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CRONOLOGIA E SOMMARIO DELL’ALTO MEDIOEVO (476 d.C. – 1000 d.C.)
CRONOLOGIA E SOMMARIO ALTO MEDIOEVO – Prima parte
Secoli IV e V d. C. : attacchi e invasioni dei barbari contro l’Impero romano.
476 d.C. il re barbaro Odoacre depone l’imperatore d’Occidente Romolo Augustolo > fine dell’Impero Romano
d’Occidente. In Europa e in Africa nord-occidentale si formano i regni romano-barbarici:
Franchi e Burgundi in Gallia (Francia), Visigoti nella penisola iberica, Ostrogoti in Italia (con il re Teoderico che pone
la capitale del regno a Ravenna), Vandali in Africa, Angli in Britannia (Inghilterra), Sassoni e Avari in Germania.
Nei regni romano-barbarici i barbari assumono il potere politico-militare e (in parte) il potere economico (si
impadroniscono di terre appartenenti ai latini); tuttavia spesso cercano di assimilare elementi della cultura latina e di
stabilire rapporti di collaborazione con i latini. La convivenza e l’integrazione tra latini e barbari tuttavia non è
facilmente realizzabile, anche per le differenze religiose tra barbari e latini: i barbari generalmente sono cristiani
ariani1, i latini in Europa sono cattolici romani. Unica eccezione i Franchi: nel 496 il re franco Clodoveo si converte al
cattolicesimo (e insieme a lui il suo popolo) e in tal modo ottiene l’appoggio del clero della chiesa cattolica, ciò
permette al regno franco di consolidarsi e di realizzare una convivenza e una mescolanza tra barbari e latini più
profonda e duratura.
Resiste invece agli attacchi l’Impero Romano d’Oriente e sopravvive fino al 1453. Comprende la penisola balcanica
(con la Grecia), la penisola anatolica, il MedioOriente (Palestina, Siria ecc.), l’Egitto. La capitale è CostantinopoliBisanzio (perciò viene anche chiamato Impero bizantino), la lingua ufficiale è il Greco, la religione di Stato è il
cristianesimo. L’impero bizantino è caratterizzato dal “cesaropapismo”, vale a dire l’ingerenza del potere politico
(dell’imperatore) nella vita della chiesa e nella determinazione della dottrina cristiana.
Dal 527 al 565 è imperatore bizantino Giustiniano, che redige il CORPUS IURIS CIVILIS, un codice che raccoglie e
ordina tutte le leggi emanate dallo Stato romano. Con la GUERRA GRECO-GOTICA (535-553), i bizantini sconfiggono
gli ostrogoti e riconquistano la penisola italiana; questa guerra però è lunga e devastante e provoca in Italia
distruzioni e impoverimento. Dopo il 553 l’Italia viene sottoposta dai governatori bizantini a un pesante sfruttamento
fiscale.
540 ca : San Benedetto da Norcia, dopo aver fondato la comunità monastica di Montecassino, scrive la Regula che
getta le basi del monachesimo occidentale (caratterizzato, rispetto a quello orientale, dalla vita comunitaria, dalla
democrazia interna e dalla condivisione dei beni, dall’integrazione di preghiera e di lavoro manuale e intellettuale,
dalla moderazione nelle pratiche ascetiche e penitenziali)
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Nel secolo IV all’interno del cristianesimo si era posto il problema di definire esattamente il contenuto della fede cristiana, e in
particolare di determinare la natura di Gesù Cristo: si erano confrontate tre dottrine: la prima sosteneva che Gesù Cristo era una
persona in cui coesistevano due nature, la natura umana e la natura divina, Gesù Cristo era dunque il figlio di Dio che si era
incarnato in un vero uomo; la seconda dottrina, sostenuta dal prete Ario, affermava che Gesù Cristo era un uomo favorito da
Dio, che aveva ricevuto una missione divina, ma che comunque aveva solo la natura umana; la terza dottrina, denominata
“monofisita”, sosteneva che in Gesù Cristo c’era soltanto la natura divina, e che quindi la figura umana di Gesù Cristo era
soltanto un’apparenza, di cui Dio si era rivestito per comunicare con gli uomini, anche la morte in croce di Gesù non era un fatto
concreto reale, ma un fatto apparente e simbolico. La prima dottrina era stata approvata dai Concilii di Nicea (325) e di
Calcedonia e le dottrine ariana e monofisita erano state considerate eretiche (= devianti rispetto alla vera dottrina).
L’imperatore Costantino aveva bandito Ario e gli ariani che erano quindi usciti dai confini dell’Impero e avevano predicato la
dottrina ariana tra i Barbari. In tal modo molti popoli barbari si erano convertiti al cristianesimo secondo l’insegnamento di Ario.
La dottrina della doppia natura, per cui Gesù Cristo è “vero Dio e vero uomo”, fu accolta sia dalla Chiesa latina (in Europa), sia
dalla Chiesa bizantina.
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569: I longobardi, guidati dal re Alboino, scendono in Italia. Pavia diventa la capitale del regno longobardo che
comprende l'Italia settentrionale e i ducati di Spoleto e Benevento. Rimangono sotto il controllo dei bizantini l’Italia
meridionale, il Lazio, Venezia, Marche e Romagna (Ravenna).
I Longobardi inizialmente instaurano un dominio molto duro sulla popolazione italica. Col tempo mitigano i loro
costumi > Editto di Rotari, conversione al cattolicesimo del re Agilulfo e di una parte del popolo Longobardo. I
rapporti con la Chiesa cattolica comunque restano tesi. I Longobardi cercano di conquistare i territori italici ancora
governati dai bizantini. Il papa Gregorio Magno (590-604) si adopera per mantenere la pace tra Longobardi e
Bizantini. Nel 728 il re longobardo Liutprando dona al papa la località fortificata di Sutri 2, che in tal modo diventa il
primo nucleo del “Patrimonium Sancti Petri”, cioè dello Stato pontificio. Ma nel corso del secolo VIII si rinnovano gli
attacchi dei Longobardi contro i territori dei Bizantini e della Chiesa; anche Roma viene assediata. I papi, per
difendersi dagli attacchi longobardi, stipulano un’alleanza con i re franchi e ne chiedono l’intervento in Italia: nel 754
il re franco Pipino il Breve scende in Italia, sconfigge i Longobardi e li costringe a restituire al papa le terre che erano
state sottratte ai bizantini. Nel 773-774 il re franco Carlo Magno, successore di Pipino il Breve, scende in Italia,
sconfigge e fa prigioniero il re longobardo Desiderio, conquista quindi l’Italia centro settentrionale, dona al papa i
territori dell’Italia centrale (precisamente: Lazio, Umbria, Marche, Romagna).
Pipino il Breve, re franco, iniziatore della dinastia carolingia, è il figlio di Carlo Martello, maggiordomo di palazzo del
re merovingio Childerico III. I re merovingi (soprannominati “re fannulloni”) nel VII e nell’VIII secolo avevano
preferito la vita di corte, sfarzosa e dissoluta, all’esercizio reale del potere e al comando dell’esercito, e avevano
affidato questi compiti gravosi ai loro maggiordomi di palazzo (approssimativamente luogotenenti militari); tra
questi maggiordomi era emerso Carlo Martello che aveva riorganizzato l’esercito franco costituendo un corpo di
cavalieri dotati di armature pesanti in ferro (e per la prima volta si adottavano le staffe, che permettevano ai
cavalieri di rimanere saldamente in sella e di aver le mani libere per il combattimento). Carlo Martello nel 732 aveva
sconfitto a Poitiers gli arabi-berberi musulmani che, dopo aver conquistato la penisola iberica, avevano valicato i
Pirenei e si erano lanciati alla conquista della Francia. La vittoria di Poitiers era stata quindi importantissima, perché
aveva arrestato l’avanzata islamica verso l’Europa. Fino a quel momento nessun esercito cristiano, né dell’Occidente
né dell’Oriente, era stato in grado di fermare l’espansione politico-militare degli arabi islamici.
Gli Arabi e l’Islam
570: nascita di Maometto (Mohammed-ben-Abdallah) alla Mecca
612: Maometto comincia a predicare alla Mecca
622: Esilio (Egira) di Maometto e dei suoi compagni dalla Mecca a Medina. Inizio dell'era islamica
630: Maometto conquista la Mecca
632: morte di Maometto. Comincia l'epoca dei califfi (alla lettera, "successori")
635: inizia la grande espansione politico-militare degli Arabi e dell’Islam: dal 635 al 715 vengono conquistate la Siria,
la Palestina, l’Egitto (sottratte all’impero di Bisanzio), la Persia, tutta la parte settentrionale dell’Africa, la Spagna
visigotica, la Transoxiana (Asia centrale) fino al fiume Indo. Dall’825 al 902 si compie anche la conquista araba della
Sicilia. Gli Arabi giungono per due volte ad assediare Costantinopoli (nel 676 e nel 717) ma sono respinti dal “fuoco
greco” e dall’esercito bizantino (inoltre Costantinopoli era difesa da mura poderose). Nel 732 Carlo Martello
sconfigge gli Arabi a Poitiers.
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Tuttavia il potere “temporale” della Chiesa, cioè il potere politico esercitato dal papa e dai vescovi su Roma e su molte città
europee derivò spesso anche da un vuoto di potere e da situazioni di fatto che spingevano gli ecclesiastici ad assumere funzioni
politiche: p.e. papa Gregorio Magno si occupò di difendere la popolazione romana e di garantire l’approvigionamento di cereali
alla città durante le carestie perché questi compiti non venivano assolti dal governatore bizantino, interessato soltanto alla
riscossione dei tributi da inviare a Bisanzio.
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CRONOLOGIA E SOMMARIO ALTO MEDIOEVO – Seconda parte
Il papato e il monachesimo
“Nella grande crisi di assestamento seguita al frazionamento dell'impero romano, all’infrangersi della sua parte
occidentale nel pulviscolo dei regni romano-barbarici e al contrarsi della vita socio-politica del continente europeo,
anche la Chiesa fu seriamente coinvolta. A Oriente, la continuità statale bizantina ne sostenne le strutture (ma
questo vantaggio fu pagato da una sostanziale perdita di autonomia); l’Occidente, viceversa, conobbe una gerarchia
ecclesiastica debole, asservita ai vari potentati laici e assorbita dagli interessi mondani negli alti gradi (vescovi),
mentre il basso clero secolare, a cominciare dai parroci, versava nella miseria, nel disordine morale, nell’ignoranza.
La stessa voce del vescovo di Roma — pur concordemente riconosciuto come la più alta autorità ecclesiastica
d’Occidente (anche se si era ancora lontani dalla dottrina del suo assoluto primato) stentava a farsi intendere al di là
della sua diocesi, e non di rado entro i limiti stessi di questa. Ma lo strumento che, fra VI e XI secolo e anche oltre,
sostenne e rinnovò la compagine della Chiesa, favorendo nel contempo il potere pontificio, fu il monachesimo.
Monaco è parola derivante dal greco mónos (« solo», « isolato ») e il monachesimo cristiano nacque infatti in area
culturale ellenistica e si caratterizzò, all’origine, come un movimento di netto rifiuto della vita mondana e di tutti i
valori che non fossero la ricerca del contatto mistico con Dio. La « fuga dal mondo » prese l’avvio proprio da una
millenaria culla di civiltà, la valle del Nilo. Tra III e IV secolo essa vide moltiplicarsi prima gli asceti solitari (anacoreti o
eremiti), sull’esempio di sant’Antonio abate e dei « Padri del Deserto », poi gruppi interi di religiosi conducenti vita e
preghiera in comune secondo certe norme («cenobio » — dal greco koinós, « comune », e bios, « vita » — si disse il
luogo della convivenza o la convivenza stessa, e « cenobiti » i monaci). Si svilupparono così grandi famiglie cenobiali
come quella iniziata da san Pacomio in Egitto o quella sorta sulla base dell’insegnamento di san Basilio di Cesarea
(330 ca-379), che dalla Siria si diffuse in tutto il mondo orientale e costituì il nucleo iniziale della rigogliosa tradizione
monastica bizantina e, più tardi, russa.
L'Occidente conobbe presto l’esperienza monastica nelle sue due forme. Tuttavia la spiritualità orientale, col suo
rigido ascetismo intriso di motivi stoici e neoplatonici, non si adattava facilmente né al tipo né alla qualità della
tradizione religiosa latina. Inoltre l’ambiente sociale in cui il monachesimo orientale aveva fatto presa era quello di
una società opulenta, di tipo urbano: la « fuga dal mondo » di chi sceglieva il romitaggio o il cenobio acquistava
perciò il valore di una testimonianza di integralismo cristiano, e il monaco si sentiva davvero cittadino della « città di
Dio », contrapposta ai mali del mondo. La compagine sociale dell'Occidente si presentava invece dominata dalla
povertà, dalla debolezza dei poteri pubblici, dall’insicurezza. Per l’abitante della Gallia o dell’Italia la « fuga dal
mondo» era prima di tutto una ricerca di protezione, di sicurezza. Si chiedeva al monastero e alla solitudine non solo
la salvezza dal peccato, ma anche la protezione contro la violenza privata, contro la fame, contro la paura.
Toccò a Benedetto da Norcia (480ca-547) interpretare, dopo varie fallite esperienze eremitiche e cenobitiche, le
necessità di un monachesimo che aderisse alla tradizione spirituale e alle esigenze pratiche della cristianità latina del
suo tempo. Nella comunità di Montecassino, eretta e organizzata nel decennio 520-530 e fiorita prodigiosamente
nella tormenta della guerra greco-gotica, Benedetto seppe infondere un ideale di vita ispirato a una religiosità
serena e concreta ben espressa dal motto Ora et labora. La regola da lui redatta non fu in sé nulla di particolarmente
originale, ispirandosi in parte ai dettami del monachesimo orientale, in parte a una compilazione coeva, la Regola
Magistri. Il suo pregio sta però nella felice semplicità, nella concisione che ne rende facile l’adattamento,
nell'equilibrio tra le varie attività dei monaci: il servizio liturgico comunitario, la preghiera e la meditazione
individuale, il lavoro manuale o intellettuale, il riposo.
L’ordine benedettino divenne ben presto uno strumento importantissimo di rinnovamento ecclesiastico nelle
mani dei papi. Un grande pontefice, san Gregorio Magno (590-604), fu il biografo e l’esaltatore di Benedetto e volle
che fossero monaci a compiere l’evangelizzazione dell’Inghilterra pagana, da dove più tardi si sarebbe mosso il
sassone Bonifacio (675ca-754), a portare nel cuore delle foreste e delle paludi della Germania il Verbo di Cristo e la
regola di Benedetto.
Che cos’è un’abbazia benedettina? Come guarda ad essa la società che la circonda? In primo luogo essa è un’oasi di
serenità, un rifugio — violato talvolta, sempre comunque più sicuro del resto del mondo — contro le incursioni dei
barbari e le violenze private dei grandi. È un centro di studio, di conservazione e di diffusione di codici, quindi una
delle poche riserve di personale colto a cui la Chiesa, in quei secoli poveri di istruzione, può attingere se vuole
costituire dei quadri gerarchici di uomini preparati. È un centro continuo di preghiera, dove il servizio liturgico si
celebra regolarmente. I laici — i potenti soprattutto, che hanno più cose da farsi perdonare dal Signore —
considerano i monaci come « parafulmini spirituali » della società, e sono larghi in donazioni di beni mobili e
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immobili come rimedio dei loro peccati e per assicurarsi, in vita e soprattutto dopo la morte, le preghiere riparatrici
dei loro peccati. Ben dotata di terre e di manodopera, l'abbazia è infine un centro di produzione in genere assai
prospero in paragone ad altri.”
(da Franco Cardini, Giovanni Cherubini, Storia medievale, Sansoni 1982)
Maometto e la religione islamica
Il dato senza dubbio più importante nella vita orientale, al tempo in cui l’Occidente conosceva la dura età
altomedievale, fu la nascita nella penisola arabica, e il suo rapido dilagare verso l’Asia, l’Africa e l’Europa, di un
nuovo credo religioso: l’Islam.
a) L’Arabia preislamica. Se si eccettuano le poche oasi e le strette fasce coltivabili del Sud, soprattutto dello Yemen,
la penisola arabica si può considerare come uno sterminato deserto posto all’incrocio di tre continenti (Asia, Africa,
Europa), come un immenso ponte gettato tra il Mediterraneo e l’Oceano Indiano, cioè tra i teatri delle più antiche e
potenti civiltà. Vi crescevano, dove il clima era favorevole, i cereali, gli agrumi, le piante di datteri, dell’incenso e
delle spezie, ma in misura complessivamente troppo scarsa rispetto ai bisogni della popolazione. Da ciò una lotta
continua e drammatica per la sopravvivenza, che condizionava tanto il rapporto degli Arabi con la loro terra, quanto
il rapporto degli Arabi tra loro e con i popoli vicini.
Nelle zone desertiche dell’interno, abitate da popolazioni nomadi dedite al commercio, alla pastorizia e alla razzia (i
beduini), l’unica organizzazione politica era quella tribale; nelle zone marginali della penisola vivevano popolazioni
sedentarie costituite da agricoltori e mercanti, e in queste regioni si erano costituiti dei regni (il più importante era lo
Yemen, a sud), che però sopravvivevano solo come stati-satellite dell’impero bizantino o dell’impero persiano.
Le città più importanti dell’Arabia erano San’à, capitale dello Yemen, Medina e La Mecca. La Mecca era anche il
centro religioso dell’Arabia, in quanto vi sorgeva la Ka’ba, un edificio cubico che custodiva la Pietra Nera (un
meteorite) e altri idoli; la Ka’ba attirava molti pellegrini e, di conseguenza, costituiva una fonte di guadagni per i
mercanti della città; infatti gli Arabi per lo più praticavano culti idolatrici, anche se erano presenti nella penisola
gruppi minoritari di Ebrei e di Cristiani.
b) La nascita di una nuova fede. Maometto nacque verso il 571 alla Mecca. Poco o nulla si sa della sua infanzia,
tranne che rimase orfano e fu affidato a parenti. Entrato a servizio di una vedova della sua tribù, Khadigia, che aveva
preso il posto del marito nella conduzione di un’azienda commerciale, finì per sposarla (lui venticinque anni, lei
quaranta). Avrebbe potuto godere di una buona posizione, subentrare alla moglie nella conduzione degli affari,
guidare le carovane, arricchirsi alle spalle dei pellegrini, essere, insomma, un privilegiato; e invece tutto ciò lo lascia
indifferente: la sua attenzione è polarizzata altrove, oltre se stesso e i suoi interessi, sulla tragedia dell’uomo, che
nessuno allora sapeva sanare o giustificare. Vedeva intorno a sé un popolo avvolto nell’ignoranza e nella barbarie, un
popolo che, credendo solo ai rapporti di sangue e di tribù (e non al rapporto che lega ogni uomo con Dio) perdeva se
stesso. Maometto si isolò da questo popolo, sia per evitarne il “contagio”, sia per interrogare se stesso e, in se
stesso, Dio. E in una notte del 610 (fu poi chiamata la “Notte del Potere”), mentre meditava in una grotta, ebbe la
prima rivelazione; poi, nonostante ne avesse paura, ne ebbe altre: era sempre, come capì gradualmente, la voce
dell’arcangelo Gabriele che gli parlava. Veniva a svelargli le verità che cercava, che potevano salvare gli uomini:
esisteva un solo Dio potente e maestoso, creatore di tutto e di tutti, che esigeva da ogni uomo l’assoluta
sottomissione alla sua volontà (islam significa infatti sottomissione), e poi lo attendeva il giorno del giudizio: per
premiarlo con un paradiso di delizie o punirlo con un inferno terribile.
Non erano, per lui, verità nuove; ma era nuovo il fatto che Dio, dopo averle rivelate ai giudei e ai cristiani tramite i
profeti (e per Maometto anche Gesù era un profeta), ora le rivelasse anche a lui perché le trasmettesse al suo
popolo: egli dunque era stato scelto come nuovo profeta, come messaggero di Dio, pur restando un semplice uomo,
e doveva quindi uscire dal suo isolamento per predicare e annunciare la parola di Dio ai suoi concittadini.
I discorsi di Maometto agli abitanti della Mecca suscitarono reazioni contrastanti, ma in complesso negative: furono
accolti con favore dai poveri, ai quali offriva una speranza nuova, ma avversati dai mercanti e dai custodi della Ka’ba,
che erano i beneficiari (in senso economico) del culto degli idoli pagani. Maometto tuttavia non defletté dalla sua
missione, anzi, volendo che anche gli Arabi, come già gli Ebrei e i Cristiani, avessero il loro Libro Sacro, cominciò a
comporre il Corano, che non è soltanto un testo “ispirato” (come il Vecchio e il Nuovo Testamento), ma anche un
testo “dettato” da Dio (ossia ritenuto divino e infallibile in ogni sua parola, non solo nel suo significato complessivo).
Si accentuò inoltre la sua attività mistica: raccontò di aver compiuto su un cavallo alato un viaggio prodigioso fino a
Gerusalemme, poi di essere asceso al settimo cielo, vedendo cose che all’uomo non è lecito dire.
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Nel 622 Maometto, trovando scarso ascolto alla Mecca, si trasferì a Medina: è questa l’EGIRA (considerata dagli
islamici l’inizio di una nuova era), che non significa fuga, ma solo migrazione. A Medina Maometto, sollecitato da un
ambiente a lui favorevole, si trasforma. Anche se appartengono a questo periodo le lunghe sure (= capitoli) del
Corano dedicate al digiuno, alla preghiera, al matrimonio e al divorzio, al trattamento dei poveri e degli schiavi, non
gli basta più predicare da profeta disarmato: cerca anche uno spazio politico per la sua fede, e perciò non esita a far
ricorso alla violenza e all’astuzia, come un capo militare o un uomo di Stato. Nel 624, alla testa di 300 medinesi,
assale e sbaraglia una carovana di un migliaio di mercanti meccani. Nel 627 respinge l’attacco portato dai signori
della Mecca a Medina: in questa occasione 600 ebrei residenti a Medina, che avevano appoggiato i nemici di
Maometto, vengono posti di fronte all’alternativa “convertirsi o morire”, e, siccome rifiutano la conversione all’Islam,
Maometto ordina che siano tutti uccisi.
Successivamente Maometto raggiunge un accordo con i signori della Mecca: questi accettano l’Islam, e Maometto
rientra nella città santa e distrugge tutti gli idoli, ma conserva alla città il valore di centro religioso, meta del
pellegrinaggio dei musulmani (per Maometto la Ka’ba è il primo tempio dedicato al culto monoteistico costruito da
Abramo, padre di Ismaele, considerato il capostipite degli Arabi). In seguito, per lo più attraverso accordi pacifici,
Maometto ottiene l’adesione all’Islam di tutte le tribù arabe, e con ciò realizza anche l’unificazione politica
dell’Arabia: insieme con una religione, Maometto lasciava agli Arabi una grande concordia civile: egli fu salutato
come il “profeta che portò la pace fra noi”, come colui che aveva fatto “di tutti i cuori un cuor solo”. E con la
concordia lasciava anche una solida unità politica fondata sulla religione stessa.: non più una miriade di tribù in lotta
perenne tra di loro; non più una gerarchia violenta e di potere tra poche tribù fortunate e molte tribù disperate,
bensì un popolo solo credente nello stesso Dio.
Dopo dieci anni dall’Egira, il profeta poteva sentirsi al colmo del successo e della gloria. La sua vita, tuttavia, rimase
modesta: circondato dai suoi fedeli, dalla sua numerosa famiglia (ebbe dodici mogli, soprattutto in seguito a
matrimoni “politici”) continuò a prodigarsi per i poveri, vivendo da povero. Nel 632 fece la “visita d’addio” alla
Mecca, e poi, l’8 giugno, morì.
c) Caratteri della religione islamica. La dottrina religiosa del Profeta era un’originale rielaborazione di concezioni
ebraiche e cristiane alla luce di tradizioni e di usi cultuali arabi: secondo il Corano Mosé e Gesù Cristo non furono falsi
profeti, ma non conobbero la verità piena come Maometto, il Profeta della rivelazione perfetta. Nella dottrina
maomettana, esposta nel Corano, gli elementi tratti dal Nuovo e dal Vecchio Testamento subirono una trascrizione
in senso “materialistico” e insieme una semplificazione (Maometto rese “facile” per il suo popolo il Dio “difficile”
degli ebrei e dei cristiani): l’Islamismo è dunque una religione pratica, senza grandi problemi teologici, senza
sacramenti mistici, senza sacerdoti; le credenze basilari sono l’esistenza di un solo Dio – Allah –, l’insegnamento del
suo Profeta, la vita ultraterrena; l’Islam respinge invece i dogmi cristiani, razionalmente incomprensibili, della Trinità
e dell’incarnazione, morte in croce e resurrezione del Figlio di Dio.
Pertanto il credente musulmano deve semplicemente uniformarsi alla parola di Dio rivelata nel Corano e compiere
tutti gli atti richiesti; i “cinque pilastri dell’Islam” sono: la fede incondizionata in Dio secondo la formula: “non c’è
altro Dio all’infuori di Allah e Maometto è il suo profeta”; la preghiera cinque volte al giorno, col viso in direzione
della Mecca; il digiuno nel mese di ramadan, che significa rinuncia al mondo e solidarietà con i poveri (consiste
nell’astenersi durante il giorno, dall’alba al tramonto, da ogni cibo e bevanda e dai rapporti sessuali); l’elemosina a
favore dei poveri; il pellegrinaggio alla Mecca, almeno una volta nella vita.
L’elemento più originale e caratteristico della nuova fede era la sottomissione incondizionata (islam) del credente
all’onnipotenza di Allah. Questo fatalismo non escludeva però la responsabilità personale e il compenso che veniva
riservato nell’aldilà alle opere e alla fede: le porte del paradiso sarebbero state immediatamente aperte a chi fosse
morto combattendo per la fede. Era questa la dottrina del Jihad, o guerra santa, dalla quale derivarono all’islamismo
il carattere guerriero e una formidabile forza d’urto.
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d) La Dar al Islam (Casa dell’Islam) e i Dhimmi. Subito dopo la morte di Maometto gli arabi iniziarono quella rapida
espansione politico-militare di cui abbiamo già segnalato sinteticamente le tappe. Le ragioni della prodigiosa serie di
vittorie e di conquiste musulmani sono da ricercarsi nei seguenti fattori:
1) il popolo arabo, che era stato sempre segnato da divisioni e lotte interne, trova improvvisamente, grazie all’Islam,
l’unità politica e religiosa che lo rende capace di affrontare il mondo “esterno” e di confrontarsi vittoriosamente con
popoli e Stati vicini (impero bizantino e impero persiano).
2) la grande povertà della penisola arabica proietta gli Arabi all’esterno, alla ricerca di conquiste e ricchezze; inoltre i
beduini del deserto, abituati da sempre a cavalcare, a lottare e a far razzie, a sopravvivere in un ambiente ostile,
sono “naturalmente” dei guerrieri formidabili.
3) La fede in Allah “il vittorioso” e l’ideologia del jihad (vedi sopra) conferiscono giustificazioni e motivazioni
fortissime alle guerre di conquista degli Arabi. Del resto lo stesso Maometto aveva fatto ricorso anche alla guerra e
alla violenza per far trionfare la sua fede in Arabia
4) Il dominio degli Arabi sui popoli sottomessi non è particolarmente oppressivo e intollerante, e spesso i sudditi
dell’Impero bizantino – sottoposti a un pesante fiscalismo e all’imposizione dell’ortodossia cristiana- non oppongono
resistenza alla conquista araba, in quanto considerano i nuovi “padroni” preferibili ai vecchi…
Riguardo al rapporto tra Arabi musulmani e popoli sottomessi occorre precisare: gli Arabi non esigevano la
conversione all’Islam di tutti gli abitanti della Dar Al Islam (=Casa dell’Islam), cioè dei territori conquistati, infatti gli
Ebrei e i Cristiani (monoteisti, “popoli del libro” e “figli di Abramo” come i musulmani) potevano conservare la
propria fede, ma erano Dhimmi, erano cioè giuridicamente inferiori e sottomessi rispetto ai musulmani, e dovevano
pagare la Gizya (= tassa della protezione e della sottomissione); chi invece si convertiva all’Islam veniva dispensato
dalla Gizya ed era inserito nella società islamica senza nessuna discriminazione . Le religioni idolatriche e animiste
invece non erano tollerate e gli idolatri erano posti di fronte all’alternativa “Convertitevi o morite”; comunque
quando i Musulmani conquistarono l’India dovettero concedere lo status di Dhimmi anche agli Induisti e ai Buddisti
che rifiutavano la conversione all’Islam.
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Nei territori conquistati dagli Arabi, che entravano a far parte di Dar Al Islam, gli abitanti convertiti venivano
“arabizzati”, nel senso che, per leggere il Corano (che non poteva essere tradotto) dovevano imparare la lingua
araba; in tal modo la lingua araba è diventata la lingua comune di tutto il Nord-Africa e il Medio-oriente.
CRONOLOGIA E SOMMARIO ALTO MEDIOEVO 3
IL SACRO ROMANO IMPERO CAROLINGIO (IX° SECOLO)
Carlo Magno e la fondazione del Sacro Romano Impero
Carlo Magno, riprendendo la politica di suo padre Pipino il Breve, si era alleato con il papato e aveva attaccato i
Longobardi in Italia, li aveva sconfitti (il re Longobardo Desiderio era stato fatto prigioniero nel 774) e sottomessi,
aveva quindi conquistato la penisola italiana (eccetto le isole e le zone meridionali soggette ai bizantini); aveva anche
confermato ed ampliato le terre donate al papa da Pipino, e così nel Centro-Italia si era costituito il Patrimonium
Sancti Petri, vale a dire lo Stato della Chiesa.
Carlo Magno realizzò altre spedizioni militari contro i Sassoni e gli Avari (che vennero convertiti forzatamente al
cattolicesimo), gli Slavi, i Musulmani di Spagna, e giunse a dominare, al momento della sua morte, un territorio
immenso (un milione e mezzo di km quadrati abitati da meno di 20 milioni di sudditi): esso comprendeva (secondo le
denominazioni attuali) la Francia, i Paesi Bassi, la Germania, L’Austria, la Boemia, la Croazia e la Slovenia, l’Italia
settentrionale e parti di quella centrale e meridionale, e infine una striscia di territorio al di là dei Pirenei, con la città
di Barcellona. Le vittorie di Carlo erano state ottenute da un esercito il cui nerbo era costituito dai cavalieri –
guerrieri ben addestrati e armati pesantemente, con la lancia, spada, corazze e maglie di ferro – ben saldi in sella
grazie alle staffe.
Il giorno di Natale dell’anno 800, mentre Carlo Magno si trovava a Roma e partecipava alla Messa in San Pietro, il
papa Leone III prese una corona e gliela pose in capo proclamandolo “imperatore dei romani”; in tal modo nasceva il
Sacro Romano Impero: “impero” in quanto comprendeva molti popoli e regni, “romano” in quanto raccoglieva
l’eredità dell’antico impero romano (e Carlo prese l’imperatore Costantino il Grande come modello e punto di
riferimento), “sacro” in quanto era un impero cristiano, che aveva la funzione non solo di assicurare pace e giustizia
ai suoi sudditi, ma anche di proteggere la chiesa, di evangelizzare i popoli, di guidare i cristiani alla salvezza eterna.
Certamente Carlo Magno approvava e condivideva questa concezione del Sacro Romano Impero, ma l’incoronazione
pontificia lo colse di sorpresa e lo infastidì (come risulta dalle cronache del tempo): il fatto è che il gesto imprevisto
di Leone III faceva dipendere la dignità imperiale da una concessione del papa, e Carlo invece non aveva nessuna
intenzione di sottomettersi al papa, anzi secondo lui era il papa che doveva dipendere completamente
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dall’imperatore (così come il patriarca di Costantinopoli dipendeva dall’imperatore bizantino). Comunque
l’incoronazione del Natale 800 divenne un precedente e fondò una tradizione, cosicché nei secoli successivi gli
imperatori del S.R.I., per veder pienamente riconosciuta la carica imperiale (e il potere ad essa correlato), dovranno
ottenere l’incoronazione del papa.
L’amministrazione dell’impero carolingio.
Carlo Magno pose la capitale del suo impero ad Aquisgrana, ma non era possibile governare dal centro un territorio
così vasto, in cui le vie di comunicazione erano poche e insicure (lo stesso Carlo si spostava continuamente per
controllare i suoi possedimenti). Carlo risolse il problema dell’amministrazione del suo impero dividendolo in regioni,
denominate Marche e Contee, che venivano assegnate a Marchesi e Conti scelti dall’imperatore tra i cavalieri del suo
esercito; le Marche erano le regioni di confine ed erano perciò più importanti e più estese delle Contee. I Conti e i
Marchesi potevano arricchirsi con le entrate connesse all’esercizio della loro carica (p.e. con l’esazione delle multe),
ma non ricevevano uno stipendio, a causa della ridotta disponibilità di moneta nell’impero. Pertanto Carlo si garantì i
loro servigi e la loro fedeltà ricorrendo alla consuetudine (già radicata nel popolo franco) dei rapporti vassallaticobeneficiari: secondo questa consuetudine un uomo bisognoso di protezione offriva i suoi servizi, soprattutto militari,
a un altro uomo più potente (detto senior o dominus) e diventava suo vassallo. In cambio il senior gli offriva
protezione e gli concedeva in uso (non in proprietà)3 un beneficio o feudo (terre, di solito). Così Carlo Magno
concesse benefici - feudi ai marchesi, ai conti e in generale a tutti i funzionari dell’impero e li legò a sé con il
giuramento vassallatico.
Nota Bene! I benefici o feudi concessi da Carlo Magno non coincidevano con le contee e le marche: queste erano
regioni da amministrare in nome dell’imperatore, i feudi invece erano beni economici da sfruttare ed erano
appezzamenti di terreno ritagliati all’interno dei territori amministrati.
Carlo Magno non intendeva lasciare un’eccessiva autonomia ai conti e ai marchesi nel governo delle regioni: per
questo egli emanò continuamente “capitolari”, cioè leggi e prescrizioni minuziose, valevoli per tutto l’impero, e
inoltre inviò periodicamente i “missi dominici” a ispezionare le marche e le contee e a controllare l’operato dei loro
amministratori.
Questo sistema di governo funzionò abbastanza bene finché visse Carlo Magno, ma con i suoi successori i funzionari
– vassalli conquistarono maggiore autonomia, sia nel governo delle marche e contee, sia nell’uso dei benefici; in
particolare i vassalli aspiravano a trasformare i feudi in beni ereditabili dai figli, e ciò fu concesso nel 877
dall’imperatore Carlo Il Calvo (Capitolare di Quierzy: ereditarietà dei feudi maggiori, cioè dei feudi concessi
dall’imperatore ai suoi vassalli4).
Economia e cultura nell’impero carolingio
Sul peso che l’attività commerciale aveva conservato nell’Europa carolingia i pareri degli storici non sono concordi,
ma certo qualche attività commerciale sopravviveva, non solo locale, anche a lunga distanza, ad esempio nelle zone
tra la Senna e il Reno, a Venezia e in alcune città dell’Italia meridionale, nonostante il crescente pericolo della
pirateria musulmana. Non c’è tuttavia alcun dubbio che l’attività nettamente predominante è quella agricola e che,
all’interno della società agricola, prevalente è il peso della grande proprietà fondiaria. Una conseguenza del
prevalere dell’attività agricola e della riduzione degli scambi fu la riforma monetaria di Carlo Magno, che coniò
esclusivamente monete d’argento (il denarius) , mentre Bisanzio e l’Islam continuavano a coniare anche monete
auree (il bisante e il dirham): l’oro era il metallo delle grandi transazioni internazionali, l’argento, meno pregiato, si
trovava in sufficienti quantità nelle miniere europee ed era più adatto ai piccoli commerci e agli usi quotidiani.
La produzione della terra era molto bassa a causa dell’arretratezza delle tecniche agricole. La difficoltà dei trasporti e
il predominio di zone incolte o di boschi che dividevano l’una dall’altra le singole radure coltivate facevano
dell’economia del tempo un’economia tendenzialmente chiusa, a isole, di sussistenza piuttosto che di scambio. Le
grandi proprietà fondiarie, possesso dei sovrani e dell’aristocrazia, laica ed ecclesiastica, ebbero come loro
programmatica esigenza l’autosufficienza, sia per quel che riguardava la produzione di generi di primissimo
consumo, come i cereali, sia per quel che riguardava la produzione dei pochi oggetti artigianali indispensabili per una
società così arretrata.
La volontà di Carlo Magno di collegarsi all’antichità romana comportava anche un’attenzione alla cultura: “Noi
invitiamo, con il nostro stesso esempio, per quanto è possibile, a coltivare le arti liberali ”; perciò egli chiamò a corte i
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Un bene concesso in uso non può essere venduto, regalato o lasciato in eredità, e deve essere restituito al concedente in
buone condizioni, al termine del patto (alla morte del vassallo, nel caso del rapporto vassallatico).
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Feudi minori invece erano quelli concessi da autorità di grado inferiore e coloro che li ottenevano erano chiamati valvassori e
valvassini.
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maggiori dotti dei diversi paesi perché affiancassero il governo con la loro cultura e contribuissero a formare la
nuova classe dirigente. Nacque così la schola palatina (scuola di palazzo), ossia una singolare comunità educativa in
cui i maestri insegnavano ai giovani allievi a essere non solo uomini d’arme, ma anche di cultura e di fede. Non c’è
campo della cultura e della religione in cui Carlo Magno non abbia voluto intervenire: l’antichità riscoperta (anche
l’antichità profana) doveva contribuire a plasmare l’impero in senso unitario: un solo codice di leggi 5 , una sola
liturgia, una sola Bibbia, un solo tipo di scuola, un solo modo di scrivere 6 e di cantare, insomma un solo modo di
vivere in questa vita e di prepararsi all’altra: quello deciso ed elaborato a corte da Carlo Magno con l’aiuto dei suoi
dotti. Questa opera di conservazione, valorizzazione e diffusione del patrimonio culturale dell’antichità diede vita a
quella che gli storici definiscono rinascenza carolingia.
Il declino e la fine del Sacro Romano Impero Carolingio
A Carlo Magno, morto nell’ 814, succedette il figlio Ludovico il Pio. Questi divise l’impero tra i suoi tre figli: Ludovico
il germanico ebbe i territori a est del Reno, Carlo il Calvo ebbe la Francia e Lotario ebbe il titolo imperiale e una
striscia di terre (Lotaringia) che andava dal Mare del Nord all’Italia. Le tendenze particolaristiche e disgregatrici
erano insite nell’impero e nella sua organizzazione basata sui rapporti vassallatici; i successori di Carlo non avevano
una personalità forte come la sua, capace di tenere a freno le spinte centrifughe, inoltre la divisione dell’impero lo
indebolì ulteriormente e svuotò di significato il titolo imperiale. Il Capitolare di Quierzy dell’ 877 (vedi sopra) aveva
già manifestato la debolezza dell’imperatore e l’accresciuto potere dei feudatari. Quando nell’887 l’imperatore Carlo
il Grosso non riuscì a respingere un attacco dei Normanni alla città di Parigi, i grandi del regno lo destituirono: così
finì il Sacro Romano Impero carolingio.
UNA NUOVA ONDATA DI INVASIONI – L’ANARCHIA FEUDALE – TRASFORMAZIONI DEL FEUDALESIMO (secoli IX e X)
Normanni, Ungari e Saraceni
A partire dalla seconda metà del IX secolo l’Europa subì una serie di attacchi, di incursioni e di invasioni da parte di
popoli provenienti da regioni esterne al Sacro Romano Impero.
a) i Normanni, denominati anche Vichinghi e Vareghi, provenienti dalla Scandinavia, cominciarono a compiere
incursioni e razzie sulle coste dell’Europa settentrionale nel IX° secolo. Muovendosi su navi agilissime, risalivano
anche i grandi fiumi e potevano così colpire città dell’interno (come Parigi). Nel X secolo, dopo una prima fase di
attacchi finalizzati al saccheggio, i Normanni cominciarono anche a prender possesso stabilmente dei territori:
occuparono la penisola danese, la Normandia nel nord della Francia 7 . Poi, partendo dalla Normandia,
conquistarono l’Inghilterra (con la battaglia di Hastings, del 1066, in cui Guglielmo il Conquistatore sconfisse gli
Anglosassoni) e l’Italia meridionale.
Un altro gruppo di scandinavi, chiamati dai bizantini Vareghi, scesero verso sud, attraverso le pianure russe, fino al
Mar nero e all’impero bizantino, con cui allacciarono relazioni commerciali. I Vareghi in Russia sottomisero le
popolazioni slave e fondarono il principato di Kiev.
b) Gli Ungari o Magiari provenivano dalla Pannonia (regione corrispondente, all’incirca, all’attuale Ungheria), erano
nomadi, si spostavano a cavallo e in carovana, e, tra la fine del IX secolo e la metà del X, fecero ripetutamente
incursioni e razzie, soprattutto in Germania e in Italia settentrionale (ma arrivarono anche in Francia e a Roma). Nel
955 furono sbaragliati a Lechfeld dal re di Germania Ottone I; questa sconfitta li spinse ad abbandonare il
nomadismo e le razzie e ad assumere forme di vita stanziale. Questo processo fu favorito anche dalla conversione al
cristianesimo: nel 1001 il loro re Stefano fu incoronato dal papa e il regno di Ungheria divenne un’entità politica
riconosciuta e inserita nella cristianità occidentale.
c) I Saraceni. Anche i Musulmani, provenienti dalle coste africane e asiatiche del Mediterraneo, attaccarono
ripetutamente l’Europa, sia con azioni di pirateria e di saccheggio attuate dai pirati arabi (detti saraceni) ai danni
delle navi e delle regioni meridionali dell’Europa, sia con vere e proprie conquiste: nel 902 essi portarono a termine
la conquista della Sicilia e inoltre stabilirono proprie basi in Italia meridionale e in Provenza.
I sovrani europei (imperatori e re) non furono capaci di difendere i loro territori e i loro sudditi (infatti Carlo il Grosso
fu deposto proprio per la sua impotenza di fronte alle incursioni normanne); del resto l’esercito dei cavalieri del
Sacro Romano Impero era più adatto alle spedizioni e alle guerre di conquista che alla difesa dei confini. Venuto
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Tuttavia Carlo Magno non imitò e non utilizzò il Corpus Iuris Civilis di Giustiniano, perché preferì modellare la propria
legislazione su quella ecclesiastica, adottando come modelli i Canoni che regolavano la vita della Chiesa
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Nell’impero di Carlo Magno si diffuse e si impose universalmente la scrittura “minuscola carolina”, una scrittura semplice ma
elegante, che facilitò il lavoro degli amanuensi e le comunicazioni scritte tra le parti dell’impero.
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Nel 911 il capo dei Normanni di Normandia, Rollone, si dichiarò vassallo del re di Francia, il quale, non avendo la forza di
scacciarlo dal regno, lo riconobbe e gli concesse la Normandia come feudo; grazie al vassallaggio Rollone legittimava
l’occupazione della Normandia.
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meno l’impero, era necessario organizzare la difesa a livello locale: per questo assistiamo nel X secolo al grande
fenomeno dell’Incastellamento: ovunque vengono costruiti castelli collocati in posizioni strategiche. Coloro che
prendono l’iniziativa di erigere queste fortificazioni sono i “signori”, vale a dire quelli che possiedono terre e
ricchezze, e che nella maggior parte dei casi le possiedono come feudi; talvolta sono anche le autorità ecclesiastiche
(gli abati dei grandi monasteri e i vescovi delle città) che organizzano le difese e che fanno costruire cinte murarie
attorno ai centri abitati.
Ma i “signori” che prendono su di sé l’onere della difesa di un territorio assumono, di fatto, un potere politico di di
esso e sui suoi abitanti: siccome li difendono, pretendono di essere obbediti, di imporre tributi, di governare e di
amministrare la giustizia. Insomma il “signore” di un territorio (feudo o proprietà che esso sia) ne diviene il
governante. In tal modo il feudalesimo si trasforma, perché non esiste più la distinzione (vigente ai tempi di Carlo
Magno) tra la contea da amministrare e il feudo inteso come bene economico concesso in uso: il feudo ora è –
contemporaneamente – un bene economico e un territorio su cui il feudatario esercita il “banno” (cioè il potere
politico – militare – giudiziario).
Grazie all’assenza o alla debolezza dei poteri centrali (imperatori e re) i feudatari acquistano grande autonomia, ed
inevitabilmente entrano anche in competizione e in lotta fra di loro; pertanto il secolo X è stato definito il secolo
della Anarchia Feudale.
Nel 962 in Germania e in Italia rinasce il Sacro Romano Impero (con Ottone I) ; nel 987 diventa re di Francia, dopo un
lungo periodo di anarchia, Ugo Capeto (iniziatore della dinastia capetingia); anche in queste nuove compagini statali i
rapporti vassallatici costituiscono il cemento delle relazioni pubbliche, il principale strumento di governo; ma il
feudalesimo si è trasformato: ora (e nei tre secoli successivi) i suoi elementi caratterizzanti sono:
I.
Vassallaggio e omaggio: un rapporto personale tra il sovrano (o il senior) e il vassallo, il quale riceve
protezione e deve in cambio essere fedele al sovrano e servirlo; il servizio del vassallo è anzitutto il servizio
militare (limitato però ad alcuni mesi all’anno), ma può comprendere anche altri obblighi, come, p.e., il
versamento di tributi in particolari circostanze. L’omaggio è il gesto con cui il vassallo diventa homo del suo
senior.
II.
Feudo o beneficio: è il bene (solitamente terriero) concesso in uso al vassallo-feudatario; non può essere
venduto o regalato, ma può essere lasciato in eredità ai figli legittimi (in base al Capitolare di Quierzy).
L’investitura è il gesto con cui il sovrano (o il senior) concede il feudo.
III.
Immunità: è l’autonomia di cui gode il feudatario nel governo del suo feudo: è il feudatario che esercita il
potere nel suo feudo (riscuote tasse, arruola soldati, amministra la giustizia ecc.), e il sovrano non può far
valere la sua autorità all’interno dei feudi.
E’ evidente allora che i sovrani (imperatori e re), se volevano veramente esercitare il loro potere su tutto il loro
Stato, avevano il problema di ridurre l’autonomia dei feudatari.