tecnica dei sistemi energetici - Sismondi

MARCO PANATTONI
TECNICA DEI SISTEMI ENERGETICI
MACCHINE E
IMPIANTI TERMOTECNICI
I PARTE da pag.1 a pag. 90
• IDRAULICA
• MACCHINE IDRAULICHE
• TERMODINAMICA
• TRASMISSIONE DEL CALORE
• COMBUSTIBILI E COMBUSTIONE
II PARTE da pag.1 a pag. 39
• MACCHINE TERMICHE
• IMPIANTI A VAPORE
• IMPIANTI DI RISCALDAMENTO
• CRITERI DI RISPARMIO ENERGETICO
• POMPE DI CALORE E IMPIANTI FRIGORIFERI
III PARTE
• IMPIANTI DI CONDIZIONAMENTO AMBIENTI
• QUALITA’ DEGLI IMPIANTI TERMOFLUIDICI
• FONTI RINNOVABILI DI ENERGIA
• ANTINFORTUNISTICA E SICUREZZA SUL LAVORO
PREFAZIONE
Sono oramai molti gli anni che ho trascorso cercando di accompagnare gli studenti
del “Corso Termico” nel percorso di acquisizione di quelle conoscenze e competenze,
previste nei programmi Ministeriali, ma soprattutto necessarie a fare di Loro dei bravi
Tecnici dei Sistemi Energetici. Durante questo percorso comune, molte sono le cose
che ho imparato dai miei Studenti e che ritengo mi abbiano reso migliore, non solo
come insegnante ma anche come persona; spero di avere, almeno in parte, ricambiato.
Le varie materie professionalizzanti che, dalla classe seconda fino alla quinta,
caratterizzano il percorso formativo, affrontano tematiche diverse ma aventi un’unica
matrice: l’energia, i modi di produrla, di sfruttarla nel rispetto dell’ambiente e
soprattutto sfruttarla bene in quanto sempre più preziosa.
Sono molti i testi di letteratura tecnico – scientifica che affrontano questi argomenti e
dai quali spesso abbiamo attinto nello svolgimento delle nostre lezioni, ma abbiamo
anche riscontrato difficoltà di comprensione e soprattutto di sintesi da parte degli
alunni.
Da qui l’esigenza che ho avvertito e che mi ha indotto a scrivere la mia
“Tecnica dei Sistemi Energetici”.
Questo lavoro ha origine dalla raccolta di appunti delle lezioni svolte agli Studenti del
Corso Termico dell’Istituto Professionale Statale “A.Pacinotti” di Pescia, a cui è
dedicato, e vuole essere una traccia del percorso formativo che, nello svolgimento
delle 3 parti in cui è suddiviso, tocca in maniera semplice e di facile lettura i concetti
e le conoscenze basilari necessarie su tutte le tematiche previste nel Programma
Ministeriale.
Sarò ben lieto di accogliere osservazioni, critiche e suggerimenti tali da portare
migliorie a questa prima stesura.
Marco Panattoni
2
I
PARTE
MODULO 1
CONOSCERE E MISURARE IL NOSTRO AMBIENTE
U.D. 1
- STATI FISICI DELLA MATERIA -
La materia che ci circonda può assumere tre stati fisici diversi:
STATO SOLIDO
ha una forma ed un volume proprio
STATO LIQUIDO
ha un volume proprio ma assume la forma del recipiente
che lo contiene
STATO AERIFORME
non ha né volume né forma propria ma assume i
valori sia di volume che di forma del recipiente che
lo contiene.
Lo stato aeriforme lo possiamo poi suddividere in:
STATO AERIFORME
VAPORE
si può liquefare con la sola operazione
di compressione
( es. il vapore d’acqua a temperature)
GAS
non è possibile liquefarlo con
la sola operazione di compressione
( es. il gas d’acqua a temperature)
( di poco superiori a quella di ebollizione )
(molto superiori a quella di ebollizione)
La materia può passare da uno stato fisico agli altri a seconda dell’energia che
possiede e che noi possiamo aumentare o diminuire, ad esempio fornendo o togliendo
calore; così se diamo calore ad una certa quantità di ghiaccio (solido), vediamo che
ad un certo punto questo diviene acqua (liquido) e se continuiamo a fornire calore
avremo poi il vapore d’acqua (aeriforme) che, continuando a fornire ulteriore calore
fino a portarlo a temperature molto alte, definiremo gas d’acqua.
Il processo contrario si può naturalmente avere sottraendo calore.
3
Questo modo di operare lo possiamo rappresentare in un piano cartesiano ( x – y )
dove riportiamo in ordinata le variazioni della temperatura ( T ) ed in ascissa il calore
fornito ( Q ) :
T
qs=(q5-q4)
qv=(q4-q3)
qr’=(q3-q2)
te
qr
qf=(q2-q1)
tf
0
q1
q2
q3
q4
q5
Q
q0
Il ghiaccio è inizialmente ad una temperatura inferiore a 0°C, forniamo la quantità di
calore qr (calore di riscaldamento) e la temperatura sale fino a 0°C (temperatura di
fusione del ghiaccio); diamo ancora calore qf (calore di fusione), il ghiaccio fonde
pian piano fino a diventare tutta acqua. Durante il passaggio di stato la temperatura
resta costante fino a che tutto il ghiaccio non è liquefatto. Poi diamo calore qr’
(riscaldiamo l’acqua), la temperatura sale di nuovo fino ad arrivare ai 100°C
(temperatura di ebollizione dell’acqua alla pressione atmosferica normale). Giunta la
temperatura a 100°C l’acqua inizia a bollire e pian piano diventa vapore, con qv
abbiamo indicato il calore da dare per far evaporare tutta l’acqua. A questo punto se il
vapore è stato raccolto e non disperso nell’aria, possiamo fornire ancora calore qs e
la sua temperatura salirà sempre di più.
Il calore che abbiamo fornito in tutto il processo, evidentemente non ha dato sempre
gli stessi effetti:
qr ……. qr’ ……………. qs
hanno fatto aumentare
la temperatura
qf …………… qv
la temperatura è rimasta costante
Chiameremo:
CALORE SENSIBILE il calore fornito ad una sostanza che ha come
effetto un aumento di temperatura;
CALORE LATENTE il calore, fornito durante i passaggi di stato, che
serve agli atomi della sostanza per aumentare la loro energia e passare dallo stato
solido a quello liquido o da quello liquido a vapore, con la temperatura che rimane
sempre la stessa (non sale e non scende) .
4
Questi termini sono facilmente memorizzabili se pensiamo che:
SENSIBILE perché il termometro che misura la temperatura sale e quindi vediamo
con i nostri sensi l’effetto del calore che forniamo, istante per istante;
LATENTE cioè non visibile perché il termometro fermo non ci permette di vedere
istante per istante l’effetto del calore che forniamo.
Il grafico che abbiamo disegnato può essere percorso anche al contrario, ed allora:
una massa di vapore cede calore sensibile e calore latente, prima raffreddandosi da
alte temperature fino alla temperatura di ebollizione e poi condensando (cioè
passando da vapore ad acqua).
Il calore latente è molto più grande del calore sensibile e questo, come vedremo,
rende il vapore d’acqua sfruttabile in molte applicazioni impiantistiche.
L’esempio dei passaggi di stato della materia H2O (acqua) è valido per qualunque
altro materiale, naturalmente cambiano i valori delle temperature e delle quantità di
calore in gioco.
U.D. 2
- GRANDEZZE FISICHE ED UNITA’ DI MISURA ( Il sistema internazionale di misura “ S.I. “ )
Le principali grandezze fisiche a cui più frequentemente ci riferiamo, sia nella vita di
tutti i giorni, sia nello studio energetico e più in generale impiantistico sono:
Grandezze scalari
( Sono definite solo dalla intensità )
LUNGHEZZA – misura di una linea retta ---- si misura in metri ( m ) ;
SUPERFICIE – misura una area ---- metri quadri ( m2 ) ;
VOLUME – misura lo spazio occupato da un corpo ---- metri cubi ( m3 ) ;
TEMPO – misura la durata di un evento ---- secondi ( s ) ;
TEMPERATURA – misura il livello di energia termica contenuta dalla materia o
potremmo anche dire che misura la “qualità” dell’energia termica contenuta ---- si
misura in gradi kelvin ( °K ) ;
CALORE – è una delle due forme “terminali” dell’energia, l’altra è il lavoro
meccanico, e come questo si misura in ---- joule ( J ) --- (da non confondersi con la
temperatura) ;
MASSA – quantità di materia presente in un solido, in un liquido o anche in un
aeriforme ---si misura in chili (Kg) ;
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Grandezze vettoriali
( Sono definite se ne conosciamo: intensità – direzione – verso )
VELOCITA’ – misura lo spazio percorso nell’unità di tempo ---- metri diviso
secondo ( m/s ) ;
ACCELERAZIONE – misura in quanto tempo si passa da un valore di velocità ad un
altro ( V1 – Vo ) / tempo ---- si misura in metri diviso secondo quadro ( m / s2 ) ;
FORZA – misura “lo sforzo” che dobbiamo fare per imprimere una accelerazione di
1 m / s2 ad un corpo di massa pari a 1 Kg ---- si misura in newton ( N ) ;
PESO ( Forza peso ) – è la forza con cui la terra attrae una massa, come tutte le altre
forze si misura in newton ( N ) ---- questa forza particolare (peso) cambia se cambia
il valore della accelerazione dovuta alla gravità terrestre che solo al livello del mare è
di 9,81 m / s2 ma se andiamo in alta montagna un po’ diminuisce (più ci allontaniamo
dal centro della terra e più cala) ;
PRESSIONE – è il rapporto tra la forza e la superficie dove tale forza agisce, quindi
N / m2 ---- a questa unità di misura si dà il nome di pascal ( Pa ) .
Consideriamo per finire LA POTENZA
( che va inserita nel gruppo delle grandezze fisiche scalari )
POTENZA – misura quanta energia ( calore o lavoro ) viene “sprigionata” nella unità
di tempo ---- si misura perciò in joule / s a cui diamo il nome di watt ( W ) .
ALCUNE CONSIDERAZIONI
• Nella trattazione di macchine ed impianti termici vedremo quale particolare
importanza rappresenta la POTENZA e non tanto l’energia : una macchina o
un impianto saranno giudicati per la capacità di erogare energia nel più breve
tempo possibile e quindi in base alla loro più o meno grande potenza.
• La MASSA è la quantità di materia di cui è costituito un corpo e dovunque lo
porto, a meno che non se ne perda pezzi per strada, la sua massa resterà sempre
costante, il suo peso invece cambia perché dipende dalla attrazione di gravità
che c’è in quel punto ( fuori dalla atmosfera terrestre il corpo non ha più peso,
ma ha sempre la stessa massa) .
• Abbiamo definito la TEMPERATURA come un “indice della qualità del calore
contenuto in un corpo”, si capirà meglio questo concetto con un esempio :
supponiamo di fornire la stessa quantità di calore ad uno spillo e ad un blocco
di acciaio di 20 Kg (mettendoli ambedue per 30 secondi sopra lo stesso
fornello); il blocco da 20 Kg raggiungerà una temperatura di pochissimo
superiore a quella ambiente, che ci faccio ? Poco o niente…. Lo spillo sarà
invece incandescente, ad alta temperatura, posso utilizzarlo per eseguire un
foro su un foglio di plastica, se ho il brutto vizio di fumare posso accenderci
una sigaretta, ecc. ecc. ….La stessa quantità di calore se contenuta in un corpo
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ad alta temperatura è più facilmente sfruttabile e quindi per me di “migliore
qualità”.
• Le grandezze fisiche adesso richiamate non sono certo tutte, ma sono quelle
che incontreremo più spesso e quindi dobbiamo imparare ad usarle in modo
appropriato. Anche le unità di misura ad esse associate non sono le uniche, ma
sono quelle del SISTEMA INTERNAZIONALE che dovremo sempre usare,
nel linguaggio tecnico e specialmente nei calcoli; altre, del Sistema Tecnico ad
esempio, le useremo per comodità solo in alcuni specifici casi e con molta
accortezza per non fare confusione.
Se avete capito, alla domanda: quanto pesi ? …………..risponderete………
….Ho una massa di 70 Kg quindi, al livello del mare, peso circa 700 N …
Se la vostra risposta è stata invece molto diversa, occorre rileggere con più
attenzione le pagine precedenti..! ! !
MODULO 2
PRINCIPI DI IDROSTATICA
U.D. 3 - PROPRIETA’ FISICHE DELL’ACQUA ( H2O ) –
L’idrostatica è la parte di idraulica che studia i liquidi in quiete, cioè fermi.
I principi e le leggi valide per i liquidi, lo sono anche per gli aeriformi, tenendo
però sempre presente che mentre possiamo considerare un liquido praticamente
incomprimibile (volume proprio costante), questo non vale certo per un vapore
od un gas e ne dovremo tenere conto.
MASSA VOLUMICA ( chiamata spesso anche DENSITA’ )
la quantità, in Kg, della sostanza in esame, che entra in 1 m3 di volume; la sua
unità di misura è quindi Kg / m3 ; per l’acqua dolce la possiamo considerare
pari a : Mv = 1000 Kg / m3 ( 1 litro = 1 dm3 contiene circa 1 Kg di acqua
alla temperatura ambiente ) .
Ricordiamoci però che questo valore non è costante ma varia con la
temperatura: se l’acqua è più calda si dilata e quindi in quel m3 ne entra di
meno.
PESO SPECIFICO
il peso in newton della massa di sostanza contenuta in 1 m3 di volume e
quindi la sua unità di misura è N / m3; per l’acqua sarà quindi Ps = Mv • g
dove g rappresenta l’accelerazione di gravità in m / s2 .
Al livello del mare, dove g assume il valore di 9,81 m / s2 il peso specifico
dell’acqua a temperatura ambiente è : Ps = 9810 N / m3
VISCOSITA’
immaginiamo una massa di fluido che scorre come una serie di piani fluidi che
scorrono uno sull’altro a diverse velocità, possiamo vedere la viscosità come
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l’attrito interno al fluido stesso che si sviluppa tra i diversi piani in movimento
reciproco.
F
V
H
v
A
A
Se abbiamo piani fluidi di uguale area S ( di cui sul foglio ne vediamo la
traccia A – A ) che scorrono con velocità diverse ( da v a V ), la forza F,
da applicare al piano distante H da quello più lento affinché si muova con
maggiore velocità V,
è direttamente proporzionale all’area S e alla
differenza di velocità ( V - v ) ed inversamente proporzionale alla distanza H
fra i due piani :
S•(V–v)
F = μ • ------------------H
La costante μ di proporzionalità prende il nome di viscosità dinamica
e ricavando dalla relazione precedente μ :
F • H
μ = ---------------------------S • (V–v)
L’unità di misura di μ , ricavabile dalla precedente formula è [ Pa • s ]
Usualmente il coefficiente di viscosità viene espresso in centipoise ( cP )
1 cP = 1 mPa • s
La viscosità di un liquido diminuisce all’aumentare della temperatura mentre si
può in pratica considerare indipendente dalla pressione.
U.D. 4 -PRESSIONE RELATIVA E PRESSIONE ASSOLUTA-LA PRESSIONE IDROSTATICAAbbiamo già definito la pressione come il rapporto tra una forza ( N ) e la
superficie ( m2 ) dove la forza stessa agisce : p = F / S [N/ m2] ; ma la forza in
questione potrebbe essere anche il peso di una colonna di fluido, ad esempio
l’aria che ci circonda e che si trova sopra di noi fino ai limiti dell’atmosfera
terrestre, e la superficie S potrebbe essere un piano orizzontale di 1 m2 posto
al livello del mare
8
atmosfera
1m
1m
Il peso di questa colonna di aria alta molti Km e circa 100000 N , perciò la
pressione dovuta all’aria, sul livello del mare è :
p atm = 100000 / 1 = 100000 [N/ m2] cioè 100000 Pa
Fuori dalla atmosfera terrestre non c’è più aria ( il vuoto ) e quindi lì la
pressione è zero.
Consideriamo adesso un bacino di acqua dolce situato al livello del mare :
atmosfera
livello mare
h
S
una superficie orizzontale S comunque grande immersa in acqua ad una
profondità dal pelo libero di h metri.
Sulla superficie S grava oltre alla pressione atmosferica di 100000 Pa anche
la pressione dovuta al peso della colonna d’acqua che c’è sopra e che possiamo
calcolare così :
S • h • Ps
pi = --------------------dove S • h = volume colonna
S
Ps = peso specifico acqua
e semplificando
pi = Ps • h
pi = pressione idrostatica (dovuta al liquido fermo)
9
p tot = p atm + pi
La p tot (pressione totale) è la pressione rispetto al vuoto e viene definita
“pressione assoluta”.
La pì (pressione idrostatica) è la pressione relativa all’atmosfera e si definisce
appunto “pressione relativa” .
In conclusione se ho la pressione relativa in un punto e voglio trovare il
valore della pressione assoluta devo sommare la pressione atmosferica in
quel punto (generalmente possiamo assumere quella al livello del mare,
cioè circa 100000 Pa).
MISURE DI PRESSIONE
Gli strumenti che misurano la pressione, sono dotati di un sensore che sente il
valore della pressione nel punto dove lo inseriamo e di un quadrante dove noi
possiamo leggere il valore misurato. Dobbiamo sempre tenere presente che
questo valore sarà la pressione del punto dove è inserito il sensore rispetto a
dove si trova il quadrante: in genere il sensore è in acqua ed il quadrante è in
atmosfera, perciò quel valore che leggiamo è la pressione relativa; solo se
intorno al quadrante potessimo togliere tutta l’aria (cioè fare il vuoto)
leggeremmo la pressione assoluta.
Per meglio capire: se gettiamo lo strumento, che segna zero, dentro il bacino
d’acqua, a qualunque profondità esso segnerà sempre zero perché sia il sensore
che il quadrante si trovano sempre alla stessa pressione.
Da quanto sopra detto la pressione idrostatica pi = Ps • h aumenta in modo
direttamente proporzionale all’altezza di affondamento h (supponendo
costante in tutta la massa d’acqua il suo peso specifico), essa sarà quindi zero
al pelo libero e massima in corrispondenza del fondo, è questo il motivo per
cui una diga, ad esempio, deve reggere una spinta piccola vicino alla superficie
del lago e una grossa spinta in prossimità del fondo
0
Pi
Ps•h
10
U.D. 5 - IL PRINCIPIO DI PASCAL –
Principio di Pascal: nei fluidi, la pressione esercitata su una porzione qualsiasi
della loro superficie si trasmette in tutte le direzioni con pari intensità e sempre
perpendicolarmente alla superficie premuta.
Su questo principio sono basate le trasmissioni idrauliche che consentono, attraverso
un liquido in pressione, la trasmissione e l’eventuale moltiplicazione delle forze.
F1
F2 > di F1
S1
S2 > di S1
La moltiplicazione delle forze è realizzata facendo agire la pressione esercitata sul
liquido dalla forza minore agente sulla superficie minore, sulla superficie maggiore,
ottenendo con ciò una moltiplicazione della forza applicata pari al rapporto tra le
superfici:
p1 = F1 / S 1
p2 = F2 / S 2
p 1 = p2 = F1 / S 1 = F2 / S 2
F2 = F1 S2 / S1
11
Tipiche applicazioni di tale principio sono i sistemi di frenatura delle autovetture, le
presse idrauliche ed i sollevatori idraulici.
Da notare che il principio è valido per tutti i fluidi, non solo per i liquidi ma anche per
gli aeriformi; ne abbiamo un pratico esempio nei circuiti pneumatici, dove l’aria
messa in pressione da un compressore, attraverso le tubazioni di distribuzione e le
varie valvole di controllo e comando, arriva ad azionare gli attuatori inseriti nel
circuito stesso.
La differenza principale tra circuiti pneumatici e circuiti idraulici sta nel fatto che i
primi usano un fluido comprimibile ed i secondi un fluido praticamente
incomprimibile: i circuiti pneumatici sono quindi adatti a trasmettere pressioni medio
basse, sfruttabili come comando, i circuiti idraulici pressioni alte tipiche delle
trasmissioni di potenza.
Ricordiamo inoltre che la pressione si trasmette “ in tutta la massa fluida, in ogni
direzione e con la stessa intensità” ; anche le tubazioni e tutti i componenti del
circuito sono quindi sottoposti alla stessa pressione, indipendentemente dalla loro
dimensione e collocazione.
Analizzando con più attenzione la relazione che ci consente il calcolo della forza F2
ricavata dalla trasmissione idraulica ed esprimendo le superfici dei pistoni in funzione
dei rispettivi diametri si ottiene:
F2 = F1 S2 / S1 = F1 (πD2/4 : πd2/4) = F1 D2/d2
le forze agenti sul sistema idraulico sono inversamente proporzionali al quadrato dei
diametri dei rispettivi pistoni.
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U.D. 6 -IL PRINCIPIO DEI VASI COMUNICANTI( Applicazione della legge di Stevino )
Un liquido di peso specifico γ1, come anche l’esperienza di tutti i giorni ci dice, si
pone allo stesso livello in vasi comunicanti diversi; ma se abbiamo due liquidi non
miscelabili fra loro e di peso specifico diverso γ1 e γ2 ?
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Per l’equilibrio verticale alla quota “ h “ si può scrivere:
p (lato fluido 1 ) = p (lato fluido 2 )
pa + γ1 h1 = pa + γ2 h2
Se il liquido è lo stesso (γ1 = γ2 ) ed entrambi i serbatoi sono a pressione atmosferica
le colonne dei due liquidi si predisporranno alla stessa altezza (h1 = h2) .
Se i due liquidi sono diversi, l’equilibrio verticale si otterrà con le colonne
predisposte in misura inversamente proporzionale alle rispettive densità.
U.D. 7 – PRINCIPIO DI ARCHIMEDE –
Il principio di Archimede afferma che un corpo immerso in un fluido riceve una
spinta dal basso verso l’alto pari al peso del volume del fluido spostato.
Se il peso del fluido spostato è maggiore del peso del corpo, quest’ultimo galleggia;
se i due pesi si equivalgono il corpo rimane in equilibrio; se il peso del fluido
spostato è minore del peso del corpo questo affonda.
Notiamo che il principio di Archimede vale per qualunque fluido, quindi sia per un
liquido come l’acqua che per un gas come l’aria.
Quando nuotiamo agitiamo braccia e gambe perché così facendo spostiamo un
volume d’acqua maggiore e riceviamo quindi una spinta verso l’alto più elevata che
ci aiuta a galleggiare.
Gli uccelli per volare agitano le ali perché così facendo spostano un volume e quindi
un peso d’aria maggiore che permette loro di galleggiare nell’aria stessa.
E’ molto più difficile galleggiare nell’aria piuttosto che nell’acqua perché l’aria è
molto più leggera e per spostarne uno stesso peso dobbiamo spostarne un volume
molto più grande.
E’ più facile galleggiare nell’acqua di mare piuttosto che in piscina perché l’acqua di
mare ha molti sali disciolti e il suo peso specifico è maggiore rispetto all’acqua dolce,
quindi spostando lo stesso volume d’acqua, in mare, la spinta di Archimede che ci
permette di galleggiare è più elevata.
14
15
MODULO 3
DINAMICA DEI FLUIDI
U.D. 8 - MOTO LAMINARE E MOTO TURBOLENTO –
( Numero di Reynolds )
Analizziamo adesso il moto di un fluido: questo può avvenire in un canale aperto
oppure in un condotto chiuso, delimitato da pareti rigide, in cui il fluido scorre in
pressione; quest’ultimo caso (tubazioni o condotte forzate) è quello che tecnicamente
più ci interessa.
Se continuiamo a vedere lo scorrere del fluido come un insieme di piani (o filetti)
fluidi che viaggiano a velocità diverse l’uno a contatto dell’altro, il diagramma di
distribuzione delle varie velocità può essere il seguente:
moto laminare
S
moto turbolento
S
S
S
Vs media
Vs media
Per effetto dell’attrito, sia esterno (con le pareti del condotto) che interno (tra i vari
filetti fluidi), il liquido in ogni punto della sezione della condotta (area in m2 della
figura geometrica che si ottiene tagliando il condotto con un piano perpendicolare al
suo asse) ha velocità diverse; la velocità massima sarà al centro e la minima
(uguale a 0 ) a contatto con le pareti.
Il modo di scorrere:
• l a m i n a r e è caratteristico di fluidi molto viscosi e basse velocità;
• t u r b o l e n t o caratteristico d fluidi poco viscosi e alte velocità .
Quando parleremo di Velocità nella sezione S e la indicheremo con
intenderemo sempre la Velocità media in quella sezione.
Vs ,
Il verificarsi del moto laminare o del moto turbolento è dovuto ad una serie di fattori
che possono riassumersi nel parametro dimensionale conosciuto col nome di :
ρ • Vs • D
Numero di Raynolds
Re = -------------------μ
dove ρ = massa volumica liquido ;
Vs = velocità media nella sezione
D= diametro interno tubo ;
μ = viscosità dinamica liquido
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In base ad esperienze di laboratorio condotte con liquidi di natura diversa, che
scorrono in tubazioni circolari di diametro interno D diverso, si può sintetizzare i
risultati ottenuti con :
Re = ……2100………4000…5000……….. (valori del n° Reynolds)
moto laminare
zona
transizione
moto turbolento
U.D. 9 - PORTATA VOLUMICA E PORTATA MASSICA –
(Equazione di continuità)
Definiamo portata (indicata con “ Q “) la quantità di fluido che attraversa una
sezione S di una vena fluida nell’unità di tempo ( 1 secondo) :
S
tubazione
fluido
in pressione
VV
S
Δx
se la quantità di fluido è misurata in m3 avremo la portata volumica Qv in [m3/s]
se la quantità di fluido è misurata in Kg avremo la portata massica Qm in [Kg/s]
Se indichiamo con Δx lo spazio percorso dal fluido, che attraversa la sezione di area
A , nel tempo t e con V la velocità media del fluido si ha :
A • Δx
Qv = ---------------t
con A • Δx = volume di fluido (superficie di base A per altezza Δx)
ma Δx / t = V (spazio / tempo = velocità media del fluido) , otteniamo :
[m3/s]
Qv = A • V
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La portata volumica è data dal prodotto dell’area della sezione per la velocità
media del fluido nella sezione stessa.
Notiamo inoltre che se moltiplichiamo il volume di fluido (A • Δx) per la massa
volumica (densità ρ) del fluido otteniamo la massa M in Kg del fluido stesso, e
perciò:
A • Δx
M
---------------- • ρ = Qv • ρ = ----------- = Qm
s
s
quindi
Qm = Qv • ρ
[ Kg / s ]
La portata massica si può trovare moltiplicando la portata volumica per la
densità del fluido.
Se consideriamo due sezioni diverse della stessa vena fluida, S1 ed S2
S2
S1
V1
V2
S1
S2
e con V1 e V2 indichiamo le rispettive velocità medie del fluido, se :
1. – nel tratto di condotta compreso tra le due sezioni non ci sono né ingressi né
uscite di fluido, cioè il fluido che entra è uguale a quello che esce:
portata costante ;
2. – col trascorrere del tempo la portata di fluido rimane sempre uguale:
regime permanente ; (questo non avviene per esempio durante le manovre
di apertura e chiusura delle valvole di flusso)
possiamo scrivere :
Qv1 = Qv2
e sostituendo
A1 • V1 = A2 • V2
che è conosciuta come equazione di continuità .
Se conosciamo tre dei quattro termini dell’equazione possiamo ricavare il quarto, ma
ricordiamo che essa è applicabile solo se sono verificate le condizioni 1. e 2. .
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U.D. 10 - EQUAZIONE DI BERNOULLI –
Parliamo adesso dell’energia che possiede una massa di fluido che si muove
all’interno di una condotta in pressione.
Essa può avere tre tipi di energia :
• energia di posizione (geodetica) dovuta alla sua altezza rispetto ad un piano di
riferimento;
• energia di velocità (cinetica) dovuta appunto alla velocità con cui si muove
(assumeremo sempre la velocità media);
• energia di pressione (piezometrica) dovuta all’azione che le altre masse
fluide circostanti esercitano su di essa (siamo all’interno di una condotta in
pressione).
Ricordiamo dalla fisica che l’energia di posizione, detta anche energia potenziale, di
una massa M posta ad altezza H rispetto ad un piano di riferimento, può essere
espressa come:
E pot. = M • g • H [ joule ] con g = accelerazione di gravità
l’energia cinetica posseduta da una massa M che si muove di velocità V, come:
E cin. = ½ M • V2 [ joule]
l’energia di pressione, ricordando che la pressione idrostatica è pi = ρ • g • h e
quindi h = pi / ρ • g , come :
E press. = M • g • h = M • pi / ρ
[joule]
con ρ = densità del fluido
Se sommiamo le tre forme di energia otteniamo l’energia totale E tot. della massa
fluida M in movimento :
E tot. = E pot. + E cin. + E press. = M • g • H + ½ M • V2 + M • pi / ρ
e dividendo tutti i termini dell’equazione per “M • g“ (peso della massa fluida),
otteniamo l’energia totale dell’unità di peso di fluido in movimento:
E = H + V2/ 2 g + pi / ρ•g
che possiamo, in modo più generale, e sostituendo ρ•g = γ (peso specifico fluido),
scrivere:
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E = H + V2/ 2 g + p / γ
dove
E = energia totale per unità di peso [ joule/ N = N • m / N = m ]
H = energia di posizione per unità di peso (altezza geodetica) [m]
V2/ 2 g = energia cinetica per unità di peso (altezza cinetica) [m]
p / γ = energia di pressione per unità di peso (altezza piezometrica) [m]
Applichiamo adesso il nostro studio energetico all’unità di peso di un fluido che
scorre in una condotta in pressione, passando da una sezione 1 ad una sezione 2, di
diametro diverso, e supponendo che nel tratto di condotta compreso tra le due sezioni
valgano le stesse condizioni poste per l’applicabilità dell’equazione di continuità, e
cioè: portata costante e regime permanente :
1
condotta in pressione
1
V1
2
H1
V2
2
H2
piano di riferimento
E1 = E2
principio di conservazione dell’energia se il fluido è ideale, cioè
privo di viscosità, e quindi passando dalla sezione 1 alla 2 non si dissipa energia
perché non c’è attrito:
H1 + V12/ 2 g + p1 / γ = H2 + V22/ 2 g + p2 / γ
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Questo vale per qualunque altra sezione della vena fluida, purché siano sempre valide
le due condizioni di applicabilità: portata costante e regime permanente; più in
generale possiamo quindi scrivere:
H + V2/ 2 g + p / γ = Cost.
e possiamo enunciare così l’equazione di Bernoulli :
in una vena fluida in pressione, se il fluido può ritenersi privo di viscosità
(ideale), con portata costante e regime permanente, la somma delle tre altezze,
geodetica, cinetica e piezometrica è costante in qualunque sezione.
U.D. 11 – PERDITE DI CARICO DI UNA CORRENTE FLUIDA –
Per perdite di carico si intende perdite di energia, sotto forma di calore, dovute
agli attriti, di un fluido che scorre in una condotta: attrito dei filetti fluidi che
scorrono a contatto l’uno con l’altro a velocità diverse e attrito con la superficie
interna della condotta stessa.
Questa perdita di energia è zero per un fluido ideale (privo di viscosità) ed assume
invece valori sempre più alti, quindi significativi dal punto di vista del bilancio
energetico, man mano che aumenta la viscosità del fluido.
Anche questa perdita di energia può essere calcolata per unità di peso del fluido e
quindi la sua unità di misura è il m (metro); in accordo a quanto detto nella U.D. 10
a proposito delle forme di energia di un fluido in movimento.
Le perdite di carico possiamo suddividerle in distribuite (o continue o lineari) e
localizzate (o concentrate o accidentali); quelle distribuite sono dovute agli attriti
incontrati nello scorrere del fluido all’interno della condotta dritta e a diametro
costante, quelle concentrate sono invece dovute agli ulteriori attriti che si creano
quando il fluido incontra ostacoli al suo scorrimento quali: curve, variazioni di
sezione della condotta, valvole, filtri o quant’altro.
La perdita di carico localizzata Δh , dovuta ad un ostacolo nello scorrere della vena
fluida è, così come la perdita di carico distribuita, direttamente proporzionale al
quadrato della velocità di scorrimento del fluido :
Δh = k • V2
per il calcolo delle perdite di carico localizzate poniamo K = ξ / 2g
con ξ ( psi ) coefficiente tabellato in funzione del tipo di discontinuità e
g = accelerazione di gravità al livello del mare = 9,81 m/s2.
21
Se, a parità di ogni altro elemento, raddoppiamo la velocità del fluido, le perdite di
carico diventano quattro volte più grandi, se triplichiamo la velocità le perdite
saranno nove volte maggiori, e così via…….
Ci sono diversi modi di calcolare queste perdite di carico: Darcy ; Colebroock; ecc.
ecc. , ma il metodo più usato nella pratica impiantistica è quello di usare abachi che
danno, in funzione del tipo di tubo, della portata d’acqua e della velocità, la perdita
distribuita per metro di tubazione e tabelle che indicano i coefficienti per il calcolo di
ogni singola perdita localizzata. Questo metodo è semplice ed immediato e con
l’ausilio di un buon manuale può dare risultati soddisfacenti sia in tempo di calcolo
che in precisione.
Con un esempio tutto ci apparirà più semplice:
una condotta porta acqua dolce con una portata volumica di 1m3/h (1 metro cubo
ogni ora)
condotta in rame con
acqua alla temperatura di 10°C
50m tubo φ 22 mm
+ 150m tubo φ 12 mm
in questa condotta, realizzata in tubo di rame, della lunghezza complessiva L =200 m
di cui 50 m del diametro grande in cui l’acqua scorre con velocità 1,2 m/s e 150 m
del diametro piccolo con velocità dell’acqua di 2,5 m/s ; ci sono:
- 5 curve a 45°
- 3 curve a 90°
- 1 restringimento graduale di sezione
Come possiamo calcolare la perdita di energia per attrito in questo tratto di 200 m ?
Nei manuali tecnici possiamo trovare un diagramma per la determinazione delle
perdite di carico distribuite di tubi in rame ed in funzione della portata di 1m3/h =
1000 litri/h e delle due velocità 1,2 m/s e 2,5 m/s leggiamo rispettivamente una
perdita di carico distribuita di:
- 1200 Pa / m ( 1200 pascal per ogni metro ) nel tubo grande lungo 50m;
- 6500 Pa / m (6500 pascal per ogni metro ) nel tubo più piccolo lungo 150m;
22
moltiplicando per le rispettive lunghezze dei due tratti di tubo e sommando si ha:
Δh = 1200 • 50 + 6500 • 150 = 60000 + 975000 = 1035000 Pa = 107 mc.a.
(distrib.)
queste sono le perdite distribuite in tutta la condotta .
Dallo stesso manuale, leggiamo i coefficienti ξ ( psi ) per il calcolo di ogni perdita
localizzata presente nella nostra tubazione:
ξ curve 45° = 0,4 ;
ξ curve 90° = 1,3 ;
ξ restringimento graduale = 0,08
(nel nostro caso A2/A1 = V1/V2 = 1,2 / 2,5 = 0,48)
-equazione di continuità-
La relazione per il calcolo delle perdite localizzate, con l’introduzione del
coefficiente ξ diviene :
ξ • V2
Δh = --------2g
moltiplicando per il rispettivo numero di discontinuità e sommando si ottiene:
0,4 • 1,22 • 2(curve)+1,3 • 1,22 • 1(curva)+0,08 • 1,22 • 1(restring.)
Δh = ---------------------------------------------------------------------------------= 1,33 mc.a.
(50m)
2g
0,4 • 2,52 • 3(curve)+1,3 • 2,52 • 2(curva)
Δh = ---------------------------------------------------- = 1,21 mc.a.
(150m)
2g
ed infine sommando tutte le perdite
Δh (distrib.) + Δh (50m) + Δh (150m) = 107+1,33+1,21= 109,5 mc.a.
Il totale delle perdite di carico nella condotta in esame risulta pari a 109,5 mc.a.
L’energia persa dall’unità di peso di acqua che attraversa la condotta si
trasformerà in calore a scapito della pressione.
23
Dal precedente esempio di calcolo possiamo anche trarre alcune indicazioni:
• per tubazioni lunghe le perdite di carico concentrate incidono poco sul totale,
questo non avviene invece per tratti relativamente più brevi;
• la portata e di conseguenza la velocità che assume l’acqua nella tubazione
incide molto sulle perdite di carico, già dimezzando la portata e di conseguenza
anche la velocità si avrebbero perdite di carico 4 volte minori, a tutto vantaggio
del mantenimento della pressione a valle della condotta;
• nel caso in esame, visto il valore di portata e la lunghezza della tubazione,
sarebbe stato opportuno prevedere diametri diversi e forse anche materiali
diversi: facciamolo come esercizio didattico e confrontiamo poi i diversi
risultati, ne trarremo utile esperienza.
U.D. 12
- EQUAZIONE DI BERNOULLI APPLICATA A LIQUIDI REALI
Come abbiamo visto nell’U.D.10, l’equazione di Bernoulli non è altro che il più
generale “principio di conservazione dell’energia” applicato all’unità di peso di un
fluido che scorre in una condotta; se il fluido è privo di viscosità (ideale) e se la
portata è costante e non varia nel tempo (regime permanente), allora: la somma delle
tre energie di cui è dotato, altezza geodetica, altezza cinetica e altezza piezometrica, è
costante in qualunque sezione della condotta (si usa chiamarle altezze anche perché si
misurano in metri).
Ma se il liquido è viscoso, come è per qualunque liquido reale?
Tutto quello che abbiamo finora detto resta valido, basta soltanto mettere nel conto, e
quindi inserire nella equazione, il termine che rappresenta le perdite di carico totali
nel tratto di condotta compreso tra le due sezioni scelte per applicare l’equazione di
Bernoulli; otterremo quindi:
H1 + V12/ 2 g + p1 / γ - ΣP(d+c) = H2 + V22/ 2 g + p2 / γ
dove ΣP(d+c) (sommatoria delle perdite di carico distribuite e concentrate)
- nel tratto di condotta compreso tra la sezione 1 e la sezione 2 –
24
ESEMPI DI APPLICAZIONE DELL’EQUAZIONE DI BERNOULLI
pressione atmosferica
A
A
D
h
B
v
atmosfera
B
Un serbatoio di capacità molto grande è pieno di acqua dolce fino al livello A-A, il
serbatoio è aperto; in D è installata una tubazione avente diametro interno
Di = 12 mm la quale è intercettata da una valvola “v” che regola la portata d’acqua
alla bocca di efflusso B-B, posta ad una altezza h = 20 m più in basso del pelo libero
del serbatoio, al valore di 0,3 litri /s .
1) Vogliamo calcolarci a quanto ammontano le perdite totali di carico in tutta la
condotta (perdite idrauliche distribuite e concentrate) ΣP(d+c) .
Qv = SB • VB la portata volumica = area sezione tubo in B x velocita acqua VB
Qv = 0,3 litri /s = 0,3 • 10 - 3 m3/s
SB = π • Di2 / 4 = 3,14 • 0,0122 / 4 = 1,1304 • 10—4 m2 (area sezione B)
e sostituendo
VB = Qv / SB = 0,3 • 10—3 / 1,1304 • 10—4 = 2,65 m /s
applichiamo l’equazione di Bernoulli tra le due sezioni A-A e B-B :
(la portata è costante, il regime permanente e le due sezioni fanno parte della stessa
vena fluida);
HA + VA2/ 2 g + pA / γ - ΣP(d+c) = HB + VB2/ 2 g + pB / γ
come piano di riferimento assumiamo il piano orizzontale passante per la
sezione B-B : HB = 0 e HA = h = 20m
le sezioni A-A e B-B sono ambedue a contatto con l’atmosfera e quindi:
pA = p B
25
il serbatoio è di grande capacità e quindi l’acqua che esce non fa abbassare in maniera
sensibile il suo livello:
VA = 0
l’equazione si riduce perciò a:
20 - ΣP(d+c) = VB2/ 2 g
sostituendo i valori di VB e di g e ricavando ΣP(d+c) si ottiene :
ΣP(d+c) = 19,64 mc.a.
le perdite di carico totali nell’intera condotta ammontano a 19,64 mc.a. (metri di
colonna d’acqua.
2) Se l’acqua che riempie il serbatoio fosse completamente priva di viscosità (fosse
cioè un liquido ideale) con quale velocità V essa uscirebbe dalla bocca di efflusso
B-B ?
Applichiamo nuovamente l’equazione di Bernoulli tra le due sezioni A e B ; le
condizioni espresse al punto (1) restano tutte valide, ma essendo adesso il liquido
ritenuto ideale non ci sono perdite di carico nella condotta ed allora:
HA + VA2/ 2 g + pA / γ - ΣP(d+c) = HB + VB2/ 2 g + pB / γ
20
si ottiene quindi
0
0
VB2/ 2 g = HA
VB =
e ricavando VB
2 g • HA = 19,81 m /s
la velocità di efflusso sarebbe di 19,81 m /s .
Generalizzando il risultato ottenuto possiamo affermare che:
in assenza di attriti (liquidi ideali), la velocità di efflusso V di un liquido è
uguale a quella che avrebbe un corpo che cade da una altezza uguale al dislivello
esistente tra il pelo libero del liquido e la luce di efflusso (tale altezza è detta
battente idraulico H ) :
V = 2g•H
questo è il Principio di Torricelli e V è anche detta velocità di Torricelli.
26
ALCUNE CONSIDERAZIONI GENERALI SULLA APPLICAZIONE DELLA
EQUAZIONE DI BERNOULLI :
• dobbiamo scegliere le due sezioni della vena fluida in modo opportuno, cioè
sceglieremo quelle sezioni in cui conosciamo il maggior numero di grandezze
idrauliche ( posizione, pressione, velocità);
• sceglieremo il piano di riferimento nella posizione a noi più vantaggiosa dal
punto di vista del calcolo;
• assumeremo per i nostri calcoli, a meno di avere espliciti dati diversi, acqua
dolce che scorre in condotte al livello del mare e quindi avremo sempre
γ = 9810 [N / m3] e g = 9,81 [m /s2] .
• quando le due sezioni sono relativamente vicine (tratto tubo breve) potremo
approssimare il calcolo trascurando le perdite di carico (cioè considerando
l’acqua un fluido ideale) senza commettere un errore significativo.
• infine, ma non ultimo per importanza, verificheremo sempre che tra le due
sezioni scelte la portata sia costante ( Q1 = Q2 ) e non cambi nel tempo
(regime permanente).
Se impareremo ad applicare l’equazione di Bernoulli in modo corretto e sicuro,
avremo un valido strumento che, assieme alla equazione di continuità, ci permetterà
di risolvere innumerevoli casi che incontreremo nel dimensionamento e calcolo degli
impianti e delle macchine idrauliche.
MODULO 4
MACCHINE IDRAULICHE
U.D. 13 - MACCHINE IDRAULICHE OPERATRICI –
CARATTERISTICHE GENERALI
Trasformano l’energia meccanica fornita loro da un motore in energia idraulica del
liquido che le attraversa: sono le pompe.
Classifichiamo le pompe in funzione del modo di operare:
POMPE
VOLUMETRICHE
Masse di liquido in volumi definiti
trasportate da un ambiente a basso
livello energetico ad uno a più alto livello
- Alternative
- A Ingranaggi
- A Viti
- A Capsulismi
FLUIDODINAMICHE
Cessione di energia per effetto della
interazione dinamica fra giranti e
liquido pompato
- Centrifughe
- Semiassiali
- Assiali
27
Le grandezze che caratterizzano una pompa sono essenzialmente due:
PORTATA
quantità di liquido lavorato dalla pompa nell’unità di tempo
PREVALENZA
energia data all’unità di peso di liquido che la attraversa
pm
serbatoio mandata
Hg
P
Ha
pa
serbatoio aspirazione
indicato con
P
la generica pompa;
la tubazione di aspirazione;
la tubazione di mandata
il liquido verrà aspirato, dal serbatoio di aspirazione alla pressione pa, che se il
serbatoio è aperto al livello del mare sarà la pressione atmosferica normale, se il
serbatoio è chiuso potrà essere una qualunque altra pressione, ed inviato al serbatoio
di mandata dove dovrà sgorgare con una certa velocità V e per entrare vincere la
pressione che qui regna pm .
Quanta energia la pompa dovrà fornire al liquido per fare tutto questo?
Forti di quello che abbiamo imparato trattando l’equazione di Bernoulli e
continuando a ragionare, per semplicità sull’unità di peso di liquido, diciamo che:
- la pompa deve fornire l’energia necessaria a vincere il dislivello Hg tra i
due serbatoi, chiamata altezza geodetica;
- deve dare l’energia necessaria a vincere la differenza di pressione tra i
due serbatoi (pm – pa) / γ , detta altezza piezometrica;
- deve fornire al liquido la necessaria velocità V per sgorgare con un
sufficiente getto V2 / 2g , chiamata altezza cinetica;
28
- deve infine vincere gli attriti che ostacolano lo scorrimento del liquido in
tutto il suo percorso ΣP(d+c) , perdite di carico distribuite e concentrate
nell’impianto (ad esclusione di quelle all’interno della pompa stessa) .
Quindi indicando con Hm l’energia totale, per unità di peso di fluido pompato, che
la pompa dovrà fornire al liquido, si ottiene:
Hm = Hg + (pm – pa) / γ + V2 / 2g
Hm viene definita prevalenza monometrica della pompa, monometrica perché se
installiamo due manometri, uno all’ingresso ed uno all’uscita della pompa, la
differenza di pressione tra le due letture, in m c.a. , ci darà proprio il valore di Hm
calcolato.
POTENZA UTILE E POTENZA ASSORBITA DA UNA POMPA
Viene detta POTENZA UTILE della pompa l’energia per unità di tempo che la
pompa fornisce al liquido, essa è data da:
Pu = γ • Qv • Hm
Con
[J / s = watt]
γ (peso specifico liquido) ......per l’acqua dolce 9810 N / m3
Qv portata volumica del liquido lavorato ……m3 / s
Hm prevalenza monometrica fornita dalla pompa …… m c.a.
La pompa, come qualunque altra macchina, non è “perfetta” e perde quindi una parte
di energia che il motore ad essa accoppiato le fornisce:
- perde energia per gli attriti delle parti meccaniche in movimento
ηm rendimento meccanico
- perde energia per gli attriti del liquido con la pompa stessa e per i cambi
di direzione a cui il liquido è costretto al suo interno (perdite di carico)
ηH rendimento idraulico
- una parte di liquido sfugge e ritorna in aspirazione invece di uscire tutto
dalla mandata della pompa (viene lavorato due volte)
ηQ rendimento volumetrico
il rendimento totale della pompa è perciò il prodotto dei tre rendimenti parziali:
ηT = ηm • ηH • ηQ
29
il rendimento ha sempre valori minori di uno…….0,75 – 0,8 – 0,84 – 0,86 -…ecc. ed
i costruttori di pompe ci forniscono, assieme agli altri dati tecnici, anche il valore del
rendimento ηT dei loro prodotti; conoscendo quindi ηT possiamo calcolare la
potenza assorbita dal motore:
PASS. = Pu / ηT
U.D. 14 - ALTEZZA MASSIMA DI ASPIRAZIONE Definiamo altezza di aspirazione il dislivello tra l’ingresso della pompa ed il pelo
libero del serbatoio di aspirazione.
Non possiamo installare una pompa all’altezza di aspirazione che vogliamo perché
c’è il rischio che essa non riesca a pompare il liquido o che lo faccia in condizioni di
lavoro tali da essere seriamente danneggiata.
Per capire il motivo di questa affermazione, dobbiamo tenere presente che non è la
pompa a sollevare l’acqua dal serbatoio di aspirazione fino al suo ingresso, essa non
può fare altro che aspirare via l’aria che si trova nel tubo di aspirazione creando
all’interno del tubo stesso una depressione (pressione minore di quella atmosferica) e
di conseguenza l’acqua salirà nel tubo spinta dalla pressione maggiore che c’è sul
pelo libero del serbatoio:
se il serbatoio è aperto al livello del mare questa pressione è di
1 bar = circa 100000 Pa = 10,33 m c.a.
nel migliore dei casi, la pompa toglierà tutta l’aria all’interno del tubo di aspirazione,
creandovi il vuoto (pressione = 0) e l’acqua potrà quindi salire nel tubo fino ad un
massimo appunto di 10,33 m (se il liquido è acqua dolce).
Se installassimo la pompa ad una altezza maggiore, in queste condizioni operative,
essa non potrà lavorare perché l’acqua non vi arriverà mai (girerà a vuoto).
La massima altezza teorica di aspirazione calcolabile dividendo la pressione in
pascal che c’è sul pelo libero serbatoio per il peso specifico γ in N / m3 del liquido
pompato:
HT = p s.a / γ
nel caso di acqua dolce e serbatoio aperto a livello mare è HT = 10,33 m .
30
Ammesso che la pompa possa aspirare tutta quanta l’aria dal tubo, la pressione a cui
si troverebbe l’acqua man mano che sale, spinta dalla pressione atmosferica, sarebbe
sempre più bassa fino a raggiungere all’ingresso della pompa stessa il valore zero:
pompa P
p = 0 (vuoto)
10,33 m
1 bar
1 bar
p=1 bar = 10,33 m c.a.
acqua dolce
La temperatura di ebollizione dell’acqua è di 100 °C quando si trova alla pressione
di 1 bar , ma scende …. 100 …
…….90…. ….70…. ……20…. …10….
man mano che cala la pressione a cui si trova l’acqua, quindi installando la pompa a
10,33 m di altezza rispetto al pelo libero, se anche l’acqua la raggiunge la bassissima
pressione che trova nell’ultima parte di tubo fa si che inizi a bollire creando piccole
bolle di vapore anche se la sua temperatura è relativamente bassa, ad esempio di 20 –
25 °C .
Le bollicine di vapore che si sono create entrano nella pompa trascinate dal resto
dell’acqua che non ha fatto in tempo a vaporizzare; la pompa innalza la pressione
dell’acqua a valori molto più alti e le bolle di vapore sono costrette a ricondensare
tornando liquido, la condensazione è molto veloce, le bolle implodono e le particelle
liquide vicine vanno ad occupare il vuoto lasciato con altissime accelerazioni.
Questo fenomeno viene chiamato cavitazione .
Le accelerazioni impresse alle particelle liquide durante la cavitazione producono
altissime temperature e sovrappressioni localizzate in spazi piccolissimi che (come
tante punte di spillo roventi) colpiscono la tubazione e i vari componenti della pompa
stessa con effetti rumorosi (si sente come se la pompa pompasse acqua mista a
ghiaia) e dannosi per l’alta usura che comporta, in breve tempo, la rottura .
Per quanto adesso descritto, affinché l’acqua possa giungere alla pompa senza che si
verifichi cavitazione, dobbiamo calcolare la massima altezza di aspirazione
possibile Hmax.asp. e installare la pompa ad una altezza dal pelo libero del
serbatoio di aspirazione minore o uguale alla Hmax.asp.
31
Hmax.asp. = HT - pv / γ - ΣP(d+c) ASP. - N.P.S.H.
dove :
HT = p s.a. / γ ( pressione in pascal nel serbatoio aspirazione / peso specifico liquido)
pv = tensione di vapore del liquido alla temperatura a cui si trova
(è la pressione in pascal che fa bollire il liquido alla temperatura che ha)
ΣP(d+c) ASP = perdite di carico distribuite e concentrate nel tubo di aspirazione
N.P.S.H. (Net Positive Suction Head) = altezza netta positiva di aspirazione
(dato fornito dal costruttore della pompa: è la pressione residua, in m c.a.
che deve ancora avere il liquido all’ingresso della pompa per garantire che la
cavitazione non inizi nemmeno quando all’ingresso della girante si ha un repentino
aumento di velocità, prima che questa venga trasformata in pressione).
Possiamo adesso provare a calcolare Hmax.asp. (l’altezza massima di aspirazione)
per liquidi diversi a diversa temperatura e pressione nel serbatoio di aspirazione; per
l’acqua dolce a temperatura ambiente e con serbatoio di aspirazione aperto troveremo
valori non superiori ai 7 ….8 m e non più i 10,33 m teorici.
Se la temperatura dell’acqua da pompare è più elevata, 65 …70 °C , il calcolo ci darà
un valore della Hmax.asp. negativo: questo significa che la pompa dovrà essere
installata più in basso del pelo libero del serbatoio di aspirazione; questo tipo di
installazione si dice sottobattente o a pompa immersa.
ACCORGIMENTI PER EVITARE LA CAVITAZIONE
•
•
•
•
•
•
•
•
avvicinare la pompa al serbatoio di aspirazione
mettere la pompa abbastanza sottobattente
se possibile raffreddare il liquido
ridurre le perdite di carico nel tubo di aspirazione (tubo grosso, liscio
internamente, senza curve)
utilizzare pompe con basso NPSH (valori bassi indicano accuratezza di
progettazione e di lavorazione)
utilizzare pompe a basso regime di rotazione, con grandi diametri (più costose)
utilizzare giranti a doppia aspirazione, riducendo così la velocità del fluido
all’ingresso della girante
utilizzare l’ inducer , cioè una girante assiale a monte della girante centrifuga
che aumenta la pressione del fluido prima dell’ingresso in quest’ultima.
32
U.D. 15 - POMPE ALTERNATIVE Le pompe alternative sono costituite da uno o più cilindri dove scorre un pistone
mosso, nel suo moto “alternativo”, tramite un sistema biella – manovella, da un
motore:
mandata
POMPA A SEMPLICE EFFETTO
valvola
mandata
Pm.s
pistone
Pm.i.
manovella
pist
biella
albero
motore
cilindro
valvola
aspirazione
anello
tenuta
aspirazione
- durante la fase di aspirazione (pistone che va dal Pm.s. al Pm.i.) la valvola di
aspirazione si apre e quella di mandata si chiude (effetto “risucchio”), la depressione
creata dal movimento del pistone fa si che l’acqua, spinta dalla maggiore pressione
che c’è sul serbatoio di aspirazione, riempie il cilindro;
- nella successiva fase di compressione (pistone dal Pm.i. al Pm.s.) la valvola di
aspirazione tende a chiudersi e quella di mandata ad aprirsi, spinte dalla pressione
dell’acqua che aumenta sempre più e viene quindi spinta verso la mandata;
- ogni giro di manovella e quindi ogni giro dell’albero motore sulla quale è calettata,
il pistone esegue una corsa di aspirazione ed una di mandata (semplice effetto).
Calcoliamo la portata volumica Qv s.e. di acqua data dalla pompa alternativa a
semplice effetto:
indichiamo con
- D il diametro interno del cilindro ( alesaggio ) [in m]
- c la distanza tra Pm.i. e Pm.s. [in m]
- n il numero di giri al minuto fatti dall’albero motore [giri / min.]
- N il numero di cilindri di cui la pompa è dotata
- ηV il rendimento volumetrico della pompa (dovuto al fatto che le
valvole hanno una certa “inerzia” e ritardano ad aprire e chiudere, quindi
un po’ di acqua invece che andare alla mandata ritorna nella tubazione di
aspirazione e viene lavorata due volte).
Qv s.e. = π D2 / 4 • c • n / 60 • N • ηV
33
[m3 / s]
POMPA A DOPPIO EFFETTO
mandata
valvola
mandata
Pm.s pistone Pm.i.
guarnizioni di tenuta
manovella
pist
biella
albero
motore
cilindro
valvola
aspirazione
anello
tenuta
aspirazione
Nella pompa a “doppio effetto” ogni giro dell’albero motore e quindi ogni corsa
completa del pistone si hanno due aspirazioni e due mandate (il pistone lavora da
ambo i lati) e quindi la quantità d’acqua lavorata dalla pompa,trascurando la
differenza di volume tra le due camere dovuta alla presenza della biella, raddoppia;
perciò la portata della pompa a doppio effetto è :
Qv d.e. = 2 Qv s.e.
- Le pompe alternative vengono usate quando occorre avere alte pressioni con basse
postate d’acqua (ad esempio un uso comune è quello delle idropulitrici) ;
- essendo dotate di moto alternativo non possono essere accoppiate direttamente a
motori elettrici che hanno elevato numero di giri ma occorre interporre un cambio di
velocità;
- necessitano di frequente manutenzione: le tenute, e soprattutto le valvole che si
usurano e non chiudono più bene;
- la portata, in mandata, non è costante e all’utenza l’acqua arriva con un getto non
uniforme:
Qv
pompa a semplice effetto
Qv pompa a doppio effetto
s.e.
d.e.
n
n
34
Per rendere la portata più regolare si usa installare una “ cassa d’aria” sulla
mandata della pompa:
aria in pressione
membrana elastica
uscita pompa
mandata
alla utenza
essa fa da “polmone”, immagazzinando acqua quando la portata che arriva dalla
pompa è superiore a quella richiesta dall’utenza e restituendola quando la pompa non
manda acqua sufficiente:
Qv
s.e.
pompa a semplice effetto
Qv
d.e.
n
pompa a doppio effetto
n
Qu (portata all’utenza)
35
U.D. 16 - POMPE CENTRIFUGHE -
COMPONENTI DI UNA POMPA FLUIDODINAMICA (CENTRIFUGA)
La figura mostra una pompa centrifuga orizzontale a singola girante.
In essa distinguiamo uno statore (o corpo pompa) e un rotore.
Il corpo pompa è la parte fissa che deve:
- convogliare il liquido sulla girante;
- provvedere a raccogliere il liquido che esce dalla girante;
- inviare il fluido all'impianto.
Tali funzioni vengono svolte rispettivamente da:
- tubo di aspirazione;
- diffusore o voluta (o chiocciola);
- tubo di mandata.
Altre parti essenziali sono:
- cuscinetti di sostegno delle parti rotanti;
- tenuta sull’albero per evitare le fughe di liquido;
- tenute fra girante e corpo pompa.
La girante è calettata sull'albero e rappresenta la parte attiva che, ruotando,
conferisce energia al liquido ed è composta essenzialmente da uno o più dischi sui
quali sono ricavati un certo numero di pale che delimitano i canali mobili.
36
Le caratteristiche principali della girante sono :
- diametro dell'"occhio" (d1);
- diametro esterno (d2);
- sezione di passaggio del liquido in ingresso e in uscita (S1 e S2);
- numero di pale.
TIPI DI GIRANTE
37
NUMERO DI GIRI CARATTERISTICO
E SCELTA DELLA GIRANTE
Una pompa cui sia richiesto alta portata e piccola prevalenza avrà una girante di
piccolo diametro con ampi spazi tra le pale, mentre se deve fornire portata modesta
con alta prevalenza avrà una girante di grande diametro, con molte pale e passaggi
stretti tra le stesse.
Queste considerazioni possono essere riassunte nella espressione di una grandezza
“fittizia” (non concreta) definita numero di giri caratteristico nC :
n • N
nC = --------------H• 4 H
in cui
n numero di giri al minuto compiuti dalla pompa
N potenza utile della pompa espressa in Cv ( 1 Cv = 735 w)
H prevalenza totale fornita dalla pompa espressa in m c.a.
La forma della girante della pompa può quindi essere messo in relazione al
valore assunto dal nC
38
VISTA DI UNA GIRANTE
DIFFUSORE
Il diffusore trasforma in pressione parte dell'energia cinetica di cui è dotato il fluido
all'uscita della girante.
Nelle pompe a singola girante tale funzione può essere svolta dalla stessa cassa la
quale ha una forma di chiocciola in cui la sezione di passaggio offerta al liquido è
crescente, da zero a un massimo su un arco di 360°. Se però la sezione aumenta (sulla
circonferenza) con la stessa legge della portata, si avrà:
- velocità media costante;
- pressione costante (pressione scarico della girante);
- trasformazione della velocità in pressione solo nell'ultimo tratto di tubazione che è
divergente.
La sezione può essere circolare, rettangolare, ecc.
Quanto sopra vale per la portata di progetto della pompa.
In altri casi la girante è circondata da un diffusore palettato ad essa concentrico.
Nei canali del diffusore, il fluido viene rallentato e recupera pressione.
Questo secondo sistema, rispetto al primo, ha degli svantaggi:
- maggior complessità costruttiva;
- maggior costo;
- maggior ingombro
ma anche dei vantaggi:
- il fluido viene meglio guidato nella direzione tangenziale e dà minori urti, quindi si
ha miglior rendimento.
39
Viene usato per pompe medio grandi e di elevate prestazioni.
Naturalmente, per le pompe multigiranti, il diffusore palettato ha anche la funzione di
convogliare il fluido sull'aspirazione della girante successiva e quindi diventa
essenziale.
VELOCITA’ DEL FLUIDO ATTRAVERSO LA GIRANTE
( Triangoli delle velocità)
Affinché il rendimento di una macchina idraulica sia elevato, il liquido deve:
1) entrare con il minimo urto possibile;
2) uscire con la minima velocità possibile
(compatibilmente con la portata richiesta);
queste due condizioni generali sono conosciuti come i due “aforismi idraulici”.
Indichiamo con:
- W la velocità relativa del liquido rispetto alla pala;
- U la velocità periferica della pala;
- C la velocità assoluta (rispetto ad un osservatore fisso) dell’acqua;
40
il punto A è il punto di ingresso del liquido nella girante (occhio della pompa) e il
punto B è il punto di uscita dalla girante :
dai triangoli della velocità vediamo che affinché siano soddisfatti i due aforismi
idraulici C1 deve risultare tangente alla pala nel punto di ingresso e C2 deve essere
piccola, quindi W2 deve risultare rivolta all’indietro rispetto al senso di rotazione
della girante: questa è la ragione del profilo che assume la pala.
SE LA PALA AVESSE UN PROFILO RADIALE
41
CON PALA RIVOLTA IN AVANTI (POMPE AD AZIONE)
CON PALA RIVOLTA ALL’INDIETRO (POMPE A REAZIONE)
Le pompe a centrifughe a pale radiali non si usano, quelle ad azione (pale in avanti) si
usano raramente: quando interessa avere grandi portate con piccole prevalenze anche
a scapito del rendimento che sarà basso per le alte perdite di carico.
Le centrifughe a reazione sono le più usate: energia fornita al liquido sotto forma di
pressione, velocità minima del liquido nella macchina con conseguenti basse perdite
di carico e quindi buoni rendimenti.
Da questa analisi, che motiva la classica forma delle pale della girante, si può anche
notare che lo svergolamento delle pale e funzione anche della velocità con cui il
liquido attraversa lo spazio tra una pala e l’altra e di conseguenza della portata
prevista per la pompa: ogni pompa sarà quindi progettata e costruita per un dato
valore di portata, se noi la facciamo lavorare con portate diverse da questa, minori o
maggiori che siano, il rendimento della pompa sicuramente calerà
42
La portata Qv e la prevalenza Hm di una pompa centrifuga variano in funzione del
numero di giri al minuto compiuti dalla pompa ed inoltre le due grandezze sono
strettamente legate l’una all’altra (ricordiamo che Pu = γ Qv Hm ) , quindi variando la
portata, come più comunemente avviene, varia di conseguenza la prevalenza;
teoricamente questa variazione, nel piano cartesiano ( Q , H ) sarebbe una retta
discendente ma le perdite di carico (per attriti interni e per urti e vortici) variano con
legge parabolica (dipendendo dal quadrato della velocità e quindi anche dal quadrato
della portata); per questo motivo la legge di dipendenza tra portata Q e prevalenza H
di una pompa centrifuga si trasforma in una curva prima crescente e poi decrescente :
curva caratteristica reale ( ad un ben determinato numero di giri “ n “ )
I costruttori di pompe usano darci le caratteristiche del loro prodotto riassunte in
grafici simili a quello seguente, dove possiamo valutare oltre che l’andamento della
prevalenza in funzione della portata (curva caratteristica della pompa) anche le
variazioni di rendimento, di potenza e di N.P.S.H. richiesti sempre al variare della
portata.
In effetti poi, i grafici che troveremo sulle schede tecniche dei cataloghi di pompe
centrifughe, saranno un po’ più complessi da valutare perché riporteranno le diverse
curve anche al variare del numero di giri della pompa; ma con un po’ di esercizio
tutto ci parrà chiaro.
43
CURVE CARATTERISTICHE DI UNA POMPA CENTRIFUGA
U.D. 17
- SCELTA DELLA POMPA - PER UN IMPIANTO IDRAULICO ASSEGNATO –
Anche per un impianto idraulico (tubazioni, valvole, curve, riduzioni, ecc.), così
come per la pompa, si può tracciare, sullo stesso piano cartesiano (Q , H ) la curva
caratteristica (detta anche curva resistente); essa sarà la prevalenza richiesta dal
circuito alla pompa, per poter funzionare, al variare della portata.
pm
V
Hg
Pompa
pa
44
Supponiamo di avere l’impianto della figura precedente, di cui conosciamo tutte le
dimensioni e caratteristiche; esso richiederà alla pompa una energia, per unità di peso
di fluido che la attraversa, tale da poter:
- vincere il dislivello tra i due serbatoi Hg e la differenza di pressione tra di essi
(pm – pa) / γ quindi Hs = Hg + (pm – pa) / γ [ m c.a. ]
Hs prende il nome di prevalenza statica (da vincere anche con fluido fermo);
- vincere le perdite di carico, distribuite e concentrate in tutta la condotta:
Hd = K • V2 [ m c.a ] direttamente proporzionali al quadrato della velocità e
quindi anche al quadrato della portata
Hd prende il nome di prevalenza dinamica (richiesta per vincere gli attriti del fluido
in movimento)
Curva Caratteristica Impianto
HT
Hd
(prevalenza totale HT richiesta al variare di Q)
Hs
0
Q
Sovrapponendo le due curve caratteristiche: quella della pompa e quella
dell’impianto, troviamo il punto di intersezione e sugli assi potremo leggere la portata
e la prevalenza che quella pompa ci potrà dare se installata in quell’impianto, il
rendimento della pompa stessa se fatta f8unzionare in quelle condizioni, il numero di
giri che dovrà fare, ecc. ecc..
Se tutte le condizioni sono soddisfacenti abbiamo trovato la pompa giusta, altrimenti
potremo scegliere un’altra pompa oppure possiamo modificare il nostro impianto e di
conseguenza la sua curva caratteristica.
45
DETERMINAZIONE PUNTO DI FUNZIONAMENTO IMPIANTO – POMPA
U.D. 18 - REGOLAZIONE DELLA PORTATA DI UNA POMPAPer variare la portata erogata dalla pompa si possono usare due sistemi:
1) installare una strozzatura regolabile (rubinetto a volantino) sulla tubazione di
mandata;
2) variare il numero di giri del motore accoppiato alla pompa stessa.
Nel primo caso varierà la curva caratteristica dell’impianto, nel secondo la curva
caratteristica della pompa, ma il risultato sarà comunque quello di avere un nuovo
“punto di funzionamento” con valori diversi di prevalenza e di portata.
Il sistema con strozzatura in mandata è molto economico e di facile installazione ma,
aumentando le perdite di carico, fa diminuire il rendimento dell’impianto.
Variare il numero di giri del motore è, dal punto di vista del rendimento, senz’altro
preferibile, ma se il motore è elettrico ed in corrente alternata, come nella
maggioranza dei casi, la sua velocità di rotazione è fissa in quanto dipende dalla
“frequenza” della c.a. (in Italia f = 50 Hz) e dal numero di coppie polari “p“
46
possedute dal rotore e non facilmente variabili a meno di smontare il motore e
sostituirlo:
(n° giri/min. motori elettrici in c.a.)
n = 60 f / p
[giri / min.]
si può però dotare il motore di inverter (sistema elettronico di variazione della
frequenza) ed in questo modo avere la possibilità di far funzionare la pompa a
diverso numero di giri; i motori in c.a. con inverter costano di più ma, specie per
pompe di grande potenza sono preferibili.
Un terzo sistema per variare la portata della pompa è un “ by – pass” :
mandata
valvola regola flusso
by-pass
pompa
aspirazione
non molto usato; porta ad un sensibile abbassamento del rendimento volumetrico ηV .
47
U.D. 19
- MACCHINE IDRAULICHE MOTRICI TURBINE IDRAULICHE ( Cenni )
Mentre le macchine idrauliche operatrici (pompe) trasferiscono al fluido che le
attraversa l’energia meccanica data loro da un motore, le macchine motrici
(turbine) fanno il contrario e cioè, trasformano in energia meccanica disponibile
sul loro asse l’energia data loro dal liquido che le attraversa .
In natura, il liquido di cui disponiamo è l’acqua e l’energia che queste masse di acqua
hanno è energia geodetica (dovuta all’altezza rispetto al punto di installazione della
turbina) o energia cinetica dovuta alla velocità con cui scorrono (acque fluenti dei
fiumi); scopo dei vari tipi di turbine idrauliche è quindi trasformare queste energie
idriche in energia meccanica, la quale verrà poi sfruttata per produrre energia elettrica
per mezzo di alternatori mossi dalle turbine.
Un alternatore è sostanzialmente “ l’inverso” di un motore elettrico in c.a. e la
relazione che lega la sua velocità di rotazione alla frequenza della corrente “ f “ è la
stessa già vista (n = 60 f / p) per cui se l’alternatore deve generare corrente alternata
con frequenza fissa di 50 Hz (valore di distribuzione sulla rete nazionale italiana) il
numero di giri al minuto che la turbina deve far fare all’alternatore deve essere
sempre costante; ma al variare del carico allacciato sulla rete elettrica, l’alternatore
tende ad accelerare aumentando o diminuendo la sua velocità, la turbina che lo aziona
deve quindi a sua volta ridurre o aumentare la coppia motrice sviluppata in modo da
riportare “n” al valore stabilito: questa regolazione, in automatico, comporta un
sistema di variazione continua della portata d’acqua in ingresso alla turbina.
Quando la massa d’acqua in movimento è grande, diminuire la portata e cioè la sua
velocità non è semplice, infatti se questa diminuzione è troppo repentina l’energia
cinetica si trasforma in improvviso aumento di energia di pressione (niente si crea e
niente si distrugge) che potendo raggiungere valori molto elevati porterebbe seri
problemi di tenuta della condotta, questo effetto è chiamato “colpo d’ariete”.
Le turbine sono perciò dotate di particolari sistemi di variazione graduale della
portata d’acqua in ingresso ed inoltre le condotte di alimentazione (condotte forzate)
hanno a monte “pozzi piezometrici” capaci di assorbire, con oscillazioni di livello,
le variazioni di pressione che, anche se attenuate, comunque si manifestano:
48
pozzo piezometrico
bacino
condotta forzata
Hg
centrale idroelettrica
turbina
alternatore
Indicando con Hg il salto geodetico (dislivello tra pelo libero del bacino e pelo
libero del canale di scarico della turbina), è questa l’energia idraulica disponibile che,
tolte le perdite di carico della condotta, ritroveremo all’ingresso della turbina
nell’organo chiamato distributore.
Se la trasformazione da energia potenziale (geodetica) ad energia di velocità
(cinetica) avviene nel distributore la turbina si dice ad azione ( turbina Pelton) ;
se invece questa trasformazione avviene parte nel distributore e parte nella girante
della turbina stessa si ha una turbina a reazione ( Francis e Kaplan ).
Per salti Hg molto alti si utilizzano turbine Pelton, per salti più bassi si passa alle
Francis lente, poi alle Francis medie, poi alle Francis veloci ed infine per salti di 3
– 4 metri ma con grandi portate fluenti si usa le turbine ad elica di cui le Kaplan
sono le più rappresentative ( pale regolabili che permettono di adeguare il profilo
alla portata di lavoro ed ottenere rendimenti migliori). Si, anche per le turbine, come
per tutte le macchine idrauliche, valgono i due “aforismi idraulici” ed i triangoli di
velocità, con tutto quello che ne consegue, li possiamo tracciare e studiare
analogamente a quanto fatto per le pale delle pompe centrifughe ( il diffusore delle
pompe sarà il distributore delle turbine e l’acqua entrerà dalla periferia ed uscirà
dall’occhio della girante) ma tutte le considerazioni fatte restano uguali.
Anche tutto quello che abbiamo visto per le pompe riguardo a : potenza, rendimenti e
numero caratteristico di giri, con le opportune variazioni di significato dei simboli
assunti, rimane valido anche per le turbine; soprattutto le Francis (numero
caratteristico di giri da 80 a 400) possono vedersi come vere e proprie pompe
centrifughe a funzionamento invertito; tanto è vero che in alcune centrali
idroelettriche, come ad esempio quella di Brasimone (sull’appennino tosco –
emiliano) durante il giorno lavorano da turbine producendo energia elettrica (prezzo
più alto dell’energia elettrica) e durante la notte lavorano da pompe consumando
49
energia elettrica (che di notte costa meno) e riportando acqua al bacino superiore in
modo da ripristinare così la riserva idrica necessaria per il giorno successivo.
Ci sarebbero tante e tante cose interessanti da dire sulle “turbine idrauliche”, ma si
ritiene che le finalità di questo corso le rendano un argomento marginale, su cui
quindi non intendiamo dilungarci oltre ma lasciare a Voi la curiosità, e speriamo
anche il desiderio di saperne di più; potrete in questo caso consultare i testi di
Macchine a Fluido che la vasta letteratura tecnica mette a disposizione.
50
MODULO 6
PRINCIPI DI CALORIMETRIA E TERMODINAMICA
U.D. 20 -CALORE E TEMPERATURAIl calore è una forma di energia e come le altre si misura in “juole” ma, rispetto ad
altre, come il lavoro meccanico o l’energia elettrica ad esempio, è considerato meno
pregiato, in quanto volendo trasformare una forma di energia nell’altra:
Fornendo calore ad una massa, se non siamo in presenza di passaggi di stato, si
ottengono due effetti:
- si ha un aumento di temperatura;
- si ha una diminuzione di massa specifica (o densità);
la variazione sia della temperatura che della densità cambiano a seconda della natura
della massa stessa.
Calore specifico : quantità di calore da fornire alla massa di 1 Kg perché la sua
temperatura salga di 1°C .
Per l’acqua il “ Cs “ vale 1 Kcal / Kg • °C = 4186 J/ Kg • °C se misurato
quando la temperatura di 1 kg di acqua distillata passa da 14,5°C a 15,5°C ; per
temperature più alte il calore specifico aumenta in modo lineare e quindi dovremmo
assumere i valori che di volta in volta rileviamo da apposite tabelle di manuali tecnici
ma, per campi di temperatura entro i 100 °C possiamo considerare sempre il
Cs acqua = 4186 J / Kg • °C senza commettere un errore sensibile.
51
Ogni sostanza ha il suo calore specifico (detto anche “capacità termica massica”)
Se continuiamo a fornire calore a quella massa di 1 Kg , la sua temperatura sale
ancora perché aumenta il livello di energia termica contenuto.
Se lo stesso calore lo avessimo fornito a 100 Kg dello stesso materiale, invece che
ad 1 Kg, il livello di energia termica raggiunto, e cioè la temperatura raggiunta,
sarebbe stato molto inferiore.
La temperatura indica perciò il livello di energia termica contenuto da un corpo e non
la quantità. Avere la stessa quantità di calore a livelli termici superiori significa avere
maggiori possibilità di sfruttare proficuamente questa forma di energia, in
conclusione:
La temperatura è un indice del livello di energia termica e quindi della “qualità
del calore” contenuto in un corpo.
Noi siamo abituati a misurare la temperatura in gradi centigradi (scala Celsius), ma
nel S.I. (Sistema di Misura Internazionale) la scala da usare è la Kelvin (°K) ; per
nostra fortuna l’ampiezza del °K è la stessa del °C e quindi una differenza di
temperatura avrà numericamente lo stesso valore:
T1 – T2 = ΔT = x °C = x °K
ma i valori delle singole temperature variano:
T1 = x °C = ( x + 273,16) °K
52
La scala Fharenait (°F) ha invece l’ampiezza di grado maggiore ed occorre quindi
tenerne conto:
53
U.D. 21 -EQUAZIONE FONDAMENTALE DELLA CALORIMETRIA –
Avendo definito il Cs (calore specifico) come la quantità di calore da fornire alla
massa di 1 Kg per ottenere un aumento di temperatura ΔT di 1°C è facile intuire
che se la massa è invece m (Kg) e vogliamo aumentare la temperatura da T1 a T2
il calore Q occorrente sarà dato da:
Q = m • Cs • (T2 - T1)
[joule]
conosciuta come « equazione fondamentale della calorimetria ».
Se dividiamo ambedue i termini della equazione per il tempo [ s ] , diverso da zero,
le regole di matematica ci dicono che l’equazione resta valida:
Q m • Cs • (T2 - T1)
----- = ---------------------s
s
Q / s = energia / tempo = potenza [watt]
m/s = massa / tempo = portata massica [Kg / s ]
e sostituendo:
W = Qm • Cs • (T2 - T1)
[ watt ]
questa
relazione, ricavata direttamente dall’equazione fondamentale della
calorimetria, ci sarà molto utile nei calcoli di impianti termici.
L’equazione fondamentale della calorimetria non è applicabile nel calcolo del calore
fornito (o sottratto) ad una massa durante i passaggi di stato; ricordiamo che nei
passaggi di stato la temperatura resta costante e quindi T2 - T1 = 0.
Questa equazione la possiamo utilizzare quindi solo per il calcolo del calore
sensibile ceduto o sottratto; per il calcolo del calore latente dovremo fare in altro
modo.
54
U.D. 22 - DILATAZIONE TERMICAUno degli effetti fisici della somministrazione di calore ad una massa, solida, liquida
o gassosa, è la diminuzione del valore della sua massa volumica (o densità): questo è
dovuto ad un aumento del volume occupato.
La materia è formata da molecole dei diversi elementi chimici che si agitano sempre
di più man mano che forniamo energia, ad esempio calore; più si agitano, più tendono
ad allontanarsi le une dalle altre vincendo l’attrazione reciproca e più spazio
occupano; così facendo la stessa quantità di materia occupa sempre più spazio, si
dilata:
- per un corpo solido (volume proprio) possiamo misurare questa dilatazione lungo
una sola direzione (dilatazione lineare) o considerare invece l’aumento complessivo
di volume (dilatazione volumica);
- per i liquidi ovviamente consideriamo solo la dilatazione volumica;
- per i gas, che occupano sempre e comunque tutto lo spazio del recipiente che li
contiene, la dilatazione si concretizza in un aumento di pressione che il gas
eserciterà sulle pareti del contenitore.
Facendo riferimento al caso di un corpo solido, definiamo coefficiente di dilatazione
termica lineare Cd.l. il rapporto tra la variazione di lunghezza ΔL subita dopo il
riscaldamento e la lunghezza iniziale Lo (prima del riscaldamento) per la
variazione di temperatura ΔT :
ΔL
Cd.l. = -------------[ mm / m • °C]
Lo • ΔT
per ragioni di praticità, in genere si misura in “mm” la variazione di lunghezza ΔL,
piuttosto piccola rispetto alla lunghezza iniziale Lo che si mette in “m” ;
su alcuni manuali questo coefficiente si può a volte trovare con la stessa u.d.m. sia
per ΔL che per Lo ed allora l’unità di misura di Cd.l. diventa [°C-1] cioè [1/°C].
Analogamente definiremo il coefficiente di dilatazione termica volumica Cd.v.
come:
ΔV
oppure [°C-1]
Cd.v. = -------------[ mm3 / m3 • °C]
Vo • ΔT
Ogni materiale ha un proprio coefficiente di dilatazione termica che all’occorrenza
potremo trovare tabellato sui manuali tecnici.
Per i solidi, generalmente Cd.l. = Cd.v. / 3
55
Le variazioni di lunghezza, di spessore e più in generale di volume, dovute a
variazioni di temperatura, sia delle parti solide che costituiscono un impianto o una
macchina termica che dei fluidi che vi scorrono all’interno, comportano
problematiche che di volta in volta andranno affrontate e risolte con opportuni
accorgimenti tecnici, al fine di permettere un regolare funzionamento del sistema, ed
evitare che queste dilatazioni comportino tensioni nei materiali e sovrappressioni tali
da rendere gli impianti stessi insicuri e a volte anche pericolosi.
Se vogliamo calcolare la variazione di volume, conoscendo il materiale e quindi da
tabella il suo Cd.v. , il volume iniziale Vo e la variazione di temperatura a cui
viene sottoposto ΔT , basta ricavare ΔV dalla precedente relazione:
ΔV = Cd.v. • Vo • ΔT
ΔV positivo (dilatazione)
se
ΔT = T2 – T1 > 0
riscaldamento
se
ΔT = T2 – T1 < 0
raffreddamento
ΔV negativo (restringimento)
ricordiamo di fare sempre attenzione alle u.d.m. dei coefficienti desunti dalle tabelle
dei manuali e di adeguare a queste il calcolo in cui li utilizziamo.
U.D. 23 - MODI DI TRASMISSIONE DEL CALORE –
Il calore si trasmette naturalmente da un corpo più caldo (T) ad uno più freddo (t) in
tre modi diversi: conduzione ; convezione ; irraggiamento.
La conduzione è caratteristica dei solidi: l’energia calore fa si che le molecole del
solido aumentino la loro agitazione ed urtando quelle a loro adiacenti trasferiscono
questa energia che, con lo stesso sistema, passa alle molecole successive, e così via.
Nella trasmissione di calore per conduzione non c’è movimento di materia ma si
trasmette pura energia.
Se immaginiamo di avere un corpo solido di materiale omogeneo avente due faccie
parallele a temperature diverse ( parete solida omogenea):
s
con
W
T1
T2
W
56
T1 > T2
s = spessore in m
la quantità di calore nell’unità di tempo W che attraversa 1 m2 di superficie della
parete si può calcolare con:
λ • ( T1 - T2 )
W = ----------------s
con λ = coefficiente di conduzione del materiale di cui è costituita la parete.
Indicando con U = λ / s la trasmittanza della parete si può scrivere:
W = U • ( T1 - T2 )
oppure con R = 1 / U = s / λ la resistenza termica della parete :
W = ( T1 - T2 ) / R
Dalle precedenti relazioni, ricordando che abbiamo assunto 1 m2 di superficie e che
il calore nell’unità di tempo W che l’attraversa è una potenza [watt], possiamo
ricavarci le unità di misura di :
- λ
coefficiente di conduzione del materiale [ w / m °K]
- U trasmittanza della parete omogenea = λ / s
[w / m2 °K]
Se la parete è composta da più strati di diverso materiale e di spessore s1 , s2 , ….si
la trasmittanza totale è :
Utot = λ1/s1 + λ2/s2 + …….+ λi/si
La convezione si verifica nei fluidi quando una parte del fluido a contatto con una
fonte di calore, scaldandosi si dilata e diminuisce la sua densità, di conseguenza
essendo più leggero sale verso l’alto lasciando posto a parti di fluido ancora fredde
che scendono: in questo modo si crea un movimento naturale per cui il calore viene
pian piano trasmesso a tutta la massa fluida : convezione naturale.
Se il movimento della massa fluida è determinato anche da differenze di pressione
generate meccanicamente, si parlerà di convezione forzata.
57
Lo scambio di calore nell’unità di tempo tra un corpo avente superficie di area “S” a
temperatura “ T1 “ e un fluido a temperatura “ T2 “ che lo lambisce è dato da:
W = α • S • (T1 – T2)
dove α rappresenta il coefficiente di convezione che dipende oltre che dalla natura
del fluido, dalla scabrosità della superficie del corpo, dalla velocità e movimentazione
del flusso, ecc. ecc.; per cui tali coefficienti sono stati determinati sperimentalmente e
si trovano gabellati sui manuali tecnici.
L’irraggiamento è dovuto alla emissione, da parte del corpo caldo, di onde
elettromagnetiche (di diverse lunghezze d’onda) in grado di attraversare il vuoto,
come anche i fluidi o i solidi, fino a colpire il corpo più freddo dove buona parte di
queste radiazioni si riconvertono in calore. L’emissione di onde elettromagnetiche
avviene a qualunque temperatura ma diventa significativa quando i valori di questa
sono elevati; il caso del nostro sole che ci scalda, anche attraverso lo spazio vuoto e
poi attraverso l’atmosfera terrestre è quello più facilmente percepibile e verificabile
giorno per giorno.
In genere le frazioni assorbite (a), riflesse (s) e trasmesse (r) possono variare in
funzione della lunghezza d’onda.
Ad esempio il vetro è quasi sempre completamente trasparente nel campo del visibile
(r=1) ha potere assorbente (a=1) nel campo dell’ultravioletto, ed ha un
comportamento molto irregolare nel campo dell’infrarosso.
Per ovviare a tale difficoltà si è introdotto il concetto di corpo nero (a=1 e r=0) e di
corpo grigio (a= valore medio tabellato per materiali reali) dove si ha indipendenza
dalla lunghezza d’onda.
58
Una qualunque cavità mantenuta a temperatura costante e provvista di un piccolo
foro si comporta come un corpo nero perché un raggio che penetra viene
continuamente parzialmente assorbito e riflesso finché sarà del tutto estinto.
L’energia termica che si propaga per irraggiamento, ha le proprietà uguali a quelle
della luce e si muove nel vuoto alla velocità di 300.000 km/sec.
Un corpo nero irradia verso l’ambiente che lo circonda una quantità di calore nella
unità di tempo ( W ) calcolabile con:
W = σ • S • (TA4 – TB4)
conosciuta come legge di Stefan – Boltzmann.
W = quantità di calore irradiata nell’unità di tempo
σ = costante di Stefan-Boltzmann (5,67 · 10-8 W / m2 · K4 )
S = superficie del corpo
TA = temperatura assoluta del corpo
TB = temperatura assoluta dell’ambiente
Per i corpi grigi è introdotto un “coefficiente di emissività (e) che rappresenta il
rapporto tra l’energia emessa da un corpo reale e quella emessa da un corpo nero.
Quindi si avrà:
W = e • σ • S • (TA4 – TB4)
Dove “ e • σ “ rappresenta la quantità di energia irradiata per unità di superficie,
nella unità di tempo e per grado di temperatura assoluta, dal corpo reale.
59
U.D. 24
TRASMISSIONE DI CALORE TRA FLUIDI
SEPARATI DA UNA PARETE SOLIDA
Indicando con:
Ta la temperatura del fluido caldo A
Tb la temperatura del fluido freddo B
T1 la temperatura della faccia parete lato A
T2 la temperatura della faccia parete lato B
Trascurando in prima approssimazione l’irraggiamento (ammissibile per temperature
in gioco non troppo elevate) e per quanto detto nella U.D. 23, la quantità di calore
nell’unità di tempo (W) che passa dal fluido A alla parete, che attraversa 1 m2 di
superficie della stessa fino all’altra faccia e che da questa passa poi al fluido B, si può
rispettivamente esprimere con:
S
W = αA • (Ta – T1)
FLUIDO A
W = λ / S • (T1 – T2)
FLUIDO B
W = αB • (T2 – TB)
Ricavando dalle tre relazioni la differenza di temperatura e sommando si ottiene:
(Ta – T1) + (T1 – T2) + (T2 – TB) = W • (1 / αA + S / λ + 1 / αB)
60
1
W = -------------------------- • (Ta – Tb)
1 / α A + S / λ + 1 / αB
da cui
1
K = ---------------------------1 / α A + S / λ + 1 / αB
e ponendo
[w / m2 °K]
coefficiente globale di scambio termico ( trasmittanza) della parete si può
scrivere
W = K • (Ta – Tb)
Per una generica parete solida composta da n
superficie S m2 si ha:
W = Kp • S • (Ta – Tb)
dove
1
Kp = ----------------------------------1 / αA + Σni=1 si /λi + 1 / αB
strati di diverso materiale e di
[watt]
[w / m2 °K]
è il coefficiente globale di scambio della parete di n strati che separa i due fluidi a
diversa temperatura.
• I valori dei coefficienti di convezione α dei fluidi e delle conduttanze
termiche λ dei materiali solidi si trovano tabellati;
• gli spessori
S
dei vari strati solidi devono essere espressi in m ;
• la superficie S (area) della parete deve essere espressa in m2 .
61
U.D. 25
- SCAMBIATORI DI CALORE -
Si definisce “scambiatore di calore” una apparecchiatura in cui un fluido caldo cede
calore ad uno freddo attraverso una superficie solida che li separa; la superficie di
separazione può essere piana (scambiatori a piastre) o cilindrica (scambiatori a fascio
di tubi); in quest’ultimo caso potremo schematizzare così l’apparecchio:
T2u
collettore
collettore
ingresso
uscita
T1i
scambiatore di calore
controcorrente
T1u
fascio
tubiero
T2i
T2i
collettore
collettore
ingresso
uscita
T1i
scambiatore di calore
equicorrente
T1u
fascio
tubiero
T2u
e supponendo che il fluido “ 1 “ ceda calore (fluido caldo) al fluido “ 2 “ (fluido
freddo) attraverso le pareti cilindriche del fascio di tubi, il calore scambiato nell’unità
di tempo (potenza termica) è dato da:
W = A • K • (T1m – T2m)
[watt]
con
T1i + T1u
T1m = ------------2
temperatura media fluido 1
T2i + T2u
T2m = ------------temperatura media fluido 2
2
A = area esterna complessiva del fascio di tubi scambiatori in m2
K = coefficiente globale di scambio dell’apparecchio in w / m2 °K
62
Riportando graficamente l’andamento della temperatura dei due fluidi all’interno
dell’apparecchio, tra il collettore di ingresso c.i. e quello di uscita c.u. ,si ha:
T1i
T1u
scambiatore controcorrente
ΔTA
T2u
T2i
ΔTB
ΔTA = ΔTB = cost.
l’apparecchio dall’ingresso all’uscita
lavora in modo più uniforme
c.i.
c.u.
T1i
T1u
scambiatore equicorrente
ΔTA
T2u
T2i
ΔTB
c.i.
ΔTA >> ΔTB
l’apparecchio scambia molto calore
all’ingresso e sempre meno andando
verso l’uscita
c.u.
Come abbiamo visto, il coefficiente globale di scambio termico dell’apparecchio
dipende molto dal valore assunto dai coefficienti di convezione dei due fluidi (αA e
αB) che cambiano a seconda della natura dei fluidi stessi e della loro agitazione; ad
esempio, nel caso che lo scambiatore sia adibito a bollitore di una caldaia, i tibi si
trovano a contatto da un lato con i fumi caldissimi prodotti dalla combustione (1000
….1200 °C) con αA = 20…..47 [w/m2°K] e dall’altro lato con acqua in fase di
ebollizione αB = 1750……11700 [w/m2°K] .
L’enorme differenza tra i due coefficienti fa si che il salto di temperatura fra i fumi
caldi e la faccia dei tubi a contatto con essi sia molto più grande del salto esistente fra
l’acqua e l’altra faccia:
Tf
1200°C
Fumi
acqua
300°C
Ta
63
Questo permette di mantenere la temperatura dei tubi metallici dello
scambiatore a valori di poco superiori a quello dell’acqua contenuta nella
caldaia.
Nella sciagurata ipotesi di una mancanza di acqua all’interno dello scambiatore,
dovuta ad un difetto nella alimentazione (guasto pompa di alimento), la poca acqua
ancora presente si trasforma subito in vapore con la conseguenza che il valore di αB si
avvicina molto a quelli caratteristici di αA ed anche i rispettivi salti di temperatura
tendono ad uguagliarsi; i tubi metallici si riscaldano oltre i limiti accettabili, il
materiale perde le sue proprietà meccaniche di resistenza (plasticizza) ed essendo il
fluido all’interno ad elevata pressione, si può avere l’esplosione della caldaia: evento
molto pericoloso sia dal punto di vista strutturale che soprattutto per i danni umani
che può provocare.
Come studieremo più dettagliatamente trattando i generatori di vapore, quando questi
apparecchi hanno al loro interno grandi masse d’acqua sono meno pericolosi perché,
in caso di insufficiente alimentazione c’è il tempo per fermare il generatore prima che
si verifichi quanto appena detto, ma i moderni generatori di vapore lavorano con
piccoli contenuti d’acqua e sotto grandi pressioni (velocità elevate di messa a regime)
e per questi non c’è il tempo di intervenire in caso la pompa di alimento dell’acqua si
fermi; per questo motivo e per avere maggiori sicurezze si impiegano 3 pompe in
parallelo che funzionano con fonti di energia diverse, di modo che se una si ferma ci
sono le altre che garantiscono il necessario flusso d’acqua.
U.D. 26
-SISTEMA TERMODINAMICOTrasformazioni termodinamiche
Un sistema termodinamico è una entità fisica dotata di massa, occupante un certo
volume, delimitato da un contorno che lo separa dall’ambiente esterno ma con il
quale può scambiare energia meccanica e termica (lavoro e calore) in un senso o
nell’altro; definiremo per convenzione:
scambio di lavoro
• positivo se il sistema espandendosi compie lavoro verso l’esterno;
• negativo se è dall’esterno che si compie lavoro sul sistema comprimendolo;
scambio di calore
• positivo il calore acquistato dal sistema;
• negativo se il calore è ceduto dal sistema all’esterno.
64
Possiamo immaginare un sistema termodinamico come un gas racchiuso in un
cilindro con il pistone, a tenuta, in grado di muoversi nei due sensi:
lavoro negativo
calore positivo
lavoro positivo
GAS
calore negativo
Lo stato fisico di un sistema termodinamico è determinato quando si conoscono:
• la sua pressione assoluta (rispetto al vuoto) p misurata in Pa;
• la sua temperatura assoluta T misurata in °K;
• il suo volume specifico (inverso della densità) v misurato in m3/ Kg ;
queste tre grandezze prendono il nome di variabili di stato e sono collegate fra loro
da una relazione conosciuta come equazione di stato :
p ٠ v = R ٠ T
con
R costante caratteristica del gas costituente il sistema termodinamico in J/ Kg °K .
Questa equazione, valida per i gas perfetti (che in realtà non esistono) è ancora
applicabile con sufficiente approssimazione ai gas dei sistemi termodinamici reali.
Definiremo poi trasformazione termodinamica una qualunque variazione dei tre
parametri del gas in esame (p , v , T ) che sarà comunque sempre legata dalla stessa
relazione (con R costante una volta definito il tipo di gas) :
isoterma (trasformazione termodinamica in cui rimane costante la temperatura)
p ٠ v = (R ٠ T) = cost
p ٠ v = cost
65
e quindi:
nel piano p , v (pressione, volume specifico) è rappresentata da una iperbole
p
v
isobara (trasformazione termodinamica in cui resta costante la pressione)
p
v / T = cost
v
isovolumica ( o isocora ) trasformazione termodinamica a volume costante
p
p / T = cost
v
adiabatica ( trasformazione termodinamica senza passaggio di calore con l’esterno)
p
p ٠vK = cost
dove K = Cp / Cv
v
rapporto tra calore specifico a pressione costante Cp e calore specifico a volume
costante Cv del gas.
Per i gas a molecola biatomica (O2 , H2 , N2 , ecc. ) ed anche per l’aria K vale
circa 1,4 .
66
politropica (trasformazione termodinamica compresa fra la isoterma e la adiabatica)
nella isoterma p ٠ v n = cost
con “n” = 1
p٠ v = cost
nella adiabatica p٠ v n = cost
con “n” = K
p٠ v K = cost
nella politropica p ٠ v n = cost con 1 < n < K
p
adiabatica
n=K
isoterma
n=1
v
Se invece di limitarci a far compiere al gas una sola trasformazione termodinamica,
ne facciamo due o più di due, in maniera tale che alla fine riportiamo il gas nelle
stesse condizioni di p , v e T iniziali, abbiamo fatto fare al gas un ciclo
termodinamico :
definiamo ciclo termodinamico una successione di almeno due (numero minimo) di
trasformazioni termodinamiche che riportano il gas nelle stesse condizioni
termodinamiche di partenza ( A
B ; B
A)
p
A- •
-B
v
67
U.D. 27
- PRIMO PRINCIPIO DELLA TERMODINAMICA –
Concetto di energia interna ed entalpia
Se immaginiamo di fornire una certa quantità di calore Q al sistema termodinamico
formato dal gas racchiuso in un cilindro ottimamente coibentato (adiabatico),
l’energia calore fornita ha due effetti :
• aumento della temperatura del gas dovuto ad un aumento dell’energia termica
“di agitazione” delle sue molecole (aumento dell’energia interna Δ U);
• espansione del gas che muove il pistone verso l’esterno compiendo un lavoro
contro la pressione dell’ambiente esterno (lavoro meccanico L ) .
Quindi possiamo affermare che : ( 1° principio della termodinamica )
il calore fornito al sistema termodinamico, parte lo ritroviamo in lavoro di
espansione verso l’esterno e parte in aumento di energia interna del sistema
stesso
Q = L + ΔU
Possiamo fornire energia ad una massa di gas in due modi, o fornendo calore o
comprimendola e quindi fornendo lavoro meccanico (che in questo caso è negativo);
avremo sempre una variazione positiva di energia interna ΔU della massa gassosa.
Non c’è modo di misurare in assoluto il contenuto di energia interna di una massa,
ma assumendo un valore zero di riferimento in determinate condizioni
termodinamiche di pressione e di temperatura, possiamo facilmente calcolarne la
variazione.
Se prendiamo una massa unitaria ( 1 Kg ) di fluido alla temperatura di 0°C ed alla
pressione assoluta di 1 bar = circa 100000 Pa (pressione atmosferica al livello del
mare) e assumiamo uguale a zero la sua energia interna in queste condizioni, quando
questa massa di 1 Kg si troverà ad una temperatura T > 0 e ad una pressione
p > 1 bar , essa avrà un contenuto di energia interna pari a ΔU ottenuto sommando
l’energia calore “Q” e/o l’eventuale energia lavoro “-L” che gli abbiamo dovuto
fornire per portarla in quelle condizioni di temperatura e di pressione:
T
ΔU0°C
p
1 bar
= Q - L
= I (entalpia)
questa energia interna prende il nome di ENTALPIA
L’entalpia ( I ) di un fluido è l’energia sotto forma di calore e di lavoro
meccanico che dobbiamo fornire alla massa di 1 Kg per portarla dalle
condizioni iniziali di T =0°C e p = 1 bar alle condizioni finali di temperatura e
di pressione in cui si trova.
Viene normalmente misurata in Kj / Kg
68
U.D. 28
CONVERSIONE DI ENERGIA TERMICA IN MECCANICA
Secondo principio della termodinamica
Applicando il 1° principio della termodinamica alle trasformazioni termodinamiche
considerate vediamo come, per alcune di esse, il calore che viene fornito al fluido
produce una dilatazione e quindi un lavoro meccanico verso l’esterno che può essere
utilizzato: questo è realizzato tramite una macchina termica.
Se consideriamo infatti la trasformazione termodinamica generica A - B ,
rappresentata ne piano p – v , notiamo che il fluido espandendosi da A verso B
compie un lavoro LF verso l’esterno che è equivalente all’area sottesa alla linea della
trasformazione A – B e che in parte può essere raccolto sull’organo meccanico della
macchina termica ed essere utilizzato.
p
Q1
LF = Σ p Δv = lavoro fornito (area blu)
pA
A
p
B
pB
v
vA
Δv
Q2
vB
Lp = lavoro perso (area rossa)
Per assicurare alla macchina termica una continuità di funzionamento occorre
riportare il fluido allo stato iniziale (A) in modo da poter effettuare una nuova
espansione, e poi un’altra, e poi un’altra, e così via…….
Questo può essere realizzato in due modi:
- disponendo di una elevata quantità di fluido nelle condizioni (A) in
sostituzione di quello che ogni volta viene scaricato all’esterno alla fine
dell’espansione (ciclo aperto);
- riutilizzando lo stesso fluido, riportandolo nello stato iniziale, dopo la
fine di ogni espansione (ciclo chiuso)
Lavorando in ciclo chiuso notiamo che: se il ritorno alle condizioni (A) è fatto sulla
stessa linea A-B la macchina dovrebbe adesso lei fornire al fluido un lavoro pari a
quello che il fluido le ha fornito in fase di espansione ed il bilancio complessivo
sarebbe nullo; una macchina simile non produrrebbe nessun lavoro utile e addirittura,
per via degli attriti e perdite varie non potrebbe funzionare. E’ perciò indispensabile
fare in modo che il lavoro di compressione che la macchina deve dare al fluido per
riportarlo in (A) sia minore di quello prodotto nell’espansione, questo si ottiene
raffreddando in modo opportuno il fluido.
69
Riassumendo: per funzionare, una macchina termica richiede che il fluido operatore
descriva un ciclo termodinamico che lo riporti alternativamente in contatto con una
sorgente calda, dove assorbe la quantità di calore Q1 (segmento A-B) e
successivamente con una sorgente fredda, dove cede la quantità di calore Q2
(curva B-A).
La differenza fra la quantità di calore Q1 assorbita dalla sorgente calda e la quantità
di calore Q2 ceduta al refrigerante ci dà l’energia termica che la macchina ha
trasformato in lavoro utile “Lu” .
Lu = Q1 - Q2
Quanto adesso detto può essere sintetizzato nell’enunciato di Carnot che è anche
l’espressione del secondo principio della termodinamica:
non tutto il calore prelevato da una sorgente termica può essere trasformato in
lavoro, ma una macchina termica che opera in modo continuo, deve
necessariamente restituire parte del calore ricevuto ad una sorgente a
temperatura inferiore.
Visto che nella realizzazione di un ciclo termodinamico seguito da una macchina
termica si fornisce al fluido operatore una quantità di calore Q1 e la macchina ne
trasforma in lavoro utile solamente una parte Q1 – Q2 ( Q2 calore ceduto alla
sorgente fredda per chiudere il ciclo) ne deriva che il rendimento di tale ciclo vale:
Q1 - Q2
Lu
η = -------------- = ------Q1
Q1
70
U.D. 29 - CONCETTO FISICO DI ENTROPIA –
L’entropia può essere considerata un indice qualitativo del calore in quanto il suo
valore fornisce indicazioni sui limiti naturali esistenti nella conversione in lavoro
meccanico.
Se somministriamo calore all’unità di massa ( 1Kg) di un fluido, portandolo da uno
stato iniziale A ad uno stato finale B , la sua temperatura aumenta (calore
sensibile):
temp.
( °C)
B
T
A
Q (joule)
dQ
considerando un tratto infinitesimo della trasformazione, possiamo supporre che la
relativa somministrazione di calore dQ avvenga pressoché a temperatura T costante.
Il rapporto tra questa infinitesima quantità di calore e la temperatura a cui è
stato somministrato definisce l’entropia S del sistema in quel particolare stato:
S = dQ / T
[ Kj / Kg °K]
La sommatoria di tutti i rapporti tra le infinitesime quantità di calore somministrate
nella intera trasformazione A – B e le rispettive temperature, fornisce la variazione
di entropia subita dal fluido passando dallo stato A allo stato B :
ΔS = ΣAB ( dQ / T )
E’ impossibile sapere il valore assoluto di entropia di quel Kg di fluido, ma come
abbiamo fatto per l’entalpia, possiamo convenzionalmente assumere un valore
“ zero” : convenzionalmente l’entropia è zero alla temperatura di 0°C .
Per meglio capire il concetto di entropia, possiamo riferirci al paragone con l’energia
potenziale:
come l’utilizzabilità dell’energia potenziale aumenta al crescere del dislivello
(distanza dal centro della terra), nonostante che il peso vada diminuendo, anche
l’utilizzabilità dell’energia termica (calore) aumenta all’aumentare della temperatura
nonostante diminuisca il valore di entropia.
71
In una espansione adiabatica, non essendoci scambio di calore con l’esterno ( dQ=0)
la variazione di entropia ΔS è nulla (entropia costante) ma la utilizzabilità del
calore che contiene il fluido, alla fine dell’espansione è nettamente inferiore a quella
iniziale.
Nel paragone fatto tra energia potenziale ed energia termica, si possono chiaramente
individuare i limiti naturali che ci sono allo sfruttamento di ambedue queste forme di
energia: la superficie terrestre per la prima, la temperatura ambiente per la seconda.
In definitiva utilizzando energia termica (calore) non facciamo altro che degradarla
da temperature elevate fino alla temperatura ambiente e le quantità di calore che di
volta in volta vengono cedute alle sorgenti fredde dell’universo ne elevano sempre di
più il valore di entropia: l’entropia dell’universo (sistema chiuso) tende ad un
massimo (aumenta all’infinito).
Ep = M g · Δh
Et = ΔS · ΔT
M
Q
Δh
superficie
terrestre
ΔT
LIMITI
NATURALI
centro della terra
temperatura
ambiente
zero assoluto (0°K)
72
U.D. 30 - CICLO DIRETTO E CICLO INVERSO- Il ciclo di Carnot Tracciando sul piano p – v un ciclo termodinamico generico ed una famiglia di
isoterme, vediamo come il fluido operatore percorra il ciclo assumendo temperature
diverse, nel punto A la massima temperatura T1 e nel punto B la minima
temperatura T2 ; a conferma della necessità di disporre di due sorgenti di calore, una
calda per portarlo alla temperatura T1 ed una fredda per sottrargli calore e riportarlo
alla temperatura T2; il fluido assorbendo calore dalla fonte calda, oltre che scaldarsi
produce, espandendosi, lavoro contro le forze esterne (espansione), mentre cedendo
calore alla fonte fredda (refrigerante) oltre che diminuire di temperatura assorbe
lavoro dall’esterno (compressione).
La differenza tra la quantità di calore assorbita dalla fonte calda e quella ceduta
alla fonte fredda rappresenta il calore che la macchina termica ha trasformato
in lavoro utile sul suo asse.
Se il fluido operatore percorre il ciclo termodinamico in senso orario si ha
trasformazione di calore in lavoro meccanico e tale ciclo si dice “diretto”.
Su tali cicli è basato il funzionamento delle macchine termiche: motori a combustione
interna (motori a benzina, motori diesel); motori a combustione esterna (turbine a
vapore).
Quando invece il fluido operatore percorre il ciclo in senso antiorario, assorbe
calore da una sorgente a bassa temperatura e lo cede ad una sorgente a temperatura
più elevata, il ciclo si dice “inverso”; naturalmente in questo caso è necessario
fornire dall’esterno lavoro meccanico al fluido.
Classici esempi di macchine termiche il cui funzionamento si basa su cicli inversi
sono: pompe di calore; macchine frigorifere.
p
T1
A
T2
max temperatura
B
isoterme
min temperatura
v
73
Fra le due isoterme T1 e T2 si possono ipotizzare infiniti cicli diretti, ma quello di
massimo rendimento risulta essere formato quattro trasformazioni reversibili: due
isoterme e due adiabatiche, esso è conosciuto come ciclo ideale di Carnot :
p
T1
A-B isoterma a T1
B-C adiabatica di espansione
C-D isoterma a T2
D-A adiabatica di compressione
Q1
T2
A
B
Lavoro
D
C
v
Q2
Il fluido riceve Q1 a temperatura costante T1 e cede calore
minore costante T2 .
Possiamo tracciare il ciclo di Carnot anche sul piano
entropia):
T
Q2 a temperatura
T – S
(temperatura –
Q1
A
B
A-B e C-D isoterme reversibili
T1
B-C e D-A adiabatiche reversibili
T2
D
C
S
S1
S2
Q2
Ricordando l’espressione del rendimento ed adattandola alle grandezze del nuovo
piano T-S si ha :
Q1 – Q2
(S2-S1)·T1 – (S2-S1) ·T2
T1-T2
T2
ηc = ------------- = --------------------------------- = ---------- = 1 – --Q1
(S2-S1) · T1
T1
T1
E’ questo il massimo rendimento (ideale), che potrebbe essere realizzato solo da
una macchina termica perfetta: rendimento di Carnot.
74
Durante la trasformazione A – B (isoterma) il fluido assorbe la quantità di calore Q1
dalla sorgente calda che si trova alla sua stessa temperatura; nella trasformazione
B – C (adiabatica) si ha una espansione del fluido che avviene a scapito della sua
energia interna, la temperatura diminuisce raggiungendo quella del refrigerante T2 ;
nella trasformazione successiva C – D la temperatura tenderebbe ad aumentare, ma
il refrigerane, sottraendogli la quantità di calore Q2 lo mantiene a temperatura
costante; infine nella D – A (adiabatica) il fluido viene compresso a spese del lavoro
esterno ed aumenta sia la sua temperatura che la sua pressione ritornando ai valori di
partenza.
Sul piano T – S (temperatura – entropia) il ciclo di Carnot è rappresentato da un
rettangolo da cui si vede facilmente che il rendimento di questo ciclo ideale non
dipende dalla natura del fluido operatore, ma unicamente dai valori delle temperature
T1 della sorgente calda e T2 della sorgente fredda: più alto sarà il valore di T1 e
più basso quello di T2, maggiore risulterà il rendimento del ciclo di Carnot .
In pratica tale ciclo non è realizzabile (per avere le trasformazioni isoterme la
macchina dovrebbe dare il tempo al calore di abbandonare il fluido man mano che la
trasformazione stessa procede, con tempi molto alti e quindi potenze sviluppate
bassissime), ma il ciclo di Carnot costituisce l’esempio a cui far tendere tutti i cicli
termodinamici reali, su cui si basa il funzionamento di macchine e impianti termici
utilizzati nella pratica.
75
MODULO 7
MACCHINE TERMICHE A COMBUSTIONE ESTERNA
U.D. 31 - TURBINE A VAPORE –
(macchine esotermiche)
Si definiscono macchine esotermiche o a combustione esterna, quelle macchine nelle
quali il calore necessario ad ottenere il lavoro meccanico si sviluppa all’esterno
della macchina stessa.
Le turbine a vapore sono macchine motrici che utilizzano l’energia cinetica del
vapore d’acqua. Quando il vapore espandendosi (completamente o parzialmente)
nell’attraversamento di condotti fissi palettati (distributore) ed in seguito in condotti
mobili che costituiscono la girante trasforma l’energia di pressione in energia
cinetica, la macchina la converte in lavoro meccanico sul suo asse.
Il vapore entra nella turbina a pressione e temperatura elevati (alto valore di entalpia)
ed esce a pressione molto bassa e temperatura di condensazione (basso valore di
entalpia): le turbine a vapore utilizzano quindi un salto di entalpia così come
quelle idrauliche utilizzano un salto geodetico.
Possiamo suddividerle in due categorie:
• turbine ad azione dove l’intero salto di entalpia disponibile è trasformato
interamente in energia cinetica nei condotti fissi del distributore;
• turbine a reazione nelle quali solo una parte del salto di entalpia disponibile
viene trasformato in energia cinetica nell’attraversamento del diffusore ed il
resto nella girante, dove l’espansione prosegue fino a raggiungere i valori di
pressione esistenti allo scarico.
All’uscita della turbina si trova il condensatore. Questo apparecchio è uno
scambiatore di calore che, tramite un refrigerante, sottrae calore al vapore
condensandolo. Il condensatore lavora a pressioni molto basse (0,2 …0,05 bar)
così da aumentare il salto di entalpia (ΔI) e quindi anche il lavoro utile erogato dalla
turbina.
TURBINE AD AZIONE
Ricordando che l’entalpia è l’energia posseduta dall’unità di massa (1Kg) di fluido si
ha :
ΔI = (Ii – Iu) = energia di 1Kg di vapore disponibile all’ingresso macchina
Dove
Ii =entalpia vapore in ingresso
Iu entalpia vapore in uscita
76
L’energia posseduta da una massa ( m ) di vapore, nel distributore si trasforma in
energia cinetica:
m · ΔI = Ec = ½ m V2 da cui si ha
V=
2 ΔI
tenendo conto delle inevitabili perdite di carico che per attrito il vapore incontra
attraversando il distributore, indichiamo con φ un opportuno coefficiente di
riduzione, la velocità reale assoluta di ingresso nella girante sarà quindi :
C1 = φ ·
2 ΔI
Con la stessa simbologia e significato fisico di quanto abbiamo fatto per le pompe
centrifughe, dovendo anche qui soddisfare i due aforismi idraulici, andiamo a
disegnare i triangoli delle velocità per la girante di una turbina a vapore ad azione:
distributore
C1
V1
U1
-U1
girante
C2
V2 = V1
U2=U1
Per rendere minimo il vettore “C2” (2° aforisma idraulico) esso deve essere diretto
perpendicolarmente al piano della girante, cioè parallelo all’asse della turbina.
α1
C1
V1
- U1
C2
V2 = V1
U2 = U1
essendo V2 = V1 (se trascuriamo l’attrito tra vapore e pala) ed U2 = U1 dai
triangoli delle velocità, disegnati col vertice in comune, vediamo che rispettando i
due aforismi idraulici deve essere :
77
C1 · cos α1 = 2 U1
e ricavando da questa
U1 = C1 · cos α1 / 2
la velocità periferica che assicura il massimo rendimento della turbina deve
soddisfare la relazione:
U1 = C1 · cos α1 / 2
Ribaltando il triangolo di velocità in uscita, rispetto alla direzione di C2 si ottiene:
α1
C1
V1 = V2 C2
90°
- U1
- U2
Una turbina ad una sola girante, come quella sopra descritta, ha limitate possibilità di
impiego in quanto può sfruttare salti di entalpia piccoli.
Se ipotizziamo un salto entalpico di 700 Kj/Kg (valore peraltro ancora piuttosto
basso) si avrebbe una velocità di efflusso dal distributore di:
C1 = 0,97 · 2 · 700000 = 1148 m/s
con φ = 0,97
da cui , supponendo cos α1 = 0,9 la velocità periferica della girante risulta:
U1 = 1148 · 0,9 / 2 = 516 m / s
valore eccessivo per un accoppiamento diretto con qualunque macchina operatrice;
da qui la necessità di abbassare la velocità periferica della girante pur con salti di
entalpia ancora più elevati di quello ipotizzato.
L’abbassamento della velocità di rotazione della turbina viene ottenuto tramite
l’adozione di turbine a salti di velocità; a salti di pressione; o miste.
TURBINE AD AZIONE A SALTI DI VELOCITA’
Curvando meno le pale della prima girante, il vapore esce avendo ancora una velocità
piuttosto elevata e se, tramite una corona di pale fisse alla cassa della turbina, viene
ridato al getto di vapore la solita direzione e verso che aveva all’inizio, esso può
essere riversato in una seconda girante calettata sullo stesso albero motore della
turbina e così via.
78
Per una turbina a due giranti, i triangoli di velocità, dopo il solito ribaltamento,
risultano:
α1
C1
C2
quindi
-U1 -U2 -U1 -U2
4U
C1 · cos α1
U1 = --------------e in generale se la macchina ha “n” giranti :
4
C1 · cos α1
U1 = --------------2n
procedendo però dalla prima alla seconda e poi alla terza girante, il vapore
diminuisce sempre la sua velocità ed anche il lavoro che le rispettive giranti erogano
si abbassa sempre più; per questo non conviene costruire turbine a più di tre o al
massimo quattro giranti.
TURBINE AD AZIONE A SALTI DI PRESSIONE
Nelle turbine a salti di pressione, il salto entalpico disponibile viene suddiviso tra i
distributori che alimentano le rispettive giranti; ad esempio nel caso di turbina a due
salti di pressione, metà del ΔI disponibile viene trasformato in energia cinetica nel
primo distributore e poi in lavoro meccanico nella prima girante e metà nel passaggio
successivo dal secondo distributore e relativa girante, allora la velocità di efflusso dai
due distributori diviene:
C1 = φ ·
2 ΔI / 2
e più in generale per una turbina ad azione a “n” salti di pressione :
C1 = φ ·
2 ΔI / n
C1 e di conseguenza U1 = U2 =……= Un , può essere ridotta a valori anche
molto bassi.
79
Il problema di questa soluzione a salti di pressione è che ogni girante lavora a
pressione diversa dalle altre per cui, devono essere installati sulla cassa dei diaframmi
di separazione che, pur permettendo la rotazione dell’albero, impediscano al vapore
di passare da una camera all’altra per effetto della diversa pressione; sono necessari
quindi speciali organi di tenuta.
TURBINE A REAZIONE
Nelle turbine a reazione una parte del salto entalpico ΔI disponibile viene
trasformata in energia cinetica nel distributore ed una parte nella girante,
normalmente metà nel distributore e metà nella girante (grado di reazione 0,5);
quindi anche le pale della girante devono formare, tra l’una e l’altra, canali divergenti
per permettere l’ulteriore espansione del vapore fino alla pressione di scarico.
Il lavoro sviluppato per azione La = (C12 – C22) / 2 deve essere uguale al lavoro
sviluppato per reazione Lr = (V22 – V12) / 2 ovvero:
C12 – C22 = V22 – V12
relazione che viene soddisfatta se i condotti vengono sagomati in maniera che sia
‫׀‬C1‫׀ = ׀‬V2‫׀‬
e
‫׀‬C2‫׀ = ׀‬V1‫׀‬
I triangoli delle velocità, in questo caso, divengono (in condizione di massimo
rendimento) :
α2
α1
C1
V1
C2=V1
- U1
V2 = C1
U2 = U1
I triangoli delle velocità in entrata ed in uscita risultano uguali e se consideriamo che
dobbiamo soddisfare anche il 2° aforisma idraulico ( C2 minimo) essi divengono
rettangoli, e ribaltando:
α1
C1
C2
90°
- U1 = - U2
80
possiamo da qui ricavare la velocità periferica che consente il rendimento massimo:
U1 = C1 · cos α1
Il valore di U è naturalmente troppo elevato per cui la turbina a reazione costituita
da una sola coppia distributore – girante trova scarse applicazioni pratiche; in realtà
queste turbine hanno numerose coppie distributore – girante, sono frazionate cioè in
numerosi salti di pressione fino ad ottenere velocità periferiche intorno anche
ai 30 m/s .
Avendo così un gran numero di coppie distributore – girante, che lavorano a diverse
pressioni (come nel caso delle turbine a salti di pressione) sono necessari tanti
diaframmi di separazione tra le varie camere; è risultato più semplice sostituire le
giranti con un unico tamburo cilindrico dove sono fissate le varie corone di pale e fra
una corona e l’altra si affacciano i distributori fissi (turbine Parsons) e considerando
che mano a mano che la pressione diminuisce, il vapore si espande ed ha bisogno di
canali di passaggio più ampi, il tamburo è stato poi realizzato nella classica forma a
gradini di diametro crescente.
Uno degli inconvenienti di queste turbine sta nel fatto che la differenza di pressione
fra una testata e l’altra del tamburo crea una spinta assiale diretta da monte a valle. Il
problema è stato parzialmente risolto introducendo un cilindro equilibratore, cioè il
rotore viene prolungato anteriormente e dotato di un cilindro che posto in una camera
stagna della cassa riceve la spinta equilibratrice dallo stesso vapore di alimentazione
prima che questo passi nei distributori.
distributori
cilindro
equilibratore
tamburo a gradini
ingresso
vapore
81
corona
pale
TURBINE MISTE
Le turbine ad azione convertono tutta la pressione del vapore in velocità all’interno
del distributore e questo porta dei notevoli vantaggi in quanto all’interno della cassa
avremo la bassa pressione del condensatore:
• la cassa può essere leggera, di spessore modesto, e quindi di peso limitato;
• non si creano spinte assiali;
• la turbina risulta compatta e di modesto ingombro.
Esse presentano però anche lo svantaggio della impossibilità di basse velocità di
rotazione:
i salti di velocità non possono essere più di tre o quattro e con i salti di pressione si
hanno troppi diaframmi separatori che costituiscono una complicazione nella
costruzione ed un aggravio di costo.
Le turbine a reazione permettono di ottenere velocità di rotazione molto basse
utilizzando tante coppie rotore – girante e distribuendo così in piccolissimi salti di
entalpia il salto entalpico totale, ma risultano pesanti e ingombranti in quanto la cassa
è sottoposta ad alte pressioni ed inoltre deve essere compensata la spinta assiale con
opportuni accorgimenti; in più il distributore è realizzato sull’intera circonferenza con
problemi di regolazione che essendo fatta per strozzatura comporta notevoli perdite di
rendimento.
La turbina ad azione risulta conveniente per vapori ad alta pressione, mentre
quella a reazione è più adatta nel campo delle basse pressioni.
Da queste considerazioni hanno avuto origine le turbine miste, impiegate in impianti
di grande potenza, sono costituite da un rotore avente la prima parte ad azione, con
salti di velocità e salti di pressione, seguita da un tamburo a reazione là dove la
pressione del vapore è scesa a valori più bassi; si hanno in questo modo i vantaggi di
ambedue le categorie.
POTENZA E RENDIMENTO DELLE TURBINE A VAPORE
La potenza teorica può essere calcolata conoscendo la portata massica di vapore che
attraversa la macchina (Qm) ed il salto di entalpia del vapore stesso tra ingresso e
scarico ( Ii – Iu) :
P teorica = Qm · ( Ii – Iu )
se
Qm è dato in Kg / s
e
ΔI = (Ii – Iu) in Kj / Kg
la potenza calcolata risulta in Kw .
82
Naturalmente la potenza reale, effettivamente erogata dalla turbina sarà minore a
causa delle inevitabili perdite che, analogamente a quanto visto per le macchine
idrauliche, possono riassumersi in tre rendimenti: volumetrico ηV , idraulico ηi ,
meccanico ηm ; il rendimento totale è dato dal prodotto dei tre rendimenti
ηtot = ηV · ηi · ηm
La potenza reale erogata sarà quindi:
Pr = P teorica · ηtot
AVVIAMENTO E REGOLAZIONE
L’avviamento della turbina a vapore non presenta particolari problemi se la macchina
è ferma da poco tempo e quindi è ancora calda. Nelle partenze da freddo invece si
deve fare in modo che il riscaldamento e la conseguente dilatazione termica di tutti i
componenti della macchina sia molto graduale, per questo motivo si inietta vapore in
quantità limitate con le valvole di spurgo del condensato, poste sulla parte inferiore
della cassa, aperte; in questa prima fase il rotore è fermo. Tale operazione può durare
da 1 a 2 ore nelle moderne turbine miste fino a circa 5 o 6 ore nelle vecchie turbine
a tamburo.
Nella fase successiva si fa ruotare la turbina con l’ausilio di un motore indipendente,
collegato all’albero della macchina tramite ingranaggi, per uniformare la temperatura
all’interno della cassa; a riscaldamento ultimato si esclude il motore di lancio e si
prosegue la rotazione della turbina aprendo gradualmente la valvola principale di
immissione vapore.
Per regolare la potenza erogata dalla turbina si agisce sulla portata di vapore
immesso:
- regolazione portata vapore attuata tramite strozzatura della valvola
principale di mandata, poco conveniente, specialmente per impianti di
grande potenza, in quanto comporta notevoli diminuzioni di rendimento;
- regolazione per parzializzazione, che consiste nel chiudere alcuni ugelli
del distributore (ogni ugello è infatti dotato di valvola di intercettazione),
in questo modo la portata di vapore in turbina viene ridotta senza
variare il suo stato fisico e non c’è diminuzione di rendimento; questo
sistema richiede però che la turbina sia munita di distributore
parzializzato.
83
MODULO 8
COMBUSTIBILI E COMBUSTIONE
U.D. 32 - COMBUSTIBILI E COMBURENTE
Un combustibile è una sostanza, solida, liquida o gassosa, contenete almeno uno
dei tre elementi “attivi”: C carbonio - H idrogeno - S zolfo , che combinata
con l’ossigeno dà origine ad una reazione chimica esotermica (con sviluppo di
calore).
Gli elementi inerti presenti sia nel combustibile che nel comburente non partecipano
alla reazione chimica e si ritrovano nei residui della combustione (ceneri) o nei
prodotti della combustione (fumi).
84
Possiamo classificare i combustibili in base al loro stato fisico ed alla loro
provenienza:
naturali
legna, carboni fossili
artificiali
carbone di legna, coke
naturali
petrolio, olii grassi
artificiali
benzina, gasolio, nafta, benzolo, alcoli
naturali
metano
artificiali
G.P.L. (gas di petrolio liquefatto), idrogeno, acetilene
solidi
liquidi
gassosi
Ogni combustibile può quindi, unito all’ossigeno, bruciare; ma questa reazione
chimica deve essere innescata o tramite accensione (scintilla) o tramite un aumento di
pressione della miscela. Le condizioni di accensione variano molto in funzione sia del
tipo di combustibile che della sua miscelazione con il comburente.
IL POTERE CALORIFICO
Il carbonio “C” combinandosi con l’ossigeno può dare luogo a due diverse reazioni a
seconda della quantità di ossigeno che riesce a legare:
C2 + 2O2
2 C O2
C2 + O2
2CO
(con sviluppo di 33900 Kj/Kg di calore)
(con sviluppo di solo 10190 Kj/Kg di calore)
La C O2 (biossido di carbonio o anidride carbonica) è un gas inerte;
il C O (monossido di carbonio) è invece a sua volta un combustibile che potrebbe
ancora essere “bruciato” :
2 C O2
2 C O + O2
con lo sviluppo di ulteriore calore (10170 Kj/Kg).
Bruciando carbonio puro in presenza di abbondante ossigeno avremo una
combustione completa con produzione di CO2 , se invece l’ossigeno scarseggia
85
avremo produzione di CO e perderemo circa i 2/3 dell’energia calore che quel
combustibile poteva fornire.
Definiamo “potere calorifico” di un combustibile la quantità di calore sviluppata
dalla combustione completa di 1 Kg di esso e lo esprimiamo in Kj / Kg.
Per il carbonio risulta pertanto Pc (potere calorifico) = 33900 Kj / Kg
Ma nel caso dell’idrogeno avremo:
vapor d’acqua
2 H2 + O2
2 H2O
(con sviluppo di 141900 Kj /Kg di calore)
il vapore d’acqua prodotto contiene una certa quantità di calore (calore latente) che
può essere valutato o meno nel calcolo del potere calorifico a seconda che esso sia
fatto ricondensare o no.
Distingueremo quindi per l’idrogeno e per tutti i combustibili che lo contengono, due
diversi poteri calorifici:
• il potere calorifico inferiore ( Pci ) se supponiamo di disperdere il vapore
prodotto non tenendo conto quindi dei 2500 Kj / Kg da esso recuperabili;
• il potere calorifico superiore (Pcs ) se il vapore prodotto verrà ricondensato
recuperando il suo calore latente (ad esempio nelle caldaie a condensazione).
Si ha pertanto:
Pcs = Pci + 2500 · 9 H
dove H è la percentuale in peso dell’idrogeno contenuto nel combustibile e sapendo
che ogni Kg di idrogeno produce nella reazione con l’ossigeno 9 Kg di vapore
d’acqua.
I combustibili sono principalmente costituiti da carbonio e idrogeno, dovremo quindi
distinguere per essi tra potere calorifico superiore e potere calorifico inferiore.
Quest’ultimo assume poi grande importanza nei calcoli relativi alle macchine
termiche, dove, nella quasi totalità dei casi, i prodotti della combustione (fumi)
vengono espulsi in atmosfera a temperature tra i 140°C ed i 350°C, nettamente al di
sopra della temperatura di condensazione del vapore d’acqua, in essi contenuto, alla
pressione atmosferica. Il vapore prodotto viene perciò disperso coi fumi e non
possiamo recuperare il calore di condensazione che esso contiene, nei calcoli
dovremo considerare quindi il Pci (potere calorifico inferiore) del combustibile
impiegato.
Il Pci e il Pcs dei vari combustibili è disponibile in apposite tabelle sui manuali
tecnici, ma conoscendo la composizione chimica possiamo anche calcolarli:
Pcs = 33900 C + 141900 ( H – O/8) + 9330 S
86
[Kj / Kg]
dove
C, H, O, S
sono rispettivamente la massa di Carbonio, Idrogeno,
Ossigeno e Zolfo presenti in 1 Kg di quel combustibile
(H – O/8) deriva dal fatto di considerare una percentuale di idrogeno minore di
quella effettiva H in quanto si ritiene che una parte di esso, pari circa ad 1/8 della
massa di ossigeno già presente nel combustibile, sia combinata sotto forma di acqua.
Il Pci possiamo poi calcolarlo sottraendo dal Pcs il calore di condensazione
contenuto nel vapore sia dalla combustione dell’idrogeno, sia dalla evaporazione
della umidità U presente nel Kg di combustibile in esame:
Pci = Pcs – 2500 (U+9H)
[Kj / Kg]
U.D. 33 - CALCOLO DELL’ARIA NECESSARIA ALLA COMBUSTIONE –
La combustione può avvenire solo facendo reagire gli elementi chimici che
compongono il combustibile con una adeguata quantità di ossigeno:
il carbonio C potrà “bruciare completamente” solo se 12 parti di esso si
combinano con 32 parti di ossigeno, in quanto la massa atomica del C è 12 e quella
dell’O è 16 quindi:
12+2 · 16 = 44
C + O2 = CO2
12 + 32
ne deriva che per ogni Kg di carbonio sono necessari
32/12 = 8/3 = 2,67 Kg di ossigeno
In modo analogo, per l’idrogeno H otterremo che avendo massa atomica 1 potrà
bruciare completamente se combinato ad 8 parti di ossigeno e per lo zolfo di massa
atomica 32 se combinato ad una uguale parte di ossigeno, quindi in conclusione per
un Kg di un generico combustibile dove indichiamo con C, H e S le parti dei tre
elementi costituenti, si ottiene:
quantità di ossigeno già presente nel
combustibile
Ot = 8/3 C + 8 H + S – O
[Kg/ Kg]
(Kg di Ossigeno teoricamente necessario per Kg di combustibile bruciato)
87
Ma poiché l’ossigeno è presente nell’aria mediamente per il 23% (il restante 77% è
costituito da azoto e altri gas inerti), per bruciare completamente 1 Kg di
combustibile sono teoricamente necessari:
At = Ot 100 / 23 = 100/23 · ( 8/3C+8H+S-O) [Kg / Kg]
Nella pratica, quando si realizza la combustione, soltanto una parte dell’aria inviata al
focolare partecipa alla reazione chimica, sia per effetto di dispersioni sia perché
(specialmente nel caso di combustibili solidi) il contatto con l’ossigeno avviene solo
sulla superficie del solido e male all’interno: occorre quindi aumentare, a volte anche
in modo considerevole, la quantità di aria teorica necessaria alla combustione
aggiungendo un eccesso d’aria “e” per cui l’aria effettivamente necessaria, detta
aria pratica, si può calcolare con:
Ap = At + e · At = At (1+e) [Kg/ Kg]
“e “ può assumere valori che vanno da un minimo di 0,1 ad un massimo di 1 a
seconda del tipo di combustibile e del sistema di iniezione utilizzato:
combustibili gassosi o liquidi volatilizzati
combustibili liquidi leggeri nebulizzati
combustibili liquidi pesanti nebulizzati
polverino di carbone (in base alla granulazione)
legna secca in piccoli pezzi
carbone sminuzzato
carbone pezzatura media
e = 0,1
e = 0,2
e = 0,3
e = 0,1
e = 0,5
e = 0,5
e = 0,7
-
0,2
0,3
0,5
0,2
0,6
0,6
1
Se l’eccesso d’aria assunto è troppo elevato rispetto al fabbisogno reale di quel
combustibile, aumenterà la massa dei fumi prodotta dalla combustione e di
conseguenza il calore perduto.
U.D. 34 I PRODOTTI DELLA COMBUSTIONE ED IL LORO IMPATTO
SUGLI IMPIANTI E SULL’AMBIENTE
Bruciando un generico combustibile composto da C , H e S potremo trovare nei
fumi i seguenti composti chimici:
• CO monossido di carbonio, gas derivante da una combustione incompleta di
parte del carbonio, dovuta a carenza di ossigeno o cattiva miscelazione
combustibile – comburente. Il CO è un gas molto pericoloso perché se
respirato, attraverso i polmoni, entra nel circolo sanguigno e sottrae ossigeno al
88
sangue per completare la molecola e trasformarsi in CO2, agisce come un
veleno portando stordimento, nausea, mal di testa e se inalato in grandi
quantità può essere mortale. La sua pericolosità è accentuata dal fatto di essere
inodore e incolore,
quindi difficilmente percepibile dai nostri sensi.
Secondariamente la presenza di CO nei fumi significa anche che il
combustibile è bruciato solo parzialmente e quindi il calore ricavato è minore,
si abbassa il rendimento.
• CO2 biossido di carbonio (anidride carbonica), gas derivante da una
combustione completa del carbonio. La CO2 è un gas neutro e quindi non è
dannoso né per l’impianto né per l’uomo, almeno direttamente, ma può esserlo
per l’ambiente se prodotta in dosi massicce: la CO2 crea nell’atmosfera
terrestre strati che impediscono il naturale raffreddamento della terra
determinando un innalzamento della temperatura media con tutte le
conseguenze climatiche che ne conseguono, questo fenomeno è conosciuto
come “effetto serra” in analogia a ciò che in modo più sensibile e immediato
percepiamo se entriamo in una serra durante una giornata assolata. Per questo
guaio non ci sono rimedi se non diminuire l’utilizzo di combustibili
tradizionali a favore di forme di energia alternative.
• H2O
vapore d’acqua, derivante dalla combustione dell’idrogeno e anche
dalla vaporizzazione dell’umidità eventualmente contenuta nel combustibile. Il
vapore non è nocivo se non per il fatto che si porta via il calore latente che
contiene diminuendo la prestazione energetica del combustibile, così come
abbiamo già visto nella precedente trattazione del potere calorifico.
• SO, SO2, SO3 ossidi di zolfo, anidridi solforose o solforiche, derivano dalla
combustione dello zolfo presente nel combustibile. Lo zolfo è uno dei tre
elementi che danno origine con l’ossigeno a reazioni esotermiche e quindi
producono energia calore, ma la presenza di zolfo nel combustibile non è
gradita, anzi è dannosa per l’impianto e per l’ambiente, vediamo perché:
gli ossidi di zolfo, venendo a contatto con l’eventuale condensa che negli impianti di
scarico si può formare se in taluni punti i fumi scendono a temperature sotto i 100°C
(il vapore d’acqua sotto i 100°C si condensa in gocce di liquido), formano un acido,
l’acido solforico H2SO4, responsabile della corrosione di canne fumarie metalliche,
scambiatori di calore delle caldaie, condotti di scarico e marmitte di autoveicoli, ecc.
Per evitare queste corrosioni o quanto meno per ridurle il più possibile, il contenuto
di zolfo dei combustibili deve essere molto basso (maggiore raffinazione e quindi
maggiori costi), i fumi devono essere evacuati a temperature sempre maggiori dei
fatidici 100°C (temperatura di condensazione del vapore alla pressione atmosferica)
con conseguente perdita di calore sensibile al camino. Con questi accorgimenti si
evita in gran parte la corrosione all’interno dell’impianto, ma se gli ossidi di zolfo
vanno in atmosfera, vengono spinti dai venti anche in luoghi molto lontani dal punto
89
di produzione e quando incontrano la pioggia, ciò che non si è verificato
nell’impianto si verifica nell’atmosfera, pioggie acide responsabili della morte di
alberi e vegetazione in genere, corrosione di monumenti, grondaie, e materiali
metallici in genere esposti alla pioggia stessa.
Il problema della presenza di zolfo nei combustibili verrà ripreso e analizzato in
modo più approfondito in seguito, nella trattazione degli impianti di riscaldamento e
delle caldaie speciali a condensazione.
Un cenno a parte meritano gli NOx (NO , NO2 , NO3 …….ecc.) ossidi di azoto.
Come abbiamo già evidenziato nell’aria comburente l’ossigeno “O” è presente per
circa il 23% , il resto è in gran parte azoto “N” , questo è un gas inerte e quindi
innocuo che non partecipa alla reazione chimica di combustione, ma alle alte
temperature conseguenti la combustione stessa, si unisce con l’ossigeno creando gli
NOx che assieme ai fumi vengono espulsi in ambiente. Gli ossidi di azoto se presenti
nell’aria che respiriamo in alte percentuali, sono nocivi alla salute. Per questo in
impianti di grandi dimensioni vengono installati sistemi di controllo e abbattimento
dei valori di NOx nei fumi di scarico. Ed ancora per ridurre gli NOx vengono
utilizzate caldaie speciali dove la combustione può avvenire a temperature più basse
(come ad esempio nelle caldaie a letto fluido).
90
PARTE II
MODULO 9
MACCHINE TERMICHE A COMBUSTIONE INTERNA
U.D. 35 - MOTORI ENDOTERMICI ALTERNATIVI –
Si definiscono macchine endotermiche o a combustione interna, quelle macchine in
cui il calore necessario ad ottenere il lavoro meccanico si sviluppa all’interno della
macchina stessa. A questa categoria appartengono i motori alternativi ad
accensione per scintilla (comunemente definiti a scoppio), i motori alternativi a
combustione graduale (motori diesel) e le turbine a gas. Vediamo prima le
caratteristiche principali ed il principio di funzionamento dei motori alternativi.
L’energia termochimica di un combustibile, combinandolo con l’ossigeno dell’aria
(bruciando) si trasforma in energia meccanica tramite la spinta che i prodotti della
combustione esercitano su un pistone che si muove, di moto alternativo, ed a tenuta,
all’interno di un cilindro. Il movimento alternativo del pistone viene convertito in
moto rotatorio e trasmesso all’albero motore tramite una biella ed una manovella.
Normalmente questi motori vengono classificati secondo:
- il sistema di accensione del combustibile (per scintilla – per compressione o diesel);
- il metodo di immissione del combustibile (a carburazione – a iniezione);
- il ciclo termodinamico seguito (motori a 2 tempi – motori a 4 tempi);
- il tipo di combustibile usato ( benzina – gasolio).
ELEMENTI CARATTERISTICI
Corsa C : distanza fra la posizione assunta dal pistone più vicina alla testa del
cilindro P.M.S. (punto morto superiore) e quella più lontana P.M.I: (punto morto
inferiore).
Alesaggio d : diametro interno del cilindro.
Cilindrata V : volume percorso dallo stantuffo durante la sua corsa
π · d2 · C
V = --------------4
si usa esprimerla in cm3 o litri
se il motore ha N cilindri la cilindrata totale sarà Vt = V · N
1
Rapporto di compressione ρ : rapporto fra volume totale del cilindro e volume della
camera di combustione
V+v
ρ = ---------dove V è la cilindrata e v il volume della
v
camera di combustione
per camera di combustione si intende il volume compreso
fra la testata (parte superiore del cilindro) e il pistone
quando questo si trova al P.M.S.
Numero di giri n : numero di rotazioni che l’albero motore compie nel tempo di
1 minuto primo.
Consumo specifico cs : consumo orario di combustibile per unità di potenza erogata.
Cicli termodinamici operativi
Si intende per ciclo operativo la serie di trasformazioni termodinamiche che compie il
fluido operante nel cilindro e che si ripete sempre uguale.
Il motore si dice a 2 tempi se tale ciclo si ripete ogni due corse del pistone che
corrispondono ad un giro dell’albero motore.
Si dice invece che il motore è a 4 tempi se il ciclo si compie durante quattro corse del
pistone che corrispondono a due giri dell’albero motore.
FUNZIONAMENTO DEI MOTORI ALTERNATIVI A SCOPPIO
Motori a 4 tempi
Prevalentemente impiegato per autovetture ed autocarri leggeri, segue il ciclo
termodinamico OTTO , formato da due adiabatiche e due isovolumiche:
p
1 – 2 adiabatica di compressione
2 – 3 isovolumica (scoppio)
3 – 4 adiabatica di espansione
4 – 1 isovolumica (scarico)
3
patm
2
4
0
1
v
il ciclo reale vede i passaggi da una trasformazione termodinamica all’altra più
graduale (tra le due non esiste un punto netto di separazione) e viene inoltre
completato da :
1–0 lavaggio del cilindro a pressione leggermente superiore a quella atmosferica
2
0–1 aspirazione con pressione interna al cilindro leggermente minore alla
pressione atmosferica.
candela
valvola
valvola
scarico
aspirazione
testata
v camera scoppio
P.M.S.
alesaggio d
corsa C
cilindro
V cilindrata
P.M.I.
tenute
pistone
biella
Aspirazione : il pistone si sposta dal P.M.S. al P.M.I. con la valvola di aspirazione
aperta, crea una leggera depressione “aspirando” la miscela aria – benzina (oppure
G.P.L. o metano) che riempie il cilindro. Fase 0 – 1 .
Compressione : il pistone si muove dal P.M.I. al P.M.S. assorbendo lavoro
meccanico dall’albero motore, aumenta la pressione della miscela. Fase 1 – 2 .
Scoppio ed espansione : poco prima che il pistone giunga al P.M.S. scocca la
scintilla della candela che fa esplodere la miscela creando pressoché istantaneamente
un forte aumento di pressione (fase 2 – 3) che spinge il pistone verso il P.M.I. mentre
i gas combusti si espandono (fase 3 – 4); in questa ultima fase il pistone, tramite la
biella – manovella cede lavoro meccanico all’albero motore (fase attiva) .
Scarico : quando il pistone ha eseguito la sua corsa di lavoro ed è giunto al P.M.I. si
apre la valvola di scarico e i gas combusti escono con un abbassamento improvviso di
pressione. Fase 3 – 4 . Il pistone torna poi al P.M.S. e con la valvola di scarico ancora
aperta esegue il lavaggio del cilindro. Fase 4 – 0 . A questo punto può iniziare un
secondo ciclo……….
Alcune precisazioni :
L’energia necessaria al movimento del pistone nelle fasi passive (aspirazione,
compressione e lavaggio) viene fornita dal “volano motore” che immagazzina in
energia cinetica parte del lavoro prodotto nella fase attiva (espansione) e la restituisce
durante le altre fasi.
3
L’apertura e la chiusura delle valvole, al momento opportuno, è comandata da
appositi organi della distribuzione (albero a camme, bilancieri, ecc.).
La miscela di aria e combustibile aspirata nel cilindro era formata, nella giusta
proporzione dal carburatore, nei motori moderni (iniezione elettronica) il
combustibile viene iniettato nel cilindro oppure nel condotto di aspirazione,
immediatamente prima della valvola di aspirazione, mediante iniezioni intermittenti
di benzina.
Motori a due tempi
In questi motori, generalmente di piccola cilindrata, usati molto nei ciclomotori, il
ciclo operativo si compie in due tempi :
candela
testata
v camera scoppio
cilindro
P.M.S.
alesaggio d
corsa C
scarico gas combusti
V cilindrata
P.M.I.
Immissione miscela
pistone
biella
basamento
primo tempo: esplodendo la miscela precedentemente compressa, il pistone spinto
dall’improvviso aumento di pressione ritorna verso il P.M.I. fornendo lavoro
all’albero motore tramite la biella e manovella; ad un certo punto della sua corsa
attiva scopre la luce di scarico ed i gas combusti vengono espulsi all’esterno, poi si
scopre la luce di alimentazione della miscela fresca contenuta nel basamento, che
essendo il leggera pressione completa l’operazione di lavaggio del cilindro. Fase
attiva.
secondo tempo: dal P.M.I. il pistone si muove verso i P.M.S. (assorbendo lavoro
all’albero motore) ed una volta che nel suo movimento ha chiuso le luci di alimento e
di scarico, inizia la compressione ( in questa fase si scopre anche la luce di
4
immissione dalla quale giunge nuova miscela a riempire il basamento ); a
compressione ultimata la candela innesca lo scoppio della miscela. Fase passiva.
MOTORI DIESEL A 4 TEMPI
I motori diesel si possono distinguere in funzione del numero di giri / minuto che
sviluppano : diesel lenti (meno di 500 giri / min) ; diesel medi (da 500 a 1200
giri /min) ; diesel veloci ( più di 1200 giri / min). Per l’autotrazione su strada si
usano i diesel veloci.
L’iniezione del gasolio si può avere diretta ed indiretta .
Diretta quando il combustibile viene iniettato direttamente nella camera di
combustione; indiretta quando viene iniettato in una precamera ricavata nella testata:
qui si ha una precombustione,di una parte di combustibile, che provoca un forte
aumento di pressione tale da proiettare il combustibile rimanente nella camera di
combustione. Nella precamera è installata una candeletta ad incandescenza che
consente di preriscaldare l’interno della precamera stessa per facilitare l’avviamento a
freddo.
Per il resto, il ciclo di funzionamento dei motori diesel ad iniezione indiretta è uguale
a quello dei motori ad iniezione diretta: ciclo Diesel .
p
2
3
1 – 2 adiabatica di compressione
2 – 3 isobara (scoppio)
3 – 4 adiabatica di espansione
4 – 1 isovolumica (scarico)
4
patm
0
1
v
il ciclo reale viene completato da:
1–0 lavaggio del cilindro a pressione leggermente superiore a quella atmosferica
0–1 aspirazione con pressione interna al cilindro leggermente minore alla
pressione atmosferica
Anche in questo caso, ricordiamo che, nel ciclo reale i passaggi tra una
trasformazione termodinamica e l’altra non è netta ma graduale.
5
CONFRONTO FRA I VARI TIPI DI MOTORI
Motori a benzina (ciclo Otto) e motori a gasolio (ciclo Diesel)
Nei cilindri del Diesel viene compressa solo aria e il rapporto di compressione può
essere molto elevato (da 14 a 22). Nei motori a benzina, per evitare una pre
accensione della miscela gassosa, si devono avere rapporti di compressione più bassi
(da 6 a 10). Di conseguenza il rendimento termico è maggiore nei Diesel e questo
comporta anche un minore consumo specifico.
Il motore a benzina è però meno sollecitato, più leggero, più brillante e veloce del
motore Diesel di pari cilindrata.
Motori a 2 e a 4 tempi
I motori a 2 tempi sono più semplici costruttivamente e quindi più economici
rispetto ai motori a 4 tempi ed a parità di potenza sviluppata sono anche più leggeri
e meno ingombranti.
Ma i motori a 2 tempi sono più sollecitati sia meccanicamente che termicamente,
sono più irregolari nel funzionamento ai bassi regimi di rotazione ed hanno più alti
consumi specifici.
Motori Diesel ad iniezione diretta e ad iniezione indiretta
Usando l’iniezione indiretta il combustibile può essere iniettato a pressioni
relativamente basse (da 80 a 100 bar) mentre con la iniezione diretta deve essere
elevata fino a valori intorno a 250 bar . I motori ad iniezione indiretta sono perciò
meno sollecitati e caratterizzati da un funzionamento più regolare e silenzioso.
Ma i Diesel ad iniezione diretta sono costruttivamente più semplici, si avviano più
facilmente e presentano consumi specifici più bassi.
RENDIMENTI
Il rendimento ideale (rendimento di Carnot), si può esprimere nel ciclo Otto:
(Q1 – Q2)
Cv (T3 – T2) – Cv (T4 – T1) (T3 – T2) – (T4 – T1)
ηc = ------------- = ----------------------------------- = ------------------------- =
Q1
Cv (T3 – T2)
(T3 – T2)
T4 – T1
1 - -----------T3 – T2
T1 ( T4/T1 – 1)
= --------------------- = 1 - ------------------1
T2 ( T3/T2 – 1)
per le trasformazioni adiabatiche 1-2 e 3-4 possiamo scrivere
V1 / V2 = T2 / T1
e
V3 / V4 = T4 / T3
6
Essendo V3 = V2
e
V4 = V1 si ha :
V1 / V2 = T2 / T1
;
V2 / V1 = T4 / T3
T2 / T1 = T3 / T4
T4 / T1 = T3 / T2 per cui il ηi diviene :
T1 ( T4/T1 – 1)
T1
ηi = 1 - ----------------------- = 1 - ----- = 1 - ( 1/ρ)K – 1
T2 ( T3/T2 – 1)
T2
Quindi il rendimento termico ideale del motore a scoppio che segue il ciclo Otto è :
ηc = 1 - ( 1/ρ)K – 1
dove
K = Cp / Cv è il rapporto tra il calore specifico del gas a pressione costante e
quello a volume costante;
ρ = rapporto di compressione.
Operando in modo analogo, per il ciclo Diesel , si ottiene:
R K–1
ηc = 1 - ( 1/ρ)K – 1 · -----------K (R - 1)
con R = rapporto di combustione a pressione costante ( rapporto fra il volume
occupato dal fluido al termine della fase di combustione a pressione costante e quello
occupato all’inizio della stessa fase).
ηc aumenta all’aumentare del rapporto di compressione ρ e, per i motori Diesel,
del rapporto di combustione R .
Il valore di K, e quindi del rendimento termico ideale, risulta maggiore per miscele
carburanti povere di combustibile.
7
C’è poi da considerare il rendimento indicato ηI dovuto allo scostamento tra ciclo
ideale e ciclo reale: è il rapporto fra lavoro utile reale e lavoro teorico (area del ciclo
reale e area del ciclo teorico sul piano p – v).
Infine il rendimento meccanico ηm , in quanto non tutto il lavoro erogato dal ciclo
risulta poi disponibile sull’albero motore, una parte notevole di questo lavoro viene
infatti assorbito dagli attriti, dagli organi ausiliari del motore, dal lavoro di
pompaggio, ecc.
Il rendimento totale del motore ηT è dato dal prodotto dei tre rendimenti :
ηT = ηc · ηI · ηm
Il valore del rendimento totale di un motore alternativo si aggira sul 25 …30% per i
motori a benzina e intorno al 35% per i Diesel.
Il basso valore del rendimento totale è dovuto in gran parte a ηc .
POTENZA INDICATA E POTENZA EFFETTIVA
Prendono il nome di grandezze indicate quelle grandezze fisiche misurate attraverso
trasduttori di pressione e di volume, istantanei, direttamente affacciati all’interno
della camera di combustione (indicato deriva il suo nome da tali strumenti detti
indicatori) .
La potenza sviluppata nei cilindri di un motore 4 tempi (potenza indicata) può
essere calcolata con:
Л d2
n
Ni = pmi · -------- · C · ------------ · Z
4
2 · 60
dove
pmi = pressione media indicata (quella pressione che supposta costante, per tutta la
corsa del pistone, produrrebbe un lavoro uguale a quello del ciclo indicato) in pascal;
d = alesaggio cilindro (in metri);
C = corsa pistone (dal P.M.I. al P.M.S.) in metri;
n = numero di giri al minuto del motore;
Z = numero di cilindri.
8
Mentre per un motore a due tempi si ha:
Л d2
n
Ni = pmi · -------- · C · ------ · Z
4
60
2
Лd
Ricordando che -------- · C · Z = V (cilindrata in m3) si può scrivere:
4
Ni = pmi · V · n / 120
potenza indicata motore 4 tempi
Ni = pmi · V · n / 60
potenza indicata motore 2 tempi
Ma essendo il rendimento meccanico il rapporto tra la potenza effettiva Ne
(sull’albero motore) e quella indicata (erogata dai cilindri), ηm = Ne / Ni si ottiene
:
Ne = ηm · Ni
Ponendo pme = pmi · ηm (pressione media effettiva) si può calcolare
direttamente la potenza effettiva erogata sull’albero del motore:
Ne = pme · V · n / 120
potenza effettiva motore 4 tempi
Ne = pme · V · n / 60
potenza effettiva motore 2 tempi
La potenza ottenibile dal motore per unità di cilindrata Ne / V è detta potenza
specifica.
CURVE CARATTERISTICHE DI UN MOTORE ALTERNATIVO
Vengono denominate curve caratteristiche i diagrammi che rappresentano
l’andamento della potenza, della coppia motrice e del consumo specifico in
funzione del numero di giri dell’albero motore.
La coppia motrice (detta anche momento motore) Mt , corrisponde allo sforzo
istantaneo che l’albero motore può compiere, si misura in N · m .
9
Cs
Pe
Cs
g/Kwh
Kw
Pe
Mt
Mt
N·m
1000 2000 3000 4000 5000 6000
giri/min
La potenza aumenta all’aumentare del numero di giri fino ad un valore massimo oltre
il quale si ha una brusca caduta dovuta alla forte diminuzione del rendimento .
La coppia massima si ha a numeri di giri basso per i Diesel, medio per i motori a
benzina; inoltre per i Diesel risulta maggiormente piatta (più costante al variare del
regime di marcia).
Il consumo specifico di carburante ( grammi / Kw ora erogati) è maggiore sia a
numero di giri molto basso che a regimi molto alti.
spaccato di motore alternativo
10
U.D. 36 - COMBUSTIBILI PER MOTORI –
ESIGENZE DEI MOTORI A COMBUSTIONE INTERNA
•
•
•
•
•
•
•
•
La reazione di ossidazione con l’ossigeno dell’aria deve essere veloce;
liberando la maggior quantità di energia termica possibile;
senza lasciare eccessivi residui e produrre sostanze tossiche;
se la miscelazione avviene prima di entrare nel cilindro, il combustibile deve
evaporare il più rapidamente possibile formando miscele omogenee;
se la miscelazione avviene dentro il cilindro bisogna che il combustibile sia
di facile evaporazione e miscelamento con l’aria compressa;
devono essere di facile reperibilità, stoccaggio e trasporto;
devono essere disponibili i abbondanza;
devono avere basso costo.
COMBUSTIBILI ATTUALMENTE UTILIZZATI
Circa il 98% sono combustibili liquidi distillati del petrolio.
Tra quelli gassosi i più importanti sono il metano (gas naturale) ed il GPL (gas di
petrolio liquefatto, propano + butano).
Benzina il più leggero (distilla tra i 20 °C e i 200°C)
Cherosene leggero (distilla tra i 170°C e i 200°C –usato nei turbo reattori)
Combust.
Liquidi
Gasolio media massa volumica (distilla tra i 180°C e i 360°C)
Olio combustibile pesante (distilla tra 200°C e 390°C –usato nei grandi
Diesel e negli impianti industriali)
Detonazione nei motori a benzina
La capacità di un combustibile di resistere alla detonazione (preaccensione dovuta
alla pressione) è uno degli aspetti più importanti al livello motoristico.
Combustibili di riferimento
iso-ottano molto resistente alla detonazione
(valore attribuito 100)
normal-eptano poco resistente alla detonazione
(valore attribuito 0 )
Resistenza alla detonazione di un combustibile:
si misura con il numero di ottano (NO) , definito come il numero intero più vicino
alla percentuale in volume di una miscela di iso-ottano e normal-eptano con
equivalenti caratteristiche antidetonanti (il confronto viene effettuato su un motore
secondo una metodologia normalizzata).
11
Per migliorare le caratteristiche antidetonanti:
• scelta di opportuni idrocarburi
• miscelazione con prodotti ad elevato NO
• aggiunta di additivi antidetonanti (come il piombo ormai eliminato per i suoi
prodotti tossici)
Detonazione nei motori Diesel
Nei motori ad accensione per compressione, dovendo garantire tempi di ritardo
all’accensione brevissimi, bisogna operare in maniera opposta rispetto ai benzina,
garantendo una elevata “accendibilità”.
Cetano (valore accendibilità 1 )
Idrocarburi di riferimento
Isocetano (valore accendibilità 15 )
Numero di cetano (NC) : indice del grado di accendibilità, è definito in base alla
composizione in % della miscela di cetano – isocetano provata sul motore
normalizzato (Diesel) con medesimo tempo di ritardo all’accensione.
NC = Cetano % + 0,15 isocetano %
I gasoli utilizzati nei Diesel devono avere :
• buona volatilità, che condiziona l’evaporazione in C.d.C. (camera di
combustione) e quindi la miscelazione con l’aria;
• viscosità limitata, per garantire la necessaria nebulizzazione in C.d.C. ma
tale da garantire anche una buona lubrificazione;
• buona filtrabilità, onde evitare che alle basse temperature si otturi il filtro
del combustibile, necessario per separare i cristalli di paraffina.
Il petrolio greggio, da cui si ricavano benzine e gasoli, contiene anche zolfo che deve
essere molto contenuto se non eliminato del tutto, perché favorisce i depositi in
C.d.C: e forma anidride solforosa che aumenta l’acidità dei gas di scarico favorendo
la corrosione e l’usura oltre che inquinamento.
12
CARBURATORE ELEMENTARE
Organo con il compito di:
• dosare la quantità di combustibile per ottenere il migliore rapporto di miscela
per ogni situazione;
• favorire la miscelazione e l’evaporazione che si completerà poi nel condotto a
monte della C.d.C.
per soddisfare tutte le esigenze il carburatore è diventato un organo sempre più
complesso, ma il funzionamento di base è il medesimo, cioè sfrutta la pressione
dell’aria richiamata dal pistone per pressurizzare la vaschetta a livello costante
contenente il carburante e depressurizzare la sezione ristretta del condotto di
passaggio così da richiamare il carburante.
Organi essenziali:
- diffusore: ugello convergente – divergente che crei la depressione giusta
e che non provochi eccessive perdite di carico a piena potenza;
- polverizzatore: condotto che porta il carburante dalla vaschetta alla
sezione ristretta del diffusore;
- vaschetta: dove il livello del carburante è mantenuto costante da un
galleggiante che chiude una valvola conica mantenendo costante il
carico idrostatico sul getto;
- valvola a farfalla: non fa proprio parte del carburatore ma posta a valle
del diffusore strozza il condotto di aspirazione regolando il carico al
motore
aria
carburante
vaschetta
presa di pressione
galleggiante
diffusore
valvola a farfalla
nebulizzatore
miscela
13
I problemi del carburatore elementare sono principalmente tre:
- col motore al minimo, quindi con valvola a farfalla quasi chiusa, si ha
una differenza di pressione insufficiente per richiamare il combustibile e
per ovviare a questo si utilizza il cosiddetto “circuito del minimo” che
garantisce un apporto di combustibile anche a basso numero di giri;
- la miscela tende ad arricchirsi proporzionalmente al grado di apertura
della valvola a farfalla, tendendo a valori eccessivi a valvola
completamente aperta, per questo si possono utilizzare due sistemi
correttivi: ad aria antagonista (il dispositivo premiscela con l’aria il getto
di carburante abbassandone così il rapporto), getto compensatore (parte
del getto di carburante viene raccolto in una seconda vaschetta e perciò
non va ad arricchire troppo la miscela)
- difficoltà a seguire i bruschi cambiamenti di regime in quanto l’inerzia
del combustibile liquido è maggiore di quella dell’aria; per ovviare a
questo problema viene utilizzata la cosiddetta “pompa di ripresa”
(polpetta ad ingranaggi che azionata automaticamente a seguito di
brusche aperture della valvola a farfalla, fornisce un getto aggiuntivo di
carburante).
Se un unico carburatore alimenta più cilindri si verifica che le particelle spray, di
maggiore dimensione, del combustibile nebulizzato, tendono a prendere la via più
dritta e vanno ad arricchire la miscela dei cilindri frontali lasciando gli altri con
miscela povera.
Per ovviare a questo problema si utilizzano più carburatori monocordo oppure un
solo carburatore pluricorpo (più semplice dato che l’alimentazione viene fornita da
una sola vaschetta a tutti i corpi del carburatore). Nel caso di carburatore pluricorpo si
usano più farfalle sincrone (si aprono simultaneamente ed ognuna alimenta più gruppi
di cilindri) oppure farfalle differenziate (si aprono in momenti diversi ed ognuna
alimenta un solo gruppo di cilindri).
carburatore a doppio corpo
14
IMPIANTI INIEZIONE BENZINA
Nonostante il carburatore si sia molto evoluto, presenta limiti evidenti:
- eccessive perdite di carico in aspirazione
- eccessive inerzie del carburante nei suoi circuiti
- incapacità a seguire istante per istante tutte le variazioni di
funzionamento fornendo sempre la miscelazione ottimale.
Il sistema ad iniezione:
• migliora la potenza specifica del motore
• segue costantemente la dinamica di tutti i transitori potendo agire
su piccole quantità di carburante
• fornisce sempre la dosatura ottimale grazie alla valutazione di tutti
i parametri in gioco
• garantisce migliore qualità dei gas di scarico (brucia meglio il
combustibile) e perciò riduce anche i consumi
• possibilità di impiego di combustibili con minore NO perché si
riducono i tempi a disposizione per le rezioni
di contro
• minore omogeneizzazione della carica
• maggiori costi d’impianto
• maggiori complessità e quindi più problemi di assistenza e messa a punto.
I sistemi di iniezione possono classificarsi in base a:
iniezione diretta (nella camera di combustione)
POSIZIONE
Iniezione indiretta (nel collettore di aspirazione)
NATURA
Iniezione meccanica (una pompa azionata dal motore mette in
pressione il carburante e lo dosa spruzzandolo
attraverso un iniettore ad apertura automatica)
Iniezione elettronica (il tutto gestito da un controllore elettronico)
Iniezione multipoint (ogni condotto è alimentato da un singolo
iniettore)
DISTRIBUZIONE
Iniezione monopoint (un solo iniettore agisce sul condotto
principale prima delle diramazioni ai cilindri)
15
Iniezione continua ( l’iniettore inietta sempre, per ¾ del tempo il
carburante viene accumulato e per ¼ entra direttamente)
FASATURA
Iniezione intermittente
Simultanea (tutti gli iniettori funzionano
insieme e richiede un solo controllore)
Sequenziale (iniettori azionati in successione con ordine prefissato)
Ad anello aperto (dosature basate solo sulla misura della portata di
Aria e sui parametri motoristici, senza retroazione)
REGOLAZIONE
Ad anello chiuso (controllo in retroazione valutando continuamente
(con sonda lambda)
il rapporto di miscela ottenuto
dall’analisi dei gas di scarico)
SONDA LAMBDA
Costituita da due elettrodi di platino spugnoso separati da un elettrolito solido, quello
esterno è protetto da uno strato di ceramica porosa per proteggerlo dalla aggressività
dei gas di scarico. La sonda è inserita nel condotto di scarico del motore.
L’iniezione indiretta è la migliore perché omogeneizza meglio la carica di miscela e
sottopone l’iniettore a minore stress termico oltre a necessitare di pressioni di
iniezione minori.
schema centralina elettronica
16
U.D. 37 - TURBINE A GAS
La turbina a gas è una macchina motrice endotermica a combustione graduale che
possiamo schematizzare nel modo seguente:
combustibile
2
camera di combustione
3
motore di lancio
turbina
compressore
1
aspirazione aria
4
scarico gas
combusti
essa è costituita da un compressore, mosso dall’albero della turbina stessa ed alla
quale sottrae un 30 – 40% del lavoro utile, il quale comprime aria da inviare alle
camere di combustione poste circolarmente attorno all’asse (nello schema ne è
rappresentata solo una) dove viene iniettato in modo continuativo la giusta portata di
combustibile. I gas derivati dalla combustione, ad alta pressione e temperatura,
attraversano le giranti della turbina espandendosi e cedendo la loro energia che viene
trasformata in lavoro utile sull’asse.
Il ciclo termodinamico teorico seguito è il ciclo Brayton :
Q1
p
2
3
1-2 adiabatica di compressione
(solo aria)
2-3 isobara (combustione graduale)
3-4 adiabatica di espansione
(i gas combusti attraversano la turbina)
4-1 isobara (scarico gas)
a pressione atmosferica
1
4
Q2
v
Il ciclo termodinamico è molto simile a quello seguito dai motori Diesel : anche qui si
ha alte compressioni di sola aria, combustione graduale (teoricamente a pressione
17
costante), ma mentre nel Diesel la combustione è a fasi alternate, nel Brayton è
invece continuativa.
Questa differenza di funzionamento porta a livelli di temperature molto più elevati
nelle camere di combustione della turbina a gas che non nei cilindri del motore
alternativo.
Affinché la temperatura non raggiunga valori tali da compromettere la stabilità
meccanica dei materiali metallici delle camere di combustione, e successivamente
anche delle palettature della turbina, si aumenta notevolmente la quantità di aria
iniettata in modo da “raffreddare” la combustione stessa.
TURBINE A RIGENERAZIONE
Osservando il ciclo Brayton teorico, vediamo che il calore speso Q1 viene fornito
lungo la linea a pressione costante 2-3 mentre lungo la 4-1 si cede all’ambiente
esterno la quantità di calore Q2 che è da considerare perduta.
Per migliorare il rendimento ideale si utilizza il calore residuo dei gas spillati dalla
turbina a temperature di 450 – 500°C per preriscaldare l’aria all’uscita del
compressore, prima che essa giunga nelle camere di combustione. In questo modo si
può diminuire il lavoro assorbito dal compressore ed aumentare il lavoro utile
sviluppato dalla turbina.
combustibile
4’
scarico gas
camera di combustione
2
2’
3
motore di lancio
turbina
compr.
1
aspirazione
4
aria
gas combusti
scambiatore
Il ciclo termodinamico a recupero di calore detto anche a rigenerazione, rappresentato
nel piano T – S (temperatura – entropia) diviene:
T
Q1
3
2’
4
2
4’
1
Q2
S
18
CARATTERISTICHE COSTRUTTIVE
La turbina a gas, concettualmente, non differisce molto dalla turbina a vapore, ma la
diversità del fluido operante porta ad una maggiore semplicità costruttiva e
compattezza della macchina a gas.
La turbina a gas presenta:
• una maggiore portata volumetrica di gas, a parità di potenza, che consente di
eliminare i salti di velocità caratteristici delle turbine a vapore;
• minore salto di entalpia e quindi non è necessario ricorrere a troppe corone di
palettature;
• minore variazione del volume specifico del gas rispetto al vapore;
la turbina a gas risulta perciò costruttivamente meno complessa ed in genere è del
tipo a reazione in quanto il salto entalpico è relativamente modesto.
L’avviamento avviene tramite un motore di lancio che azionando il compressore, a
turbina inattiva, fornisce il comburente alla giusta pressione nelle camere di
combustione, a regime il motore viene disattivato.
Il modo più semplice per regolare la potenza erogata dalla turbina è quello di agire
sulla quantità di combustibile inviato alle camere di combustione ma, se a questo non
si aggiunge anche una regolazione della quantità d’aria inviata dal compressore si
altera il rapporto aria/combustibile a scapito del rendimento.
Per quanto riguarda sia l’espressione del rendimento sia il calcolo della potenza,
valgono tutte le considerazioni già fatte per le turbine a gas.
19
MODULO 10
IMPIANTI A VAPORE D’ACQUA
U.D. 38 - IL VAPORE D’ACQUA –
p
A A’
A’’
po
v
vo
v’’
Il punto A rappresenti nel piano p-v (pressione – volume specifico) lo stato fisico
di 1 Kg di acqua alla pressione atmosferica ed alla temperatura di 0°C ; si
supponga di somministrare ad esso, in modo graduale, del calore, mantenendo
sempre costante la pressione.
L’ascissa del punto A rappresenta in questo caso il volume del Kg di acqua nelle
condizioni di partenza vo (circa 0,001 m3/Kg) molto piccolo ed ancora più piccola è
la sua variazione dovuta alla dilatazione del Kg di acqua durante il riscaldamento da
0°C alla temperatura di 100°C (temperatura di ebollizione alla pressione atmosferica
normale).
Continuando a somministrare calore, inizia la vaporizzazione, durante la quale il
liquido si trasforma gradualmente in vapore, assorbendo calore latente mentre la sua
pressione e la sua temperatura restano costanti finchè tutta l’acqua non si è
trasformata in vapore saturo secco, punto A’’.
Al punto A’’ tutto il Kg di acqua è divenuto vapore alla stessa pressione po = 1 bar
ed alla stessa temperatura di inizio ebollizione Te = 100 °C ma il suo volume è
aumentato moltissimo ( v’’) . Per chiarezza di rappresentazione non si sono rispettate
le proporzioni della rappresentazione grafica, in quanto v’’ è circa 1600 volte vo .
Ogni punto interno al segmento A’ – A’’ rappresenta una miscela di acqua e vapore,
miscela che viene definita vapore umido, la sua temperatura e la sua pressione sono
sempre le stesse ma la quantità di vapore presente in questa miscela varia da 0 punto
A’ a 1 punto A’’ :
la quantità di vapore presente nel Kg di miscela prende il nome di titolo di
vapore e lo indichiamo con X , ad esempio :
X=0,5 metà è vapore e metà acqua;
X=0,8 l’80% è vapore ed il 20% acqua
20
naturalmente X=0 corrisponde a tutta acqua (inizio ebollizione) e X=1 tutto
vapore (fine ebollizione) corrispondente al vapor saturo secco.
Se continuiamo a somministrare calore oltre il punto A’’ il volume del vapore
continua ad aumentare anche se in misura molto inferiore a quanto è avvenuto
durante l’ebollizione e cosa più importante riprende ad aumentare la temperatura.
Oltre il punto A’’ l’aeriforme viene definito vapore surriscaldato e tenderà alle
caratteristiche di un gas perfetto quanto più ci si allontanerà dalla temperatura di
ebollizione Te.
Ripetendo il processo di somministrazione di calore al Kg di acqua a pressioni
diverse si ottengono gli stessi fenomeni fisici ma con alcune variazioni:
• il segmento A – A’ andrà aumentando leggermente – il Kg di acqua si dilata
di più durante il riscaldamento perché si dovrà scaldare fino a temperature
maggiori (la Te sale all’aumentare della pressione);
• il segmento A’ – A’’ diminuisce – conseguenza del fatto che il vapore che si
forma durante l’ebollizione se è sottoposto a pressione maggiore, essendo
comprimibile, occupa meno spazio;
• esiste un valore di pressione, detto pressione critica, in corrispondenza del
quale il passaggio dallo stato liquido allo stato di vapore avviene in modo
istantaneo, senza passaggio graduale (senza ebollizione), come una specie di
“esplosione” – per questo le caldaie dove avviene l’ebollizione dovranno
lavorare sempre a pressioni inferiori a quella critica - .
La pressione critica per l’acqua è di 221,20 bar a cui corrisponderebbe una
temperatura critica di 374,15 °C .
Se nel grafico p – v rappresentativo delle trasformazioni termodinamiche del Kg di
acqua, uniamo i punti corrispondenti dello stato fisico del fluido alle diverse
pressioni, otteniamo il diagramma completo del vapor d’acqua:
p
• Pcr.
E
E’
D D’
C C’
B B’
A A’
E’’
D’’
C’’
B’’
A’’
po
x=0
x=0,4
x=0,6 x=0,8
x=1
v
vo
v’’
21
Le due curve limite inferiore X=0 e limite superiore X=1 che si uniscono nel
punto critico Pcr suddividono nel piano p – v gli stati fisici del fluido:
curva limite inferiore
p
• Pcr. curva limite superiore
vapore surriscaldato
acqua
acqua + vapore
(vapore umido)
vapore saturo secco
po
x=0
x=0,4
x=0,6 x=0,8
x=1
v
isotitolo (titolo costante)
Se lo stesso procedimento, con i medesimi significati fisici, lo rappresentiamo nel
piano T – S (temperatura – entropia) otteniamo:
T (°K)
Pcr
Tcr.
P=cost
P=cost T=cost
T=cost
273°K
x = cost
S (Kj/Kg°K)
Ma anche nel diagramma entropico non è possibile rilevare direttamente la quantità
di calore posseduta dal Kg di fluido nei vari stadi della trasformazione, che per
l’acqua coincide praticamente con il valore di entalpia, per questo nasce la necessità
di rappresentare le curve nel piano I – S (entalpia – entropia) conosciuto con il nome
di Diagramma di Mollier per il vapore d’acqua.
22
Diagramma di Mollier per il vapor d’acqua
Se, ad esempio, un vapore surriscaldato, si trova nelle condizioni di 1bar di pressione
e 220°C di temperatura (punto A) la sua entalpia vale circa 2900 Kj / Kg e se esso
viene fatto espandere adiabaticamente (quindi ad entropia costante) fino alla
pressione di 0,1 bar (punto B) a cui corrisponde un valore di entalpia di circa
2375 Kj / Kg , ogni Kg di vapore ha lasciato nella macchina dove è avvenuta
l’espansione (ad esempio una turbina) una energia pari a 525 Kj .
Se la macchina viene attraversata da una portata massica di 10 Kg / s di vapore
riceve 525 ٠ 10 = 5250 Kw di potenza che, a meno del rendimento, essa trasformerà
in potenza meccanica sul suo asse.
Dal diagramma di Mollier possiamo anche vedere che:
- la temperatura di ebollizione dell’acqua ad 1 bar di pressione assoluta è
100°C
- la temperatura di ebollizione a 6 bar è invece circa 160 °C
- la temperatura di ebollizione a 20 bar risulta circa 215°C
e così via………. (i valori di temperatura si leggono dove le rispettive isobare
incrociano la curva limite superiore).
Il diagramma di Mollier risulta molto utile nel calcolo e nel controllo di impianti a
vapore.
23
U.D. 39 - GENERATORI DI VAPORE –
Si definisce generatore di vapore un insieme di organi che servono a produrre calore
e a trasferirlo al fluido che deve essere riscaldato e vaporizzato.
Il vapore d’acqua fu utilizzato inizialmente soprattutto per il funzionamento delle
motrici a vapore. Fu in pratica l’uso del vapore che rese possibile la trasformazione
dell’energia termica in energia meccanica, avviando così il moderno processo di
trasformazione industriale.
Negli impianti di notevole potenza, il vapore serve ancora per ottenere energia
meccanica, soprattutto per la ulteriore generazione di energia elettrica. Negli impianti
di piccole e medie dimensioni è però soltanto un valido veicolo del calore
(termovettore) necessario nei processi industriali (cilindri essiccatori delle cartiere,
radiatori per riscaldamento di grandi ambienti, apparecchi di cottura e sterilizzazione
di industrie conserviere, ecc.).
Gli elementi che caratterizzano un generatore di vapore sono:
• Potenza - quantità di vapore prodotto in un’ora, in Kg / h oppure ton / h
• Potenza specifica - rapporto tra la potenza e la superficie di riscaldamento, in
Kg / m2 h
• Pressione di bollo - pressione massima effettiva di funzionamento regolare del
generatore, in bar (tale valore è rilevabile sia sul libretto matricolare
dell’apparecchio, sia sulla targa di cui è dotato)
• Pressione di esercizio – è la pressione, sempre inferiore o al limite uguale a
quella di bollo, alla quale in pratica viene fatto funzionare il generatore
• Superficie di riscaldamento - è la superficie in m2 dello scambiatore lambita
da un lato dai fumi e dall’altro dall’acqua (viene misurata dalla parte esposta ai
fumi)
• Carico termico superficiale e volumetrico della camera di combustione - è il
rapporto tra la quantità di calore sviluppata nella camera di combustione
nell’unità di tempo e rispettivamente la superficie o il volume della stessa, si
misura in W / m2 e W / 3
• Rendimento – è il rapporto tra il calore trasmesso al fluido e il calore
sviluppato dalla combustione
• Indice di vaporizzazione - è il rapporto tra la massa di vapore prodotto e la
massa di combustibile bruciato nello stesso tempo; rappresenta i Kg di vapore
che si ottengono dalla combustione di un Kg di combustibile.
24
CLASSIFICAZIONE DEI GENERATORI DI VAPORE
Si usa distinguere i generatori in base alle caratteristiche essenziali che si intendono,
di volta in volta, mettere in evidenza:
fissi – non possono essere spostati
modo di installazione
semifissi - monoblocco eventualmente spostabili
mobili – locomotive, propulsori delle navi
bassa pressione - fino ad 1 bar
media pressione – da 1 a 15 bar
pressione di bollo
alta pressione – da 15 a 100 bar
altissima pressione – oltre 100 bar
combustibile usato
solido - in pezzatura o polverizzato
liquido
gassoso
volume acqua contenuto
grande – da 130 a 250 litri d’acqua per m2 di superficie riscaldata
medio - da 70 a 130 litri d’acqua per m2 di superficie riscaldata
piccolo - meno di 70 litri di acqua per m2 di superficie riscaldata
a tubi di fumo – l’acqua bagna l’esterno dei tubi, dentro i fumi
percorso dei fumi
a tubi d’acqua – l’acqua passa all’interno dei tubi, fuori i fumi
c.comb. in depressione – tiraggio naturale o forzato
pressione camera di combustione
c.comb. in pressione – alimento con aria compressa
movimentazione dell’acqua
circolazione naturale – dovuta alla variazione densità con la
temperatura
circolazione assistita – aiutata con pompe per compensare le
perdite idrauliche nei tubi
circolazione forzata – acqua pompata nel generatore
25
PARTI COSTITUENTI UN MODERNO GENERATORE DI VAPORE
Sono molte le soluzioni adottate nella realizzazione dei generatori di vapore, ognuna
di queste presenta caratteristiche tecniche diverse, diversa disposizione degli elementi
costitutivi, peculiarità riconducibili allo specifico utilizzo a cui la macchina è
destinata. Non si intende riportare qui un elenco di nomi, schemi vari e caratteristiche
di impianto, consultabili peraltro sulla vasta letteratura tecnica facilmente reperibile,
ma cercare di sintetizzare in un esempio più possibile semplice e di facile
assimilazione, come è fatto un generatore di vapore.
camino
vapore
surriscaldato
P
acqua di alimento
dal gruppo pompe
S surriscaldatore
S
fumi
filtro
B
fumi
P preriscaldatore acqua
(economizzatore)
B bollitore
aria
Pa
camera
comb.
Pa preriscaldatore aria
comburente
combustibile
I componenti principali sono quindi i quattro scambiatori di calore:
• Il preriscaldatore d’acqua che porta l’acqua di alimento ad una temperatura di
poco inferiore a quella di ebollizione
• Il bollitore dove avviene il passaggio di stato ed esce vapore saturo secco
• Il surriscaldatore dove il vapore viene portato ad una temperatura superiore a
quella di ebollizione ed esce quindi vapore surriscaldato
• Il preriscaldatore d’aria dove l’aria comburente viene preriscaldata prima di
essere inviata in camera di combustione, ciò migliora la combustione.
Questi apparecchi, oltre naturalmente alla camera di combustione stessa, sono
racchiusi in un involucro (mantello) coibentato.
I moderni generatori, a piccolo e piccolissimo volume d’acqua, lavorano a pressioni
molto elevate (100 – 150 bar) in quanto l’aumento di pressione in caldaia porta ad un
26
incremento del lavoro utile uttenuto dal ciclo termodinamico e quindi ad un maggior
rendimento.
In questi casi il contenuto di acqua all’interno della caldaia è veramente poco e se
improvvisamente, per un fermo improvviso della pompa di alimento, venisse a
mancare il flusso continuo di liquido, le conseguenze sarebbero disastrose: in pochi
secondi le tubazioni degli scambiatori si arroventerebbero fino a perdere le loro
caratteristiche di tenuta alle alte pressioni interne ed il generatore esploderebbe con
effetti devastanti sia sul sito che soprattutto sugli operatori presenti.
Per evitare che questo possa accadere, l’alimentazione deve essere garantita da
almeno tre pompe indipendenti installate in parallelo ed azionate da motori che
sfruttano fonti di energia diverse, in modo che se una (o al limite due) di queste si
fermano per guasto o mancata alimentazione, c’è l’altra che può comunque garantire
un sufficiente flusso di liquido e permettere uno spegnimento in sicurezza del
generatore.
Particola cura deve essere inoltre riservata alla depurazione dell’acqua, in quanto
l’alta pressione favorisce la formazione di incrostazioni calcaree e corrosioni che
danneggerebbero gli scambiatori.
RENDIMENTO DEL GENERATORE
Il rendimento ηg può essere calcolato in due modi:
con la variazione di entalpia
Iv = entalpia del vapore prodotto (ricavabile dal diagramma di Mollier in funzione del
valore di pressione e temperatura del vapore in uscita dal generatore) [ in Kj / Kg ]
Ia = entalpia acqua di alimento (calcolabile in funzione della temperatura Ta
dell’acqua mandata dal gruppo pompe Ia = Ta · 4,186 [Kj / Kg] )
Gv = portata massica vapore prodotto [ in Kg /s o ton / h ]
Gc = portata massica combustibile bruciato [ in Kg /s o ton / h ]
Pci = potere calorifico inferiore del combustibile [ in Kj / Kg ]
ηg = Gv ( Iv – Ia ) / Gc · Pci
27
con il conteggio delle singole perdite di energia
n = perdite al mantello (perdite di calore attraverso l’involucro esterno)
valore mediamente compreso tra l’1 e il 2% quindi n=0,01 fino a n=0,02
ε = perdite per carbonio incombusto (dovute alla mai perfetta combustione)
varia molto in funzione del tipo di combustibile bruciato ε = 0,85 …0,98
Pci = potere calorifico inferiore del combustibile bruciato
Mf = massa dei fumi sviluppati dalla combustione di 1 Kg di combustibile
Mf = 1 + Ap dove Ap sono i Kg di aria pratica necessaria alla
combustione del Kg di combustibile
Cf = calore specifico medio dei fumi alla temperatura di uscita dal camino
circa 1,05 Kj / Kg °C ( circa ¼ di quello dell’acqua)
Tf = temperatura media fumi in uscita dal camino
Taria = temperatura dell’aria comburente (temperatura media ambiente esterno)
(1-n) · [ ε ·Pci - Mf · Cf (Tf – Taria) ]
ηg = ---------------------------------------------------Pci
1 – n tiene conto della parte di energia sviluppata dalla combustione di 1 Kg di
combustibile che viene perduta per trasmissione attraverso il mantello
ε · Pci tiene conto dell’energia persa per cattiva combustione di quel Kg di
combustibile
Mf · Cf (Tf – Taria) chiamata perdita per calore sensibile al camino tiene conto del
calore perduto in quanto i fumi vengono espulsi al camino a temperature sempre e
comunque superiori a quella dell’aria esterna.
Col tiraggio forzato questa perdita diminuisce perché i fumi possono essere espulsi a
temperature inferiori, ma sempre sopra i 100 °C per non creare condensa acida e
danneggiare la caldaia.
28
STRUMENTI ACCESSORI
Ogni generatore, per legge, deve essere provvisto di strumenti di controllo e
apparecchiature di sicurezza tali da assicurare un funzionamento regolare e per
quanto più possibile sicuro:
• due indicatori di livello che permettano all’operatore di tenere sotto costante
controllo il livello di liquido all’interno del collettore di ingresso al bollitore;
• due valvole di sicurezza, tarate a pressione di poco superiore a quella di bollo,
in modo da scaricare in atmosfera il vapore se per qualche anomalia la
pressione sale oltre il limite previsto;
• due manometri indicanti la pressione di esercizio istante per istante e riportanti
il valore di bollo da non superare mai;
• uno o più rubinetti di spurgo per la pulizia periodica dei fanghi e l’estrazione
dell’acqua per l’analisi chimica giornaliera.
Oltre a questi apparecchi previsti per legge, sui generatori possiamo sempre trovare
altri manometri per indicare la pressione del combustibile, dell’aria comburente e
termometri che misurano le temperature di ebollizione, di surriscaldamento, di
alimento, ecc. .
Ci sono poi gli scambiatori di calore che abbiamo già evidenziato: l’economizzatore,
il bollitore, il surriscaldatore e, nei generatori di vapore più importanti, il
preriscaldatore d’aria.
Questi apparecchi possono essere dimensionati con le relazioni matematiche che già
abbiamo utilizzato nella trattazione degli scambiatori di calore equi e controcorrente:
W = K · S (T1m – T2m)
W = Pm· Cs · ( Ti – Tu)
dove
W potenza in watt dell’apparecchio
K coefficiente globale di scambio in w/m2°K
S superficie di scambio in m2
T1m temperatura media del fluido caldo
T2m temperatura media del fluido freddo
Pm portata massica di uno dei due fluidi in Kg/s
Cs calore specifico del fluido in j / Kg°K
Ti temperatura di ingresso del fluido
Tu temperatura di uscita dello stesso fluido
Ma se lo scambiatore che stiamo calcolando è il bollitore, così come avviene in
qualsiasi altro caso in cui si ha un passaggio di fase (qui il liquido diventa vapore), la
temperatura del fluido che riceve calore resta costante, quindi T2m = T2 = Te
(temperatura di ebollizione alla pressione di esercizio del generatore).
E la relazione W = Pm· Cs · ( Ti – Tu) non può essere usata per il fluido in
passaggio di stato in quanto Ti – Tu è in questo caso = 0 . Il calore fornito è calore
latente.
29
U.D. 40 - IL TIRAGGIO –
Possiamo definire tiraggio il modo in cui vengono evacuati i prodotti della
combustione permettendo così a nuova aria comburente di entrare nella camera dove
continua a bruciare combustibile.
Il tiraggio può essere naturale o artificiale:
il tiraggio naturale avviene in quanto i prodotti della combustione, essendo a
temperatura molto più alta dell’aria esterna, sono più leggeri e se la canna fumaria è
abbastanza alta, si crea una differenza di pressione sufficiente a spingerli via verso
l’alto richiamando nuova aria che entra naturalmente in camera di combustione
p atm U
pressione atmosferica
alla sezione uscita camino
H
pi
p atm U + γf · H
pressioni alla sezione
ingresso camino
pi
aria
fumi
Δp tiraggio = pi
p atm U + γa · H
- pi = p atm U + γa · H - p atm U – γf · H = H (γa – γf)
Quindi la differenza di pressione che determina il tiraggio naturale è data da:
H (γa – γf)
altezza canna fumaria H per la differenza tra il peso specifico dell’aria γa e
quello medio dei fumi γf.
Il tiraggio aumenta se:
• la canna fumaria ha altezza elevata H
• peso specifico aria esterna alto (aria fredda)
• peso specifico fumi basso (fumi in uscita molto caldi)
per un buon tiraggio naturale i fumi devono avere temperature medie, alla canna
fumaria, di almeno 230 ….240 °C.
Questo comporta però una notevole perdita di calore sensibile al camino con
conseguente abbassamento del rendimento, perciò si utilizza il tiraggio artificiale.
30
Il tiraggio artificiale si può realizzare sia soffiando aria dentro la camera di
combustione mediante un ventilatore (tiraggio forzato) oppure aspirando i prodotti
della combustione con il ventilatore collocato dentro la canna fumaria (tiraggio
aspirato) .
Nel caso del tiraggio forzato la camera di combustione si verrà a trovare a pressione
superiore a quella atmosferica e questo può comportare pericoli di “ritorni di
fiamma” verso l’esterno. In caso di apertura di sportelli di ispezione da parte
dell’operatore , egli si ritroverebbe investito dalla fiamma.
Il tiraggio aspirato dal punto di vista della sicurezza è senz’altro preferibile, in quanto
la camera di combustione si trova a lavorare in depressione, l’aria entra appunto
richiamata dalla depressione che si crea e la fiamma non uscirà mai verso l’esterno,
anche nel caso di aperture per ispezioni durante il funzionamento. Ma il ventilatore è
sottoposto a notevole usura a causa sia dell’alta temperatura dei fumi che lo
attraversano che del polverino in essi contenuto.
Si rimedia in buona parte a questi inconvenienti adottando il tiraggio indotto:
il ventilatore è collocato esternamente al camino ed aspira solo una parte dei fumi che
poi invia a pressione più elevata in una sezione ristretta posta a valle della stessa
canna fumaria dove, per “effetto Venturi” , essi esercitano una azione di risucchio
sulla massa totale dei fumi.
sezione
ristretta
ventilatore
fumi
canna fumaria
- tiraggio indotto -
31
U.D. 41 - IL CICLO RANKINE E’ il ciclo termodinamico teorico che caratterizza il funzionamento delle macchine a
vapore, sia di tipo alternativo che rotativo (turbine): l’acqua viene vaporizzata, il
vapore ottenuto è fatto espandere all’interno della macchina motrice e poi
ricondensato per chiudere il ciclo e riportarlo allo stato liquido iniziale. Riferendoci
come al solito ad 1 Kg di fluido:
p
• Pcr.
1’
p1
1
2
Q1
Lm
0
Q2
4
po
x=0
x=0,4
x=0,6
x=0,8
x=1
v
0 – 1’ isovolumica (isocora) , l’acqua viene portata dalla pressione atmosferica alla
pressione di esercizio p1 tramite una pompa;
1’– 2
isobara , l’acqua viene portata fino alla temperatura di ebollizione (il cui
valore dipende dalla pressione p1 a cui si trova) tramite un preriscaldatore
(economizzatore) tratto 1’ – 1 ; viene poi fatta vaporizzare, o parzialmente fino ad
ottenere un vapore umido a titolo x < 1 oppure completamente fino ad ottenere
vapore saturo secco x = 1 (punto 2), all’interno del bollitore ;
2 – 4 adiabatica , il vapore viene inviato alla motrice (turbina) dove si espande
adiabaticamente cedendo la sua energia, che la macchina trasforma in lavoro
meccanico, e tornando a pressione p0 iniziale, con un titolo intorno a 0,8….0,87 ;
4 – 0
isobara , il vapore leggermente umido che esce dalla turbina entra nel
condensatore dove, tramite un circuito refrigerante, viene completamente condensato
e raccolto nel “pozzo caldo” da dove pesca la pompa di alimento; ed il ciclo
continua……
Si è indicato con:
Q1 il calore fornito al Kg di fluido all’interno del generatore
Q2 il calore ceduto al refrigerante nel condensatore
Lm l’energia ceduta dal fluido alla macchina motrice e trasformata da questa in
lavoro meccanico
32
Circuito e Ciclo elementare Hirn
Il circuito elementare per il funzionamento di un impianto a vapore può essere
disegnato nella maniera seguente:
turbina
alternatore
energia elettrica
3
2
1
generatore
4
circuito di raffreddamento
condensatore
combustibile
0
1’
pozzo caldo
pompa di alimento
L'acqua viene estratta dal pozzo caldo del condensatore (Punto 0) e pressurizzata da
una pompa fino alla pressione di ammissione nel generatore di vapore (Punto 1'). La
trasformazione successiva è una cessione di calore per sistema aperto, ed è quindi
isobara. Nel generatore di vapore il liquido viene prima portato in condizioni di
saturazione (Punto 1) nel fascio economizzatore; quindi ha luogo nel fascio
vaporizzatore la transizione di fase, con trasformazione isotermobarica (Punto 2); in
seguito il vapore viene di norma surriscaldato (Ciclo Hirn) nel fascio
surriscaldatore, fino al punto 3 (nel caso che il surriscaldamento sia assente si parla
di Ciclo Rankine). Il vapore viene quindi immesso nella turbina, collegata ad un
carico elettrico o meccanico, in cui espande fino alla pressione vigente nel
condensatore (Punto 4). In tale componente, a seguito di raffreddamento a mezzo di
un refrigerante esterno, il vapore viene condensato fino al punto 0 (inizio del ciclo).
P
T
1’
0
1
3
2 3
1
1’
0
4
v
2
4
S
Ciclo Hirn nel piano p-v (pressione-volume specifico) e T-S (temp.-entropia)
33
Il piano p-v non risulta particolarmente interessante, in quanto comprime fortemente
una zona di grande rilievo per lo scambio termico (economizzatore); unica
indicazione di notevole interesse è l'entità della variazione di volume nel corso della
transizione di fase, particolarmente alle pressioni più basse (trasf. 4-0 al
condensatore).
Il piano T-s evidenzia gli scambi termici sotto forma di aree ∫T ds sottese tra le
trasformazioni (1'-1 nell'economizzatore; 1-2 nel vaporizzatore; 2-3 nel
surriscaldatore; 4-0 nel condensatore). Inoltre, nella rappresentazione del ciclo reale
consente di evidenziare semplicemente l'effetto dell'irreversibilità sulla
trasformazione nella turbina (nella pompa tale effetto risulta trascurabile, poiché la
trasformazione 0-1' è fortemente compressa).
Molto importante per lo studio dei cicli a vapore è il piano I-S, che nel caso che si
esaminino le trasformazioni di cambiamento di fase prende il nome di Piano di
Mollier. L'aspetto del ciclo Hirn su tale piano è il seguente:
I
3
Lt
2
Q1
1
Lp
4
1’
0
Q2
S
Il piano I-S consente di visualizzare tutte le trasformazioni energetiche (scambi di
calore e lavoro) mediante segmenti di asse verticale; rende quindi possibile
confrontare l'entità di Q1, Q2, Lt, Lp.
Espressioni del rendimento e del lavoro specifico
Nel seguito si trascura il lavoro – molto piccolo – della pompa, Lp = I1’ – I0 = 0; i
punti 0 ed 1' risultano quindi coincidenti (come avviene in pratica sia sul piano T-S
che nell'I-S), il che rende possibili diverse semplificazioni analitiche. Sotto tali
ipotesi, il rendimento nel ciclo limite (macchina perfetta, fluido reale) risulta essere:
η = 1- Q2/Q1 = 1- (I4 - I0)/(I3 - I0)
Nel caso reale la trasformazione di espansione porta ad un punto 4’, sulla stessa
isobara rispetto a 4, ma ad entropia superiore; il punto 4’ è calcolabile conoscendo il
rendimento isentropico della turbina:
Il lavoro specifico del ciclo risulta praticamente pari al lavoro della turbina, che vale
Lt = I3 - I4 [KJ/kg]
di conseguenza, indicando con Pm la portata massica di vapore, la potenza
dell'impianto risulta essere: Wt = Lt ⋅ Pm [Kw]
34
Influenza dei parametri operativi sulle prestazioni degli impianti a vapore
Con riferimento allo schema di impianto elementare ed al ciclo di Hirn, i parametri principali sono:
1) la pressione al condensatore
2) la pressione al generatore di vapore
3) la temperatura del vapore surriscaldato
L'influenza della pressione al condensatore sul rendimento e potenza risulta essere
molto rilevante. La possibilità di prolungare l'espansione in condizioni di vuoto
(ovvero al di sotto della pressione atmosferica) aumenta considerevolmente il lavoro
della turbina (aumento dell'area del ciclo nei piani p-v e T-S).
La possibilità di sfruttare tali condizioni di vuoto, teoricamente mantenibili mediante
il semplice raffreddamento, furono scoperte alla fine del 1700 da Watt, che introdusse
il condensatore separato in luogo del raffreddamento diretto del cilindro, e portarono
al grande sviluppo delle macchine alternative a vapore.
Un problema connesso all'adozione di vuoti molto spinti al condensatore, senza fare
ricorso ad altre misure progettuali, può essere una eccessiva diminuzione del titolo a
fine espansione nella turbina a vapore che va a scapito del rendimento della turbina e
dell'integrità fisica della stessa.
L'innalzamento della pressione al generatore di vapore è sicuramente benefico per
le prestazioni del ciclo, ma i suoi effetti sono sensibilmente inferiori (sia per il
rendimento che per il lavoro specifico) a quelli ottenibili mediante l'abbassamento
della pressione al condensatore. Infatti, avvicinandosi alle condizioni critiche a grandi
aumenti di pressione seguono piccoli incrementi di temperatura (la variazione di
volume nella transizione di fase si riduce rapidamente).
Inoltre, l'innalzamento della pressione al generatore di vapore deve necessariamente
essere accompagnato da un aumento della temperatura del vapore surriscaldato.
In mancanza di tale misura, il titolo a fine espansione risulterebbe troppo basso.
L’effetto dell'innalzamento di pressione e temperatura all’uscita del generatore di
vapore, i limiti imposti dalla corrosione a caldo dei fasci tuberi vaporizzatori
impongono peraltro di non superare temperature del surriscaldato di 540 - 550 °C
(oltre tali valori l'affidabilità del generatore di vapore è estremamente ridotta); con
tali valori, e con le pressurizzazioni elevate che vengono adottate (170 bar per
impianti subcritici; 225 bar per impianti supercritici, privi di vaporizzatore, nei quali
la transizione di fase da liquido a vapore avviene puntualmente), il titolo a fine
espansione risulta comunque troppo basso, ed è necessario ricorrere a
surriscaldamenti ripetuti.
35
SURRISCALDAMENTI RIPETUTI
L'adozione del risurriscaldamento - o, in tempi molto recenti, anche di un doppio
risurriscaldamento - modifica l'impianto ed il ciclo:
5
4
alternatore
TAP
TBP
energia elettrica
3
2
1
generatore
6
circuito di raffreddamento
condensatore
combustibile
0
1’
pozzo caldo
pompa di alimento
T
3
1
5
2
1’
4
0
6
Schema di impianto e ciclo termodinamico in presenza di risurriscaldamento.
L'espansione in turbina viene interrotta prima dell'ingresso nella zona del vapore
umido, ed il vapore parzialmente espanso (tipicamente a pressioni di 35 - 45 bar)
viene ricondotto al generatore di vapore, dove nel fascio risurriscaldatore viene di
nuovo surriscaldato fino alla temperatura massima del ciclo (500 - 540 °C). La
complicazione impiantistica non è indifferente, in quanto alle pressioni a cui si
effettua il risurriscaldamento il vapore presenta volume specifico già elevato, ed è
quindi necessario adottare tubazioni di diametro rilevante; inoltre la distanza tra il
generatore di vapore e la sala macchine può essere non indifferente (30 - 60 m).
La presenza del risurriscaldamento comporta grandi complicazioni nell'esercizio ai
carichi parziali (regolazione), dimodoché questa opzione (molto vantaggiosa per
l'innalzamento del titolo a fine espansione) viene adottata soltanto nei grandi impianti
per produzione di energia elettrica (taglia da 160 a 660 MWe), mentre negli impianti
36
industriali (anche di taglia elevata, ma comunque inferiore ingenere a 150 MWe) non
si ricorre in genere ai surriscaldamenti ripetuti.
L'estrazione del vapore dalla turbina viene in genere effettuata all'uscita dal corpo di
alta pressione. Infatti, a causa del forte incremento di volume specifico nei grandi
impianti a vapore si ricorre sempre a più corpi turbina sullo stesso asse (ad esempio:
1 corpo di Alta pressione (AP); 1 o 2 corpi di Media pressione (MP); 1 o 2 corpi di
bassa pressione (BP), in genere di tipo a loro volta sdoppiato).
U.D. 42 - LA RIGENERAZIONE NEGLI IMPIANTI A VAPORE La Rigenerazione consiste nella sostituzione di uno scambio termico superiore con
l'esterno con uno scambio termico interno al sistema, possibilmente di tipo a recupero
(calore di scarto).
Tale pratica risulta particolarmente vantaggiosa se si sostituiscono gli scambi termici
con l'esterno nella zona del ciclo dove il fluido operativo opera a basse temperature;
infatti, il livello di temperatura sviluppato nei sistemi di combustione è elevato, e la
degradazione del calore fino alle basse temperature del fluido operativo del ciclo
comporta elevate irreversibilità nello scambio termico.
Il ciclo Hirn può essere suddiviso in più cicli disposti termicamente in parallelo
(ovvero che condividono la "sorgente"superiore:
T
I
II
III
S
Scomposizione del ciclo Hirn in cicli elementari Il ciclo ottenuto dalla combinazione
dei tre cicli I, II e II é del tutto equivalente al ciclo originario in termini di calore
(aree sottese dalle trasformazioni), lavoro (area del ciclo) e rendimento.
L'espressione del rendimento per cicli termicamente in parallelo
risulta dalla media pesata dei rendimenti, utilizzando come pesi i
calori Q1 scambiati con la sorgente superiore:
ηt = (ηI⋅Q1I+ηII⋅Q1II+ηIII⋅Q1III) / (Q1I+Q1II+Q1III)
37
Nell'espressione precedente, ηIII risulta elevato in considerazione dell'alto valore
della temperatura equivalente (media entropica) dello scambio termico superiore; ηII
è relativamente alto considerando che il ciclo II - seppure evolvente tra livelli di
temperatura non molto distanziati tra di loro - è un ciclo di Carnot (trasformazioni
isoterme di scambio termico); il ciclo I possiede invece un rendimento ηI molto
basso, in quanto la temperatura equivalente (media entropica) dello scambio termico
superiore. Considerando la formula, risulta conveniente ridurre al minimo possibile il
calore Q1I che alimenta tale ciclo.
Rigenerazione continua negli impianti a vapore
Nel caso degli impianti a vapore, non esiste disponibilità di calore di scarto allo
scarico. Infatti, il ciclo a vapore restituisce calore alla sorgente fredda a temperatura
costante e molto bassa; é impossibile l'applicazione di recuperi termici a questo
calore di scarto al condensatore.
La pratica della rigenerazione risulta vantaggiosa anche a costo di una diminuzione
del lavoro utile del ciclo (elevato nel caso di impianti a vapore, attorno a 1000 - 2000
kJ/kg). L'ipotetico processo di rigenerazione continua prevede la sottrazione del
calore nel corso di un'espansione refrigerata, ad entropia decrescente; tale calore può
essere ceduto rigenerativamente alla trasformazione di riscaldamento dell'acqua (0-1),
al prezzo di una diminuzione di lavoro (area del ciclo).
T
Qr
S
Processo ideale di rigenerazione continua nel ciclo Hirn
La rigenerazione continua non é peraltro applicabile agli impianti a vapore per due
motivi:
a) l'impossibilità di alloggiare all'interno della turbina superfici adeguate di
scambio termico
b) il valore troppo basso del titolo a fine espansione
Il secondo motivo rende impraticabile anche la soluzione di raffreddare tra stadi
successivi nel corso dell'espansione; in alternativa al raffreddamento (e
condensazione) parziale dell'intera portata di vapore, si ricorre quindi alla pratica
degli spillamenti di vapore, ovvero alla condensazione completa di piccole portate di
vapore derivate tra due stadi della turbina a vapore.
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RIGENERAZIONE CON SPILLAMENTI DI VAPORE
Lo schema impiantistico più elementare per un impianto a vapore con uno spillamento é il
seguente:
turbina
alternatore
energia elettrica
A
3
2
1
generatore
4
circuito di raffreddamento
condensatore
combustibile
1’
vapore
acqua
0
pozzo caldo
C
Sr
pompa di alimento
Pompa Pc
Il ciclo corrispondente risulta:
I
3
A
2
Q1
1
Lp
Lt
4
1’
0
Q2
S
La portata di vapore spillata in turbina nel corso dell' espansione (punto A) viene
interamente condensata nello scambiatore rigenerativo Sr , e preriscalda l'acqua di
alimento prima dell'ingresso nel generatore di vapore. Per semplicità si assume che la
condensa non sia sottoraffreddata (punto C) e che la sua entalpia sia uguale a quella
dell'acqua di alimento in uscita dallo scambiatore (per i liquidi l'entalpia dipende
molto poco dalla pressione). La condensa viene reiniettata sulla linea dell'acqua di
alimento mediante una apposita pompa Pc.
39