Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 R 4 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 1: Fondamenti e Richiami di Statistica per Le Misure Figura 1. Mappatura da uno spazio degli eventi ad uno di numeri reali. 1.6. Funzioni Distribuzione e Densità di Probabilità A ciascuna variabile aleatoria è possibile associare una particolare funzione che realizzi tale mappatura. In particolare, una volta selezionato un evento Z : possiamo chiederci quale sia la probabilità che la rappresentazione numerica di tale evento sia inferiore ad un determinato valore x . In altre parole possiamo scrivere: FX ( x) P(Z : : X (Z ) d x) (18) dove X rappresenta la variabile aleatoria mentre X (Z ) è il valore che tale variabile assume in :. La funzione FX ( x) che permette di valutare tale probabilità prende il nome di distribuzione (cumulativa) di probabilità. La (18) per praticità normalmente viene espressa come: FX ( x) P( X d x) (19) L’aggettivo “cumulativa” può essere spiegato considerando le proprietà di cui tale funzione gode ed in particolare la (23): 1. 0 d FX ( x) d 1 (20) 2. FX ( x) è non decrescente (21) 3. lim x of FX ( x) 0 (22) 4. lim x of FX ( x) 1 (23) 5. P( a X d b ) (24) 6. P ( X a) FX ( b ) FX ( a ) FX (a) FX (a ) (25) In figura 2 è mostrato l’andamento della (19) sia per una v.a. discreta che per una v.a. continua. Si definisce inoltre la densità di probabilità, che viene indicata con il simbolo f X ( x) , con la seguente equazione: f X ( x) dFX ( x) dx (26) quindi la FX ( x) risulta essere la primitiva della f X ( x) , da qui derivano le seguenti proprietà: Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 5 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 1: Fondamenti e Richiami di Statistica per Le Misure Fx 1 x Fx 1 x Figura 2. Andamento per una v.a. discreta e per una v.a. continua della Fx. 1. f X ( x) t 0 (27) f 2. ³ (28) f X ( x)dx 1 f 3. P ( X A) ³f X (29) ( x)dx A b ³f 4. P (a X d b) X ( x)dx (30) a x 5. FX ( x) ³ (31) f X (u )du f Per v.a. discrete (che assumono valori in un insieme discreto ^x1, x2 ,..xi,…xN`) per cui la distribuzione di probabilità è una funzione a gradini, l’altezza dell’i-esimo gradino rappresenta la probabilità p(xi)=P(X= xi) che si verifichi l’evento i-esimo, ovvero che la v.a. assuma l’i-esimo valore. Per le v.a. discrete la densità di probabilità è un insieme di delta di Dirac: N f X ( x) ¦ p( x )G ( X x ) i i (32) i 1 E’ logico pensare che, se la densità di probabilità descrive in modo analitico la possibilità che un evento possa ripetersi con una certa frequenza, essa sia un utile strumento per trattare in maniera matematica il processo di misura e/o il risultato di Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 6 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 1: Fondamenti e Richiami di Statistica per Le Misure una misura, che come abbiamo già detto risulta sempre affetto da errori non predicibili. In altre parole l’errore sarà sempre trattato come una variabile aleatoria. Alcune tra le densità di probabilità più comunemente utilizzate nelle misure sono: la densità di probabilità Uniforme, la cui espressione analitica è la seguente: f X ( x) ­ 1 ° ®b a °¯ 0 a xb (33) Altrove e la Gaussiana la cui espressione analitica è la seguente: 1 f X ( x) 2SV X e § ( x P X )2 · ¸ ¨¨ 2VX2 ¸¹ © (34) I parametri che compaiono nella (34) possono essere interpretati con le definizioni di media e varianza che seguono. La distribuzione (34) è particolarmente importante, in quanto esiste un teorema (teorema del limite centrale) che afferma che, sotto ipotesi molto blande, la somma di infinite variabili aleatorie indipendenti comunque distribuite segue una distribuzione Gaussiana. In particolare, se tali v.a. sono indipendenti ed identicamente distribuite, la distribuzione Gaussiana rappresenta una buona approssimazione della distribuzione della v.a. ottenuta come somma, anche se il numero di componenti è molto basso. Si definisce la media E(X) di una v.a. X come: f E( X ) (35) ³ xf X ( x )dx f o più in generale la media di una funzione della v.a. g(X) come: f E ( g ( X )) ³ g ( x) f X (36) ( x)dx f In generale i momenti non centrati della v.a. sono definiti come: f momento di ordine k: Pk E( X k ) ³x k f X ( x)dx f la media risulta perciò pari al momento del primo ordine. I momenti centrati sono definiti invece come: f momento centrato di ordine k: mk E (( X P1 ) k ) ³ (x P ) k 1 f X ( x)dx f Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 7 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 1: Fondamenti e Richiami di Statistica per Le Misure I momenti consentono di condensare l’informazione sul comportamento statistico di una v.a. Vediamo di seguito quale informazione è contenuta nel momento del primo ordine (media) e nel momento centrato del secondo ordine (varianza). 1.6.1. Media e Varianza Come già detto, la media è definita nel modo seguente: P E( X ) n ¦ x i p( xi ) nel discreto (37) nel continuo (38) i 1 f P E( X ) ³ xf X ( x )dx f Le (37) e (38) esprimono il valore atteso (Expected value o Expectation) della variabile aleatoria X . Poiché ciascun evento possibile viene pesato con la probabilità che esso accada, essa rappresenta il baricentro della funzione di densità di probabilità, il valore centrale di tale distribuzione, attorno al quale è più probabile che cadano i valori delle realizzazione della v.a. La varianza si ottiene nei modi che seguono: V V 2 X 2 X E(( X P ) 2 ) n 2 ¦ ( xi P ) p( x i ) nel discreto (39) nel continuo (40) i 1 E(( X P ) 2 ) f 2 ³ ( x P ) f X ( x )dx f Quindi la varianza, o meglio la radice quadrata della varianza che prende il nome di scarto tipo o deviazione standard ( V X ) di una v.a., descrive lo scostamento dei valori dal valore medio. Tanto più la varianza è piccola, tanto più la densità di probabilità sarà addensata intorno al valor medio. Sia la (38) sia la (40) godono di alcune proprietà che possono essere riassunte come segue: data una costante c 1. E (cX ) cE ( X ) (41) 2. E (c) c (42) 3. E (c X ) c E ( X ) (43) 4. V 2 (cX ) c 2V 2 ( X ) (44) 5. V 2 (c) 0 (45) 6. V 2 (c X ) V 2 ( X ) (46) Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 8 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 1: Fondamenti e Richiami di Statistica per Le Misure Un’altra forma attraverso la quale la varianza può essere espressa è la seguente: V 2 ( X ) E ª¬( X E ( X )) 2 º¼ EX2 EX 2 (47) 1.7. Variabili Aleatorie Multiple Nella realtà capita spesso che in un processo di misura siano coinvolte più variabili aleatorie. Si danno di seguito alcuni cenni sugli strumenti statistici che ne descrivono il comportamento. Siano X e Y due variabili aleatorie definite su : . Definiamo la funzione distribuzione di probabilità congiunta, e la densità di probabilità congiunta nel modo seguente: FX ,Y ( x, y ) P(Z : : X (Z ) d x, Y (Z ) d y ) (48) w 2 FX ,Y ( x , y ) f X ,Y ( x , y ) (49) wxwy La densità di probabilità congiunta tiene simultaneamente conto del comportamento delle due v.a. e di come esse si influenzino. In particolare, si osserva che se le due variabili non si influenzano, cioè se sono statisticamente indipendenti, allora la densità congiunta di probabilità si ottiene come prodotto delle densità di probabilità di X e Y. f X ,Y ( x , y ) f X ( x ) f Y ( y ) Analogamente alla situazione di singola variabile aleatoria, sono vere per estensione le seguenti proprietà: 1. FX ( x) FX ,Y ( x, f) (50) 2. FY ( y ) FX ,Y (f, y ) (51) f 3. ³ f X ,Y ( x, y )dy (52) f X ,Y ( x, y )dx (53) f X ,Y ( x, y )dxdy 1 (54) f X ( x) f f 4. fY ( y ) ³ f f f 5. ³³ f f 6. FX ,Y ( x , y ) x y ³ f ³f f X ,Y ( u ,v )dudv Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 (55) 9 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 1: Fondamenti e Richiami di Statistica per Le Misure 7. la densità di probabilità condizionata di Y al fatto che X sia uguale ad x è data invece da: fY !X ( y | x ) ­ f X ,Y ( x , y ) ° ® fX ( x ) °¯0 fX ( x ) z 0 altrimenti Il valore atteso (media) di una funzione di più variabili aleatorie è dato da: f f E g ( x, y ) ³ ³ g ( x, y ) f X ,Y ( x, y )dxdy (56) f f Se g( X ,Y ) XY la (56) indica la correlazione tra le due variabili, E(X,Y) = corr(X,Y), mentre se g ( X ,Y ) ( X P X )( Y P Y ) la (56) indica la covarianza, E(X,Y)-PXPY = cov(X,Y). Il coefficiente di correlazione e si ricava come segue: U X ,Y cov( X , Y ) (57) VX VY la (57) esprime in modo sintetico come le due variabili aleatorie siano statisticamente dipendenti. Si dimostra usando la disuguaglianza di Schwartz, che Ud1. In particolare, se X ed Y sono legati linearmente, cioè Y aX b , avremmo un U 1 con a positivo ed un U 1 con a negativo. Se il coefficiente di correlazione è pari a 0 le variabili si dicono scorrelate. Condizione sufficiente (ma non necessaria) perché tale coefficiente sia nullo è che le due variabili siano tra loro indipendenti. Funzioni di variabili multiple: Considerando le seguenti variabili aleatorie tra loro legate nel seguente modo: Z=g(X,Y) W=h(X,Y) La probabilità congiunta di W,e Z può essere ottenuta nota la densità di probabilità congiunta di X ed Y, se le equazioni: z=g(x,y) w=h(x,y) hanno un insieme numerabile di soluzioni ^ xi,yi `, ed in questi punti il determinante dello Jacobiano J, dato da: ª wg wg º « wx wy » J « » « wh wh » «¬ wx wy »¼ è non nullo, allora: Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 10 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 1: Fondamenti e Richiami di Statistica per Le Misure f Z ,W ( z , w ) ¦ i f ( xi , y i ) | det( J ( xi , y i ) | 1.8. Processi Stocastici Per processo stocastico si intende una v.a. aleatoria indicizzata X(t), dove l’indice t può assumere valori sia in un insieme discreto che continuo. Comunemente si utilizza X(t) per descrivere l’evoluzione temporale di un fenomeno aleatorio. In questo caso t indica il tempo. Questo significa che ogni realizzazione xi(t) di X(t) rappresenta un segnale che evolve nel tempo e a cui corrisponde, ad ogni istante di tempo tk, una variabile aleatoria X(tk) descritta da una densità di probabilità f X ( t ) ( x ) , con k realizzazione xi(tk). Un fenomeno che comunemente viene descritto attraverso un processo stocastico è il rumore n(t) che si sovrappone ai segnali di interesse. In figura 3 si fornisce un esempio di quello che si intende per processo stocastico. H(t3,x2) H(t2,x1) H(t,X) H(t2,x2) H(t2,x3) H(t1,x2) t Figura 3. Esempio di processo stocastico. Nell’esempio di figura 3 è evidente come i processi stocastici possano essere trattati in due domini. In quello t (in genere temporale) una volta che si sia osservata una manifestazione della variabile aleatoria X per ogni t, oppure scegliendo un particolare istante temporale ed osservando soltanto le manifestazioni della variabile X(tk.) La media di un processo stocastico X (t ) è una funzione deterministica dipendente dal tempo tale che: P X (t ) E X (t ) per ogni t . Poiché, per ogni t0 il processo è definito con una densità di probabilità ben precisa allora avremo che: f P X (t0 ) E X (t0 ) ³ xf X ( t0 ) ( x)dx (58) f E’ ben noto che la funzione di autocorrelazione per un segnale deterministico è definita come: Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 11 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 1: Fondamenti e Richiami di Statistica per Le Misure f * RX (t ) ³ x(W ) x (W t )dW (59) f La (59) per i processi stocastici si ottiene analogamente una volta fissati gli istanti temporali di interesse. In altre parole RXX (t1 , t2 ) , funzione di autocorrelazione, è definita come: f f RXX (t1 , t2 ) ³ ³ xx 1 2 f X (t1 ) X ( t2 ) ( x1 , x2 )dx1dx2 E X (t1 ) X (t2 ) (60) f f Un processo stocastico si dice stazionario se le sue proprietà statistiche non dipendono dall’istante temporale scelto. In realtà tale assunzione è molto stringente. Si preferisce pertanto definire una condizione meno stringente, che possa essere più facilmente verificata. Un processo stocastico si dice stazionario in senso lato (Wide Sense Stationary, WSS) se sono soddisfatte le seguenti ipotesi: 1. P X (t ) è indipendente dal tempo 2. RXX (t1 , t2 ) E X (t1 ) X (t2 ) RX (t1 , t2 ) dipende solamente da W t2 t1 e non dai singoli istanti temporali. Il processo, in pratica, ha la stessa autocorrelazione per archi temporali uguali indipendentemente dall’istante iniziale. ESEMPIO: Si consideri per semplicità il processo del tipo: A cos(2S f 0t T ) , dove T è una variabile aleatoria uniformemente distribuita tra [0, 2S ) . Si abbia pertanto: f 4 (T ) ­ 1 ° ® 2S °¯ 0 0 d T 2S (61) altrove calcoliamo la media: 2S E ( X (t )) E A cos(2S f 0t T ) 1 ³ A cos(2S f t T ) 2S dT 0 0 (62) 0 e la funzione di autocorrelazione: RX (t1 , t2 ) E X (t1 ) X (t2 ) E > A cos(2S f 0t1 T ) A cos(2S f 0t2 T ) @ (63) la (63) può essere ulteriormente semplificata: R X ( t 1 ,t 2 ) A2 E >cos( 2Sf 0 ( t 1 t 2 )) cos( 2Sf 0 ( t 1 t 2 ) 2T )@ 2 Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 (64) 12 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 1: Fondamenti e Richiami di Statistica per Le Misure nella (64) il secondo termine del secondo membro diviene zero se si applica la definizione di media e quindi l’autocorrelazione risulta pari a: R X ( t 1 ,t 2 ) A2 E >cos( 2Sf 0 ( t 1 t 2 ))@ 2 A2 cos( 2Sf 0 ( t 1 t 2 )) 2 (65) Risulta quindi che la media è tempo-indipendente e l’autocorrelazione dipende soltanto dalla differenza dei due istanti temporali scelti. Pertanto il processo si dice WSS. Per un processo stocastico, oltre alle medie statistiche già definite, che vengono dette medie d’insieme, è possibile definire anche medie temporali. In tal caso il dominio in cui si effettua il processo di media non è l’insieme delle realizzazioni, ma è il dominio temporale. Fissata una realizzazione x(t) del processo X(t), si definisce media temporale: 1 T ³ 2T x( t )dt T of T 2 A^x( t )` lim (66) si definisce autocorrelazione nel tempo: R( W ) 1 T ³ 2T x( t ) x( t W )dt T of T 2 A^x( t ) x( t W )` lim (67) Un processo si dice regolare se per ogni realizzazione si ottengono le stesse medie temporali (rappresenta il concetto duale di stazionarietà). Un processo stazionario si dice ergodico se medie d’insieme e medie temporali possono essere scambiate. Questo concetto è molto utile perché stabilisce l’equivalenza dei due domini: il dominio delle realizzazioni e il dominio temporale, e stabilisce di poter acquisire informazioni complete sul processo a partire dall’osservazione su un periodo infinito di una sola realizzazione. Per il rumore nelle applicazioni tipiche delle misure l’ipotesi di ergodicità viene quasi sempre assunta. D’ora innanzi si considereranno processi ergodici e stazionari. Una funzione che viene utilizzata per caratterizzare un processo stocastico stazionario è la Densità Spettrale di Potenza (D.S.P.), definita come: f P( f ) ³ R( t )e j 2 Sft dt (68) f La D.S.P. rappresenta la distribuzione spettrale media della potenza del processo. Infatti è possibile dimostrare che: Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 13 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 1: Fondamenti e Richiami di Statistica per Le Misure P( f ) 1 lim T E ( F ( f ) T 2 (69) ) T of in cui FT(f) rappresenta la trasformata di Fourier del segnale x(t) troncato in una finestra temporale di durata T. Fatte queste premesse si evince che la potenza media di un segnale stocastico (media temporale di una realizzazione) si può ottenere anche attraverso un processo di media d’insieme, e sono vere le seguenti equazioni: T P 1 2 2 lim ³ x( t ) dt T of T T E( x 2 ) f R( 0 ) ³ P( f )df -(70) f 2 1.9. Processi Bianchi I processi bianchi sono caratterizzati da una densità spettrale di potenza costante N0/2. Dalla relazione che lega la densità spettrale di potenza all’autocorrelazione possiamo dedurre il legame inverso semplicemente antitrasformando ed ottenendo così: RX (W ) F 1 >P( f )@ N0 G (W ) 2 (71) La (71) è importante perché dimostra che per ogni W z 0 , RX (W ) 0 . Per un processo bianco, quindi, le variabili aleatorie relative a due istanti generici, purché diversi, risultano scorrelate. Se poi il processo è anche gaussiano, allora le due variabili così ottenute saranno indipendenti (non c’è nessuna memoria). Il processo bianco è un concetto puramente matematico: si nota infatti da quanto argomentato in precedenza che la potenza associata a un processo bianco è infinita: f P ³ f f P( f )df N0 df 2 f ³ f (72) e dunque X(t) ha varianza infinita. Questo risulta essere uno strumento molto utile qualora si noti che qualunque sistema di osservazione del processo è caratterizzato da una banda finita. Il processo bianco osservato avrà perciò densità spettrale di potenza P(f) costante in una certa banda e nulla al di fuori. Potrà perciò essere rappresentato da una densità di potenza: Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 14 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 1: Fondamenti e Richiami di Statistica per Le Misure P( f ) ­ N0 ° ® 2 °¯ 0 -B f B (73) altrove La potenza del segnale sarà perciò uguale a N0B. Questo significa che per un processo bianco la potenza dipende dalla banda del sistema di osservazione. La funzione di autocorrelazione sarà invece data dall’antitrasformata: Rx ( W ) N 0 B sin c( 2SBW ) (74) Come già accennato, nella realtà i processi bianchi non esistono, anche se alcuni fenomeni come il rumore termico possono essere ben approssimati da un processo di questo tipo. In particolare, si è soliti associare il rumore termico generato da una resistenza (peraltro sempre presente durante le misure) a una tensione corrispondente ad un processo bianco con densità spettrale di potenza pari a 4kTR (k=costante di Bolzman, T temperatura in Kelvin). Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 15 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 2: Introduzione alla Misura 2. Introduzione alla Misura 2. Introduzione alla Misura .................................................................................... 16 2.1. Introduzione ............................................................................................... 16 2.2. L’Errore ...................................................................................................... 17 2.3. L’Incertezza................................................................................................ 17 2.3.1. Altri Termini Utilizzati per Descrivere la Qualità del Processo di Misura 18 2.4. Valutazione dell’Incertezza........................................................................ 18 2.4.1. Valore Assoluto e Valore Relativo....................................................... 19 2.5. Il legame con la Statistica: Stima dell’Incertezza di Tipo A......................... 19 2.6. Stima di Altri Parametri Statistici ................................................................ 23 2.7. Incertezza Combinata ................................................................................ 24 2.8. Sommario................................................................................................... 25 2.9. Misurazioni Dirette ed Indirette................................................................... 26 2.10. Propagazione delle Incertezze di Tipo A e B .......................................... 26 2.10.1. Misure Indirette................................................................................ 26 . 2.1. Introduzione In questo capitolo cercheremo di fornire allo studente i metodi di base per l’interpretazione del risultato di una misura. Il processo di misura è definito come: un procedimento in grado di quantificare le proprietà di un oggetto o di un fenomeno. Il processo di misura si avvale di varie tecniche riconducibili comunque ad un confronto (diretto o indiretto) del misurando (oggetto della misura) con una quantità nota detta campione. Il processo di misura si basa quindi su convenzioni che devono portare a una definizione di un’unità campione riconosciuta in un contesto il più ampio possibile. I campioni sono infatti fissati da norme, accordi internazionali e/o leggi. Come già illustrato nel capitolo precedente, il risultato di una misurazione non coincide con il valore vero ma si discosta da esso di una quantità detta errore. Le cause che contribuiscono all’entità dell’errore sono molteplici: - incompleta definizione del misurando imperfetta realizzazione del misurando imperfetta conoscenza del processo di misura imperfetta realizzazione del campione di confronto o degli strumenti di misura Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 16 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 2: Introduzione alla Misura - inadeguata conoscenza delle grandezze di influenza, cioè di quelle grandezze (non ci si riferisce al misurando) che, variando, causano oscillazioni della misura impredicibili. Il risultato della misura dovrebbe essere perciò composto da: - un numero N: valore misurato (la stima quantitativa del misurando), - un’unità di misura [U] (che individua il campione) , - un numero u: incertezza (che fornisce informazioni sull’errore) Xm=N [U]+ u Operativamente l’incertezza viene definita così [GUM (Guide to Uncertainty Expression in Measurement)]: l’incertezza è un parametro associato al risultato di una misura che descrive l’intervallo (o la dispersione) dei valori che possono essere ragionevolmente attribuiti al misurando Pertanto è necessario tenere ben distinto il concetto di errore da quello di incertezza. Per errore infatti si intende una grandezza inconoscibile, (tutti gli scarti noti devono essere considerati corretti) che può essere trattata come una v.a.. Si sottolinea come l’errore debba essere considerato non conoscibile, poiché se fosse noto si potrebbe correggere ed arrivare al valore vero convenzionale del misurando. Per incertezza invece si intende un valore che caratterizza la distribuzione di probabilità dell’errore (in particolare la sua larghezza). 2.2. L’Errore Tradizionalmente l’errore si divide in due contributi: errori sistematici: tutti gli errori che si ripetono con lo stesso segno e lo stesso valore ogniqualvolta si ripeta la misura nelle stesse condizioni (hanno lo stesso valore per prove ripetute). L’errore strumentale è un tipico esempio di errore sistematico. errori accidentali o aleatori: errori che si presentano con valore e segno diversi ogniqualvolta si ripeta la misura nelle stesse condizioni. Sono errori dovuti alle fluttuazioni delle condizioni ambientali, alla presenza di disturbi variabili, al rumore elettronico etc. Entrambi i contributi devono essere trattati come v.a.; la ripetizione della prova porta a diverse realizzazioni della v.a. errore accidentale, mentre l’errore sistematico è legato alla stessa realizzazione della v.a. Ad esempio per ottenere una diversa realizzazione dell’errore strumentale occorre cambiare strumento. 2.3. L’Incertezza Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 17 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 2: Introduzione alla Misura Come già detto l’incertezza è un parametro associato ad una misura che ne esprime quantitativamente la bontà, cioè quantifica l’entità dell’errore. In particolare essa identifica una fascia di valori nella quale con elevata probabilità cade l’errore (e dunque una fascia di valori entro la quale con elevata probabilità cade il valore vero del misurando). E’ perciò un parametro che dà informazioni sulla larghezza della densità di probabilità dell’errore complessivo, intorno al suo valore medio che per definizione è nullo. E’ ormai prassi comune far corrispondere l’incertezza alla stima della deviazione standard (o scarto tipo) dell’errore. Incertezza -u +u xv Figura 1. Esempio per la descrizione di una fascia di incertezza 2.3.1. Altri Termini Utilizzati per Descrivere la Qualità del Processo di Misura Per sintetizzare la qualità del processo di misura vengono utilizzati altri termini oltre a quelli già definiti (incertezza ed errore): Ripetibilità: vicinanza dei risultati ottenuti da prove ripetute nelle stesse condizioni operative. Accuratezza: deviazione tra il valore vero convenzionale,xv,(§ cap.1.1) e il risultato della misura. a 1 xv x xv Da notare che questo termine viene utilizzato correntemente dai costruttori degli strumenti elettronici per indicare il massimo errore (anche questo dovrebbe essere inteso in probabilità: l’errore è con probabilità molto elevata minore dell’accuratezza specificata, e.g. 0.99) Riproducibilità: vicinanza dei risultati ottenuti variando le condizioni operative. Precisione: vicinanza dei risultati della misura alla media aritmetica ottenuta con prove ripetute. 2.4. Valutazione dell’Incertezza Secondo quanto consigliato dalla GUM, per valutare l’incertezza associata ad una misura è possibile ricorrere alla seguente procedura. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 18 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 2: Introduzione alla Misura Innanzitutto l’incertezza viene suddivisa in due contributi che devono essere valutati separatamente: Tipo A: è la parte dell’incertezza che può essere stimata con metodi statistici, cioè attraverso l’analisi dei risultati di prove ripetute (stima della deviazione standard dell’errore accidentale). Tipo B: è la parte dell’incertezza che non può essere valutata attraverso l’analisi statistica dei risultati di prove ripetute, ma che deve essere stimata attraverso informazioni note a priori, sugli strumenti e sul processo di misura. La sua determinazione si basa su opportune ipotesi sulla densità di probabilità degli errori sistematici. Tali contributi non possono essere in alcun modo eliminati né compensati dall’operatore, il quale non può fare altro che tenerne conto. Non è infrequente nel campo delle misure elettroniche che il contributo di tipo A risulta di entità molto minore rispetto al contributo di tipo B, e pertanto viene trascurato. . fX(x) d A xv x La figura 2 rappresenta la densità di probabilità del valore misurato al ripetersi della misura; essa rappresenta cioè la probabilità che al ripetersi della misura si ottenga il valore misurato x, x-A, rappresenta dunque la v.a. errore accidentale, e la larghezza della distribuzione determina il valore dell’incertezza di tipo A; la deviazione d è la v.a. errore sistematico. La sua distribuzione, che non influenza la fluttuazione del risultato della misura al ripetersi della stessa, determina l’incertezza di tipo B. Figura 2 2.4.1. Valore Assoluto e Valore Relativo Sia l’errore sia l’incertezza possono essere espressi in forma assoluta o relativa: Valore Assoluto: V m rappresenta l’incertezza cioè la semiampiezza della fascia d’errore, e ha la stessa unità di misura del misurando. Valore Relativo: Vm mi u 100 dove mi è il valore centrale della stima del misurando. 2.5. Il legame con la Statistica: Stima dell’Incertezza di Tipo A Supponiamo di effettuare N misure ripetute xi di un certo misurando: i risultati delle singole misure xi sono le realizzazioni di N v.a. Xi indipendenti e distribuite Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 19 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 2: Introduzione alla Misura identicamente (i.i.d.). Ciascuna variabile ha dunque la medesima densità di probabilità (vedi figura 2). Utilizzando i risultati di prove ripetute è possibile stimare il valor medio A delle v.a. Xi, e ridurre la fascia di incertezza di tipo A. Si stima A attraverso la media aritmetica x : 1 N x (1) ¦ xi N i1 1 N x è una realizzazione della v.a. X ¦ X i che gode delle seguenti proprietà: N i1 1. lo stimatore X è non polarizzato, cioè converge in media: E( X ) E( X i ) A 2. La stima è efficiente nel senso dei minimi quadrati, cioè: E (( X A) 2 ) d E (( X j A) 2 ) In cui X j rappresenta qualunque altra stima di A. 3. La stima è consistente, cioè converge in probabilità: lim P X A t H =0 N of H >0 Dalla proprietà 1. si desume che la media aritmetica è una v.a. con densità di probabilità centrata su A. La varianza di X si ottiene come segue: E (( X A) 2 ) E( 1 N2 1 N2 N E (( 1 N N ¦X A) 2 ) i 1 N ¦ ( X i A)2 ) E ( i 1 ¦ E (( X i A)2 ) i 1 i 1 N N ¦ ( X i A) i 1 1 N N ¦(X j A)) (2) j zi j 1 1 N N ¦¦ E ( X i A)( X j A) N2 i 1 j 1 V X2 N j zi Questo risultato si ottiene tenendo presente che le variabili Xi sono tra loro indipendenti, dunque scorrelate. La varianza della media aritmetica diminuisce pertanto al crescere del numero delle ripetizioni della misura. Con un numero infinito di ripetizioni si otterrebbe una densità di probabilità con varianza nulla. Questo significa che al crescere del numero delle prove si acquistano sempre più informazioni sul valore medio, potendone ottenere una stima sempre più accurata. L’incertezza di tipo A viene valutata attraverso la stima della varianza della media aritmetica X . In generale per stimare la varianza a partire dai risultati di prove ripetute si utilizza il seguente stimatore: Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 20 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 2: Introduzione alla Misura 1 N ¦ ( xi x)2 N 1 i 1 s X2 (3) si dimostra che questo stimatore è non polarizzato, efficiente e consistente. Ad esempio qui di seguito si dimostra come esso non sia polarizzato. E ( S X2 ) E( E (( 1 N ( X i X )2 ) ¦ N 1 i 1 E( 1 N ( X i A A X )2 ) ¦ N 1 i 1 1 N 1 N 1 N 2 2 ( ) ( ( ) ) 2 ( X A E X A E ¦ i ¦ ¦ ( X i A)( X A)) N 1 i 1 N 1 i 1 N 1 i 1 1 N N 1 N ( ¦ ( X i A))( X A)) V X2 V X2 2 E ( N 1 N 1 N 1 N i 1 1 N N N 1 ( X A) 2 ) V X2 V X2 2 E ( V X2 V X2 N 1 N 1 N 1 N 1 N 1 (4) V X2 Poiché a noi interessa stimare la varianza di X e sappiamo che: V X2 V X2 (5) N utilizzeremo il seguente stimatore: s X2 N 1 ( xi x) 2 ¦ N ( N 1) i 1 (6) da cui si ottiene la deviazione standard (o scarto tipo): sX N 1 ( xi x) 2 ¦ N ( N 1) i 1 (7) La (7) prende il nome di deviazione standard sperimentale. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 21 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 2: Introduzione alla Misura f X ( x ), f X ( x ) d A xV X,X Figura 3. Densità di probabilità per X e la media di X In figura 3 sono rappresentate le densità di probabilità di X ed X per N = 30. Nel caso in cui si abbiano a disposizione i risultati di N prove ripetute, il risultato della misura sarà dato dunque dalla media aritmetica, mentre l’incertezza di tipo A sarà data dalla deviazione standard sperimentale (o scarto tipo) della media aritmetica (eq. (7)). 2.5.1. INTERVALLI DI CONFIDENZA Fissata una probabilità p (livello di confidenza) si vuole determinare quale sia l’ampiezza dell’intervallo centrato in x in cui cade A con probabilità p. Per ottenere quest’informazione è ovviamente necessario fare altre ipotesi sulla densità di probabilità di X . Ad esempio, se supponiamo che X segua una distribuzione Gaussiana otteniamo i seguenti risultati: P ( A x V X ) 0.684 P ( A x 2V X ) 0.954 (8) P ( A x 3V X ) 0.997 Occorre sottolineare che se N è sufficientemente grande (>30) questa ipotesi è sicuramente accettabile, per il teorema del limite centrale, poiché la media aritmetica è ottenuta come somma di v.a. indipendenti. Inoltre se N è grande, il valore incognito V X è ben stimato da S X . Pertanto l’intervallo attorno ad x di semi-ampiezza sX contiene con probabilità 0.684 il valor medio A (che coincide con il valore vero convenzionale solo in assenza di effetti sistematici). L’intervallo di semiampiezza 3 s X contiene invece con probabilità 0.997 il valore A. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 22 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 2: Introduzione alla Misura Se il numero N di ripetizioni non è sufficientemente grande, non è più ragionevole considerare che il valore s X sia una stima corretta per la varianza. Però la variabile t che si ottiene come: t x A sX (9) nel caso di variabili Xi i.i.d. e tutte gaussiane, segue una distribuzione nota, detta di Student a Q=N-1 gradi di libertà. Pertanto è possibile ricorrere alla distribuzione di Student per ottenere la probabilità che A cada in un intervallo di valori centrato sulla media aritmetica con ampiezza proporzionale ad s X . Tale probabilità dipende dal numero di gradi di libertà. Se si considera ad esempio: P( x A k p (Q ) s X ) p si ottiene il seguente risultato: Q 1 10 30 100 f p=0.682 kp(Q)=1.84 1.05 1.021 1.005 1 p=0.954 13.97 2.28 2.11 2.025 2 p=0.997 235.80 3.96 3.33 3.077 3 2.6. Stima di Altri Parametri Statistici Se si è interessati a stimare anche la densità di probabilità della variabile X (misura) a partire da risultati di N prove ripetute, occorre procedere nel modo seguente: 1) se la misura è rappresentabile con una v.a. discreta, dato l’insieme di valori che la v.a. può assumere ^x1 , x2 ,...x M `, sia Fm il numero di volte che si verifica l’evento X=xm (Fm è detta frequenza) e sia fm=Fm/N (frequenza relativa). Fm ed fm sono v.a. e per la legge dei grandi numeri vale che: lim f m P( X xm ) pm N of 2) per una v.a continua X è necessario dividere il dominio in classi, ovvero, dato xMAX realizzazione con il massimo valore e xMIN realizzazione con il minimo valore, si divide l’intervallo (xMIN, xMAX ) in M sottointervalli Cm (m=1,…,M) (M classi) di lunghezza 'x= (xMIN-xMAX)/M. Detto xm l’estremo inferiore di Cm, si definisce l’evento Am = XCm con probabilità pm=P(xm< X d xm+'x )=FX (xm+'x)FX(xm)# fX(xm) 'x. La frequenza Fm si ottiene contando il numero di volte che si verifica l’evento Am e la frequenza relativa come fm=Fm/N. Sia Fm che fm sono v.a. e per la legge dei grandi numeri vale che: Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 23 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 2: Introduzione alla Misura lim f m FX ( x m 'x ) FX ( x m ) # f X ( x m )'x P( Am ) N of Attraverso le frequenze relative è dunque possibile stimare la densità di probabilità. 2.6.1. Legame tra media aritmeca e valor medio A questo punto è possibile mostrare in modo più chiaro quale sia il legame tra la media aritmetica ed il valore medio, ad esempio per una v.a. discreta: x 1 N N ¦x i i 1 1 N e per N o f M ¦f j 1 M j xjN ¦f j xj j 1 f j o p( x j ) (10) dunque: x o E( X ) 2.7. Incertezza Combinata Si è gia visto quali siano i contributi che devono essere considerati nel calcolo dell’incertezza (contributi di tipo A e tipo B). Dunque, per valutare la qualità della misura occorre anche valutare lo scarto o errore dovuto a cause che non fluttuano al ripetersi della misura (tipo B) e che non possono essere valutate a partire dall’ osservazione dei risultati della misura. Per il calcolo dell’incertezza combinata si ricorre alla seguente formulazione del problema: supponiamo che l’errore totale sia dato dalla sovrapposizione di due errori (per definizione a media nulla) tra loro indipendenti, eTOT eA eB (11) in cui eA è l’errore descritto dall’incertezza di tipo A (che fluttua con valor medio nullo al ripetersi della misura) mentre eB è descritto dall’incertezza di tipo B. Se i due errori sono indipendenti, la varianza dell’errore totale sarà data da: 2 E (eTOT ) E (eA2 eB2 2eAeB ) E (eA2 ) E (eB2 ) 2 E (eAeB ) (12) e l’ultimo termine, la covarianza, sarà nullo data l’indipendenza dei due contributi. Quindi: 2 V TOT 2 E (eTOT ) E (eA2 ) E (eB2 ) (13) Il primo termine rappresenta la varianza dell’errore accidentale. La procedura per ottenere la sua stima ( s x2 ) attraverso l’analisi dei risultati di prove ripetute è stata oggetto del paragrafo precedente. Per ottenere la stima della varianza dell’errore totale occorre valutare la varianza dell’errore di tipo B o l’incertezza di tipo B, uB, data dalla seguente uguaglianza: uB2 E (eB2 ) (14) Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 24 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 2: Introduzione alla Misura L’incertezza combinata, uTOT, viene poi ottenuta come stima della deviazione standard dell’errore totale, ovvero come: s X2 uB2 uTOT (15) Per capire come si possa affrontare questo problema consideriamo un semplice esempio. Esempio: Vediamo come sia possibile trattare l’errore strumentale, che è una tipica causa di incertezza di tipo B. Supponiamo di effettuare una lettura diretta e che il manuale dello strumento utilizzato per la misura riporti come dato l’accuratezza della misura, a. Questo dato viene solitamente interpretato come il massimo errore che gli strumenti di quella famiglia possono commettere. Occorre formulare alcune ipotesi sulla densità di probabilità della v.a errore strumentale. L’ipotesi più conservativa in assenza di ulteriori informazioni si ottiene considerando una densità di probabilità uniforme nell’intervallo (-a, a). La varianza associata ad una distribuzione uniforme centrata sullo zero è: a2 2 uB 3 Se si ipotizza che per la misura presa in considerazione questa sia l’unica causa di errore di tipo B (o più realisticamente che tutti gli altri errori siano di entità trascurabile rispetto a questo), si sarà ottenuta la stima della varianza E(eB2), che potrà essere utilizzata per valutare l’ultimo termine dell’equazione (15). 2.8. Sommario In breve, per ottenere la stima dell’incertezza combinata si consiglia di seguire la procedura sintetizzata qui di seguito: 1. considerando di avere a disposizione i risultati di N prove ripetute, stimare il valore misurato come: x 1 N N ¦x (16) i i 1 2. stimare l’incertezza di tipo A come: sX N 1 ( xi x) 2 ¦ N ( N 1) i 1 (17) 3. individuare tutti i contributi significativi che contribuiscono all’errore di tipo B, eB,i ed effettuare le opportune ipotesi sulle loro distribuzioni (ed eventualmente Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 25 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 2: Introduzione alla Misura sulla loro correlazione) utilizzando le informazioni disponibili (dati presenti nei manuali degli strumenti, caratteristiche dei campioni utilizzati, conoscenza del procedimento di misura, etc.) 4. calcolare E(eB2) come uB2 E ((¦ eB ,i ) 2 ) , valutando per ogni contributo la i varianza ed eventualmente la covarianza con altri contributi, se non nulla. 5. stimare l’incertezza combinata come: S x2 uB2 uTOT 6. (18) presentare il risultato della misura come: x r uTOT 2.9. Misurazioni Dirette ed Indirette Le misurazioni possono essere fatte sostanzialmente mediante due tipi di approcci. Si può misurare una grandezza effettuando direttamente un confronto con il campione (per esempio una lunghezza utilizzando un metro campione). In tal caso la misura che si effettua prende il nome di misurazione diretta. L’altro approccio che può essere utilizzato è quello detto misurazione indiretta, in cui si sfrutta il legame funzionale tra il misurando ed alcune grandezze che si misurano in maniera diretta. Dunque da più misure dirette si ricava, applicando il legame funzionale noto, il misurando incognito. In questo caso l’incertezza dipende ovviamente sia dall’incertezza ottenuta nei processi di misura diretti sia dal legame funzionale utilizzato. Un tipico esempio è la misura del valore di un resistore con un metodo Volt-Amperometrico. La resistenza, infatti, è esprimibile come: R V I (19) , quindi, misurando V ed I , si ricava il valore della resistenza di interesse. 2.10. Propagazione delle Incertezze di Tipo A e B 2.10.1. Misure Indirette Data la grandezza Y esprimibile come funzione di altre grandezze Xi (i=1,..K): Y f X 1 , X 2 , X 3 , (20) Se si suppone di misurare in modo indiretto la Y attraverso la misura delle Xi, il valore misurato y si ottiene come: Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 26 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 2: Introduzione alla Misura y f x1 , x2 , x3 ,... (21) per calcolare l’incertezza, si deve considerare come l’errore eY sia legato agli errori sulle grandezze misurate exi: f x1v eX1 , x2v eX 2 , x3v eX 3 , yv eY (22) in cui yv ed xiv indicano i valori veri convenzionali. Considerando errori di piccola entità e sviluppando in serie di Taylor la (22) (troncata al primo ordine) si ottiene: wf wxi f ( x1v , x2 v ,x 3v ,....) ¦ yv eY i exi (23) x1 , ,x 2 ,.. x1 v ,x 2 v ,.. La varianza dell’errore (che coincide con quella della grandezza misurata) può essere ottenuta nel seguente modo: 2 § § wf § § wf ·· · ·¸ ·§ wf ¨ E( eY ) E ¨¨ ¦ ex ¸¸ E ¨ ¨¨ ¦ ex ¸¸¨ ¦ ex ¸ ¸ ¨ © i wxi ¹¨ j wx j ¸ ¸ ¨ © ii wxi ¹ ¸ © ¹¹ © © ¹ 2 § § wf § § wf ·· · ·¸ ·§ wf ¨ E ¨¨ ¦ ex ¸¸ E ¨ ¨¨ ¦ ex ¸¸¨ ¦ ex ¸ ¸ ¨ © i wxi ¹¨ j wx j ¸ ¸ ¨ © i wxi ¹ ¸ © iz j ¹¹ © ¹ © 2 i i i i j 2 § wf ¦ ¨¨ i © wxi § wf ¦ ¨¨ i © wxi j (24) · ¸ E( ex 2 ) ¦ ¦ wf wf E( ex ex ) ¸ i j wxi wx j iz j ¹ x i j 2 · 2 ¸ V x ¦ ¦ wf wf U x x V x V x ¸ i j wxi wx j iz j ¹ i i j i j in cui UXi,Xj rappresenta il coefficiente di correlazione. Pertanto utilizzando questa formula e sostituendo le varianze con i quadrati delle incertezze stimate, l’incertezza uy di y si ottiene con la seguente espressione: 2 uy § wf · 2 wf wf ¸¸ u x ¦ ¦ U x x u x u x (25) ¦ ¨¨ i j i w w x x x w i j © i¹ iz j i i j i j Se gli errori sulle grandezze Xi si possono considerare statisticamente indipendenti, il coefficiente di correlazione U X , X è nullo. i j In caso contrario è necessario stimarlo facendo delle ipotesi statistiche, oppure, nel caso di errori di tipo A, sfruttando i risultati di N prove ripetute e applicando la seguente formula per calcolare la covarianza sperimentale: Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 27 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 2: Introduzione alla Misura 1 ( N 1) N CX i , X j N N ¦¦ ( x xi )( x jn x j ) im (26) n 1m 1 in cui xim rappresenta la misura della i-esima grandezza alla m-esima ripetizione. La stima di U X , X si ottiene come: i rX i , X j j CXi , X j (27) sxi sx j nel caso in cui U X i ,X j =1 si ha totale correlazione degli errori (dipendenza lineare) la (25) diventa: uy ¦ i wf ux wxi i (28) Questa equazione è del tutto identica alla legge che si utilizza per calcolare l’errore massimo, ed è il valore più conservativo che possa essere ottenuto (worst case design ovvero massimo per la (21)). Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 28 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 2: Introduzione alla Misura 2.A. Appendice: Il sistema internazionale (SI) La definizione di un sistema di unità di misura nasce dall'esigenza di utilizzare comuni unità di misura per la quantificazione delle grandezze fisiche, allo scopo di favorire gli scambi commerciali e gli studi scientifici tra persone della stessa, o differente nazione. In tal senso nel 1875, a Parigi, i rappresentanti di soli 17 paesi, si riunirono per approvare la CONVENZIONE SUL METRO, e conseguentemente adottare una comune Unità per la Misura delle lunghezze. In contemporanea vide la luce anche l'organismo internazionale della metrologia: la Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure (CGPM). Il Sistema Internazionale di unità di misura è stato adottato dalla XI Conferenza generale di pesi e misure, tenutasi a Parigi nel 1960; è indicato in tutto il mondo con la sigla SI. Nella Conferenza, organizzata con lo scopo di adottare un sistema di misura universale, unificato e coerente, basato sul sistema MKS (metro-kilogrammosecondo), sono state definite le unità di sei grandezze fondamentali e di due grandezze supplementari; una settima unità fondamentale, la mole, è stata aggiunta nel 1971. Le unità fondamentali che definiscono l’SI sono riportate in tabella 1. Il SI è un sistema metrico completo che consente di rappresentare tutti i fenomeni fisici e chimici conosciuti, è razionale (cioè non contiene fattori irrazionali nelle relazioni che legano le unità), assoluto (indipendente dal tempo e dallo spazio) decimale e coerente. IIn Italia il DPR 802 del 1982 stabilisce l’adozione del SI, mentre nel DM 591 del 1994 sono definiti i campioni nazionali, realizzati e custoditi presso gli Istituti Metrologici nazionali (INRIM, ex IEN e IMGC) ed ENEA. La legge 273/91 istituisce il servizio Nazionale di Taratura. Tabella1 – Unità SI grandezza unità simbolo definizione lunghezza metro m tragitto percorso dalla luce nel vuoto in un tempo di 1/299 792 458 di secondo massa kilogrammo kg massa del campione platino-iridio, conservato nel Museo Internazionale di Pesi e Misure di Sèvres (Parigi) intervallo di tempo secondo s durata di 9 192 631 770 periodi della radiazione corrispondente alla transizione tra i livelli iperfini dello stato fondamentale dell'atomo di cesio-133 intensità di corrente elettrica ampere A quantità di corrente che scorre all'interno di due fili paralleli e rettilinei, di lunghezza infinita e sezione trascurabile, immersi nel vuoto ad una distanza di un metro, induce in loro una forza di attrazione o repulsione di 2*10 -7 N per ogni metro di lunghezza temperatura termodinamica kelvin K valore corrispondente a 1/273,16 della temperatura termodinamica del punto triplo dell'acqua quantità di sostanza mole mol quantità di materia di una sostanza tale da contenere tante particelle elementari quante ne contengono 0,012 kg di carbonio-12. Tale valore corrisponde al numero di Avogadro intensità luminosa candela cd intensità luminosa di una sorgente che emette una radiazione monocromatica con frequenza 540*10 12 Hz e intensità energetica di 1/683 W/sr. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 23-1 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 2: Introduzione alla Misura Tabella 2- Unità supplementari SI angolo piano radiante rad angolo solido steradiante sr angolo al centro di una circonferenza che sottende un arco di lunghezza pari al raggio. 1rad =180°/S angolo che su di una sfera con centro nel vertice dell' angolo intercetta una calotta di area uguale a quella di un quadrato avente lato uguale al raggio della sfera stessa. (1) norma ISO 31 – 1 :1992 2.A.1. 2.A.1.1 Le grandezze fondamentali Intervallo di tempo Il secondo (s) è la durata di 9 192 631 770 periodi della radiazione corrispondente alla transizione fra i due livelli iperfini dello stato fondamentale dell’atomo di cesio 133. 2.A.1.2 Lunghezza Il metro (m) è la lunghezza del tragitto percorso nel vuoto dalla luce in 1/299 792 458 di secondo. La definizione formulata come equazione matematica è la seguente: 1 m = c•t, dove t = 1/299 792 458 s. Ne consegue che c = 299 792 458 m/s. I simboli c, t e s stanno rispettivamente per velocità della luce nel vuoto, tempo e secondo. La definizione del metro assegna un valore fisso alla velocità della luce c. Quindi, questa costante fondamentale non può più essere misurata essendo stata assunta come esatta. Ne consegue che l’unità di lunghezza dipende dal secondo, unità di tempo. 2.A.1.3 Massa Il chilogrammo (kg) è pari alla massa del prototipo internazionale del chilogrammo. Finora non è stato possibile associare con sufficiente accuratezza l’unità della massa a costanti naturali. Pertanto, come campione di riferimento per determinare la massa si utilizza ancora oggi il chilogrammo prototipo materiale preparato nel 1889 con una lega del 90 % di platino e del 10 % d’iridio. È custodito nel Bureau International des Poids et Mesures (BIPM) a Sèvres presso Parigi. Per trasmettere questa unità alla grande maggioranza delle Nazioni aderenti alla Convenzione del Metro sono state consegnate copie del chilogrammo prototipo di Parigi, i così detti campioni nazionali, i quali vengono utilizzati nei Laboratori nazionali di metrologia per controllare i campioni di lavoro con i quali si verificano infine i pesi e le bilance usati nella pratica. Si sta recentemente studiando una nuova definizione di chilogrammo, basata su costanti fondamentali e fenomeni atomici. Ciò allo scopo di renderla maggiormente accurata e realizzabile in ogni laboratorio specializzato. Una delle proposte su cui si sta lavorando è quella di legare la definizione di chilogrammo al numero di Avogadro N = 6.022 141 99(47) u 1023 mol-1 , questo valore è stato determinato con un’incertezza relativa di 8 parti su cento milioni ed è definito Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 23-2 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 2: Introduzione alla Misura come il numero di atomi che sono contenuti in 12 g (numero esatto) del nuclide 12C (si rammenti che 12C = 12 è la base di riferimento dei pesi atomici). Siccome questo è il numero di unità chimiche contenuto in ogni mole, N ha unità di misura mol-1. Se si riuscisse a ridurre l’incertezza con cui è noto ad una sola parte su cento milioni, sarebbe possibile fondare la definizione dell’unità di massa sulla costante di Avogadro (che sarebbe a tal punto considerato una costante fondamentale senza alcuna incertezza), così come il metro è definito assegnando il valore 299 792 458 m/s alla velocità della luce. Delle proposte alternative di definizione del kilogrammo sono: x L'utilizzo della bilancia di Watt (un apparato elettromeccanico usato per la definizione dell'ampere) per correlare il chilogrammo alla costante di Planck, sfruttando le definizioni di volt e di ohm. x Da quando il valore della costante di Josephson (CIPM (1988) Raccomandazione 1, PV 56; 19) e della costante di Von Klitzing (CIPM (1988), Raccomandazione 2, PV 56; 20) si conoscono con sufficiente accuratezza (KJ Ł 4.835 979×1014 Hz/V e RK Ł 2.581 280 7×104 ȍ), è stato proposto di ridefinire il chilogrammo come: Il chilogrammo è quella massa che subisce una accelerazione di 2×10í7 m/s2 se soggetta alla forza che si sviluppa tra due conduttori retti, paralleli, di lunghezza infinita e sezione circolare trascurabile, posti nel vuoto alla distanza di un metro, attraverso cui scorre una corrente elettrica costante di 6,241 509 629 152 65×1018 cariche elementari al secondo. 2.A.1.4 Temperatura Il kelvin (K) è la frazione 1/273.16 della temperatura termodinamica del punto triplo dell’acqua. Il punto triplo dell’acqua corrisponde all’unico stato termodinamico in cui le fasi liquida, solida e gassosa sono in equilibrio fra loro. Fintanto che le tre fasi coesistono, la temperatura e la pressione rimangono costanti e sono indipendenti dalla quantità delle singole fasi. Il punto triplo dell’acqua e lo zero assoluto risultante dalla legge naturale definiscono la scala termodinamica della temperatura. La realizzazione pratica della scala termodinamica avviene di regola con una serie di punti fissi di temperatura altamente stabili i cui valori termodinamici sono stati determinati tramite termometri primari – ad es. termometri a gas - e quindi stabiliti a livello internazionale dalla Scala internazionale della temperatura (ITS-90). 2.A.1.5 Quantità di sostanza La mole (mol) è la quantità di sostanza di un sistema che contiene tante entità elementari quanti sono gli atomi in 0.012 chilogrammi di carbonio 12. Quando si usa la mole, le entità elementari devono essere specificate; esse possono essere atomi, molecole, ioni, elettroni, altre particelle, oppure raggruppamenti specificati di tali particelle. Nota: Questa definizione si riferisce ad atomi che si trovano nello stato fondamentale, in riposo e non legati. Se si conoscono le masse atomica e molecolare relative, il numero di particelle (che debbono essere esattamente definite) può essere determinato tramite pesatura, Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 23-3 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 2: Introduzione alla Misura tenendo conto che 1 mole contiene tante entità elementari quanti sono gli atomi contenuti in 12 g del nuclide di carbonio 12C, cioè un numero pari al numero di Avogadro. La mole è stata accettata come settima unità di base nel SI soltanto nel 1971, in occasione della 14a Conferenza Generale dei Pesi e delle Misure (CGPM). 2.A.1.6 Intensità di corrente elettrica L’ampere (A) è l’intensità di una corrente elettrica costante che, percorrendo due conduttori paralleli rettilinei, di lunghezza infinita, di sezione circolare trascurabile, posti alla distanza di un metro l’uno dall’altro nel vuoto, produrrebbe fra questi conduttori una forza uguale a 2•10-7 N per metro di lunghezza. Proposta nel 1946 dal Comité International des Poids et Mesures (CIPM), la definizione attualmente valida dell’ampere è stata accettata a livello internazionale nel 1948. La definizione dell’ampere non si presta alla realizzazione pratica dell’unità d’intensità della corrente elettrica; con essa però si stabilisce il valore della permeabilità magnetica del vuoto µ0. Se si calcola con l’ausilio della legge di Ampère la forza tra due conduttori paralleli rettilinei a distanza di un metro e si introducono i valori della definizione di ampere, si ottiene: F I2 P0 o P 0 4S 10 7 Hm 1 l 2Sd F/l: forza per metro di lunghezza del conduttore; I: intensità di corrente; d: distanza dei conduttori Come quella del metro, la definizione di ampere serve unicamente a stabilire una costante fondamentale. Stabilendo µ0 e la velocità della luce c (definizione metrica), è pure stabilita la costante dielettrica del vuoto H0. Tramite questi valori e le note leggi fisiche vi sono molte possibilità di realizzare valori assoluti di grandezze elettriche per l’utilizzo in tarature. Presso numerosi laboratori nazionali di metrologia i campioni di grandezze elettriche vengono realizzati sfruttando effetti quantistici. 2.A.1.7 Intensità luminosa La candela (cd) è l’intensità luminosa, in una determinata direzione, di una sorgente che emette una radiazione monocromatica di frequenza 540•1012 Hz e la cui intensità energetica in tale direzione è di 1/683 watt per steradiante. Essendo la luce nient’altro che una radiazione elettromagnetica misurabile con unità già note, non sarebbe di per sé necessario creare un’unità di misura particolare. E’ stato tuttavia convenuto di creare unità che servano per la quantificazione dell’effetto della radiazione elettromagnetica sulla vista umana e, per ragioni storiche, è stata anche definita una unità di base specifica. Con le unità fotometriche non viene quindi misurata la luce soltanto secondo la sua natura fisica, ma ne viene misurata la percezione dell’occhio umano. Ove si voglia quantificare l’effetto della luce sull’occhio umano, come è attualmente il caso nella fotometria, occorre una misura per la sensibilità media dell’occhio umano alle singole componenti cromatiche della luce visibile. Tale misura è data dal fattore spettrale di visibilità V(Ȝ), i cui valori sono stati determinati a partire da misurazioni fatte su numerosi individui e sono state fissate internazionalmente per le lunghezze d’onda comprese tra 360 e 830 nm. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 23-4 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 2: Introduzione alla Misura 2.A.2. Costanti fondamentali del sistema internazionale: x permeabilità magnetica del vuoto µ0 = 4S10-7 m kg/(s2A2) (H/m) x velocità della luce nel vuoto c=299 792 458 m/s x costante dielettrica del vuoto H0=8.8541878176 10-12 s4A2/(kg m3) (F/m) 2.A.3. Prefissi utilizzati nel sistema internazionale Tabella 3 1 000 000 000 000 000 000 000 000 1 000 000 000 000 000 000 000 1 000 000 000 000 000 000 1 000 000 000 000 000 1 000 000 000 000 1 000 000 000 1 000 000 1 000 100 10 0.1 0.01 0.001 0.000 001 0.000 000 001 0.000 000 000 001 0.000 000 000 000 001 0.000 000 000 000 000 001 0.000 000 000 000 000 000 001 0.000 000 000 000 000 000 000 001 2.A.4. = 1024 = 1021 = 1018 = 1015 = 1012 = 109 = 106 = 103 = 102 = 101 = 10-1 = 10-2 = 10-3 = 10-6 = 10-9 = 10-12 = 10-15 = 10-18 = 10-21 = 10-24 Yotta Zetta Exa Peta Tera Giga Mega Chilo Etto Deca Deci Centi Milli Micro Nano Pico Femto Atto Zepto Yocto Y Z E P T G M k h da d c m µ n p f a z y Unità definite indipendentemente alle unità SI di base grandezza unità simbolo definizione massa unità di massa atomica u l'unità di massa atomica è pari a 1/12 della massa di un atomo del nuclide 12C energia elettronvolt eV l'elettronvolt è l'energia acqusita da un elettrone che passa nel vuoto da un punto ad un'altro che abbia un potenziale superiore di 1 volt 1 u = 1.6605655 x 10-27 kg 1 eV = 1.6021892 x 10-19 J 2.A.5. Definizione delle Unità SI derivate Le unità SI derivate si ottengono combinando tra loro le unità di base in monomi del tipo seguente: mD· kgE· sJ· AG· KH· mol[· cdK con coefficiente numerico 1; gli esponenti D, E, J, ecc sono numeri interi (compreso lo zero). Ad esempio l'unità SI di volume è il metro cubo (simbolo m3); l'unità di accelerazione è il metro al secondo al quadrato (simbolo m·s-2 o m/s2), l'unità di quantità di moto è il Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 23-5 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 2: Introduzione alla Misura metro per kilogrammo al secondo (simbolo m·kg·s-1 ovvero m·kg/s). Quando, nel rappresentare un'unità derivata, al denominatore compaiono più unità bisogna fare ricorso agli esponenti negativi o all'uso di parentesi per evitare equivoci. L'unità di viscosità dinamica è il kilogrammo al metro al secondo; essa si esprime quindi in kg·m-1·s-1 o, in modo sicuramente non ambiguo, in kg/(m·s). Tra le unità SI di base l’unità di massa è la sola il cui nome contiene un prefisso, per ragioni storiche. I multipli e sottomultipli dell’unità di massa si formano aggiungendo i nomi del prefisso all’unità "grammo" ed il simbolo del prefisso al simbolo dell’unità "g". Esempio: 10-6 kg = 1 mg (un milligrammo) e non 1 µkg (un microkilogrammo). Nelle tabelle seguenti sono riportate le grandezze derivate con unità di misura dotate di nome proprio. Tabella 4 Grandezze definite in meccanica Grandezza Unità Simbolo hertz Hz 1 Hz = 1 s-1 Forza newton N 1 N = 1 kg m s-2 Pressione pascal Pa 1 Pa = 1 N m-2 Lavoro, energia joule J 1J=1Nm Potenza watt W 1 W = 1 J s-1 Frequenza Comversione Tabella 5 Grandezze definite in termodinamica Grandezza Temperatura Celsius Unità Simbolo grado Celsius °C Conversione T(°C) = T(K) – 273,15 Tabella 6 Grandezze definite in elettromagnetismo Grandezza Carica elettrica Differenza di potenziale elettrico Capacità elettrica Resistenza elettrica Conduttanza elettrica Flusso d'induzione magnetica Induzione magnetica Unità Simbolo coulomb C 1C=1sA volt V 1 V = 1 W A-1 farad F 1 F = 1 C V -1 ohm siemens S 1 = 1 V A -1 1 S = 1 W-1 weber Wb 1 Wb = 1 V s tesla T Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 Conversione 1 T = 1 Wb m -2 23-6 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 2: Introduzione alla Misura Induttanza henry 1 H = 1 Wb A-1 H Tabella 7 Grandezze definite in fotometria Grandezza Unità Simbolo Flusso luminoso lumen lm 1 lm = 1 cd sr lux lx 1 lx = 1 lm m -2 Illuminamento Conversione Tabella 8 Grandezze definite in dosimetria Grandezza Unità Simbolo Attività (di un radionuclide) becquerel Bq 1 Bq = 1 s -1 gray Gy 1 Gy = 1 J kg-1 sievert Sv 1 Sv = 1 J kg -1 Dose assorbita, kerma Equivalente di dose 2.A.6. Conversione Unità di misura non SI autorizzate Tabella 9 Unita non SI Grandezza Unità Simbolo Conversione Volume litro l 1 l = 10 m3 Massa tonnellata t 1 t = 103 kg Massa unità di massa atomica u 1 u = 1,66x10-27 kg Tempo minuto min 1 min = 60 s Tempo ora h 1 h = 3600 s Tempo giorno d 1 d = 86400 s bar bar 1 bar = 105 Pa elettronvolt eV 1 eV = 1,6x10 -19 J Pressione Energia -3 2.A.7. Unità di misura non SI vietate Nella tabella seguente sono elencate alcune unità di misura spesso usate nella pratica e non più ammesse legalmente. Fino al 31-12-2009 tali unità potranno essere utilizzate solo se accompagnate dalle corrispondenti unità legali. Tabella 10 Unità non SI vietate Grandezza Massa Forza Pressione Pressione Energia Denominazione quintale kilogrammo-forza torr atmosfera caloria a 15 C caloria internaz. caloria termochim. Simbolo q kgf torr atm cal15 calit caltc Conversione 100 kg 9,80665 N 33,322 Pa 101325 Pa 4,1855 4,1868 4,1840 J Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 J J 23-7 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 2: Introduzione alla Misura Potenza 2.A.8. cavallo vapore CV 735,499 W SNT - Sistema Nazionale di Taratura Con legge 11 agosto 1991 n. 273: Istituzione del Sistema Nazionale di Taratura, il legislatore ha affidato al SNT il compito di assicurare la riferibilità dei risultati delle misurazioni ai campioni nazionali. Questo Sistema è costituito dagli istituti metrologici primari e dai Centri di taratura. In virtù di tale legge, svolgono le funzioni di Istituti metrologici primari: 1) L’INRIM (Isituto Nazionale di Ricerca Metrologica, http://www.inrim.it/) istituito nel 2006 che riunisce i preesistenti Istituti: x Istituto di Metrologia Gustavo Colonnetti (IMGC) del Consiglio Nazionale delle Ricerche, di Torino, per i campioni riguardanti le unità di misura impiegate nel campo della meccanica e della termologia (http://www.imgc.to.cnr.it/) x Istituto Elettrotecnico Nazionale Galileo ferrarsi (IEN), di Torino, per i campioni riguardanti le unità di misura del tempo e delle frequenze e per le unità di misura impiegate nel campo dell'elettricità, della fotometria, dell'optometria e dell'acustica (http://www.ien.it/); 2) L'Ente per le Nuove Tecnologie, l'Energia e l'Ambiente (ENEA) di Roma, per i campioni nazionali delle unità di misura impiegate nel campo delle radiazioni ionizzanti (http://www.enea.it/). Su proposta degli Istituti metrologici primari, nel febbraio 1994, è stato infine definito, con un apposito decreto legge, l'insieme dei campioni nazionali di alcune unità di misura del Sistema Internazionale per quanto riguarda sia le unità SI di base sia alcune unità derivate. Per ciascuna di esse viene indicato il campione (e la relativa incertezza), l'istituto che lo realizza, mantiene e dissemina. Gli Istituti metrologici primari, per svolgere la loro attività, si avvalgono anche delle risorse messe a disposizione da altri Istituti che svolgono attività metrologiche. A partire dal 1997 gli Istituti metrologici primari, per mezzo delle loro Strutture di Accreditamento hanno effettuato l’accreditamento di numerosi Laboratori metrologici secondari quali Centri di taratura, costituendo così il SIT – SERVIZIO DI TARATURA IN ITALIA. Con deliberazioni del dicembre 2003 IMGC/CNR e IEN hanno trasferito la responsabilità e il controllo dell’accreditamento al Responsabile della Segreteria Centrale del SIT. Dal maggio 2004 tale autorità è stata estesa per le attività che riguardano ogni tipo di Laboratorio di taratura, per qualunque tipo di grandezza fisica. La procedura di accreditamento iniziale si conclude con l’emissione di un Certificato di accreditamento, in cui il SIT attesta la competenza del Laboratorio ad effettuare tarature che assicurano nel tempo la riferibilità ai campioni nazionali o internazionali e riconosce al Laboratorio la facoltà di emettere certificati di taratura SIT, che presentano l’intestazione SIT – SERVIZIO DI TARATURA IN ITALIA, per gli strumenti, i campi, le incertezze e le condizioni di misura specificate in un’apposita tabella di accreditamento. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 23-8 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 2: Introduzione alla Misura Questi certificati, che hanno la stessa validità tecnica di quelli rilasciati dagli Istituti metrologici primari, naturalmente tenendo conto dei livelli d’incertezza dichiarati, garantiscono la riferibilità della strumentazione tarata. Essi hanno trovato una favorevole accoglienza non solo a livello nazionale, ma anche in misura crescente a livello internazionale, grazie agli accordi di mutuo riconoscimento tra il SIT e gli analoghi Organismi di accreditamento di Paesi diversi. La riferibilità della strumentazione è richiesta in misura crescente nei più diversi settori: attività di ricerca e sviluppo, laboratori di prova addetti alla certificazione tecnica dei prodotti, sistemi per il controllo automatico di processi di produzione, aziende che operano in regime di assicurazione della qualità e pubbliche amministrazioni. In particolare, sono stati stabiliti stretti rapporti con il Sistema Nazionale Accreditamento di Laboratori (SINAL) e con il Sistema Nazionale Accreditamento di Organismi di Certificazione (SINCERT), con i quali si collabora nella federazione FIDEA, al fine di garantire un coordinamento delle procedure operative richieste da tali sistemi. 2.A.8.1 I Campioni nazionali Tabella 10 Campioni nazionali delle unità fondamentali dell’istituto G. Colonnetti Grandezza nome dell’unità (simbolo) Descrizione Incertezza tipo o incertezza tipo relativa lunghezza metro [m] Laser HeNe stabilizzati per riferimento a transizioni dello iodio. 2,5u10-11 massa kilogrammo [kg] Copia n. 62 del prototipo internazionale 2,3 Pg temperatura termodinamica kelvin [K] Scala internazionale di temperatura del 1990 (STI90) 0,1mK (273,16 K) 0,1 mK (24,6 K) 0,3 K (2500 K) angolo piano radiante [rad] Tavole a indice e generatori di piccoli angoli 0,24 Prad Tabella 11 Campioni nazionali delle unità fondamentali dell’istituto G. Ferraris Grandezza nome dell’unità (simbolo) tempo secondo [s] Descrizione Incertezza tipo o incertezza tipo relativa da un insieme di orologi atomici al cesio indipendenti ed è confrontata via satellite con le 1u10-13 Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 23-9 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 2: Introduzione alla Misura secondo [s] scale di tempo degli altri paesi. Essa è mantenuta entro ± 100 ns rispetto alriferimento internazionale UTC (Universal Time Coordinated ). Intensità di corrente ampere [A] è derivata dal campione nazionale di tensione elettrica (schiera di giunzioni Josephson) e di resistenza elettrica (dispositivo per l'effetto Hall quantistico). La derivazione avviene secondo la relazione I = U/R tra la corrente 5u10-7 Intensità di radiazione candela [cd] derivazione dai campioni nazionali di tensione elettrica e di resistenza elettrica mediante un radiometro assoluto; essa è conservata mediante un gruppo di lampade ad incandescenza alimentate in corrente continua e tarate ad intensità dicorrente costante. 5u10-3 per intensità luminose da 100cd a 500cd Tabella 12 campioni nazionali di unità SI derivate Angolo piano IMGC Massa volumica IMGC Portata di massa IMGC Forza IMGC Pressione IMGC Pressione sonora IEN Potenza elettrica IEN Tensione elettrica IEN Intensità di campo elettrico IEN Resistenza elettrica IEN Capacità elettrica IEN Flusso di induzione magnetica IEN Induzione magnetica IEN Induttanza IEN Flusso luminoso IEN Attività (dei radionuclidi) ENEA Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 23-10 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 2: Introduzione alla Misura Dose assorbita ENEA Densità di flusso di neutroni ENEA Esposizione ENEA Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 23-11 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata 3. Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata 3. Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata .......... 29 3.1. Introduzione ............................................................................................... 29 3.2. Strumenti Elettromeccanici......................................................................... 29 3.2.1. Strumenti Magnetoelettrici .................................................................. 30 3.2.2. Strumenti Elettrodinamici .................................................................... 38 3.2.3. Considerazioni Finali........................................................................... 39 3.3. Strumenti Elettronici Analogici.................................................................... 40 3.3.1. Dal Voltmetro all’Amperometro ........................................................... 41 3.3.2. Dal Voltmetro all’Ohmetro ................................................................... 42 3.3.3. Voltmetro in AC ................................................................................... 43 3.3.4. I Multimetri........................................................................................... 50 3.4. Strumenti Elettronici Numerici: Voltmetri Numerici ad Integrazione ........... 51 3.4.1. Il Voltmetro Numerico con Convertitore AD a Doppia Rampa............. 51 3.4.2. Multimetri Digitali................................................................................. 57 3.4.3. Specifiche di un DMM ......................................................................... 58 . 3.1. Introduzione In questa sezione verranno presentati alcuni strumenti elettronici tra i più semplici e diffusi. La prima parte del capitolo fornisce un accenno sugli strumenti elettromeccanici; tali strumenti, sebbene obsoleti, presentano caratteristiche che possono risultare utili per la comprensione del funzionamento degli strumenti più attuali e delle loro caratteristiche (sensibilità, portata,errori di misura e banda). 3.2. Strumenti Elettromeccanici Gli strumenti elettromeccanici classici si dividono in diverse categorie a seconda del principio di funzionamento. In generale sono strumenti che sfruttano la conversione dell’energia elettrica in energia meccanica. Quest’ultima viene utilizzata per muovere un indice ancorato ad un equipaggio mobile (indicatore) su di una scala graduata, ed ottenere così l’indicazione della grandezza misurata. Sono perciò intrinsecamente passivi: l’energia utilizzata per il funzionamento dello strumento viene infatti sottratta al sistema sotto misura. Qui di seguito descriveremo brevemente il funzionamento degli strumenti detti ad azione proporzionale o magnetoelettrici, che possono essere utilizzati per misure in corrente continua e quello degli strumenti elettrodinamici, che vengono normalmente utilizzati per le misure di tensioni e correnti in AC (a frequenza industriale). Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 29 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata 3.2.1. Strumenti Magnetoelettrici Sono strumenti ampermetrici (misurano la corrente che percorre una spira). Sono costituiti da un equipaggio mobile su cui è montata una bobina percorsa dalla corrente sotto misura, I. Le spire della bobina (vedi figura 1) sono poste in un campo magnetico B generato da un magnete permanente tra le espansioni polari. I due lati della spira ortogonali al campo B sono soggetti ad una forza data da: dF I dL B (1) La bobina mobile (composta da N spire) è soggetta ad una coppia elettromotrice, Cm, data da: Cm NBIL1 L2 (2) KI La coppia elettromotrice è proporzionale alla corrente I sotto misura, tramite una costante che dipende dalle caratteristiche costruttive dello strumento. L’equipaggio mobile è vincolato alla sua posizione di riposo tramite una molla torsionale. Esso è pertanto sottoposto anche alla coppia antagonista data da: C A K M G , in cui KM è la costante della molla e G indica la deviazione angolare dell’equipaggio mobile dalla sua posizione di riposo. All’equilibrio le due azioni si bilanceranno nel modo seguente: KI KM G G K I KM (3) La posizione angolare dell’equipaggio mobile risulta proporzionale alla corrente che circola nella bobina mobile. Vincolando un indice all’equipaggio mobile e facendolo muovere su di una scala graduata opportunamente tarata è possibile ottenere una lettura diretta della corrente che percorre la bobina. B L2 Fa I Fb G L1 Asse di rotazione qG Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 30 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata Figura 1. Schemi di uno strumento magneto-elettrico 3.2.1.1 Analisi della Risposta Dinamica dello Strumento Consideriamo adesso la risposta dinamica del sistema. L’equazione del moto del dell’equipaggio mobile è data da: J G K M G K V G KI (4) La (4) tiene conto del coefficiente di attrito viscoso (Kv), della forza di richiamo elastica (KM) e della costante strumentale (K). J è il momento d’inerzia. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 31 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata E’ una dinamica del secondo ordine che, come ben noto, può presentare, in funzione dei parameri caratteristici, un andamento con presenza o meno di sovraelongazioni ed oscillazioni più o meno marcate. Riportando il sistema nella variabile di Laplace e considerando come ingresso la corrente e come uscita la variazione angolare della bobina otteniamo: G( s ) Cm ( s ) 1 Js K V s K M 2 (5) La (5) rappresenta la f.d.t. nel dominio s del sistema sotto esame. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 32 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata Questo strumento si utilizza per la misura di grandezze in DC. Tipicamente per gli strumenti elettromeccanici la risposta al transitorio si esaurisce in tempi che sono dell’ordine del secondo. Una caratteristica desiderabile per questi strumenti è che la dinamica non risulti sottosmorzata: si cerca in genere di realizzare strumenti che siano caratterizzati da uno smorzamento leggermente al di sopra di quello critico. La dinamica del sistema qualifica lo strumento in termini di prontezza, cioè ci dice quale sia il tempo che lo strumento impiega per adattare l’indicazione ad una brusca variazione della grandezza sotto esame. Si vede anche che questi strumenti ad azione proporzionale sono filtri passa-basso, con una banda che è determinata essenzialmente dalle caratteristiche meccanicocostruttive. Se si pone in ingresso ad uno di questi strumenti una grandezza in AC (a frequenze industriali 50 Hz) si ottiene l’indicazione del valor medio ovvero un’indicazione nulla. 3.2.1.2 Portata dello Strumento In generale ciascuno strumento sarà utilizzabile per misurare grandezze che cadono in un ben preciso intervallo di valori. La portata (o fondo-scala) dello strumento indica la massima grandezza misurabile. Ad esempio per il semplice strumento presentato la portata indica la corrente IFS che causa la massima deviazione ammissibile dell’indicatore. Per quanto riguarda la portata dello strumento, questa si aggira, per un buon galvanometro intorno ai 50PA. Resta un’ultima considerazione sulla polarità della corrente. Poiché l’ago indicatore solitamente poggia, in posizione di riposo, su un perno in corrispondenza dello zero della scala è necessario fornire la corrente nel verso opportuno (indicato dal costruttore) per non danneggiare lo strumento facendo piegare l’ago. Tuttavia per ovviare a questa situazione esistono strumenti con lo zero a centro scala, liberi cioè di muoversi indifferentemente in entrambe le direzioni. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 33 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata 3.2.1.3 Dal Galvanometro all’Amperometro Per ottenere uno strumento di maggior utilità è possibile estendere la sua applicabilità inserendo dei componenti aggiuntivi: Vediamo in figura 2 rappresentati a) lo strumento magnetoelettrico descritto in precedenza, come un ampermetro ideale (resistenza nulla) con in serie una resistenza Ra che rappresenta la resistenza della bobina, b) uno strumento ottenuto connettendo una resistenza Rs in parallelo alla bobina ampermetrica. Questa resistenza detta resistenza di Shunt viene utilizzata per estendere la portata dello strumento. E’ infatti ovvio che la corrente che raggiunge la bobina Ia è una frazione della corrente Is che entra nello strumento: Ia Is Rs Ra Rs (6) KR Is Il rapporto KR può essere realizzato in modo arbitrario, 1/10 1/100 etc... eventualmente aggiungendo ad Ra un resistore. L’inserzione del resistore di Shunt aumenta la portata diminuendo ovviamente la wG sensibilità dello strumento (s= ) (vedi paragrafo 3.2.1.5). wI In genere uno strumento è realizzato prevedendo più portate, comprendendo alcuni resistori di shunt di diverso valore che possono essere inseriti in parallelo attraverso un deviatore. In portata minima si ha accesso diretto alla bobina ampermetrica (massima sensibilità). L’insieme di possibili portate a disposizione di un particolare strumento, determina il campo (‘range’) di misura. Ra Ra Rs Figura 2. Inserzione di un amperometro ideale e reale Si noti che l’avvolgimento è realizzato con particolare accorgimenti per la leggerezza e la bassa resistività: perciò la sua resistenza è molto suscettibile di variazioni indotte dalla temperatura, il che comporta una scarsa accuratezza del sistema. Si preferisce pertanto inserire in serie al galvanometro una resistenza nota Rn>>Ra, in modo da stabilizzarne le prestazioni. La corrente pertanto non sarà più data dalla (6) ma dalla (7): Ig Rsn I Rsn Ra Rn Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 (7) 34 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata dove è stato necessario, a parità di portata dello strumento sostituire (aumentare) la resistenza Rs con una nuova Rsn. Per potere coprire più portate viene posto un selettore di resistenze di shunt in parallelo al galvanometro e in funzione della resistenza scelta e del valore della corrente letta dal galvanometro si ottiene una lettura pari a : I Rsn Ra Rn Ig Rsn (8) Per adesso abbiamo considerato il generatore di corrente come un generatore ideale. Di fatto se considerassimo un generatore reale di corrente dovremmo anche preoccuparci di come lo strumento carichi il circuito. In altre parole si dovrebbe tenere in considerazione la differenza fra la corrente che scorre idealmente nel circuito e quella che effettivamente vi scorre una volta che lo strumento venga connesso al sistema. La situazione reale è quella schematizzata in figura 3, dove Ro è la resistenza di sorgente del circiuto sotto misura ed Re è la resistenza equivalente data dal parallelo della resistenza di Shunt (Rs) con la serie di Rn e Ra. L’effetto di carico che lo strumento induce sul bipolo da misurare può essere stimato per differenza tra la corrente ideale di cortocircuito I e la corrente Ic che scorre quando viene inserito lo strumento. In particolare, da tale relazione si capisce come lo strumento debba essere costruito al fine di minimizzare questo errore detto di inserzione. Ic Re I R0 Figura 3. Valutazione dell’errore di inserzione nel caso reale L’errore di inserzione EI si esprime come: EI I Ic I I R0 R0 Re Re I R0 Re (9) La (9) rende evidente un fatto chiaro, e cioè che l’amperometro deve avere una Re minima al fine di non perturbare la corrente che idealmente scorrerebbe nel circuito sotto esame (Re=0 situazione ideale ed ottima). 3.2.1.4 Dall’Amperometro al Voltmetro Una volta realizzato un amperometro, il passaggio alla misurazione di tensione è molto semplice. Basterà infatti avvalersi di un resistore noto Rv in modo da potere sfruttare la legge di Ohm. La connessione base per la realizzazione di un voltmetro è quella mostrata in figura 4, dove si è supposto, come nel paragrafo precedente, di schematizzare il bipolo (ai capi del quale si vuole misurare la tensione) come una sorgente di tensione ideale. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 35 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata Rv Ra Figura 4. Schema di misura per un voltmetro realizzato mediante galvanometro La tensione sarà quindi espressa dalla relazione: V ( Ra Rv ) I (10) Una volta nota la portata dal galvanometro, inoltre, la (10) consente di stabilire i valori della serie resistiva in modo da fissare la portata in tensione dello strumento. Anche in questo caso per avere uno strumento versatile è possibile connettere in serie al galvanometro un selettore di portata. Un interruttore, cioè, in grado di cambiare la resistenza della serie in funzione della tensione da misurare. Come prima, si presenta il problema dell’effetto di carico del sistema nel caso reale. Il circuito reale di cui si vuole misurare la tensione non è quello di figura 4 ma quello di figura 5a). Anche in questo caso quindi è possibile effettuare una valutazione di quale possa essere l’impatto dell’inserzione di uno strumento sulle caratteristiche dalla grandezza che si vuole misurare. Tale relazione è valutabile mediante la seguente: R0 R0 Re V Figura 5. a) Generatore reale di tensione b) Schema con rappresentazione del voltmetro e conseguente carico circuitale EV V Vc V V Re R0 Re V R0 R0 Re (11) La (11) dimostra come tale errore di inserzione sia minimo una volta che la resistenza equivalente del voltmetro tenda ad infinito: quando cioè lo strumento non assorbe corrente. Si noti che l’effetto di carico è maggiore nelle portate più basse. 3.2.1.5 Caratteristiche Metrologiche di Uno Strumento Elettromeccanico Per quantificare l’errore commesso da uno strumento si utilizza in genere il termine accuratezza, che, come già detto, indica (impropriamente) il massimo errore che uno strumento commette. Per quanto concerne gli strumenti elettromeccanici, l’accuratezza viene espressa tramite un solo parametro detto classe dello strumento. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 36 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata Esso rappresenta il massimo errore (ev)considerato costante su tutta la scala, espresso in percentuale del fondo scala, vale a dire: ev u100 vFS classe (12) Dalla (12) è possibile ottenere, attraverso la relazione inversa, l’errore massimo, per una certa portata, una volta nota la classe dello strumento. Dalla (12) è inoltre ricavabile l’errore relativo come: wvR vFS u classe 100 u vmis (13) La (13) in particolare riveste un ruolo importante dal punto di vista didattico perché spiega il motivo per cui è molto più conveniente effettuare misure vicino al fondo scala scelto sfruttando tutta la dinamica dello strumento a disposizione. Tuttavia l’indicazione della classe non viene utilizzata per gli strumenti elettronici che vedremo dopo (specialmente per quelli digitali o numerici), in quanto essi presentano caratteristiche metrologiche diverse, dipendenti dalle tipologie di misura che possono effettuare. L’utilizzo di un unico indice per esprimere l’accuratezza assoluta dello strumento risulterebbe dunque in un’informazione troppo penalizzante per le potenzialità dello strumento. Un altro parametro utilizzato per definire la qualità dello strumento e le sue prestazioni è l’impedenza di ingresso, che rende conto degli errori di consumo. Per gli strumenti magnetoelettrici viene fornita in particolare la resistenza specifica Rspec=1/IFS, definita per i voltmetri come resistenza offerta dallo strumento in portata 1 V. La resistenza d’ingresso del voltmetro in qualunque altra portata può essere ottenuta come: Rin (14) RspecVFS Valori tipici per Rspec sono alcune decine di k:. E’ importante definire anche la sensibilità di uno strumento, cioè la minima variazione dell’indicazione dello strumento stesso distinguibile dal rumore rapportata alla variazione della grandezza d’ingresso che l’ha causata. La sensibilità indica il guadagno dello strumento quando esso misuri la grandezza più piccola: nel caso di uno strumento magnetoelettrico, la sensibilità è data da: s wG wI (15) Talvolta con sensibilità si intende la minima portata dello strumento. Per uno strumento magnetoelettrico di buona qualità si può arrivare con IFS ad alcuni PA. Negli strumenti elettromeccanici la sensibilità è limitata essenzialmente dalla presenza degli attriti. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 37 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata In modo analogo, è possibile definire la risoluzione come minima grandezza che produce una deviazione dell’indicazione dello strumento che sia distinguibile dal rumore. 3.2.2. Strumenti Elettrodinamici Gli strumenti elettrodinamici sono noti anche come strumenti ad azione quadratica, e vengono utilizzati per le misure in AC di corrente, tensione e potenza. Questi strumenti nascono per applicazioni industriali nelle quali la forma d’onda dei segnali è sostanzialmente sinusoidale. Sinteticamente la loro struttura prevede due bobine, una fissa percorsa dalla corrente di valore istantaneo iF e di valore efficace IF e l’altra mobile solidale con l’indice, percorsa della corrente di valore istantaneo iM e di valore efficace IM. Figura 6. Esprimendo l’energia immagazzinata dal sistema magnetico come: WM La variazione wWM wG 1 1 LF i F2 LM i M2 MiM i F 2 2 (16) wWM esprime la coppia magnetica, dunque all’equilibrio otteniamo: wG wM i F iM wG k AG (17) in cui la coppia antagonista è data da: C A k AG , di cui kA è la costante della molla e G indica la deviazione angolare dell’equipaggio mobile dalla sua posizione di riposo. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 38 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata Questi strumenti possono essere utilizzati come ampermetri (o voltmetri in AC) infatti collegando le due bobine in serie al circuito sotto misura, l’indicazione dello strumento risulta proporzionale al valor quadratico della corrente incognita. Poiché lo strumento risponde con una dinamica piuttosto lenta, l’indicazione risulterà in realtà proporzionale al valore quadratico medio della corrente (valore efficace al quadrato) alle frequenze d’interesse (in genere frequenze industriali 50 Hz). La scala sarà tuttavia quadratica, quindi le prestazioni dello strumento in termini di sensibilità ed accuratezza risulteranno non costanti lungo il campo di misura. Vengono frequentemente utilizzati anche come Wattmetri, ricorrendo per esempio alla seguente inserzione (figura 7): Figura 7. Schema di principio di utilizzo dello strumento come wattmetro Si vede che la bobina mobile viene posta in serie ad una resistenza Rm piuttosto elevata, tale da non caricare in modo sensibile il circuito. La corrente IM data da Vm/Rm sarà dunque proporzionale alla tensione sul carico. La bobina fissa viene invece percorsa dalla corrente di carico. L’indicazione dello strumento sarà perciò proporzionale alla potenza attiva, cioè al valor medio della potenza istantanea (tenendo conto della risposta dinamica di tipo passa basso dello strumento stesso): k AG wM Vm I F cos M wG Rm (18) In questa trattazione si sono ritenuti trascurabili gli errori di consumo (con questa inserzione la tensione sul ramo voltmetrico non è uguale alla tensione sul carico) e quelli dovuti allo sfasamento aggiuntivo introdotto dalle due bobine. Anche questi strumenti seguono essenzialmente una dinamica del secondo ordine. 3.2.3. Considerazioni Finali L’aver presentato brevemente alcuni strumenti elettromeccanici ha consentito di rendere familiare la terminologia ed alcuni concetti fondamentali nel campo delle misure elettriche, vale a dire consumo ed impedenza di ingresso, comportamento dinamico e banda di uno strumento, sensibilità, risoluzione ed accuratezza. Questi termini e questi concetti verranno ripresi nel prosieguo della trattazione. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 39 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata 3.3. Strumenti Elettronici Analogici A differenza dei loro predecessori elettromeccanici, gli strumenti elettronici, prevedono l’inserimento di una catena di condizionamento basata su componenti elettronici. Non sono più strumenti puramente passivi, ma prevedono un’alimentazione propria, ciò che rende possibile innanzitutto ridurre gli errori di consumo. La strumento di base è un voltmetro in DC la cui struttura è rappresentata in figura 8a. In questo schema uno strumento indicatore elettromeccanico, ad esempio magnetoelettrico, viene preceduto da due blocchi di condizionamento. L’attenuatore consente di stabilire la portata dello strumento, in genere è possibile selezionare diverse attenuazioni tramite una serie di interruttori (selettori di portata). In portata minima l’attenuatore viene by-passato. Viene introdotto un blocco amplificatore che separa il circuito sotto misura dallo strumento indicatore. Questo porta i seguenti benefici: x adattamento d’impedenza, l’impedenza d’ingresso dello strumento diventa (in portata minima, quando l’attenuatore non è utilizzato) l’impedenza d’ingresso dell’amplificatore, poiché si tratta di un voltmetro la sua impedenza di ingresso deve essere il più elevata possibile, in genere si realizzano valori dell’ordine delle decine di M:. x adattamento di livello, l’amplificatore consente di aumentare notevolmente la sensibilità dello strumento. L’accuratezza viene comunque determinata dallo strumento indicatore utilizzato. ATTENUATORE AMPLIFICATORE STRUMENTO INDICATORE Figura 8a. Struttura di base di un voltmetro in DC di tipo elettronico La sensibilità del voltmetro è limitata non più dalle prestazioni dello strumento elettromeccanico, ma essenzialmente dalle caratteristiche dell’amplificatore. In particolare, pensando ad un amplificatore accoppiato in continua con stadio d’ingresso differenziale, diventano critiche le derive della tensione di offset. Tali disturbi sono dovuti alla variazione di temperatura, all’invecchiamento etc.., rappresentabili con segnali di bassa frequenza, con le stesse caratteristiche frequenziali del segnale d’ingresso. Pertanto con i voltmetri ad amplificatore si raggiungono tipicamente risoluzioni dell’ordine delle diecine di mV e fondo scala minimi tipici di 0.3 V (considerando derive dell’ordine delle centinaia di PV e accuratezze dell’1%). Con soluzioni circuitali più raffinate si riduce di un ordine di grandezza la deriva e si arriva a risoluzioni dell’ordine dei mV. Per ottenere risoluzioni migliori occorre ricorrere a soluzioni circuitali diverse, quali ad esempio gli amplificatori chopper, il cui schema di principio è riportato in figura 8b. Il segnale in DC viene utilizzato come modulante, le frequenze che si utilizzano per la Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 40 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata portante sono tra i 10 e 100 kHz se si utilizzano interruttori allo stato solido, molto inferiori altrimenti. Si osserva che in questo caso le derive vengono reiettate grazie all’accoppiamento in alternata dell’amplificatore. Utilizzando sistemi in cui ai filtri passa-alto vengono sostituiti filtri passa-banda molto selettivi è possibile ridurre anche il contributo del rumore bianco introdotto dall’amplificatore ed ottenere amplificatori estremamente accurati. Il limite di queste soluzioni risiede essenzialmente nella realizzazione degli interruttori che costituiscono i modulatori ed i demoldulatori, che, se realizzati con dispositivi elettronici, si comportano in maniera non lineare, presentando una resistenza di on che dipende dal livello del segnale. Mediante questa soluzione circuitale si arriva ad un microvoltmetro con tensione di fondo scala minima nell’ordine dei PV. Quando si raggiungono queste sensibilità, occorre tener presente che qualunque disturbo può influenzare la misura. Devono essere presi in considerazione ad esempio il rumore termico generato dalla resistenza di sorgente, le f.e.m. termoelettriche che si presentano in corrispondenza delle giunzioni fra conduttori diversi, poiché possono dare un contributo significativo: nelle giunzioni Cu-Ag ad esempio si hanno f.e.m pari a 0.3PV/°C. Amplificatore AC Pilota Vx AM Filtro P.A. Amplificatore DC Filtro P.A. AD Filtro P.B AA figura 8b. Amplificatore Chopper 3.3.1. Dal Voltmetro all’Amperometro Per ottenere un amperometro occorre anteporre al voltmetro elettronico un blocco di condizionamento che esegua la conversione I-V; generalmente questo viene realizzato semplicemente da una resistenza campione, la scala è tarata direttamente in corrente. Le esigenze di elevata sensibilità e basso carico sono contrastanti: in questo caso, infatti, la tensione che si misura è pari a Vm = RAI, mentre la resistenza serie che mostra l’amperometro corrisponde proprio ad RA. Normalmente i valori di RA vanno da 0.1: a 10: a seconda delle portate. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 41 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata + I RA Vm Voltmetro DC - Figura 9. E’ possibile utilizzare un blocco di conversione che contiene un amplificatore operazionale, secondo lo schema di figura 10: I RA + Vm Voltmetro DC Figura 10. Schema con blocco di conversione con amplificatore operazionale In questo caso la resistenza di ingresso sostanzialmente risulta RA/A, se A è il guadagno dell’amplificatore ad anello aperto mentre Vm=-IRA. A seconda del voltmetro che si impiega si possono ottenere portate minime che vanno dai PA alle centinaia di nA. 3.3.2. Dal Voltmetro all’Ohmetro Per ottenere un ohmetro, è necessario preporre al voltmetro un blocco di condizionamento R-V: Per i voltmetri analogici lo schema più utilizzato è quello di figura 11: I RR VR Rx Vm Voltmetro DC Figura 11. Schema di principio dell’ohmetro La tensione che si misura è legata alla resistenza incognita RX dalla seguente relazione non lineare: Vm VR Rx Rx RR (19) La scala è tarata in valori di resistenza, quando Rx=RR l’indice si trova a metà scala (RR determina le portate), non è opportuno effettuare misure nella seconda metà della scala che risulta ovviamente densa. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 42 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata Una soluzione circuitale che porta ad una indicazione proporzionale alla resistenza è quella in figura 12, normalmente utilizzata nei multimetri digitali, che richiede un generatore di corrente costante. IS Rx Vm Voltmetro DC Figura 12. Schema che fornisce un’indicazione proporzionale al valore resistivo In questo caso la tensione misurata è proporzionale alla resistenza incognita tramite un fattore pari ad IS, che determina la portata dello strumento. Gli strumenti comuni misurano dalle centinaia di m: fino alle decine di M:. 3.3.2.1 Misure a 4 fili Si noti che la tensione misurata Vm rappresenta la caduta sulla resistenza incognita e sui cavetti di collegamento. Se la resistenza Rx è di piccola entità la resistenza misurata, che rappresenta la serie della resistenza incognita con le resistenze dei collegamenti, può risultare affetta da un errore relativo piuttosto consistente. Esistono ohmetri che consentono di effettuare la cosiddetta misura a 4 fili, secondo lo schema riportato in figura 13. V+ Voltmetro DC I+ IS Rx Vm IV- Figura 13. Schema di principio della misura a 4 morsetti In tale configurazione i collegamenti che servono ad alimentare in corrente la resistenza incognita sono distinti da quelli utilizzati per prelevare la tensione. Questi ultimi, anche se lunghi, sono percorsi da una corrente bassa (idealmente nulla) poiché il circuito di misura della tensione si chiude sulla resistenza d’ingresso del voltmetro, che è molto elevata, e la caduta parassita risulta molto ridotta. 3.3.3. Voltmetro in AC Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 43 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata Il voltmetro in AC nasce per la misura dell’ampiezza o del valore efficace di segnali sinusoidali. L’applicazione di questi strumenti a segnali con forme d’onda (a valor medio nullo) diverse è possibile, ma le caratteristiche metrologiche dello strumento peggiorano man mano che ci si discosta dal caso puramente sinusoidale (al crescere della banda del segnale). Per ottenere un voltmetro in AC si utilizzano due diverse soluzioni (vedi figura 13). Nel primo caso si antepone al voltmetro in DC (comprendente l’amplificatore) un circuito di condizionamento, che trasforma il segnale in AC in un segnale in continua di livello proporzionale al valore medio del segnale raddrizzato, al valore di picco o al valore efficace della forma d’onda. La seconda soluzione prevede di amplificare il segnale in AC e successivamente convertirlo in un segnale continuo. Questa seconda soluzione è sicuramente più vantaggiosa dal punto di vista della sensibilità, della linearità e del consumo dello strumento: infatti attraverso l’amplificatore in AC è possibile adattare il livello e l’impedenza d’uscita per pilotare opportunamente il convertitore AC-DC, ed aumentare l’impedenza d’ingresso dello strumento. La seconda soluzione è però svantaggiosa in termini di banda. Qualora si volessero misurare segnali in Radio Frequenza sarebbe praticamente obbligatorio scegliere la prima catena di misura, nella quale il segnale viene immediatamente convertito in continua (o in alternativa in bassa frequenza). I voltmetri in AC sono caratterizzati da una banda utile. Per i segnali sinusoidali con frequenza contenuta all’interno di tale banda i costruttori garantiscono le caratteristiche metrologiche dello strumento. I voltmetri sono spesso realizzati con un condensatore in serie all’ingresso (accoppiati in alternata) al fine di eliminare le eventuali componenti in continua presenti. vm Attenuatore Convertitore AC-DC vm Attenuatore Amplificatore AC Vm Amplificatore DC Convertitore AC-DC Indicatore Vm Indicatore Figura 13. Possibili schemi di misura per grandezze alternate A seconda di come si realizzi il convertitore AC-DC la grandezza Vm può essere: 1. Il valore medio convenzionale. 2. Il valore di picco. 3. Il valore efficace. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 44 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata La scala del voltmetro viene invece sempre tarata in valore efficace; pertanto, se il voltmetro misura una delle altre due possibili grandezze, lo strumento effettua una conversione sulla base di un coefficiente valido solo nel caso di forma d’onda sinusoidale. Nel caso di forma d’onda diversa l’indicazione sarà dunque sbagliata ed occorrerà effettuare una correzione del risultato letto. 3.3.3.1 Valore Efficace e Valore Medio Convenzionale E’ ben nota la definizione di valore efficace per un segnale v(t) periodico di periodo T: 1 T Veff T ³ v(t ) 2 (20) dt 0 per una sinusoide di ampiezza Vp e frequenza f = 1/T, il valore efficace risulta: 1 T Veff T ³ V sen(2S ft ) p 2 Vp dt 2 0 (21) Per i segnali periodici di periodo T, a valor medio nullo (si ricorda che queste sono definizioni del tutto generiche riportate per comodità relativamente al caso di segnale sinusoidale) si è soliti definire anche un valore medio raddrizzato dato da: VMC 1 T T ³ v(t ) dt (22) 0 che per una sinusoide vale: T VMC 1 V p sen(2S ft ) dt T ³0 2V p S (23) mediante la (20) è possibile esprimere il valore efficace del segnale così misurato e mediante le relazioni (24) e (25) è possibile legare tra loro il VMC e Veff. Definito pertanto fattore di forma F come: F Veff (24) VMC che per una sinusoide vale Veff VMC S # 1.11VMC 2 2 (25) Si definisce inoltre il fattore di picco FP, come: Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 45 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata FP Vp (26) Veff per una sinusoide si ha ovviamente FP 2. 3.3.3.2 Voltmetri a Valor Medio In questi voltmetri si misura il valor medio del segnale raddrizzato (valore medio convenzionale) e si riporta un’indicazione del valore efficace ottenuta sfruttando il fattore di forma per una sinusoide, 1.1VMC. Un classico circuito convertitore si ottiene effettuando un raddrizzamento e a seguire un filtraggio passa-basso. Tipicamente si può utilizzare un circuito basato sul ponte (oppure in alternativa raddrizzatore) a diodi come mostrato in figura 14. IN OUT Figura 14. a) Raddrizzatore a singola semionda b) Ponte a doppia semionda E’ chiaro che tali circuiti sono non lineari data la caratteristica I-V dell’elemento diodo. Tuttavia ciò costituisce fonte di incertezza solo quando il livello di tensione che deve essere convertita è vicino alla tensione di innesco del diodo, ovvero quando si lavora nella zona di ginocchio di tale caratteristica. Re Re Figura 15. a) Effetto della non linearità del diodo nello schema con raddrizzatore a singola semionda b) Effetto con raddrizzatore a doppia semionda La misura che si ottiene utilizzando questi convertitori, considerando di porre a valle direttamente lo strumento ampermetrico a bobina mobile, dipende dalla corrente media I, data dalle seguenti equazioni: Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 46 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata I I Vp S ( R e RJ ) 2V p (27) VJ 2( Re RJ ) VJ (28) S ( R e RJ ) ( R e RJ ) sotto le ipotesi che Vp>VJ. La sensibilità è sicuramente limitata dalla tensione di soglia dei diodi. Per strumenti più raffinati è possibile utilizzare raddrizzatori che sfruttano amplificatori operazionali nei quali la tensione di soglia viene ridotta di un fattore pari al guadagno dell’operazionale ad anello aperto (vedi figura 16). R V out R R Vin + Figura16. L’argomento è stato affrontato con considerazioni su voltmetri, quando in realtà con analoghi ragionamenti esso non perde di validità per gli amperometri. 3.3.3.3 Voltmetri a Valore di Picco (a Valore di Cresta) Un’alternativa agli schemi fino a qui proposti è rappresentata dal voltmetro a valore di picco, che esegue una misurazione del valore massimo che il segnale raggiunge durante il periodo di misurazione. Lo schema di principio per effettuare tali tipologie di misure è fornito in figura 17. Questo convertitore si utilizza ad alte frequenze, alle quali la capacità parassita del diodo in OFF riduce l’impedenza del diodo e l’efficacia del raddrizzatore illustrato nel paragrafo precedente. V Vin Vc Vr t C RL Vdc Figura 17. a) Schema di principio per la misura del valore di picco b) Andamenti della tensione di ingresso (Vin) di quella ideale sul condensatore (Vc) e di quella reale con ripple (Vr) Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 47 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata Il capacitore, supposto inizialmente scarico, si carica finché la tensione in ingresso è crescente; successivamente il diodo si interdice ed impedisce la scarica del capacitore. Il capacitore si porta in tal modo fino al valore massimo della tensione in ingresso e la mantiene, supponendo la resistenza di misura molto grande (idealmente infinita). La tensione continua che si ottiene viene quindi letta dal voltmetro in continua. In realtà essendo la resistenza del misuratore, RL, non infinita, si assiste ad un fenomeno che prende il nome di ripple: la tensione ai capi del capacitore tende a diminuire lentamente (Vr), fino a quando, nella successiva semionda positiva, si riporta al valore massimo. Questo causa un errore tanto più grande quanto minore è la frequenza del segnale. Pertanto, fissata un’accuratezza accettabile (errore in tensione), H, ci sarà una frequenza limite inferiore per il funzionamento del voltmetro a valore di picco. Vp f min 2 R L CH La configurazione di figura 17a) non è comunque utilizzata. Qualora, infatti, il segnale in ingresso avesse una componente in continua, questa contribuirebbe ad innalzare il valore della lettura fornendo in tal modo una interpretazione sbagliata della misura del segnale alternato Un circuito che consente di eliminare la componente continua dell’ingresso è quello mostrato in figura 18, a cui viene fatto seguire un rivelatore di picco oppure un filtro passa basso. Vo Vi Figura 18. In figura 19 sono riportati gli andamenti della tensione di uscita. 2 1.5 Vi 1 0.5 0 Vo -0.5 -1 -1.5 -2 0 0.01 0.02 0.03 0.04 0.05 t 0.06 0.07 0.08 0.09 0.1 Figura 19 Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 48 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata Come negli altri strumenti di questo tipo la scala con la quale viene espresso il risultato è tarata per fornire il valore efficace per un segnale sinusoidale e pertanto, se il segnale è di diversa natura, è possibile ricavare il valore di picco del segnale mediante il fattore di cresta (ricordiamo che Valore di cresta Ł Valore di Picco): V picco Vletto u 2 (29) 3.3.3.4 Voltmetri a Valore Efficace I voltmetri a valore efficace misurano direttamente il valore efficace del segnale incognito Vx. In figura 20 è riportato un possibile schema di principio. In questo voltmetro la tensione incognita provoca il riscaldamento di una resistenza Rs (riscaldatore), la cui temperatura risulta proporzionale alla potenza dissipata Vx2 /Rs. Se il sistema termico presenta un’inerzia sufficiente la temperatura sarà proporzionale al valor medio della potenza istantanea, cioè valore efficace della tensione al quadrato. Un sensore di temperatura posto in contatto termico con il riscaldatore (in questo esempio una termocoppia) trasduce la temperatura in un segnale elettrico, in questo caso per effetto Seebeck, la tensione Vm, che viene alla fine misurata dal voltmetro in DC. In linea di principio questi voltmetri possono essere applicati a forme d’onda di qualunque tipo, fornendo un’indicazione corretta del valore efficace. In realtà lo strumento è caratterizzato da una banda finita, e solo i segnali che hanno spettro contenuto nella banda dello strumento vengono misurati correttamente. La limitazione di banda deriva dalle caratteristiche del riscaldatore che non può essere considerato una resistenza pura di valore costante a frequenze troppo elevate. E’ dalla realizzazione del riscaldatore che dipende dunque la banda del voltmetro. E’ possibile realizzare questo dispositivo in modo da ottenere voltmetri applicabili anche al campo della radio frequenza. E’ uno strumento ampermetrico, per misurare la tensione senza caricare eccessivamente il circuito sotto misura, è in genere necessario introdurre un circuito di adattamento (che però limita la banda). ix vx RS Vm Voltmetro DC Figura 20. Schema di principio dl voltmetro a vero valore efficace Una struttura alternativa per ottenere la misura del valore efficace si basa su un sistema di calcolo analogico tradizionale, che sfrutta una serie di amplificatori operazionali. Questa soluzione è appropriata per strumenti con banda limitata (frequenze massima del segnale incognito dell’ordine delle centinaia di kHz). Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 49 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata 3.3.3.5 Calcolo Analogico Sfruttando le configurazioni base per il calcolo analogico, riportate come schemi di principio nella figura 21, è possibile realizzare il calcolo della tensione efficace come da equazione (20). R R2 + R1 V2 R C V1 V out + Vin SOMMATORE C R Vout + Vin Vout INTEGRATORE DERIVATORE R R + Vin + Vin Vout LOGARITMICO Vout ESPONENZIALE log vx |vx| log x - exp ³ V DC 2 Figura 21. Schema per il calcolo analogico del valore efficace 3.3.4. I Multimetri In figura 22 è riportato lo schema di un multimetro analogico. Come è possibile osservare questo strumento permette di effettuare una serie di misure diverse poiché contiene diverse catene di misura selezionabili dall’utente attraverso selettori. In generale un multimetro può effettuare le seguenti misure: V-DC, I-DC, R, V-AC,I-AC Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 50 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata I(DC) CONVERSIONE I-V (DC) : CONVERSIONE SWITCH AMPLIFICATORE DC R-V V(AC) STRUMENTO INDICATORE CONVERSIONE AC-DC V(DC) Figura 22. Schema di principio del multimetro analogico 3.4. Strumenti Elettronici Numerici: Voltmetri Numerici ad Integrazione I voltmetri numerici sostituiscono lo strumento indicatore ad ago con un sistema di conversione analogico digitale ed un sistema di visualizzazione vedi figura 23. Con questa soluzione è possibile superare il limite ultimo sull’accuratezza dello strumento, che come già detto in precedenza, era dettato dallo strumento elettromeccanico indicatore. E’ possibile pertanto ottenere una classe di strumenti con caratteristiche metrologiche molto più spinte dei tradizionali strumenti analogici. E’ importante sottolineare come gli strumenti numerici presentino ulteriori vantaggi. Infatti il dato numerico convertito si presta ad essere memorizzato ed elaborato, e trasferito attraverso opportune interfacce ad altri sistemi di elaborazione o memorizzazione digitale. ATTENUATORE AMPLIFICATORE DC CONVERTI TORE A/D ELABORAZIONE SISTEMA DI VISUALIZZAZIONE MEMORIZZAZIONE INTERFACCIA I/O Figura 23. Schema del voltmetro ad integrazione 3.4.1. Il Voltmetro Numerico con Convertitore AD a Doppia Rampa Il voltmetro in DC, normalmente utilizza un convertitore A/D ad integrazione, la struttura più utilizzata è il convertitore a doppia rampa riportato in figura 24 a) Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 51 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata Ic Iu Integratore di Miller C Vx T Oscillatore interno R Conteggio Al display Td Start/Stop Id Xc Vs Blocco di controllo Vr Reset Figura 24 a). Schema del voltmetro ad integrazione Inizialmente il condensatore viene scaricato, dopo di chè lo strumento opera essenzialmente in due fasi che sono rappresentate in figura 24 b). V Tu Tcommutazione Td t Figura 24. Schema che illustra le rampe dovute rispettivamente a Vx (considerata positiva nell’esempio) nella fase di run-up e Vr in quella di run-down FASE I: con Ic aperto, all’istante t=0 l’interruttore Iu si chiude applicando all’ingresso dell’integratore di Miller (vedi figura 24a) la tensione incognita Vx da misurare. Questa fase detta di run-up ha durata fissa, Tu. Il livello finale di tensione all’uscita dell’integratore Vs, è pari a: Vs 1 VxTu RC (30) FASE II: L’interruttore Iu si apre e si chiude l’interruttore Id (fase di run-down). Supponendo che Vr sia sempre di segno diverso da Vx e di valore assoluto maggiore (Vr rappresenta il fondo scala), si ottiene una rampa con pendenza di segno opposto e determinata da R,C e Vr, pertanto, durante questa fase si scarica completamente il condensatore riportandolo alla tensione iniziale (0 V). Il conteggio Nd (Td) della durata di detta fase si può ottenere imponendo la condizione: Vs − 1 Vr Td RC 0 Vx Tu RC Vr Td RC (31) Dalla (31) si deriva la (32): Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 52 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata Vx Td Vr Tu N d Tc Vr N u Tc Nd Vr Nu (32) in cui Tc = tempo di clock. I vantaggi principali di questa configurazione risiedono principalmente nel fatto che nessun componente incide sull’accuratezza della misura. Essa dipende soltanto dalla stabilità della tensione di riferimento e del clock, e dalle tensioni di offset dell’integratore e del comparatore. 3.4.1.1 Risoluzione e Tempo di Misurazione Per quanto riguarda la risoluzione del convertitore si vede che essa dipende dalla quantizzazione di Td mentre non si hanno errori nella valutazione di Tu, che viene scelto come multiplo intero dell’inverso della frequenza di clock. Dalla (32) possiamo derivare l’espressione del passo di quantizzazione: Vx Nd Vr 'V x Nu Vr (33) Nu Inoltre si ha che: 'V x Vr Vx V fondoscala Nu Nd N d max (34) La (34) si rivela utile al fine di determinare il legame che intercorre tra il passo di quantizzazione e la durata complessiva della misurazione stessa Tmis. Si può infatti scrivere: Tmis Tu Td (35) La (35) può nuovamente essere espressa come: Tmis N u N d Tclock (36) Utilizzando adesso nella (36) la (34) possiamo nuovamente esprimere il tempo di misura come: Tmis N d max Tclock V r V x V fondoscala (37) La (37) rappresenta il tempo di misura espresso in funzione della tensione misurata Vx. Esso risulterà massimo proprio per il valore massimo di Vx che è misurabile. Scegliendo ipoteticamente come Vx massimo il valore del fondo scala scelto si avrà: Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 53 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata N d max Tclock Vr V fondoscala V fondoscala Tmis max § Vr ¨1 ¨ V fondoscala © · ¸ N d max Tclock ¸ ¹ (38) Scegliendo come Vr proprio la V di fondo scala, si ricava/ottiene che il tempo di misura massimo è pari a : Tmis (39) 2 N d max Tclock La (39) permette di esprimere chiaramente il legame inverso che lega il passo di quantizzazione al tempo di misura. Infatti sostituendo la (34) nella (39) Tmis 2 V fondoscala 'V (40) Tclock Considerando adesso b il numero di bit con il quale rappresentare il risultato della misurazione, si deriva che il numero massimo di conteggi potrà essere Ndmax=2b e pertanto il Tmismax=2b+1Tclock. 3.4.1.2 Cause di Incertezza Le principali cause di incertezza per questo tipo di strumento sono: 1. 2. 3. 4. tensioni di offset dell’integratore tensione di offset del comparatore non linearità della rampa di integrazione cariche residue sul condensatore Voff Vr Vx Vout Figura 25. Schema semplificato dell’integratore con presenza di una sorgente di tensione che simula la tensione di offset La nuova relazione equivalente alla (30) diviene adesso: V x Voffset Tc V r Voffset Tx (41) dove con Tc si è indicato il tempo della fase di runup (definito a priori) e con Tx il tempo incognito della fase di rundown. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 54 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata La (36) diviene quindi Vx Vr § T Tx Voffset ¨¨1 x Tc © Tc · ¸¸ ¹ (42) che dimostra come rispetto alla (30) ci sia un termine dipendente da Voffset indicato nella (42) 'V x ª T º Voffset «1 x » ¬ Tc ¼ (43) La seconda fonte di incertezza introduce un ritardo che causa un errore di conteggio e quindi in un errore nella valutazione della tensione incognita Vx. Dal momento che possiamo indicare con (Vx)err la tensione comprensiva di un errore dovuto alla presenza dell’offset del comparatore, possiamo scrivere: V x err Vr Tx Terr Tc Vr Tx Vr Terr Tc Tc (44) e tenendo conto che TerrVr RC Voffset Terr RCVoffset Vr (45) possiamo sostituire la (45) nella (44) ed ottenere nuovamente la (30) con un V RC V x err Vr Tx Terr Vr Tx offset (46) Tc Tc Tc Il termine 'Vx Voffset RC Tc (47) rappresenta il contributo dell’offset del comparatore. In generale, una volta ricavati anche gli altri contributi per i punti restanti, con considerazioni appropriate è possibile calcolare n 'V xtot ¦ 'V (48) xi i 1 3.4.1.3 Reiezione del Rumore I sistemi di misura possono essere soggetti a rumori periodici; in genere questi disturbi sono legati ai ripple presenti sull’alimentazione dello strumento, quando essa Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 55 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata viene ricavata a partire dalla tensione di rete tramite un alimentatore stabilizzato. Tuttavia tali tipi di disturbi sono all’occorrenza eliminati seguendo alcuni accorgimenti. Consideriamo per esempio un disturbo periodico del tipo: Vn (t ) V N sen(2Sf 0 t ) (49) Dal momento che lo strumento selezionato compie un’operazione di integrazione sul segnale di misura, si avrà: Vn V N t T1 ³ sen( 2Sf 0 s )ds T1 t (50) La soluzione della (50) è data dalla (51) e dalla (52) VN >cos( 2Sf 0 ( t T1 )) cos( 2Sf 0 t )@ 2Sf 0 T1 Vn Vn VN § 1 · sen( Sf 0 T1 ) sen2Sf 0 ¨ t T1 ¸ 2Sf 0 T1 © 2 ¹ (51) (52) La (48) in particolare dimostra che, scegliendo opportunamente il prodotto f0T1, è possibile annullare il contributo additivo che tale rumore da’ alla misura. Valori tipici di f0 sono 50Hz in Europa e 60Hz negli Stati Uniti. Talvolta si definisce anche un fattore di reiezione del rumore come: RN VN Vn (53) Poiché nella (53) la situazione ideale sarebbe quella di avere reiezione infinita (RN=f), si dovrà necessariamente integrare il disturbo periodico per un numero intero di periodi, mentre si avrà il massimo rumore per Tm=(2k+1)/2f0. Infatti un rumore periodico sovrapposto al segnale dà un contributo pari al suo valore medio nel tempo di misura Tm. Se il rumore fosse stato di tipo impulsivo, di area A, l’errore sovrapposto alla misura sarebbe stato pari al rapporto A/Tm. 3.4.1.4 Fase di Run-Up Ridotta Descritto il principio di funzionamento del voltmetro ad integrazione, possiamo illustrare come alcune modifiche consentano di ottimizzare la durata della misura. Un primo intervento è quello che si opera sulla struttura di integrazione del circuito di figura 23, per ridurre il tempo della fase di run-up stessa (figura 26). Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 56 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata Ic Iu Ru Integratore di Miller C Vx Id Vs Rd Vr Figura 26. Modifica circuitale per la riduzione del tempo di Run-Up Se RuRd, ripetendo i medesimi ragionamenti che hanno portato a formulare la (30), si ottiene: V x Tu Ru C Vr Td Vx Rd C Ru N d Tclock Vr Rd N u Tclock (54) Dalla (54) si possono subito derivare alcune considerazioni. Il passo di quantizzazione sarà pari a: 'V x Vr Ru N u Rd Vx V fondoscala Nd N d max (55) Quindi anche in questo caso la risoluzione del voltmetro dipende soltanto dal valore di fondo scala e dal numero massimo di conteggi che si possono fare nella fase di run-down. Inoltre il tempo di misurazione risulta pari a: Tmis max N d maxTclock V fondoscala R § Vr u ¨ § · Ru Rd V fondoscala ¸ ¨ 1 ¨ Vr Rd © ¹ ¨ V fondoscala ¨ © · ¸ ¸ N d maxTclock ¸ ¸ ¹ (56) La (56) risulta inferiore alla (37) poiché il rapporto Ru su Rd è minore di 1. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 57 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata 3.1.1. Multimetri Digitali I multimetri digitali (Digital Multi Meter DMM) sono l’analogo dei multimetri analogici e consentono di eseguire una serie di misure diverse, tipicamente misure di tensione (DC e AC), corrente (DC e AC) e resistenza, spesso implementano anche misure di frequenza e di capacità. 3.1.1.1 Struttura Generale di un DMM Lo strumento descritto in figura 27 viene utilizzato come accennato sia per le misure in continua sia per quelle in alternata. In particolare, sono indicati i morsetti di ingresso che consentono di prelevare correnti e tensioni e di effettuare misure di resistenze a due o quattro morsetti (quest’ultima tipologia di misura con l’ausilio dei cavi di ingresso denominati sense). Generatore di Corrente Tensione di Riferimento Amplificazione Sense H L Selettore (Switch) ADC AC/DC Controllo ADC A Sense Elaborazione Dati Visualizzazione Figura 27. Schema a blocchi di principio di un DMM Il blocco di switch, oltre a selezionare la funzione e gli ingressi da analizzare per il tipo di misura scelta, provvede a minimizzare l’effetto di carico (del DMM sul circuito in esame, fenomeno questo peraltro già discusso) e condiziona il segnale. Il campo di misura della tensione continua si estende per un apparecchio commerciale di media qualità da alcuni PV alle centinaia di V. Nel caso di tensioni alternate, il DMM fornisce in genere il vero valore efficace. Come primo approccio la tensione alternata viene trasformata secondo la (20), ha bande nell’ordine delle centinaia di kHz,. Per la misura di correnti continue ed alternate si utilizza una resistenza come convertitore I-V (vedi figura 27) del valore di 0,1 : per le portate più grandi di alcuni : per le portate più piccole. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 58 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata La misura di resistenza viene effettuata iniettando una corrente costante nella resistenza incognita nel range 1 mA (per le portate più piccole, fino al k:) 500nA (per le portate più grandi 10 M:). 3.1.1.2 Misure di frequenza e di tempo – Contatori universali Per la misura di frequenza vengono comunemente impiegati sistemi basati su contatori. Lo schema a blocchi della catena misura tipica è riportato in figura (a). (a) (b) figura 27-bis (a) Catena di misura di frequenza. (b) Catena di misura di periodo Il segnale del quale si vuole misurare la frequenza viene condizionato da un circuito di ingresso che lo trasforma in segnale a due livelli (treno di impulsi con duty cycle fissato). Un sistema detto base dei tempi che contiene un oscillatore, serve a generare segnali con periodo noto a partire dai quali viene generata, dal blocco detto porta, l’abilitazione al conteggio. Il contatore conta cioè i periodi del segnale oggetto di misura per un tempo T0 noto (gate), determinato dalla base dei tempi. Il numero N degli impulsi contati dal contatore in tale intervallo di tempo T0 risulta proporzionale alla frequenza fx degli impulsi in arrivo. N T0 NTx f x T0 In particolare, se il tempo T0 è pari a un secondo, il numero N rappresenta direttamente la frequenza. Altrimenti T0 determina il fattore di scala dello strumento. La stessa struttura viene utilizzata per effettuare misure di periodo (figura 27 bis ( b) ), in questo caso la base dei tempi fornisce il clock per il contatore mentre il segnale di abilitazione al conteggio (gate) viene generato a partire dal segnale oggetto della misura, perciò il contatore è abilitato durante la finestra temporale di durata ¨T mentre il clock ha frequenza fissa fc, nota e stabile, cui corrisponde il periodo Tc =1/fc . Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 59 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata Il numero N degli impulsi contati risulta quindi proporzionale alla durata ¨T, perciò detto Tx il periodo del segnale, se Tx=¨T, si avrà: Tx 'T NTc Nelle misure che impiegano contatori elettronici l’incertezza è determinata dall’errore sul valore risultante del conteggio e dall’incertezza della durata del gate (misure di frequenza) o del periodo del clock (misure di periodo). L’errore di conteggio (count error) di ± 1 impulso è dovuto al fatto che la finestra temporale, durante la quale si contano gli impulsi, non risulta necessariamente un multiplo intero del periodo degli impulsi contati. L’incertezza sulla durata della finestra di conteggio è causata sia dal gating error, dovuto ai disturbi sovrapposti ai segnali di controllo della porta che al time-base error, dovuto all’instabilità dell’oscillatore di clock. È evidente che considerando la propagazione dell’errore massimo nel caso di misure in frequenza si avrà: e fx Hf x In T0 N 1 eT0 2 T0 T0 1 H T0 N cui con e si indicano gli errori massimi assoluti e con H quelli relativi e kTc ; eT0 keTc ; H T0 H Tc (considerando soltanto il time base error). La risoluzione del sistema di misura è in genere principalmente determinata dalla durata della finestra temporale. Per avere la risoluzione di 1 Hz è necessario prevedere un conteggio della durata di 1 s. Analogamente, nel caso di misure di periodo si avrà: eTx Tc eTc N 1 H Tc N L’errore massimo relativo sul conteggio risulta quindi 1/N, e rappresenta anche la risoluzione relativa del dispositivo. Per ridurre l’incidenza percentuale dell’errore di conteggio, bisogna che il numero di impulsi N complessivamente contati durante la finestra temporale di osservazione sia elevato. E’ ovvio perciò come per segnali a bassa frequenza sia preferibile utilizzare misure di periodo, mentre per segnali ad alta frequenza misure di frequenza. Nel caso in cui si eseguano misure di periodo è possibile migliorare l’accuratezza della misura utilizzando una finestra di conteggio di durata 'T, che sia un multiplo del periodo del segnale da misurare, infatti posto 'T=K Tx, sia avrà: HT x KTx 'T N ' Tc Tx N' Tc K NTc e Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 60 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata Tc N' eTc K K 1 H Tx H Tc N' Quindi l’errore relativo di conteggio è diminuito di un fattore pari a K. eTx 3.1.1.3 Specifiche di un DMM Tra le caratteristiche principali dei DMM (in realtà i punti 2 e 3 valgono per qualunque strumento numerico) si possono elencare: Numero di cifre Solitamente sono indicate con 3 ½, 4 ½ (multimetri palmari), 5 ½ oppure 6 ½, 8 ½ (multimetri da banco) dove il numero intero indica le cifre decimali utili, mentre il ½ indica che la cifra più significativa può assumere i valori 0 oppure 1. Ci sono alcune varianti indicate dai costruttori che consentono di leggere oltre il valore massimo di fondo scala. Tale caratteristica prende il nome di over-range (50% o 100%). Risoluzione Corrisponde al peso della cifra meno significativa, nel fondo scala utilizzato. Esempio: supponiamo di avere un DMM con 3 ½ e di effettuare una misura con fondo scala pari ad 1V. La risoluzione sarà pari a: Ris 1 u 1V 1000 1 u 10 3 V 3. Impedenza di ingresso 3.1.1.4 Valutazione dell’Accuratezza di un DMM Non esiste una normativa precisa riguardante la definizione dell’accuratezza dei DMM. Si ricorda che l’accuratezza fornita dal costruttore deve essere in genere intesa come massimo errore. Normalmente l’accuratezza assoluta viene espressa nel modo seguente 'X k1 X k2 ' dove il primo termine della somma rappresenta un contributo all’errore proporzionale al valore letto |X| (errore di guadagno), mentre il secondo termine rappresenta un errore proporzionale al fondo scala, cioè un contributo costante una volta fissata la scala (errori di offset) k2 e k1 vengono forniti sotto forma tabulare dal costruttore dello strumento (vedi esempio in tabella 1), ed il loro valore dipende ovviamente dalla funzionalità scelta per lo strumento (V-DC, V-AC,..), dalla portata scelta, dal range di frequenza per le misure in alternata, dalle condizioni di utilizzo (temperatura umidità etc.) Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 60 b Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 3: Strumenti per la misura di grandezze elettriche in continua ed alternata Accuracy Specifications ± (% of reading + % of range)[1] 24 Hour [2] 23°C ± 1°C 90 Day 23°C ± 5°C 1 Year 23°C ± 5°C Temperature Coefficient 0°C – 18°C 28°C – 55°C 0.0030 + 0.0030 0.0020 + 0.0006 0.0015 + 0.0004 0.0020 + 0.0006 0.0020 + 0.0006 0.0040 + 0.0035 0.0030 + 0.0007 0.0020 + 0.0005 0.0035 + 0.0006 0.0035 + 0.0010 0.0050 + 0.0035 0.0040 + 0.0007 0.0035 + 0.0005 0.0045 + 0.0006 0.0045 + 0.0010 0.0005 + 0.0005 0.0005 + 0.0001 0.0005 + 0.0001 0.0005 + 0.0001 0.0005 + 0.0001 3 Hz - 5 Hz 5 Hz - 10 Hz 10 Hz - 20 kHz 20 kHz - 50 kHz 50 kHz - 100 kHz 100 kHz - 300 kHz[6] 1.00 + 0.03 0.35 + 0.03 0.04 + 0.03 0.10 + 0.05 0.55 + 0.08 4.00 + 0.50 1.00 + 0.04 0.35 + 0.04 0.05 + 0.04 0.11 + 0.05 0.60 + 0.08 4.00 + 0.50 1.00 + 0.04 0.35 + 0.04 0.06 + 0.04 0.12 + 0.04 0.60 + 0.08 4.00 + 0.50 0.100 + 0.004 0.035 + 0.004 0.005 + 0.004 0.011 + 0.005 0.060 + 0.008 0.20 + 0.02 1.000000 V to 750.000 V 3 Hz - 5 Hz 5 Hz - 10 Hz 10 Hz - 20 kHz 20 kHz - 50 kHz 50 kHz - 100 kHz[5] 100 kHz - 300 kHz[6] 1.00 + 0.02 0.35 + 0.02 0.04 + 0.02 0.10 + 0.04 0.55 + 0.08 4.00 + 0.50 1.00 + 0.03 0.35 + 0.03 0.05 + 0.03 0.11 + 0.05 0.60 + 0.08 4.00 + 0.50 1.00 + 0.03 0.35 + 0.03 0.06 + 0.03 0.12 + 0.04 0.60 + 0.08 4.00 + 0.50 0.100 + 0.003 0.035 + 0.003 0.005 + 0.003 0.011 + 0.005 0.060 + 0.008 0.20 + 0.02 100.0000 Ω 1.000000 kΩ 10.00000 kΩ 100.0000 kΩ 1.000000 MΩ 10.00000 MΩ 100.0000 MΩ 1 mA Current Source 1 mA 100 µA 10 µA 5.0 µA 500 nA 500 nA || 10MΩ 0.0030 + 0.0030 0.0020 + 0.0005 0.0020 + 0.0005 0.0020 + 0.0005 0.002 + 0.001 0.015 + 0.001 0.300 + 0.010 0.008 + 0.004 0.008 + 0.001 0.008 + 0.001 0.008 + 0.001 0.008 + 0.001 0.020 + 0.001 0.800 + 0.010 0.010 + 0.004 0.010 + 0.001 0.010 + 0.001 0.010 + 0.001 0.010 + 0.001 0.040 + 0.001 0.800 + 0.010 0.0006 + 0.0005 0.0006 + 0.0001 0.0006 + 0.0001 0.0006 + 0.0001 0.0010 + 0.0002 0.0030 + 0.0004 0.1500 + 0.0002 Frequency, etc. Function Range[3] dc Voltage 100.0000 mV 1.000000 V 10.00000 V 100.0000 V 1000.000 V True rms ac Voltage[4] 100.0000 mV Resistance[7] Tabella 1. Caratteristiche strumentali fornite dal costruttore Valutando l’accuratezza relativa espressa come: *X 'X X k1 k2 ' X (60) ci si rende conto di come, scelto un fondo scala, possa pesare maggiormente il primo contributo rispetto al secondo o viceversa, a seconda del valore assunto dal valore letto (figura 28). K1 e K2 hanno lo stesso peso *X Predomina K2 Predomina K1 X Figura 28. Andamento dell’accuratezza relativa di un DMM, dove si è posto K1=k1e K2=k2'/|X|. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 60 c Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali 4. Oscilloscopi Analogici e Digitali 4. Oscilloscopi Analogici e Digitali ......................................................................... 61 4.1. Introduzione ............................................................................................... 61 4.2. L’Oscilloscopio Analogico........................................................................... 61 4.2.1. Struttura Generale............................................................................... 62 4.2.2. Analisi Dinamica della Deflessione ..................................................... 66 4.2.3. Deflessione Verticale .......................................................................... 68 4.2.4. Deflessione Orizzontale ...................................................................... 69 4.2.5. Sistema di Trigger ............................................................................... 71 4.2.6. Base dei Tempi ................................................................................... 72 4.2.7. Base dei Tempi Ritardata.................................................................... 74 4.2.8. I comandi posizione orizzontale e posizione verticale......................... 76 4.2.9. Oscilloscopi a Tracce Multiple............................................................. 76 4.3. Sonde......................................................................................................... 77 4.3.1. Sonde Passive .................................................................................... 78 4.3.2. Sonde Attive........................................................................................ 80 4.4. L’Oscilloscopio Digitale .............................................................................. 81 4.4.1. Campionamento in Tempo Reale........................................................ 85 4.4.2. Campionamento Asincrono (Tempo Equivalente)............................... 86 4.4.3. Confronto con l’Oscilloscopio Analogico ............................................. 89 4.4.4. Oscilloscopi Digitali a Larghissima Banda........................................... 90 4.4.5. Ricostruzione della Traccia ................................................................. 91 4.4.6. Considerazioni sulla Visualizzazione di un Oscilloscopio Digitale....... 92 4.4.7. La Persistenza .................................................................................... 93 4.4.8. Parametri Caratterizzanti dello Strumento .......................................... 94 4.4.9. Trigger di un Oscilloscopio Digitale ..................................................... 96 4.4.10. Misure Automatiche......................................................................... 97 4.1. Introduzione L’oscilloscopio consente la visualizzazione e l’analisi dei segnali nel dominio del tempo. E’ uno strumento complesso e molto versatile largamente utilizzato in tutti i campi delle misure elettriche ed elettroniche; è importante quindi conoscerne la struttura e i principi di funzionamento, per poter valutare con criticità i risultati ottenuti e per poter interpretare le caratteristiche metrologiche dello strumento. 4.2. L’Oscilloscopio Analogico Storicamente questo strumento si è dimostrato uno dei dispositivi di misura più potenti. Lo scopo sostanziale è quello di rappresentare una tensione Vy in funzione del tempo oppure di un’altra tensione Vx. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 61 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali In generale quindi esso potrà fornire due tipi di visualizzazione: Vy g t (1) Vy f V x (2) Per la (1) parleremo di funzionamento in base dei tempi mentre per la (2) si parlerà di modalità di funzionamento xy. 4.2.1. Struttura Generale I blocchi fondamentali che sostanzialmente tre vedi figura 1: costituiscono l’oscilloscopio analogico sono 1. Il tubo a raggi catodici 2. Il sistema di condizionamento del segnale X (o canale X) 3. Il sistema di condizionamento del segnale Y (o canale Y) Il tubo a raggi catodici o più comunemente CRT (Cathod Ray Tube) è costituito da un tubo elettronico a vuoto, al cui interno viene generato un fascio di elettroni, rappresentato in figura 1a. Il fascio di elettroni che viene generato dal catodo colpisce l’estremità opposta del tubo (schermo), che è ricoperta di fosfori. Nel punto in cui lo schermo viene colpito, gli effetti di fosforescenza e fluorescenza danno luogo ad una punto luminoso, la cui permanenza ha durata determinata dal tipo di fosfori utilizzato. Con i fosfori giallo-verdi normalmente utilizzati i tempi di permanenza sono nell’ordine di alcuni di ms. Lo schermo in genere è provvisto di un reticolo, che lo suddivide in 8 divisioni verticali e 10 divisioni orizzontali, per aiutare la visualizzazione e la misura. Figura 1. struttura dell’oscilloscopio Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 62 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali X G F C A1 A2 A3 Z Y E -AT Figura 1a. Schema del tubo a raggi catodici Il CRT può essere suddiviso in tre sezioni: 1. La parte di generazione del fascio (gruppi F,G,C) 2. La parte di accelerazione (A1,A2,A3) 3. La parte di deflessione e visualizzazione (X ,,YE) Gli elettroni vengono inizialmente emessi dal catodo C per effetto termoionico, una volta che questo venga opportunamente riscaldato dal filamento F. Il cilindro di wehnelt (griglia G) serve a controllare la quantità di elettroni che raggiungeranno lo schermo e dal suo potenziale dipende l’intensità del fascio di rappresentazione. Il fascio elettronico viene accelerato lungo l’asse del tubo da una serie di elettrodi A1, A2, A3 (che sono sostanzialmente anodi) collegati ad un potenziale maggiore di quello del catodo (si tenga conto che la differenza di potenziale è molto elevata, nell’ordine delle migliaia di Volt). Solitamente il potenziale di A2 può essere variato, mentre quelli di A1 e A3 rimangono fissi. Il sistema di anodi ha il compito di accelerare e di focalizzare il fascio. L’elettrodo A1 prende il nome di elettrodo di pre– accelerazione, l’elettrodo A2 è detto elettrodo di focalizzazione, mentre A3 prende il nome di elettrodo di accelerazione. Il campo generato dal sistema dei tre anodi costituisce una lente elettronica convergente che collima il fascio elettronico e riduce la dimensione del punto luminoso sullo schermo. Una volta che il fascio di elettroni ha attraversato il sistema anodico, entra nel sistema di deflessione costituito da due coppie di placchette ortogonali (una per asse). Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 63 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali Prima di procedere oltre elenchiamo le ipotesi che si possono formulare al fine di semplificare al massimo la trattazione: 1. Il fascio elettronico ha spessore nullo. In pratica è come se tutti gli elettroni fossero allineati. 2. Le placchette possono essere considerate come le armature di un condensatore a facce piane e parallele. 3. Gli elettroni entrano nel condensatore formato dalle placchette con velocità solo lungo z (figura 1). Y D d/2 D L/2 Z L H Figura 2. Principio secondo cui avviene la deflessione e rappresentazione della traiettoria del fascio elettronico Ciascuna coppia di placchette provvede alla deflessione lungo uno degli assi di un ipotetico diagramma cartesiano, che corrisponderà a quello di rappresentazione del segnale posto sullo schermo. In figura 2 è mostrato lo schema di base secondo il quale avviene la deflessione del fascio elettronico. Il campo che si genera tra le due placchette è pari a: Ey Vy (3) d Supponiamo che la particella abbia velocità lungo z pari a vz. Poiché il campo è diretto lungo Y il moto che risulterà sarà rettilineo uniforme lungo Z ed in particolare avremo: Z t v Z t (4) Lungo Y, invece, la particella sarà sottoposta ad una forza pari a: Fy ma y qEy ay qE y m Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 (5) 64 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali ay qV y (6) md Sostituendo la (6) nella legge del moto uniformemente accelerato si ottiene: 1 ayt 2 2 Y (t ) 1 q Vy 2 t 2m d (7) Ricavando il tempo dalla (4) e sostituendo l’espressione trovata nella (7) si ricava la traiettoria percorsa dall’elettrone all’interno delle placchette di deflessione: Y( Z ) 1 q Vy Z 2 2 m d v Z2 (8) La (8), come del resto la figura 2, mostra che l’elettrone percorre all’interno delle placchette una traiettoria parabolica, mentre, una volta uscito dal sistema di deflessione, esso percorre un moto rettilineo uniforme con la direzione e la velocità acquisite all’uscita. In particolare, è possibile ricavarsi l’angolo di uscita (e quindi la direzione) mediante la (9) dY dZ |Z tgD L q L Vy m d v Z2 (9) L’equazione della traiettoria pertanto può essere approssimata con: Y( Z ) q L Vy § L· ¨Z ¸ 2 m d vZ © 2¹ (10) la quota alla quale gli elettroni colpiscono lo schermo è data dalla (11) D H u tgD q L H Vy m d v Z2 (11) Per trovare la velocità iniziale vZ, in Z=0 si utilizza la seguente equazione: 1 2 mv Z 2 (12) qVa La (12) esprime il principio di conservazione dell’energia, avendo supposto un potenziale di accelerazione anodico pari a Va. Attraverso la (12) la (11) diviene: Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 65 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali D H u tgD H L Vy 2 d Va qL H Vy 2 d qVa (13) La (13) dimostra che il tubo a raggi catodici si comporta come un convertitore lineare tensione - deviazione. Dunque è possibile spostare il punto luminoso sullo schermo del CRT di una quantità proporzionale alla tensione applicata alle placchette di deflessione, ed imporre una traiettoria arbitraria al punto luminoso, scegliendo opportunamente la legge di variazione della tensione imposta alle placchette di deflessione x ed y. Ad esempio, per utilizzare l’oscilloscopio in modalità base dei tempi, sarà necessario pilotare le placchette y con una tensione proporzionale al segnale da visualizzare Vy, e le placchette orizzontali con una tensione Vx, proporzionale al tempo (rampa). E’ possibile definire una grandezza detta sensibilità, che si misura in [mm/V] e che è esprimibile mediante la (14): Sy D Vy H L 1 2 d Va (14) La (14) mostra che per aumentare questo parametro sarebbe sufficiente incrementare la lunghezza delle placchette oppure diminuire la tensione anodica. Come avremo modo di vedere in seguito non è possibile utilizzare queste due soluzioni (con placchette eccessivamente lunghe l’elettrone colliderebbe con le medesime). 4.2.2. Analisi Dinamica della Deflessione Fino ad ora si è supposto che la tensione in ingresso Vy (proporzionale al segnale da analizzare) sia costante. In realtà tale tensione è variabile nel tempo. Perciò da questo punto in avanti dovremo ragionare in termini non solo di tensione, ma anche inevitabilmente di massima velocità di variazione del segnale in ingresso, correlata al tipo di strumento selezionato. La (11) era stata derivata in condizioni di Vy costante: se tuttavia questa ipotesi decadesse si avrebbe la (15) utilizzando un qualunque istante t1: D # H u tgD dY dY H dZ H dZ dt dt (15) t t1 ed ancora si potrebbe ottenere la velocità presente nella (15) integrando l’accelerazione descritta nella (6) t1 u y (t ) ³a t0 t1 y (t )dt q ³ md V y (t )dt (16) t0 Supponiamo adesso di utilizzare come segnale in ingresso un segnale sinusoidale di ampiezza Vy e pulsazione Zp. Facendo inoltre l’ipotesi che, definito T=t1-t0, si ha Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 66 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali Tp>>T si può dunque integrare la (16) considerando Vy costante; sostituendo il risultato nella (15) si ottiene ancora la (11). Tuttavia per un Tp qualsiasi si ottiene: q md u y (t ) t 0 T ³ V y sen(Z p t )dt t0 qV y Z p md >cos Z p (t 0 T ) cos Z p t 0 @ (17) La (17) può essere ulteriormente sviluppata §T · T senZ p ¨ ¸ ©2¹ 2 senZ § t T · p¨ 0 ¸ T 2¹ Z p md © 2 qVy u y (t ) (18) La (18) mostra come il valore di D dipenda sia dal valore della tensione in t0+T sia dal sinc(ZpT/2), dove la funzione sinc è definita secondo la (19): sin c( x) sin( x) x (19) La (18) mostra come anche il CRT contribuisca a determinare la banda dell’oscilloscopio. Infatti poiché non si vuole avere una diminuzione della sensibilità, si dovrà necessariamente imporre che sia fpT<<1, come mostrato in figura 3. 1 0.8 sinc(fpT/2) 0.6 0.4 0.2 0 -0.2 0 1 2 3 4 5 fpT 6 7 8 9 Figura 3. Andamento della funzione sinc Questo implica, riprendendo la (12), che si avrà: qV a 1 mv Z2 2 2 1 §L· m¨ ¸ T 2 ©T ¹ L m 2 qV a Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 (20) 67 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali Dalla (20) discende immediatamente la condizione di frequenza massima del segnale e quindi di banda del CRT. Infatti si dovrà avere che: f p 1 2qVa L m (21) La (21) mostra che la banda aumenta diminuendo la lunghezza delle placchette ed aumentando la tensione di generazione del fascio. Tuttavia, per motivi costruttivi, non è possibile aumentare la tensione Va oltre certi limiti, in quanto la sensibilità descritta nella (14) diverrebbe troppo piccola. D’altra parte non è possibile diminuire la lunghezza delle placchette, altrimenti sia la sensibilità sia il potere deflettente dello strumento sarebbero non sufficienti. Per aumentare la banda dello strumento nascono quindi delle soluzioni dette di deflessione distribuita: in pratica si costruiscono una serie di linee di ritardo, come mostrato in figura 4, che consentono di arrivare a bande del CRT dell’ordine del GHz, mentre con la deflessione tradizionale si arriva soltanto a frequenze dell’ordine delle centinaia di MHz. Figura 4. Schema di principio della deflessione distribuita mediante linee di ritardo 4.2.3. Deflessione Verticale Una volta affrontato il problema della deflessione in modo generico possiamo descrivere come un segnale specifico in ingresso allo strumento venga condizionato per pilotare il sistema di deflessione. Lo schema di principio per il condizionamento è quello mostrato in figura 5. AC DC Attenuatore Amplificatore Alle Plachette di Deflessione Verticale GN Volt/ div Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 68 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali Figura 5. Schema di principio della deflessione verticale In ingresso (presente anche sul pannello dello strumento) è posto un selettore commutabile a seconda della funzione richiesta su tre posizioni distinte AC, DC, GND. La posizione AC viene selezionata quando si vogliano escludere eventuali componenti in continua del segnale, per visualizzarlo soltanto nelle sue componenti armoniche. Il condensatore deve potere sopportare tensioni di isolamento molto alte, che possono raggiungere le centinaia di Volt. Selezionando DC si accoppia direttamente il segnale al sistema di condizionamento, mentre con GND si cortocircuita l’ingresso del sistema di condizionamento verso terra, in modo da visualizzare un riferimento di tensione (il livello di terra) sullo schermo dello strumento, per eventuali calibrazioni iniziali. Il blocco successivo (attenuatore), che provvede all’adattamento di livello, consente di variare il fattore di deflessione complessivo. Consente in altre parole di modificare la taratura verticale del reticolo (Volt/div) ed è un comando impostabile da pannello, detto scala verticale. Tale blocco presenta un’impedenza in ingresso costante al variare della posizione del commutatore. Valori tipici sono 1-10M: e capacità di ~ 10pF. Valori tipici per la scala verticale sono sono: [5], [2], [1], [0,5], [0 ,2], [0,1], ... in genere fino a 0 [ .002]Volt/div. Una volta scalato, il segnale viene passato al blocco di amplificazione prima di giungere alle placchette. In condizioni di massima sensibilità il segnale entra direttamente nell’amplificatore. La banda dell’amplificatore determina in genere la banda dello strumento. Le prestazioni in termini di velocità del blocco di condizionamento possono essere espresse anche in funzione del tempo di salita Ts. Infatti, associando tale blocco ad un sistema del primo ordine (assunzione in genere realistica), vale la seguente: Ts B # 0,35 (22) dove il tempo di salita è definito tra il 10% ed il 90% del valore finale della risposta al gradino del sistema. Se il blocco di amplificazione ha un tempo di salita pari a Tsa ed il segnale pari a Tss, allora il tempo complessivo Tstot, che si misura analizzando il segnale visualizzato, sarà ben approssimato dalla seguente: 2 Tstot Tsa2 Tss2 (23) Pertanto Tstot è circa uguale a Tss solo se Tsa<<Tss (in genere si vuole che Tsa=Tss/5) 4.2.4. Deflessione Orizzontale Come detto esistono due modi di pilotare la deflessione orizzontale: il primo in base tempi, il secondo in modalità XY. Il principio di funzionamento è il medesimo: quello che cambia è solo il risultato della rappresentazione. Pertanto illustreremo a titolo esemplificativo il primo modo. L’asse delle X viene tarato in unità temporali e vale sempre la relazione (13): Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 69 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali H L Vx 2 d Va D (24) dove al posto di Vy abbiamo sostituito per ovvi motivi Vx. Come già accennato, Vx deve variare linearmente con il tempo. L’andamento del segnale che si utilizza per pilotare le placchette di deflessione orizzontale, detto base dei tempi, è quello a dente di sega mostrato in figura 6. V Ideale Reale Estrema dx ta tb t Estrema sx Figura 6. Andamento ideale e reale della tensione di deflessione orizzontale La pendenza dei tratti rettilinei mostrati in figura 6 indica la velocità di scansione orizzontale del pennello elettronico (punto luminoso). La pendenza può essere settata da un comando sul pennello che determina la taratura dell’asse orizzontale ('T/div), detto scala orizzontale. In particolare, il livello di tensione più basso corrisponde alla condizione in cui il pennello si trova all’estrema sinistra dello schermo, mentre il valore di tensione più alto corrisponde all’estrema destra. Nella figura 6, sono rappresentate due curve: quella a tratto unito è teorica, mentre quella in tratteggio rappresenta l’andamento della base dei tempi reale, tra una spazzolata e l’altra (di durata ta) trascorre un certo tempo, tb, necessario per riportare il pennello dall’estrema destra all’estrema sinistra. In realtà il segnale dovrà presentare alla fine della spazzolata anche tratti a pendenza nulla, per permettere la sincronizzazione della base dei tempi con il segnale. Durante i tratti con pendenza negativa che servono semplicemente per riportare il pennello elettronico all’estremità sinistra dello schermo o i tratti a pendenza nulla di attesa, il raggio elettronico viene spento, e la visualizzazione è inibita. Abbiamo visto come sia possibile far percorrere una traiettoria arbitraria al pennello elettronico, ed in particolare come sia possibile rappresentare la funzione Vy=g(t). Una volta effettuata una spazzolata da sinistra a destra della schermo in un tempo ta, il pennello, come abbiamo visto, è pronto a percorrere una nuova traiettoria, rappresentando Vy=g(t+ta+tb). Ovviamente per avere un’immagine stabile sullo schermo è necessario scegliere il ritardo complessivo, in modo da garantire che Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 70 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali tracce successive si sovrappongano esattamente. Questo è possibile solo per segnali ripetitivi, grazie ad un sistema di sincronizzazione detto trigger. In particolare, per segnali ripetitivi, è possibile ottenere una traccia stabile facendo iniziare la spazzolata in corrispondenza degli istanti in cui il segnale assume lo stesso valore con pendenza (derivata = slope) di segno prestabilito. 4.2.5. Sistema di Trigger Il Trigger (grilletto) è il sistema fondamentale della base dei tempi di un oscilloscopio. In qualsiasi strumento di questo tipo esiste sempre la possibilità di utilizzare le seguenti sorgenti di trigger (la selezioni tra le possibili sorgenti avviene tramite il comando TRIGGER SOURCE): INT il segnale di trigger viene ricavato dal segnale Y. EX T il segnale di trigger viene ricavato da un segnale esterno. LINE il segnale di trigger viene ricavato dalla tensione di alimentazione. - L’ingresso scelto può essere accoppiato direttamente al sistema di trigger oppure essere condizionato. Sono previsti in genere i seguenti tipi di accoppiamento: - DC accoppiamento diretto - AC accoppiamento attraverso una capacità serie. Corrisponde ad un filtro passa alto con frequenza di tagli molto bassa (pochi Hz) - LF Reject il segnale viene filtrato da un filtro passa basso con frequenza di taglio intorno al kHz - HF Reject, il segnale viene filtrato con un filtro passa basso con frequenza di taglio intorno alle diecine di kHz. - Noise Reject, il comparatore a soglia (vedi figura 7) presenta un’isteresi maggiore, divengono ininfluenti i segnali di piccola ampiezza. Lo schema di principio del trigger è quello mostrato in figura 7. VL Va Comparatore a soglia Base dei Tempi VD VS Derivatore Clipper VI Figura 7. Schema di principio del trigger All’uscita dell’amplificatore differenziale si ottiene una tensione (Va) proporzionale alla differenza tra un livello regolabile (VL, comando TRIGGER LEVEL sul pannello dell’oscilloscopio) mediante potenziometro ed il segnale in ingresso Vi, come mostrato in figura 8. Il livello dal quale parte la visualizzazione del segnale è quindi stabilito con un comando dall’utilizzatore. Il segnale differenza può essere invertito tramite il comando (SLOPE) che può scambiare gli ingressi del differenziale, ciò che consente di selezionare di quale pendenza (positiva o negativa) ci si intenda avvalere per avviare la rappresentazione del segnale. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 71 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali VI Va VL t t VD VS t t Figura 8. Andamento delle tensioni all’interno dei blocchi che costituiscono il trigger Il segnale Va costituisce l’ingresso di un comparatore a soglia con uscita Vs, come mostrato in figura 8; successivamente tale segnale passa in un derivatore che permette di ottenere una serie di impulsi sui fronti dell’onda quadra ed un clipper che taglia gli impulsi con polarità negativa, in corrispondenza dell’attraversamento a derivata minore di zero. E’ chiaro che cambiare la pendenza per la generazione degli impulsi di trigger corrisponde ad uno spostamento temporale della finestra di visualizzazione. L’impulso di trigger è il comando di sgancio della rampa. 4.2.6. Base dei Tempi Una volta descritto il sistema di trigger, analizziamo gli altri blocchi funzionali che costituiscono il canale orizzontale o base dei tempi, facendo riferimento allo schema a blocchi di figura 9. ms/div VT VI VG Gate Impulso di Unblanking Generatore di Rampa VR VM Rampa Hold-Off Figura 9. Schema di principio della base dei tempi La base dei tempi genera (sgancia) la rampa in corrispondenza di un impulso di trigger. La pendenza della rampa viene settata dall’apposito comando scala verticale. Deve inoltre ignorare gli impulsi di trigger successivi fintanto chè non è terminata la Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 72 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali spazzolata, cioè finchè la rampa non ha raggiunto il valore massimo e durante il periodo di tempo necessario a riportare il pennello all’estremità sinistra dello schermo e reinizzializzare l’elettronica. Ci sono sostanzialmente tre modalità di funzionamento per la base dei tempi: - NORMAL AUTO SINGLE Per spiegarne il funzionamento faremo riferimento ai segnali rappresentati nella figura 10. In modalità NORMAL la rampa viene avviata solo in corrispondenza di un impulso di trigger; se l’impulso di trigger non viene generato la rampa non parte e sullo schermo non viene visualizzata alcuna traccia. Questo evento è possibile ad esempio se il segnale Vy non raggiunge mai il livello di trigger selezionato. Una volta partita la rampa, fintanto che la spazzolata non è stata completata e il sistema non è stato riportato alle condizioni iniziali (ritardo tb), i successivi impulsi di trigger non devono avere effetto; sarà dunque presente un blocco in grado di inibire gli impulsi di trigger in tutto questo periodo. Vediamo in dettaglio il funzionamento in modalità NORMAL. La porta di Gate si comporta come un comparatore. La sua uscita è normalmente bassa, se il segnale VI è compreso tra VGL e VGH. Il circuito di hold off mantiene inizialmente tale tensione ad un valore VHO con VGL < VHO < VGH . L’impulso di trigger VT porta il valore di VI al di sotto della tensione di soglia VGL ed il Gate commuta, dando l’avvio alla rampa. Durante la generazione della rampa, l’uscita (VM) del sistema di Hold-off cresce seguendo la rampa stessa. Terminata la rampa (raggiunta la tensione corrispondente alla estrema destra dello schermo), il circuito di Hold-off si comporta come un monostabile e mantiene la tensione VGH per un intervallo regolabile (con il comando che seleziona la durata dell’Hold-off, appunto). Il valore minimo dell’Hold off è quello che consente al fascio elettronico di portarsi all’estrema sinistra dello schermo, ma l’utente può scegliere di imporre un tempo di Hold-off (di inibizione del trigger) maggiore. In genere per una corretta rappresentazione si dovrà avere: Tx t a tb tc mT y (25) Dove ta rappresenta il tempo di spazzolata (settato dal comando Time/div), tb è il tempo di Hold-off, mentre tc è il tempo che intercorre fino al successivo impulso di trigger. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 73 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali VT t VGH VM VGL t VG t VR ta t tb tc Figura 10. Andamento delle tensioni nella base dei tempi Per risolvere eventuali problemi di sincronizzazione (e.g. visualizzazione di una continua), ed evitare la situazione in cui non si evidenzia nessuna traccia sullo schermo, si sceglie la posizione AUTO, che consente di utilizzare il Gate come un vero e proprio oscillatore astabile per generare una forma d’onda quadra (e di conseguenza una rampa) periodica. Con il comando SINGLE, infine, si abilita una singola spazzolata con un comando esterno (one shot). In questo caso non si avrà una rappresentazione persistente sullo schermo. Insieme alla rampa viene generato un impulso di unblanking, che è un segnale che pilota la griglia del CRT. Normalmente il pennello elettronico è spento, perché la griglia è posta ad un potenziale molto negativo. Durante la rampa il segnale di unblanking fa aumentare il potenziale di griglia, così da abilitare il fascio. 4.2.7. Base dei Tempi Ritardata Un’altra funzionalità comune degli oscilloscopi è quella della base dei tempi ritardata, il cui schema a blocchi è mostrato in figura 11. La funzione della base dei tempi ritardata è quella di poter selezionare ed espandere temporalmente una porzione del segnale visualizzato; a tal fine si genera una rampa con una pendenza maggiore rispetto a quella utilizzata per la base dei tempi principale. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 74 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali Generatore di Trigger VTP VUBP Base dei tempi Principale VRP VTR Generatore di Trigger Base dei tempi Ritardata VUBR VRR VD Figura 11. Schema di principio per la base dei tempi ritardata La generazione del trigger della base dei tempi ritardata si ottiene mediante un comparatore a soglia che consente attraverso l’uso di un comando potenziometrico (delay del pannello dello strumento) di fare partire la scansione della rampa da un qualunque punto. Il livello della soglia stabilisce il ritardo rispetto al trigger principale; in genere negli oscilloscopi il comando Delay è tarato direttamente in tempo. La pendenza è regolata in modo da stabilire la durata della rampa. Entrambi i blocchi generatori di rampa consentono di creare degli impulsi di unblanking. Anche per questa struttura esistono diverse modalità di funzionamento: - - - OFF La base dei tempi ritardata non funziona INTENSIFIED In questa modalità, si utilizza la base dei tempi principale per la spazzolata ma si sommano i due impulsi di unblanking (principale e ritardato) si ottiene un’intensità maggiore della porzione temporale del segnale in corrispondenza della rampa delayed. DELAYED Anche in questo caso funzionano entrambi i blocchi, ma la deflessione del pennello elettronico è ottenuta tramite la base ritardata. La base dei tempi principale serve solo per fornire l’ingresso al comparatore e fare partire la seconda rampa. MIXED Si utilizzano entrambe le rampe, ma la visualizzazione è mista. Una prima parte del segnale è in modalità standard ed una seconda parte in modalità ritardata. Si ottiene così l’effetto di ingrandimento della porzione del segnale d’interesse. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 75 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali 4.2.8. I comandi posizione orizzontale e posizione verticale In tutti gli oscilloscopi sono presenti due comandi: posizione orizzontale e posizione verticale, che permettono di traslare la traccia sullo schermo orizzontalmente e verticalmente. I due comandi agiscono su due potenziometri che determinano due livelli di continua che vengono sommati agli ingressi degli amplificatori finali dei canali x ed y. 4.2.9. Oscilloscopi a Tracce Multiple In genere gli oscilloscopi consentono di visualizzare più di una traccia (almeno due) contemporaneamente. La soluzione più utilizzata per ottenere questa funzionalità è quella di replicare la struttura del canale Y mantenendo un unico canale X (base dei tempi) e un unico cannone elettronico. Lo stesso pennello elettronico sarà dunque utilizzato per disegnare tutte le tracce. Lo schema di principio che consente ad un oscilloscopio di visualizzare più di una traccia sullo schermo è costituito da un multiplexer (MUX ) e da un sommatore a valle (vedi figura 12). CH1 6 CH2 S1 Vy All’amplificatore finale del canale Y S2 Figura 12 A seconda dello stato degli interruttori che costituiscono il multiplexer è possibile la visualizzazione di ciascuno dei canali in ingresso o la loro somma. E’ possibile visualizzare simultaneamente le due tracce relative ai canali CH1 e CH2. Esistono due modalità da utilizzare a seconda della frequenza del segnale da analizzare: - ALTERNATE Si visualizzare entrambe le tracce, disegnando a turno le tracce, il MUXè comandato dal Gate stesso. Tale modalità di visualizzazione si adatta molto bene a segnali con frequenza elevata. In tale modalità è possibile ricavare il sincronismo da uno solo dei segnali (in questo caso si mantiene tra i due la relazione di fase), oppure alternativamente da entrambi (la visualizzazione di entrambe le tracce risulta sicuramente stabile ma si perde la relazione di fase). Nel primo caso si avrà una visualizzazione della seconda traccia stabile quando Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 76 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali Tx mT ya (26) nT yb con m e n interi - CHOPPED (Affettato) Nella modalità chopped la frequenza di chiusura degli interruttori del MUXè comandata da un multivibratore astabile con frequenze dell’ordine delle 1 ~00 kHz. Tale modalità non consente di prelevare il sincronismo all’uscita del sommatore, quindi è sempre mantenuta la relazione di fase tra i segnali. 4.3. Sonde La banda passante dello strumento è determinata essenzialmente dal polo dell’amplificatore del canale Y. Tuttavia per assicurare una corretta visualizzazione del segnale in esame bisogna tener conto anche di altri effetti: -effetto di carico dell’oscilloscopio; -effetto dei circuiti di prelievo (cavi, connessioni, sonde). L’operazione di connessione viene spesso realizzata mediante un cavo BNC. Si ricorda che l’ingresso dell’oscilloscopio viene visto come una resistenza con in parallelo una capacità, come mostrato in figura 13 a). VI RI CC RI CI CI VS Figura 13. a) Equivalente in ingresso dell’oscilloscopio b) Equivalente con inserimento di cavo BNC Zs Vx CC CI RI Vin ZTot Figura 13 c). Equivalente di circuito in ingresso, cavo e strumento In figura 13 c) si vede il circuito equivalente cavo + oscilloscopio; la tensione in ingresso al canale Ysarà data perciò da: Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 77 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali Vin Vx ZTot Z s ZTot (27) Schematizzando come un generatore di tensione con un’impedenza equivalente serie come mostrato in figura 13 c). Supponiamo ora che sia per semplicità Zs = Req. L’insieme di cavo, circuito in ingresso ed impedenza equivalente dell’oscilloscopio rappresenta da un punto di vista ingresso uscita un filtro passa basso con frequenza di taglio pari a: ft 1 2S CC CI Req // RI (28) e considerando, come quasi sempre accade, che nella (28) RI>>Req si avrà: ft 1 2S C C C I Req (29) Se accade che ft sia minore della frequenza di taglio dell’amplificatore del canale verticale ecco che il segnale risulta distorto anche se il suo spettro ha banda minore di quella dello strumento. Per ovviare a tale problema solitamente si fa uso di un sistema di interfacciamento mediante sonde che possono essere passive (sonde compensate) oppure attive. 4.3.1. Sonde Passive Le sonde compensate hanno questo nome in quanto consentono di ridurre la dipendenza dalla frequenza della parte a destra del circuito di misura di figura 13. CS Req CC VIN CI RI RS VOUT Figura 14. Circuito con inserimento di sonda compensata per interfacciamento con l’oscilloscopio ed il cavo Facendo riferimento allo schema di figura 14 infatti, si nota come la sonda compensata non sia altro che un parallelo tra una capacità variabile ed una resistenza, posto in serie al percorso del segnale. La funzione di trasferimento Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 78 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali (rapporto tra la tensione di uscita e quella di ingresso) è data dalla (31), avendo definito la (30) come: CC CI CP (30) RI 1 jZC P RI VOUT V IN (31) RS RI 1 jZC P R I 1 jZC S RS Attraverso qualche passaggio possiamo dedurre dalla (31) che se viene soddisfatta la (32) e cioè: RI C P (32) RS C S la funzione di trasferimento diviene indipendente dalla frequenza. Tuttavia la presenza della resistenza equivalente in ingresso del circuito da misurare cambia le cose rispetto ad una situazione ideale. Infatti calcolando l’impedenza di ingresso dello strumento (compresa la sonda) si ottiene, se vale la (32), vale a dire in condizioni di compensazione: (33) Z in Z C ' // R ' in cui: R ' RS RI e ZC’ è l’impedenza della capacità C’, data da: (34) CS CP CS CP C' (35) Se adesso calcoliamo nuovamente la frequenza di taglio della funzione di trasferimento relativa alla tensione del generatore rispetto alla tensione dell’oscilloscopio otteniamo: ft ' 1 2S ( Req // R ' )C ' (36) se Req<<R’ (come si suppone in genere) ft ' 1 2S Req C ' (37) Si noti che se RS>>RI e se vale la (32), allora CS<<CP e ft’>>ft. Tuttavia tale aumento di frequenza di taglio ha come effetto l’introduzione di un fattore di attenuazione che dipende dalla scelta del rapporto RS /RI. Normalmente il fattore di attenuazione dato dalla (31) in condizioni di compensazione Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 79 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali VOUT RI (38) VIN RI Rs viene scelto pari a 10 o a 100: in tal caso sonde passive compensate si indicano rispettivamente come 10x o 100x. L’attenuazione introdotta dalla sonda ha l’effetto di allargare la banda del sistema, ovviamente a spese della sensibilità. Le sonde passive più diffuse sono le sonde 10x, in cui Rs è circa 9 M: e Cs alcuni pF; le sonde 100x vengono utilizzate nelle applicazioni in cui si misurano alte tensioni (applicazioni industriali). Nelle situazioni in cui il livello del segnale è molto basso si può preferire sacrificare la banda a vantaggio della sensibilità, e per questo si utilizzano sonde non attenuate (e non compensate) 1x. Si osservi che se la condizione (32) non è rispettata, la sonda si comporterà come un filtro passa alto o passa basso a seconda che domini la costante di tempo serie o parallelo. Pertanto, prima dell’utilizzo di un oscilloscopio è sempre buona norma verificare lo stato di compensazione delle sonde, cioè la condizione (32). Per fare questo si connette la sonda ad un generatore di riferimento interno all’oscilloscopio (è predisposto un morsetto sul pannello frontale) che è preposto alla generazione di un’onda quadra stabile a frequenza fissata. La visualizzazione sullo schermo di quest' onda si potrà presentare, a seconda dei casi, come in figura 15. V t V t V t Figura 15. Onda quadra di riferimento. Sonda sovracompensata. Sonda sottocompensata 4.3.2. Sonde Attive Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 80 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali Le sonde attive prevedono di prelevare il segnale con un amplificatore posto nelle immediate vicinanze del punto di prelievo, con caratteristiche di elevata resistenza di ingresso (anche G:) e bassissima capacità (minore di un pF); esse consentono perciò di aumentare la sensibilità del sistema. Queste sonde necessitano di alimentazione ed il loro principale svantaggio, a parte il costo, è rappresentato dalla fortissima limitazione introdotta sulla dinamica del sistema. In genere Vin deve essere minore di 5V. Tra le sonde attive, sono di particolare interesse le sonde differenziali, che contengono un amplificatore differenziale e consentono di visualizzare la differenza di potenziale tra due punti fuori massa. Le misure differenziali non si possono ottenere altrimenti utilizzando un solo canale dell’oscilloscopio, perché l’ingresso del canale verticale per motivi di sicurezza è sempre riferito allo chassis e a terra. 4.4. L’Oscilloscopio Digitale La naturale evoluzione dell’oscilloscopio analogico è rappresentata dall’oscilloscopio digitale. Fino agli anni ‘90 l’oscilloscopio analogico e quello digitale potevano considerarsi, nonostante la funzione svolta fosse sostanzialmente la stessa, strumenti ben diversi e svolgevano compiti in qualche modo complementari. L’oscilloscopio digitale presenta l’indubbio vantaggio di permettere la memorizzazione delle forme d’onda, e quindi la rappresentazione di forme d’onda non ripetitive. Tuttavia, come avremo modo di illustrare in seguito, alcuni problemi non hanno permesso inizialmente a questo strumento digitale di soppiantare il suo antenato analogico. Occorre infine notare che gli oscilloscopi digitali di recente concezione presentano soluzioni più o meno efficaci a tali problemi; per questo l’uso dell’oscilloscopio analogico sta diventando sempre meno frequente. Clock Condizionamento Analogico Generatore di Trigger Memoria di acquisizione A/D Sistema di condizionamento ed acquisizione BUS I/O Memoria Programmi CPU Visualizzazione Figura 16. Architettura di base di un oscilloscopio digitale L’oscilloscopio digitale ha la struttura illustrata in figura 16: oltre ai blocchi che costituiscono il sistema di condizionamento ed acquisizione contiene al suo interno dei blocchi di memoria programmi e di memoria di visualizzazione, il sistema di Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 81 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali visualizzazione, un processore CPU (Central Processor Unit) e generalmente delle interfacce I/O standard che consentono lo scambio dati con altri sistemi. I segnali vengono campionati e quantizzati, i campioni vengono memorizzati nella memoria di acquisizione e al termine dell’acquisizione vengono trasferiti attraverso il bus al sistema di elaborazione e visualizzazione. La prima differenza di questo strumento con l’antenato analogico risiede nella struttura, che, come mostrato in figura 16 non è più costituita da una serie di blocchi in cascata con velocità che condizionano la banda dello stumento. L’unica sezione veloce deve essere in linea di principio la sezione di acquisizione (condizionamento analogico, conversione A/D memoria di acquisizione, sistema di trigger). Una volta memorizzati i dati possono essere trasferiti, elaborati e visualizzati da sistemi più lenti. Uno dei vantaggi che si ottengono riguarda il sistema di visualizzazione: le sue caratteristiche dinamiche e di linearità non sono più importanti come nella controparte analogica. Infatti il processo di visualizzazione è a valle della memorizzazione, ed avviene in un tempo sostanzialmente indipendente dalla durata finestra di osservazione del segnale (in genere frequenza di refresh del video dell’ordine delle decine di Hz, una visualizzazione ogni 20-10 ms indipendentemente dal tempo di osservazione). Negli oscilloscopi digitali viene utilizzato un CRT raster, di qualità molto inferiore rispetto ai tubi vettoriali, utilizzati nell’oscilloscopio analogico (costituito ad esempio da matrici di 368 x 576 pixel). La struttura dell’oscilloscopio digitale consente di superare tutti i problemi di visualizzazione che si avevano con gli oscilloscopi analogici, in particolare: - i problemi legati alla scarsa luminosità delle tracce in corrispondenza di spazzolate molto veloci - l’impossibilità di ottenere una rappresentazione a traccia continua con basi dei tempi molto strette, per le quali la permanenza dei fosfori non è sufficiente a mascherare il movimento del punto luminoso. Il sistema di condizionamento e acquisizione è riportato in figura 17, il segnale analogico entra in un attenuatore e nel sistema di amplificazione (vedi oscilloscopio analogico). Questi blocchi analogici hanno banda piuttosto larga (da 100 MHz per gli oscilloscopi meno costosi fino a 12 GHz per gli oscilloscopi di gamma più alta); pertanto è in genere possibile inserire uno o più filtri passa basso per ridurre la banda e quindi il rumore nel caso in cui si stia utilizzando lo strumento per visualizzare segnali a bassa frequenza. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 82 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali Input 1. Condizionamento Analogico Amplificazione Attenuazione Filtraggio Comando Conversione Gestione Memoria 2. Convertitore A/D 3. Memoria di Acquisizione Numero Massimo di Bit Velocità di conversione Immagazzinamento dati Figura 17. Blocchi principali dell’oscilloscopio digitale Il segnale condizionato viene campionato e quantizzato dal convertitore A/D che opera a frequenza di campionamento fissa. I convertitori impiegati negli oscilloscopi hanno in genere risoluzione ridotta (8 o 9 bit) ed elevata frequenza di campionamento. La tendenza è quella di realizzare campionatori sempre più veloci (anche alcuni GHz) per aumentare le capacità di visualizzazione di segnali non ripetitivi. Le soluzioni circuitali adottate dai vari costruttori, descritte solo sommariamente, si basano sulla parallelizzazione delle catene di conversione. Alcuni oscilloscopi utilizzano campionatori a frequenze piuttosto ridotte (decine di MHz); questo, come vedremo, limita molto l’applicabilità all’osservazione di segnali non ripetitivi. La memoria di acquisizione deve garantire la memorizzazione dei campioni a mano che vengono convertiti; dunque cicli di scrittura minori dei tempi di campionamento, Si utilizzano perciò memorie veloci e costose. La profondità di tale memoria era molto limitata negli anni ‘90 (tipicamente 1-10 kSamples), mentre negli oscilloscopi più recenti è possibile ottenere espansioni di memoria fino alle decine di MSamples. La memoria di acquisizione in pratica è schematizzabile come un buffer circolare (di tipo FIFO First In First Out) di lunghezza N. Normalmente la memoria viene riempita via via che i campioni vengono convertiti. Al tempo t saranno presenti in memoria il campione attuale e N-1 campioni precedenti che coprono una finestra temporale pari a NTc. La memorizzazione viene gestita dal sistema di trigger, che è realizzato in modo identico a quello visto per l’oscilloscopio analogico. Se l’impulso di trigger arresta la memorizzazione, il contenuto della memoria, che poi viene visualizzato, rappresenta una finestra di osservazione lunga NTc che termina all’istante corrispondente all’evento di trigger. Questa modalità di acquisizione e visualizzazione viene detta pre-trigger. Nel caso in cui la memorizzazione si arresti M impulsi di clock dopo l’evento di trigger, si avrà la visualizzazione di una finestra temporale di lunghezza pari a (N-M)Tc precedente al trigger (pre-trigger) ed una finestra di durata MTc successiva al trigger (posttrigger) (vedi figura 18). Nel caso in cui M=N, la visualizzazione sarà tutta in post-trigger, che è la situazione corrispondente alla visualizzazione che si ha con un oscilloscopio analogico. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 83 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali La possibilità di visualizzare porzioni del segnale antecedenti al trigger rappresenta un vantaggio dell’oscilloscopio digitale, che può risultare particolarmente utile nelle applicazioni legate al test ed alla diagnosi. Normalmente negli oscilloscopi è possibile scegliere il valore di M con il comando TRIGGER POSITION. Mentre non è possibile in genere scegliere un qualunque valore di M, esistono invece tipicamente le seguenti opzioni: V Livello di Trigger N-M M t N Figura 18. Schematizzazione della profondità (N) di memoria rispetto alla porzione effettiva (M) di segnale acquisito. I restanti campioni (N-M) hanno immagazzinato una porzione di segnale evidentemente non di interesse, ma tuttavia ancora disponibile 1. M=N: Sart/Left 2. M=N/2 3. M=0: End/Right Tutto il segnale appartiene alla posizione di post-trigger Metà segnale appartiene al pre-trigger e l’altra metà al post-trigger Tutto il segnale appartiene alla posizione di pre-trigger Solitamente, negli oscilloscopi moderni M può assumere un qualunque valore intero anche maggiore di N. Un esempio di tale evenienza è mostrato in figura 19, dove si acquisisce con M=4N. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 84 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali V M=0 M=N M=2N M=3N M=4N t Figura 19. Segnale acquisito con M=4N Esistono almeno due diversi modi di effettuare il campionamento a seconda delle misure che si vogliono condurre e della tipologia di segnale: 1. Campionamento in tempo reale (One Shot o Single Shot) 2. Campionamento in tempo equivalente (Sequenziale oppure asincrono) Di fatto, date le prestazioni degli odierni convertitori, quasi tutti gli oscilloscopi di un certo livello funzionano in tempo reale. Per quanto riguarda il campionamento in tempo equivalente la modalità più utilizzata è quella detta asincrona o random, che verrà illustrata nel dettaglio più avanti. Il campionamento sequenziale viene utilizzato soltanto in strumenti particolari con banda analogica elevatissima (decine di GHz) detti oscilloscopi a campionamento. 4.4.1. Campionamento in Tempo Reale Questa modalità di acquisizione è quella che più si avvicina al modo di funzionamento di un oscilloscopio analogico, per cui il segnale che entra in ingresso allo strumento viene visualizzato praticamente in tempo reale. Ovviamente nell’oscilloscopio di tipo digitale la frequenza massima del segnale oggetto di misura sarà determinata sia dalla banda analogica del sistema di campionamento sia dalla frequenza di campionamento. Il segnale viene campionato come mostrato in figura 20, ciascun campione segue il precedente temporalmente. Questa strategia di campionamento consente l’osservazione di segnali non ripetitivi. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 85 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali V C2 C3 C4 C1 C5 t C6 C7 C8 C9 Figura 20. Schema del campionamento in tempo reale, dove ciascun campione è temporalmente consecutivo all’altro Ovviamente la frequenza di campionamento Fc dovrà soddisfare la condizione di Nyquist, secondo cui data la massima frequenza del segnale B: FC ! 2 B (39) Se il segnale viene rappresentato usando i campioni acquisiti, senza effettuare nessun tipo di ricostruzione per ottenere una rappresentazione leggibile, sarà necessario sovracampionare il segnale, ottenendo così una condizione più stringente. 4.4.2. Campionamento Asincrono (Tempo Equivalente) Il campionamento in tempo equivalente permette di estendere la banda dello strumento e di superare il limite di Nyquist per segnali ripetitivi. Si suppongono verificate le seguenti ipotesi: 1. Il segnale è ripetitivo 2. La durata della finestra di osservazione è fissata ed è pari a T. 3. il sistema è in grado valutare intervalli temporali con risoluzione migliore di T/N. 4. Il periodo di campionamento è pari a Tc. Il periodo T è suddiviso in N time slot di durata Teq = T/N. La memoria di acquisizione è mappata sulla finestra temporale, ogni cella contiene il campione relativo ad un time slot. Vediamo con riferimento alla figura 21 come sia possibile memorizzare i campioni al fine di ottenere una ricostruzione del segnale, anche quando non è verificato il teorema di Shannon. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 86 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali Il convertitore A/D lavora continuamente ed indipendentemente dall’evento di trigger, perciò ad ogni evento di trigger corrisponde un ritardo temporale 'T diverso. V Eventi di trigger C4 C1 C7 C6 'Tb C2 t 'Ta T C3 C5 C8 Livello di Trigger Figura 21. Schema del campionamento asincrono Si determina a quale degli N slot temporali, (P1,P2,...,PN), appartiene il primo campione acquisito C1 dopo l’evento di trigger, avendo misurato il ritardo 'Ta. C1 apparterrà al time slot PK1, dove: « 'T » « 'T » (40) K1 « a » « N a » ¬« Teq ¼» ¬ T ¼ L’appartenenza del campione C2 ad uno slot può essere determinata come segue: C2 TC 'Ta K2 « (Tc 'Ta ) » « » Teq «¬ »¼ « (Tc 'Ta ) » «N » C2 PK 2 T ¬ ¼ (41) ed allo stesso modo, fintanto che 'Ta +mTc<T, si valuterà lo slot Pkm per l’m-esimo campione come : Cm mTc 'Ta Km « (( m 1 )Tc 'Ta ) » « » Teq ¬« ¼» « (( m 1 )Tc 'Ta ) » «N » Cm Pkm T ¬ ¼ (42) Nell’esempio in figura, C3 è l’ultimo campione relativo al primo evento di trigger che appartiene alla finestra di osservazione lunga T. A questo punto, prima di continuare la ricostruzione della traccia, occorre attendere il successivo evento di trigger, che supponiamo avvenga dopo il (M)-esimo campione. Si misura poi il ritardo 'Tb tra il Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 87 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali nuovo evento di trigger e il successivo campione (M+1-esimo) e si calcola la posizione degli slot temporali nei quali cadono i nuovi campioni, come segue: CM m ( m 1 )Tc 'Tb « (( m 1 )Tc 'Tb ) » » « Teq »¼ «¬ KM m « (( m 1 )Tc 'Tb ) » «N » CM m PK ( M m ) T ¬ ¼ (43) e così via finché a tutti gli slot temporali non sia stato attribuito un campione. Per esempio, in relazione alla figura 21 con N=8, la forma d’onda ricostruita sarà quella di figura 22. V C4 C1 C6 C7 C2 t C5 C8 C3 Figura 22. Ricostruzione della forma d’onda La frequenza di campionamento equivalente che risulta è quindi pari a: ' FCeq N T 1 Teq (44) mentre quella effettiva utilizzata dal convertitore A/D è pari a: FC ' FCeq k N kT (45) In particolare la (44) e la (45) mostrano come, essendo ridotta la frequenza di campionamento reale rispetto a quella equivalente, il segnale debba essere acquisito in k periodi. La massima frequenza di campionamento equivalente è limitata dall’accuratezza con cui viene misurato il ritardo 'Ta. Se il periodo di campionamento è molto maggiore del periodo di campionamento equivalente e/o se gli eventi di trigger sono rari, il tempo necessario a riempire la Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 88 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali memoria di acquisizione può essere molto lungo. Pertanto in genere il contenuto della memoria viene visualizzato man mano che essa si riempie. La spiegazione data fino ad ora riguarda l’acquisizione in post-trigger, ma con una gestione leggermente più complicata della memoria è possibile ottenere anche l’acquisizione in pre-trigger. Sarà infatti sufficiente avere un buffer dove salvare i campioni che non appartengono alla porzione post-trigger (distanza temporale dal trigger >T), e all’arrivo del trigger successivo valutare la distanza temporale dei campioni dal nuovo evento di trigger in modo da stabilirne la posizione temporale all’interno della porzione di pre-trigger). 4.4.3. Confronto con l’Oscilloscopio Analogico Con riferimento al diagramma in figura 23, discuteremo di un problema che ha impedito inizialmente l’utilizzo degli oscilloscopi digitali in alcune applicazioni. Acquisizione Visualizzazione – 8ms Figura 23. Il refresh dello schermo viene effettuato con periodo prossimo a 10 ms; la frequenza di refresh corrisponde alla frequenza con cui viene acquisita la singola traccia. Nel caso in cui si utilizzino frequenze di campionamento equivalenti elevate (alcuni GSample/s), la frequenza con cui si osserva il segnale è significativamente bassa. Conseguentemente anche la probabilità di osservare eventi casuali rari può diventare molto bassa. Con un oscilloscopio analogico impostato con basi dei tempi molto espanse, l’informazione che si ha a video è data dalla sovrapposizione di moltissime tracce (anche 400-500 ktracce al secondo), per effetto della persistenza dei fosfori (alcuni ms) anche un evento sporadico può risultare visibile. Per questo motivo nelle applicazioni legate alla diagnosi di guasto o al test di circuiti, l’oscilloscopio analogico risultava di gran lunga più efficace. Le soluzioni che vengono proposte oggi dai costruttori sono di due tipi: - Utilizzare una memoria di acquisizione molto profonda, in modo da allungare la finestra di osservazione anche con frequenze di campionamento molto elevate. Spesso offrono la possibilità di segmentare la memoria stessa, anche in modo molto flessibile, salvando in ciascun segmento il segnale contenuto in finestre temporali individuate da eventi di trigger vicini. - Condensare in una sola immagine (schermata) l’informazione relativa a molte tracce (anche migliaia) elaborando i dati acquisiti in tempo reale. Questa seconda soluzione porta ad uno strumento detto DPO (Digital Phosphor Oscilloscope), poiché ricalca le prestazioni di un oscilloscopio analogico. Un’ immagine mostrata sullo schermo infatti è ottenuta sovrapponendo un grande numero di tracce (max 400 ktracce/s), sfruttando l’intensità luminosa di ciascun Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 89 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali pixel (o il colore) per esprimere il numero di tracce che si sovrappongono in quel punto; viene in tal modo emulato il funzionamento di uno schermo ai fosfori. La generazione di questa immagine viene effettuata da un processore dedicato, posto immediatamente a valle del campionatore che genera l’immagine rasterizzata operando alla frequenza del campionatore stesso (Vedi figura 24). 30 30 30 25 25 25 20 20 20 15 15 15 10 10 10 5 5 5 5 10 15 20 25 30 5 10 15 20 25 30 5 10 15 20 25 30 5 10 15 20 25 30 30 25 20 15 10 5 Figura 24. Costruzione della visualizzazione offerta da un DPO. Nell’esempio sono condensate le informazioni relative a tre tracce rappresentate nella riga superiore nell’immagine riportata nella riga inferiore. 4.4.4. Oscilloscopi Digitali a Larghissima Banda Esiste una famiglia di oscilloscopi (oscilloscopi campionatori) con banda analogica nell’ordine delle diecine di GHz, che sfrutta un campionamento in tempo equivalente di tipo sequenziale. I campioni utilizzati per ricostruire la traccia vengono ottenuti acquisendo al più un campione in corrispondenza di ogni evento di trigger. Il campionamento viene effettuato con ritardi crescenti rispetto agli eventi di trigger ('T dal primo impulso di trigger, 2'T dal secondo, 3'T dal terzo, ...). La differenza nell’architettura tra oscilloscopio digitale tradizionale e strumenti campionatori è evidenziata in figura 25. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 90 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali Attenuatori A/D Amplificatori Amplificazione Campionamento A/D Segnale in Digitale in Uscita Segnale in Digitale in Uscita Figura 25. Schemi degli oscilloscopi digitali (sopra) e a campionamento (sotto) In particolare si vede che il sistema tradizionale prevede il condizionamento del segnale a monte del campionatore; gli stadi di amplificazione ed attenuazione determinano perciò la banda dello strumento. Viceversa gli strumenti campionatori effettuano prima il campionamento (con un circuito Sample and Hold) cosicché l’amplificatore per il segnale campionato può avere una banda analogica più bassa della banda del segnale analogico. 4.4.5. Ricostruzione della Traccia Le prestazioni di un oscilloscopio digitale dipendono da molti fattori. Per chiarire quello che può accadere supponiamo di avere uno strumento dotato delle seguenti caratteristiche: 1 100GS / s 10 ps dove con 'T si intende il minimo tempo che si può misurare con incertezza fissata da cui deriva la massima frequenza di campionamento equivalente F’Ceq, Fc indica invece la massima frequenza di campionamento a cui opera l’A/D. Supponiamo che la visualizzazione avvenga mediante una traccia costituita da 500 punti. Sia inoltre il coefficiente di deflessione orizzontale (scala orizzontale) variabile tra 5s/div e 0,5ns/div. Si possono verificare due condizioni estreme: FC - 'T # 10 ps 40MS / s ' FCeq Asse temporale espanso La massima porzione di segnale visualizzabile sarà pari a: 0,5ns / div u 10div 5ns che è inferiore a TC=25ns Ogni campione che viene acquisito avrà perciò solamente 5/25=0,2 come probabilità di appartenere alla porzione di segnale di interesse e pertanto l’acquisizione richiederà un tempo molto lungo, dipendente dalla frequenza degli impulsi di trigger. Due campioni consecutivi distano: Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 91 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali T0 N qtime slot - 5ns 500 10 ps ed e F’ceq=100 GS/s Asse temporale compresso Supponiamo di selezionare 100Ps/div. La porzione di segnale visualizzabile sarà pari a: 100 Ps / div u 10div 1ms Poiché si rappresenta la traccia con soli 500 punti, si avrà una nuova F’c pari a: 500 FC' 500kS / s 1ms e quindi rispetto alla frequenza di campionamento effettiva si dovrà decimare il segnale campionato (i campioni) di un fattore pari a: D 40MS / s 500kS / s 80 Quando si usa un asse temporale compresso, il campionatore in realtà fornisce più informazione di quanta venga poi effettivamente utilizzata. Gli oscilloscopi permettono in genere di utilizzare parte dell’informazione sovrabbondante, consentendo di scegliere la strategia di decimazione. In modalità RANDOM si effettua una decimazione vera e propria, scegliendo semplicemente un campione ogni D campioni senza alcun criterio. In modalità PEAK si sceglie fra D campioni quello a modulo maggiore e fra i D successivi quello a modulo minore. In tal modo è possibile ottenere informazioni sul segnale visualizzato (per esempio un buon campionamento del suo inviluppo), anche se la frequenza di campionamento equivalente non rispetta il teorema di Shannon. Alcuni oscilloscopi consentono di utilizzare anche la modalità HI RES, che prevede di ottenere un campione come media del blocco di D campioni. In questo modo si ottiene un effetto di filtraggio e diminuzione del rumore (aumentano i bit equivalenti). 4.4.6. Considerazioni sulla Visualizzazione di un Oscilloscopio Digitale Le limitazioni sulla banda del segnale da osservare dipendono dalle caratteristiche dello strumento, ma anche dalle impostazioni scelte. In particolare vediamo che le limitazioni imposte dal campionamento non dipendono dall’effettiva frequenza di campionamento, ma da quella equivalente, che come abbiamo visto può essere ottenuta da: F 'eq N T (46) in cui N è il numero di punti che compongono la traccia e T è la durata della finestra temporale visualizzata. T dipende dalle impostazioni dell’asse orizzontale scelte: Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 92 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali T 't / div 10 (47) in cui si è considerato che ci siano 10 divisioni orizzontali. Scelta una frequenza equivalente, possono essere visualizzati in maniera corretta tutti i segnali con banda fs che soddisfa queste condizioni: - in modalità di visualizzazione SAMPLE, visualizzando cioè solo i punti che rappresentano i campioni (vedi figura 24). In genere si deve imporre fs F 'eq (48) 20 25 in altre parole sono richiesti per una visualizzazione chiara 20 2 –5 punti per periodo. In realtà questa condizione può non essere sufficiente: bisogna infatti cautelarsi dall’aliasing ottico, cioè dalla tendenza dell’occhio umano a collegare i campioni che sono più vicini nel piano x-y, trascurandone la sequenza temporale. L’aliasing ottico non dipende solo dalle impostazioni del canale orizzontale, ma anche da quelle del canale Y. - quasi tutti gli oscilloscopi consentono di utilizzare la modalità di visualizzazione VECTORS: in questo caso i campioni sono collegati da interpolanti lineari. Di fatto quindi viene applicato un filtro ricostruttore lineare, che consente di rilassare la condizione (48), ottenendo: fs - F 'eq (49) 10 alcuni oscilloscopi di pregio consentono (modalità SINC) di utilizzare anche filtri ricostruttori di tipo sinc troncato, avvicinandosi molto al limite di Shannon: fs F 'eq (50) 2.5 In genere esiste un’ulteriore modalità di visualizzazione AVERAGE, che prevede di visualizzare una traccia ottenuta come media di K tracce successive. Tale modalità è molto utile nelle situazioni di basso rapporto segnale rumore, il valore efficace del rumore si riduce sostanzialmente di un fattore pari a K . 4.4.7. La Persistenza In quasi tutti gli oscilloscopi è possibile emulare una persistenza dei fosfori di durata settabile (fino ad un tempo infinito). Questo comando permette di accumulare nella memoria video un numero predefinito di tracce, ad esempio le tracce relative ad un intervallo di 10s. Il meccanismo di costruzione dell’immagine è del tutto simile a quello discusso nella sezione che riguarda il DPO, ma viene implementato nella sezione video dell’oscilloscopio. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 93 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali 4.4.8. Parametri Caratterizzanti dello Strumento In teoria un oscilloscopio digitale dovrebbe essere qualificato per ogni modalità di funzionamento e quindi descritto dal costruttore in maniera esaustiva. In realtà i fornitori tendono a fornire parametri diversi evidenziando i punti di forza della propria linea di produzione rendendo un confronto con i concorrenti non sempre facile ed immediato. Ciò nondimeno alcuni parametri possono essere ritenuti fondamentali: 1. BW (BandWidth), che è la larghezza di banda analogica dello strumento 2. Numero di punti per traccia (profondità della memoria di acquisizione). 3. Frequenza di campionamento single shot e in tempo equivalente. 4. Il minimo tempo di salita di una forma d’onda visualizzabile correttamente. 5. accuratezza verticale 6. accuratezza temporale In particolare, per il punto 1 tale banda è definita mediante la frequenza di taglio superiore (Ft) alla quale il guadagno dello strumento diminuisce di 3 dB: §V 20 log¨¨ V © VI · ¸¸ ¹ 3dB VV 0.707VI VI 2 (51) VI = tensione all’ingresso dello strumento VV = tensione visualizzata Quindi, anche in questo caso, la BW serve per definire il campo applicativo dello strumento. Tuttavia anche se un costruttore dichiara una banda passante pari a 350 MHz, per esempio, non si può pensare di lavorare fino a tale frequenza, in quanto considerando lo strumento come un filtro passa basso del primo ordine vale la seguente: VV VI 1 (52) f 1 j Ft La (52) consente di valutare come vari l’attenuazione di un qualunque segnale in funzione della frequenza. Supponendo per esempio di avere un segnale in ingresso con f = 0,5Ft, si avrà: § 1 20 log ¨ ¨ 1 ( 0 ,5 ) 2 © · ¸ # 1dB ¸ ¹ (53) Dalla (53) possiamo dedurre che: VV VI 10 1 20 0,89 # 10% di attenuazione con f = 0,1Ft si avrà in modo analogo: Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 94 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali VV VI 10 0 , 05 0,994 # 1% 20 di attenuazione Perciò è uso comune considerare la banda utile dello strumento circa 1/10 della BW dichiarata. Il punto 4 poi permette di esprimere un legame tra la BW ed il tempo di salita limite dello strumento, Tsa. Infatti, poiché abbiamo ipotizzato di considerare lo strumento come un sistema del primo ordine si è gia visto eq. (22) che : BW u Ts (54) 0 ,35 e che il tempo misurato di salita Tstot sarà dato da: TStot TSS2 TSa2 (55) La (55) approssima la relazione tra il tempo di salita effettivamente rappresentato (visualizzato) dallo strumento (TStot), il tempo di salita del segnale (TSS), e quello proprio dello strumento (TSa). Quindi il tempo di salita minimo per il segnale di ingresso, una volta noto il tempo di salita dello strumento, può essere conosciuto con un certo livello di confidenza indicato da (p%), attraverso la: Tstot TSS p d TSS 100 (56) Infatti sostituendo la (55) nella (56) si ottiene la (57) 2 §T · p 1 ¨ Sa ¸ 1 d 100 © TSS ¹ (57) Dalla (57) è possibile ricavare il tempo minimo di salita del segnale, fissata p: TSS t TSa (58) 2 p · § ¨1 ¸ 1 100 ¹ © La (58) assume una forma più leggibile se si usa la (54). Infatti il tempo di salita massimo che si può rappresentare viene legato in modo diretto alla larghezza di banda dello strumento con la (60): TSS t 0 ,35 2 (60) p · § BW ¨ 1 ¸ 1 100 ¹ © Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 95 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali Accettando per esempio uno scostamento massimo tra TStot e TSS del 5%,, si avrà un tempo di salita minimo del segnale dato da: TSS t TSa 1,1 # 0,32 BW (61) Alcuni esempi di caratteristiche di oscilloscopi digitali possono essere: BW = 1 GHz, FC = 20 MS/s, FCeq = 20GS/s, oppure BW = 300 MHz, FC = 400 MS/s, FCeq = 10GS/s. Si deve ricordare che molti oscilloscopi hanno un’opzione nel pannello principale che permette di limitare la banda ad un valore pari a 20MHz, per aumentare il SNR. L’accuratezza verticale dello strumento solitamente viene fornita per tensioni DC ed espressa come una percentuale del valore di fondo scala. Un valore ragionevole può essere: DC accuracy =<2% del fondo scala. In alcuni strumenti viene fornita l’accuratezza verticale in termini di risoluzione con riferimento al convertitore A/D. DC accuracy =<2 risoluzione. Supponiamo a tale scopo di avere uno strumento con un convertitore a 8bit, con 8 divisioni verticali, e che l’asse verticale sia tarato in modo da rappresentare 1 V/div. La risoluzione dello strumento sarà data da: 'V 8V # 31mV 256 (58) Dalla (58) emerge subito che quando non si rappresenta a fondo scala la forma d’onda (non si sfrutta tutta la dinamica dello strumento) l’incertezza aumenta. In alcuni strumenti si fornisce anche l’incertezza sul guadagno, esprimendo l’accuratezza complessiva nel seguente modo: DC accuracy =<2 risoluzione + gain accuracy Infine può essere distinto il contributo di incertezza relativo ad un un offset introdotto: DC accuracy =<2 risoluzione + gain accuracy+offset accuracy Per segnali variabili nel tempo si deve aggiungere la componente dovuta alle prestazioni dinamiche dei blocchi di condizionamento analogico e del convertitore dello strumento. 4.4.9. Trigger di un Oscilloscopio Digitale Spesso gli oscilloscopi digitali prevedono modalità di trigger più flessibili rispetto a quelle presenti negli oscilloscopi analogici. La flessibilità del sistema di trigger dipende molto dal pregio dell’oscilloscopio: gli oscilloscopi digitali a basso costo prevedono solo le funzionalità classiche analizzate fino ad ora per gli oscilloscopi Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 96 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 4: Oscilloscopi Analogici e Digitali analogici mentre gli oscilloscopi più costosi prevedono una serie di modalità avanzate. Tra le possibili modalità di trigger sono piuttosto diffuse quelle basate sulle CONDIZIONI TEMPORALI. L’evento di trigger si verifica se il segnale attraversa in salita ed in discesa (o viceversa) il livello di trigger in un intervallo temporale che è minore (o maggiore) di un intervallo fissato dall’utente. Questo permette di triggerarsi su eventuali glitch (o di reiettarli). Le modalità basate su EVENTI prevedono di convertire i segnali di ingresso in segnali logici fissando arbitrariamente le soglie di conversione, ed infine di fissare l’evento di trigger mediante una serie di condizioni logiche sui segnali così condizionati. E’ possibile inoltre fissare condizioni di abilitazione o di inibizione del trigger, fissarne l’isteresi e così via. 4.4.10. Misure Automatiche Gli oscilloscopi digitali offrono in genere una vasta gamma di misure automatiche. Questo significa che accanto alla visualizzazione si mette a disposizione dell’utente una serie di algoritmi di elaborazione del segnale che agiscono sulla forma d’onda acquisita e che consentono di valutarne le principali caratteristiche, ad esempio valore efficace, di picco, valor medio, frequenza, periodo, tempo di salita etc. I risultati numerici ottenuti applicando tali algoritmi vengono visualizzati, ed aggiornati in tempo quasi reale. L’applicazione delle misure automatiche consente di evitare tutti gli errori di misura legati alla visualizzazione, risoluzione dello schermo etc. Tuttavia, il fatto che gli algoritmi eseguiti spesso non vengono descritti dal costruttori rende molto difficile valutare la loro accuratezza. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 97 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati 5. Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati 5. Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati ............................................ 98 5.1. Introduzione ............................................................................................... 98 5.2. Un Breve Sguardo al Sistema Generale ................................................. 100 5.3. Gli Interruttori Analogici (MUX)................................................................. 100 5.4. Sample and Hold...................................................................................... 102 5.5. Gli Amplificatori per Strumentazione ........................................................ 105 5.6. Circuiti raziometrici: amplificatore a ponte................................................ 107 5.7. I Convertitori Analogico/Digitali (A/D) ....................................................... 111 5.7.1. Caratteristiche Generali .................................................................... 111 5.7.2. Famiglie di Convertitori ..................................................................... 117 5.8. Schede DAQ ............................................................................................ 129 5.8.1. Connessione di ingressi analogici ..................................................... 132 5.9. Standard di Comunicazione per L’Interfacciamento dei Componenti dei Sistemi di Misura Automatici................................................................................... 134 5.9.1. Interfaccia Seriale RS232 ................................................................. 135 5.9.2. I Sistemi Automatici di Misura: il Protocollo IEEE 488....................... 138 5.9.3. Sistemi di controllo e di misura distribuiti .......................................... 145 5.1. Introduzione I sistemi automatici di misura prevedono che la supervisione della misura sia affidata ad un unità logica intelligente, quindi l’intervento dell’operatore umano si ha soltanto in fase di progettazione e di realizzazione della catena di misura. La misurazione avviene im maniera automatica, con tutti i vantaggi che ne conseguono, possibilità di provvedere ad un elevato numero di ripetizioni, flessibilità, velocità, affidabilità .... Un sistema automatico di misura può essere realizzato essenzialmentre seguendo due approcci diversi: - utilizzare una serie di strumenti dedicati ed affidare all’unità intelligente (ex. PC) soltanto il compito di gestione degli stessi e di raccolta dei risultati (ed eventualmente semplici compiti di post elaborazione). In questo caso i componenti del sistema sono tipicamente: Strumenti dedidcati Interfacce standard (GPIB, RS232,...) Software di gestione delle interfacce Software di gestione degli strumenti Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 98 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati - utilizzare un sistema di acquisizione dati general-purpose in grado di campionare una serie di segnali e da essi ricavare attraverso elaborazioni affidate all’unità intelligente i parametri oggetto della misura. In questo caso i componenti del sistema sono: sistema di condizionamento e schede di acquisizione che contengono interfacce standard software di gestione delle interfacce software di elaborazione e visualizzazione dati. Nel secondo caso all’unità intelligente vengono forniti dati grezzi che devono essere elaborati per ottenere la misura vera e propria, nel primo caso invece al PC vengono forniti direttamente i campioni del misurando. Gli strumenti che si ottengono sfruttando anche la potenza di calcolo di un’unità intelligente (non dedicata e non contenuta nello strumento stesso), spesso un PC, si chiamano in genere STRUMENTI VIRTUALI. Un esempio semplice per capire la differenza tra i due schemi di principio è costituito da un sistema di misura automatico della potenza per un segnale in AC. Nel primo caso si ottiene un sistema automatico di misura intrerfacciando un Wattmetro numerico ad un PC tramite un interfaccia standard. Nel secondo caso invece, si ottiene una stima della potenza elaborando i campionamenti della tensione e della corrente (opportunamente tasdotta) acquisiti ad esempio con una scheda di acquisizione general purpose plug & play. I sistemi del primo tipo sono meno flessibili, possono raggiungere prestazioni più spinte (sono dedicati), e sono generalmente più costosi. Lo sviluppo della catena automatica di misura è in genere molto semplice, si tratta d sviluppare un software che effettui le operazioni di settaggio degli stumenti, ed attualmente esistono molti applicativi che rendono standard e facili queste operazioni. I sistemi del secondo tipo hanno un costo di sviluppo maggiore (anche temporale), ma sono più flessibili e utilizzano hardware a costo contenuto. In questo capitolo descriveremo alcuni dei blocchi hardware e software che servono per realizzare un sistema automatico di misura, facendo riferimento alle soluzioni più diffuse. Dapprima descriveremo i blocchi che costituiscono un sistema di acquisizione general purpose, a partire dalla struttura tipica di un sistema di condizionamento (front end) così come viene realizzato nei sistemi di acquisizione dati per sensori a bassa frequenza, per poi descrivere alcune delle soluzioni architetturali di base per i convertitori AD. Infine descriveremo alcune interfacce e protocolli di comunicazione standard, particolarmente diffusi nel campo delle misure. I blocchi che prenderemo in esame sono rappresentati in figura 1, in cui viene rappresentata un tipico sistema di acquisizione multiplexato, nel quale un solo convertitore analogico digitale e spesso un solo sistema di amplificazione viene utilizzato per convertire i segnali provenienti da più canali analogici. Questa struttura è utile specialmente qualora si vogliano acquisire segnali da sensori che rispondono Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 99 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati a frequenze piuttosto basse (fino all’audiofrequenza), perchè consente di ridurre notevolmente la complessità circuitale, ottenendo soluzioni a basso costo ed elevate prestazioni. Non tratteremo la struttura di filtri passa-basso che spesso vengono posti all’ingresso o all’inetrno dalla catena di condizionamento sia per ridurre il rumore che per evitare fenomeni di aliasing. 5.2. Un Breve Sguardo al Sistema Generale In generale un sistema di interfacciamento per l’acquisizione dei dati può essere schematizzato in linea di principio come in figura 1 Segnale in Ingresso MUX Analogici Amplificatori per Strumentazione Convertitore A/D Segnale in Digitale in Uscita Figura 1. Schema di base dell’elettronica di front end 5.3. Gli Interruttori Analogici (MUX) Un interruttore analogico viene solitamente implementato al fine di permettere o impedire ad un segnale analogico il passaggio verso un punto di prelievo. Utilizzando più interruttori si realizza quello che prende il nome di multiplexer analogico come mostrato in figura 3. Invertendo la struttura un singolo ingresso può essere distribuito a più uscite realizzando così la struttura duale alla precedente che prende il nome di demultiplexer analogico. Le caratteristiche di un interruttore analogico allo stato solido possono essere in generale espresse mediante i seguenti parametri: - Attenuazione diretta (resistenza in stato di ON) Attenuazione in funzionamento inverso (corrente di OFF) Campo di tensioni Tempi di commutazione Isolamento tra i canali (nei casi di MUX) Capacità parassite. Tutte questa grandezze dipendono oltre che dal dispositivo, dall’alimentazione, e dal livello del segnale. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 100 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati V1 V2 Vo V3 V4 Figura 2. Schema di principio di un multiplexer analogico Esistono varie strategie per la realizzazione degli interrutori analogici, che si basano sull’uso di diodi, BJT o FET, ciascuna soluzione tecnologica presenta vantaggi peculiari e permette di ottimizzare alcune delle caratteristiche elencate in precedenza. Sono molto diffusi per le applicazioni in cui la velocità non è un fattore critico gli interruttori CMOS che vengono descritti nel seguito. Lo schema è quello mostrato in figura 3. V+ T2 Vi Vin Vo T1 Vc Figura 3. Schema di interruttore elettronico realizzato in tecnologia CMOS Per portare l’interruttore in condizione ON si applica una tensione V+ al terminale di gate del transitor T1 a canale n, (quello di T2 a canale p viene posto a massa). Quando Vin si trova ha un valore intermedio tra 0 e V+ entrambi i MOS conducono ma non appena Vin si sposta verso lo V+ si ha che VGS1 si riduce ed aumenta l’impedenza di T1. Questo aumento viene compensato dalla diminuzione dell’impedenza del MOS T2 che è posto in parallelo, poiché il valore assoluto di VGS2 aumenta. Se si va verso 0 si ha il comportamento opposto. La dipendenza della resistenza di ON dal valore della tensione analogica di ingresso viene così drasticamente ridotta: la variazione della resistenza di ON dalla tensione di ingresso è riportata in figura 4. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 101 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati Canale-n R Canale-p Ron 0 0 0.5 1 1.5 2 2.5 3 3.5 4 4.5 5 Vin Figura 4. Andamento della resistenza di on in funzione della tensione di ingresso in un interruttore analogico CMOS con VcON=V+=5V, VcOFF=0V. Nelle figure inferiori si fa riferimento alle caratteristiche dell’interruttore analogico Analog Device (ADG528A). Con gli interruttori CMOS standard, né la tensione di controllo né l tensione d’ingresso analogica devono eccedere il range dell’alimentazione, questo potrebbe addirittura portare alla distruzione dell’interruttore dovuta all’innesco di fenomeni di latch-up. Esistono interruttori più costosi per i quali questo problema viene eliminato attraverso circuiti di protezione o particolari soluzioni tecnologiche. L’isolamento garantito da questi interruttori è nell’ordine di 0.nA-1 nA a temperatura ambiente, ma questo valore può raddoppiare per ogni aumento di 10 °C. I tempi di commutazione sono in genere compresi tra i 100 ns e i 300 ns. 5.4. Sample and Hold Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 102 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati Vc (tensione di comando) Uo U1 C Figura 5. Schema di principio di un sample and Hold Questi circuiti effettuano il campionamento dei segnali analogici e vengono posti prima del convertitore analogico digitale o prima dell’amplificatore. Il funzionamento di un Sample and Hold (S&H) si divide in due fasi, quando l’interruttore è chiuso il S&H è in fase di track o di inseguimento e l’uscita Uo segue l’ingresso Ui. Durante la fase di hold o di mantenimento, successiva all’apertura dell’interruttore, Uo deve mantenere, immagazzinato nella capacità C, il valore che ha assunto Ui all’atto dell’apertura dell’interruttore. I S&H reali ovviamente si discostano dal comportamento ora descritto. Ad esempio per la configurazione riportata in figura la presenza dell’offset (Vos) dei due operazionali, fa sì che in realtà Vo=Ui-2Vos, durante la fase di track e che tale errore sia mantenuto nella fase di hold. Esistono tuttavia configurazioni circuitali diverse che eliminano questo problema. Durante la fase di track, è importante che tutti gli elementi del circuito siano sufficientemente veloci da far caricare la capacità ed adeguare l’uscita del S&H al nuovo valore di Ui il più rapidamente possibile. Il limite principale in termini di velocità è dovuto alla costante di carica della capacità C e allo slew rate degli amplificatori. Durante la fase di hold, l’uscita deve essere efficacemente isolata dall’ingresso e la capacità non deve scaricarsi in modo significativo. E’ importante perciò che la resistenza d’ingresso dell’operazionale del secondo buffer sia molto elevata, ed è necessario scegliere valori di capacità non troppo piccoli. Le non idealità degli elementi del circuito si traducono inevitabilmente in errori, che devono essere stimati e confrontati con l’entità degli errori introdotti dagli altri blocchi del sistema di condizionamento e di acquisizione. Primo fra tutti il convertitore A/D che segue immediatamente a valle: l’errore del S&H deve essere confrontato con il bit meno significato dell’A/D, ovvero con il quanto utilizzato per la quantizzazione del segnale campionato. Vediamo brevemente quali sono i parametri che qualificano un S&H e come si possono utilizzare in fase di progetto. Fase di track: Acquisition time - è il tempo massimo che intercorre tra la chiusura dell’interruttore e l’istante in cui Uo si assesta in una fascia di tolleranza assegnata (espressa in % del valore finale). E’ legato essenzialmente allo slew-rate degli operazionali. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 103 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati Fase di Hold: Aperture delay (tA) – è il tempo che intercorre tra il comando di hold e l’apertura effettiva dell’interruttore (è una variabile aleatoria). Questo parametro è particolarmente critico, a causa della sua aleatorietà è impossibile determinare quale valore della tensione viene effettivamente campionato. Viene fornito il parametro 'tA, jitter del ritardo di apertura, che rappresenta la massima variazione di tA. L’errore massimo che si può commettere viene calcolato considerando di campionare una sinusoide di massima ampiezza (Full Scale) e con la massima frequenza, nel punto a massima pendenza, con queste ipotesi si può scrivere: 'Vo max 't AZ maxVmax (1) Vmax sarà uguale a VFS/2 dove VFS è la tensione di fondo scala dell’A/D. Supponendo di utilizzare a valle un convertitore A/D a N bit funzionante alla frequenza di conversione fc si deve porre: VLSB t 't AS f c 2 N 1VLSB (2) in cui VLSB è l’ampiezza del bit meno significativo data da VFS/2N. Questa equazione esprime un limite molto stringente su questo parametro, per esempio per un convertitore ad 8 bit ed una frequenza di campionamento 10 MHz il ritardo di apertura deve essere minore di 250 ps. E’ chiaro che questo pone un limite sull’applicabilità di S&H analogici per la digitalizzazione di segnali a frequenza elevata. Settling time - è il tempo massimo che intercorre tra l’apertura dell’interruttore e l’istante in cui Uo si assesta in una fascia di tolleranza assegnata (espressa in % del valore finale). Hold step - è la variazione di tensione che si ha all’atto dell’apertura dell’interruttore dovuto alla ridistrubuzione di carica tra le capacità parassite dell’interruttore (spesso realizzato con MOSFET) e la capacità C in corrispondenza del cambio di livello del segnale di comando. Feedthrough – è il rapporto tra le variazioni di Uo e di Ui quando l’interruttore è aperto. Esprime l’isolamento assicurato dall’interruttore in off. A causa della capacità parassita tra i poli dell’interruttore, l’isolamento dipende dalla frequenza del segnale d’ingresso. Droop ('Vo/'t quando l’interruttore è OFF ) – è la velocità di scarica della capacità di mantenimento C. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 104 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati 0.1% Ui Hold step Feedthrough (dB) Vo Droop (V/s) Slew-rate (V/s) Aperture Delay (s) Acquisition time (s) Settling time (s) HOLD TRACK 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 1.2 1.4 1.6 time 1.8 x 10 -4 Figura 6. Parametri caratteristici del funzionamento di un Sample and Hold 5.5. Gli Amplificatori per Strumentazione L’amplificazione del segnale è un tipico compito della catena di condizionamento, serve sia a disaccoppiare la sorgente del segnale dai circuiti di elaborazione e/o di conversione a valle (in termini di impedenza) che ad adattare il livello. Per segnali con una banda di frequenza limitata e piccoli livellI, una configurazione molto utilizzata è quella denominata amplificatore per strumentazione. Un amplificatore per strumentazione viene presentato in figura 7, per questo circuito la tensione di uscita viene ricavata, in condizioni ideali, come: U0 R2 V2 V1 R1 (3) Definendo la tensione differenziale come: UD V2 V1 (4) e la tensione di modo comune come: U MC 1 V2 V1 2 (5) Si vede dalla (3) che in condizioni ideali l’uscita dell’amplificatore dipende solo dalla tensione differenziale in ingresso, mentre viene reiettata totalmente la tensione di modo comune. L’amplificatore per strumentazione è perciò un amplificatore differenziale. Poiché molti disturbi si presentano come segnali di modo comune (derive, disturbi radiati etc.) questo amplificatore è caratterizzato da una elevata immunità ai disturbi. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 105 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati Questa configurazione ha inoltre il vantaggio di presentare un’alta impedenza d’ingresso. R1 R2 V1 U1 U0 R1 V2 R2 U2 Figura 7. Amplificatore per strumentazione (sottrattore di tensioni) Naturalmente ogni implementazione reale presenta una reiezione parziale del segnale di modo comune e un range massimo per tale segnale, il fattore di reiezione di modo comune, Common Mode Rejection Ratio (CMRR), definito dall’equazione (6) caratterizza le prestazioni di una struttura differenziale. CMRR AD AMC (6) In cui: AD Uo UD e U CM 0 AMC Uo U CM UD 0 Nella struttura di figura 7, il CMRR dipende essenzialmente dal mismatching delle resistenze, ciè dallo scostamento del valore vero delle resistenze rispetto al loro valore nominale. Il fattore di reiezione delle tensioni di modo comune può essere incrementato realizzando uno stadio di ingresso con guadagno, e l’amplificatore sottrattore vero e proprio (op amp. più a destra di figura 7) a guadagno unitario come mostrato in figura 8. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 106 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati U’1 R3 R3 V 1 U1 R2 U0 R1 R2 V 2 U’2 U 2 R3 R3 Figura 8. Schema di amplificatore per strumentazione con blocco sottrattore a guadagno unitario Nel caso in cui la resistenza variabile R1 dello schema di figura 8 tenda a divenire molto grande allora i due amplificatori operazionali in ingresso si comportano da inseguitori di tensione e lo schema (a parte per il guadagno unitario dell’ultimo stadio) si comporta virtualmente come quello di figura 7. Questa configurazione presenta il notevole vantaggio che il guadagno espresso dalla (7) U0 § 2 R2 ¨¨1 R1 © · ¸¸V2 V1 ¹ (7) può essere sintonizzato variando soltanto il valore di R1. Inoltre considerando che la tensione di modo comune si presenta uguale su entrambi i terminali di ingresso, (V1=V2=VMC), il guadagno di modo comune dello stadio di ingresso mantiene il valore unitario indipendentemente dal guadagno differenziale selezionato (U’1=U’2=VMC). Se gli AO sono ideali, si dimostra che il CMRR è dato da: CMRR AD AC § 2 R2 · 2D ¸ ¨¨1 R1 ¸¹ 'D © (8) Nella (8) 'D/D è la tolleranza relativa delle resistenze dell’ultimo stadio. 5.6. Circuiti raziometrici: amplificatore a ponte L’amplificatore a ponte, discende dalla configurazione a ponte (vedi figura 9) largamente utilizzata per alcuni tipi di sensori (ad esempio strain gauge), che consente di effettuare misure raziometriche e perciò di compensare gli effetti di alcune grandezze di influenza. In genere questa configurazione costituisce il primo elemento della catena di condizionamento. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 107 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati Z3 Z1 VREF VOUT Z2 Z4 Figura 9. Ponte Se la tensione VOUT viene letta con un voltmetro ideale si ha: VOUT § Z2 Z4 · ¨ ¸ VREF Z Z Z Z 1 2 3 4 © ¹ (9) Considerando di volere misurare una grandezza g, si ipotizza di avere Z1=Z1(g) Z2=Z2(g), Z3=Z3(g), Z4=Z4(g). All’equilibrio (g=0), si fa in modo che il ponte sia bilanciato cioè che VOUT=0, imponendo in fase di progetto che Z3(0)/ Z4(0)= Z1(0)/ Z2(0), in tal caso se g varia almeno una delle impedenze cambia ed il ponte si sbilancia, la variazione della tensione di uscita sarà data da: wVOUT VREF wZ 2 Z 1 wZ 1 Z 2 wZ 4 Z 3 wZ 3 Z 4 ( Z 1 Z 2 )2 ( Z 3 Z 4 )2 Se le variazioni relative di Z1, Z2, (o Z3, e Z4) sono uguali, cioè (10) wZ1 Z1 wZ 2 , si ha una Z2 compensazione di tipo raziometrico. Tutti gli effetti dovuti alle grandezze di influenza (ex. Temperatura) che fanno variare le impedenze del ponte in questo modo si compensano. Una soluzione semplice che permette di sfruttare quest’effetto è realizzare il ponte con quattro componenti identici, posti nelle vicinanze, che subiscano le stesse variazioni delle grandezza di influenza, e che, data la loro uguaglianza, reagiscano nello stesso modo. Se solo Z1 varia in funzione di g e Z1(0)=Z2=Z3=Z4=Z, e si suppone che Z1=Z (1+Dg), si avrà: wVOUT VREF wZ 1 4Z Dg 4 Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 (11) 108 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati Mentre se tutte le impedenze sono utilizzate come sensori della grandezza g, con le seguenti leggi di trasduzione: Z1 Z (1 D g ); Z 2 Z (1 D g ); Z 3 Z (1 D g ); Z 4 Z (1 D g ) (12) si avrà: wVOUT VREF wZ Z Dg (13) Pur consentendo la compensazione delle variazioni delle impedenze che costituiscono il ponte con le grandezze di influenza, la configurazione a ponte di per sé non consente di compensare la variazione di sensibilità che normalmente si ha in funzione della temperatura. Infatti per molti sensori (strain gauge) la sensibilità diminuisce al crescere della temperatura. Dunque resta un problema la dipendenza di D dalla temperatura, poichè si vede che l’uscita del ponte varia al variare della temperatura pur mantenendo g costante. Esistono varie tecniche per compensare anche quest’effetto, infatti è sufficiente osservare la relazione (13) per notare che l’uscita del ponte sbilanciato è proporzionale a g tramite il prodotto DVREF, in formula: VOUT wVOUT DVREF g (14) e’ dunque sufficiente far aumentare la tensione di alimentazione del ponte con la temperatura in modo da compensare la diminuzione della sensibilità dei sensori, rendendo costante la sensibilità del ponte. In particolare, essendo: wVOUT wT g wD wV VREF g REF D wT wT (15) si dovrà realizzare l’alimentazione in modo che: TCS wVREF 1 wT VREF dove wD 1 wT D (16) TCS In cui la variazione relativa della tensione di alimentazione eguaglia TCS (Temperature sensitivity coefficient). Esistono varie soluzioni circuitali che consentono di approssimare l’uguaglianza espressa dalla (16). Soluzione 1: Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 109 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati RT VREF R R VR VOUT R R Figura 10. Ponte con compensazione in temperatura Si pone in serie ad un alimentatore una resistenza variabile con la temperatura a coefficiente negativo, si calcola il coefficiente di temperatura di RT in modo da soddisfare la (16). Soluzione 2: Si utilizza la configurazione circuitale in figura 10, con RT costante non dipendente dalla temperatura. Poichè in genere il coefficiente di temperatura dei rami del ponte (TCR=1/R wR/wT) è positivo, il rapporto di partizione cresce all’aumentare della temperatura, La compensazione viene effettuata scegliendo il valore opportuno della RT. I valori che risulatno per RT sono a volte elevati, perciò l’alimentazione del ponte risulta molto ridotta rispetto a quella fornita dall’alimentatore. Inoltre si deve avere TCR >|TCS|. Soluzione 3: Alimentazione del ponte in corrente. In tal caso la tensione di alimentazione VREF=RI (I costante) e se R ha coefficiente di temperatura maggiore di zero la tensione di alimentazione cresce come richiesto al crescere della temperatura. Tuttavia la compensazione risulta completa solo se per i sensori utilizzati TCR=-TCS. La struttura a ponte può essere sfruttata anche in un amplificatore, secondo vari possibili schemi uno dei quali è presentato in figura 11. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 110 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati R R VREF U0 R R Figura 11. 5.7. I Convertitori Analogico/Digitali (A/D) 5.7.1. Caratteristiche Generali I convertitori A/D provvedono alla quantizzazione di un livello di tensione. L’ingresso del convertitore A/D è una tensione analogica, Vi, da considerarsi costante durante il processo di conversione mentre l’uscita è un codice binario, B, che rappresenta la tensione analogica con precisione finita. In particolare si ha: B « Vi » « » oppure B ¬VLSB ¼ ª Vi º « » ¬VLSB ¼ (17) in cui VLSB è il livello di tensione corrispondente al bit meno significativo e per un convertitore A/D N bit è pari a: VLSB VFS 2N (18) e VFS (tensione di fondo scala) rappresenta la tensione analogica massima che si può convertire, detta anche dinamica del convertitore. Nel processo di quantizzazione è insito un errore dovuto al fatto che nel passaggio da un livello analogico continuo ad un valore discreto si commette un’approssimazione. Nell’arrotondamento l’errore massimo commesso è pari a: emax 1 VLSB 2 (19) La densità di probabilità che normalmente si assegna all’errore di quantizzazione è uniforme nell’intervallo [-VLSB/2,VLSB/2] Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 111 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati f ( e) 1 (20) VLSB e l’errore medio commesso è nullo. Nel troncamento si considera sempre una densità uniforme, questa volta tra [ -VLSB 0] e l’errore medio è pari a: e 1 V LSB 2 (21) La varianza dell’errore di quantizzazione può essere valutata nel modo seguente: 1 VLSB 2 V2 ³ (e e) 2 p(e)de 1 VLSB 2 VLSB 12 2 (22) quindi: V VFS 2 N 12 (23) Considerando il rumore di quantizzazione associato all’arrotondamento (media nulla) e assumendo che tale rumore si comporti come un segnale stazionario ed ergodico la varianza esprime anche la potenza media. E’ possibile calcolare il rapporto segnale rumore massimo che si ottiene con un convertitore A/D ideale ad N bit, supponendo di convertire una sinusoide a massima ampiezza, VFS/2: 2 SNR VFS 22 N12 2 4 VFS2 3 2N 2 2 (24) che espresso in dB: SNR N ( 20 log 2 ) 1.76 dB N 6.02dB 1.76 dB (25) Utilizzando questa formula è possibile scegliere il numero di bit del quantizzatore sulla base del rapporto segnale rumore desiderato. Un A/D reale naturalmente si discosta dal comportamento ideale, quindi all’errore di quantizzazione insito nel processo di discretizzazione unisce altri errori dovuti alle sue caratteristiche reali. Normalmente un convertitore viene qualificato mediante una serie di parametri, i principali verranno elencati nel seguito. Per rendere più chiara la trattazione risulta utile fornire le seguenti definizioni: Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 112 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati caratteristica reale (verde)-caratteristica ideale (blu) 1 0.8 0.8 U(Z)=Z*VLSB U(Z)=Z*VLSB caratteristica ideale 1 0.6 0.4 0.2 0 0.6 0.4 0.2 0 0.2 0.4 0.6 0.8 0 1 non linearità integrale 0 0.2 0.4 Vin 0.6 0.8 1 0.6 0.8 1 Vin 0.5 1 (Vin-U(Z))/VLSB (Vin-U(Z))/VLSB 0.5 0 0 -0.5 -0.5 0 0.2 0.4 0.6 0.8 1 -1 0 0.2 Vin 0.4 Vin Figura 12. Non linearità di un A/D x Si definisce T(k) il livello di transizione relativo al codice d’uscita k, quel livello di tensione analogica in corrispondenza del quale si ha una pari probabilità di ottenere in uscita dal quantizzatore il codice k e il codice precedente. Il livello di transizione ideale Ti(k) si ottiene con la seguente equazione: Ti(k)=1/2VLSB+(k-1)VLSB. x Si definisce larghezza di codice W(k) l’intervallo di tensione analogica che viene codificata con il codice k dal quantizzatore. La larghezza di codice ideale è ovviamente pari a VLSB, e W(k)=T(k+1)-T(k). Parametri principali Errore di offset – con riferimento alla figura 12, si vede che la caratteristica statica ingresso-uscita di un convertitore ideale è costituita da una gradinata, con larghezza del gradino pari a VLSB (eccetto il primo e l’ultimo nel caso di arrotondamento che sono pari a ½ VLSB), la linea che unisce i punti medi dei gradini perciò è una retta che passa dall’origine. L’errore di offset non è che una traslazione della caratteristica ideale, per cui i livelli di transizione o di scatto relativi a ciascun codice vengono spostati di uno stesso valore pari appunto all’errore di offset. Questo errore è correggibile attraverso un sistema di compensazione esterno (si sottrae dalla Ui una tensione pari all’offset). Errore di Fondo scala o di Guadagno – questo errore agisce sulla pendenza della caratteristica che si discosta dalla pendenza della caratteristica ideale ( tutti i gradini Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 113 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati hanno ampiezza uguale ma diversa da VLSB). Anche questo errore che non influisce sulla linearità del sistema di conversione può essere compensato esternamente. Considerando di aver corretto questi due errori, si devono comunque considerare gli errori di non-linearità, che sono in genere quantificati con due parametri: Non linearità differenziale – nella caratteristica reale del convertitore ciascun gradino ha in realtà larghezza diversa, lo scostamento della larghezza del gradino rispetto a VLSB rappresenta la non linearità differenziale (Differential Non Linearity, DNL) in genere espressa in frazioni di VLSB. Più precisamente: W ( k ) VLSB e DNL max DNL( k ) . La linea che unisce i punti intermedi DNL( k ) K VLSB dei gradini è una spezzata. Se DNL è maggiore del valore del VLSB possono esserci codici mancanti o non monotonicità della caratteristica. Non linearità integrale – Lo scostamento tra la caratteristica reale e quella ideale viene normalmente definito non linearità integrale (Integral Non Linearity, INL): 1 INL( k ) T ( k ) Ti ( k ) T ( k ) VLSB ( k 1 )VLSB . In genere il parametro INL è dato 2 da: INL max INL( k ) K Comportamento in frequenza Per quanto riguarda la non linearità integrale, la caratteristica reale di un convertitore può essere modellata da una struttura composta da due blocchi, come in figura 13 e(x) x g(x) + y Figura 13. Modello di convertitore A/D, che evidenzia il suo coportamento non lineare In figura 10, y è la versione quantizzata del segnale x, la funzione g(x) tiene conto del comportamento non lineare, e(x) rappresenta l’errore di quantizzazione. Considerando di utilizzare il convertitore per campionare una sinusoide, il segnale campionato y sarà costituito dalle seguenti componenti: la versione campionata e quantizzata della sinusoide, una componente additiva data dal rumore di quantizzazione, e le componenti armoniche superiori che nascono per effetto della funzione non lineare g(x). Se si osserva lo spettro del segnale campionato e quantizzato si vede dunque il picco alla frequenza del segnale (e le sue repliche spettrali), il rumore di quantizzazione che in genere si può considerare bianco, (la validità di questa ipotesi dipende dal rapporto tra la frequenza del segnale e quella di campionamento, si veda la figura 11) e i picchi dovuti alla distorsione cioè alle componenti armoniche superiori, che per aliasing possono trovarsi anche in banda base. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 114 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati Occorre sottolineare che in genere la non linearità differenziale è distribuita su tutta la dinamica dell A/D, perciò per segnali che coprono tutta la dinamica dell’A/D è la non-linearità integrale a determinare il comportamento del convertitore per quanto riguarda la distorsione. Per segnali di basso livello invece il contenuto armonico dipende fortemente anche dalla forma della non-linearità differenziale, e non diminuisce al decresecere del livello dell’ingresso. Figura 14. a) distribuzione spettrale del rumore di quantizzazione per due diverse scelte della frequenza del segnale fs e della frequenza di campionamento fa (SFDR=Spurious Free Dynamic Range, rapporto tra la potenza della portante e la componente armonica di distorsione con ampiezza maggiore) Figura 14. b) distribuzione spettrale delle armoniche spurie La distorsione armonica è specificata in dBc (decibels below Carrier), e viene misurata in genere con un segnale sinusoidale di ampiezza prossima al fondo scala. Ci sono molti modi per descrivere la distorsione, i parametri più utilizzati sono: Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 115 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati Total Harmonic Distortion (THD) – è il rapporto tra il valore efficace, (r.m.s.), delle componenti armoniche (in gnere si considerano le prime 5) e quello del segnale. Vrms ( fs ) THD 20 log 2 2 2 Vrms (2 fs ) Vrms (3 fs ) .. Vrms (nfs ) Total Harmonic Distortion plus Noise (THD+N) - è il rapporto tra il valore r.m.s delle componenti armoniche più tutte le altre componenti di rumore (escluse quelle in DC) ed il valore efficace del segnale, occorre specificare la banda che si utilizza per la misura. Signal to Noise and Distrotion Ratio (SINAD) - è il rapporto segnale rumore che si ottiene considerando tutte le componenti di rumore anche quelle dovute alla distorsione (escluse le componenti in DC) in tutta la banda, è uguale al valore assouluto del THD+N se la banda per la misura della potenza del rumore è la stessa. Effective Number of Bits (ENOB) - è il numero di bit che dovrebbe avere un A/D ideale per assicurare un rapporto segnale rumore pari al valore misurato del SINAD. Si ottiene invertendo la formula (25) sostituendo al SNR dovuto al solo rumore di quantizzazione il SINAD misurato. ENOB SINAD 1.76dB 6.02 Banda analogica – la banda analogica di un A/D è la frequenza alla quale l’ampiezza della fondamentale (stimata a partire dal segnale campionato) si riduce di 3dB. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 116 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati figura 15. Dipendenza dalla frequenza di SINAD e ENOB, per dieverse ampiezze del segnale in ingresso (-0.5 dB sotto il fondoscala, -6 dB sotto il fondoscala, -20 dB sotto il fondoscala) E’ da sottolineare che i parametri elencati non sono indipendenti dalla frequenza, le prestazioni di un A/D tendono infatti sempre a peggiorare al crescere della frequenza del segnale d’ingresso (vedi figura 15). 5.7.2. Famiglie di Convertitori I convertitori che saranno descritti in queste dispense sono classificabili in tre grandi famiglie: 1. Convertitori a Rampa 2. Convertitori ad Approssimazioni Successive 3. Convertitori di Tipo Parallelo (Flash e Half Flash) Queste famiglie sono caratterizzati da diverse velocità di conversione e risoluzione cioè numero di bit, con i convertitori doppia rampa (o multipla rampa) si riescono ad ottenere risoluzioni molto elevate (20 bit), a scapito della velocità di conversione. Come abbiamo visto nei capitoli precedenti vengono utilizzati tipicamente nei voltmetri numerici, per la conversione di segnali in DC. I convertitori ad approssimazioni successive vengono utilizzati nelle applicazioni in cui la velocità di conversione è contenuta (al massimo qualche MHz) e raggiungono risoluzione di 1216 bit, sono i convertitori utilizzati nelle schededi acquisizione general purpose. Per ottenere velocità di conversione molto elevate (anche centinaia di MHz) si utilizzano convertitori flash o half-flash, che offrono risoluzioni tra gli 8 e i 9 bit (vedi figura 13). Un'ultima famiglia è rappresentata dai convertitori A/D 6-' che, basandosi su una strategia diversa rispetto al semplice confronto con i livelli di tensione quantizzati, riescono a garantire un’elevatissima risoluzione con frequenze di campionamento nell’ordine delle diecine di kHz (tipico: 24 bit 44 kHz). Tali convertitori nati per applicazioni audio si stanno diffondendo anche nel campo delle misure per la conversione di segnali da sensori (banda stretta ed elevata accuratezza). Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 117 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati 24 20 risoluzione (bit) 16 doppia rampa o multipla rampa approssimazioni successive 12 HALF FLASH FLASH 8 4 0 0 10 10 2 4 10 f(Hz) 10 6 10 8 Figura 16. Caratteristiche dei convertitiori A/D 5.7.2.1 Convertitori a Doppia Rampa Il principio di funzionamento di questa architettura è già stata presentato nel voltmetro a doppia rampa del Capitolo 3 pertanto non ci dilungheremo molto sul funzionamento quanto sulle caratteristiche peculiari di questo tipo di convertitore. Logica di Controllo Ic Iu C Integratore di Miller Vx Id Vs Vr Contatore Clock Figura 17. Schema di principio del convertitore a doppia rampa La relazione che determina il valore di conversione è la seguente: nTck 2 N Tck Vx Vr RC RC Vx Vr Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 (26) 118 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati Dove 2N è il numero di conteggi nella fase di run-up ed n è quello della fase di rundown. La (26) può essere ulteriormente esplicitata come: n Vx N 2 Vr (27) V Tu Tcommutazione Td t Figura 18. Andamento delle fasi di runup e rundown. Si vede come le fasi di run up abbiano pendenza che dipende dal livello di tensione che si vuole convertire mentre le rette della fase di rundown sono tutte parallele Il tempo di conversione è pari sostanzialemte a: T 2 2 N TCK (28) I fattori che maggiormente incidono sulle caratteristiche di un convertitore di questo genere sono: accuratezza della tensione di riferimento errori di fuori zero dell’integratore e del comparatore (dovuti a tensioni di offset e a correnti di polarizzazione degli operazionali) Gli errori di fuori zero possono essere compensati ricorrendo a particolari soluzioni circuitali. Questo convertitore è caratterizzato da un’ elevata immunità ai disturbi di modo normale*1, garantita dal processo di integrazione: tutti i disturbi a media nulla tendono ad essere attenuati. I disturbi periodici (come il ripple sull’alimentazione) possono essere completamente reiettati se si utilizzano tempi di integrazione multipli del periodo del disturbo. 1 Per reiezione di modo normale, si intende la capacità di un sistema di eliminare i disturbi che si presentano sovrapposti al segnale, ad esempio in un sistema differenziale i disturbi che si presentano come segnali di modo differenziale. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 119 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati 120 110 100 90 NMR (dB) 80 70 60 50 40 30 20 1 10 2 3 10 f(Hz) 10 Figura 19. Normal Mode Rejection per un convertitore con periodo di integrazione pari a 20 ms 5.7.2.2 Convertitori ad Approssimazioni Successive In figura 20 è riportata la struttura di un convertitore SAR (Successive Approximation Register). Una macchina a stati (SAR) genera i codici secondo la strategia presentata in figura 21, i codici generati dal SAR vengono convertiti in una tensione analogica da un convertitore Digitale Analogico (DAC), la tensione così ottenuta viene confrontata con la tensione Ui da un comaparatore. La tensione di uscita del comparatore è alta (Vy=1) se la tensione Ui è maggiore dell’uscita del convertitore digitale analogico, è zero altrimenti. SAR Clock Registro di Scorrimento … Ui Vy Logica di Controllo Registro di Memoria b0 b1 b2 bn DAC Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 VFS 120 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati Figura 20. Schema di principio del convertitore ad approssimazioni successive SAR In figura 21 è riportato il diagramma degli stati seguito dal SAR per N=3; 100 Vy=0 Vy=1 010 Vy=0 Vy=1 001 Vy=0 000 110 Vy=0 011 Vy=1 001 Vy=0 010 Vy=1 101 Vy=1 011 Vy=0 100 111 Vy=1 101 Vy=0 110 Vy=1 111 Figura 21. Diagramma di flusso per un convertitore SAR L’approccio seguito dai convertitori di tipo SAR è efficiente in termini di rapidità perché opera secondo uno schema di approssimazioni successive in grado di condurre al risultato finale dopo un numero di passi pari al numero di bit. Il processo che viene utilizzato in questa tipologia di convertitori prende il nome di processo dicotomico. Infatti si procede come segue: sia Ui il livello di tensione da discretizzare, si discrimina, come primo passo se Ui stia sopra o sotto VFS/2. Perciò il SAR porrà ad 1 il bit più significativo (MSB) con tutti gli altri bit a zero (in tal modo ci si pone a metà della scala) ed il DAC genererà proprio il livello di tensione VFS/2. Se Ui è maggiore di VFS/2, il SAR lascerà invariato il MSB e porterà ad uno il bit immediatamente successivo, il livello analogico che viene generato sarà pari dunque alla somma di VFS/2, con la sua metà cioè VFS/4 e si effettua il confronto con 3VFs/4. Altrimenti il bit più significativo viene posto a zero e viene portato ad uno il bit immediatamente succesivo, effettuando il confronto tra Ui e VFS/4 e così via, con una logica di bisezione fino ad ottenere il risultato finale. Solitamente questo tipo di convertitore è notevolmente più veloce di quelli di tipo a doppia rampa e si raggiungono frequenze di clock dell’ordine dei MHz con tempi di risposta nella fascia 1-40 Ps per conversioni da 8 a 16 bit. Come già detto il processo di quantizzazione nel caso del convertitore a doppia rampa richiede un tempo di conversione pari a 2N+1*Tck, mentre per questo tipo di convertitori il tempo massimo di conversione è pari a N*Tck dove N rappresenta il numero di bit. Le caratteristiche di questo convertitore dipendono da quelle del convertitore digitale analogico, che deve essere realizzato con un numero di bit superiore al numero di bit dell’ A/D. 5.7.2.3 Convertitori Flash Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 121 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati Come visto in precedenza il tempo di conversione dei convertitori SAR è di N*Tck. Qualora si debbano convertire segnali con frequenze di alcune decine di MHz si devono considerare i convertitori di tipo parallelo. Ui VFS R/2 W0 R W1 R W2 R W3 R W4 Priority Priority Encoder Encoder bit W5 R . . . . . . . . . W2N-1 R/2 Figura 22. Schema di principio del funzionamento di un convertitore parallelo di tipo Flash La conversione parallela è dal punto di vista concettuale la più semplice di tutte e risulta in pratica la più veloce (da cui il nome Flash per i convertitori di questa categoria). Il campo di applicazione è quello della elaborazione dei segnali video, l’analisi dei segnali radar, ed il trattamento digitale delle immagini. Dal momento che per ottenere una conversione A/D si deve sempre effettuare un confronto con i 2N livelli di tensione possibili, invece di procedere per passi successivi si confronta il segnale con tutti i livelli in un solo colpo di clock, utilizzando un circuito come quello mostrato in figura 22. L’architettura è basata su di una batteria di comparatori con i livelli di riferimento dati dai livelli di quantizzazione a partire dal valore nullo fino al valore di fondo scala VFS. I livelli di riferimento sono generati mediante un sistema di partizione della tensione. Quello che si ottiene all’uscita dei comparatori è una serie di uno e zero che che indicano a quale intervallo di conversione appartiene la tensione analogica. Infatti per un convertitore a 3 bit, si avranno 8 resistenze (arrotondamento) e 7 comparatori e l’uscita dei comparatori sarà definita dalla seguente tabella: Se Vi< VLSB/2 Se VLSB/2<Vi< 3VLSB/2 Se 3VLSB/2<Vi< 5VLSB/2 W6 0 1 1 W5 0 0 1 W4 0 0 0 W3 0 0 0 Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 W2 0 0 0 W1 0 0 0 W0 0 0 0 122 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati Se 5VLSB/2<Vi< 7VLSB/2 Se 7VLSB/2<Vi< 9VLSB/2 Se 9VLSB/2<Vi<11VLSB/2 Se 11VLSB/2<Vi< 13VLSB/2 Se 13VLSB/2<Vi 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 1 0 1 1 1 1 0 0 1 1 1 0 0 0 1 1 0 0 0 0 1 Tabella 1. Codifica di un convertitore SAR L’encoder a priorità codifica le 7 diverse configurazioni riportate in tabella con codici binari a 3 bit. Si nota subito come a fronte di una conversione veloce questo tipo di architettura richieda per N bit, 2N –1 comparatori e 2N resistori. Ciò spiega perché questa architettura fino agli anni ‘80 non veniva mai realizzata con più di 8 bit. La risoluzione per i convertitori flash è limitata dalla complessità circuitale e dalla potenza dissipata. Le caratteristiche di questi convertitori dipendono dalla realizzazione dei comaparatori (tensioni di iffset e correnti di polarizzazione) e dal matching delle resistenze. Spesso alle frequenze di utilizzo di questi convertitori, non è possibile utilizzare un sample and hold analogico, pertanto molti A/D Flash sono dotati di sample and hold digitali, questi non sono altro che dei latch a valle dei comparatori che consentono di congelare (con miglior accuratezza temporale rispetto ad un S&H analogico) l’uscita dei comaparatori nell’istante in cui si vuole campionare il segnale. 5.7.2.4 Convertitori Half Flash (Serie-Parallelo) Questa ultima architettura che presentiamo mantiene pressoché inalterate le caratteristiche di velocità dei convertitori di tipo parallelo riducendone però notevolmente la complessità circuitale. La filosofia del funzionamento di questo tipo di convertitori è quella di effettuare la conversione in due passi distinti. Supponendo di volere effettuare una conversione a 10 bit di un segnale analogico si può pensare di effettuare una prima conversione a 5 bit per determinare il valore dei bit più significativi ed una seconda conversione per i restanti 5 bit meno significativi. Fare una codifica a 5 bit vuole dire dividere il VFS in 32 livelli ed individuare in quale intervallo cade la tensione incognita Ui. Una volta effettuata la conversione a 5 bit si fa la differenza tra il valore trovato dalla conversione e il segnale in ingresso e si converte il residuo (amplificato) trovando così i restanti bit meno significativi. Lo schema di principio è quello mostrato in figura 23. VREF Vin Sample and Hold X2 A/D DAC grossolano (M bit) - M A/D fine (K bit) M MSBs K LSBs Clock 2 Clock 1 Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 123 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati Il maggiore vantaggio di questa configurazione risiede nel fatto che i due convertitori da M e K bit rispettivamente (M e K sono valori definiti a priori) possono essere uguali possono cioè lavorare con la stessa tensione di fondo scala, interponendo, come mostrato in figura 13 un amplificatore di guadagno 2M per dilatare la differenza massima di 1 VLSB al valore massimo del fondo scala iniziale del convertitore a M bit. In sostanza quindi il maggiore vantaggio che si trae è la possibilità di di contenere la complessità circuitale al crescere della risoluzione riducendo moderatamente la velocità di conversione. 5.7.2.5 Convertitori 6' I convertitori 6' campionamento. rappresentano un’evoluzione dei convertitori a sovra- Convertitori a sovra-campionamento Il principio di funzionamento di questi ultimi si basa sull’ipotesi di poter rappresentare il rumore di quantizzazione con un processo stocastico bianco, caratterizzato da una densità spettrale di potenza costante su tutta la banda del segnale campionato [-fc/2 fc/2], in cui fc rappresenta la frequenza di campionamento del sistema. Detto No il valore di tale costante è noto che la potenza media del rumore, N, è data da: V 2 LSB (29) N No fc 12 Supponendo di campionare e quantizzare un segnale caratterizzato da una banda fs, è noto che per il teorema di Shannon deve essere soddisfatto il vincolo fc>2fs. La frequenza limite 2fs è detta frequenza di Nyquist, il campionamento effettuato ad una frequenza maggiore della frequenza limite si dice sovra-campionamento. Si definisce fattore di sovra-campionamento OSR (oversampling ratio) il rapporto tra la frequenza di campionamento utilizzata e la frequenza limite di Nyquist. Perciò: fc (30) OSR 2 fs Si consideri che il sistema di campionamento e quantizzazione venga realizzato utilizzando lo schema riportato nella figura seguente: /2 2 Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 124 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati Filtro LP segnale No fs Fc/2=Kfs/2 f Figura 24. Schema di principio del convertitore a sovra-campionamento in cui OSR=K/2. Dopo il filtro anti-aliasing in ingresso, che taglia le componenti a frequenza maggiore di fc/2, il convertitore esegue un campionamento con frequenza pari fc=Kfs, introducendo un rumore di potenza pari ad N, il cui valore dipende dal numero di bit utilizzati per la quantizzazione. Se a seguire il convertitore si introduce un filtro digitale passa basso (ideale) con banda passante pari a fs, la potenza di rumore, N’, all’uscita del filtro sarà: N N (31) N' N 0 2 f s 2 fs fc OSR perciò il convertitore a sovra-campionamento ottenuto dalla cascata del convertitore A/D veloce (a frequenza fc),del filtro digitale (con banda fs) e del decimatore a valle, che elimina i campioni ridondanti, è caratterizzato da un rapporto segnale - rumore di quantizzazione, SNR’, pari a: S S SNR ' OSR o SNR ' dB SNR 10 log(OSR) (32) N' N in cui con SNR si è indicato il rapporto segnale rumore del convertitore A/D utilizzato nella catena. Se si considera che il numero di bit n di un convertitore A/D è legato al rapporto segnale rumore ottimo, nel caso di segnale sinusoidale, dalla seguente relazione: SNRdB (33) #n 6dB si vede che il convertitore a sovra-campionamento si comporta globalmente come un quantizzatore ideale con neq bit: neq SNR ' 6dB SNR 10 log(OSR) 6dB n 10 log(OSR) 6dB (34) pertanto il convertitore a sovra-campionamento si comporta come un A/D con un numero di bit maggiore di quello effettivamente utilizzato, ma più lento. L’incremento del numero di bit equivalente risulta pari a 0.5 bit per ottava, in altre parole per ottenere un incremento di un bit è necessario campionare ad una frequenza, fc, quadrupla rispetto a quella effettiva valle del decimatore, 2fs, cioè avere un fattore OSR pari a 4. La filosofia di questi convertitori è dunque quella di generare un campione sintetizzando l’informazione ottenuta a partire da OSR campioni, con un’operazione di media. Questo permette di ridurre il rumore (in potenza proprio di un fattore OSR), ma naturalmente porta ad una riduzione della frequenza di conversione. Risulta evidente perciò che questa filosofia risulta efficace se è ragionevole pensare che i Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 125 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati campioni del rumore di quantizzazione si presentino come variabili aleatorie indipendenti (o comunque scorrelate) il che equivale ad accettare l’ipotesi di rumore bianco. Convertitori 6' I convertitori 6', si basano sulla strategia ora descritta del sovra-campionamento ma sono caratterizzati da una struttura più complessa che consente di ottenere un miglior filtraggio del rumore. Lo schema di principio di un convertitore 6' del primo ordine è riportato in figura: LOW PASS DIGITAL FILTER H(Z) A/D converter Figura 25: Schema di principio di un convertitore 6' Nello schema di principio il convertitore è schematizzato con il suo equivalente lineare, ovvero con un sommatore che introduce il rumore di quantizzazione. Il convertitore A/D è inserito in un anello di reazione negativa. Si indichi con X(z) la trasformata zeta del segnale in ingresso campionato, con Y(z) quella del segnale in uscita e con E(z) quella dell’errore di quantizzazione,si indichi inoltre con H(z) la funzione di trasferimento del filtro analogico mostrato nello schema a blocchi, si vede che: H ( z) X ( z) H x ( z) E(z) 0 1 H ( z) 1 (35) Y ( z) E( z) E( z)H e ( z) X (z) 0 1 H ( z) 1 H ( z) Y ( z) E( z) X ( z) X ( z) H x ( z) E( z)H e ( z) 1 H ( z) 1 H ( z) Per ottenere questo risultato si è applicato il principio di sovrapposizione degli effetti. Poiché l’ingresso analogico e l’errore di quantizzazione entrano in punti diversi della catena di conversione, si ottengono due diverse funzioni di trasferimento. Y ( z) X ( z) Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 126 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati Con questa struttura si vuole rendere più efficace l’azione di attenuazione del rumore data dal filtro passa-basso digitale che si trova subito valle dell’anello di reazione, è perciò evidente che si desidera che la funzione di trasferimento del rumore, He corrisponda ad un filtro passa alto, mentre bisogna garantire che la funzione di trasferimento del segnale Hx, non distorca il segnale. Come si vedrà nel seguito questo si ottiene realizzando la funzione H(z) con la seguente struttura: H(z) z-1 + Figura 26: realizzazione della funzione H(z) Dunque: H ( z) z 1 1 z 1 (36) Si noti che la struttura riportata in figura rappresenta un integratore tempo discreto, in quanto nel dominio del tempo esegue la seguente operazione: n 1 xout (nTc ) ¦x in (kTc ) (37) k 0 Si ottengono quindi i seguenti risultati: 1 1 z 1 H e ( z) 1 z 1 1 1 1 z 1 z z 1 1 1 z (38) z 1 1 z 1 H x ( z) z 1 z 1 1 1 z 1 Da cui si vede che Hx rappresenta semplicemente un ritardo, mentre He presenta uno zero sul cerchio unitario, cioè si comporta come un differenziatore tempo discreto. Ricordando che per passare al dominio s, si pone z=esTc (Tc =1/fc) si vede infatti che la funzione He(s) presenta uno zero in 0. A questo punto occorre quantificare l’effetto di reiezione del rumore ottenuto attraverso questa architettura. Per fare questo si considera ancora una volta di avere a valle un filtro passa-basso digitale ideale con frequenza di taglio fs e si calcola la potenza di rumore in uscita da filtro NLP. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 127 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati fs N LP ³ fs N 2 H e ( f ) df fc (39) In cui N rappresenta la potenza del rumore di quantizzazione introdotto dal N 2 H e ( f ) rappresenta la convertitore A/D nella catena ovvero la potenza di e(n), fc densità spettrale di potenza del rumore in uscita dal modulatore 6', ed H e ( f ) rappresenta la funzione di trasferimento relativa al rumore di quantizzazione nel dominio della frequenza, che si ottiene ponendo z=ej2SfTc. In particolare si ha: H e ( f ) 1 e j 2SfTc (40) 2 He ( f ) (1 cos 2SfTc ) 2 (sin 2SfTc ) 2 e poichè interessa valutare H e ( f ) 2 soltanto nella banda del filtro digitale (-fs, fs) e supponendo di avere un OSR elevato, che equivale a dire una frequenza di campionamento fc >> fs, si potrà considerare che il prodotto ZTc sia sempre <<1 in tale banda, pertanto la funzione di trasferimento in potenza potrà essere approssimata con il suo sviluppo in serie al primo ordine, nel seguente modo: 2 H e ( f ) | (2SfTc ) 2 (41) Infine si avrà per la potenza del rumore in uscita dal filtro passa basso, NLP: fs N LP ³ fs N 2 H e ( f ) df fc fs ³ fs N 2 4S 2 f 2Tc df fc 3 N 2 f 4S 2Tc 3 fc fs fs 3 f N 8S 2 s 3 3 fc (42) 2 N S OSR 3 3 Perciò il rapporto segnale –rumore di quantizzazione, SNR’’ relativo all’intera struttura del convertitore 6', sarà: SNR ' ' dB 10 log(S ) 10 log( N ) 30 log(OSR) 10 log( S2 ) SNRdB 30 log(OSR) 5.17dB 3 In cui ancora una volta SNRdB rappresenta il rapporto segnale rumore del convertitore A/D inserito nel convertitore 6', e rappresentato nello schema di principio con un sommatore. Da questa equazione si vede che il rapporto segnare rumore cresce con il cubo di OSR. Ancora una volta ricordando che il rapporto segnale rumore ottimo per un quantizzatore, nel caso di ingresso sinusoidale è legato al numero di bit dalla seguente equazione: SNRdB n| (43) 6dB potremo calcolare il numero di bit equivalente che si riescono ad ottenere con un convertitore 6' in funzione del OSR: SNR ' ' dB SNRdB 30 log OSR neq | | (44) 6dB 6dB 6dB Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 128 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati Si vede che stavolta per ogni ottava nell OSR (ad ogni raddoppio di questo parametro) si ha un guadagno di 1.5 bit equivalenti, il che significa ad esmpio che scegliendo una frequenza di campionamento, fc, quadrupla di quella limite di di Nyquist si ottiene un guadagno in termine di bit equivalenti pari a 3. Lo schema a blocchi di un sistema che implementa lo schema di principo in fig.27 e che tipicamente viene utilizzato è riportato nella figura seguente, in cui si vede che il convertitore A/D vero e proprio è ad un solo bit, (come pure il convertitore D/A che permette di chiudere l’anello di reazione e valutare l’errore). Questo consente di eliminare gli errori di non linearità. Figura 27. Schema realizzativo di un convertitore 5.8. Schede DAQ Nelle figure 28 e 29 sono riportate due diverse architetture di schede di acquisizione commerciali, Plug & Play per PC (National Instruments serie E e serie S). Le schede sono costituite da una sezione di condizionamento e di acquisizione e da un’interfaccia verso un bus standard. La prima scheda utilizza un’architettura con ingresso analogico multiplexato, (16 ingressi single ended o 8 ingressi differenziali), un solo amplificatore per strumentazione a guadagno variabile, impostabile via software. La velocità di questa scheda è principalmente limitata proprio dall’amplificatore che deve garantire di essersi assestato entro la fascia di accuratezza corrispondente al livello del bit meno significativo del convertitore successivo a 12 bit (0.025%) entro il tempo di conversione minimo. L’amplificatore sviluppato dalla National Instruments assicura tempi di assestamento a guadagno costante leggermente maggiori di un Ps per un gradino in ingresso a massima ampiezza; per ciò con questa architettura non Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 129 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati è possibile superare un tempo di campionamento massimo poco superiore al MHz. Il tempo di assestamento che segue un cambiamento di guadagno dell’amplificatore è ovviamente molto maggiore. Il guadagno variabile dell’amplificatore realizza un sistema di acquisizione a dinamica variabile, da r50mV (guadagno 200) fino a r10 V (guadagno 1). La scheda non contiene filtri anti-aliasing. E’ pertanto cura dell’utilizzatore controllare che le caratteristiche in frequenza del segnale garantiscano di non violare il teorema di Shannon (e/o che l’aliasing sul rumore non degradi troppo le caratteristiche del sistema), o inserire un filtro antialiasing esterno. Si ricorda che se la scheda deve funzionare con frequenza di campionamento variabile può risultare vantaggioso realizzare un solo filtro anti-aliasing analogico, e far funzionare a frequenza fissa il convertitore (pari alla massima ammissibile). Le frequenze di campionamento minori possono essere ottenute per decimazione dopo aver effettuato un filtraggio digitale. Figura 28 Architettura multiplexata Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 130 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati Figura 29 Architetturta non multiplexata Nelle schede multiplexate la massima frequenza di campionamento si ottiene solo nel caso si utilizzi un solo canale analogico. Utilizzando k canali la massima frequenza di campionamento si riduce di un fattore k. Non è inoltre possibile il campionamento simultaneo dei canali analogici, anche se esistono modalità di utilizzo che indipendendentemente dalla frequenza di campionamento considerata minimizzano il ritardo tra gli istanti di campionamento di ciascun canale. Figura 30. Ingresso multiplexato. Configurazione differenziale Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 131 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati Nelle operazioni di acquisizione il convertitore può essere attivato da un comando software, oppure da un clock presente sulla scheda. Le schede prevedono in genere varie opzioni di trigger (software o hardware, analogico o digitale). Sulla scheda è presente un buffer FIFO, che disaccoppia l’acquisizione dal trasferimento verso il PC. Sono presenti anche due convertitori DAC a 12 bit , con massima frequenza di conversione sempre intorno al MHz, una o più porte di I/O digitali, e uno o più timer. Per ottenere frequenze di campionamento maggiori è necessario ricorrere ad architetture non multiplexate, come quella della scheda riportata in figura 29), che campiona alla frequenza massima di 10 MS/s (12 bit). In questo caso il sistema di condizionamento ed acquisizione è replicato per ogni canale analogico in ingresso. La scheda contiene anche i filtri antialiasing analogici programmabili (50 o 500kHz). Queste schede sono corredate di driver e pacchetti software molto evoluti (VI di Labview) che consentono un utilizzo versatile e molto facilitato. Le modalità di acquisizione, supportate in genere dall’hardware e dal software, sono: untimed single point: lettura di un campione con comando software, se si utilizzano sistemi operativi standard come Windows questo non garantisce una temporizzazione precisa dell campionamento timed single point: lettura di un campione dal buffer, il campionamento viene comunque temporizzato dal clock della scheda. Buffered: un certo numero di campioni viene acquisito in modo timed (temporizzato dal clock della scheda) e salvato sul buffer FIFO i campioni vengono poi trasferiti al PC (scarsamente utili nei sistemi di controllo). Stream to disk: dipendentementemente dall’hardware del sistema che ospita la scheda è possibile acquisire e salvare direttamente sulla memoria di massa a velocità anche pari ad 8 MS/s. 5.8.1. Connessione di ingressi analogici In figura 31 sono riassunti gli schemi di connessione possibili, per gli ingressi analogici di schede di acquisizione del tipo riportato in figura 28. Le prestazioni del sistema di acquisizione dipendono dallo schema di connessione scelto, particolarmente critico risulta il caso in cui sia la sorgente analogica che il sistema di condizionamento siano riferiti a terra in punti diversi. In tal caso la diversa tensione dei riferementi di terra, Vg, viene a trovarsi in serie alla tensione di misura. Poichè i collegamenti di terra non sono a resistenza nulla e le correnti che vi circolano sono di elevato valore (dipendentemente dalle utenze collegate), questa tensione può essere anche molto maggiore della tensione sotto misura. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 132 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati Figura 31. Schemi di connessione degli ingressi di una DAQ Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 133 5.8.2. Convertitori Digitali analogici (DAC) Per completare la descrizione delle schede di acquisizione verrà brevemente trattato in questa sezione il blocco di conversione digitale analogico (DAC), che come si vede dalle figure presentate nelle pagine precedenti è usualmente presente a bordo delle schede DAQ. Un convertitore D/A o DAC ad N bit con dinamica 0-VFS produce in uscita un livello di tensione VOUT legato al codice Z posto al suo ingresso digitale, dalla seguente relazione: VOUT ZV LSB VLSB (bN 1 2 N 1 bN 2 2 N 2 .. b1 21 b0 ) in cui il codice Z è composto dalla N-upla di bit (bN-1, bN-2, …., b1, b0) e bi =[0,1], e VLSB=VFS/2N. Quindi sono possibili all’uscia 2N livelli di tensione. Le architetture di questi dispositivi si basano su tre metodi di conversione: 1) metodo parallelo è l’analogo del convertitore A/D flash, con un partitore si generano i 2n livelli di tensione e una rete di 2N interruttori connette all’uscita il livello corrispondente al codice Z. I comandi degli interruttori sono generati da un decodificatore 1-N. 2) metodo pesato ci sono N interruttori, ciascuno comandato da un bit. Si sommano correnti o tensioni proporzionali ai pesi binari associati a ciascun bit, ad esempio VLSB al bit meno significativo 2N-1 VLSB al bit più significativo. 3) metodo a conteggio attraverso un solo interruttore viene generata un’onda rettangolare con duty cycle proporzionale al codice da convertire, un filtro passa basso estrae il valor medio. VFS R Z=(11) R Z=(10) VOUT R Vcc I b0 Z=(01) VOUT Ton= k Z 2I b1 R Vcc R R C Z=(00) (1) (2) (3) Figura 31 a - Metodi di conversione D/A Il metodo più utilizzato per la realizzazione di D/A integrati è quello pesato, gli interruttori sono CMOS o bipolari,. Forniscono un’uscita in tensione o in corrente (questo consente di realizzare strutture più veloci) 132-6 5.8.2.1 Convertitore a resistenze pesate Una soluzione circuitale classica è rappresentata dal circuito nella figura seguente: VFS 2R 4R 8R S2 S3 S1 2NR Sn R V OUT bN-1 bN-2 bN-3 b0 Figura 31 b - Convertitore D/A a resistenze pesate In questo circuito si ha: VOUT VLSB § V V V V R¨¨ b0 NFS ....... bN 3 FS bN 2 FS bN 1 FS 8R 4R 2R © 2 R b0 ....... bN 3 2 N 3 bN 2 2 N 2 bN 1 2 N 1 · ¸¸ ¹ Questa struttura, che si basa sull’utilizzo di interruttori a due vie, consente di mantenere il potenziale ai capi degli interruttori costanti riducendo i ritardi legati alla carica e scarica delle capacità parassite, è altresì costante il carico visto dal generatore della tensione di riferimento VFS. Tuttavia il numero di bit è limitato dalla accuratezza con cui è possibile realizzare le resistenze nei rapporti 2i, e dalla possibilità di integrare resistenze di elevato valore. 5.8.2.2 Convertitore con rete a scala Una soluzione alternativa ed efficiente si basa sulla sostituzione della rete di resistenze pesate con una rete di resistenze detta R-2R o rete a scala, ottenendo il circuito rappresentato nella seguente figura: VFS RV(N-2)R V(N-3) V(N-1) 2R 2R 2R S1 S2 S3 V(1) .......... 2R Sn-1 R V(0)2R 2R R Sn Io bN-1 bN-2 bN-3 b1 b0 VOUT I*o figura 31 c - Convertitore D/A con rete a scala 132-6 Poiché il carico visto da ciascun nodo V(i), è R (es. per il nodo V(0) è 2R//2R=R, per il nodo V(1) è (2R//2R+R)//2R= R, etc.), per questo circuito si ottiene: V ( N 1) VFS V ( N 2) 1 V ( N 1) 2 1 VFS 2 ... 1 1 V (2) VFS N 2 2 2 1 1 V (0) V (1) V N 1 FS 2 2 e dunque: V V V V V · § b1 N FS ... bN 3 FS bN 2 FS bN 1 FS ¸ VOUT R¨ b0 N FS 1 2 8R 4R 2R ¹ 2 2R © 2 2R VLSB b0 b1 2 ... bN 3 2 N 3 bN 2 2 N 2 bN 1 2 N 1 V (1) Le resistenze utilizzate in questo convertitore hanno valori R e 2R solamente, questo rende molto più compatta la struttura. E’ possibile realizzare una rete a scala cosiddetta inversa, basata sullo stesso principio, che sfrutta cioè partitori resistivi identici ripetuti, che consente di non utilizzare un amplificatore operazionale come sommatore delle correnti in uscita. Pertanto è possibile realizzare convertitori D/A con uscita in corrente. Nel caso in cui si debbano convertire numeri con segno (usualmente rappresentati in complemento a 2, Zc=2N-Z, in rappresentazione ad N bit) è possibile utilizzare un sistema del tipo riportato nella figura successiva nel quale si passa prima dalla rappresentazione in complemento a due a quella con offset binario (-2N-1,0) ed infine si somma analogicamente un offset per riportare le tensioni generate in un intervallo simmetrico centrato su 0V. 2R R VFS VOUT D/A R + R … + b7 b6 b5……….b1 b0 decimale -128 -127 .. -1 0 1 .. 126 127 Complemento a 2 Zc= Zc=2N-Z 10000000 10000001 … 11111111 00000000 00000001 … 01111110 01111111 Offest binario Z’=Z-2N-1 00000000 00000001 01111111 10000000 10000001 …. 11111110 11111111 V OUT Vo 0 VLSB 0 –128 VLSB=-VFS/2 VLSB-128 VLSB 127 VLSB 128 VLSB 129 VLSB 127 VLSB–128 VLSB 128 VLSB–128 VLSB 129 VLSB–128 VLSB 254 VLSB 255 VLSB 254 VLSB–128 VLSB 255 VLSB–128 VLSB=VFS/2 Figura 31 d Convertitore D/A bipolare 132-6 5.8.2.3 Applicazioni Poiché un convertitore D/A genera una tensione VOUT = Z VLSB= Z VFS / 2N , è possibile utilizzare questo dispositivo come moltiplicatore, in tal caso uno dei due fattori è costituito proprio da VFS. Con un D/A è anche possibile realizzare un divisore, sfruttando un circuito del tipo mostrato nella figura 31 e, in cui si sfrutta un convertitore con uscita in corrente: VFS=VOUT Z IK D/A R + VOUT IK Vi Figura 31 d - Divisore Nel circuito in figura si ha: Vi Vi IK ZI LSB R R V Vi V Z NFS Z OUT Vi R 2 R 2N VOUT Vi N 2 Z Una applicazione molto importante dei convertitori D/A è la generazione di forme d’onda. La struttura impiegata è la seguente: Generatore di indirizzi (contatore o sommatore con accumulo ) M bit, MtK K bit K>n M emoria RAM/ROM (look up table) D/A n bit Filtro passa basso oscillatore Figura 31 e - Generazione di forme d’onda. In cui la look-up table è una memoria contenete una sequenza di campioni, (segnale campionato). La look-up table viene letta ciclicamente, infatti il generatore di indirizzi 132-6 scandisce la memoria, passando da una locazione alla seguente in un periodo del clock generato dall’oscillatore, TC. La soluzione più semplice è quella di implementare il generatore di indirizzi con un contatore binario, in tal caso si avrà M=K e il periodo del segnale generato sarà 2KTC. E’ ovviamente necessario soddisfare il teorema di Shannon, pertanto si dovrà avere K>1, quanto deve essere maggiore sarà poi determinato dalle caratteristiche del filtro ricostruttore e del segnale generato. 5.8.2.4 Caratteristiche ed errori dei convertitori D/A Per quanto riguarda la caratteristica ingresso-uscita e gli errori statici vale quanto è già stato detto a proposito dei convertitori A/D. Si avranno cioè errori lineari di guadagno o fondo scala (legati all’accuratezza con cui è realizzato il riferimento di tensione) ed errori di offset (determinati ad esempio dall’offset dell’operazionale). Si possono anche definire in maniera perfettamente duale rispetto ai convertitori A/D la non linearità differenziale (DNL) e la non linearità integrale (INL), parametri che caratterizzano il comportamento non lineare del convertitore D/A. In figura è riportata la caratteristica ingresso uscita di un convertitore D/A ideale (blu-‘o’) sovrapposta a quella di due diversi convertitori D/A reali (linee rosse), caratterizzati da valori della Non Linearità Integrale (INL) diversi, ma da valori simili di Non Linearità Differenziale (DNL). 6 5 Vout (V) 4 3 2 1 0 0 5 10 15 10 15 INL, DNL (VLSB) Z 3 2 1 0 0 5 Z Figura 31 f - Caratteristiche statiche ingresso-uscita di un convertitore ideale (‘o’) e due convertitori reali (‘’ linee intera e tratteggiata). Nel grafico inferiore sono mostrate le INL (‘*’) e DNL (‘ ’) per i due convertitori reali. . 132-6 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati 5.9. Standard di Comunicazione per L’Interfacciamento dei Componenti dei Sistemi di Misura Automatici Uno standard di comunicazione specifica le principali caratteristiche dell’hardware (elettrico e meccanico), del protocollo e del software di basso livello di un sistema di interfacciamento fra sistemi elettronici. A seconda delle scelte realizzative per l’interfaccia e per il protocollo si otterranno diverse prestazioni in termini di velocità di trasmissione (limitata dalla natura e dalla lunghezza del mezzo trasmissivo e dalla complessità dell’interfaccia), di immunità al rumore (dipendentemente dal mezzo trasmissivo, dalle caratteristiche dei segnali utilizzati per la trasmissione), di lunghezza delle interconnessioni, di semplicità di uso. La scelta di uno standard di comunicazione deve essere effettuata considerando essenzialmente i seguenti aspetti: ZLe dimensioni del sistema di misura (nei sistemi di misura per l’automazione la dislocazone fisica dei componenti del sistema può richiedere connessioni di lunghezza dell’ordine delle decine o centainaia di metri, mentre per un sistema da laboratorio le connessioni copriranno distanze dell’ordine dei metri o al più delle decine di metri, infine per un sistema di misura compatto ospitato in un rack possono essere sufficienti distanze inferiori al metro). ZLa mole di dati trasmettere (per interrogare sensori lenti la banda del sistema di comunicazione può essere piuttosto ridotta). ZLa necessità di garantire tempi massimi fissati per la comunicazione (nei sistemi di controllo occorre garantire una temporizzazione precisa per l’acquisizione dei dati dai sensori e per l’attuazione). La realizzazione delle interfacce di trasmissione si basa, principalmente, su due tecniche di trasferimento dati: Trasferimento seriale: viene trasferito un bit per volta. Trasferimento in parallelo: viene trasferito un insieme di bit per volta. La scelta tra l’una e l’altra è legata a diversi fattori (tipo di dati trasmessi, dispositivi collegati,…) e viene effettuata tenendo in considerazione pregi e difetti delle due soluzioni: la maggior velocità del trasferimento in parallelo è accompagnata da una maggior complessità della struttura di controllo e, spesso, da problemi di affidabilità su collegamenti per distanze elevate, per esempio superiori a qualche metro. Per contro, la trasmissione seriale offre, in genere, maggiore semplicità nella realizzazione del canale trasmissivo, a parità di tecnologia impiegata (cavo elettrico, fibra ottica,…), superiore distanza tra trasmettitore e ricevitore, al prezzo di una minore efficienza di trasmissione. Nella letteratura tecnica si incontrano parecchie proposte di standard di interfaccia, sia nel caso di comunicazioni seriali, sia nel caso di trasferimenti in parallelo. Nel seguito verranno presi in esame due tra le più diffuse modalità per la connessione di strumenti elettronici di misura ad un calcolatore: Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 134 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati Lo standard RS-232 Lo standard IEEE 488 E’ da notare che sebbene questi due standard siano ad oggi i più diffusi, altri standard di comunicazione sviluppati per altri settori applicativi si stanno diffondendo anche per il controllo della strumentazione. Tra gli altri, due esempi significativi sono costituiti dalllo standard USB (Universal Serial Bus) e dal protocollo ETHERNET. L’USB è stato sviluppato originariamente per connettere PC a periferiche quali stampanti, scanner e dischi. Negli ultimi due anni il numero di computer dotati di interfaccia USB è aumentato in maniera significativa. Questo standard ha alcune caratteristiche che lo rendono vantaggioso, velocità elevata, facilità di utilizzo e di connettività. L’USB 1.1 prevede una massima velocità di trasmissione di 1.5 Mbit/s, ma già la generazione successiva, USB 2, supera questo limite offrendo velocità massime di 60 Mbit/s; è una tecnologia plug and play. Fino a 127 dispositivi possono essere connessi alla stessa porta con cavi (max 30 m) flessibili. D’altra parte la tecnologia USB non è uno standard industriale, e le sue prestazioni non sono garantite in ambienti rumorosi. Recentemente, i produttori di strumentazione elettronica hanno cominciato ad includere tra le possibili interfaccie di comunicazione di strumenti stand-alone, l’interfaccia Ethernet. Questa scelta è obbligata vista la sua diffusione in altri campi di applicazione e porta ad indubbi vantaggi quali elavata velocità (10 Mb/s o 100 Mb/s), facilità di condivisione degli strumenti tra diversi utenti e pubblicazione efficiente dei risulati della misura, tuttavia pone anche dei problemi nelle applicazioni che riguardano il controllo di strumentazione, legati all’ assenza di determinismo temporale nelle comunicazioni e alla sicurezza. 5.9.1. Interfaccia Seriale RS232 Nasce per l’interfacciamento di un’ unità centrale (DTE, Data Terminal Equipment) ed una dispositivo di comunicazione (DCE, Data Communication Equipment che può essere una periferica di varia natura, ad esempio una stampante, un modem, strumentazione elettronica, etc..) Prevede una modalità di cumunicazione molto semplice, il canale fisico di trasmissione può essere costituito nel caso più semplice da soli tre conduttori, due per la trasmissione dei dati ed il terzo per il riferimento dei potenziali elettrici. Inoltre le distanze percorribili con questo metodo di trasmissione sono, in generale, sufficienti per le normali esigenze di un sistema di misura o nella pratica industriale, dal momento che è possibile coprire facilmente una decina di metri. La connessione tra periferica e calcolatore secondo lo standard RS-232 è del tipo “da punto a punto” e prevede cioè un trasmettitore ed un ricevitore. Il cavo di collegamento tra periferica e calcolatore è costituito da più conduttori: lo standard fissa il significato assunto da ciascuno di essi. Al contrario, non stabilisce univocamente un tipo di connettore da utilizzare, ma il modello DB-25 a 25 pin è quello più usato, insieme alla versione minima DB-9 a 9 pin. Il connettore femmina dovrebbe, di norma, essere associato a DCE, cioè la periferica, il connettore maschio a DTE (Data Terminal Equipment), il computer. Lo scambio di dati avviene formando un frame molto semplice costituito da gruppi di 8 bit informativi e da due bit di controllo START e STOP (vedi figura 32). La Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 135 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati rappresentazione dei dati è ASCII a 7 bit l’ottavo bit viene utilizzato per il controllo di parità. 7 bit (ASCII) STOP PARITY BIT IDLING BITS START BIT 0 0/1 1 IDLING BITS 1 1 START BIT Figura 32. Pacchetto trasmesso secondo lo standard RS-232 Il ricevitore ed il trasmettitore devono avere clock di frequenza nominalmente identica con uno scarto ammissibile entro il 3%. In realtà il ricevitore opera ad una frequenza che è 16 volte la frequenza del trasmettitore, in questo modo la sincronizzazione del ricevitore e del trasmittore avviene in modo molto semplice, secondo lo schema in figura 33. Dopo il fronte di discesa rivelato sulla linea di ricezione dati (fronte dello start bit) il ricevitore campiona RXD con 16 fTX, quando rileva otto 0 logici consecuitivi, individua l’istante centrale del bit trasmesso e dà inizio al campionamento a frequenza pari ad fTX proprio da quell’istante. START BIT Sample from here with fTX 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 0 fRX=16 fTX Figura 33. Schema di sncronizzazione tra ricevitore e trasmettitore I segnali principali definiti dallo standard ed la loro gestione sono riportati nella tabella 2: pin # (25 poli) 1 Nome del segnale TXDTransmit Data 3 RXD Receive Data RTS Request To Send Funzione Normalmente collegato alla struttura esterna di uno dei dispositivi, il DCE o il DTE, e opportunamente collegato a terra. Protective Ground 2 4 direzione dal DTE (periferica) a DCE (computer) dal DCE a DTE Dal DTE al DCE Linea di trasmissione dei bit di informazione Linea di trasmissione dei bit di informazione Abilita i circuiti di trasmissione. Questo segnale, in combinazione con Clear To Send, coordina il trasferimento. Indica al DCE che deve ricevere dati dal DTE. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 136 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati 5 CTS Clear To Send Dal DCE al DTE Segnale di risposta a DTE. Quando attivo, indica a DTE che la trasmissione può iniziare 6 DTS Data Set Ready Dal DCE al DTE 7 SG Signal Ground Con questa linea DCE avvisa DTE che il canale di comunicazione è disponibile, cioè che DCE è pronto a trasmettere o a ricevere Riferimento di tensione per tutti gli altri segnali. 8 DCD Receive Line Signal Detect (or Data Carrier Detect) DTR Data Terminal Ready Dal DCE al DTE DCE utilizza questa linea per segnalare a DTE che sta ricevendo un “buon segnale”, cioè una portante analogica in grado di assicurare una demodulazione dei dati ricevuti priva di errori. Dal DTE al DCE Se questo segnale è a livello logico 1, DCE viene informato che DTE è pronto per la ricezione. Il segnale DTR deve essere attivo prima che DCE attivi il segnale Data Set Ready, indicando così di essere connesso al canale di comunicazione. Se il segnale DTR assume il valore logico 0, DCE interrompe la trasmissione in corso. RI Ring Indicator Dal DCE al DTE Linea usata da DCE per segnalare a DTE che sta per giungere una richiesta di collegamento. Il segnale Ring Indicator viene mantenuto sempre a livello logico 0, tranne quando DCE riceve un segnale di chiamata in arrivo. 20 22 Tabella 2. Segnali definiti nello standard RS232 RI COMPUTER DTR DCD DSR CTS RTS RXD TXD modem Figura 33. Schema di connessione tra un DTE ed un DCE Si osservi che un segnale è considerato attivo quando è a livello logico 1. Il Livello logico 0 è associato ad una tension tra 3V e 15 V, mentre l’1 tra –3V e -15V (logica negata). In realtà è possibile collegare anche due dispositivi di tipo DTE creando un null terminal, cioè collegando le linee dell’interfaccia in modo che ciascun DTE appaia un DCE all’altro computer. E’ possibile realizzare questo collegamento prevedendo la gestione hardware dell’handshaking, o a tre fili senza alcuna gestione hardware dell’handshaking. In questo caso si può effettuare un handshaking software (protocollo X-on/X-off) in cui si prevede di aprire e chiudere i messaggi con caratteri speciali. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 137 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati DTE GND TXD RXD RTS CTS DSR SG DCD DTR GND TXD RXD RTS CTS DSR SG DCD DTR DTE DTE GND TXD RXD RTS CTS DSR SG DCD DTR GND TXD RXD RTS CTS DSR SG DCD DTR DTE figura 34-schema di connessione tra due DTE, creando un null terminal, a) gestione dell’handshaking b)a tre fili senza gestione dell’handshaking. Le tensioni lette in corrispondenza al ricevitore sono diverse da quelle imposte al trasmettitore: tale definizione dei livelli di tensione permette di compensare le cadute di tensione lungo il cavo (canale di trasmissione). Questi effetti sono dovuti per lo più alla capacità associata al cavo. Lo standard impone una capacità massima di carico pari a 2500 pF: poiché un metro di cavo presenta tipicamente una capacità di circa 130 pF, la lunghezza massima accettabile risulta attorno ai 17 m. Chiaramente si tratta di un calcolo approssimato; nella pratica si riescono a coprire distanze massime dell’ordine dei 30 m, quando si impieghino cavi con bassa capacità oppure nel caso di ridotte velocità di trasmissione o ancora impiegando tecniche software di correzione degli errori di trasmissione. Lo standard RS-232 è molto diffuso, tuttavia esistono altri standard seriali che superano alcuni dei suoi limiti, i più diffusi sono riassunti nella tabella seguente. Ricevitori e Driver Connettività Max. Lunghezza Banda RS232 Single ended RS422 Differenziale RS423 Single ended RS485 Differenziale 1 trasmettitore 1 ricevitore 15 m (30 m) 20 kbit/s 1 driver 10 rivcevitori 1200 m (4 km) 10 Mbit/s 1 driver 10 ricevitori 1200 m 32 driver 32 ricevitori 1200 m (4 km) 10 Mbit/s 100 kbit/s Tabella 3. Schema relativo ad alcuni standard seriali 5.9.2. I Sistemi Automatici di Misura: il Protocollo IEEE 488 Lo standard IEEE 488 (IEC 625, IEEE 488, ANSI MC1) nasce con gli obiettivi di: 1. Definire un sistema di interconnessione su breve distanza. 2. Rendere possibile l’integrazione di strumenti di diversi costruttori in un unico sistema. 3. Permettere lo scambio dati ad una velocità sufficientemente elevata (fino ad 1MByte/s). Nello standard 488.1 le funzioni di interfaccia sono chiaramente distinte dalle funzioni svolte dai dispositivi; i costruttori sono liberi di implementare queste ultime a loro discrezione utilizzando, per il comando dei dispositivi, opportune istruzioni inviate sul bus, le quali possono variare a seconda del dispositivo specifico. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 138 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati Una successiva revisione dello standard ha avuto come risultato una nuova versione dello stesso, denominata IEEE 488.2. In tale nuovo insieme di norme, sono definiti anche I protocolli per la comunicazione tra i dispositivi e l’host, il formato della trasmissione dei dati sul bus ed infine sono fornite utili linee guida alla programmazione dei dispositivi. A tale proposito si ricorda la presenza delle indicazioni fornite dal consorzio SCPI (Standard Commands for Programmable Instruments), le quali sono perfettamente compatibili con le norme dello standard IEEE 488.2. Le indicazioni fornite da SCPI riguardano la sintassi e il significato associato ai comandi scambiati tra host e strumenti. I connettori 488 hanno una particolare struttura meccanica, rigorosamente stabilita dallo standard, e presentano 24 terminazioni o pin. Le caratteristiche essenziali dello standard IEEE 488 possono essere riassunte come segue: 1. Il bus è formato da 24 linee, 8 linee dati DIO0-7 (sulle quali viaggiano anche, a seconda del valore della linea ATN, i comandi multilinea), 3 linee per il protocollo di Handshake e 5 linee di comando (unilinea) (ATN, IFC, REN, SRQ, EOI), e 8 linee di massa. 2. Utilizza logica negata con livelli TTL compatibili, utilizza per le linee del bus driver TTL open collector o tri-state allo scopo di ridurre il consumo di corrente nello stato logico falso e utilizza la connessione wired-or (logica negata). 3. Il codice utilizzato per il protocollo è l’ASCII a 7 bit più un ulteriore bit di parità. 4. Il sistema ammette di interconnettere un massimo di 15 strumenti (di cui almeno 2/3 autoalimentati) oppure un numero N di strumenti tali che la lunghezza della connessione sia al massimo 2*N metri ma che non superi i 20 m. Pertanto il numero massimo di strumenti connettibili è vincolato dalla più restrittiva delle due condizioni enunciate sopra. 5. La connessione può avvenire in modo daisy chain (festone) oppure a stella come mostrato in figura 36. Oscilloscopio PC Oscilloscopio PC Generatore di Funzioni Generatore di Funzioni Multimetro Figura 36. Schema di connessione a festone oppure a stella Si noti che la limitazione di distanza è in realtà solo apparente. Infatti esistono sul mercato opportuni dispositivi (REPEATER) che consentono di realizzare collegamenti più lunghi. Al limite, attraverso convertitori di protocollo 488- Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 139 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati ETHERNET, è possibile connettere due sottostazioni di strumenti, collegate al bus 488, mediante rete ethernet, in modo da coprire distanze molto maggiori. Lo standard prevede un solo controller del bus che stabilisce i ruoli di tutti i componenti del sistema e gestisce il bus. Ciascun dispositivo connesso è individuato da un indirizzo (che va da 0 a 30) e può agire come Listener (il dispositivo riceve, quindi più strumenti contemporaneamente possono essere in questo stato), o come Talker (il dispositivo è l’unico a trasmettere), è il Controller (generalmente il PC) che attribuisce di volta in volta la capacità di funzionare come listener oppure come talker. Ciascun dispositivo può infine essere nello stato Idle (in grado di ricevere dal controllore i segnali che ne facciano commutare lo stato). Dispositivo 1 Dispositivo 2 Dispositivo3 8 Linee DI/O BUS 5 Linee Gestione Apparati Interconnessi 3 Linee per il protocollo di Hanshake Figura 37. Struttura del Bus IEEE 488. Si individuano le 8 linee per il trasferimento dati, le 5 linee per la gestione delle periferiche, e le 3 linee del protocollo di trasmissione. Il trasferimento di dati sul bus prevede un protocollo di handshaking che utilizza le tre linee DAV (Data Valid), NRFD (Not Ready for Data), NDAC (Not Data Accepted). Fintanto che tutti i dispositivi listner non sono pronti per ricevere un dato la linea NRFD rimane bassa (la logica è negata e quindi nello stato logico vero), non appena tutti i dispositivi sono potenzialmente pronti per ricevere un dato tale linea viene negata e passa allo stato logico falso. Tutti i listner devono pilotare la linea NFRD e la linea NDAC (in wired or). La sorgente emette il primo pacchetto dati sulle linee DIO e dopo un tempo sufficientemente lungo per fare estinguere i transitori, se NRFD è alta e NDAC è bassa, abbassa la linea DAV. Da questo momento i dispositivi cominciano ad acquisire il dato asserendo la linea NRFD in modo da inibire l’invio di ulteriori pacchetti. Quando tutti i dispositivi hanno acquisito il dato (in tale senso il più lento è Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 140 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati vincolante) la linea NDAC viene negata per avvertire il controller che tutti i dispositivi hanno ricevuto l’informazione. Il processo si ripete come mostrato in figura 38. DIO0-7 DATI DATI DAV NRFD NDAC Figura 38. Schema del funzionamento del protocollo di Handshake Come già accennato in precedenza sulle 8 linee DIO possono essere trasmessi comandi oppure dati a seconda di come il controllore gestisce il segnale ATN. Se la linea ATN è asserita infatti i livelli delle linee di DIO devono essere acquisiti ed interpretati come comandi da tutti i componenti del sistema, mentre se ATN è disasserito i livelli delle linee DIO devono essere interpretati come dati e acquisiti soltanto dai LISTNER. Le tipologie di comandi multilinea che possono essere trasmesse ai vari dispositivi utilizzando le linee DIO sono: 1. 2. 3. 4. Indirizzamenti Comandi Universali Comandi Indirizzati Comandi Secondari Chiaramente si deve distinguere tra i comandi IEE 488 che sono in generale device independent perché attivano una particolare funzione di interfaccia di uno o più ricevitori mentre i dati (che possono correre sulle stesse linee) sono device dependent perché attivano una funzione interna di uno o più dispositivi. Gli indirizzamenti servono a stabilire lo stato di un dispositivo, cioè a attivarlo come LISTNER o come TALKER, il controller trasmette sulle DIO 7 bit, (l’ottavo non viene utilizzato): i primi due (MSBs) sono utilizzati per stabilire lo stato del dispositivo, e gli altri cinque contengono l’indirizzo IEEE488 del dispositivo (in codice binario) al quale si vuole indirizzare il comando. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 141 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati Più in dettaglio, Il bit più significativo del comando 488 di indirizzamento è sempre posto a zero. Il controller pone ad 1 il bit LA per indirizzare un dispositivo come listener, il bit TA per indirizzare un dispositivo come talker; è possibile, inoltre, assegnare ad un dispositivo contemporaneamente i ruoli di listener e talker, settando entrambi i bit TA e LA. Il controller utilizza normalmente l’indirizzo 0. Ad esempio per attivare il dispositivo con indirizzo 7 come Talker viene mandato il comando (MYTALKERADDRESS, MTA) 010 00111 mentre per configurarlo come listener si usa il comando (MYLISTNERADDRESS, MLA) 001 00111: I comandi multilinea universali sono ricevuti dalle apparecchiature in grado di svolgere la funzione del comando stesso e sono codificati con un codice ASCII standard. Tra i più importanti abbiamo: UNT (Untalk), disabilita il parlatore attivo. UNL (Unlisten), disabilita gli ascoltatori. SPE (Serial Polling Enable), Abilita il polling seriale (vedi oltre) PPU (Parallel Port Unconfigure) Disabilita i dispositivi a rispondere ad interrogazioni di tipo parallelo. Esistono inoltre i comandi secondari utilizzati come estensione e sempre in combinazione con comandi universali o indirizzamenti per estendere la tipologia di codici utilizzabile. Infine i comandi indirizzati sono quei comandi che consentono di ricevere, in modo selettivo, le istruzioni ai soli dispositivi abilitati come ascoltatori. Oltre ai comandi multilinea, il controller può inviare messaggi unilinea sfruttando 5 linee del bus appositamente previste nel protocollo. Ciascuna di queste linee ha una sua peculiare funzione, con l’eccezione del segnale EOI (End or Identify) che acquista due significati diversi a seconda del valore della linea ATN. Le linee di comando sono le seguenti: 1. ATN (Attention) Linea gestita dal controllore per segnalare se il dato sulle linee DIO debba essere inerpretato come comando multilinea o come dato. 2. REN (Remote Enable) Serve per abilitare alla programmazione e alla gestione remota tutti I dispositivi che riconoscono il commando 3. SRQ (Service Request) Questa linea serve per richiedere l’attenzione del controllore da parte di un dispositivo 4. IFC (Interface Clear) Serve come segnale di reset per tutti gli strumenti e per interrompere il polling seriale 5. EOI (End or Identify) Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 142 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati Se ATN è negata serve per indicare al parlatore attivo la fine della trasmissione di una sequenza di dati Se ATN è asserito EOI è utilizzato dal controllore per rilevare quale sia il dispositivo responsabile di una richiesta di polling parallelo Fino ad adesso abbiamo soltanto citato la parola polling. In realtà questo termine identifica il modo in cui il controllore scandisce i dispositivi per capire quale di essi abbia fatto richiesta della sua attenzione. Si possono scegliere due strategie: 1. Polling Seriale 2. Polling Parallelo Serial Poll Il Serial Poll è una procedura che consente al controller di ricevere informazioni sullo stato di un dispositivo: in particolare il controller può stabilire se uno o più dispositivi hanno effettuato una richiesta di servizio. I dispositivi in grado di rispondere ad un Serial Poll inviano al controller uno Status Byte, che ne descrive lo stato. La procedura di interrogazione mediante Serial Poll prevede l’invio del comando SPE seguito dall’abilitazione sequenziale di ciascun dispositivo collegato al bus a rispondere al comando Serial Poll inviando il byte di stato (Status Byte). Il controller, una volta conclusa la scansione dei dispositivi per la lettura dello status byte, deve inviare i comandi SPD e UNT (la maggior parte dei controller permettono l’esecuzione di tutti i precedenti passi automaticamente, attraverso chiamate a funzioni di libreria di alto livello). Parallel Poll Lo scopo di tale procedura è di ottenere informazioni sullo stato dei dispositivi connessi al bus. I dispositivi, individualmente o collettivamente, ritornano uno Status Bit su una delle linee DIO. L’assegnazione di una linea DIO ad un dispositivo viene effettuata attraverso interruttori, jumpers o dal controller per mezzo del comando PPC. Quando più dispositivi rispondono collettivamente, la lettura delle linee DIO fornisce al controller l’AND logico (se il livello logico 1 corrisponde a tensione alta) o l’OR logico (se il livello logico 1 corrisponde a tensione bassa) dei bit di stato. Lo standard 488 specifica che i dispositivi coinvolti debbano rispondere al Parallel Poll entro 200 ns; il controller deve leggere la risposta 2 ms dopo lo scadere dei 200 ns di attesa seguente al Parallel Poll. Lo standard IEEE 488.2 Lo standard IEEE 488.2 costituisce un’estensione dello standard 488, rinominato 488.1, per distinguerlo, appunto dalla nuova versione. In accordo a tale estensione dello standard, un’interfaccia per strumenti di misura può essere descritta come costituita da un insieme di livelli funzionali. Il livello più basso (Remote Interface Messages) rappresenta l’interfaccia fisica, realizzata seguendo le specifiche del bus IEEE 488.1 (connettore, cablaggi, segnali elettrici, protocollo di handshaking, etc.). Lo standard IEEE 488.2 definisce i seguenti livelli funzionali intermedi: Il livello delle Syntax and Data Structures, che definisce le modalità di intercomunicazione tra gli strumenti nonché il formato dei dati scambiati. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 143 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati Il livello dei Common Commands and Queries. Il livello Device Dependent Messages, che rappresenta l’insieme dei comandi che possono essere inviati ad uno strumento affinché svolga operazioni utili, ed è definito dal costruttore dello strumento. Riassumendo, dunque, si noti che il protocollo 488.1 non definisce: x Funzioni di interfaccia di uno strumento x Formato comune di dati x Standardizzazione dei messaggi x Insieme di comandi comune a tutti gli strumenti x Significato e gestione dello Status Byte di un dispositivo Lo standard IEEE 488.2 risolve questi problemi definendo: x Insiemi di funzioni di interfaccia che devono essere rese disponibili da parte di uno strumento x Formato e sintassi per i dati scambiati x Protocollo relativo ai device-message x Modello per il formato dello Status Byte fornito da dispositivo in seguito ad una interrogazione Funzioni di interfaccia obbligatorie nel protocollo 488.2 La seguente tabella elenca l’insieme di funzioni di interfaccia che uno strumento può supportare: In sostanza, tutti i dispositivi sono in grado di inviare e ricevere dati, richieste di servizio e di rispondere al comando Device Clear. La tabella specifica anche le funzioni minime che lo strumento deve poter gestire per svolgere il ruolo di controller, per rispondere ad un Parallel Poll e per operare nelle modalità remota e locale. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 144 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati 5.9.3. Sistemi di controllo e di misura distribuiti Figura 39 Nella figura 39 è riportato un sistema di controllo industriale in cui vari segnali digitali ed analogici che provengono da sensori (analogici o digitali), acquisiti mediante schede di acquisizione, vengono utilizzati da controllori di diversa natura (microprocessori, PLC, PC) che gestiscono i singoli processi. I controllori sono connessi tra loro o con controllori di livello gerarchico superiori dedicati al monitoraggio dell’impianto alla compilazione dei database alla gestione e post-processing dei dati storici. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 145 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 5: Sistemi Automatici di Misura ed Acquisizione Dati Le caratteristiche di ciascun elemento del sistema di automazione sono molto diverse. Partendo dal livello più basso: i sensori e le schede di acquisizione connessi ai controllori di basso livello devono essere interrogati con temporizzazioni deterministiche, attraverso bus robusti dal punto di vista dell’immunità al rumore e della connettività. Si utilizzano in genere i così detti BUS di CAMPO (esistono vari standard ProfiBus, CanBus, FieldBus-National Instruments...). I controllori di basso livello devono garantire di effettuare i cicli di controllo che consistono nella lettura degli ingressi dai sensori, nel calcolo delle variabili di controllo e nell’attuazione delle stesse, entro tempi minimi fissati (a volte piuttosto brevi ms) devono cioè garantire operazioni in tempo reale. Devono inoltre rendere disponibili alcuni dati ai livelli gerarchici superiori. I controllori di livello gerarchico superiore devono garantire una gestione efficiente delle informazioni (data logging), la gestione degli accessi a più utenti e la sicurezza. Come si vede dalla figura un sistema di automazione può essere composto da elementi che prevedono diverse soluzioni anche di interfacciamento. Un aspetto fondamentale è la standardizzazione dei protocolli di scambio dati tra applicazioni e componenti. Questo consente di rendere estremamente flessibile il sistema e di ridurre i tempi di manutenzione e di sviluppo. Lo standard OPC (OLE for process control) è un standard di comunicazione tra processi (e driver di componenti hardware) nato proprio per questo scopo, risolvere i problemi di connessione nei sistemi multi-vendor. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2002/2003 146 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico 6. Il Rumore Elettrico 6. Il Rumore Elettrico ........................................................................................... 147 6.1. Introduzione ............................................................................................. 147 6.2. Caratteristiche Essenziali Del Rumore ..................................................... 148 6.2.1. Valore quadratico medio (r.m.s.) ....................................................... 148 6.2.2. Funzione Densità Spettrale (spot noise) ........................................... 148 6.2.3. Banda Equivalente Di Rumore .......................................................... 150 6.3. Rumori Inerenti......................................................................................... 151 6.3.1. Rumore Termico ............................................................................... 151 6.3.2. Rumore shot...................................................................................... 154 6.3.3. Rumore Flicker.................................................................................. 155 6.4. Il Rumore Nei Sistemi Elettronici .............................................................. 156 6.4.1. Cifra Di Rumore ................................................................................ 156 6.4.2. Sorgenti Di Rumore Equivalenti In Ingresso ..................................... 159 6.4.3. Cifra Di Rumore E Generatori Equivalenti In Ingresso ...................... 160 6.4.4. Cifra Di Rumore Di Stadi In Cascata................................................. 161 6.5. Rumori Esterni.......................................................................................... 163 6.5.1. Introduzione ...................................................................................... 163 6.5.2. Modalita’ Di Accoppiamento Del Rumore.......................................... 164 6.5.3. Rumore Radiato ................................................................................ 165 6.5.4. Accoppiamento Capacitivo (Campo Elettrico) ................................... 165 6.5.5. Accoppiamento Magnetico (Campo Magnetico)................................ 170 6.5.6. Rumore Condotto.............................................................................. 176 6.6. Collegamenti Di Massa ............................................................................ 177 6.6.1. Masse Di Segnale A Punto Singolo Connessione Serie ................... 178 6.6.2. Masse A Punto Singolo Connessione Parallelo ................................ 179 6.6.3. Masse A Punto Singolo Connessione Ibrida ..................................... 179 6.6.4. Circuiti Con Riferimento Di Massa Multiplo ....................................... 179 6.6.5. Isolamento Mediante Trasformatore ................................................. 181 6.6.6. Isolamento Con Fotoaccoppiatore .................................................... 184 6.6.7. Amplificatori Differenziali ................................................................... 185 6.7. Alimentazioni ............................................................................................ 187 6.1. Introduzione Ogni segnale elettrico presente in un circuito oltre a quello desiderato si può definire rumore. Una importante eccezione a questa definizione sono i prodotti di distorsione prodotti in un circuito non lineare per cui la nostra attenzione è limitata ai circuiti lineari. Le tensioni (o correnti) di rumore si combinano con il segnale in vari modi, ma la distinzione principale riguarda la loro origine: Valerio Gabbani anno 2003/2004 147 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico Rumori esterni; sono generati da altri sistemi elettronici, principalmente di potenza e si accoppiano al sistema elettronico “vittima” in va ri modi al cui studio ed alle relative Rumori interni od inerenti; sono generati dai componenti elettronici del circuito. Sebbene l’effetto dei rumori esterni su di un circuito elettronico posso essere, con opportuni accorgimenti praticamente annullato, un livello minimo di rumore è sempre presente a causa delle sorgenti inerenti. 6.2. Caratteristiche Essenziali Del Rumore 6.2.1. Valore quadratico medio (r.m.s.) Il rumore generato in un circuito elettronico si manifesta come variazioni casuali di tensioni e correnti. Una grandezza utilizzata spesso per caratterizzare il livello di rumore è il suo valore quadratico medio (R.M.S.). Se vn(t) rappresenta il valore istantaneo di una tensione di rumore, il suo valore rms .Vn è definito: Vn 2 vn (t ) lim T of 1 T T 2 ³v 2 n (t )dt T 2 Quando i valori istantanei di due sorgenti di rumore vn1(t) e vn2(t) si sommano, il valore istantaneo risultante è: vnt (t ) vn1 (t ) vn 2 (t ) e quindi il valore efficace: >vn1 (t ) vn 2 (t )@2 2 2 2 vn1 (t ) 2 vn1 (t ) vn 2 (t ) vn 2 (t ) Vn1 2 J Vn1 Vn 2 Vn 2 2 dove: vn1 (t ) vn 2 (t ) Vn1 Vn 2 Il coefficiente J è chiamato c“ oefficiente di correla zione” ed è 0 se le sorgenti sono completamente scorrelate (statisticamente indipendenti), nel qual caso: J Vnt 2 Vn1 Vn 2 2 6.2.2. Funzione Densità Spettrale (spot noise) I segnali aleatori sono caratterizzati anche nel dominio della frequenza mediante la f“unzione di densità spettrale” (S.D.F), ch iamata anche s“ pot noise”. Per capirne il significato, supponiamo di filtrare il rumore generato da una sorgente generica con Valerio Gabbani anno 2003/2004 148 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico un filtro passa banda ideale con frequenze di taglio fL f B , fH 2 f B e di 2 misurare in uscita un valore efficace Vn(B,f). Figura 1: Definizione di "spot noise" Il valore dello spot noise alla frequenza f è definito: vˆn ( f ) § V ( B, f ) · § V · l im ¨ n ¸ ¨ ¸ Bo0 B ¹ © Hz ¹ © Se pensiamo di effettuare la misura per ogni frequenza f, otteniamo una funzione che indica come la potenza del rumore si distribuisce nel dominio della frequenza. In funzione della loro S.D.F. le sorgenti di rumore sono classificate in due grandi categorie: x Sorgenti di rumore bianco x Sorgenti di rumore colorato Figura 2: Rumore bianco e rumore rosa Se conosciamo il valore la funzione s“ pot noise” di una sorgent e per ottenere il valore rms nella banda B=fH-fL: Valerio Gabbani anno 2003/2004 149 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico fH 2 ³ v̂n ( f )df Vn fL Nel caso di rumore bianco il valore efficace ha senso solo se è valutato su di una banda finita, cosa che in pratica avviene sempre a causa della risposta in frequenza di tipo passa-basso/passa-banda di un sistema elettronico. 6.2.3. Banda Equivalente Di Rumore Come vedremo parlando delle sorgenti, nel caso di rumore bianco è sempre necessario specificare una banda se si vuole caratterizzare il rumore in termini di valore rms. Pensiamo ad una semplice e ricorrente situazione; una rete lineare con risposta in frequenza di tipo passa-basso o passa-banda ha in ingresso una sorgente di rumore bianco con valore spot, vn 0 il valore efficace del rumore in uscita al filtro è: Figura 3:Banda equivalente di rumore Vno 2 f 2 2 ³ A( f ) vn0 df 0 2 f 2 vn0 ³ A( f ) df 0 Sostituiamo alla rete originaria un passa banda ideale con banda BEQ e guadagno in centro banda pari a A0, il valore rms del rumore in uscita è: Vno ,BP 2 2 2 vn0 A0 BEQ BEQ rappresenta la banda equivalente di rumore del quadripolo nel caso che: Vno ,BP 2 Vno 2 vale a dire: B EQ 1 A0 f 2 2 ³ A( f ) df 0 Quindi per valutare il rumore in uscita da una rete lineare quando in ingresso è presente una sorgente di rumore bianco basta considerare la sua banda equivalente di rumore ed il guadagno in centro banda A0: 2 2 2 Vno vn0 A0 BEQ ESEMPIO: Banda equivalente di rumore di un filtro LP passivo RC. Valerio Gabbani anno 2003/2004 150 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico Figura 4:Filtro LP RC A( f ) VO Vin f0 j f f0 BEQ f 02 ³ f 0 BEQ S 2 f0 1 2 o f f2 S 2 1 2S R C f0 df B3 dB 6.3. Rumori Inerenti 6.3.1. Rumore Termico Il rumore termico (Johnson noise) deriva dalla agitazione termica degli elettroni (portatori di carica) in un conduttore e determina il limite inferiore del livello di rumore presente in un circuito. I valori istantanei di una tensione o corrente di rumore sono casuali e possono essere trattati in termini statistici. Il valore R.M.S. della tensione di rumore misurata a circuito aperto ai capi di un resistore di resistenza R (:) e alla temperatura assoluta T (°K ) vale: Vnt 4 kTBR ( V ) -23 k = costante di Boltzmann (1.38 10 J/°K ) B = (fH-fL)banda equivalente di rumore del sistema di misura (Hz) La formula indica una caratteristica importante del rumore termico; il valore rms della tensione di rumore dipende unicamente dalla banda equivalente del sistema e non fL fH dalla frequenza di centro banda f 0 . 2 Il rumore termico è quindi bianco e lo s“ pot noise” vale: § V · 4kTR ¨ vˆ nt ( f ) ¸ © Hz ¹ Alla temperatura ambiente TAMB=290°Ke per R=10k: nV vˆ nt ( f ) 13 Hz Il rumore termico è presente in qualsiasi componente che presenti resistenza elettrica quindi non solo nei resistori ma anche nei diodi e nei transistori. Per ridurre il livello di rumore termico in un circuito, conviene ridurre (se possibile) i valori delle resistenze e la banda equivalente di rumore del sistema con opportune tecniche circuitali. In casi estremi, per esempio negli amplificatori a radio frequenza utilizzati nei radiotelescopi, si interviene anche sulla temperatura, raffreddando il circuito ad una temperatura vicina allo zero assoluto. Valerio Gabbani anno 2003/2004 151 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico La figura illustra i modelli di Thevenin e di Norton del resistore rumoroso. I nt 4kTB R Figura 5:Resistore rumoroso: circuiti equivalenti In una rete passiva con condensatori, induttori e resistori, solo quest’ultimi generano rumore termico. Se Z(f) è l’impedenza complessa ad una porta della rete, il valore efficace della tensione di rumore a circuito aperto generato dalla rete nella banda di frequenza B=f1-f0 è: Vn 2 f1 4 kT ³ Re^Z ( f )`df f0 Ed il valore spot: v̂ n2 4 kT Re^Z ( f )` La formula di Nyquist permette di ottenere una stima più realistica del rumore generato da un resistore reale considerando l’effetto della capacità parassita: Figura 6:Modello resistore reale Z12 ( Z ) Vnt R R ; Re^Z12 ` 2 2 2 1 jZRC 1Z C R 4 kT f R dZ ³ 2 2 2 2S 0 1 Z C R 2 vˆn ( f ) kT C 4kTR 2 1 2SfCR ESEMPIO: Collegando due resistori in parallelo alla stessa temperatura (equilibrio termico) ed indicando con P12 la potenza fornita dal generatore Vnt1 alla resistenza R2 e P21 quella fornita dal generatore Vnt2 alla resistenza R1 si ha: Valerio Gabbani anno 2003/2004 152 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico R2 Vnt21 ( R1 R2 ) 2 R1 Vnt2 2 2 ( R1 R2 ) P12 P12 P21 P21 4kTBR1 R2 ( R1 R2 ) 2 4kTBR1 R2 ( R1 R2 ) 2 Nel caso particolare di R1=R2=R si ha: P12 P21 Pn Vnt 4R kTB La quantità kTB è chiamata “potenza di rumore disponibile” della sorgente ESEMPIO: Calcolo della tensione efficace di rumore termico fra due nodi di una rete resistiva complessa. I resistori del circuito sono tutti alla stessa temperatura assoluta T. Si vuole valutare il valore efficace Vnt della tensione di rumore fra i nodi 1 e 2. Figura 7:Rete rumorosa (rumore termico) Se indichiamo con vn1(t), vn2(t), vn3(t) i valori istantanei dei generatori,vale per essi il principio di sovrapposizione degli effetti, per cui: v n 2 (t ) v n1 (t ) v nt (t ) R3 R1 v n 3 (t ) R3 R1 R1 R3 Essendo le tre sorgenti statisticamente indipendenti: 2 Vnt 2 2 Vn 2 Vn1 2 R1 · § R3 · 2 § ¨ ¸ Vn 3 ¨ ¸ © R3 R1 ¹ © R3 R1 ¹ 2 trattandosi di rumore termico: Vnt 2 R 3 R1 · § 4kTB ¨ R2 ¸ R 3 R1 ¹ © 4kTBRt Ovvero, in termini circuitali: Valerio Gabbani anno 2003/2004 153 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico Rt R2 R 3 R1 R 3 R1 Figura 8:Equivalente di Thevenin fra i nodi 1-2 Il risultato è perfettamente generalizzabile: una rete resistiva qualsiasi per quanto riguarda il valore efficace della tensione di rumore fra i nodi due nodi qualsiasi (1,2), è equivalente ad un resistore rumoroso di valore pari alla resistenza equivalente vista fra in nodi in questione. 6.3.2. Rumore shot Il rumore shot è associato al flusso di corrente attraverso una barriera di potenziale ed è dovuto alla fluttuazione casuale della corrente attorno al valore medio a causa della emissione casuale dei portatori di carica (elettroni, lacune). E’ un rumore bianco ed è presente nei componenti a semiconduttore con giunzioni polarizzate direttamente (transistori BJT, diodi), il valore efficace della componente variabile della corrente di rumore valutato sulla banda equivalente B e relativo ad una componente media della corrente IDC è: In 2 2qI DC B q 1.6 u 10 19 C La figura illustra il circuito equivalente del diodo rumoroso, l’effetto del rumore è modellato da un generatore di corrente aleatorio e il modello non è valido nel caso il diodo operi nella regione di breakdown. Figura 9: Modello equivalente del diodo rumoroso (shot noise) Per questa loro caratteristica i diodi sono utilizzati anche come generatori di rumore nelle misure di cifra di rumore. ESEMPIO: calcolo della tensione di rumore “spot” in un circuito con diodo Valerio Gabbani anno 2003/2004 154 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico Parametri del circuito: E=10V, R=100:, T=290°K, diodo ideale. La tensione istantanea fra l nodi 1-2 è la somma di una componente continua dovuta alla polarizzazione diretta del diodo e di una componente, variabile dovuta alle sorgenti di rumore Jhonson e Shot presenti nel circuito. v12 (t ) VDC v nt (t ) Il circuito equivalente si riferisce solo alla componente variabile delle grandezze elettriche ed è utilizzato per valutare il valore spot della tensione di rumore. Dal circuito reale: I DC # rD 10V 100: kT qI DC 100mA 0.25: In base a quanto detto precedentemente (rd, resistenza differenziale del diodo, non è rumorosa perché è fittizzia): iˆnd2 iˆnj2 3.2 10 20 2qI DC 4kT R 1.6 10 22 A2 Hz A2 Hz R || rd # rd v̂ nt2 2 rd î nd2 î nj2 0.8 10 18 V2 Hz Su una banda di 1MHz il valore efficace è: V nt v̂ nt2 B 0.9 PV 6.3.3. Rumore Flicker Il contatto imperfetto fra due conduttori, fa sì che la sua conduttanza equivalente vari casualmente in presenza di una corrente continua. Il fenomeno genera un rumore detto appunto rumore flicker o rumore da contatto ed è presente in qualunque dispositivo in cui ci siano due conduttori in contatto come interruttori, commutatori, potenziometri, diodi, resistori, transistori. Il valore efficace della corrente di rumore flicker è: I nf K f I m DC B f0 B f1 f 0 dove: m è l’esponente del rumore flicker Kf è un coefficiente specifico IDC è la corrente continua Valerio Gabbani anno 2003/2004 155 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico Il rumore flicker è un rumore rosa, il suo valore efficace, a parità di banda B, è maggiore alle basse frequenze. 6.4. Il Rumore Nei Sistemi Elettronici Abbiamo caratterizzato le sorgenti di rumore elementari più comuni in un circuito elettronico. In un semplice circuito come l’amplificatore C.E. rappresentato in figura, le sorgenti di rumore da considerare per quantificare la rumorosità del circuito sono molte è l’analisi è piuttosto complessa. Figura 10:Sorgenti di rumore all’interno dell’amplificatore C.E. Spot Noise: vˆ NB 4kTR B iˆNB 2qI B 0 iˆNC 2 qI C 0 iˆNRC 4kT RC Per questa ragione, nel caso di circuiti complessi, ma anche per i singoli dispositivi attivi, si definisce un parametro, la cifra di rumore, che indica la rumorosità di un sistema a prescindere dai componenti utilizzati. 6.4.1. Cifra Di Rumore Un parametro utilizzato spesso, soprattutto in radiotecnica, per esprimere la rumorosità di un circuito è la cifra di rumore, è il rapporto tra il rapporto segnale rumore (SNR) all'ingresso del circuito e quello all'uscita. Valerio Gabbani anno 2003/2004 156 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico Figura 11:Definizione cifra di rumore All’ingresso dell’amplificatore è già presente il rumore, generato dalla resistenza interna del generatore, si definisce quindi rapporto segnale rumore in ingresso il rapporto fra la potenza del segnale in ingresso e quella del rumore. Calcolo del Rapporto segnale rumore in ingresso ed in uscita: La tensione di ingresso dell’amplificatore è (principio di sovrapposizione degli effetti) : v i ( t ) v is ( t ) v in ( t ) v is ( t ) vin ( t ) Rumore aditivo Ri v (t ) R S Ri S Componente di segnale in ingresso Ri v (t ) RS Ri ns Componente di rumore in ingresso Supponiamo che la risposta in frequenza dell’amplificatore AV0(f) sia di tipo passa banda con banda equivalente di rumore BEQ: Vni VnS Valore efficace tensione di rumore in ingresso 4 kTR S B EQ Rapporto segnale rumore in ingresso: SNRi D 2 VS2 D 2 VnS2 VS2 VnS2 D Ri Ri Rs Il valore efficace della tensione di rumore in uscita vale: V no A V2 0 4 kTR S B EQ α2V nA2 Il termine VnA rappresenta il valore efficace del rumore generato internamente all’amplificatore, ed è scorrelato con il rumore termico in ingresso. Il rapporto segnale rumore in uscita: Valerio Gabbani anno 2003/2004 157 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico VO AVS SNRo VSo2 Vno2 VS D AVO 2 AVS VS2 VS2 2 AVS 4kTBEQ RS VnA2 4kTBEQ RS VnA2 AVS 2 A causa del rumore introdotto dall’amplificatore: SNRo d SNRi Si definisce la cifra di rumore F che tiene conto del peggioramento del rapporto segnale rumore: SNRi t1 SNR0 F Allora: 1 F VnA2 2 AVS 0 4 kR S TB EQ è possibile definire anche la cifra di rumore spot, misurata ad una specifica frequenza f0 su una banda di 1Hz: Fˆ ( f 0 ) 1 2 ( f0 ) vˆ nA 2 AVS ( f 0 )4kRS T Se il meccanismo di generazione interna del rumore è bianco e se è generato prima degli stadi del circuito che limitano la banda, allora: Fˆ ( f 0 ) F La cifra di rumore è spesso espressa in dB: NF 10 log( F ) Per facilitare il confronto fra la rumorosità di circuiti operanti in condizioni termiche differenti, la cifra di rumore viene specificata ad una temperatura di riferimento di TO=290°K . E’ possibile esprimere la cifra di rumore F alla temperatura T effettiva del circuito in funzione di quella convenzionale F0: FT 1 F0 1 T0 T Valerio Gabbani anno 2003/2004 158 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico La comparazione fra cifre di rumore misurate con resistenze di sorgente RS diverse è completamente priva di significato. La conoscenza della cifra di rumore misurata con un certo valore della RS non consente di calcolarne il valore per valori diversi della RS, questo perché anche il rumore generato internamente dipende dalla RS. Il concetto di cifra di rumore ha tuttavia alcune limitazioni: aumentando la resistenza di sorgente RS la cifra di rumore diminuisce, ma aumenta il rumore totale nel circuito. Nel caso si utilizzi una sorgente puramente reattiva la cifra di rumore non ha significato poiché il rumore della sorgente è nullo 6.4.2. Sorgenti Di Rumore Equivalenti In Ingresso Un approccio allo studio del rumore nei sistemi elettronici che supera le limitazioni della cifra di rumore è modellare il rumore in termini di sorgenti equivalenti. In tal modo l’effetto delle varie sorgenti di rumore interne all’amplificatore può essere rappresentato da un generatore di corrente ed uno di tensione di valore opportuno collegati all’ingresso dell’amplificatore: Figura 12: Sorgenti equivalenti di rumore in ingresso Le sorgenti di rumore così introdotte in generale non sono né bianche né statisticamente indipendenti per cui saranno completamente caratterizzate dalla funzione di "spot noise" e dal coefficiente di correlazione J. La tensione di ingresso dell’amplificatore è (principio di sovrapposizione degli effetti) : vi (t ) vis (t ) vin (t ) Ri v (t ) Componente di segnale in ingresso RS Ri S Ri vin (t ) v (t ) vn (t ) in (t ) RS Componente di rumore in ingresso RS Ri ns Il rumore, che nella realtà è generato all’interno dell’amplificatore, in questo modello è già presente all’ingresso grazie ai generatori equivalenti Vn ed In. Considerando la sorgente di rumore termico Vns indipendente da In e Vn, il valore efficace della tensione di rumore totale in ingresso calcolata sulla banda 'f ed alla temperatura assoluta T è: vis (t ) Valerio Gabbani anno 2003/2004 159 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico 2 2 4kTRS 'f Vn 2 J Vn I n Rs I n RS Vni 2 4kTRS vˆn2 2 J vˆn iˆn RS iˆn2 RS2 vˆni Se poi supponiamo che anche In e Vn siano indipendenti (J=0), allora: 2 2 4kTRS 'f Vn I n RS Vni 2 4kTRS vˆn2 iˆn2 RS2 vˆni Questa ipotesi in realtà non è legittima poiché Vn ed In dipendono dalle stesse sorgenti interne e quindi difficilmente saranno indipendenti. Essendo AV0(f) il guadagno di tensione a circuito aperto dell’amplificatore, la tensione di rumore in uscita è (valori spot): ˆno ( f ) v AV 0 ( f ) Ri Ri RS AV 0 ( f ) Ri vˆni ( f ) Ri RS Ri Ri Rs Vno Vno AV 0 Ri Ri RS AV 0 Ri Vni 4kTRS vˆn2 2 J vˆn iˆn RS iˆn2R S2 Ri RS ³ 2 AV 0 ( f ) v ni2 ( f )df 'f 2 2 4kTRS 'f Vn 2 J Vn I n Rs I n RS 2 Quest’ultima equazione suggerisce un metodo per valutare Vn ed In in seguito alla misura di Vno su una banda B. Per determinare VN, si impone RS=0 e si misura la tensione rms totale di rumore in uscita VNO dalla quale si ricava: Vno Vn AV 0 Per determinare IN si effettua una seconda misura della tensione rms del rumore in uscita VNO con una resistenza di sorgente RS molto grande in modo che risulti: Vno !! AV 0 4 kTBRS Vn2 allora: In Vno AV 0 RS || Ri 6.4.3. Cifra Di Rumore E Generatori Equivalenti In Ingresso SNRi D 2 VS2 D 2 VnS2 VS2 VnS2 2 SNRO D 2 AV 0 VS2 V 2 nS Vn2 I n2 RS2 D 2 AV 0 F VnS2 Vn2 I n2 RS VnS2 F § V 2 I n2 R S 1 ¨¨ n © 4 kTRS 'f Ri Ri Rs D VS2 VnS2 Vn2 I n2 RS2 2 § V 2 I n2 RS 1 ¨¨ n VnS2 © · ¸ ¸ ¹ · ¸ ¸ ¹ Vno2 AVS 2 4 ktRS 'f Valerio Gabbani anno 2003/2004 160 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico Notare che la cifra di rumore espressa in funzione dei generatori equivalenti di rumore in ingresso non dipende dall’amplificazione. ESEMPIO: Cifra di rumore di una semplice rete resistiva Figura 13:Cifra di rumore di un partitore Il rumore totale in uscita è (vedi capitoli precedenti): Vno2 4 kT ( RS || R P ) 'f L’ amplificazione della rete riferita alla tensione di sorgente a circuito aperto (VS): RP AVS RP RS F 1 RS RP 6.4.4. Cifra Di Rumore Di Stadi In Cascata E’ interessante calcolare la cifra di rumore di più stadi in cascata in funzione della cifra di rumore dei singoli stadi sempre nell’ipotesi che tutte le sorgenti di rumore siano statisticamente indipendenti: Figura 14:Stadi rumorosi in cascata Tensioni di rumore totale ingresso amplificatore 1 Vi 12n I n21 R S || Ri 1 Vn21 2 D1 2 i 1n V 2 n1 Ri21 Ri 1 R s 2 Vns2 Ri21 R i 1 R S 2 Ri 1 Ri 1 R s 2 S I R D 12 Vn21 D 12 Vns2 D 12 Valerio Gabbani anno 2003/2004 161 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico Tensione di rumore totale ingresso amplificatore 2 Vi 22 n I n22 Ro1 || Ri 2 Vn22 Ri22 2 · ¸ ¸ ¹ 2 Ri 2 D2 Vi 22 n Ri 2 R o 1 2 Ri 2 2 § Vi 12n AVO1 ¨¨ © Ro1 R12 Ri 2 Ro1 2 I n22 Ro21 D 2 Vn22 D 22 Vi 12n AVO1 D 22 Tensione di rumore totale sul carico: V 2 on 2 i2n V AVO 2 DL V 2 on § RL ¨¨ © Ro 2 R L RL 2 · ¸¸ ¹ 2 R L Ro 2 2 2 i2n AVO 2 D L2 V Amplificazione totale: AVT § Ri 1 · § Ri 2 · § RL ¸ AVO 2 ¨ ¸¨ AVO1 ¨¨ ¸ ¨ ¸ ¨ © R S Ri 1 ¹ © R o 1 Ri 2 ¹ © R L R o 2 AVT AVO1 AVO 2 D 1 D 2 D L · ¸ ¸ ¹ Cifra di rumore totale Von2 FT 2 AVT 4 kTRS 'f Sostituendo: FT 4 KTR S 'f I n21 R S2 Vn21 I n22 Ro21 Vn22 2 4 kTR S 'f AVO1 D 12 4 kTR S 'f Nel caso particolare che RS=Ri1=Ro1=Ri2, l’ espressione appena calcolata diviene: FT F1 F1 1 I F2 1 I Dove: F2 1 D 12 AVO1 2 2 n1 2 n2 RS Vn21 4 kTRS 'f RS Vn22 4 kTRS 'f L’espressione ottenuta è generalizzabile al collegamento in cascata di N stadi: FT F1 F2 1 2 1 D AVO1 2 F3 1 2 1 2 2 2 D D AVO1 AVO1 2 $$$ Da questa espressione si deduce un fatto molto importante nella progettazione di sistemi elettronici a basso rumore: collegando in cascata stati amplificatori ad elevato Valerio Gabbani anno 2003/2004 162 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico guadagno, la cifra di rumore totale del sistema è sostanzialmente uguale a quella del primo stadio. 6.5. Rumori Esterni 6.5.1. Introduzione I rumori esterni, a differenza di quelli inerenti sono generati da sistemi esterni al circuito elettrico. La figura illustra schematicamente una tipica situazione in cui un sistema di potenza, motore in DC e circuito di controllo, condivide lo stesso sistema di alimentazione con circuiti elettronici adibiti all’elaborazione di deboli segnali generati da trasduttori. Durante il normale funzionamento nel collettore del motore (disturbatore) si generano degli archi che inducono una corrente di rumore nei conduttori di alimentazione del motore. Il rumore elettrico generato, in determinate condizioni e con varie modalità, può accoppiarsi con un amplificare per sensore di temperatura a termocoppia posto nelle vicinanze (circuito vittima) e impedirne il normale funzionamento. Figura 15: Modalità di accoppiamento del rumore Da questo semplice esempio si evince quindi che gli elementi fondamentali sono: 1. Sorgente di rumore. Per esempio il motore elettrico in continua in cui durante il normale funzionamento si generano degli archi fra le spazzole ed il collettore che inducono delle variazioni di corrente aleatorie nel circuito. 2. Canale di accoppiamento. E’ in generale composto da due tipi fondamentali di accoppiamento: accoppiamento condotto (correnti di conduzione) ed accoppiamento radiato (campi elettrici, magnetici ed elettromagnetici). Valerio Gabbani anno 2003/2004 163 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico 3. Vittima. Il circuito elettronico dove la sorgente di rumore esterna induce variazioni casuali nelle tensioni e correnti (rumore) che se di entità sufficiente ne possono impedire il normale funzionamento. L’effetto indesiderato del rumore su di un circuito si chiama i“nt erferenza”, mentre per “suscettibilità”si intende la capacità del circuito di rispondere al rumore.Più la suscettibilità di un circuito nei confronti di un dato tipo di rumore è elevata più elevata è la probabilità che risenta del rumore. Se i tre elementi fondamentali del problema si combinano in modo tale che il livello di interferenza è inaccettabile devono essere adottate delle contromisure per: 1. Modificare la sorgente in modo che il fenomeno che genera il rumore sia eliminato o ridotto. 2. Interrompere o ridurre l’efficacia del canale di accoppiamento. 3. Modificare il circuito vittima in modo che sia meno suscettibile ai rumori di origine esterna. 6.5.2. Modalita’ Di Accoppiamento Del Rumore Come già accennato precedentemente le modalità di accoppiamento del rumore fra sorgente e vittima si classificano in due categorie fondamentali: 1. Rumore condotto. L’accoppiamento fra sorgente e vittima avviene quando la corrente di rumore percorre conduttori che li collegano direttamente (conduttori di massa e di alimentazione) 2. Rumore radiato. Si considerano tre tipi di accoppiamento: Accoppiamento capacitivo, dovuto all’interazione fra campi elettrici statici. Il campo elettrico e magnetico sono considerati campi statici ed indipendenti (reattivi) quando fra la massima distanza a cui si verifica l’accoppiamento (dMAX) e la lunghezza d’onda nel vuoto del rumore radiato (ON) deve esistere la relazione (c, velocità della luce nel vuoto): d MAX ON 10 ON c fN Accoppiamento magnetico, dovuto all’interazione fra campi magnetici statici. Accoppiamento elettromagnetico. In tal caso l’accoppiamento energetico fra i circuiti avviene grazie al campo elettromagnetico radiante. 6.5.3. Rumore Radiato Supponendo di essere nelle condizioni in cui i campi possono essere considerati statici ed indipendenti, per semplificare l’analisi dell’accoppiamento conviene utilizzare la tecnica dell’analisi dei circuiti a parametri concentrati rappresentando il canale di accoppiamento con un opportuno componente circuitale. Valerio Gabbani anno 2003/2004 164 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico Un campo elettrico varibile nel tempo fra due conduttori sarà rappresentato da un condensatore, mentre un campo magnetico variabile che si concatena con due circuiti è rappresentato da una induttanza mutua. Figura 16: Rappresentazione circuitale accoppiamento elettrico Figura 17: Rappresentazione circuitale accoppiamento magnetico 6.5.4. Accoppiamento Capacitivo (Campo Elettrico) Figura 18: Accoppiamento capacitivo Valerio Gabbani anno 2003/2004 165 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico La figura rappresenta in modo schematico l’accoppiamento elettrico (capacitivo) i conduttori del circuito disturbatore e del circuito vittima. Il generatore di tensione rappresenta la sorgente di rumore (che si considera non influenzabile dalla vittima e si rappresenta pertanto con un generatore di tensione ideale), la capacità C12 è la capacità di accoppiamento fra i conduttori, C1G e C2G sono le capacità verso massa (C2G comprende anche la capacità di ingresso del circuito vittima) e la resistenza Ri è la resistenza equivalente del circuito vittima. La tensione V2 indotta sul conduttore 2 (vittima) è: V2 § jZ · ¨¨ ¸¸ Z C12 © C ¹ V C12 C 2G § jZ · D ¨¨1 ¸¸ Z C ¹ © con: ZC V2 VD 1 Ri C12 C 2G Z ZC C12 C12 C 2G § Z 2 ¨¨1 2 © ZC · ¸¸ ¹ Figura 19: Intensità della tensione di disturbo in funzione della frequenza Quasi sempre, soprattutto in bassa frequenza, è lecito supporre che la resistenza Ri sia tale da avere: Z Z C In tal caso l’espressione si semplifica: V2 jZ Ri C12 V D Da questa equazione si deducono le contromisure adottabili per ridurre il valore della tensione di rumore V2 fissata l’intensità del disturbo VD e la sua frequenza: Valerio Gabbani anno 2003/2004 166 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico Riduzione della Ri del circuito vittima quando possibile, circuiti che hanno Ri elevate sono critici per quanto riguarda l’accoppiamento capacitivo. Riduzione della capacità di accoppiamento C12; si ottiene orientando opportunamente i conduttori 1 e 2 (la condizione di parallelismo è quella peggiore), schermandoli con altri conduttori (schermo) oppure distanziandoli il più possibile. Il distanziamento dei condutttori e l’orientamento sono misure importanti solo se le distanze in gioco sono limitate. La capacità per metro lineare di due conduttori rettilinei paralleli di diametro d metri e distanti D metri nel caso che D/d >3 è: S H0 Hr C12 § D · acosh ¨ ¸ © d ¹ §F· 12 § F · ¨ ¸ Costante dielettrica del vuoto ¨ ¸ H 0 8.85 10 ©m¹ ©m¹ Si deduce che per distanze D > 40d si ottiene solo un modesto incremento dell’attenuazione del rumore; se d=1mm, è praticamente inutile distanziare i conduttori più di 4 cm! Il massimo livello di accoppiamento, a parità di capacità, si ottiene per: Z !! Z C C12 VD C12 C 2G L’intensità dell’interferenza dipende solo dalla capacità di accoppiamento C12. V2 Schermi Elettrostatici Per schermo si intende un conduttore che circonda anche parzialmente componenti, circuiti, cavi e linee di trasmissione di segnale il cui scopo è quello di ridurre il rumore radiato captato dal circuito vittima attraverso l’accoppiamento capacitivo, magnetico ed elettromagnetico. Per quantificare il grado di protezione di uno schermo si definisce il fattore di schermo K ottenuto confrontando la tensione di rumore indotta nel circuito prima e dopo la sua applicazione. K V N (con schermo) V N ( senza schermo) K ( dB ) § V (con schermo) · ¸¸ 20 log¨¨ N © V N ( senza schermo) ¹ Equazione 1: Definizione fattore di schermo Una notevole riduzione dell’accoppiamento elettrico si ottiene racchiudendo i conduttori di segnale della sorgente e/o della vittima all’interno di conduttori di schermo.La figura rappresenta il circuito equivalente nel caso che il conduttore 2 (vittima) sia parzialmente circondato da uno schermo conduttore coassiale; CS2: capacità fra schermo e conduttore di segnale CSG: capacità fra schermo e massa C1S: capacità fra conduttore della sorgente e schermo Valerio Gabbani anno 2003/2004 167 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico C2G: capacità fra il conduttore vittima e la massa C12: capacità fra il conduttore sorgente e la vittima Figura 20: conduttore vittima schermato Figura 21: conduttore vittima schermato (flottante), circuito equivalente Supponiamo per adesso che il conduttore vittima sia completamente schermato (C12=C2G=0) e che la frequenza del rumore e la resistenza di ingresso siano tali per cui: 1 Ri !! ZC S 2 allora il circuito equivalente semplificato è: Valerio Gabbani anno 2003/2004 168 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico Figura 22:Circuito equivalente semplificato schermo flottante Il circuito equivalente ottenuto ci consente di fare un confronnto immediato fra il livello di interferenza con e senza schermo flottante a parità di altre condizioni, e si deduce che in presenza di schermo non collegato a massa la situazione può anche peggiorare perché C1S> C 12. Affinchè lo schermo sia efficace deve essere collegato a massa, lo schema equivalente per un conduttore non completamente schermato diventa: Figura 23: Circuito equivalente schermo collegato a massa § jZ · ¨¨ ¸ 1 C12 Z C ¸¹ © ZC V2 VD Ri C12 C SG C S 2 C12 C SG C S 2 § jZ · ¨¨1 ¸¸ © ZC ¹ L’efficacia schermante dello schermo collegato a massa è dovuta al fatto che la capacità C12 con lo schermo è molto ridotta rispetto al caso di circuito non schermato e dipende dalla porzione di conduttore non racchiusa dallo schermo che ovviamente deve essere ridotta il più possibile. In alta frequenza l’efficacia dello schermo tende a diminuire poichè non è più trascurabile l’impedenza (induttiva) equivalente del collegamento dello schermo a massa. Nel caso di conduttore vittima completamente schermato Valerio Gabbani anno 2003/2004 169 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico Figura 24: Circuito equivalente in alta frequenza schermo a massa La funzione di trasferimento V2/VD in alta frequenza tende ad 1, ovvero lo schermo non solo è completamente inefficace, ma peggiora la situazione rispetto al caso di conduttore non schermato. Per ottenere un basso valore di LSG ed RSG in alta frequenza, lo schermo viene collegato in più punti alla massa. 6.5.5. Accoppiamento Magnetico (Campo Magnetico) Un circuito chiuso percorso da una corrente I (spira) origina nello spazio circostante un campo magnetico B che si concatena con il circuito stesso, il valore del flusso magnetico ) autoconcatenato è proporzionale alla corrente secondo la relazione: ) LI La costante di proporzionalità è chiamata auto induttanza del circuito e dipende dalla geometria del circuito e dalle proprietà magnetiche del mezzo. Se i circuiti sono due ed orientati in modo opportuno una parte delle linee di forza del campo magnetico generato dal circuito 1 si concatena con il circuito 2 dando luogo ad un flusso concatenato )21 che è proporzionale alla corrente generatrice ID tramite Valerio Gabbani anno 2003/2004 170 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico un coefficiente chiamato mutua induttanza, che dipende solo dalla geometria dei circuiti e dalla loro orientazione reciproca ) 21 M 21 I D Ovviamente anche la corrente nel circuito 2 induce un flusso concatenato nel circuito 1: ) 12 M 12 I V Supponiamo che la spira disturbata sia piana di area A e che sia concatenata con un campo B uniforme la cui direzione forma un angolo - con la normale al piano. ) 21 B A cos- Figura 25: Campo magnetico uniforme concatenato con una spira Dalla legge sull’induzione elettromagnetica: d) 21 (t ) dB v N (t ) A cos dt dt Supponiamo che la corrente nel circuito disturbante sia sinusoidale con pulsazione Z: V N jZ B A cos Oppure, nel circuito equivalente: di (t ) d) 21 (t ) v N (t ) M 21 d dt dt V N jZ M 21 I D Per ridurre il rumore indotto per accoppiamento magnetico nel circuito vittima (VN) possiamo quindi agire sui tre fattori: 1. FATTORE B. Intervenire sulla spira sorgente in modo da ridurre l’intensita del campo magnetico in corrispondenza della vittima riducendo l’area attiva della spira sorgente (doppino ritorto, cavo coassiale), utilizzando degli speciali schermi di materiale ferromagnetico in grado di schermare di per se il campo B in modo analogo a gli schermi elettrostatici con il campo E , distanziando opportunamente i circuiti. 2. FATTORE A. Ridurre l’area della spira vittima utilizzando linee di segnale a doppino ritorto oppure a cavo coassiale. 3. FATTORE cos(T). Ridurre il fattore cos(T) orientando opportunamente le spire, in particolare nel caso di spire piane ortogonali il fattore si annulla e non si ha accoppiamento magnetico. E’ opportuno notare che contrariamente all’accoppiamento mediante campo elettrico riducendo la resistenza di ingresso dell’amplificatore non si riduce il livello del rumore. Valerio Gabbani anno 2003/2004 171 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico Riduzione Del Rumore Magnetico Generato Il sistema più efficace per ridurre l’accoppiamento magnetico fra due circuiti è ridurre l’area equivalente, ovvero l’area racchiusa dal flusso di corrente, del circuito vittima e disturbante. La riduzione dell’area di loop si ottiene principalmente in due modi: 1. attorcigliando i conduttori del circuito (cavo twisted pair), metodo utilizzato per esempio nelle moderni reti ethernet 2. usando uno schermo metallico non ferromagnetico coassiale (cavo coassiale). I sistemi elencati, in particolare il cavo coassiale, possono servire allo scopo a patto che vengano usati correttamente. La figura illustra un caso (carico flottante) in cui l’impiego di un cavo coassiale nel circuito disturbante è efficace nel ridurre l’area equivalente del loop e quindi l’intensità del flusso che potrebbe concatenarsi con un eventuale circuito vittima. Figura 26a L’efficacia schermante del cavo coassiale è dovuta al fatto che se la corrente IS si distribuisce in modo uniforme sulla superficie dello schermo e IS=I1, data la simmetria cilindrica, il campo B risultante all’esterno del cavo è nullo. Figura 26 b: Cavo coassiale; campo magnetico esterno nullo. La situazione può essere molto diversa nel caso che il carico RL debba necessariamente avere un riferimento a massa. In tal caso l’impiego del cavo coassiale con un solo lato collegato alla massa è completamente inefficace poiché la corrente ritorna al generatore attraverso il collegamento di massa, percorrendo un Valerio Gabbani anno 2003/2004 172 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico loop (loop di massa) la cui area equivalente non dipende dalla presenza dello schermo e che nei casi pratici può essere anche considerevole. Figura 27: Cavo coassiale con carico a massa; collegamento inefficace Figura 28: Loop di massa Per avere corrente di schermo è necessario collegare entrambi gli estremi del cavo coassiale a massa nel qual caso l’efficacia schermante dipende dalla percentuale di corrente che ritorna al generatore attraverso lo schermo del cavo. Per determinare in quali condizioni ciò avviene si analizzi il circuito equivalente in figura: Figura 29: Cavo coassiale, collegamento a massa lato carico e lato generatore Valerio Gabbani anno 2003/2004 173 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico Figura 30: circuito equivalente figura 15 In cui: LS: induttanza equivalente dello schermo RS: resistenza equivalente dello schermo M: mutua induttanza dovuta all’accoppiamento magnetico fra lo schermo ed il conduttore centrale del cavo coassiale. Per valutare M supponiamo che lo schermo sia percorso da una corrente IS distribuita uniformemente nel qual caso il campo magnetico generato all’interno è nullo. Se ) è il flusso del campo magnetico (B) generato da IS (entrante nel piano del foglio) e concatenato con lo schermo si ha: ) LS IS Il flusso generato da IS e concatenato con il conduttore centrale è sempre ), poiché il campo B all’interno del cavo è nullo, allora: ) M LS IS Sul loop di massa si ha: 0 I S j Z L S R S I 1 jZ M IS § jZ I 1 ¨¨ © jZ Z c · ¸ ¸ ¹ ZC RS LS Valerio Gabbani anno 2003/2004 174 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico Figura 31:Corrente di schermo in funzione della frequenza ZC è chiamata frequenza di taglio caratteristica del cavo coassiale e per Z5 < Zc la corrente di ritorno dal carico tende a passare attraverso l a massa, vanificando la presenza dello schermo, quindi se si vuole che l’impiego di un cavo coassiale sia una misura efficace nella riduzione sia dell’emissione che della ricezione del rumore per accoppiamento magnetico la frequenza di impiego deve essere maggiore almeno di cinque volte la frequenza di taglio caratteristica del cavo. Tabella 1: minima frequenza di impiego di alcuni cavi coassiali Tipo di cavo RG58 RG59 RG213 Z (kHz) 2 1,6 0,7 5Z (kHz) 10 8 3,5 Riduzione Della Suscettibilita’ All’accoppiamento Magnetico Il sistema migliore per proteggere un circuito vittima dai campi magnetici è ridurre l’area del loop ricevente e ciò si ottiene con le tecniche appena esaminate nel caso della spira disturbatrice (doppino ritorto, cavo coassiale per Z> 5 Zc). L’efficacia schermante del doppino o del cavo coassiale è fortemente ridotta nel caso di circuiti con riferimenti di massa multipli. La figura illustra un circuito vittima piuttosto comune in pratica composto da una sorgente di segnale di resistenza interna R ed un amplificatore di tensione entrambi con riferimento a massa. In questo caso, anche supponendo che la pulsasione del disturbo sia Z> 5 Zc , si può ottenere solo una parziale schermatura dai campi magnetici a causa della corrente IS che circola nel loop di massa e che dipende dalle seguenti cause: 1. accoppiamento magnetico fra il loop di massa ed il circuito disturbatore 2. differenza di potenziale fra la massa lato sorgente e la massa lato amplificatore causata per esempio da una corrente di disturbo dovuta ad altri circuiti che condivicono lo stesso sistema di massa. (accoppiamento per impedenza comune) Nella figura i due diversi simboli usati per il collegamento di massa indicano che in generale i due punti sono a diverso potenziale. Valerio Gabbani anno 2003/2004 175 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico Figura 32: La corrente indotta nel loop di massa limita l'efficacia dello schermo magnetico Figura 33: circuito equivalente per l'analisi dell'effetto della corrente di rumore nel loop di massa A causa della resistenza equivalente dello schermo e della corrente che circola nel loop di massa, all’ingresso dell’amplificatore si sviluppa una tensione di rumore : V I jZ M I S jZ L S I S R S I S R S I S Effettueremo in modo dettagliato l’analisi del problema del loop di massa nel capitolo dedicato alle masse. Tabella 2:Confronto fra i fattori di schermo di alcuni schermi magnetici 6.5.6. Rumore Condotto Valerio Gabbani anno 2003/2004 176 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico Il rumore può essere trasferito dal disturbatore alla vittima attraverso i conduttori che distribuiscono le tensioni di alimentazione o attraverso i collegamenti di massa, in tal caso si parla di rumore condotto. L’accoppiamento disturbatore-vittima di tipo condotto è dovuto essenzialmente a impedenze comuni sia al circuito disturbatore che alla vittima, La figura illustra una tipica situazione di accoppiamento per impedenza comune nel caso di due circuiti che condividono una stessa connessione di massa. A causa dell’ impedenza ZGC Il potenziale rispetto alla massa della vittima è modulato dalla corrente di rumore IN. Altro esempio di accoppiamento per impedenza comune, è illustrato nella figura seguente e si riferisce a circuiti che condividono lo stesso generatore. La tensione di alimentazione della vittima dipende anche dalla corrente di rumore IN a causa dell’impedenza dei conduttori di distribuzione dell’energia comune ai due circuiti. 6.6. Collegamenti Di Massa In generale per massa di segnale si intende un conduttore equipotenziale utilizzato come potenziale di riferimento da un circuito o da un sistema elettronico. Nel caso di circuiti o sistemi elettronici che utilizzano come fonte di alimentazione la rete pubblica di distribuzione dell’energia elettrica, per ragioni di sicurezza (folgorazione) le masse possono essere collegate a terra mediante opportuni conduttori e dispersori che costituiscono appunto l’impianto di terra. Nell’analisi del Valerio Gabbani anno 2003/2004 177 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico rumore il collegamento all’impianto di terra non è considerato equipotenziale, ed è generalmente la via principale attraverso la quale i disturbi si propagano per via condotta ed accoppiamento tramite impedenza comune (vedi figura) I collegamenti di massa, combinati con opportune tecniche di schermaggio sono i mezzi principali per ridurre il rumore esterno che si accoppia con il circuito vittima. Il progetto dei collegamenti di massa ha due obbiettivi principali: minimizzare le tensioni di rumore generate dalle correnti che da due o più circuiti fluiscono attraverso una impedenza di massa comune evitare di creare loop di massa che, come abbiamo visto precedentemente, sono sucettibili ai campi magnetici ed alle differenze dipotenziale fra i potenziali di massa. 6.6.1. Masse Di Segnale A Punto Singolo Connessione Serie Figura 34: masse a punto singolo serie Dal punto di vista dell’immunità al rumore questo tipo di connessione della masse è la peggiore, ma è anche la più usata data la sua semplicità. A causa delle impedenze dei conduttori di massa, R1,R2,R3, i potenziali dei nodi A,B,C dipendono dalle correnti verso massa di tutti i circuiti. V A I 1 I 2 I 3 R1 VC I 1 I 2 I 3 R1 I 2 I 3 R2 I 3 R3 Questo tipo di connessione deve essere assolutamente evitato nel caso serva a collegare masse di circuiti operanti a livelli di potenza molto diversi ed in ogni caso la massa del circuito più suscettibile deve essere collegata al nodo A. 6.6.2. Masse A Punto Singolo Connessione Parallelo Figura 35: masse a punto singolo parallelo Valerio Gabbani anno 2003/2004 178 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico Questo tipo di collegamento è il più efficace alle basse frequenze, specialemte perché non c’è accoppiamento fra i circuiti a causa delle correnti verso massa; il potenziale del nodo A dipende unicamente dalla corrente di massa e dall’impedenza del circuito 1. La limitazione principale deriva dalla complessità dei collegamenti, specie in un sistema con numerosi circuiti. Un’altra importante limitazione si ha nel caso che la frequenza del disturbo sia maggiore di circa 10MHz a causa dell’induttanza dei conduttori di massa che genera accoppiamenti induttivi fra i circuiti ed aumenta l’impedenza equivalente tendendo a rendere inefficace il collegamento di massa. In tal caso si utilizza al posto del punto singolo di collegamento alla massa un sistema di collegamenti distribuiti con piano di massa (ground plane) cercando di ridurre il più possibile la lunghezza dei collegamenti. Figura 36: masse a punto singolo con piano di massa 6.6.3. Masse A Punto Singolo Connessione Ibrida Nei casi in cui sistemi di potenza (rumorosi) debbano condividere la massa con circuiti ad elevata suscettibilità per ridurre al minimo i disturbi condotti occorre avere l’accortezza di utilizzare il sistema ibrido indicato in figura che coniuga la semplicità del collegamento serie con l’efficacia del collegamente parallelo. 6.6.4. Circuiti Con Riferimento Di Massa Multiplo Abbiamo già accennato come i loop di massa influiscano negativamente sulla suscettibilità di un circuito elettronico al rumore condotto e radiato per via magnetica. Purtoppo spesso i loop di massa sono inevitabili poiché sia la sorgente che l’amplificatore sono riferiti ad una propria massa che per ragioni di sicurezza sono Valerio Gabbani anno 2003/2004 179 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico collegate entrambe all’impianto di terra. La situazione rappresentata in figura è semplice ma emblematica. Figura 37: Sensore ed amplificatore riferiti a massa Figura 38: circuito equivalente semplificato Il generatore di segnale VS e la resistenza RS potrebbero essere ad esempio l’ equivalente di Thevenin di un sensore di temperatura a termocoppia oppure un trasmettitore digitale RS232..Il generatore VG rappresenta la tensione che si stabilisce fra le masse dovuta all’ accoppiamento magnetico con il loop di massa oppure alle correnti di rumore condotte iniettate da altri circuiti, magari di potenza, che condividono lo stesso collegamento di terra. RC1 ed RC2 rappresentano le resistenze equivalenti dei conduttori di collegamento fra sensore ed amplificatore, mentre RG è la resistenza equivalente fra le due masse. Supponendo VS=0 e RC2< R S+RC1+RL si la tensione di rumore all’ingresso dell’amplificatore vale: VN § RL ¨¨ © RL RC1 RS · § RC 2 ¸¸ ¨¨ ¹ © RC 2 RG · ¸¸ VG ¹ Nel caso che piuttosto comune che; RG RC 2 Si ha: R S R L V N # VG Valerio Gabbani anno 2003/2004 180 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico L’immunità di un sistema rispetto ale tensioni di rumore di modo comune è misurato dal rapporto di reiezione di modo comune del circuito (C.M.R.R.) che è definito: CMRR dB § VG 20 log¨¨ © VN · ¸ ¸ ¹ § VG 20 log¨¨ © V1 V2 · ¸ ¸ ¹ in questo caso particolare: CMRR dB 0 Per ridurre la tensione di rumore ed aumentare quindi il CMRR conviene aggiungere l’impedenza ZSG: RC 2 RC 1 RS R L Z SG !! RC 2 RG § · § RC 2 RL ¸¸ ¨¨ V N # ¨¨ R R R C1 S ¹ © Z SG © L RC 1 R S R L · ¸¸ VG ¹ §R · # 20 log¨¨ C 2 ¸¸ © Z SG ¹ -> f VN-> 0 CMMR-> f, tuttavia occorre fare le CMRR dB Il risultato suggerisce che se ZSG seguenti osservazioni: 1. Nel caso che il sensore possa essere isolato dall’involucro metallico,esiste un limite superiore per ZSG dovuto alla capacità parassita fra sensore e incolucro. 2. Nel caso che per ragioni costruttive il sensore debba essere in contatto con l’involucro, l’impedenza ZSG andrebbe collegata in serie con il collegamento a terra di sicurezza, vanificandone l’efficacia. Per avere un’idea dei valori di CMMR ottenibili nei casi pratici, un valore di ZSG=10: è generalmente compatibile con i sistemi di protezione da guasto a terra presenti nei moderni impianti elettrici, unaa linea in cavo coassiale RG58 lunga 3 metri ha RC2=0,01:, per cui CMMR=60 dB. 6.6.5. Isolamento Mediante Trasformatore Nel caso che non sia possibile isolare da massa il trasduttore o l’amplificatore, si può interrompere il loop di massa conseguente impiegando un trasformatore “trasversale” di isolamento a rapporto di trasformazione unitario: Valerio Gabbani anno 2003/2004 181 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico Figura 39: isolamento a trasformatore La soluzione non è ovviamente immune da problemi: 1. L’isolamento elettrico fra le masse introdotto dal trasformatore tende ad essere inefficace in alta frequenza a causa delle capacità parassite fra l’avvolgimento primario ed il secondario. 2. In alcuni circuiti è richiesta la continuità elettrica fra sorgente e amplificatore anche in continua oppure a bassissima frequenza, in tal caso il trasformatore “trasversale” non può essere utilizzato perché la reattanza degli avvolgimenti diventa tanto bassa da cortocircuitare il segnale. Il trasformatore può esser ancora utilizzato in un speciale configurazione chiamata trasformatore di neutralizzazione o balun. Figura 40: isolamento con trasformatore longitudnale (BALUN) Figura 41: Circuito equivalente BALUN Per prima cosa valutiamo l’effetto del trasformatore sul segnale considerando VG=0. Valerio Gabbani anno 2003/2004 182 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico 5RC 2 ; I1 I 2 I S ; I g 0 2 S L2 jZ L1 L2 I S 2 jZMI S RL RC 2 RC1 I S L1 L2 M VS Is I1 I 2 RL RC1 RC 2 f ! VS Il trasformatore non ha influenza sul funzionamento normale del circuito a patto che per la minima frequenza del segnale sia verificata l’equazione. Valutiamo adesso la risposta del circuito alla tensione di disturbo di modo comune (longitudinale) VG impostando le equazioni alle maglie: VG jZ L1 I 1 jZ MI 2 I 1 RL I 1 RC1 VG jZ L2 I 2 jZ MI 1 I 2 RC 2 da cui risolvendo per I2: VG jZ MI 1 jZ L2 RC 2 I2 L1 L2 M L Sostituendo nella equazione ??? e ricavando I1: VG RC 2 jZ LRC1 RC 2 RL RC 2 RL I1 Supponendo poi che: RC2+RC1<<RL: Vn Il BALUN è quindi efficace se Z !! I 1 RL # VG W W jZ W RC 2 L RC 2 L Figura 42:Andamento della tensione di rumore in funzione della frquenza (eq. ???) Possiamo utilizzare direttamente i risultati ottenuti per il BALUN per valutare l’efficacia schermante del cavo coassiale in presenza di loop di massa: Valerio Gabbani anno 2003/2004 183 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico Figura 43:Cavo coassiale e loop di massa Figura 44:Circuito equivalente In assenza di schermo: VN VG In presenza dello schermo (cavo coassiale) il generatore VG non cambia apprezzabilmente di valore, perché l’area attiva del loop resta la stessa: VN RL RS VG >RL RS j Z LS RS RL @ RS || RL ZC LS K ZC ZC j Z Spesso in pratica per diminuire la frequenza di taglio ZC del cavo coassiale, e realizzare così un BALUN che abbia un fattore si schermo soddisfacenti alle basse frequenze, si aumenta la induttanza dello schermo LS semplicemente avvolgento un tratto di cavo su di un supporto di materiale magnetico. 6.6.6. Isolamento Con Fotoaccoppiatore Grazie al progresso della tecnologia optoelettronica sono disponibili a costi contenuti dei componenti speciali chiamati fotoaccoppiatori, costituiti da un fotodiodo (fotoemettitore) ed un fototransistor (fotosensore) sigillati in un contenitore isolante ed opaco. Il fotoaccoppiatore può essere impiegato per interrompere il loop di massa utilizzandolo al posto del trasformatore di isolamento. La trasmissione del segnale è garantita dall’accoppiamento ottico fra fotodiodo e fototransistore, mentre l’isolamento longitudinale dalla resina isolante del contenitore. Occorre sottolineare che anche nel caso del fotoaccoppiatore esiste il problema delle capacità parassite longitudinali che tendono a ridurre l’isolamento in alta frequenza ma il loro valore tipico è molto più piccolo rispetto al trasformatore. Valerio Gabbani anno 2003/2004 184 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico Figura 45: isolamento longitudinale tramite fotoaccoppiatore In casi particolari la connessione elettrica può essere sostituita completamente dall’accoppiamento ottico utilizzando la fibra ottica come mezzo di trasmissione del segnale, ottenendo, a fronte di un aumento del costo e della complessità di installazione e connettorizzazione i seguenti vantaggi: 1. elevatissimo isolamento longitudinale fra i circuiti anche in altissima frequenza 2. nessuna influenza sul segnale trasmesso da parte di campi elettrici e magnetici, nessuna tecnica di schermaggio richiesta. 3. Elevata banda passante, elevata velocità di trasmissione Le fibre ottiche ed i fotoaccoppiatori sono utilizzati prevalentemente per la trasmissione di segnali digitali. Figura 46: Trasmissione del segnale mediante fibra ottica 6.6.7. Amplificatori Differenziali Per ridurre l’effetto della tensione di rumore di modo comune (longitudinale) VG sulla vittima si può utilizzare un amplificatore differenziale (ingresso bilanciato), la cui risposta ideale dipende dalla differenza delle tensioni in ingresso: Vo Avd V1 V2 Figura 47:Reiezione al rumore di modo comune meidiante amplificatore differenziale R L1 !! RG ; RL 2 !! RG Valerio Gabbani anno 2003/2004 185 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico VN V1 V2 § RL1 RL 2 ¨¨ © RL1 RC1 RS RL 2 RC 2 · ¸¸ VG ¹ In condizioni ideali di bilanciamento dell’amplificatore e della linea (doppino ritorto): ^RL1 RL 2 RL ; RC1 RC 2 RC1 ; RS RL ` V N 0 L’ amplificatore differenziale può ridurre notevolmente l’accoppiamento del circuito con i rumori di tipo longitudinale ed è il primo passo verso un sistema completamente bilanciato. Anche nel caso che RC1=RC2 (cavo bilanciato) e RL1=RL2 (amplificatore bilanciato), la presenza della RS, a meno che non sia trascurabile, sbilancia il circuito e aumenta l’intensità del rumore captato.Una tecnica di riduzione del rumore sofisticata utilizza perciò, oltre agli schermi, ed al bilanciamento della linea anche il bilanciamento della sorgente. Figura 48: Amplificatore differenziale e sorgente bilanciata Nel caso di sorgente ad amplificatore bilanciati si ha: RS1=RS2=RS; RL1=RL2=RL; VS2=VS1=VS. I generatori V1 e V2 rappresentano le tensioni di rumore indotte in ciascun conduttore spira da accoppiamenti magnetici mentre V3 è una sorgente di rumore accoppiata capacitivamente con il circuito. In condizioni di linea perfettamente bilanciata C2G=C1G , V1=V2 e dall’analisi del circuito si conclude che la tensione VN=V1-V2=0. La tipica linea bilanciata è il doppino ritorto semplice o schermato. La schermatura del doppino non è necessaria in condizioni di bilanciamento perfetto ma è auspicabile come ulteriore misura di protezione. La linea coassiale, essendo intrinsecamente sbilanciata, non può essere usata in un sistema bilanciato ad accezione del caso illustrato in figura: Valerio Gabbani anno 2003/2004 186 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico Figura 49: Impiego di una linea coassiale in un sistema bilanciato Deve sempre essere tenuto presente che nel funzionamento in alta frequenza, le condizioni ideali di bilanciamento sono molto difficili da realizzarsi a causa delle capacità ed induttanze parassite. 6.7. Alimentazioni In molti sistemi elettronici la sorgente di alimentazione DC ed il relativo sistema di distribuzione è comune ad altri circuiti, ed è quindi importante prendere dei provvedimenti affinchè non diventi un canale di accoppiamento del rumore. L’induttanza e la resistenza dei conduttori utilizzati per la distribuzione dell’alimentazione sono impedenze attraverso le quali la correnti di rumore iniettate da un circuito disturbante si accoppiano con i circuiti vittima. Figura 50: Accoppiamento di rumore attraverso il sistema di distribuzione dell’energia E’ buona norma quindi dotare tutti i circuiti di opportuni circuiti di disaccoppiamento che in sostanza non sono altro che filtri passa basso. Valerio Gabbani anno 2003/2004 187 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 6: Il Rumore Elettrico Figura 51: Disaccoppiamento dei circuiti con sezioni filtranti passa basso LC ad L Il valore di LD e CD deve essere scelto in modo che la frequenza di risonanza caratteristica del filtro 1 f0 2S LD CD sia molto minore della frequenza di taglio inferiore del circuito a cui il filtro è applicato. L’induttore LD deve inoltre essere dimensionato in modo da poter sopportare la corrente continua assorbita dal circuito protetto, in particolare se avvolto su nucleo deve essere evitata la saturazione del materiale ferromagnetico. Valerio Gabbani anno 2003/2004 188 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 7: Analizzatori di stati logici 7. Analizzatori di stati logici 7.1. Introduzione Quando si vuole verificare il funzionamento di un circuito digitale complesso, contenente ad esempio microprocessori, microcontrollori, memorie e logiche programmabili è necessario controllare lo stato di numerose linee, in questo caso l’utilizzo di un oscilloscopio può risultare inefficiente, poiché tipicamente questi strumenti consentono di acquisire e visualizzare da al più 4 canali contemporaneamente. D’altra parte almeno in un primo tempo non è strettamente necessario conoscere l’andamento temporale dei segnali digitali, ma è sufficiente determinare la sequenza degli stati logici da essi assunti. Per il test dei sistemi digitali risulta dunque più idoneo un sistema di misura in grado di acquisire e visualizzare in maniera ‘compatta’ e contemporanea lo stato logico di decine di segnali. L’analizzatore di stati logici è proprio lo strumento che risponde a queste esigenze (vedi schema a blocchi in figura 1). figura 1 Schema a blocchi dell’analizzatore di stati logici Esso permette di verificare che la sequenza di operazioni ‘logiche’ eseguite dal sistema digitale, sia effettivamente quella stabilita in fase di progetto; i problemi ‘analogici’ che eventualmente possono avere causato una differenza tra il comportamento previsto del circuito e quello reale, ovvero anomalie di livello, transizioni spurie, ritardi non possono essere facilmente diagnosticate attraverso l’uso di questo strumento, a tal fine deve ancora essere utilizzato un oscilloscopio. Per meglio spiegare questo punto vengono riportati in figura 1 schematicamente due esempi di applicazione dei due strumenti per il test di un circuito. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2006/2007 189 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 7: Analizzatori di stati logici Figura 2 Esempi di applicazione L’analizzatore di stati logici è un sistema di acquisizione, che permette di digitalizzare ad un bit decine di segnali (34-136 canali in ingresso o più nelle architetture modulari), prevede sonde compatte, sistemi di trigger evoluti ed un’elaborazione dei segnali acquisiti mirata alla compattazione dell’informazione ed eventualmente la correlazione con il codice che viene eseguito se il test riguarda sistemi programmabili. Figura 3 Uso dell’analizzatore di stati logici L’uso di questi strumenti prevede 4 fasi: 1) connessione delle sonde 2) configurazione dello strumento 3) acquisizione dei segnali 4) analisi e visualizzazione dell’informazione. 7.2. Connessione Nella prima fase viene effettuata la connessione fisica delle sonde alle linee di segnali, al contrario di quello che accade negli oscilloscopi, la connessione delle probe può risultare estremamente critica ed onerosa (centinaia di linee da collegare a centinaia di sonde). Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2006/2007 190 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 7: Analizzatori di stati logici E’ usuale prevedere in fase di progetto del circuito un connettore dedicato proprio alla connessione con lo strumento. E’ importante inoltre sottolineare che l’inserzione delle sonde può perturbare i segnali e dar luogo a malfunzionamenti. Si ricordi infatti che le logiche attuali sono caratterizzate da tempi di salita molto brevi (vedi tabella I), l’introduzione delle capacità delle sonde modifica le condizioni di carico dei circuiti logici, dunque i tempi di salita ed introduce dei ritardi aggiuntivi che possono portare alla violazione delle condizioni di temporizzazione (in tabella 2 è riportato il calcolo del ritardo aggiuntivo introdotto in funzione del diverso carico capacitivo relativo alla sonda). Figura 4 Effetti di carico: resistivo (non critico per un sistema logico) e capacitivo. Famiglie logiche Tempo di salita tipico Banda calcolata TTL CMOS (discrete,high speed) GTL LVDS ECL GaAs 2 ns 1.5 ns 175 MHz 230 MHz Lunghezza d’onda in microstriscia su vetronite (tipica) 1.0286 m 0.7826 m 1 ns 400 ps 100 ps 40 ps 350 MHz 875 MHz 3.5 GHz 8.75 GHz 0.5143 0.2057 0.0514 0.0206 m m m m Tabella 1 I valori riportati in tabella sono relativi a condizioni di carico tipiche. Capacità della sonda 15 pF 8 pF 2 pF Standard CMOS - 'T 25 ns 13 ns 3 ns High-speed CMOS - 'T 2.5 ns 1.3 ns 0.3 ns Tabella 2 aumento del ritardo di propagazione per porte CMOS dovuto alla capacità della sonda. E’ quindi critica la scelta di sonde (‘probe’) adatte all’applicazione, esistono sonde passive tipicamente terminate con resistenze di 100 k: e capacità di 8 pF, le prestazioni migliori si ottengono chiaramente con sonde attive (differenziali) che consentono di ridurre sensibilmente la capacità di carico (pochi pF). Nelle sonde attive è contenuto un comparatore per linea che esegue la conversione ad 1 bit, Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2006/2007 191 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 7: Analizzatori di stati logici utilizzando una soglia logica selezionabile dall’utente in modo arbitrario o tra i valori standard di scatto delle diverse famiglie logiche (ECL, TTL etc). In ogni caso nel caso di test di sistemi che lavorano a frequenze di clock molto elevate è necessario valutare dettagliatamente l’impatto che ha l’inserzione delle sonde sul funzionamento del circuito; a tal fine vengono forniti modelli delle sonde piuttosto accurati a parametri distribuiti. Figura 5 Modello a parametri concentrati – applicabili per logiche con tempi di salita di alcuni ns, cioè quando il ritardo di propagazione nelle connessione risulta minore del 20% del rise time tipico, o quando la lunghezza della connessione è molto minore della lunghezza d’onda. Figura 6 Connessione all’analizzatore con stub e connettore dedicato. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2006/2007 192 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 7: Analizzatori di stati logici Figura 7 Modello del sistema di prelievo del segnale con stub e connettore e sonde. Le singole sonde sono raggruppate in probe o pod, in genere a gruppi di 8 o 16, in un probe alcune linee possono avere una funzione speciale (es. state clock, ground..), un analizzatore può gestire un certo numero di pod. Una volta effettuata la connessione fisica, è possibile assegnare dei nomi alle linee in ingresso allo strumento, e raggrupparli in insiemi (es. è possibile chiamare una linea EN, altre otto line ADD0-7), specificare le soglie, definire il clock. 7.3. Configurazione dello strumento 7.3.1. Configurazione del clock di acquisizione Tutti gli analizzatori di stati logici prevedono due modalità di acquisizione: - timing acquisition (acquisizione asincrona o nel dominio del tempo) - state acquisition (acquisizione asincrona o nel dominio degli stati) La prima è un’acquisizione temporizzata da un clock interno allo strumento (analogamente a quanto accade negli oscilloscopi utilizzati in tempo reale). Questa modalità è utile qualora interessi individuare la presenza di problemi nelle temporizzazioni. Nella seconda modalità il campionamento viene effettuato utilizzando come clock un segnale proveniente dal sistema. Talvolta si utilizzano hardware distinti per effettuare il campionamento nelle due modalità: sono disponibili moduli che effettuano il campionamento veloce di un sottoinsieme di canali nel dominio temporale, da affiancare ai moduli ‘tradizionali’ Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2006/2007 193 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 7: Analizzatori di stati logici che consentono l’acquisizione più lenta nel dominio degli stati. Questo significa che due serie di probe devono essere connesse alle linee da analizzare nei due domini. La frequenza di campionamento massima raggiungibile nel dominio temporale è chiaramente più alta di quella che è possibile raggiungere nel dominio dello stato. Infatti nel caso che si voglia utilizzare un segnale proveniente dal circuito sotto test per gestire il campionamento, tale segnale deve essere portato allo strumento e condizionato, il che significa che gli altri segnali devono essere ritardati in modo da mantenere le relazioni temporali originarie. Lo strumento deve perciò lavorare in realtà a frequenza più alta del clock sincrono (2-4 volte maggiore). Questo pone dei limiti alla massima velocità raggiungibile in questa modalità di campionamento anche maggiori di quelli dovuti alla tecnologia del campionatore o delle memorie di acquisizione (tra i valori più alti attualmente, 2007, 800 MHz su 68 canali). Alcuni strumenti permettono l’acquisizione contemporanea nei due domini (MagniVu Tektronix), in questo caso una memoria (al più16 kb) è dedicata all’acquisizione asincrona ad alta frequenza del segnale (fino ad 8 GHz), anche qualora la memoria principale sia riempita attraverso un campionamento di tipo sincrono. L’informazione può essere poi correlata a quella ottenuta nel dominio degli stati perché anche il segnale di clock sincrono viene acquisito ad alta velocità. E’ evidente che qualora si campioni ad elevata frequenza risulta impossibile acquisire finestre temperali lunghe, perché richiederebbe memorie di acquisizione troppo profonde (profondità massime attualmente 256 Mb su 136 canali). Esiste perciò una modalità di memorizzazione dei dati che consente in qualche caso di ‘risparmiare’ memoria e di prolungare il tempo di osservazione del segnale. Tale modalità detta transitional, prevede di salvare soltanto i dati campionati negli istanti in cui su una linea avviene un transizione. Dalla figura 1 si vede che gli analizzatori sono in genere dotati di un hardware dedicato alla rilevazione di glitch, cioè degli impulsi (una transizione in una direzione seguita da una transizione nell’altra direzione) che avvengono tra due istanti di campionamento, e che non sarebbero dunque acquisiti. Figura 8 Rivelatore di glitch (reset ad ogni colpo di clock). 7.3.2. Configurazione del trigger Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2006/2007 194 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 7: Analizzatori di stati logici L’evento di trigger, come per l’oscilloscopio, stabilisce la posizione della finestra temporale che viene acquisita. Anche in questo strumento la memoria di acquisizione viene continuamente riempita come una FIFO, pertanto sono in memoria sempre gli N (N=profondità della memoria) ultimi campioni dei segnali. L’acquisizione può essere fermata dall’evento di trigger o può proseguire dopo l’evento di trigger per un numero di periodi campionamento M prestabilito. Come è stato già detto gli analizzatori di stati logici hanno sistemi di trigger molto evoluti in grado di definire in modo estremamente flessibile l’evento di trigger. Ad esempio è possibile differenziarne le seguenti diverse tipologie: x x x x x x x Words: l’evento di trigger corrisponde ad un pattern di stati logici assunti da un sottoinsieme degli ingressi, il pattern può essere definito utilizzando una codifica binaria, esadecimale etc. Ranges: l’evento viene individuate quando un segnale assume valori in un intervallo fissato dall’utente Counter: l’evento corrisponde alla ripetizione di una condizione sugli stati che si ripete un numero di volte stabilito dall’utente. Signal: l’evento si individua controllando lo stato di un segnale esterno Glitches: l’evento di trigger è definito da un glitch tra due campioni (come già detto i glitch sono individuate da circuiti dedicati) Timer: l’evento è definito da un intervallo di tempo tra due eventi o dalla durata di un singolo evento Cross-trigger: un altro modulo o strumento arma il trigger dell’ analizzatore di stati logici o viveversa, si utilizza nei sistemi in cui un analizzatore di stati logici viene affiancato da un oscilloscopio in grado di acquisire le tensioni di alcune linee ‘critiche’ e che consentono di gestire i due strumenti in maniera automatica in modo da correlare le informazioni analogiche ottenute con l’oscilloscopio a quelle digitali ottenute con l’analizzatore di stati logici. Alcuni analizzatori di stati logici consentono di programmare l’acquisizione non solo attraverso la definizione di un evento di trigger ma di utilizzare sequenze a livelli, questo dà la possibilità di effettuare salvataggi selettivi dei dati, come descritto nella figura successiva. 7.3.3. Analisi e visualizzazione Vista la complessità dell’informazione salvata nella memoria di acquisizione, questo tipo di strumenti prevede molta flessibilità nella scelta del tipo di visualizzazione. Tutti gli analizzatori di stati logici prevedono le seguenti diverse modalità di visualizzazione: - waveform (forma d’onda) listing Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2006/2007 195 Dispense di Misure per L’Automazione Capitolo 7: Analizzatori di stati logici Figura 9 Visualizzazione in modalità waveform. In modalità waveform i campioni digitali acquisiti vengono rappresentati graficamente in successione a formare delle forme d’onda. Questo tipo di visualizzazione può essere utile nella rivelazione di errori di temporizzazione, di assenza o presenza di impulsi etc.. In modalità ‘listing’, i bit ottenuti campionando le diverse linee relativamente ad un istante di campionamento vengono compattati a formare parole digitali che possono essere codificate in formato alfanumerico ad esempio esadecimale, disassemblate e riportate in mnemonico etc.. 7.4. Caratteristiche Riassumendo la qualità di un analizzatore di stati logici può essere misurata in riferimento ai seguenti parametri caratterizzanti: x x x x x x Timing Acquisition Rate (alcuni GS/s negli strumenti più evoluti) State Acquisition Rate ( fino a 450 MHz, su 136 canali con una finestra di setup/hold di 625 ps per assicurare il campionamento. Record Length fino a 256 Mb. E’ possibile anche concatenare le memorie relative a diverse canali, qualora si utilizzi un sottoinsieme di canali di ingresso. Channel Count and Modularity, Esistono strumenti modulari che possono essere connessi insieme a formare strumenti con elevatissimo numero di canali (migliaia)che mantengono comunque bassi tempi di latenza tra i canali anche appartenenti a strumenti diversi . Triggering è importante la flessibilità e la facilità d’uso. Probing sono importanti, la facilità di connessione e le caratteristiche elettriche. Ada Fort e Marco Mugnaini anno 2006/2007 196