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Seminario del 9 giugno 2014
I bambini, forse anche gli animali, vivono nell’infinito della parola. Non si sono
ancora abbarbicati ad alcuna ontologia e forse per questo motivo possiamo dire
che sono più felici. Se incontrano certamente il dolore non conoscono però la
sofferenza; sul piedistallo del loro dolore non hanno ancora eretto alcun
fantasma soggettivo. Non si affannano neppure per l’assenza dell’oggetto.
Non costruiscono alcuna ontologia neppure sulla mancanza dell’oggetto.
Quando a loro non è offerto alcun indizio dell’oggetto, non se ne curano più. Il
loro comportamento può certamente essere calamitato e condizionato da
un’assenza che in qualche modo sono in grado di avvertire. L’esperienza
dell’assenza di un oggetto al quale si erano legati per abitudine può certamente
condizionare il loro comportamento. Ma nessuna ontologia dell’assenza, per
sopportarla, nessun innesto, nessuna sofferenza. Ancora nessun oggetto
perduto, sullo sfondo, che possa suscitare qualche rimpianto o nostalgia.
L’isteria soffre di reminiscenze (Freud). La reminiscenza, ovvero il ricordo, è la
prima
modalità
di
rispondere
fantasmaticamente
(e
in
seguito
“ontologicamente”) all’assenza dell’oggetto. Invece, la memoria non discrimina
fra adulti e bambini e animali. Mentre il ricordo è alla base di ogni ontologia, la
memoria è il modo originario della vita nella parola. La memoria fluisce con
l’Altro, corrisponde all’altro tempo, all’attuale.
La natura è senza ricordi, dunque senza storia, ma è immersa nell’attuale e
nella memoria. La natura è il sogno e la dimenticanza, è la ragione dell’Altro.
La memoria si avvale della dimenticanza per introdurre la ragione dell’Altro.
Senza il riferimento all’attuale nessuna memoria e nessuna ragione possono
dispiegarsi. Dunque l’attuale come condizione della ragione e della memoria. Il
limite dei viventi concerne soltanto il limite del tempo, ma di per sé il tempo
non ha limiti se non quando si fissa come ricordo o aspettativa.
La teoria può procedere soltanto se vi è dimenticanza; ciascuna teoria nasce
sempre come una logica della dimenticanza, ecco perché il malinteso è
strutturale; il malinteso del racconto che si volge all’infinito, dissipando
ciascuna volta il limite del tempo. Ecco perché l’attuale è una risorsa dei
viventi. E, certamente, possiamo anche chiamarla Dio. I viventi che soffrono
sono quelli sganciati dall’attuale e dunque dalla memoria, e immersi nel
ricordo. E’ l’ombra del ricordo che pesa sugli umani generando l’aspettativa. E
infine il ricordo esiste soltanto come sofferenza e come pena; una pena contro
la quale tenta in vario modo di attivarsi il sintomo per rinviare all’esigenza
dell’attuale. Ma proprio il sintomo indica che l’attuale non è raffigurabile, che
non può essere fissato in alcuna ontologia. Che Dio non ammette raffigurazione
alcuna. Ecco perché si è detto che il sintomo, la pena e la sofferenza, il male,
siano voluti da Dio, come una prova cui sottoporre i viventi, ma senza che vi
sia nulla da dimostrare.
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Insomma, Dio non vuole ricordi, dunque non vuole proprio ciò su cui è
possibile fondare una prova. Esige l’affidamento totale, l’abbandono esclusivo e
quindi la dimenticanza.
E’ appena il caso di richiamare il libro di Giobbe o il sacrificio di Isacco imposto
ad Abramo da Dio. La prova cui, diversamente, sono sottoposti Giobbe ed
Abramo allude precisamente alla possibilità dei viventi di sconfiggere la
sofferenza, la pena del ricordo, con la fede e la speranza. La fede e la memoria
sono senza alternativa. La fede non è più tale (in effetti è ridotta a credenza)
se considerata, per esempio, nell’alternativa fra la fede e il ricordo.
La fede è l’obbedienza al richiamo dell’attuale, è il richiamo della memoria
contro la ragione calcolante e contro la pena del ricordo. Il calcolo non può
tenere se confrontato con la fede (la moglie di Abramo, Sara, che non potrebbe
avere un bambino a novant’anni). Fra la fede e il ricordo vi è contrasto
irriducibile. Invece la memoria è nell’attuale e si esprime con la fede e la
speranza. Senza memoria nessuna fede e nessuna speranza, soltanto la pena
del ricordo.
Certo per gli animali e per i bambini l’oggetto soggiorna nell’attuale. La loro
condizione è quella dell’infinito attuale. E la memoria si situa anch’essa
nell’attuale; dalla degradazione della memoria procede il ricordo (il rimpianto e
la sofferenza, la pena), non viceversa. Il fatto è sempre e soltanto un fantasma
eretto sul fare, una rappresentazione. La ragione, senza l’Altro, intorno al fatto
si affanna a costruire i suoi castelli di carte.
Nessuna sostanza dei fatti; anzi, il fatto è proprio la sostanza. La materia
soggiorna nella memoria e diviene sostanza nel ricordo. Il ricordo è sempre in
un distacco dall’attuale, si pone contro l’attuale che permane come uno
schermo a contrastarlo. Il ricordo emerge in opposizione al discorso, e non
esiste più senza discorso; il discorso lo limita, lo stringe, lo contorna e lo isola,
caricandolo di timori e aspettative. Originaria, senza più discorso, la memoria è
invece il tessuto del racconto. Il discorso restituisce la memoria come il ricordo
“stesso”, come identico a sé, un fatto incontrovertibile. Lo proietta nel tempo
lineare per fissarlo come causa dell’attuale, e questa è la depressione del
tempo che passa. Ma la causa è senza storia, è simultanea, è già attuale, è il
sembiante attuale e simultaneo; è la voce di cui la memoria è l’espressione. La
memoria, nel fare, nel raccontare, che anima e apre. Contro la chiusura, il
ricordo del fatto, che paralizza.
La memoria ha a che fare con la voce, è infatti evocazione, rievocazione; già,
simultaneamente, invenzione. E’, per così dire, l’Altro in azione. Nulla precede
l’Altro, nessun fatto è in grado di corromperlo, la memoria è incorruttibile.
Quindi l’Alzheimer, ovvero, “se non ricordo, è una fortuna, posso affidarmi più
facilmente alla memoria”. A differenza del ricordo, la memoria non appartiene
ad alcun soggetto. La memoria valorizza il ricordo traendolo all’attuale.
Sembra che gli umani abbiano in orrore la dimenticanza ed è per questo che si
affidano ai ricordi, ma il ricordo è già giudiziario; è la menzogna per la
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menzogna. La menzogna della menzogna. Il ricordo è oggettivo e reale perché
inteso come la menzogna della menzogna al servizio del discorso. È pronto a
essere utilizzato per accusare l’Altro e cancellarlo. E’ un fatto; le cose si sono
svolte esattamente così; dunque, è cancellato l’intervallo, la rimozione, la
parola. Il discorso giudiziario si avvale dell’esattezza del ricordo, ma risulta
cancellata la memoria. E’ proprio questa menzogna che il cosiddetto malato di
Alzheimer si accinge a smascherare. Per propugnare un’altra verità: che la
dimenticanza è virtù della memoria, mentre l’esattezza è solo quella della
voce. E’ esatto che la voce sia causa, e nulla d’altro che lo sia. Basta al
discorso come causa! Il cosiddetto malato di Alzheimer respinge proprio il
ricordo riconoscendolo come giudiziario.
La voce, che trae appunto all’evocazione e che attiva la memoria. La mappa
della vita e l’avvenire si disegnano soltanto con l’evocazione (appunto, il
racconto), non esistono prima. L’evento non può essere ricondotto al fatto,
anche se proprio questo sembra essere il risultato del disegno, l’effetto di
qualunque tavola o di una mappa o di una carta geografica. La carta geografica
ha da essere prima scritta e poi letta. Inutilizzabile è una carta senza lettura e
scrittura, dunque senza trasposizione nell’attuale, pertanto senza memoria.
Anche il valore di una carta geografica risiede nell’intervallo della scrittura e
della lettura, dunque nella memoria. Gli animali, e per qualche tempo anche i
bambini, non sanno leggere alcuna mappa, ma non per questo non si
avvalgono di una loro propria mappa che è in atto, nell’intervallo; che sia il
fiuto, la vista o l’udito. Una mappa utile è comunque sempre in atto. La
memoria è vita, ed è solo nel tentativo di rianimare una vita spenta che
avviene che noi prendiamo le mosse dai ricordi.
Pertanto, a un analizzante che, come può capitare frequentemente, esordisca
osservando che gli pare proprio di non aver nulla da dire, possiamo ben
rispondere che è sulla strada giusta, dal momento che non si sta apprestando
a riportare semplicemente alcuni ricordi, magari selezionati con cura prima di
giungere lì, ma si trova già installato nell’intervallo che gli consente di avvertire
di essere semmai in debito di memoria, ed è proprio quest’ultima che si tratta
di attivare nella conversazione. Senza memoria e senza racconto impossibile
progettare, fare, vivere. Siamo in debito di memoria quando siamo assediati
dai ricordi e non riusciamo a sostare nell’intervallo.
Non resta che la scrittura. Tra il sogno e l’oblio. Piegare la parola è la
condizione necessaria per la qualità della vita. Ovvero dire altrove, dire in altro
modo. Senza racconto nessuna qualità della parola. Senza dimenticanza,
impossibile lasciarsi cullare dal ritmo della parola, dal racconto, e impossibile
allora l’evocazione. Impossibile la vita autentica, che è senza ricordi, senza la
fine e senza l’inizio. Impossibile la leggenda della vita, della nostra e di coloro
che ci circondano.
Il neonato è rapido nell’apprendere, in modo così stupefacente, perché vive nel
respiro della dimenticanza. Forse apprende essendo cullato dal ritmo della voce
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materna. Senza voce impossibile apprendere alcuna cosa. Si apprende nel
respiro della voce, tra il sogno e la dimenticanza. Per apprendere occorre la
cosa altra, il narcisismo. L’accrescimento in cui occorre sapersi situare, non è il
risultato di una strategia calcolante, non necessita di alcuna operazione
algebrica, non è sommare una cosa alla precedente, un interlocutore al
successivo, ma situarsi nell’intervallo per cui ciascuna cosa si presenta come
altra. Situare ciascuna cosa nella dimenticanza. Ed è proprio la voce il “motore
immobile” di questo movimento. Lasciarsi cullare e dimenticare per poter
cantare e anche per osare.