Carlo Doglioni
Terra
Interno della Terra
I
parametri geofisici fondamentali della Terra sono diretta
Nell’interno della Terra non si verificano le condizioni afconseguenza della composizione globale, della distribu- finché possano avvenire reazioni nucleari; ciò implica un cozione delle masse e della dinamica del pianeta. I principali li- stante e lento raffreddamento. Il calore emesso dal pianeta è
velli dell’interno della Terra hanno proprietà chimiche e si- in parte una conseguenza del processo di raffreddamento inismiche distinte. Essi sono: la crosta da 0 a 40 km; il mantel- ziato dopo la sua formazione. La produzione di tale calore è
lo superiore da 40 a 670 km (ulteriormente suddiviso in infatti da attribuire, per circa il 20⫼40 %, alla collisione delmantello litosferico da 40 a 100 km, astenosfera da 100 a 400 le particelle o dei planetesimi che hanno formato la Terra, al
km, zona di transizione da 400 a 670 km) e il mantello infe- calore rilasciato dalla cristallizzazione del ferro che forma atriore da 670 a 2890 km (dove si individua il livello D, tualmente il nucleo solido, e al calore di frizione legato ai mo2700⫼2890 km); il nucleo esterno da 2890 a 5150 km e il vimenti interni. Il rimanente 60⫼80 % del calore emesso è da
nucleo interno da 5150 a 6371 km. La Terra con una massa attribuire al decadimento radioattivo degli elementi che comdi 5,98⫻1024 kg e un diametro di 12.756,28 km è il pianeta pongono il nostro pianeta, in particolare gli isotopi dell’uradi maggiore densità del Sistema solare con circa 5515 kgⲐm3, nio, del torio e del potassio.
essa presenta in superficie una temperatura media di 15 °C,
Il flusso di calore emesso dalla superficie terrestre è massiaccelerazione di gravità di 9,78 mⲐs2 e pressione atmosferica mo lungo le dorsali oceaniche, dove il mantello sottostante è
media di 1,014 bar; il suo campo magnetico è di 0,3076 gauss- più vicino alla superficie e fonde per la minor pressione litoRe3 (con momento di dipolo normalizzato al raggio terrestre statica. Lungo la dorsale del Pacifico vi sono le zone di emisRe) e i parametri orbitali planetari sono caratterizzati da un’ec- sioni maggiori, dove il flusso di calore è anche superiore a 300
centricità dell’orbita di 0,0167 e una distanza dal Sole di mW/m2. La crosta continentale, radioattiva, contribuisce si1,496⫻108 km. Complessivamente nella composizione chi- gnificativamente a emettere calore. La media del flusso di camica della Terra prevalgono: ferro (34,6 %), ossigeno (29,5 %), lore è di circa 57 mW/m2, valore infinitesimo, che tuttavia
silicio (15,2 %), magnesio (12,7 %); seguono nichel (2,4 %), – esteso alla superficie dell’intero pianeta – comporta emiszolfo (1,9 %) e tutti gli altri elementi per il 3,7 %.
sione di energia in un intervallo tra 31⫼44 TW⭈s. ■
Una fondamentale informazione sul pianeta
Terra è data dalla forma del geoide. Il geoide è la
superficie equipotenziale della gravità che passa
per il livello medio dei mari e presenta oscillazioni che variano tra ⫹80 e ⫺120 m rispetto all’ellissoide di rotazione terrestre. Anomalie del geoide
positive e negative indicano rispettivamente eccessi e deficit di massa nell’interno della Terra, le
cui profondità rispetto alla superficie sono correlabili in modo diretto alla lunghezza d’onda delle anomalie. Le più forti anomalie positive si riscontrano sul lato sud-occidentale del Pacifico,
nell’Atlantico del nord, e nell’oceano Indiano sudoccidentale. La maggiore anomalia negativa è invece concentrata nella regione definita dall’India
Fig. 1. Rocce ricche di minerali nella zona di Landmannalaugar, Islanda.
meridionale e dall’oceano Indiano centrale.
SCIENZE DELLA TERRA
595
CARLO DOGLIONI
Sommario
1. La suddivisione dell’interno della Terra
2. Disomogeneità del mantello terrestre
3. Cinematica e dinamica della tettonica globale
l. La suddivisione dell’interno della Terra
L’interno della Terra non è ancora perfettamente conosciuto. Le informazioni disponibili, provengono in larga
parte da metodi indiretti come lo studio delle variazioni
di velocità delle onde sismiche (→), i bilanci di massa
del pianeta, le speculazioni geochimiche sulla composizione globale, le variazioni dei campi gravimetrico e magnetico. Il campionamento diretto dell’interno terrestre
avviene soltanto attraverso il rilevamento di xenoliti (frammenti di roccia provenienti da profondità al massimo di
qualche centinaio di km, inclusi in rocce vulcaniche, come nei camini kimberlitici) e lo studio del magmatismo
la cui profondità di genesi viene in genere stimata tra i
50 e 300 km. Come regola generale, la temperatura, la
pressione e la densità aumentano dalla superficie verso
l’interno della Terra.
uddivisione composizionale
L’interno della Terra può essere suddiviso sulla base
della composizione oppure del comportamento meccanico. La suddivisione composizionale tradizionale è la tripartizione in crosta, mantello e nucleo. La crosta può essere di tipo oceanico o continentale e ha spessori medi rispettivamente di 510 e 3040 km. Il mantello si divide
in superiore e inferiore, e il nucleo in esterno liquido e
interno solido (fig. 2). La stratificazione è legata alla densità dei materiali; gli elementi più leggeri tendono verso
l’alto e viceversa.
Il limite tra la crosta e il mantello è una discontinuità
fondamentale, detta Moho dal nome
del suo scopritore (Andrija Mohoro0 km litosfera oceanica crosta
litosfera
continentale
6,80 3,90
2,70
8,11 4,49
viãiâ), ed è un limite individuato dal
100
24
3,30
10 LVZ-bassa velocità 7,98 4,41
1300 °C
3
250
3,40
17
astenosfera
10
brusco
cambiamento della velocità del400
3,50
8,90 4,76
olivina
1019
m a n t e l l o s u p e r i o r e 3,72
spinello
le
onde
sismiche. Le onde P passano da
1021
25
3,99
670
10,26 5,57
pirolite
1800 °C
circa 6,57 km/s a oltre 8 km/s. Tale
4,38
1022
pressione
aumento di velocità è legato alla magviscosità
1000
GPa
11,48 6,40
4,58
2300 °C
giore rigidità delle rocce del mantello al
Pa s
densità
di sotto della crosta. Le rocce della cro50
3
g/cm
perovskite
sta sono costituite da 8 elementi prin1500
12,20 6,69
4,86
silicati
cipali: ossigeno (46,6 %), silicio (27,7 %),
mantello inferiore
ossidi
Vp-Vs km/s
alluminio (8,1 %), ferro (5 %), calcio
12,80 6,93
2000
5,12
2300 °C
(3,6 %), sodio (2,8 %), potassio (2,7 %),
magnesio (2,1%). La crosta, nella par100
te alta, è formata in genere da rocce se1024
13,40 7,14
2500
5,37
2500 °C
dimentarie, mentre, a maggiori profondità, le rocce diventano metamorfiche
13,71 7,26
2890
5,56
e ignee. Essa può essere di due tipi, con150
8,22
0
9,90
3000-4000 °C
tinentale e oceanica. La crosta continentale è meno densa (2,62,8 g/cm3)
0
8,95
3500
10,77 200
rispetto a quella oceanica (2,83,0
nucleo esterno liquido
g/cm3); ha uno spessore variabile tra
102
1050 km, mentre quella oceanica ha
0
9,50
11,30 250
4000
leghe di Fe-Ni
spessori minori, in genere di 410 km.
La crosta continentale sotto le catene
0
9,95
11,75
4500
montuose come l’Himalaya può rag300
giungere i 70 km ed è costituita dagli
elementi più leggeri espulsi dal mantel10,30 0
5140
12,16
lo, per questo è la parte più esterna del6000 °C
11,02 3,66
la Terra solida. La crosta oceanica ha
>1011
5500
12,92
contenuti in magnesio maggiori e di alnucleo interno solido
Fe-Ni
luminio minori rispetto a quella conti350
nentale. Altri elementi importanti, ma
13,06
6000
presenti in quantità minori sono anche
11,26 3,66
13,09 363
6500 °C
6371
carbonio, manganese, zolfo, bario, cloro, cromo, fluoro, zirconio, nichel, stronzio, vanadio, più altri elementi in perFig. 2. Suddivisione fondamentale dell’interno della Terra con i relativi valori
centuali sempre minori.
di temperatura, densità, pressione, viscosità, composizione primaria e velocità sismiche.
596
S
SCIENZA E TECNICA
TERRA - INTERNO DELLA TERRA
La crosta oceanica è molto più giovane (0÷200 milioni di anni) di quella continentale (fino a 3900 milioni di
anni). L’età minore della crosta oceanica ne indica la sua
maggiore mobilità: se ne forma continuamente di nuova, mentre altrettanta ne scende all’interno della Terra,
dove le placche si incuneano nel mantello attraverso il
processo di subduzione.
Il mantello si divide in superiore (tra 30 e 670 km) e
inferiore (tra 670 e 2900 km), con altre discontinuità significative all’interno, come quella dei 400 km dove le
onde sismiche accelerano, e che viene interpretata come
dovuta alla transizione (esotermica) della olivina nella fase più densa tipo-spinello.
La discontinuità tra mantello superiore e inferiore a
670 km segna la massima profondità dei terremoti nelle
zone di subduzione. In corrispondenza di questa profondità il mantello inferiore assume fasi più dense (transizione endotermica da struttura spinello a perovskite e magnesio-wustite) e una viscosità 20-30 volte più alta del
mantello superiore. Immagini di tomografia sismica farebbero pensare che alcune subduzioni (o slab) riescano
a penetrare nel mantello inferiore. In prossimità di alcune zone di subduzione (per es., Izu-Bonin), questa discontinuità sembra approfondirsi fino a 690 km. Un’ulteriore discontinuità all’interno del mantello inferiore è
stata evidenziata a circa 1000 km. L’altra grande discontinuità dell’interno planetario è la transizione mantellonucleo, detta discontinuità di Gutenberg, dal nome di
Beno Gutenberg che la scoprì nel 1914. Questo limite
segna una brusca diminuzione della velocità delle onde
P e un azzeramento delle onde S. È una zona sfumata e
irregolare morfologicamente analoga a rilievi montuosi
rovesciati e galleggianti sulle leghe di ferro fuso del nucleo esterno. Alla base del mantello, che è anche detta zona di transizione D, la pressione è di circa 140 GPa.
Il nucleo è composto principalmente di ferro, a cui si
associa circa il 6 % di nichel e l’810 % di altri elementi,
come per esempio il potassio la cui abbondanza è al momento solo ipotetica. Il nucleo, costituito prevalentemente da leghe di ferro, è denso più del doppio del mantello,
con densità tra 10 e 13 gcm3. Nella sua parte liquida esterna, di circa 2260 km di spessore, la convezione deve essere vigorosa, e la temperatura stimata è tra i 40005000
°C. Data la sua natura prevalentemente metallica e il suo
stato convettivo, il nucleo esterno, in rotazione differenziale rispetto al nucleo interno, genera il campo magnetico terrestre che ha una deriva secolare verso ovest. Il polo
nord magnetico (attualmente il polo negativo), subisce frequenti ribaltamenti al polo sud, producendo inversioni del
dipolo magnetico. Queste inversioni non hanno una ciclicità regolare, e possono durare da alcune centinaia di migliaia ad alcuni milioni di anni. Il periodo in cui l’inversione si mette in atto si ritiene duri invece poche migliaia
di anni o meno. L’intensità del campo magnetico terrestre
è molto instabile e la sua diminuzione produce un indebolimento dello scudo magnetico dalle radiazioni ionizzanti del Sole. Al limite tra nucleo esterno e nucleo interno, la pressione è di circa 330 GPa. Il nucleo interno ha
un raggio di circa 1221 km ed è solido, con una temperatura tra i 50006500 °C. Il passaggio tra nucleo esterno e
nucleo interno è riconoscibile per un forte aumento della
velocità delle onde P, che ha permesso di capirne anche la
natura solida dato che queste, a loro volta, producono
SCIENZE DELLA TERRA
nuovamente anche onde S. Il nucleo interno inoltre presenta onde P più veloci del 34 % in senso N-S, lungo l’asse di rotazione. L’analisi di come questa anisotropia si sposta nel tempo ha permesso di capire che il nucleo interno
ruota più velocemente verso est di 0,30,5° l’anno rispetto agli altri gusci esterni della Terra, e l’asse di questa rotazione è spostato di circa 10° rispetto all’asse di rotazione
planetario. Le onde sismiche viaggiano più rapidamente
nella direzione dell’asse lungo dei cristalli, e l’anisotropia
del nucleo è spiegabile con un allineamento dei cristalli di
ferro lungo l’asse della rotazione. Questo implica che l’anisotropia nel nucleo è controllata dalla rotazione stessa.
L’anisotropia è più marcata nell’emisfero occidentale, suggerendo una maggiore organizzazione dell’allineamento
dei cristalli nella parte occidentale del nucleo solido.
Il nucleo solido, secondo i calcoli termodinamici relativi al modello del raffreddamento terrestre, non esisteva prima di 1,5 miliardi di anni. È in continua espansione per la sedimentazione gravitativa alla sua sommità
di ferro segregato dal nucleo liquido in raffreddamento.
Suddivisione meccanica
La suddivisione meccanica dell’interno terrestre permette di definire litosfera, astenosfera, mesosfera e nucleo esterno e interno. La litosfera ha spessore variabile
tra 20 km sotto le dorsali oceaniche fino a circa 100 km
nelle zone oceaniche più antiche, e da 50 fino a circa 250
km sotto i cratoni continentali (spessore medio di 100
km); l’astenosfera sottostante arriva a circa 400 km; al di
sotto di essa si trova la mesosfera, che coincide con tutto
il mantello sottostante.
La litosfera è composta di due parti, la crosta e il mantello litosferico o LID. Il mantello litosferico è la parte
alta del mantello superiore che si trova al di sopra dell’isoterma di circa 1300 °C. Il mantello litosferico è composto da peridotiti, harzburgiti e/o lerzoliti, rocce intrusive costituite principalmente da olivina, pirosseni, e talora anche anfiboli e mica.
La litosfera è divisa in 9 placche maggiori (Pacifico,
Nazca, Sud-America, Nord-America, Eurasia, Africa, India, Australia, Antartide) e varie placche minori (Arabia,
Filippine, Cocos, Caraibi, Gorda, Anatolia, Somalia ecc.):
tra di esse vi è anche la placca Apula, la cui interazione
con quella euroasiatica condiziona fortemente la geologia italiana.
Sotto la litosfera si trova l’astenosfera, o sfera debole,
che ha uno spessore massimo sotto le dorsali oceaniche e
minimo sotto i cratoni continentali. L’astenosfera, caratterizzata da una base e un tetto rispettivamente a circa 400 km e 100 km come media, presenta nella parte
alta tra i 100 e 200 km una zona detta canale a bassa velocità (LVZ, Low velocity zone), dove le onde sismiche
rallentano (fig. 2). Le onde sismiche P, infatti, che all’interno della litosfera raggiungono velocità di oltre 8 km/s,
nel canale a bassa velocità possono scendere leggermente al di sotto di questo valore.
L’astenosfera è considerata la zona di minore viscosità
del mantello. Al suo interno la temperatura intorno ai
1400 °C, forse anche per la presenza di fluidi come H2O
e CO2, può intercettare la curva del solidus delle peridotiti del mantello producendo piccole quantità di fuso
(13 % circa, Tav. I A). Una maggiore concentrazione in
questo livello di clinopirosseni che contengono abbondanti
597
CARLO DOGLIONI
Tavola 1
GEOTERMA E STRUTTURA DELL’INTERNO DELLA TERRA
fusione parziale
0
litosfera
astenosfera
mantello superiore
1000
mantello inferiore
rocce silicatiche
solide-ossidi
profondità (km)
2000
curva fusione
mantello
geoterma
3000
4000
CMB
leghe di ferro
liquide
nucleo esterno
curva fusione
leghe di ferro
5000
nucleo interno
6000
A
1000
leghe di ferro
solide
2000 3000 4000
temperatura (°C)
5000
6000
L’andamento della temperatura con la profondità è la geoterma.
La temperatura aumenta rapidamente nei primi 30 km, dal valore
T di superficie a circa 500⫼600 °C. Il gradiente medio di 30 °C/km
nei primi 15 km scende a 15°⫼8 °C/km alla base della crosta. La
T cresce fino a circa 1300 °C alla base della litosfera a 100 km,
profondità che può variare tra 20 km sotto le dorsali oceaniche e
250 km sotto i cratoni continentali. Poi la T aumenta con un gradiente inferiore di circa 0,5°⫼1°/km fino alla base del mantello a
2890 km. A seconda della composizione del mantello e del nucleo,
ossidrili può fortemente diminuirne sia la temperatura di
solidus sia la viscosità. Il canale a bassa velocità è considerato il piano di scollamento fondamentale tra la litosfera e il mantello sottostante, divenendo così il punto
cruciale della tettonica delle placche in quanto ne controlla la dinamica superficiale (Tav. I B). Dove infatti
questo livello è meglio sviluppato e la viscosità è più bassa, le placche sovrastanti si muovono più rapidamente.
L’esempio migliore è la placca pacifica che si muove con
un azimut di circa N300° a una velocità superiore a 10
cmⲐanno. È la placca più veloce e la viscosità dell’astenosfera sottostante è la più bassa finora misurata, con valori intorno a 1017 Pa s.
La maggior parte del volume della Terra è nel suo mantello (ca. 82 %) che si comporta come un solido se sollecitato per periodi brevi come le oscillazioni sismiche; si
comporta invece come un liquido se sottoposto a sforzi
in tempi lunghi come nella convezione mantellica (fig. 3).
598
e dell’aumento della P con la profondità, i vari livelli si trovano in
uno stato fisico variabile. Il primo livello importante per la geodinamica è l’astenosfera, parzialmente fusa (1⫼3 %) poiché nella parte alta la geoterma interseca la curva di fusione della materia costituente. La geoterma supera ancora la curva di fusione nel nucleo
esterno che è infatti completamente fuso. CMB (core-mantle boundary) è la discontinuità che separa il nucleo dal mantello sovrastante. L’interno della Terra presenta regioni a comportamento fisico differenziato non necessariamente isotropo (B). Il nucleo solido ruota più rapidamente e presenta un’anisotropia orientata circa
N-S, probabilmente legata all’orientazione della struttura cristallina dei minerali di ferro parallelamente all’asse di rotazione. Nel nucleo esterno liquido vi è invece una convezione vorticosa in grado
di generare il campo magnetico terrestre. Il mantello inferiore, per
la sua alta viscosità ha probabilmente una convezione molto lenta.
Le variazioni di velocità all’interno di questo livello, che costituisce quasi la metà della massa terrestre, sono dovute a variazioni laterali e verticali di composizione e temperatura. Data la minore viscosità, il mantello superiore e ancor più l’astenosfera possono fluire più rapidamente. Questi contrasti di viscosità sono favorevoli più
a una convezione mantellica a due strati, con interscambi subordinati. La litosfera, dove la dissipazione del calore avviene per conduzione e non per convezione come nel mantello, è scollata rispetto al guscio sottostante e si muove relativamente verso ovest.
mantello superiore
convezione
veloce
mantello inferiore
convezione
lenta
convezione
vorticosa
nucleo liquido
0 400 670
B
anisotropia
nucleo solido
5140 6371 1,7
2890
profondità (km)
30,08
49,2 7,5 10,3 0,4
massa Terra (%)
Il ruolo dello studio delle onde sismiche
Lo studio delle onde sismiche è fondamentale per la
conoscenza dell’interno della Terra. Le onde P (prime o
compressionali) e S (seconde e trasversali), viaggiano a
velocità che sono funzione delle caratteristiche dei materiali. Il rapporto tra le velocità delle onde P e S è di circa
1,6⫼1,8. Le onde S non attraversano i liquidi e questo
ha permesso di capire che il nucleo esterno è liquido.
La velocità delle onde sismiche dipende dalla radicequadrata del rapporto tra la rigidità (m) e la densità (r)
dei mezzi attraversati:
[1]
Vp ⫽
冪
55
4 m
K⫹ 5
3
5
r
冪 5r
5
VS ⫽
m
Poiché i liquidi hanno rigidità (shear modulus) nulla,
le onde S non si propagano nei fluidi. Le onde P invece
SCIENZA E TECNICA
TERRA - INTERNO DELLA TERRA
tM103 a
deformazione anelastica
instabilità
del polo
onde sismiche
e oscillazioni
libere
flusso stazionario
migrazione
del polo
convezione
sollevamento
del mantello
post-glaciale
deformazione
post-sismica
100
104
108
1012
1016 t (s)
Fig. 3. Il mantello terrestre si comporta in modo diverso a seconda
della durata del processo che lo coinvolge.
I terremoti ne evidenziano la natura solida, mentre le variazioni verticali legate al carico e scarico dei ghiacciai e la convezione nel mantello
dimostrano come nel lungo periodo il mantello si comporti come un
fluido altamente viscoso. Il tM, o tempo di Maxwell (espresso in
anni), è dato dal rapporto tra viscosità e rigidità di un corpo, ed è il
tempo dopo il quale un materiale passa da un comportamento anelastico al flusso stazionario.
continuano a propagarsi anche nei fluidi perché al numeratore del rapporto che le definisce interviene anche
la compressibilità (K) del mezzo (bulk modulus).
La qualità del segnale sismico è detto fattore Q. Dove il mantello è parzialmente fuso, il fattore Q è minore,
come per esempio nel mantello superiore dei bacini di
retroarco.
Tendenzialmente, la velocità delle onde aumenta con
la profondità per l’aumento della pressione che determina una maggiore compattazione delle rocce fino a formare reticoli cristallini sempre più compatti e una rigidità maggiore. A parità di pressione e composizione di
una roccia, l’aumento di temperatura comporta la diminuzione della rigidità e quindi delle velocità sismiche.
Quando le onde sismiche passano da un materiale a un
altro, il loro percorso, se obliquo rispetto alla superficie
di separazione, viene rifratto e riflesso in modo tanto più
marcato quanto più le caratteristiche fisiche dei due mezzi sono diverse. In superficie vengono ricevute e analizzate le onde riflesse e rifratte dalle varie discontinuità.
Nel mantello, a parte il canale a bassa velocità della zona alta dell’astenosfera, la velocità delle onde P e S aumenta, con salti in crescita alle discontinuità. Soltanto alla base del mantello le onde P rallentano, mentre le S
scompaiono per l’improvviso cambio di stato fisico (liquido) e di composizione (leghe di Fe). Rispetto a una
velocità di riferimento, si notano comunque nel mantello
dorsale atlantica
Africa
occidentale
America
centrale
lento e caldo?
o
660 km
lento e denso?
2890 km
Fig. 4. Tomografia del mantello terrestre.
SCIENZE DELLA TERRA
significative variazioni di velocità anche lateralmente. Il
campionamento del mantello con i tracciati delle onde
sismiche e le loro variazioni di velocità permette di ottenerne un’immagine. In genere le basse velocità vengono
indicate con colori nei toni del rosso, mentre le velocità
relativamente maggiori sono indicate con toni del blu
(fig. 4). Quindi la tomografia permette di analizzare come le onde sismiche variano in profondità e lateralmente rispetto al modello di riferimento; essa pertanto è condizionata dal modello adottato. Uno dei modelli di riferimento è il PREM (Preliminary reference earth model).
La velocità delle onde è direttamente funzione della rigidità e inversamente proporzionale alla densità. A parità
di composizione e pressione, e aumentando la temperatura, diminuiscono sia la rigidità sia la densità, ma il rapporto rigiditàdensità diminuisce anch’esso, per cui le onde sismiche rallentano. Poiché variazioni composizionali possono anche determinare variazioni di velocità, non
si sa ancora con certezza quanto, muovendosi lateralmente
nel mantello, le variazioni di velocità siano termiche e/o
composizionali. Per esempio, su base probabilistica è stato ipotizzato che la parte bassa del mantello abbia un maggior contenuto in ferro, e che questo determini diminuzioni di velocità sismiche senza necessariamente avere
temperature più alte (fig. 4). La tomografia del mantello evidenzia due grandi zone di minori velocità sismiche,
una nel centro del Pacifico e un’altra posizionata sotto
l’Africa meridionale, quindi sia in pieno oceano sia sotto un continente, senza correlazione verticale con le dorsali oceaniche in superficie.
Sulla base dell’osservazione che le onde P scompaiono a 105° dall’epicentro di un terremoto e riappaiono a
circa 140°, questa fascia, dovuta all’effetto di diffrazione
delle onde P al limite mantello-nucleo, è stata definita
come zona d’ombra delle onde P.
Il mantello è costituito principalmente da silicio, ossigeno, magnesio, ferro, oltre che calcio e alluminio. I minerali principali del mantello sono silicati di ferro e magnesio: l’olivina, (Mg,Fe)SiO4, e i pirosseni che possono
essere calcici e magnesio-ferriferi. L’olivina, in funzione
del rapporto tra ferro e magnesio, può essere di tipo forsteritico (ricca in Mg) o fayalitico (ricca in Fe). Questo
minerale è uno tra i più diffusi nel pianeta, ha un colore
verdastro, ma quando è alterato e ossidato diventa rossastro. L’olivina, sotto i 400 km, per l’aumento della pressione ha una transizione di fase, trasformandosi in una
struttura tipo-spinello. Ciò spiega una forte discontinuità
delle onde sismiche che sotto questa profondità si velocizzano, indicando un aumento di rigidità delle rocce. La
pressione alla quale avviene questa transizione dipende
dalla temperatura e dal contenuto in Fe dell’olivina; l’aumento di contenuto in Fe diminuisce la pressione della
transizione di fase.
Le onde sismiche che viaggiano all’interno dell’astenosfera, sono più veloci in una particolare direzione, sono
cioè polarizzate (shear wave splitting). Questo indicherebbe che i cristalli di olivina tendono ad avere l’asse lungo
isorientato nella direzione di maggiore velocità. In genere
questa direzione coincide con la direzione del movimento
delle placche sovrastanti, confermando che l’astenosfera è
dunque il livello in cui la litosfera scivola, è cioè scollata rispetto al mantello terrestre. L’isorientazione dei cristalli è
detta anche LPO (Lattice preferred orientation).
599
CARLO DOGLIONI
geochimica
Sotto le dorsali oceaniche il mantello fonde, dove l’astenosfera risalendo in modo sostanzialmente adiabatico, perde gradualmente il carico delle rocce sovrastanti
(litostatico) e la depressurizzazione permette di superare la linea del solidus, generando magmatismo detto
MORB (Middle oceanic ridge basalt) con composizione di tipo essenzialmente tholeiitico. Il magmatismo si
forma anche a tetto delle zone di subduzione, tra 60 e
150 km di profondità: i basalti di queste zone, che si
chiamano anche IAB (Island arc basalt), si formano per
lo più nel mantello arricchito dai fluidi rilasciati dalla
placca in subduzione. Il magmatismo prodotto può avere composizione variabile da tholeiitica a calco-alcalina
fino a shoshonitica (alcalino potassica). L’altro tipo di
magmatismo molto diffuso è il tipo OIB (Ocean island
basalt), che si forma all’interno di placche (per es., le
isole Hawaii nella placca pacifica), apparentemente non
collegato alla tettonica dei margini. Ci sono modelli che
lo interpretano come dovuto ad anomalie termiche del
mantello, profonde o superficiali, oppure alla presenza
di fluidi, con un chimismo tendenzialmente alcalinotholeiitico.
La composizione del mantello stesso è tuttora dedotta in via esclusivamente speculativa. Il mantello viene
considerato composto principalmente da olivina, ma è
discutibile ancora la percentuale di Fe o Mg in essa presente; tali variazioni sono in grado di generare fondamentali gradienti di densità che possono favorire, ovvero sfavorire, la convezione. Importanti indicazioni sulle
caratteristiche geochimiche della sorgente dei magmi è
fornita dallo studio della distribuzione degli elementi incompatibili (fig. 6). In particolare, nei magmi delle zone di subduzione si osservano elevati rapporti tra gli elementi incompatibili a grande raggio ionico, i LILE (Large ion lithophile elements) e quelli ad alta forza di campo
o HFSE (High field strenght elements). Tali magmi si
trovano in proiezione verticale dove lo slab ha una profondità variabile di 65⫼130 km. La profondità di alimentazione sembra diminuire con l’aumentare della velocità
della subduzione. In generale è stato ipotizzato che la
deidratazione dello slab metasomatizzi il mantello sovrastante, portandolo a fusione parziale, e che questi fusi alimentino il magmatismo d’arco. Tuttavia non è da
escludere anche il contributo di una componente meccanica come il calore di frizione, visto che il magmatismo d’arco è più abbondante dove la velocità di subduzione aumenta.
La geochimica isotopica permette di discriminare tra
i diversi tipi di magmi e di mantello. Una serie di acronimi descrivono le diverse tipologie di magmi e di mantello finora riconosciuti. Oltre ai più diffusi MORB e
ai già citati OIB e IAB vanno ricordati: basalti intraplacca (WPB, Within plate basalts); magmi tholeiitici
(TH), tipici di rifting oceanico; magmi calco-alcalini
(CA) e shoshonitici alti in K, di ambiente subduttivo,
nonché andesiti con alto contenuto in MgO (HMA,
High-Mg andesite). Nella classificazione geochimica degli elementi in traccia usata per scopi petrologici vengono utilizzate diverse proprietà indicate con acronimi
diversi: oltre agli elementi HFSE rappresentati da Ta,
Nb, Zr, Hf e Ti e i LILE come K, Cs, Rb, Sr, Ba e Terre rare leggere si ricordano gli elementi mobili in fase
Caratterizzazione Fig. 5. Colate basaltiche esagonali formano
la Giant’s Causeway, in Irlanda del Nord.
2. Disomogeneità del mantello terrestre
L’olivina cristallizza soprattutto in magmi ricchi in Mg
e poveri in Si, per formare rocce mafiche e ultramafiche
intrusive come i gabbri o le peridotiti, ed effusive come
i vari tipi di basalti. La roccia più diffusa eruttata dal mantello è il basalto, ricco in Al e Ca oltre che in Mg. Tutta
la parte alta della crosta oceanica è costituita da basalti.
Vi sono circa 40.000 km di dorsali oceaniche che eruttano intorno a 17 km3 di basalti ogni anno. I basalti si
originano per fusione parziale del mantello di composizione generalmente peridotitica.
I graniti sono rocce già in parte differenziate che si possono formare anche per rifusione di rocce crostali. I magmi possono essere modificati dalla rimozione di cristalli
che si formano durante il raffreddamento (processi di cristallizzazione frazionata). I magmi possono mescolarsi
con altri magmi o assimilare nel loro percorso di risalita
rocce che vengono prima scaldate e poi fuse a causa dell’alta temperatura del magma stesso. Data la variabilità
composizionale del mantello, le plurime cause di generazione, e le modifiche chimico-fisiche che i magmi possono subire nella loro messa in posto, è naturale aspettarsi uno spettro ampio di tipologie di rocce ignee, che è
inoltre condizionato dall’ambiente geodinamico di formazione e di messa in posto.
Il vulcanismo è alimentato principalmente dal mantello. La fusione può avvenire per tre diverse cause: un
aumento di temperatura, una diminuzione di pressione,
oppure una permeazione di fluidi che abbassano la temperatura di fusione. I magmi si formano principalmente
nell’astenosfera, tra circa 50⫼200 km di profondità. Le
principali aree di produzione dei magmi sono: (a) le dorsali oceaniche e i rift continentali; (b) le zone di subduzione; (c) i plumes e/o punti caldi (hot spot). A quest’ultimo gruppo appartengono anche i grandi espandimenti basaltici detti LIPS (Large igneous provinces) o trap,
come per esempio quelli dell’Ontong Java Plateau, Kerguelen e Nord Atlantico negli oceani, e il Parana (135
Ma), il Deccan (60⫼65 Ma), la Siberia (250 Ma) nei continenti. In queste regioni, in periodi diversi, nel giro di
pochi milioni di anni sono stati eruttati da 1 a 5⫻106 km3
di basalti.
600
SCIENZA E TECNICA
TERRA - INTERNO DELLA TERRA
aumento T e fluidi
depressurizzazione
aumento T e fluidi
MORB
OIB
IAB
oceano
continente
astenosfera
mantello superiore
impoverito
?
670 km
mantello inferiore primitivo
A
1000
hawaii oceanic island basalt
island arc tholeiitic basalt
mid-oceanic ridge basalt
100
10
OIB
MORB
1
IAB
0,1
Rb Ba Nb K La Ce Sr P Nd Zr Sm Eu Ti Y Yb
B
16
fonolite
fluida (FME, quali per es., B, Cs, As, Sb, Rb, Ba, Pb) e
gli elementi del gruppo del platino (PGE, come Pt, Ru,
Rh, Pd, Os e Ir). Tra le rocce-sorgente, dalle quali provengono i più comuni magmi terrestri, si annovera il
mantello impoverito sorgente dei MORB (DMM, Deplete morb mantle); il mantello primitivo (PM, Primitive mantle); il mantello arricchito tipo EM1 (Enriched
mantle 1), contaminato da sedimenti pelagici trasferiti
in profondità dalla subduzione; il mantello arricchito
EM2 (Enriched mantle 2), contaminato prevalentemente da sedimenti terrigeni subdotti; il mantello ad
alto rapporto 238UⲐ204Pb, (HIMU, Highm), contaminato da crosta oceanica. Vari elementi come il 11B o il
10Be sono utilizzati come traccianti di crosta oceanica
alterata o di sedimenti oceanici che possono essere riciclati in zone di subduzione.
Un mantello che non ha subito processi di fusione viene detto primitivo, ed è considerato il mantello iniziale
di riferimento della differenziazione terrestre, a composizione condritica, come un tipo di meteoriti che si ritiene abbiano la stessa composizione dei planetesimi la cui
aggregazione ha costituito la Terra. Un mantello fertile
contiene tutti gli elementi nella loro concentrazione originaria. Un mantello che ha avuto processi di fusione e
perdita di magma viene invece detto impoverito (depleted ), mentre un mantello che è stato modificato per l’apporto di materiale per esempio derivato da una subduzione viene definito arricchito negli elementi che lo hanno metasomatizzato e riportato in condizione fertile. Vi
sono anche aree di mantello che hanno subito fusione
parziale, con magmi che sono rimasti tuttavia intrappolati all’interno del mantello stesso, senza poter risalire, generando sacche di fuso consolidato cioè rocce con fasi
stabili alle condizioni mantelliche.
trachite
Na2O ⫹ K2O
14
12
tefrifonolite
foidite
fonotefrite
10
8
6
trachiandesite
0
35
riolite
andesite
4
basalto
2
picro- MORB
basalto
40
C
45
50
della tettonica globale
alcali
riolite
trachidacite
trachiandesite
trachi- basaltica
basalto
basanite
3. Cinematica e dinamica ALCALINO
andesite
basaltica
dacite
SUB ALCALINO
55
60
65
70
SiO2 (peso %)
differenziazione
75
80
Fig. 6. Ambienti geodinamici
e caratterizzazione geochimica e petrografica
(A) Principali ambienti geodinamici e tipologie magmatiche. (B)
Diagramma di normalizzazione degli elementi in tracce incompatibili
nel rapporto concentrazione roccia/MORB, dove si evidenziano le
variazioni nei magmi OIB e IAB normalizzati ai valori dei contenuti
MORB. Gli OIB hanno valori mediamente più alti, a parte Y e Yb;
gli IAB possono avere invece valori minori, a parte Rb, Ba, K e Sr. (C)
Diagramma TAS (Total Alkali vs. Silica), con il rapporto tra contenuto alcalino totale e quarzo nelle rocce vulcaniche.
SCIENZE DELLA TERRA
Le dorsali oceaniche si formano dove due placche litosferiche si allontanano, determinando una risalita conseguente dell’astenosfera sottostante. Il mantello, che in
questa regione si trova a quota meno profonda e quindi
a pressione minore, ma conserva buona parte della sua
temperatura perché le rocce sono scarsi conduttori, inizia a fondere con i fusi relativi meno densi che risalgono
alla superficie, determinando prima vulcanesimo e, successivamente, mentre prosegue l’allontanamento delle
placche, produzione di nuova crosta oceanica. La crosta
oceanica può così essere interpretata come una nuova pelle che il mantello terrestre si costruisce una volta messo
a nudo.
La fusione parziale del mantello determina da un lato i magmi che generano la crosta oceanica, e dall’altro
un impoverimento del mantello sorgente. La depauperazione dei fusi causa una modificazione composizionale del mantello, aumentandone la viscosità e diminuendone la densità e la temperatura. La litosfera oceanica è
costituita da mantello astenosferico impoverito e raffreddato più la crosta oceanica. Nelle subduzioni verso
ovest la litosfera taglia tutto il mantello superiore e, secondo alcuni modelli, penetra nel mantello inferiore,
mentre per altri modelli sembra fermarsi e appiattirsi alla
601
CARLO DOGLIONI
discontinuità dei 670 km. Le subduzioni opposte, come
nel caso delle Ande, potrebbero permettere un rientro
della litosfera dentro l’astenosfera, una sua assimilazione e quindi una rifertilizzazione del mantello alla composizione originale. Lo scollamento della litosfera è tanto più veloce quanto meno viscosa è l’astenosfera sottostante, determinando l’isorientazione dei cristalli sul
piano di movimento.
Cinematica delle placche
I movimenti attuali e passati delle placche, cioè degli
elementi reologicamente tra loro svincolati di cui si compone la litosfera, sono misurabili in vari modi. Grazie alla geodesia spaziale, tramite la rete GPS (Global positioning system), oppure grazie ai segnali emessi dalle Quasars (tecnica VLBI, Very long baseline interferometry), o
ai satelliti chiamati Lageos su cui vengono inviati da terra degli impulsi laser, si misurano velocità e direzione delle placche; la precisione della misura è inferiore al mm
l’anno per i movimenti orizzontali. Anche i terremoti forniscono informazioni sui movimenti, perlomeno relativi, delle placche. Per i movimenti passati, le anomalie magnetiche negli oceani permettono di misurare con discreta
precisione, per gli ultimi 180 milioni di anni, la velocità
delle placche.
I movimenti misurati negli ultimi 25 anni di geodesia spaziale sono molto simili alle medie ricostruibili negli oceani per gli ultimi milioni di anni. Oltre a confermarci l’affidabilità delle stime delle velocità, questa
informazione ci dice che le placche si muovono lentamente, ma in modo costante, senza grandi oscillazioni
di velocità. La velocità delle placche può essere misurata in sistemi di riferimento relativi o assoluti. Per relativi s’intendono i movimenti per esempio tra due placche considerandone fissa una delle due oppure il margine interposto. Per assoluti si intendono i sistemi di
riferimento indipendenti dalla litosfera. Uno dei sistemi più utilizzati è il NNR (No-net-rotation), in cui si
analizzano i movimenti delle placche rispetto al centro
della Terra ipotizzato fisso. Questo sistema di riferimento
è molto utile per misure di geodesia spaziale, ma è un
artefatto che non tiene conto del movimento delle placche rispetto al mantello sottostante. Per questo vengono utilizzati i punti caldi (hot spot) come sistema di riferimento. A seconda che i punti caldi vengano dal mantello profondo oppure dall’interno del piano di
scollamento nell’astenosfera, si ottengono sistemi di riferimento diversi, rispettivamente il DHRF (Deep hotspot reference frame) e lo SHRF (Shallow hotspot reference frame).
I movimenti relativi tra le placche sono variabili nell’intervallo 14⫼150 mm/anno. I movimenti assoluti sembrano avere velocità dello stesso ordine di grandezza, cioè
viene ipotizzato che lo scollamento tra litosfera e mantello sottostante abbia velocità che arrivano fino a oltre
100 mm/anno. Una velocità assoluta pari a zero significherebbe che la litosfera è saldata al mantello sottostante senza scollamento all’interfaccia. I movimenti della litosfera rispetto al mantello, secondo un’accreditata ipotesi, possono essere anche individuati attraverso lo studio
di una particolare tipologia di vulcanismo. Le isole Hawaii
formano una catena di vulcani sottomarini, allungata per
oltre 4000 km. I vulcani sono via via più vecchi ed estinti
602
in direzione ovest-nordovest. Ciò ha permesso di ipotizzare che sotto la litosfera pacifica che si muove in quella
direzione, vi sia una sorgente magmatica fissa all’interno
del mantello. Conoscendo l’età delle rocce vulcaniche,
che dalle Hawaii verso ovest-nordovest invecchiano progressivamente fino a 47 milioni di anni, è possibile apprezzare lo scollamento della litosfera rispetto al mantello e avere una valutazione minima della velocità della litosfera rispetto al mantello.
Tuttavia, non si ha certezza sulla profondità della sorgente magmatica delle Hawaii. Alcuni ricercatori sostengono che venga dal limite nucleo-mantello, da 2900
km di profondità. Vi è però un numero sempre crescente di studiosi che interpretano invece la sorgente del magmatismo hawaiiano come superficiale, forse anche all’interno dell’astenosfera stessa, a circa 150⫼200 km di profondità. In questo caso, se la sorgente si trovasse all’interno
del piano di scollamento, il movimento registrato nella
catena di vulcani non rappresenterebbe totalmente il movimento tra la litosfera pacifica e il mantello profondo
ma una velocità ridotta, con velocità assoluta che risulterebbe circa raddoppiata. In questo caso, i punti caldi
come le Hawaii potrebbero generarsi per il calore di frizione che si produce sul piano di scollamento tra litosfera e mantello sottostante laddove vi siano delle anisotropie composizionali che presentano locali aumenti di viscosità. Lo scollamento, inoltre, con il calore di frizione,
genera una diminuzione di viscosità che autoalimenta lo
scollamento stesso.
Vi sono altri punti caldi, che si trovano sulle dorsali
oceaniche, come l’Islanda, Ascension, Tristan da Cunha.
L’origine di queste maggiori emissioni potrebbe essere
diversa e legata a una maggiore concentrazione di fluidi
nel mantello che abbassano la temperatura di fusione.
Inoltre le dorsali sono in movimento l’una rispetto all’altra e rispetto al mantello sottostante, per cui i punti
caldi stabili in prossimità delle dorsali devono essere scollati rispetto al mantello sub-astenosferico.
Sommando i vettori delle placche, i due sistemi di riferimento assoluti rispetto al mantello evidenziano come
la litosfera abbia una rotazione media verso ovest di circa 5 cm/anno (DHRF) o di oltre 10 cm/anno (SHRF)
rispetto al mantello sub-astenosferico. Questa evidenza
cinematica è in accordo con l’asimmetria della tettonica
a scala globale, che marca una profonda differenza tra le
catene montuose a seconda che siano legate a subduzioni verso ovest o verso est o nordest. Se la litosfera è in movimento relativo verso ovest, ciò sottende un movimento verso est del mantello sottostante. Al contrario di quanto pensato fino a pochi anni fa, le placche sembrano
muoversi in modo coerente, non caotico, descrivendo un
flusso sinusoidale.
Ogni movimento su una sfera è riconducibile a una
rotazione attorno a un asse passante per il centro della
sfera stessa e descrivibile con il teorema di Eulero. La cinematica delle placche viene quindi descritta con moti
relativi a poli di rotazione rispetto ai quali le placche hanno velocità lineari maggiori in funzione della distanza dal
polo di rotazione stesso.
Le placche possono allontanarsi o avvicinarsi con un
angolo qualsiasi rispetto alle placche adiacenti. Si parla
cioè di tettonica distensiva quando il margine che separa due placche è perpendicolare al movimento relativo,
SCIENZA E TECNICA
TERRA - INTERNO DELLA TERRA
mentre si parla di tettonica transtensiva quando questo è
obliquo. Similmente, quando due placche convergono
con un margine ortogonale al movimento si parla di tettonica compressiva, mentre l’ambiente tettonico diventa
transpressivo quando il margine è obliquo rispetto al movimento relativo. Quando due placche invece si muovono lateralmente l’una rispetto all’altra, la tettonica è detta trascorrente.
I margini tra le placche possono essere ampi anche
varie centinaia di km, aree in cui viene distribuita la
deformazione che accomoda il movimento relativo, in
uno qualsiasi degli ambienti geodinamici (divergente,
trascorrente e convergente). I punti in cui vengono in
contatto e in movimento relativo tre placche sono detti giunzioni triple. Un esempio può essere nel margine
occidentale del Nord America, dove questa placca è in
contatto sia con la placca pacifica sia con quella di Juan
de Fuca, all’intersezione con la faglia trasforme di Mendocino, la faglia di San Andreas e la subduzione delle
Cascadia.
Sommando i vettori che descrivono i movimenti delle placche, si nota che la loro somma non è zero, ma rimane un residuo verso ovest. Questo implica che la litosfera ha un ritardo rispetto al mantello sottostante, rimanendo verso ovest di alcuni centimetri l’anno. Questa
polarizzazione sembra cruciale nel determinare una forte asimmetria della tettonica a scala globale. Per esempio le subduzioni verso ovest sono più inclinate di quelle verso est, oppure, a parità di tassi di convergenza, sul
lato del Pacifico occidentale sopra le zone di subduzione non vi sono i grandi rilievi che invece marcano il bordo orientale in subduzione sotto la Cordigliera americana. La stessa differenza può essere applicata alla contrapposizione tra Appennini e Alpi: i primi hanno bassa
elevazione media, sono costituiti per lo più da rocce sedimentarie, hanno una avanfossa, cioè un bacino di sedimentazione frontale, con tassi di subsidenza altissimi
(oltre 1 mm/anno), e inoltre presentano un bacino a
tergo, a ovest, detto bacino di retroarco. Le Alpi invece, hanno un’elevazione media maggiore, estesi affioramenti di rocce cristalline profonde al nucleo, doppia
vergenza, due avanfosse con bassi tassi di subsidenza e
non presentano un bacino di retroarco. Queste differenze possono essere spiegate dalla diversa polarità della subduzione, cioè mediamente diretta verso ovest per
gli Appennini, come alle Barbados o alle Marianne, e
mediamente diretta verso est per le Alpi, come nella subduzione Andina o in Himalaya, dove la subduzione avviene verso nord-nordest.
Dinamica terrestre e cause della tettonica delle placche
Si sta attualmente cercando di dimostrare come la tettonica delle placche, che è stata finora attribuita solo ai movimenti convettivi del mantello, sia in realtà anche fortemente influenzata dagli effetti rotazionali e conseguentemente tidali, quali l’attrazione luni-solare. L’energia dissipata
dalle maree è di 1,61019 Janno, un’energia superiore a
quella stimata per tutta la tettonica delle placche. Non si
sa in che modo tuttavia questa energia possa essere trasferita dall’attrito mareale alle placche. L’ipotesi più probabile è che l’astenosfera sia il piano di scollamento principale dove tale energia riesce a liberarsi per mettere in
SCIENZE DELLA TERRA
W
spinta dorsale trascinamento tidale
astenosfera
litosfera
trascinamento mantello
tiro slab
richiamo slab
Fig. 7. Le forze che agiscono sulla litosfera.
Spinta della dorsale, tiro dello slab e trascinamento tidale necessitano
di uno scollamento alla base della litosfera (frecce bianche); richiamo
dello slab e trascinamento del mantello sono tanto più efficaci quanto
maggiore è l’accoppiamento tra litosfera e astenosfera (cerchi).
movimento la litosfera rispetto al sottostante mantello. La
viscosità dell’astenosfera diventa quindi cruciale per permettere questo scollamento relativo, e la valutazione del
suo valore è tuttora oggetto di numerose ricerche che raggiungono risultati discordanti in funzione della reologia
(studio della deformazione dei fluidi) lineare o non-lineare (newtoniana o non-newtoniana) assunta.
Nella concezione paradigmatica attuale, che la tettonica delle placche sia guidata dalla caduta verso il basso
degli slab in subduzione, oppure dalla risalita dell’astenosfera nelle zone di rifting, o che sia il risultato del trascinamento delle celle convettive, a muovere le placche
sarebbe sempre solo l’energia dissipata dalla convezione
chimico-termica, in altre parole il raffreddamento del pianeta. Nelle zone di subduzione lo stato di sforzo è variabile. Ci sono slab che evidenziano una compressione lungo l’immersione (down-dip compression) e slab che al contrario presentano estensione (down-dip extension). Spesso
questa differenza ha un connotato geografico, e cioè vale per le subduzioni verso ovest nel primo caso, e verso
est o nordest nel secondo. Uno slab in compressione evidenzia difficoltà a scendere nel mantello.
Le forze finora proposte per il movimento delle placche sono di due tipi, senza scollamento o con scollamento tra litosfera e mantello sottostante (fig. 7). Quelle che
per funzionare hanno bisogno di accoppiamento tra litosfera e mantello sottostante sono il trascinamento del mantello e il richiamo dello slab. Quelle che necessitano di
scollamento relativo sono la spinta della dorsale, il tiro
dello slab, e il trascinamento mareale. Il trascinamento
del mantello (mantle drag) è la forza che dovrebbero esercitare le celle convettive sulla litosfera. Il richiamo dello
slab (slab suction) è il flusso indotto nel mantello dalla
subduzione in caduta nel mantello stesso. Queste due forze sono tanto più efficaci quanto maggiore è l’accoppiamento litosfera-mantello. Noi sappiamo però che uno
scollamento tra litosfera e mantello esiste, e dobbiamo
comprenderne la causa. La spinta della dorsale (ridge push) è il peso esercitato dalla presenza del rilievo sottomarino. Il tiro dello slab (slab pull ) è la forza esercitata dalla subduzione assumendo che lo slab abbia una densità
maggiore del mantello ospite. Il trascinamento tidale o
mareale (tidal drag) è la spinta verso ovest dovuta al ritardo del rigonfiamento mareale rispetto all’allineamento gravitazionale Terra-Luna e Terra-Sole (fig. 8). Il
ritardo è dovuto al comportamento viscoelastico della
Terra, che quindi non reagisce istantaneamente (comportamento elastico) alle sollecitazioni gravitazionali esterne. Queste tre forze per poter funzionare necessitano di
603
CARLO DOGLIONI
rotazione
tiro mareale
verso ovest
Fig. 8 . Trascinamento mareale verso ovest della litosfera.
uno scollamento alla base della litosfera. La spinta della
dorsale è stata calcolata almeno un ordine di grandezza
più piccola del tiro dello slab. L’ipotesi relativa a questo
tipo di forza presenta molte contraddizioni, come per
esempio il fatto che in alcune subduzioni da un punto di
vista cinematico, lo slab addirittura possa fuoriuscire dal
mantello, e che la sua intensità sarebbe superiore a quella che la litosfera sottoposta a trazione è in grado di sopportare senza rompersi. Il trascinamento tidale ha invece
il vantaggio che la forza è distribuita su tutta la placca.
È congruo il numero di evidenze che la tettonica delle placche abbia un forte controllo di carattere astronomico o rotazionale, quali la diminuzione di velocità e di
sismicità delle placche verso le zone polari, l’accumulo di
materiale più freddo e più pesante nelle zone equatoriali, la deriva verso ovest della litosfera che spiega la forte
asimmetria delle zone di subduzione che sono molto inclinate e profonde quando immergenti a ovest, oppure
poco inclinate e poco profonde quando immergenti verso est o nordest. Anche le zone di rifting presentano un’asimmetria visibile nella minore elevazione/batimetria della placca orientale rispetto a quella occidentale. È stata
inoltre da lungo tempo notata anche una correlazione tra
oscillazioni mareali e picchi di sismicità.
Recentemente è stato proposto che la rotazione terrestre, accoppiata alla convezione del mantello e alla reologia non lineare dell’astenosfera, possa essere considerata una causa primaria della tettonica delle placche sia in
termini di energia sia di direzioni di movimento.
La convezione del mantello non è un processo di cui
si abbia una chiara cinematica. È evidente che l’ingresso
di slab nel mantello e la risalita dell’astenosfera lungo le
dorsali oceaniche rappresentano movimenti convettivi.
Vi sono studi che ritengono infatti che la convezione nel
604
mantello sia innescata dalla tettonica delle placche, cioè
dall’alto, per la minore temperatura degli slab che riportano la litosfera nel mantello. Altri studi sostengono invece che la convezione sia innescata dal basso, sempre per
la necessità della Terra di dissipare calore. La convezione
è un processo che s’innesca quando vi sono gradienti di
densità per ragioni termiche e composizionali; è un processo caotico in senso di dinamica dei fluidi, ed è tanto
più efficace quanto minori sono la viscosità e la conducibilità termica, e quanto maggiori sono i gradienti di
temperatura, di densità, il coefficiente di espansione termica, la capacità del calore specifico e lo spessore del mantello interessato. Il numero adimensionale di Rayleigh descrive il rapporto di questi parametri che ostacolano o favoriscono la convezione.
Vi sono teorie che prevedono una convezione coinvolgente l’intero mantello. Altri modelli invece separano
la convezione nel mantello superiore da quella del mantello inferiore. Vi sono altre ipotesi secondo cui per l’alta pressione e l’alta densità il mantello inferiore ha una
dinamicità convettiva molto ridotta. Inoltre il mantello
ha un comportamento non lineare a cui è difficile associare un modello.
La dinamica interna al pianeta non sembra comunque
in grado di spiegare da sola la semplicità dei movimenti
delle placche sulla superficie terrestre. La rotazione terrestre e l’attrazione gravitazionale della Luna e del Sole
sono fenomeni complementari che possono concorrere a
comprendere la dinamica terrestre, responsabile tra l’altro del continuo degassamento e alimentazione dell’atmosfera terrestre.
Se l’astenosfera, alla base della litosfera, ha una viscosità sufficientemente bassa da permettere lo scollamento
con il mantello sottostante, questo scollamento potrebbe essere innescato dal trascinamento mareale sia solido
sia liquido. La convezione, da parte sua, portando in
profondità materiali pesanti che vanno ad accrescere il
nucleo solido e ad appesantire la base del mantello inferiore, determinerebbe un aumento di velocità di rotazione terrestre, dovuto alla diminuzione del momento d’inerzia. La combinazione dei due fenomeni, astronomico
e convettivo, farebbe sì che la litosfera si trovi in una condizione di sforzo permanente, dove la Luna e il Sole rallentano la Terra e la convezione interna tende invece ad
accelerarla, anche se comunque il bilancio è negativo, visto che la Terra rallenta la sua rotazione di circa 1,8 millisecondi al secolo. Sebbene sembri molto lenta, vista nell’arco della storia della Terra questa diminuzione di velocità è estremamente importante. Per esempio 400 milioni
di anni fa la Terra aveva circa 400 giornianno con durata del giorno di 2122 ore.
Il trascinamento astronomico sarebbe quindi non solo responsabile della deriva verso ovest della litosfera, ma
anche della direzione preferenziale dei movimenti delle
placche che tendono a disporsi lungo un flusso dominante, di forma sinusoidale, ma non troppo lontana dalla geometria di un cerchio massimo. Questo flusso tende a disporsi con un angolo minore di 30° rispetto all’equatore, molto vicino al piano dell’eclittica più il piano
della rivoluzione lunare (circa 28°). Le forze tidali sembrano dunque avere un’influenza fondamentale sulla dinamica terrestre, ma devono ancora essere pienamente
comprese, nonostante siano note già dall’età ellenistica.
SCIENZA E TECNICA
TERRA - INTERNO DELLA TERRA
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Fig. 1 Anomalie del geoide in metri. Le aree più sollevate rosse indicano eccessi di massa,
viceversa quelle blu. Mappa dell’University of Texas Center for Space Research and
NASA.
Fig. 2 Variazioni stimate della velocità delle onde P (Vp), delle onde S (Vs) e della densità
all’interno della T. sulla base del PREM.
Fig. 3 Suddivisione fondamentale dell’interno della T. con i relativi valori di T, densità,
viscosità, composizione primaria e velocità sismiche. La T. ha una stratificazione legata
alla densità dei materiali. Gli elementi più leggeri tendono ovviamente verso l’alto e
viceversa. Dati tratti dal PREM.
Fig. 4 L’andamento della temperatura con la profondità è la geoterma. La temperatura
aumenta rapidamente nei primi 30 km, dalla T di superficie a circa 500-600°C. Il gradiente
medio di 30°C/km nei primi 15 km scende 15°-8°C/km alla base della crosta. La T cresce
fino a circa 1300°C alla base della litosfera a 100 km, profondità che può variare tra 20 km
sotto le dorsali oceaniche a 250 km sotto i cratoni continentali. Poi la T aumenta con un
gradiente inferiore di circa 0.5°-1°/km fino alla base del mantello a 2890 km. A seconda
della composizione del mantello e del nucleo, e dell’aumento della P con la profondità, i
vari livelli si trovano in uno stato fisico variabile. Il primo livello importante per la
geodinamica è l’astenosfera, dove nella parte alta la geoterma interseca la curva di
fusione, e di conseguenza è parzialmente fusa (1-2%?). La geoterma supera ancora la
curva di fusione nel nucleo esterno che è infatti completamente fuso. CMB, core-mantle
boundary, è la discontinuità che separa il nucleo dal mantello sovrastante.
Fig. 5 L’interno della T. è composto da una serie di gusci che hanno comportamento
variabile. Il nucleo solido ruota più rapidamente e presenta un’anisotropia orientata circa
N-S, probabilmente legata alla orientazione della struttura cristallina dei minerali di ferro
parallelamente all’asse di rotazione. Nel nucleo esterno liquido vi è invece una convezione
vorticosa in grado di generare il campo magnetico terrestre. Il mantello inferiore, per la sua
alta viscosità ha probabilmente una convezione molto lenta. Le variazioni di velocità
all’interno di questo livello, che costituisce quasi la metà della massa terrestre, sono
dovute a variazioni laterali e verticali di composizione e temperatura. Data la minore
viscosità, il mantello superiore e ancor più l’astenosfera possono fluire più rapidamente.
Questi contrasti di viscosità sono favorevoli più a una convezione mantellica a due strati,
con interscambi subordinati. La litosfera, dove la dissipazione del calore avviene per
conduzione e non per convezione come nel mantello, è scollata rispetto al guscio
sottostante e si muove relativamente verso “ovest”.
Fig. 6 Il mantello terrestre si comporta in modo diverso a seconda della durata del
processo che lo coinvolge (ts, tempo in secondi). I terremoti ne evidenziano la natura
solida, mentre le variazioni verticali legate al carico e scarico dei ghiacciai e la convezione
nel mantello dimostrano come nel lungo periodo il mantello si comporti come un fluido
altamente viscoso. Il !m, o tempo di Maxwell (a, anni), è dato dal rapporto tra viscosità e
rigidità di un corpo, ed è il tempo dopo cui un materiale passa da un comportamento
anelastico al flusso stazionario (da Yuen e Peltier, 1982).
Fig. 7 I terremoti permettono di vedere con che velocità si propagano le onde sismiche,
dandoci una sorta di ecografia dell’interno della T.. La velocità sismica è funzione della
densità e della rigidità dei mezzi che attraversa, valori legati alla composizione e allo stato
termico delle rocce. La sezione mostra le zone relativamente lente (sul rosso) e veloci (sul
blu) all’interno del mantello. Le zone più veloci sono interpretate come zone di subduzione
fredde. Tuttavia rimane il dubbio come zone lente possano essere volumi più caldi e meno
densi, oppure parti di mantello a composizione diversa, per esempio più ricche in ferro,
che ha velocità sismiche più basse, ma è più denso e quindi non tende a risalire (da van
der Hilts, 2004).
Fig. 8 Il mantello è costituito da silicati. Va dalla base della crosta, a circa 10-40 km di
profondità, fino al tetto del nucleo a 2890 km. La parte più alta, detta LID o mantello
litosferico, assieme alla crosta costituisce la litosfera, che è il guscio solido più esterno
della T., limitato alla base dalla isoterma dei 1300°C circa, temperatura alla quale le
peridotiti che la costituiscono iniziano parzialmente a fondere. E’ questa la parte alta
dell’astenosfera, o canale a bassa velocità (LVZ), dove le onde sismiche rallentano.
Scendendo all’interno del mantello cambiano probabilmente le percentuali degli elementi
che lo costituiscono, e si modificano anche le fasi che diventano via via più compatte e più
dense. Le due transizioni più evidenti sono a 400 km, dove l’olivina per l’aumento di
pressione si trasforma in spinello, e a 670 km, dove la roccia assume una struttura di tipo
perovskitico.
Fig. 9 A, principali ambienti geodinamici e tipologie magmatiche: OIB, basalti di isole
oceaniche, è un vulcanesimo intraplacca, non legato a deformazione di margine di placca;
MORB, basalti di dorsale oceanica, tipico di ambiente di rifting maturo; IAB, basalti di archi
magmatici, lungo zone di subduzione, sia con litosfera continentale che oceanica a tetto.
B, Diagramma di normalizzazione degli elementi in tracce incompatibili nel rapporto
concentrazione roccia/Morb, dove si evidenziano le variazioni nei magmi OIB e degli IAB
normalizzati ai valori dei contenuti MORB. Gli OIB hanno valori mediamente più alti, a
parte Y e Yb; gli IAB possono avere invece valori minori, a parte Rb, Ba, K e Sr. C,
Diagramma TAS (Total Alkali vs. Silica), con il rapporto tra contenuto alkalino totale e
quarzo nelle rocce vulcaniche (da M. Wilson, 1989).
Fig. 10 Lungo le zone di rifting, dove due placche si allontanano, l’astenosfera risale a
compensare il vuoto. Nella risalita, diminuendo la pressione, ma mantenendo la sua T,
inizia a fondere e a produrre nuova crosta oceanica. L’astenosfera sottostante, privata
degli elementi che costituiscono la crosta (Si, Fe, Mg), è impoverita e più leggera. Le
dorsali sono in movimento laterale rispetto al mantello, per cui nella loro migrazione verso
ovest transitano sopra un mantello relativamente fertile, e lasciano alle spalle al di sotto
verso est un mantello invece impoverito. Quest’ultimo, più viscoso e meno denso,
determina un maggiore accoppiamento con la placca sovrastante ad est, mantenendola
più lenta rispetto a quella ad ovest della dorsale. Inoltre, essendo il mantello meno denso,
determina una subsidenza termica minore ad est rispetto al fianco ovest. La sezione è una
interpretazione della dorsale del Pacifico (EPR, east Pacific rise).
Fig. 11 Le onde sismiche S all’interno dell’astenosfera viaggiano più velocemente in senso
orizzontale (SH) che lungo la verticale (SV). Inoltre hanno quasi sempre una direzione
preferenziale. Questa anisotropia sismica è quasi assente nella litosfera sovrastante, ed
indica una isorientazione dei cristalli nell’astenosfera che può essere interpretata come
dovuta ad una zona di taglio, o piano di scollamento. Modificato da Gung et al., 2003.
Fig. 12 Le zone di subduzione presentano sismicità compressiva lungo lo slab
principalmente nelle subduzioni verso ovest, mentre tende ad essere tensionale nelle
subduzioni opposte.
Fig. 13 Le forze che agiscono sulla litosfera sono la spinta della dorsale, il tiro dello slab, il
trascinamento tidale, il richiamo dello slab e il trascinamento del mantello. Le prime tre
forze necessitano di uno scollamento alla base della litosfera (frecce bianche), mentre le
ultime due sono tanto più efficaci quanto maggiore è l’accoppiamento tra litosfera e
astenosfera (cerchi). Poiché la litosfera sappiamo essere scollata, una delle prime tre
dovrebbe essere la più importante nel determinare il movimento della litosfera. La spinta
della dorsale è almeno 10 volte più piccola del tiro dello slab. Tuttavia quest’ultimo ha una
serie di contro-argomenti che lo rendono anche debole come unico meccanismo. La forza
tidale o mareale può infine agire solo se l’astenosfera ha valori di viscosità estremamente
bassi.
Fig. 14 Il tiro mareale verso ovest si forma perché la T., non essendo un corpo
perfettamente elastico, per la sua natura visco-elastica reagisce invece all’attrazione
gravitazionale della Luna e del Sole in ritardo. Di conseguenza, il rigonfiamento mareale si
trova permanentemente disassato. Il rigonfiamento tende perciò verso la linea di forza
gravitazionale, esercitando una forza verso “ovest”.
Fig. 15 Per dissipare calore e per ristabilire un maggiore equilibrio gravitazionale, l’interno
della T. convette portando i materiali più densi verso il basso, e i più leggeri verso l’alto.
Con questo meccanismo il nucleo esterno liquido deposita gradualmente nuovo ferro allo
stato solido alla sua base, continuando così ad espandersi. Il mantello a sua volta stratifica
nella parte bassa i suoi elementi più pesanti, e dall’astenosfera partono fluidi e gas che
rialimentano l’idrosfera e l’atmosfera. Per gli effetti rotazionali il nucleo interno ruota più
velocemente, mentre la litosfera, frenata dalle maree luni-solari, ruota più lentamente,
generando una deriva di alcuni cm/a orientata circa verso ovest (da Scoppola et al., 2006).
La deriva dei continenti
Carlo Doglioni
La deriva dei continenti, chiamata oggi tettonica delle placche, si può far
risalire alla fine del ‘500, quando un cartografo olandese Abraham Ortelius,
suggerì che le americhe furono spinte via dall’Europa e dall’Africa a causa di
terremoti e di alluvioni. A metà dell’’800 anche un altro geografo, Antonio
Snider-Pellegrini propose una ricostruzione della riunione dei vari continenti,
prima dell’apertura dell’Atlantico. Fu però Wegener, che nella prima metà del
‘900 dedicò gran parte delle sue energie per dimostrare come i vari continenti
andassero alla deriva, e fossero prima di ciò riuniti in un’unica grande massa
continentale. Tuttavia il suo lavoro pionieristico del 1912 “ Die Entstehung der
Kontinente” (l’origine dei continenti) ebbe inizialmente pochi proseliti. Solo nei
primi anni ’60, quando gli americani, applicando tecnologie militari per la
caccia ai sottomarini russi, scoprirono delle anomalie magnetiche speculari
sui due lati dell’Atlantico che dimostravano come il fondo oceanico si
fosse
espanso in modo simmetrico, la comunità scientifica, a valanga, accettò la
deriva dei continenti.
Proprio però perché i continenti sono attaccati anche a zone oceaniche,
solidali nel movimento, si preferisce parlare ora più che di deriva dei
continenti, di tettonica delle placche. Le placche sono i frammenti del guscio
esterno terrestre, detto litosfera, spesso circa 100 km. Le placche si muovono
l’una rispetto all’altra a velocità di qualche cm l’anno, e per tettonica si intende
appunto il movimento relativo tra le placche e le deformazioni che ne
conseguono ai margini. Quando due placche si allontanano si forma un
oceano, quando si avvicinano si forma una catena di montagne. La vitalità
della terra e di questa dinamica è testimoniata dai terremoti e dal
vulcanesimo.
Ma da dove viene l’energia per muovere le placche? Una parte dell’energia
viene dal calore emesso per il continuo raffreddamento del pianeta. Un’altra
parte consistente viene dal calore emesso dagli elementi radioattivi. Altra
energia si consuma per effetti di gravitazione, dato che i materiali più pesanti
tendono a scendere all’interno della terra, mentre i più leggeri risalgono.
Quindi gradienti di densità e di pressione, come nell’atmosfera, muovono
masse all’interno della terra. Un’altra importante forma di energia che agisce
sulla litosfera è la rotazione terrestre e le maree della luna e del sole.
Di cosa è fatta la litosfera?
La litosfera è composta di due parti, la crosta e il mantello
litosferico. La base
della litosfera è considerata l’isoterma di circa 1300°C. La crosta
è fatta nella
parte alta in genere da rocce sedimentarie, mentre approfondendosi, le rocce
diventano metamorfiche e ignee. La crosta può essere di due tipi,
continentale e oceanica. La crosta continentale è meno densa (2,6-2,8
gr/cm3) rispetto a quella oceanica (2,8-3.0 gr/cm3), ha uno spessore variabile
tra 10-50 km, mentre quella oceanica ha spessori minori in genere di 4-10 km.
Il limite tra la crosta e il mantello litosferico è detto discontinuità di Moho, dal
nome del suo scopritore Mohorovicic.
La litosfera ha uno spessore variabile tra 50-100 km nelle zone oceaniche e
tra 50-250 km in quelle continentali. La crosta è come una zattera sull’oceano:
galleggia come un tappo di sughero, in particolare la crosta continentale.
Infatti la crosta oceanica è molto più giovane (0-200 milioni di anni) di quella
continentale (fino a 3900 milioni di anni). La giovinezza geologica della crosta
oceanica ne indica la sua maggiore mobilità: se ne forma continuamente di
nuova, mentre altrettanta ne scende all’interno della terra, dove le placche
si
infilano all’interno del mantello nel processo detto subduzione.
Il mantello litosferico è composto invece da peridotiti, rocce intrusive costituite
principalmente da olivina, e talora anche da pirosseni, anfiboli e mica.
Sotto la litosfera si trova l’astenosfera, o sfera debole, detta anche canale a
bassa velocità. Infatti le onde sismiche P (le prime, più veloci) che all’interno
della litosfera raggiungono velocità di oltre 8 km/s, sono leggermente più lente
nell’astenosfera.
L’astenosfera va da mediamente 100 a 350 km di profondità, e riveste un
ruolo fondamentale nella dinamica terrestre, perché è il livello in cui la
litosfera scivola, si scolla, insomma si muove rispetto al mantello sottostante.
Il motivo per cui nell’astenosfera le onde sismiche rallentano è imputato alla
presenza di un qualche percentuale di fuso, in accordo col fatto che le
peridotiti, nonostante l’alta pressione cui si trovano per il peso della colonna di
rocce di oltre 100 km sovrastante, a quella temperatura di oltre 1300°C
iniziano a fondere.
Il mantello terrestre, quindi anche il mantello litosferico e l’astenosfera, si
pensa sia composto principalmente di olivina, un minerale verdastro, costituito
da silicato di ferro, e/o magnesio. Le onde sismiche che viaggiano all’interno
dell’astenosfera, pur essendo rallentate, sono però più veloci in una direzione
piuttosto che in un'altra, sono cioè polarizzate. Questo indicherebbe che i
cristalli di olivina tendono ad avere l’asse lungo isorientato nella direzione di
maggiore velocità. In genere questa direzione coincide con la direzione del
movimento delle placche, confermando che l’astenosfera è dunque il livello in
cui la litosfera scivola, è cioè scollata, rispetto al mantello terrestre.
Come si muovono le placche?
I movimenti attuali e passati delle placche sono misurabili in vari modi. Ora,
grazie alla geodesia spaziale, tramite la rete GPS, oppure grazie ai segnali
emessi dalle Quasars (tecnica VLBI, Very Long Baseline Interferometry), o ai
satelliti chiamati Lageos su cui vengono inviati da terra degli impulsi laser, si
riesce a misurare con che velocità e in che direzione le placche si muovono.
La precisione della misura è oramai inferiore al mm l’anno per i movimenti
orizzontali. I terremoti forniscono anche l’informazione su quanto e come si
muovono le placche, almeno nel loro movimento relativo. Per i movimenti
passati, almeno per gli ultimi 180 milioni di anni, le anomalie magnetiche negli
oceani permettono di misurare con discreta precisione i movimenti delle
placche.
Si è visto che i movimenti attuali misurati negli ultimi 25 anni di geodesia
spaziale sono molto simili alle medie ricostruibili negli oceani per gli ultimi
milioni d’anni. Oltre a confermarci l’affidabilità delle stime delle velocità,
questa informazione ci dice che le placche si muovono in maniera lenta, ma in
modo costante, inesorabile, senza grandi oscillazioni di velocità.
Le placche si muovono l’ una rispetto all’altra, con movimenti cosiddetti relativi.
Ma le placche si muovono anche rispetto al mantello sottostante, e questi
movimenti vengono detti anche “assoluti”. I movimenti relativi tra le placche
sono variabili tra 1 e 150 mm/anno. I movimenti assoluti sembrano avere
velocità dello stesso ordine di grandezza, cioè viene ipotizzato che lo
scollamento tra litosfera e mantello sottostante, scollamento che avviene
nell’astenosfera, abbia velocità che arrivano fino a oltre 100 mm/anno. Una
velocità assoluta 0 significherebbe che la litosfera è saldata al mantello
sottostante senza scollamento all’interfaccia. Le isole Hawaii invece, formano
una catena di vulcani sottomarini, allungata per oltre 4000 km. I vulcani sono
via via più vecchi ed estinti in direzione ovest-nordovest. Ciò ha permesso di
ipotizzare che sotto la litosfera pacifica, in movimento lungo la stessa
direzione, vi sia una sorgente magmatica “fissa” all’interno del mantello.
Conoscendo l’età delle rocce vulcaniche che allontanandosi dalle Hawaii
verso ovest-nordovest invecchiano gradualmente fino a 47 milioni di anni, è
possibile 1) apprezzare lo scollamento della litosfera rispetto al mantello e 2)
avere una valutazione minima della velocità della litosfera rispetto al mantello
(circa 100 mm/anno). Non si ha certezza sulla profondità della sorgente
magmatica delle Hawaii. Ci sono ricercatori che sostengono che venga dal
limite nucleo-mantello, da 2900 km di profondità. Vi è però un numero sempre
crescente di studiosi che interpretano invece la sorgente del magmatismo
hawaiano come superficiale, forse anche all’interno dell’astenosfera stessa, a
circa 150-200 km di profondità. In questo caso, se la sorgente si trovasse
all’interno del piano di scollamento, il movimento registrato nella catena di
vulcani non rappresenterebbe totalmente il movimento tra la litosfera pacifica
e il mantello profondo ma una velocità ridotta. Cioè la velocità “assoluta” della
litosfera rispetto al mantello sarebbe circa raddoppiata.
Le placche maggiori sono tredici ( Pacifica, Nazca, Cocos, Nord Americana,
Caraibica, Sud Americana, Eurasiatica, Africana, Arabica, Indiana,
Australiana, Filippine e Antartica). Ci sono poi altre placche di minori
dimensioni, come per esempio la placca Apula, la cui interazione con quella
Euroasiatica condiziona fortemente la geologia italiana.
Al contrario di quanto pensato fino a pochi anni fa, le placche sembrano
muoversi in modo coerente, non caotico, descrivendo un flusso sinusoidale.
Ogni movimento su di una sfera è riconducibile ad una rotazione attorno ad
un asse passante per il centro della sfera stessa e descrivibile con il teorema
di Eulero. La cinematica delle placche viene quindi descritta con moti relativi a
poli di rotazione rispetto ai quali le placche hanno velocità lineari maggiori in
funzione della distanza dal polo di rotazione stesso.
Le placche possono allontanarsi o avvicinarsi con un angolo qualsiasi rispetto
alle placche adiacenti. Si parla cioè di tettonica distensiva quando il margine
che separa due placche è perpendicolare al movimento relativo, mentre si
parla di tettonica transtensiva quando questo è obliquo. Similmente, quando
due placche convergono con un margine ortogonale al movimento si parla di
compressione, mentre l’ambiente tettonico diventa transpressivo quando il
margine è obliquo rispetto al movimento relativo. Quando due placche invece
si muovono lateralmente l’ una rispetto all’altra, la tettonica è detta
trascorrente.
Negli ambienti distensivi in generale, compresi quelli transtensivi, detti anche
di rifting, allontanando le placche, permettono la risalita del mantello
sottostante. Il mantello, trovandosi a quota meno profonda e quindi a
pressione minore, ma conservando buona parte della sua temperatura perché
le rocce sono scarsi conduttori, inizia a fondere, e i fusi relativi, meno densi
risalgono alla superficie, prima determinando vulcanesimo, e
successivamente, proseguendo l’allontanamento delle placche, a produrre
nuova crosta oceanica. La crosta oceanica può così essere interpretata come
una nuova pelle che il mantello terrestre si costruisce una volta messo a
nudo.
Le zone di convergenza tra placche, sia per compressione o
transpressione,
sono viceversa le aree in cui la litosfera scende nel mantello sottostante,
processo detto di subduzione. Le zone di subduzione sono primariamente
evidenziate dai terremoti, che possono arrivare fino a circa 670 km di
profondità.
I margini tra le placche possono essere ampi anche varie centinaia di km,
aree in cui viene distribuita la deformazione che accomoda il movimento
relativo, in uno qualsiasi degli ambienti geodinamici (divergente, trascorrente
e convergente). I punti in cui vengono in contatto e movimento relativo
tre
placche sono detti giunzioni triple. Un esempio può essere nel margine
occidentale del Nord America, dove questa placca è in contatto sia con la
placca Pacifica che con quella di Juan de Fuca.
Sommando i vettori che descivono i movimenti delle placche, si nota che la
loro somma non è zero, ma rimane un residuo verso ovest. Questo implica
che la litosfera ha un ritardo rispetto al mantello sottostante, rimanendo verso
ovest di alcuni cm l’anno. Questa polarizzazione sembra cruciale nel
determinare una forte asimmetria della tettonica a scala globale. Per esempio
le subduzioni verso ovest sono più inclinate di quelle verso est, oppure, a
parità di tassi di convergenza, sul lato del Pacifico occidentale sopra le zone
di subduzione non vi sono i grandi rilievi che invece marcano il bordo orientale
in subduzione sotto la Cordigliera americana. La stessa differenza può essere
applicata alla contrapposizione tra Appennini e Alpi: i primi hanno bassa
elevazione media, sono costituiti per lo più da rocce sedimentarie, hanno
una
avanfossa, cioè un bacino di sedimentazione frontale, con tassi di subsidenza
velocissimi (oltre 1 mm/anno), e inoltre presentano un bacino a tergo, a ovest,
detto bacino di retroarco. Le Alpi invece, hanno un’elevazione media
maggiore, hanno al nucleo estesi affioramenti di rocce cristalline profonde,
hanno doppia vergenza, due avanfosse con bassi tassi di subsidenza, e non
presentano un bacino di retroarco. Queste differenze possono essere
spiegate dalla diversa polarità della subduzione, cioè mediamente diretta
verso “ovest” per gli Appennini, come alle Barbados, o alle Marinanne, e
mediamente diretta verso “est” per le Alpi, come nella subduzione Andina, o
in Himalaya, dove la subduzione è diretta verso nord-nordest.
E’ importante notare che le placche viaggiano verso “ovest”, o più
correttamente lungo il flusso sinusoidale, a velocità tanto maggiore quanto più
bassa è la viscosità dell’astenosfera. Per esempio i più bassi valori di
viscosità dell’astenosfera sono stati riportati sotto la placca pacifica, che è la
placca più veloce al mondo nella sua deriva verso “ovest”, quindi la più
scollata rispetto al mantello sottostante.
Ma chi spinge le placche?
Si sta attualmente cercando di dimostrare come la tettonica delle
placche, che è stata finora in genere attribuita solo ai movimenti
convettivi del mantello, sia in realtà anche fortemente influenzata dagli
effetti rotazionali e conseguentemente tidali, quali l’attrazione lunisolare. L'energia dissipata dalle maree è di 1.6x10 19 J/yr, un'energia
superiore addirittura a quella stimata per tutta la tettonica delle placche.
Non si sa in che modo tuttavia questa energia possa essere trasferita
dall'attrito mareale alle placche. L'ipotesi più probabile è che
l'astenosfera sia il piano di scollamento principale dove tale energia
riesce a liberarsi per mettere in movimento la litosfera rispetto al
sottostante mantello. La viscosità dell'astenosfera diventa quindi
cruciale per permettere questo scollamento relativo, e la valutazione del
suo valore è tuttora oggetto di numerose ricerche che raggiungono
valori discordanti in funzione della reologia (studio della deformazione
dei fluidi) lineare o non-lineare (newtoniana o non-newtoniana) assunta.
Non lineare significa che la deformazione non aumenta in modo
proporzionale alla forza applicata, ma per esempio, ad un certo punto,
durante l’applicazione della forza, la deformazione aumenta in modo
esponenziale.
Nella concezione paradigmatica attuale, che la tettonica delle placche
sia guidata dalla caduta verso il basso degli slab in subduzione, oppure
dalla risalita dell'astenosfera nelle zone di rifting, o che sia il
trascinamento delle celle convettive, a muovere le placche sarebbe
sempre solo l'energia dissipata dalla convenzione chimico-termica, in
altre parole il raffreddamento del pianeta. Questo nonostante vi sia un
congruo numero di evidenze che la tettonica delle placche abbia invece
anche un forte controllo di carattere astronomico o rotazionale, quali la
diminuzione di velocità e di sismicità delle placche verso le zone polari,
l'accumulo di materiale più freddo e più pesante nelle zone equatoriali,
la deriva verso ovest della litosfera che spiega la forte asimmetria delle
zone di subduzione che sono molto inclinate e profonde quando
immergenti ad ovest, oppure poco inclinate e poco profonde quando
immergenti verso est o nordest. Anche le zone di rifting presentano
un'asimmetria visibile nella minore elevazione/batimetria della placca
orientale rispetto a quella occidentale.
Recentemente è stato proposto come la rotazione terrestre, se
accoppiata alla convezione del mantello e alla reologia non lineare
dell'astenosfera, possa essere considerata una causa primaria della
tettonica delle placche sia in termini di energia che di direzioni di
movimento.
La dinamica interna al pianeta non sembra in grado da sola di spiegare
la semplicità dei movimenti delle placche sulla superficie terrestre. La
rotazione terrestre e l'attrazione gravitazionale della luna e del sole
sono fenomeni complementari indispensabili per comprendere la
dinamica terrestre, responsabile tra l'altro del continuo degassamento e
alimentazione dell'atmosfera terrestre.
Se l'astenosfera, alla base della litosfera, ha una viscosità
sufficientemente bassa da permettere lo scollamento col mantello
sottostante, questo scollamento potrebbe essere innescato dal
trascinamento mareale sia solido che liquido. La convezione, da parte
sua, portando in profondità materiali pesanti che vanno ad accrescere il
nucleo solido e ad appesantire la base del mantello inferiore,
determinerebbe un aumento di velocità di rotazione terrestre, dovuto
alla diminuzione del momento d'inerzia, come la ballerina che
chiudendo le braccia ruota più rapidamente. La combinazione dei due
fenomeni, astronomico e convettivo, farebbe sì che la litosfera si trovi in
una condizione di sforzo permanente, dove la luna e il sole rallentano la
terra, e la convezione interna tende invece ad accelerarla, anche se
comunque il bilancio è negativo, visto che la terra rallenta la sua
rotazione di circa 1,8 millisecondi al secolo. Sebbene sembri un
rallentamento molto lento, visto nell’arco della storia della terra, questa
diminuzione di velocità è estremamente importante. Per esempio 400
milioni di anni fa, la terra aveva circa 400 giorni/anno, perché la terra
ruotava più rapidamente e il giorno durava 21-22 ore.
Il trascinamento astronomico sarebbe quindi non solo responsabile
della deriva verso ovest della litosfera, ma anche della direzione
preferenziale dei movimenti delle placche che tendono a disporsi lungo
un flusso dominante, di forma sinusoidale, ma non troppo lontana dalla
geometria di un cerchio massimo. Questo flusso tende a disporsi con
un angolo di circa 30 gradi rispetto all'equatore, molto vicino al piano
dell'eclittica più il piano della rivoluzione lunare (28 gradi). Le forze tidali
sembrano dunque avere un'influenza fondamentale sulla dinamica
terrestre, ma devono ancora essere capite pienamente, nonostante
siano note già dall’età ellenistica.
Tettonica delle placche e vita
La terra è nata circa 4,5 miliardi di anni fa, quando una nuvola gassosa
rotante, residuo dell’esplosione di una supernova e la condensazione di
idrogeno ed elio, formarono il sistema solare, con il sole e i suoi 9 pianeti. La
terra, terzo pianeta, nei primi periodi della sua aggregazione di materia (i
cosìdetti planetesimi) ha avuto una differenziazione interna in cui gli elementi
più pesanti sono scesi a formare il nucleo terrestre, mentre quelli più leggeri,
sono saliti nelle parti alte del pianeta, a formare il mantello, la crosta terrestre
e l’atmosfera.
La crosta terrestre, dall’inizio della storia della terra, è in continua
trasformazione per movimenti che la fanno da un lato consumare (nelle
catene montuose), e dall’altro ricreare (nelle dorsali oceaniche). Questa
mobilità della superficie terrestre è la causa dei terremoti, ma anche dei
vulcani, le cui emissioni gassose hanno generato e continuano ad alimentare
l’atmosfera, assieme al degassamento lento ma diffuso che il suolo emette.
La vita sulla terra, di cui si hanno tracce da circa 3,8 miliardi
di anni, è
consentita per una serie di fattori casuali concomitanti, come
la presenza dell’atmosfera che è dovuta al degassamento del
mantello terrestre tramite il vulcanesimo, oltre che ad una
dispersione diffusa di gas emessi dalla superficie terrestre;
i raggi solari che determinano la giusta finestra termica e l’effetto
serra generato da alcuni gas dell’atmosfera che trattengono parte
del calore solare (altrimenti le temperature sarebbero troppo basse);
il campo magnetico generato dal nucleo liquido terrestre, che attiva
uno scudo che ci protegge dalle pericolose radiazioni ionizzanti del
vento solare;
il campo gravitazionale, anche questo nè troppo alto, nè troppo
basso, che è generato dalla massa della terra;
la presenza degli elementi chimici quali idrogeno, azoto, carbonio,
ossigeno, ecc., i cui composti formano le basi della vita, gli
amminoacidi.
oscillazioni dell’asse di rotazione terrestre e variazioni astronomiche
in generale, assieme a impatti meteoritici, o periodi di accentuate
effusioni magmatiche, hanno costantemente mantenuto il clima in
una condizione di evoluzione permanente, modificando la
temperatura alla superficie terrestre e quindi determinando
oscillazioni cicliche della CO2, del livello dei mari, ecc.
Da tutto ciò deriva che il miracolo della vita (almeno quella che conosciamo) è
controllato da un sistema caotico in cui quando uno solo dei parametri
suesposti viene anche leggermente modificato, le condizioni di abitabilità
terrestre possono venire profondamente mutate. La tettonica delle placche
con il continuo degassamento, e la dinamica del nucleo colla costruzione del
campo magnetico di protezione dai raggi provenienti dal plasma solare, sono
a tutti gli effetti due ingredienti indispensabili alla vita sulla terra. Per esempio
c’è una strana coincidenza tra lo sviluppo del nucleo interno solido, circa 1,5
miliardi di anni fa, il conseguente aumento di vorticosità all’interno del nucleo
esterno liquido e l’aumento in intensità del campo magnetico terrestre, con lo
sviluppo degli organismi pluricellulari sulla terra. In tectonic motu vita.
Fig. 1 Sezione della terra vista dal polo sud. E’ come una cipolla, a gusci
concentrici, ma ogni guscio al suo interno presenta anche della variazioni
laterali di composizione, densità e viscosità. Il guscio più esterno è la litosfera
(verde continentale e nera oceanica). Dove la litosfera è separata in due
placche che si allontanano si forma una zona di rift, come per esempio lungo
la dorsale del Pacifico, dell’Atlantico e del Mar Rosso. Dove le placche si
avvicinano, si ha una zona di subduzione, come per esempio alla Fossa delle
Marinane, lungo le Ande, gli Zagros (Tratto dalla voce Tettonica delle placche,
per cortesia dell’Istituto della Enciclopedia Italiana).
Fig. 2 Principali placche in cui è suddivisa la litosfera, il guscio esterno
terrestre, spesso mediamente 100 km.
Fig. 3 I principali tipi di margini tra placche sono quelli convergenti, o zone di
subduzione, dove si formano le catene montuose; quelli divergenti o zone di
rift, dove si formano gli oceani, e quelli trascorrenti (non presenti nella figura).
Fig. 4 I punti colorati indicano la sismicità, che è concentrata ai margini tra le
placche, sia dove si allontanano come nelle zone di rift oceanici, sia dove si
avvicinano nelle zone di subduzione come sotto le Ande o l’ Himalaya. I diversi
colori indicano le diverse profondità: rossi sono dei primi 30 km, gialli 30-100,
verdi 100-300, azzurri 300-500, viola, oltre 500 km di profondità. Mappa
dell’USGS.
Fig. 5 Distribuzione dei principali vulcani attivi o recenti. Sono particolarmente
concentrati lungo le zone di rift e al di sopra delle zone di subduzione. Alcuni,
come le Hawaii per esempio, si trovano anche all’interno delle placche in
modo del tutto indipendente e anomalo. Il magmatismo sembra alimentato
principalmente dal mantello superiore, da profondità minori di 200 km. Mappa
dell’USGS.
Fig. 6 Le placche si muovono inesorabilmente. Questa mappa evidenzia gli
attuali movimenti ipotizzando il centro della terra fisso. La carta è presa
dal
data
base
della
NASA
(da
Heflin
et
al.,
2004,
http://sideshow.jpl.nasa.gov/mbh/series.html) ma gran parte delle nazioni del
mondo hanno loro stazioni di misura satellitare e contribuiscono al continuo
aggiornamento delle informazioni.
Fig. 7 Espansione dei fondi oceanici: i colori rossi indicano la crosta oceanica
più recente, mentre i toni arancione, giallo, verde e blu sono relativi alla crosta
oceanica via via più vecchia, da ora (0 milioni di anni) al Giurassico (180
milioni di anni). La crosta continentale in grigio è invece molto più antica, e si
conoscono rocce che arrivano fino a oltre 3900 milioni di anni. Mappa
dell’USGS.
Fig. 8 Il flusso di calore emesso dalla superficie terrestre è massimo lungo le
dorsali oceaniche, nelle aree gialle e rosse, dove il mantello sottostante è più
vicino alla superficie e fonde. Lunga la dorsale del Pacifico vi sono i flussi più
alti, dove il flusso di calore è anche oltre 300 milliWatt m 2. Questa è l’energia
termica che la terra emette ogni secondo. Le zone blu sono quelle a minore
emissione di calore. La crosta continentale, radioattiva, contribuisce
significativamente ad emettere calore. La media è di circa 57
milliWatt m 2.
Valore infinitesimo, ma se sommato a tutto il calore emesso dall’intero pianeta
si arriva a un valore compreso tra 31 e 44 teraWatt, e moltiplicato per un anno
e milioni di anni, diviene una quantità enorme. La carta e i dati originali sono
scaricabili al sito http://www.geo.lsa.umich.edu/IHFC/heatflow.html.
Fig. 9 Il rallentamento e il trascinamento generato dalle maree luni-solari può
contribuire a spostare la litosfera verso ovest se all’interno dell’astenosfera vi
è un livello a bassa viscosità.
Fig. 10 La fascia di sviluppo della vita sulla superficie terrestre è controllata da
fattori indipendenti, in cui piccole oscillazioni di intensità possono produrre
profonde modificazioni, un sistema quindi caotico. I fattori principali che
permettono la vita sono, oltre ai componenti chimici essenziali, la presenza e
continua rialimentazione dell’atmosfera per il degassamento terrestre tramite
il vulcanesimo generato dalla tettonica delle placche; l’irraggiamento solare e
un minimo di effetto serra che permette di avere una temperatura adeguata;
la presenza del campo magnetico terrestre che ci protegge dalle radiazioni
ionizzanti del vento solare radioattivo, anche questo di intensità variabile nel
tempo. Oscillazioni astronomiche di varia natura contribuiscono a modificare
di continuo la temperatura e le condizioni vitali.
1
Voce in stampa su “Enciclopedia degli Idrocarburi” Treccani
Tettonica delle placche
Carlo Doglioni
Dipartimento di Scienze della Terra, Università La Sapienza, p.le A. Moro 5, Box 11 00185 Roma - Italia
http://tetide.geo.uniroma1.it/DST/doglioni
La tettonica delle placche è la teoria, corroborata da numerosissimi dati osservativi, che spiega
l’evoluzione del guscio più esterno della Terra, la litosfera, frammentato in una serie di elementi
minori, le placche, che si muovono l’uno rispetto all’altro. Questa frammentazione e questo
movimento sono responsabili dell’attuale configurazione della crosta terrestre, generano i
fenomeni sismici e sono alla base, tra l’altro, della formazione dei bacini sedimentari che
contengono la quasi totalità delle rocce madre e serbatoio dei giacimenti di idrocarburi. La vita
sulla terra è permessa dall’atmosfera e dall’idrosfera, che sono state prodotte e continuano ad
essere alimentate principalmente dal degassamento del mantello attraverso i vulcani e altre forme
che sono una diretta conseguenza della tettonica delle placche. I movimenti delle placche sono
quindi in un certo senso anche alla base della vita sulla terra.
Discuteremo ora i tratti essenziali della tettonica delle placche o geodinamica, descrivendo prima
la struttura della litosfera, e poi analizzando le informazioni attualmente disponibili sui
movimenti delle placche, cioè la loro cinematica, che è basata su metodiche geologiche,
sismologiche e di geodesia spaziale. Verranno poi descritti i tre tipi principali di margini di
placca che sono: 1) divergente (o di rifting), 2) trasforme (per movimento laterale), e 3)
convergente (o di subduzione). I bacini sedimentari saranno poi trattati schematicamente in
funzione del loro ambiente geodinamico e quindi della loro natura e origine. Infine verranno
vagliate le ipotesi sulla dinamica e le fonti di energia che determinano il movimento delle
placche.
Litosfera
La litosfera è costituita dalla crosta e dal mantello litosferico (LID); poiché la crosta è
differenziabile in oceanica e continentale (Fig. 1), anche la litosfera viene suddivisa allo stesso
modo. La crosta e il mantello litosferico sono separati dalla discontinuità Moho, al di sotto della
quale, cioè nel mantello, la velocità di propagazione delle onde sismiche P (longitudinali)
accelera bruscamente da circa 6,8÷ 7 km/s a circa 8÷ 8,2 km/s. La velocità delle onde S
(trasversali) passa da 3,9 km/s nella crosta inferiore a 4,5 km/s nel mantello. Non si hanno
2
sufficienti informazioni per sapere quanto il mantello litosferico oceanico sia diverso da quello
continentale, e per entrambi viene in genere assunta una composizione peridotitica, con densità
di circa 3,3 g/cm3. La litosfera parte quindi dalla superficie terrestre e arriva in profondità fino
all’isoterma di circa 1300°C. Oltre questa temperatura, il mantello inizia a fondere leggermente,
per cui il mantello sottostante la litosfera è detto astenosfera, o canale a bassa velocità perché,
per effetto della fusione parziale, le onde P e S rallentano rispettivamente alle velocità di 7,9
km/s e 4,4 km/s. La base della litosfera è interpretata non tanto come una variazione chimica, ma
principalmente come un cambio di fase (Fig. 2).
Fig. 1 Stratigrafia schematica della crosta e della litosfera continentale e oceanica.
3
La litosfera oceanica ha spessori minimi nei pressi delle dorsali oceaniche (circa 10 km), e si
ispessisce allontanandosi dalle dorsali fino a circa 100 km, in corrispondenza ad un aumento
della profondità dell’oceano. Più è vecchia la crosta oceanica, più il fondo marino è profondo. Si
pensa in pratica che l’isoterma corrispondente a 1300°C, che costituisce la base della litosfera
oceanica, si abbassi mano a mano che la litosfera si raffredda spostandosi dalla dorsale. Di
conseguenza anche il fondo marino si approfondisce per la maggiore densità della litosfera. Nei
primi 10 milioni d’anni (Ma) il fondo marino allontanandosi dalla dorsale ha una subsidenza di
circa 1000 m; nei successivi 26 Ma ha una subsidenza di altri 1000 m. Questa variazione è
descritta dalla semplice formula z = k÷E, dove z è la profondità del fondo marino al di sotto della
dorsale, k è una costante pari a circa 320, e E è l’età della crosta oceanica espressa in Ma. Questa
importante relazione è anche detta curva di Sclater, e permette di calcolare la profondità del mare
al di sotto di una dorsale fino all’età di circa 60÷ 80 milioni d’anni. Oltre questa età i fondali
marini non sembrano più approfondirsi per effetto termico. Allontanandosi dalla dorsale
oceanica diminuisce il flusso di calore (Stein, 1995) e aumenta la velocità delle onde sismiche S,
elementi che indicano una diminuzione di fuso nel sottostante mantello.
La crosta oceanica ha spessore di circa 5÷8 km, densità media di 2,9÷3 g/cm3, ed è costituita da
tre classici livelli, a volte non sempre presenti, partendo dal basso verso l’alto, i) un livello a
gabbri, ii) un livello a dicchi e iii) un livello superiore a lave, lave a cuscini e sedimenti oceanici.
La crosta continentale ha invece uno spessore maggiore data la sua minore densità di circa
2,7÷2,8 g/cm3, con la Moho a profondità media di circa 30÷40 km, con ispessimenti al di sotto
dei cratoni e degli orogeni fino a circa 70 km, e assottigliamenti nei margini continentali passivi
fino a circa 15 km. La crosta continentale è costituita dal basso verso l’alto da i) una crosta
inferiore femica, in genere stratificata da processi magmatici e metamorfici, ii) una crosta
superiore, per lo più costituita da rocce di vario grado metamorfico e intrusioni granitiche dovute
a precedenti orogenesi e iii) da una copertura sedimentaria di spessore variabile tra 0 e 15 km. La
copertura sedimentaria è costituita da sedimenti depostisi durante innalzamenti eustatici o
subsidenza epirogenica all’interno dei cratoni, oppure da sedimenti sin-rift sia intraplacca che di
margine continentale passivo. In prossimità di orogeni, la parte superiore della copertura è
composta da sedimenti di avanfossa (flysch e molasse).
La crosta oceanica terrestre ha età variabile tra 0 e 180 Ma (Fig. 3), mentre la crosta continentale
può raggiungere età di oltre 3900 Ma. Questo è dovuto all’estrema mobilità della crosta oceanica
che rapidamente si forma nelle zone di dorsale oceanica, e essendo più densa, altrettanto
rapidamente scompare nelle zone di subduzione. La crosta continentale invece, più leggera,
viene subdotta più difficilmente nel mantello, rimane galleggiante sulla superficie, e lentamente
4
cresce ad aumentare le dimensioni areali della litosfera continentale, che ha spessore medio di
circa 100÷150 km, fino a massimi di circa 200÷250 km sotto i principali cratoni (Windley, 1995;
Gung et al., 2003).
La litosfera è suddivisa in placche; una placca è un elemento di litosfera caratterizzato da un suo
moto indipendente rispetto alla litosfera adiacente. Le placche principali sono N-America, SAmerica, Europa, Africa, Arabia, India, Australia, Antartide, Pacifico, Nazca, più altre di minori
dimensioni come per esempio Cocos, Juan de Fuca e Filippine. La tettonica delle placche è
generata da differenze di velocità tra le placche. L’avvicinamento o l’allontanamento tra le
placche sono controllati dalla relazione o grado di accoppiamento della litosfera col mantello
sottostante. La sismicità terrestre è assunta solo all’interno della litosfera e scompare alla
profondità di 670 km, la profondità massima in cui si seguono le zone di subduzione, al
passaggio mantello superiore - mantello inferiore.
Cinematica delle placche
Un obiettivo della tettonica a tutte le scale è la determinazione della profondità dei piani (o
superfici) di scollamento. Lungo i piani di scollamento si realizza uno scorrimento relativo tra la
parte sovrastante e quella sottostante. La superficie di scollamento principale nella tettonica delle
placche si ha alla base del mantello litosferico, in corrispondenza dell’astenosfera, che è la parte
17
meno viscosa del mantello dove la viscosità media è stimata tra 10 ÷10
localmente scendere anche a 10
15
19
Pa s, ma può
Pa s in caso di astenosfera idrata. Diverse entità nello
scollamento dell’astenosfera possono spiegare le differenze di velocità delle placche sovrastanti,
cioè il moto relativo delle placche.
Le faglie sono delle superfici di rottura e movimento della parte fragile, cioè a comportamento
principalmente elastico, della crosta. Le faglie possono essere orizzontali (cioè dei piani di
scollamento), oppure inclinate fino a 90°. La parte sovrastante una faglia è detta tetto (o
hangingwall), mentre la parte sottostante è definita letto (o footwall). Quando il tetto sale rispetto
al letto, la faglia è detta inversa, ed è definita come un sovrascorrimento (o thrust) quando ha
inclinazione media di circa 30°. Se invece il tetto si abbassa rispetto al letto, la faglia è
distensiva, detta anche faglia normale (o normal fault), e ha inclinazione media di 60°. Quando
tetto e letto sono indistinguibili perché la faglia è verticale e il movimento è orizzontale puro, si
parla di faglia trascorrente (o strike-slip). A livelli crostali, la profondità del piano di scollamento
5
determina la spaziatura tra le faglie: per esempio più è superficiale il piano di scollamento, più le
faglie sono ravvicinate e viceversa.
Pacifico
LITOSFERA oceanica
30-90 km
densità 2,7-3,3 g/cm3
Mantello superiore
subduzione
Oceano Pacifico
MANTELLO INFERIORE
1300°C
Ande
densità 4-5 g/cm3
(silicati di magnesio)
Perovsk ite
Hawaii
punto caldo
alta velocità
2890 km
3000°-4000°C
Sud
America
bassa velocità
astenosfera
olivina
spinello
400 km
NUCLEO
INTERNO SOLIDO
Subduzione
Marianne
6371 km
6500°C
densità13g/cm3
670 km
Atlantico
5150 km
NUCLEO ESTERNO LIQUIDO
leghe ferrose
bacino di
retroarco
densità10-12 g/cm3
LITOSFERA
continentale
Asia
Africa
Zagros
densità2,3-3,3g/cm3
70-200 km
Mar Rosso
Fig. 2 Modello della terra in cui i vari gusci corrispondono a discontinuità fisiche che facilitano
uno scorrimento relativo come quello tra nucleo esterno fuso e nucleo interno che per la
rotazione differenziale genera il campo magnetico terrestre. La litosfera si comporta in modo
elastico. Il mantello ha un comportamento viscoelastico, per cui è in grado di fluire se sottoposto
ad uno sforzo di lunga durata. I movimenti convettivi supposti nel mantello avvengono cioè allo
stato solido. Due grandi aree nel mantello inferiore evidenziano velocità sismiche relativamente
minori, sotto il Pacifico centrale e sotto l’Africa.
Nelle zone di subduzione, nelle quali una placca sprofonda al di sotto di quella immediatamente
adiacente, si formano i prismi di accrezione, che sono per lo più associazioni di sovrascorrimenti
e pieghe che impilano e deformano rocce della placca sovrastante (a tetto) e sottostante (a letto)
il piano di subduzione. I prismi di accezione si ispessiscono nel verso della subduzione,
6
assumendo una forma a cuneo, e per questo vengono anche chiamati accretionary wedges.
Maggiore è la profondità del piano di scollamento basale, maggiori sono i volumi coinvolti nel
prisma di accrezione. Per accrezione s’intende il trasferimento di rocce dalla placca a letto a
quella a tetto in cui è posizionato il prisma stesso. Per erosione tettonica s’intende invece il caso
in cui il piano di scollamento si sposti nella placca a tetto, portando temporaneamente in
subduzione frammenti della placca a tetto e in questo caso non vi è accezione; questo tipo di
meccanismo è stato proposto per alcuni settori della subduzione andina.
Anche nelle zone di allontanamento tra le placche (o zone di rifting) l’astenosfera pare essere il
piano di scollamento principale basale.
Movimenti delle placche
Il movimento delle placche è evidente sia dalle strutture tettoniche (Fig. 4), che attualmente dalla
sismicità e dalle misure geodetiche (Fig. 5). La geodesia spaziale ha confermato come il
movimento relativo tra le placche è spesso distribuito in una fascia al margine che può variare da
10 e più km, fino alle varie centinaia di km 100, tramite numerose faglie attive che assorbono la
deformazione. Tendenzialmente i margini trasformi sono più ristretti di quelli convergenti. I
movimenti passati sono registrati dalla formazione degli orogeni lungo le zone di subduzione che
testimoniano l’avvicinamento tra placche, e dalla specularità delle anomalie magnetiche dei rift
oceanici. I movimenti delle placche possono essere analizzati in termini relativi, tra coppie di
placche, ma è possibile tentare di analizzarli anche in termini di movimenti assoluti, cioè in
sistemi di riferimento indipendenti come i punti caldi, le stelle fisse o il centro di massa della
terra.
Il movimento tra due placche può avvenire con un angolo qualsiasi, determinando ogni tipo
d’ambiente tettonico, cioè compressivo, trascorrente o estensionale, con anche tutte le variabili
intermedie in cui le placche convergono con una componente laterale o trascorrente (ambienti
transpressivi), oppure divergono con una componente trascorrente (ambienti transtensivi). I
movimenti attualmente misurati tramite la geodesia spaziale sono dello stesso ordine di
grandezza di quelli ricavabili per il passato geologico dallo studio delle anomalie magnetiche
della crosta oceanica; per cui, pur avendosi leggere oscillazioni di velocità di grande lunghezza
d’onda, i movimenti delle placche possono essere considerati stabili nel tempo. Rimane il fatto
che i margini di placca nascono e muoiono, modificando o annullando in questo caso i gradienti
di velocità.
7
Fig. 3 Carta delle età della crosta oceanica. Le aree blu di crosta oceanica più vecchia giurassica
sono localizzate nel Pacifico occidentale, nell’Atlantico centrale, e nell’Indiano occidentale.
National Geophysical Data Center, NOAA, tratta da Müller et al., (1997) e scaricabile al sito
http://www.ngdc.noaa.gov/mgg/image/images/WorldCrustalAge.gif.
Fig. 4 Unendo i vettori di movimento delle placche ricavati su base strutturale degli ultimi 50
Ma, si ottiene un flusso che descrive una sorta di equatore tettonico. Carta morfologica di base
della National Geophysical Data Center, NOAA, US.
8
Fig. 5
Movimenti attuali delle placche ricavati dalla geodesia spaziale, assumendo una non rotazione
differenziale della litosfera rispetto al mantello. Si noti come i dati satellitari confermano in
buona parte il flusso ondulato di Fig. 4 interpretato su base tettonica. Tratto dall’archivio
informatico della NASA, Heflin et al. 2000, http://sideshow.jpl.nasa.gov/mbh/series.html.
Fig. 6 Sommando alla carta della Nasa dei movimenti delle placche di Fig. 4 una deriva verso
ovest di circa 90 mm/a della litosfera, calcolata nel sistema di riferimento dei punti caldi
intraplacca pacifica a sorgente astenosferica, si ottiene il movimento delle placche rispetto al
mantello (carta di Marco Cuffaro). Si noti come seguono un flusso ondulato simile all’equatore
tettonico di Fig. 4, e il movimento è polarizzato verso ovest.
9
Poiché le placche si muovono su una sfera, il movimento relativo tra due placche può essere
descritto col teorema di Eulero del punto fisso (secondo il quale il movimento su una superficie
sferica di una sua porzione è riconducibile a un’unica rotazione attorno a un punto fisso); in
particolare mediante l’individuazione del polo di rotazione del movimento relativo è possibile
calcolare l’aumento della velocità lineare al crescere della distanza dal polo (Fowler, 1990).
Tuttavia, in natura, due placche possono avere un polo di rotazione non fisso, particolarmente
quando anche una delle due placche ha una sua indipendente sub-rotazione.
Considerando l’insieme degli spostamenti delle placche che possono essere ricavati per almeno
gli ultimi 50 Ma dai dati strutturali come zone di rift, trasformi, e orogeni, si ottiene che le
placche non si muovono in modo caotico, ma seguono un flusso globale. Il flusso ha
un’ondulazione generale (Fig. 4), tale da descrivere una sorta d’equatore tettonico, anche se al
momento questo non pare rappresentare un cerchio massimo, ma ha un andamento sinusoidale.
Le linee di flusso rappresentano la direzione media di movimento delle placche. Lungo margini
di placca obliqui (ambienti transtensivi o transpressivi) il campo di stress viene deviato, e non è
parallelo né al movimento relativo e né al movimento assoluto delle placche. Come esempio, la
placca araba ha una direzione di movimento NE-SO, e il rifting del Mar Rosso è una
transtensione sinistra e il Golfo di Aden una transtensione destra.
Il flusso mostra un cambio graduale di direzione dei movimenti delle placche da ONO-ESE nel
Pacifico, a E-O in Atlantico, per poi rimontare ad una direzione SO-NE attraverso Africa, India
ed Europa. Il flusso poi ripiega nuovamente alla direzione pacifica. La parte preponderante della
litosfera continentale (Eurasia) è concentrata dove il flusso tende a flettere verso il Pacifico. Il
flusso delle placche ricavato su basi tettoniche è confermato dalla geodesia spaziale nella carta
riassuntiva della NASA delle stazioni GPS (Fig. 5). I vettori in particolare confermano il
movimento SO-NE sia dell’Africa che dell’Europa. In tale carta, i movimenti delle placche sono
riferiti al centro di massa della terra, considerato convenzionalmente solidale con la costellazione
dei satelliti GPS. Questo è il sistema di riferimento detto ITRF (International Terrestrial
Reference Frame), nel quale si assume che non vi sia una rotazione netta della litosfera rispetto
al sottostante interno della terra (no-net-rotation).
In realtà, analizzando i movimenti delle placche in altri sistemi di riferimento come i punti caldi,
oppure rispetto all’Antartide, la litosfera ha una rotazione netta rispetto al mantello, mediamente
orientata verso ovest. Questo è particolarmente evidente considerando la velocità del Pacifico
verso ONO, che è talmente alta da far sì che la somma dei movimenti di tutte le altre placche non
riesca a compensarla, determinando un residuo di movimento verso occidente.
10
Il movimento delle placche è più veloce nelle fasce equatoriali e tropicali, come indicato sia
dalla geodesia spaziale, dai terremoti e dalle anomalie magnetiche per i movimenti passati. Il
flusso delle placche, la sua polarizzazione verso “ovest”, le maggiori velocità delle placche alle
basse latitudini suggeriscono che la tettonica delle placche è influenzata dalla rotazione terrestre.
A supporto di questo, pare vi sia anche la concentrazione del mantello più freddo e più pesante
nelle fasce equatoriali. La deriva verso “ovest”, o più precisamente lungo l’equatore tettonico, è
anche resa evidente dalla geologia di superficie, come l’asimmetria delle catene ai margini
occidentale e orientale del Pacifico (Fig. 4), gli archi delle subduzione immergenti ad ovest che
indicano la presenza di ostacoli ad un flusso in senso opposto, e l’asimmetria delle zone di
rifting.
Punti caldi
I punti caldi sono importanti per capire la dinamica interna terrestre, ma sono in particolare
utilissimi per misurare i movimenti delle placche rispetto al sistema di riferimento che essi stessi
costituiscono. Vi sono aree di grandi emissioni laviche sia su litosfera continentale che oceanica
dove vengono eruttati in pochi milioni d’anni svariati milioni di metri cubi di basalti, come i trap
basaltici del Paranà in Brasile, del Deccan in India, o l’Ontong Java Plateau nel Pacifico sudoccidentale (LIP, large igneous provinces). Non ne è ancora chiara l’origine, sia in termini di
profondità della sorgente, sia della dinamica del processo. Vi sono inoltre manifestazioni
magmatiche che descrivono tracce lineari sulla superficie terrestre, sia sottomarine che subaeree, che si ringiovaniscono in una data direzione. Questi sono detti punti caldi o hotspots, e si
possono trovare sia all’interno di una placca che ai suoi margini. I più classici esempi di punti
caldi intraplacca sono la catena dell’Emperor-Hawaii che va da oltre 70 Ma all’attuale
vulcanesimo attivo del Mauna Loa, con un flesso intermedio nella migrazione a circa 47 Ma,
oppure quelli delle isole Luisville e MacDonald, sempre all’interno della placca pacifica. Esempi
tipici di punti caldi che hanno formato catene di vulcani via via più giovani stabilmente
posizionati nei pressi di margini di placca sono l’Islanda, Ascension e Tristan da Cuna lungo la
dorsale oceanica atlantica, o l’Isola di Pasqua nei pressi della dorsale pacifica. Vi sono due
scuole di pensiero relativamente all’origine dei punti caldi: la prima è quella che siano alimentati
dal mantello profondo, la seconda da quello più superficiale. Qualunque sia la profondità della
sorgente, indicano che vi è un movimento relativo tra litosfera e astenosfera. L’origine è da
taluni interpretata come un eccesso di calore prodotto o dal decadimento radioattivo, o dalla
possibilità di migrazione lungo vie preferenziali verso l’alto del calore del nucleo terrestre. Altre
possibilità sono una maggiore presenza di fluidi che abbassa la temperatura di fusione, e che
11
quindi genera maggiore magmatismo a minore temperatura. Questi sono detti anche punti
bagnati, o wetspots, anche perché il mantello in questi casi non sarebbe più caldo del normale,
ma solo con un contenuto d’acqua maggiore. Questo modello potrebbe spiegare concretamente i
punti caldi per esempio localizzati lungo le dorsali oceaniche. Un’interpretazione dei punti caldi
intraplacca è anche che il magmatismo sia generato dal calore di frizione viscosa nel piano di
scollamento dell’astenosfera tra litosfera e mantello sub-astenosferico.
Come si è detto, i punti caldi forniscono un importante sistema di riferimento per studiare i
movimenti delle placche. In particolare i punti caldi all’interno della placca Pacifica sono rimasti
fermi gli uni rispetto agli altri da almeno 5 Ma. Questo permette di avere un riferimento nel
mantello per lo studio del movimento relativo della litosfera; i movimenti relativi tra le placche
possono venire ricalcolati rispetto a questo sistema di riferimento per il quale non viene
ipotizzata convenzionalmente l’assenza di una rotazione differenziale tra la litosfera e il
mantello. Tramite il sistema di riferimento dei punti caldi, Gripp e Gordon (2002) hanno notato
come la litosfera abbia una rotazione verso “ovest” netta di circa 50 mm/a rispetto al mantello,
con un polo di rotazione a 56°S, e 70°E. Tuttavia nel loro calcolo sono utilizzati punti caldi
anche localizzati ai margini delle placche, e assumono che i punti caldi siano alimentati dal
mantello profondo. Utilizzando solo i punti caldi interni alla placca pacifica, e assumendo che la
sorgente del magmatismo sia localizzata nel piano di scollamento per calore di frizione, la deriva
verso “ovest” della litosfera rispetto al mantello diviene molto più alta, circa il doppio. Ciò
significa che il flusso delle placche di Fig. 4 è mediamente indirizzato verso ovest, cioè tutte le
placche si muoverebbero lungo le direzioni del flusso sinusoidale, ma a velocità diverse verso
ovest (Fig. 6). I gradienti di velocità, controllati dal grado di scollamento col mantello,
genererebbero i diversi tipi di margine e di tettonica tra le placche. Meno l’astenosfera è viscosa,
più la sovrastante placca si muove rapidamente verso “ovest”. Infatti sotto il Pacifico
l’astenosfera ha i più bassi valori di viscosità (5x1017 Pa s), e la placca pacifica è la più veloce
verso ovest-nordovest (>100 mm/a). Variazioni laterali nel mantello della viscosità dello
spessore dell’astenosfera e della litosfera possono cioè controllare le diverse velocità delle
placche. Quando una placca si muove verso “ovest” più velocemente di quella posizionata ad est,
il margine di placca è estensionale, mentre se si muove più lentamente è convergente.
Zone di rifting
Le zone di rifting sono le aree dove la litosfera si separa in due placche che si allontanano l’una
dall’altra. Lo stadio di rifting continentale è molto lento e può durare lunghi periodi (30÷50 Ma o
più) con tassi di estensione orizzontale molto lenti, dell’ordine di 0.1÷ 0,3 mm/a. Il processo
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estensionale, o rifting, prevede un’iniziale allungamento e appiattimento della litosfera
continentale; questo può venire quantificato dividendo l’iniziale spessore della litosfera per lo
spessore finale dell’assottigliamento, rapporto che viene chiamato fattore b (McKenzie, 1978).
Per esempio per una litosfera di 100 km di spessore che viene sottoposta a tensione e ridotta a 20
km di spessore il fattore b è 5. E’ implicito che più alto è il b, maggiore è l’assottigliamento, e
maggiore è la risalita delle isoterme e di conseguenza del flusso di calore.
Lo stadio di rifting continentale è accompagnato da una sedimentazione di crescita con la tipica
successione tripartita, dal basso verso l’alto i) arenarie fluviali, ii) depositi evaporitici e iii)
sedimenti carbonatici. Questa successione testimonia il graduale ingresso del mare nelle aree di
litosfera continentale assottigliata, per cui la subsidenza è generata dalla contemporanea risalita
dal basso dell’astenosfera che è più densa.
I modelli di estensione della litosfera si dividono in modelli a taglio puro, a taglio semplice e a
delaminazione (Fig. 7). Nel taglio puro la litosfera è assottigliata istantaneamente in modo
simmetrico, e subisce successivamente un raffreddamento termico con relativa subsidenza
(McKenzie, 1978). Nel taglio semplice la litosfera è tagliata da un piano principale di
movimento distensivo a basso angolo, in cui si crea una placca a tetto e una a letto della
distensione, dando una forte componente asimmetrica del rifting (Wernicke, 1985). Viene
supposto un innalzamento isostatico del letto e una disassamento tra estensione superficiale e
sollevamento del mantello sottostante. Altri modelli combinano i due menzionati (Buck et al.,
1988), oppure prevedono una delaminazione (Lister et al. 1986) in cui la zona di taglio prevede
dei piani di scollamento tra la crosta fragile superficiale e quella duttile sottostante, e tra
quest’ultima e il mantello litosferico.
I rifting possono o non evolvere ad un rifting oceanico, cioè possono abortire e addirittura venire
ricompressi dando strutture d’inversione tettonica (per esempio nel Mare del Nord), oppure
possono arrivare alla completa lacerazione della litosfera continentale, e permettere la nuova
formazione di crosta oceanica; per questo i margini divergenti sono anche chiamati margini in
accrescimento. In quest’ultimo caso si formano i margini continentali passivi che possono
svilupparsi contemporaneamente ad estese manifestazioni magmatiche, oppure crescere in quasi
totale assenza di vulcanesimo. Per questo si parla di margini continentali vulcanici e non
vulcanici. Per esempio i margini atlantici del Brasile e della Groenlandia sono classici margini
vulcanici poiché durante il Cretaceo e Cenozoico il rifting è stato accompagnato da estese
emissioni magmatiche. Diverse produzioni magmatiche sin-rift possono essere dovute ad
eterogeneità chimiche e termiche del mantello, o alla variabile presenza d’acqua, la cui
13
abbondanza determina un abbassamento di temperatura di fusione nelle rocce del mantello e
quindi una maggiore produzione di lave.
a)
b)
c)
Fig. 7 Modelli di rifting a confronto: a) taglio puro (McKenzie, 1978); b) taglio semplice
(Wernicke, 1985); c) delaminazione (Lister et al., 1986), tratti da Tarney (2004),
www.le.ac.uk/geology/art/pdfdocs/sediment.pdf.
14
Dove due placche si stanno separando, il mantello sottostante risale a compensare
isostaticamente il deficit di massa (Fig. 8). La risalita, considerata adiabatica, porta il mantello a
condizioni di pressione inferiore che gli permettono di fondere. I magmi delle zone di rifting
hanno caratteri da alcalini a tholeiitici.
La transizione da rifting continentale a rifting oceanico è chiamata anche break-up. La
sedimentazione all’interno del margine continentale passivo è marcata appunto dalla break-up
unconformity, discordanza che seppellisce le principali strutture distensive di crescita, e che
testimonia e data non solo la nascita del nuovo oceano, ma che sancisce la transizione tra
subsidenza tettonica a subsidenza termica del margine continentale passivo. Il margine
continentale passivo passa dalla condizione di rifting a quella di drifting o deriva. La subsidenza
tettonica e termica del margine presenta in ogni modo tassi di subsidenza ridotti (0,1 mm/a).
Il passaggio da rifting continentale ad oceanico determina una fortissima accelerazione
(100÷1000 volte) della velocità d’estensione, passando da tassi d’estensione continentale di 0,1
mm/a, a velocità d’espansione oceanica di 10÷100 mm/a.
La creazione di nuova crosta oceanica avviene come una sorta di pelle nuova che il mantello
genera nel momento in cui si avvicina alla superficie. Le dorsali oceaniche sono diversificate in
tre tipi, in funzione della loro velocità: 1) lente (dorsale atlantica, 20 mm/a), 2) intermedie
(dorsale indiana, 30÷50 mm/a), e 3) veloci (dorsale pacifica, > 10 mm/a). Dorsali lente generano
una rift valley e una topografia più elevata e più acuminata, mentre le dorsali veloci mancano
della rift valley, sono meno elevate e hanno una morfologia più dolce. La rift valley atlantica
inoltre presenta una morfologia più irregolare ed è caratterizzata dalla presenza di numerose
faglie distensive.
Diversi bacini oceanici si sono aperti lungo ispessimenti della litosfera generati da orogeni
precedenti. Per esempio, l’Atlantico centro-settentrionale si è inserito dove prima si era
sviluppata la catena paleozoica appalachiana. Gli oceani si sono poi chiusi formando il ciclo di
Wilson, che postula che i rift si creino dove vi erano le zone di subduzione, e le catene
orogenetiche richiudano le precedenti zone di rifting. Ciò indica che le zone di rift sono
determinate dalle eterogeneità della litosfera, e delle loro interazioni con la sottostante
astenosfera, apparentemente slegate dai processi del mantello inferiore.
Si possono distinguere vari tipi di rifting sulla terra, oltre quelli lineari che producono i principali
bacini oceanici, come per esempio i bacini di retroarco a tetto delle subduzioni dirette ad ovest,
caratterizzati da alti tassi di subsidenza (0,6 mm/a); sono associati all’arretramento verso est del
piano di subduzione. Esempi sono i Caraibi, il Mediterraneo occidentale, il Bacino Pannonico e
il Mar del Giappone.
15
Tettonica estensionale si forma talora anche sui prismi d’accrezione quando viene superato
l’angolo critico di riposo. Queste faglie distensive hanno tuttavia piano di scollamento
superficiale (nei primi km), mentre le faglie distensive dei rift classici hanno piani di scollamento
in regime fragile nella crosta superiore e duttile al di sotto, e raggiungono la base della litosfera,
all’interfaccia con l’astenosfera.
Nei margini continentali e nei bacini di retroarco, appare esserci una spaziatura regolare tra le
faglie principali, con due principali picchi di spaziatura media tra 25÷30 km e 4÷6 km. I rifting
possono essere sia concentrati in pochi km (per esempio il rift Est Africano), che attraversa in
lunghezza tutta l’Africa orientale, ma largo mediamente alcune decine di km, oppure possono
avere larghezze di varie centinaia di km, come la Basin and Range nell’ovest degli Stati Uniti.
Studi sulle ofioliti, che sono brandelli di crosta oceanica inglobati negli orogeni, e sulla
polarizzazione delle onde sismiche di taglio nel mantello (dette anche S, secondarie o
trasversali), indicano che i cristalli d’olivina tendono ad allungarsi parallelamente alla direzione
d’estensione. Questo supporta l’idea che vi sia uno scollamento importante tra litosfera e
astenosfera, che determina una isorientazione dei cristalli, come anche dimostrato da xenoliti di
mantello astenosferico deformati, rinvenuti in lave.
Fig. 8 Modello di un rift oceanico. La placca a sinistra ha uno scollamento maggiore rispetto
all’astenosfera, per cui viaggia verso ovest più rapidamente di quella a destra, determinando il
rifting. La dorsale mediana si sposta relativamente verso ovest. La risalita dell’astenosfera
compensa la separazione tra le placche. Sollevandosi e trovandosi a minore pressione,
l’astenosfera fonde producendo la nuova crosta-litosfera oceanica. L’astenosfera residuale è più
leggera, e nel suo moto verso oriente genera un deficit di massa che determina la minore
profondità del lato orientale della dorsale e, successivamente un sollevamento anche della
litosfera continentale a destra (per esempio il rifting atlantico e il sollevamento africano, tratto da
Doglioni et al, 2003).
Una asimmetria riconducibile alla polarità geografica avviene anche per le zone di rifting, dove il
lato orientale è mediamente più elevato di 100÷300 m rispetto a quello opposto, sia in ambiente
16
sottomarino che sub-aereo. La spiegazione data a quest’asimmetria è che il mantello che fonde
sotto una dorsale s’impoverisce di Fe e altri elementi che fondono per primi. Il mantello
residuale diviene così più leggero di circa 20÷ 60 kg/m3, passando per esempio da 3400 kg/m3 a
3360 kg/m3, spostandosi verso est sotto la litosfera. La presenza di un mantello meno denso sotto
il lato orientale di un rift accusa un deficit di massa che viene compensato da un relativo
sollevamento, che nel caso del fianco di una dorsale oceanica diminuisce leggermente la
subsidenza termica. Un mantello astenosferico alleggerito dalla fusione parziale sotto una
dorsale, in transito sotto un continente dove va a sostituire un’astenosfera più densa, determina
un sollevamento isostatico. Questo meccanismo potrebbe per esempio spiegare il sollevamento
dell’Africa, della Francia o dell’India per effetto del passaggio al di sotto della litosfera
continentale di un’astenosfera più leggera, impoveritasi lungo la dorsale atlantica o indiana (Fig.
8).
Zone trasformi
I margini di placca che hanno direzione circa parallela al movimento relativo tra due placche
sono considerati margini trasformi, dove la tettonica prevalente è trascorrente. Questi margini
sono anche loro molto probabilmente scollati alla base della litosfera. Le faglie trasformi, sono
anche dette margini trascorrenti o conservativi, e possono svilupparsi sia in litosfera continentale
che oceanica. Un esempio tipico continentale è la faglia trascorrente sinistra del Mar Morto che
separa la placca araba da quell’africana. Esempi oceanici sono le trasformi Romanche e Vema
nell’Atlantico centrale (Fig. 9), con trascorrenza destra, separanti la placca africana a nord dalla
placca sudamericana a sud. Le faglie trasformi oceaniche sono tra le strutture tettoniche più
lunghe sulla terra e possono superare le migliaia di km. A causa dell’avvicinamento di litosfere
d’età diversa, e quindi con stato termico e batimetria variabile, lungo le faglie trasformi si
possono generare gradienti batimetrici di 2÷4 km tra i due lembi della faglia (Fig. 9). Lungo
queste scarpate sottomarine possono venire esposte sezioni complete di crosta oceanica con
relativa Moho basale e transizione al mantello sottostante (Bonatti et al., 2003).
Le faglie trasformi oceaniche sono in alcuni casi strutture ereditate dalla irregolare propagazione
del rifting continentale, che segue le zone più deboli della litosfera, come per esempio la
trasforme Romanche, che riflette la grande ondulazione del rift atlantico centrale, esemplificata
dal grande promontorio dell’Africa nord-occidentale. Altre faglie trasformi di minori dimensioni
si formano in prossimità delle dorsali, senza che vi siano ondulazioni corrispondenti sui margini
continentali, la cui origine sembra più legata alla dinamica intrinseca dei rift oceanici.
17
Fig. 9 Sezione sismica a riflessione di faglia trasforme oceanica nell’Atlantico centrale. La scala
verticale è il tempo di andata e ritorno (TWT, two way time) in secondi delle onde sismiche
(tratto da Bonatti et al., 2003).
Ondulazioni lungo una faglia trascorrente determinano locali depressioni transtensive come
bacini di pull-apart, oppure sollevamenti in zone transpressive come i push-up. E’ stato notato
come i tassi di produzione magmatica nelle zone di rifting sono proporzionali alla velocità di
espansione. Mano a mano che una dorsale crea un angolo minore rispetto al movimento delle
placche, sino a innestarsi parallelamente in una zona trasforme, il magmatismo contestualmente
diminuisce fino a scomparire, perché il tasso di espansione in una trasforme pura è zero.
In termini di energia, le faglie trasformi sono strutture passive, apparentemente non contribuenti
positivamente alla tettonica delle placche, come i fenomeni di ridge push per le dorsali e di slab
pull per le zone di subduzione.
La faglia di San Andreas in California, è comunemente utilizzata come archetipo delle faglie
trasformi e trascorrenti. Tuttavia la faglia di San Andreas ha una situazione geodinamica
piuttosto unica e originale rispetto alle trasformi tipiche, e non può essere considerata un
esempio classico di zona trascorrente. La faglia di San Andreas, e tutto il sistema di faglie
annesse, sono la fascia dove la placca nord americana interagisce con la placca pacifica, lungo la
zona di trasferimento della dorsale pacifica dal rift di Juan de Fuca a nordovest, trasforme di
Mendocino, al rift dell’est pacifico a sudest.
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Questo limite di placca è notoriamente una zona di transpressione destra, dove sia movimenti
trascorrenti destri e sovrascorrimenti paralleli alla trascorrenza avvengono contestualmente,
come indicato sia dalla geologia che dai meccanismi focali dei terremoti.
La placca pacifica si muove in direzione 300°, formando un angolo di circa 25° con la direzione
della faglia di San Andreas, che ha direzione 325°. Poiché la placca pacifica si muove verso
ovest-nordovest più velocemente della placca nord americana, l’angolo tra la faglia e la direzione
pacifica dovrebbe generare una transtensione destra piuttosto che una transpressione. Tuttavia la
zona di trasferimento della dorsale pacifica da Juan de Fuca alla dorsale pacifica est nel Golfo di
California si muove verso ovest-nordovest più lentamente della placca nord americana, che è
così in grado di sovrascorrere obliquamente verso ovest la placca pacifica, con una componente
transpressiva sinistra.
Quindi la tettonica transpressiva destra del sistema della San Andreas può essere suddivisa in
due componenti, 1) transpressione sinistra lungo il margine occidentale obliquo della placca nord
americana, responsabile di gran parte dei terremoti compressivi; 2) la placca nord americana
sovrascorre la zona di trasferimento transtensiva destra della dorsale pacifica. Poiché la
trantensione destra è più veloce della transpressione sinistra, il movimento dominante è destro.
Questa particolare situazione è dovuta alla direzione obliqua dei margini della placca pacifica e
nord americana rispetto al loro movimento assoluto, e alla diversa velocità dei tre elementi in
gioco, placca pacifica, zona di trasferimento della dorsale pacifica, e placca nord americana.
La geodinamica californiana è dunque caratterizzata da una subduzione particolare in cui, in
contrasto con le zone di subduzione normali, in sezione est-ovest il letto della subduzione
diverge dalla placca a tetto, mentre letto e tetto convergono, seppur più lentamente, in direzione
nordest-sudovest. La divergenza est-ovest è assorbita dalla distensione nella Basin and Range,
mentre la componente compressiva nordest-sudovest si esprime principalmente nei
sovrascorrimenti e nella transpressione delle Coast Ranges e dell’offshore californiano. Ciò
implica che la compressione perpendicolare alla faglia di San Andreas non è una condizione
naturale di un movimento trascorrente, ma è un fattore tettonico indipendente, dimostrando che
in una stessa area possono coesistere stili tettonici differenti, ma soprattutto cause geodinamiche
indipendenti, come nel caso specifico la transpressione sinistra e la più veloce transtensione
destra.
Zone di subduzione e orogeni
I margini convergenti o distruttivi, si creano quando una placca entra nel mantello, cioè subduce.
La parte di litosfera che subduce è detta slab. Associati alle zone di subduzione si formano gli
19
orogeni o prismi di accezione (Bally, 1983) che sono contraddistinti da una serie di parametri
quali la dimensione della catena, i tassi di sollevamento e di raccorciamento; l’entità
dell’erosione, ecc. (Fig. 10). Un esempio di fronte di catena è il prisma di accrezione
dell’Appennino, localizzato sulla cerniera della subduzione omonima (Fig. 11). In genere le
subduzioni si formano quando due placche convergono, e la più pesante delle due, per lo più
oceanica, inizia a penetrare nell’astenosfera (Fig. 12). Secondo la classificazione di Bally et al.
(1985), si parla di subduzione B per la litosfera oceanica (dagli scopritori Wadati-Benjoff), e di
subduzione A per la litosfera continentale (dallo scopritore Ampferer). Lungo le zone di
subduzione viene rilasciata la maggior quantità di energia sismica terrestre (>90%). Per esempio
i 10 più grandi terremoti del secolo 1900 sono avvenuti nelle zone di subduzione
circumpacifiche (8) e nelle subduzioni himalayana e indonesiana (2). Il più forte terremoto mai
registrato è avvenuto lungo la subduzione cilena nel 1960, con Magnitudo 6,5. Questo è dovuto
al fatto che rompere le rocce in compressione richiede molta più energia che romperle in
tensione. Inoltre le zone di subduzione, al contrario dei rift, sono zone fredde, dove la litosfera
mantiene un comportamento fragile maggiore, e quindi una più forte resistenza alla
deformazione.
Attualmente le subduzioni hanno velocità di convergenza che possono variare da 1÷120 mm/a.
Vi sono però anche subduzioni attive in assenza di convergenza, cioè lo slab arretra lo stesso, ma
solo in subduzioni dirette verso ovest (per esempio Appennini e Carpazi).
Le zone in profondità in cui la subduzione è rotta oppure assente, sia in orizzontale che in
verticale, sono dette finestre dello slab (slab windows). Questo può avvenire per l’allungamento
dello slab durante l’arcuatura della subduzione stessa, oppure per velocità di subduzione diversa
di due placche a letto. Un’altra interpretazione, secondo alcuni autori, è il distacco dello slab per
il suo peso (slab detachment). Le subduzioni hanno una cerniera che arretra, la cui velocità può
essere maggiore o minore della velocità di convergenza tra le due placche a tetto e a letto della
subduzione. Se la placca a tetto ha velocità di convergenza minore dell’arretramento dello slab si
forma un bacino di retroarco (per esempio il Mar del Giappone come retroarco della subduzione
omonima, il Mar Tirreno e tutto il Mediterraneo occidentale come retroarco della catena
Appennini-Magrebidi, il bacino Pannonico per i Carpazi). Anche questa è una situazione che
pare formarsi solo per le subduzioni verso ovest. Il caso frequente in cui la convergenza è
maggiore dell’arretramento dello slab si forma invece un orogene molto più elevato e a doppia
vergenza (ad esempio le Alpi). Nel primo caso il prisma di accrezione si forma portandosi dietro
un’onda di tettonica distensiva in grado di determinare il rifting del retroarco (Fig. 13). La coppia
compressione/distensione delle subduzioni verso ovest è sostituita da una coppia
20
compressione/compressione nelle catene dovute a subduzioni verso est o nordest, dove si creano
i tipici orogeni a doppia vergenza. Tettonica distensiva pellicolare può accomodare la parte alta
di queste catene quando viene superato l’angolo critico di stabilità.
Fig. 10 Principali parametri che caratterizzano i fronti dei prismi di accrezione.
Se la placca a tetto è continentale, quando due placche convergono il passaggio dalla subduzione
oceanica a quella continentale è detta fase collisionale. I magmi delle zone di subduzione hanno
caratteri da calcoalcalini a shoshonitici. Il magmatismo si trova in proiezione verticale
dell’isobata di circa 100÷130 km del piano di subduzione. Il magmatismo si pensa generato dai
fluidi rilasciati dal piano di subduzione che porta in fusione parziale il mantello a tetto. Il numero
di vulcani e il volume dei magmi eruttati è proporzionale alla velocità della subduzione. Questo
potrebbe far supporre un contributo anche del calore di frizione nella produzione dei magmi. Il
magmatismo è condizionato dalla composizione della litosfera in subduzione, dallo stato termico
dello slab, dalla sua inclinazione e spessore.
Le subduzioni verso ovest sono mediamente più recenti di 50 Ma, mentre le subduzioni opposte
possono avere età anche maggiori di 100 Ma.
Le subduzioni verso ovest hanno a tetto una litosfera sottile (20÷40 km), mentre la placca a letto
a spessori sempre maggiori (Fig. 13). La Moho della placca a tetto è in genere di neoformazione,
21
migrante verso est, e sviluppantesi durante la crescita del bacino di retroarco. La crosta della
placca a tetto si assottiglia e ha profondità di 10÷ 25 km. La Moho della placca a letto è invece
una Moho preesistente, d’età variabile. Nelle catene legate a subduzioni verso est o nordest
invece, sotto l’orogene, le Moho preesistenti delle due placche si sovrappongono (Fig. 13) e lo
spessore crostale raggiunge i suoi massimi spessori (55÷70 km).
Fig. 11 Sezione sismica a riflessione Crop M5 del Mar Ionio attraverso il prisma di accezione
appenninico, come esempio di fronte di catena. Si notino le strutture retrovergenti, che danno
luogo a geometrie a triangolo, e la tettonica distensiva a sudovest che segue a ruota il fronte
compressivo, in migrazione verso nordest. Si noti anche che il prisma è meno elevato
dell’avampaese (tratto da Merlini et al., 2000).
Fig. 12 Differenze tra le zone di subduzione immergenti ad ovest e quelle immergenti ad est o
nordest, e comparazione dei relativi orogeni. Le subduzioni verso ovest sono più ripide e più
profonde. Il loro piano di scollamento basale s’inflette e subduce. Nelle subduzioni opposte,
dove il tasso di convergenza è superiore alla velocità di arretramento dello slab, il piano di
scollamento della placca a tetto sale verso la superficie ed è così in grado di sollevare l’intera
crosta nel prisma di accrezione. Quest’asimmetria può essere interpretata con la deriva verso
ovest della litosfera rispetto al mantello (tratto da Doglioni et al., 1999).
22
Le subduzioni verso ovest si enucleano lungo le retrocatene di subduzioni verso est o nordest
quando litosfera oceanica o continentale sottile è presente nell’avampaese della retrocatena; per
esempio l’arco delle Barbados ha preso il via lungo la retrocatena delle Ande dell’America
centrale, ed è migrato verso est solo dove i continenti nordamericano e sudamericano si
rastremano, e al fronte della retrocatene dell’orogene centro-americano era presente litosfera
oceanica atlantica.
Simile interpretazione può essere fatta per gli Appennini, che hanno avuto la loro nascita lungo
la retrocatena delle Alpi, nel cui avampaese vi era un ramo relitto dell’oceano tetideo mesozoico.
Queste “paleo-Alpi” sarebbero ora sepolte e stirate sotto l’Appennino occidentale e il Mar
Tirreno che è il retroarco della subduzione appenninica. Simile rapporto potrebbe essere
applicato per la subduzione dei Carpazi, innescatasi lungo la retrocatena delle Dinaridi. Nei
bacini di retroarco si attua un’assottigliamento rapido e irregolare, con aree dove si sviluppa
nuova crosta oceanica, oppure aree dove rimangono relitti più spessi di litosfera continentale; si
crea cioè un fenomeno di budinaggio. Gli archi delle subduzioni verso ovest hanno lunghezze di
1500÷2000 km.
Le subduzioni verso ovest sono in media più profonde, fino a 670 km, e più inclinate (45°÷90°)
di quelle opposte dirette verso est o nordest (Fig. 12), che generalmente hanno il grosso della
sismicità che scompare a 300 km, e inclinazioni minori (15°÷ 60°). La deriva verso ovest della
litosfera rispetto al mantello sottostante può spiegare questa diversa pendenza, che in passato era
stata attribuita solamente alla diversa età della litosfera oceanica in subduzione, cioè un effetto
del peso della litosfera oceanica fredda, ma vi sono esempi in cui la stessa litosfera subduce nelle
due direzioni opposte, mantenendo l’asimmetria; inoltre vi sono subduzioni verso ovest molto
inclinate e con le caratteristiche già descritte, sia di litosfera oceanica giovane (per esempio
l’arco delle isole Sandwich nel sudovest Atlantico), o addirittura di litosfera continentale (gli
Appennini centro-settentrionali, i Carpazi, l’arco di Banda). Nelle subduzioni verso ovest, il
piano di scollamento basale della placca a letto è piegato e scende in subduzione, e il prisma
d’accrezione coinvolge solo la pellicola superiore della placca a letto. Nelle subduzioni opposte,
il piano di scollamento basale della placca a tetto riesce attivamente a portare verso l’alto
elementi sia della placca a letto che della placca a tetto, ispessendo la crosta e il relativo orogene
(Fig. 12). Questo diverso comportamento dei piani di scollamento nelle due opposte subduzioni
spiegherebbe perché i prismi di accrezione delle subduzioni verso ovest sono costituiti per lo più
da copertura sedimentaria, mentre gli orogeni delle subduzioni opposte hanno l’intera crosta
coinvolta nella deformazione, determinando maggiore elevazione strutturale della catena ed
23
estesi affioramenti di basamento cristallino (Fig. 13). I due diversi comportamenti dei piani di
scollamento nei due tipi di subduzione determinano anche variabili percorsi di pressione e
temperatura cui sono sottoposte le rocce dei prismi di accrezione, generando metamorfismi
peculiari. Per esempio un metamorfismo d’alta pressione e bassa temperatura è più frequente
nelle catene associate a subduzione verso est o nordest, mentre il metamorfismo di alta
temperatura e bassa pressione è più facilmente rinvenibile a tetto delle subduzioni dirette verso
ovest, dove l’astenosfera rimpiazza lo slab a bassa profondità nel bacino di retroarco.
Le evidenze più forti della deriva verso “ovest” della litosfera, e quindi di un sottostante
mantello che ruoterebbe in senso opposto, vengono dalle persistenti asimmetrie tra le zone di
subduzione dirette verso ovest e quelle dirette verso est o nordest. Gli orogeni associati alle zone
di subduzione verso ovest presentano un rilievo topografico e strutturale inferiore rispetto alle
catene associate alle subduzioni opposte, come si vede comparando le subduzioni del Pacifico
occidentale con quelle del Pacifico orientale, per esempio Marianne e Ande (Fig. 4). Nel primo
caso si forma un bacino di retroarco e la fossa della subduzione è molto profonda, mediamente
oltre i 4000 m, il prisma di accrezione coinvolge i livelli più alti della crosta in subduzione,
generalmente la copertura sedimentaria. Il rilievo medio dei prsimi di queste subduzioni è sotto il
livello del mare, come le Fiji, Marianne, Barbados. Le catene più elevate di questo tipo di
subduzioni sono gli Appennini, i Carpazi e il Giappone, che hanno piani di scollamento basale
del prisma di accrezione più profondi e quindi volumi coinvolti a tetto della subduzione
maggiori. Le anomalie gravimetriche delle subduzioni verso ovest sono molto più pronunciate di
quelle delle subduzioni opposte, avendo un massimo negativo nella zona di avanfossa, e un
massimo positivo nel bacino di retroarco dove l’astenosfera si trova infatti a livelli molto
superficiali. Andamento simile hanno le variazioni del flusso di calore, minimo in avanfossa e
massimo nel bacino di retroarco.
Nelle subduzioni verso est o nordest, come le Ande o l’Himalaya, non si forma il bacino di
retroarco, la catena ha una doppia vergenza e quindi ha due avanfosse, una di fronte alla catena
frontale, e una innanzi alla retrocatena (Fig. 13). L’altezza media di queste catene è sopra il
livello del mare e le avanfosse hanno profondità medie intorno ai 3000 m in subduzioni
oceaniche, mentre sono spesso sopra il livello del mare in subduzioni continentali sia al fronte
della catena frontale che della retrocatena. La catena ha piani di scollamento che entrano nel
mantello, l’accrezione coinvolge l’intera crosta e quindi le rocce affioranti possono coprire
l’intero spettro delle rocce metamorfiche e intrusive del basamento.
La topografia e le anomalie in aria libera attraverso le zone di subduzione confermano la
presenza di due marcature distinte (Fig. 14). Una media topografica bassa (-1250 m) e anomalie
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gravimetriche pronunciate caratterizzano le catene delle subduzioni verso ovest. Una media
topografica più elevata (1200 m) e anomalie gravimetriche più smussate sono tipiche degli
orogeni delle subduzioni verso est e nordest. Questa contrapposizione è particolarmente evidente
lungo i margini pacifici, ma persiste anche lungo altre zone di subduzione del mondo, in
Atlantico, nel Mediterraneo, Himalaya e Indonesia. Quindi la topografia e la gravimetria
confermano la’esistenza di due classi separate di zone di subduzione, in buona parte indipendenti
dall’età e dalla natura della litosfera in subduzione.
Fig. 13 Le catene che si formano al di sopra delle subduzioni verso ovest sono costituite
primariamente da copertura sedimentaria; l’area emersa della catena è sempre inferiore all’area
dell’avanfossa; la monoclinale regionale è inclinata con angoli di 4÷10°; l’astenosfera ed una
Moho di neoformazione si trovano a bassa profondità sotto la parte occidentale della catena;
esempio sono gli Appennini. Le catene legate a subduzioni opposte hanno sempre il basamento
cristallino estesamente coinvolto; l’area della catena emersa è sempre maggiore dell’area delle
due avanfosse; le monoclinali regionali hanno valori minori (2÷5°); la crosta è ispessita dalla
sovrapposizione di due Moho pre-subduzione; esempio sono le Alpi.
Avanfosse
Le avanfosse sono i bacini sedimentari localizzati ai fronti delle catene montuose o prismi di
accrezione. Anche le avanfosse hanno caratteristiche a sostegno delle differenze tra le zone di
subduzione. Le subduzioni verso ovest hanno avanfosse molto profonde e in rapida migrazione
verso est, con tassi di subsidenza >1,2 mm/a. La subsidenza è così forte che le anticlinali del
prisma d’accrezione possono avere tassi di sollevamento inferiore, per cui le anticlinali mentre
s’innalzano, in realtà talora sono in subsidenza (Fig. 15). Esempi sono al fronte del prisma
appenninico, nei Carpazi e nell’arco di Banda. La forte subsidenza appare generata
dall’arretramento dello slab, ed è così dominante che il prisma d’accrezione si può addirittura
trovare in condizioni di maggiore profondità dell’avampaese (Fig. 11). Sempre nelle avanfosse al
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fronte di catene sopra subduzioni dirette verso ovest, il prisma di accrezione in sezione ha un
area che è mediamente minore dell’area dell’avanfossa stessa, cioè un rapporto minore di 1 (Fig.
13). Si prendano come esempi il prisma a tetto e la relativa fossa delle Marianne, o la catena
degli Appennini e l’avanfossa padano-adriatica dove vi sono accumulati talora oltre 8 km di
sedimenti in 5 Ma. Questo tipo di avanfosse ha tassi di subsidenza così elevati, e catena relativa
adiacente poco sollevata, quindi con erosione limitata, da lasciare l’avanfossa in condizioni di
sottoalimentazione (Fig. 15).
Fig. 14 Profili medi della topografia/batimetria e gravimetria in aria libera delle zone di subduzione.
Si noti la maggiore elevazione e la minore ampiezza delle anomalie gravimetriche nelle subduzioni
verso est e nordest rispetto alle subduzioni dirette ad ovest. Nelle subduzioni verso ovest non vi è
poi corrispondenza tra il minimo gravimetrico e il minimo batimetrico (tratto da Harabaglia e
Doglioni, 1998).
Viceversa, le catene legate alle subduzioni verso est o nordest, hanno due avanfosse, al fronte e
lungo la retrocatena dell’orogene. I tassi di subsidenza sono relativamente bassi (< 0,2 mm/a),
avendo spessori di sedimenti di circa 3 km depostisi in circa 20 Ma per esempio al fronte delle
Alpi settentrionali. Le anticlinali e il prisma di accrezione sono sempre più elevati
dell’avampaese (Fig. 15). Il rapporto tra area in sezione della catena e area totale delle due
avanfosse è paradossalmente sempre >1, cioè nonostante la catena sia molto elevata, le due
avanfosse sono di dimensioni inferiori (Fig. 13). Per questo tipo di catene (Montagne Rocciose,
Alpi, Himalaya) l’erosione è tale nella catena e lo spazio di accomodamento è così ridotto nei
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due bacini, che le avanfosse sono sovralimentate, passando rapidamente dalle facies di flysch a
quelle di molassa, fino a colmarle e a generare il bypass dei sedimenti ancora provenienti dagli
orogeni, che vengono così trasportati in delta remoti. Un esempio sono i grandi delta del Gange e
del Bengala dove si accumula il materiale eroso dalla catena Himalayana che non trova più
spazio per deporsi nell’avanfossa.
Fig. 15 Confronto tra i fronti appenninico e dinarico-ellenico, legati a due subduzioni a polarità
opposta. Si nota una maggiore profondità dell’avanfossa appenninica, e la maggiore elevazione
del fronte ellenico. Il fronte appenninico è addirittura più basso dell’avampaese. Il sollevamento
totale di una piega è dato dal sollevamento della piega, meno la subsidenza dell’avanfossa. La
piega frontale della catena appenninica ha un sollevamento totale negativo, mentre quella
ellenica è positivo. M, Messiniano; scala verticale in secondi, tempo di andata e ritorno delle
onde P (tratto da Doglioni et al., 1999).
Adottando la deriva verso ovest della litosfera, le subduzioni verso ovest sarebbero generate
primariamente dalla flessione indotta dal mantello che relativamente si muoverebbe verso est
(Fig. 16); l’avanfossa è in questo caso localizzata sulla cerniera della subduzione e la sua
subsidenza coincide con l’arretramento dello slab. Nelle subduzioni verso est o nordest, cioè
dirette nel senso del flusso del mantello, quest’ultimo sosterrebbe dal basso la litosfera, in parte
contrapponendosi al carico della catena, che in questi ambienti geodinamici è il maggior
responsabile della flessione dell’avanfossa (Fig. 16). Quando la subsidenza dell’avanfossa è
maggiore del sollevamento del prisma, il sollevamento totale delle anticlinali è negativo,
viceversa è sempre positivo (Fig. 15).
Queste asimmetrie sono consistenti con un contributo della deriva verso ovest della litosfera
rispetto al mantello, che col suo moto relativo verso “est” inclina maggiormente le subduzioni
verso ovest, facendole arretrare e generando le forme arcuate tipiche delle Barbados, Sandwich,
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Apennini, Carpazi, Marianne, Giappone, Banda, ecc.. In queste subduzioni la litosfera viene
nella maggior parte persa e annichilita nel mantello (Fig. 12). Nelle subduzioni opposte verso est
o nordest che invece immergono nel senso del movimento relativo del mantello sottostante, la
litosfera viene sostenuta dal flusso, e viene ispessita.
Fig. 16 Modello delle forze che determinano la subsidenza dell’avanfossa in funzione della
polarità della subduzione.
Vi sono orogeni che non seguono il flusso di Fig. 4, come per esempio la parte settentrionale del
S-America e i Pirenei. Questi orogeni sono legati a subduzioni generate dalla sub-rotazione delle
placche sudamericana e iberica, e presentano caratteristiche simili a quelle degli orogeni
associati alle subduzioni dirette ad est, cioè doppia vergenza, assenza di estensione di retroarco,
alta elevazione morfologica e strutturale, e avanfosse con bassi tassi di subsidenza.
Bacini sedimentari
I bacini sedimentari in cui si accumula sostanza organica che può generare idrocarburi, sono una
diretta conseguenza della tettonica delle placche e si formano sia all’interno che ai margini delle
placche per tre principali processi che generano subsidenza (Fig. 17): 1) assottigliamento della
litosfera, cioè tettonica distensiva o transtensiva; 2) raffreddamento termico della litosfera
oceanica e continentale nei margini passivi; 3) piegamento della litosfera nelle cerniere delle
zone di subduzione per arretramento dello slab, o per flessione generata dal carico di una catena
montuosa o di un delta su di un margine continentale (Fig. 18).
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Fig. 17 Tassi di subsidenza medi nei principali ambienti geodinamici, quali le avanfosse, i
margini continentali e rift intraplacca. Le dorsali oceaniche hanno subsidenza che diminuisce
coll’età della crosta oceanica, dove z è la differenza batimetrica tra la dorsale e il fondo marino, e
k è una costante =320. Le avanfosse sono aree di subsidenza per flessione della litosfera dovuta
al carico della catena per le subduzioni verso est e nordest, e al movimento relativo opposto del
mantello nelle subduzioni verso ovest. Le aree oceaniche hanno subsidenza per raffreddamento e
ispessimento della litosfera, mentre i rift di retroarco, di margine continentale passivo e
intraplacca sono generati prima da un assottigliamento della litosfera, e poi anche dagli altri
fenomeni termici e di carico. La linea tratteggiata rossa indica l’ipotetico andamento
dell’isoterma che marca la base della litosfera.
I bacini sedimentari si formano dove la crosta va in subsidenza oppure vi è un preesistente
bacino vuoto in grado di essere colmato da sedimenti. Il peso dei sedimenti genera comunque un
ulteriore carico che flette la litosfera. La compattazione dei sedimenti causata dal carico
litostatico (=rgz, dove r è la densità della colonna di rocce, g la gravità e z lo spessore della
colonna di rocce) produce una diminuzione della porosità delle rocce, un’espulsione dei fluidi
dai pori e determina un’ulteriore subsidenza. Il carico litostatico determina anche diminuzione di
volume per dissoluzione per pressione, e quindi ulteriore subsidenza.
La subsidenza in un’area in distensione è funzione del tasso d’estensione e dell’inclinazione
delle faglie distensive. Infatti, a parità d’estensione, faglie più inclinate permettono una
subsidenza più rapida.
Bacini estensionali intraplacca determinano un indebolimento della crosta e della litosfera, per
cui in caso di modifica del campo di sforzo, sono le prime aree a subire un’inversione tettonica.
Esempio classico è la catena dell’Atlante, generatasi per transtensione sinistra e distensione enéchelon nel Mesozoico, successivamente invertita in transpressione destra.
La subsidenza termica della crosta oceanica, trattata precedentemente, si attua anche ai margini
continentali passivi se la crosta oceanica adiacente non ha superato i 60 Ma.
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Fig. 18 Modello di subsidenza in un margine continentale passivo dovuto al carico dei sedimenti
che sostituiscono l’acqua più leggera ed esercitano un peso che genera uno spazio di
accomodamento per depositi di piana costiera e scarpata che producono un’ulteriore flessione
della crosta e litosfera (Bott, 1979).
Le avanfosse, già descritte prima, sono tipici bacini legati al piegamento o flessurazione della
litosfera; si formano o per il carico della catena e dei suoi sedimenti, o per arretramento della
subduzione. La pendenza del basamento sotto l’avanfossa verso l’interno della catena è detta
monoclinale regionale dell’avampaese (Fig. 10), ed è meno inclinata per le catene dove è il
carico a generare la subsidenza (2÷5°), mentre raggiunge valori più alti (4÷10°) per le avanfosse
in cui vi è l’arretramento delle subduzioni verso ovest (Fig. 13).
I tassi di subsidenza dei principali ambienti tettonici sono riportati in Fig. 17, dove si vede che le
avanfosse legate a subduzioni verso ovest sono quelle che hanno mediamente i tassi più alti.
Vi sono aree della terra dove possono coesistere contemporaneamente più fattori geodinamici
che controllano l’evoluzione di un bacino. Per esempio nel Canale di Sicilia vi è una distensione
attiva con faglie distensive orientate NO-SE, che sta separando la Sicilia dall’Africa, ma
contemporaneamente i sovrascorrimenti della catena appenninica-magrebide orientati circa E-O
avanzano verso sudest, tagliando le faglie normali, che però a loro volta tagliano i
sovrascorrimenti. La pianura nel nordest italiano, è l’avampaese della retrocatena alpina, della
catena frontale dinarica e della catena appenninica. Quindi vi è l’effetto combinato di tre diverse
catene che con meccanismi, velocità e direzioni diverse, generano subsidenza nella stessa area.
La faglia di San Andreas è un ulteriore esempio di transpressione sinistra NE-SO sovrapposta ad
una più veloce transtensione destra orientata ONO-ESE.
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Dinamica delle placche
Nonostante i notevoli progressi nelle scienze della terra, ancora non vi è una teoria completa sui
meccanismi che muovono le placche, in modo da riconciliare la cinematica superficiale con i
supposti movimenti interni al pianeta. Le forze che agiscono sulla litosfera sono di diverso tipo:
il trascinamento operato dai movimenti convettivi del mantello sottostante, il ridge push, cioè il
peso delle dorsali, lo slab pull, che è il peso dei piani di subduzione, e le forze esterne o
rotazionali del pianeta, come per esempio gli effetti mareali (Bostrom, 2002). I movimenti delle
placche sono talmente lenti che le relative forze inerziali sono trascurabili.
Convezione del mantello
La risalita di mantello nelle zone di rifting e la discesa di litosfera nelle subduzioni sono di per sé
già un’evidenza della convezione mantellica. Alla scala dei tempi geologici, il mantello terrestre pur
essendo solido e con viscosità maggiore di 1022 Pa s, può essere considerato un fluido. Un fluido
scaldato dal di sotto e raffreddato da sopra può trasferire calore attraverso il suo spessore in due
modi, conduzione o convezione. Il mantello ha un gradiente interno di temperatura di meno di
1°C/km. Il numero senza dimensione di Rayleigh (Ra) misura la possibilità di convezione di un
fluido. La litosfera trasmette calore tramite conduzione e fluidi che la attraversano.
Un livello di spessore h con temperature costanti T0 e T1 sopra e sotto il livello ha un numero Ra
r2gcpa(T1- T0)h3
Ra = ---------------------mk
dove r è la densità, g l’accelerazione di gravità, cp la capacità del calore specifico, a il coefficiente
di espansione termica, m la viscosità, e k la diffusività termica. Al numeratore vi sono elementi che
favoriscono il galleggiamento, mentre al denominatore sono i fattori viscosi che lo rallentano, cioè
la crescita dei parametri al numeratore favorisce la convezione, mentre la crescita dei parametri al
denominatore favorisce la conduzione. Quindi un alto numero di Rayleigh favorisce la convezione,
un basso valore indica che la conduzione è dominante. La transizione tra i due regimi è detta
numero critico di Rayleigh. Circa 90% del calore del mantello è assunto provenire dal decadimento
radioattivo interno, mentre solo il 10% sarebbe proveniente dal nucleo sottostante. Il numero di
Rayleigh necessario per rendere un mantello sferico convettivo è di circa 3x103, ma in realtà,
assumendo i valori stimati dal PREM, il valore calcolato per il mantello è di circa 9x106. Ciò
significa che il mantello deve convettere, solo non ne conosciamo né la cinematica, né le velocità e
come i suoi movimenti interni si conciliano con la cinematica delle placche che appare molto più
semplice delle celle convettive ricavabili dai modelli convettivi di tipo Bénard.
31
La parte del mantello che dovrebbe convettere più vigorosamente è il mantello superiore dove il
numero di Rayleigh è più alto perché la viscosità è più bassa, la conduzione termica è minore
perché contiene meno ferro che il mantello inferiore, e in più il gradiente termico è più alto che nel
mantello inferiore dove la temperatura aumenta meno di un grado per km, mentre nel mantello
superiore può aumentare di qualche grado per km.
Vi sono due grandi aree dove è supposta una risalita del mantello inferiore, identificate dalla
tomografia come volumi a minore velocità sismica, una nel Pacifico centrale, ed una nell’Africa
centro-meridionale (Romanowicz e Yuancheng, 2002). I problemi della convezione sono che le
assunzioni sono spesso irrealistiche e si scontrano con evidenze superficiali: per esempio il
mantello viene assunto come composizionalmente omogeneo, mentre si sa che è tutta la terra
dall’atmosfera al nucleo è intensamente stratificata. Se il mantello fosse omogeneo e i movimenti
fossero guidati solo da gradienti termici, ci si dovrebbe aspettare che pezzi di mantello litosferico
dovrebbero staccarsi e cadere nel sottostante mantello, fenomeno al momento sconosciuto e che,
se presente, dovrebbe generare un sollevamento della litosfera sovrastante relitta.
Le risalite del mantello sono nei modelli di convezione associate a ridiscese laterali, ma i rifting
atlantico, est africano e indiano si sono sviluppati senza nessuna subduzione intermedia. Ci sono
anche casi di subduzioni vicine appaiate senza rifting in mezzo. Nei modelli convettivi, le
correnti in risalita e in discesa sono stazionarie, mentre in natura tutti i margini di placca, rifting,
subduzioni e zone trasformi, migrano. Le celle convettive dei modelli hanno forme poligonali,
mentre i margini di placca reali hanno forme lineari: si pensi ad esempio alla dorsale atlantica.
Quindi la convezione mantellica non può essere considerata come un rullo trasportatore delle
placche, o mantle drag, per la dicotomia tra la convezione e la cinematica superficiale. Inoltre la
litosfera è scollata rispetto al mantello, come indicato per esempio dal punto caldo delle Hawaii
la cui sorgente mantellica si sposta verso est-sudest rispetto alla litosfera sovrastante. Le dorsali
atlantica e indiana durante il loro sviluppo si sono allontanate dall’Africa, quindi sono in
movimento relativo tra loro: ciò sottintende che una risalita attiva di mantello statica a distanza
stabile sotto le due dorsali non è compatibile colla cinematica delle placche, e che i rifting sono
strutture passive, scollate e in movimento relativo rispetto al mantello. Un movimento laterale
delle dorsali può spiegare perché queste siano alimentate sempre da un mantello ancora fertile,
mentre una loro staticità sul mantello dovrebbe prevedere un impoverimento graduale della
sorgente. La tomografia sismica ha confermato la presenza di basse velocità sismiche solo fino a
100 ÷ 200 km sotto le dorsali oceaniche, probabilmente indici di fusione parziale, mentre il
sottostante mantello ha frequentemente velocità sismiche relativamente maggiori, suggerendo
che vi sia un mantello freddo, e che quindi non vi sia un’alimentazione profonda delle dorsali.
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Ridge push
L’elevazione di una dorsale oceanica causa un aumento dell’energia potenziale gravitazionale,
che viene chiamata ridge push o spinta della dorsale. Non è legata all’inserimento del magma
lungo la dorsale, ma viene considerato solo il peso in più determinato dalla maggiore elevazione
della dorsale. Una possibile quantificazione del ridge push (Frp)può essere la seguente:
Frp=grm Úhdx-grw Úwdx
Dove g è l’accelerazione di gravità, r m è la densità del mantello, h è l’elevazione della dorsale
rispetto al fondo marino, x è la larghezza in orizzontale dell’area in eccesso data dalla dorsale, r w
è la densità dell’acqua, e w è la profondità del fondo marino rispetto alla dorsale. Il ridge push
ottenuto considerando anche l’effetto del raffreddamento della litosfera e il peso dell’acqua è di
circa 3,9x1012 Nm-1 (Turcotte e Schubert, 2002).
Slab pull
Lo slab pull, o tiro verso il basso della subduzione, è la forza che è stata interpretata per la
minore temperatura dello slab in subduzione rispetto al mantello circostante più caldo. I basalti
oceanici, andando in subduzione si possono trasformare in eclogiti, rocce di altissima pressione e
alta densità, generando un gradiente negativo di densità del piano di subduzione rispetto al
mantello superiore che lo contiene. L’espressione più semplice dello slab pull è la seguente:
Fsp=gdz(rl – rm)
dove Fsp è lo slab pull assumendo che litosfera e mantello abbiano la stessa composizione, e vi
sia solo una stratificazione termica; g è l’accelerazione di gravità; d è lo spessore della litosfera
in subduzione; z è la profondità del piano di subduzione; r l è la densità della litosfera e r m è la
densità del mantello. Assumendo valori come 10 per g, 100 km per d, 660 km la profondità dello
slab z, e 3300 kg/m3 e 3220 kg/m3 rispettivamente le densità della litosfera e del mantello si
ottine uno slab pull di circa 5,2x1013 Nm-1. Tuttavia lo spessore della litosfera in subduzione è
sovente più sottile, e soprattutto il mantello superiore ha densità ben superiori ai 3220 kg/m3,
anche perché molto probabilmente il mantello superiore ha stratificazioni chimico-mineralogiche
con un graduale aumento della densità dall’alto verso il basso. Turcotte e Schubert (2002)
calcolano uno slab pull di circa 3,3x1013 Nm-1. Il PREM (Preliminary Reference Earth Model,
Anderson, 1989) propone per esempio una densità di 3970 kg/m3 per il mantello a 600 km di
profondità.
L’olivina nel mantello, oltre alla trasformazione olivina/spinello a circa 400 km di profondità che
ne aumenta la densità, può trasformarsi da olivina magnesiaca (forsterite) a olivina ferrifera
(fayalite) determinando un aumento di densità ed una diminuzione di volume. Per questo il
valore dello slab pull è probabilmente sovrastimato. Inoltre a sfavore dello slab pull vi è il fatto
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che i meccanismi focali dei terremoti indicano per lo più che i piani di subduzione sono
sottosposti ad una compressione interna parallela allo slab, mentre se lo slab pull fosse operativo
ci si aspetterebbe che lo slab fosse in trazione. Ciononostante, lo slab pull è al momento
considerato la forza maggiore operante sulla litosfera, avendo un ordine di grandezza maggiore
del ridge push.
Vi sono evidenze geologiche e tomografiche che anche la litosfera continentale vada in
subduzione. Ampferer, geologo austriaco ai primi del 1900 aveva ipotizzato una subduzione
continentale sotto le Alpi, basata sull’impilamento delle falde alpine. I prismi di accrezione dove
si vedono impilati sedimenti di margine continentale passivo, indicano che la litosfera su cui
erano appoggiati è scomparsa in subduzione. Non vi sono dati sulla profondità cui la litosfera
continentale, nonostante la sua minore densità, riesca a scendere in subduzione, facilitata da
trasformazioni di fase che l’appesantiscano. Nell’Appennino centro-settentrionale vi è
subduzione continentale fino ad almeno 100÷150 km. Questo dimostra che non può essere solo il
peso della litosfera fredda oceanica a muovere le placche tramite lo slab pull, perché altrimenti la
litosfera continentale non potrebbe subdurre. Un flusso di mantello verso est invece
contribuirebbe a fare arretrare e subdurre la litosfera.
Un'altra forza invocata agente sulla litosfera è detta il tiro della fossa, o trench suction. Una zona
di subduzione, arretrando, determina un tiro nella placca a tetto verso la zona di cerniera dello
slab, muovendo la placca verso la subduzione stessa e/o provocandone l’assottigliamento del
margine. Anche questo meccanismo diviene comunque secondario se l’energia della tettonica
delle placche non risiede nello slab pull.
Effetti della rotazione terrestre
La tettonica delle placche è finora stata attribuita solo a fenomeni endogeni di raffreddamento del
pianeta e di convezione termica. E’ stato dimostrato per esempio come i movimenti nel mantello e
delle placche disturbino anche la rotazione terrestre provocando oscillazioni dell’asse di rotazione.
Tuttavia, la deriva verso “ovest” della litosfera rispetto al mantello e tutte le sue applicazioni
tettoniche, indicano un contributo della rotazione terrestre alla tettonica delle placche, sia in termini
di direzione di movimento che soprattutto energetici.
L’attrazione luni-solare esercita sulla terra le maree sia fluide che solide, che determinano un
trascinamento permanente verso ovest della litosfera, e che nel contempo rallentano la velocità di
rotazione terrestre. Infatti è stato misurato un aumento della durata del giorno di circa 1.79
ms/secolo. Per esempio 700 milioni di anni fa, grazie agli studi sulle stromatoliti e i depositi tidali, è
stato possibile quantificare che un anno era di circa 400÷430 giorni, cioè la lunghezza del giorno
era circa di 21÷20 h, per la più veloce rotazione della terra (Denis et al., 2002). Avendo nel passato
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velocità di rotazione maggiore, lo schiacciamento dei poli terrestri era maggiore; da circa 2,5
miliardi di anni ad oggi, lo schiacciamento dei poli rispetto all’equatore è diminuito da 0,005 a
0,003.
Il baricentro tra luna e terra si trova all’interno del mantello, e Bostrom (2002) ha ipotizzato che la
gravità alla superficie della terra sia leggermente inclinata di 0,38° per effetto della gravitazione
lunare, considerando il sistema terra-luna come un pianeta doppio. L’eventuale non verticalità della
gravità genererebbe un’asimmetria anche nella convezione mantellica.
Il nucleo interno solido terrestre non esisteva prima di 2 miliardi d’anni, e secondo alcuni autori
addirittura avrebbe cominciato a solidificarsi negli ultimi 500 Ma. Anche il mantello inferiore
presenta un accumulo di materiale più denso nelle sue parti basse, materiale che non è più in grado
di risalire per le altissime pressioni a circa 2800÷2900 km di profondità. Ciò significa che gli
elementi più densi si stanno lentamente accumulando nelle parti basse sia del nucleo che del
mantello, diminuendo il momento d’inerzia della rotazione terrestre, processo che tenderebbe ad
aumentare la velocità di rotazione, ma non abbastanza per compensare il rallentamento imposto
dalle maree. La combinazione degli effetti tidali e della discesa verso il basso delle parti più dense
della terra determina una coppia di forze agente sull’astenosfera, il livello a minore resistenza, e che
potrebbe spiegare il movimento medio della litosfera verso “ovest”. In questo modello, la tettonica
delle placche sarebbe una combinazione d’effetti rotazionali e moti convettivi del mantello
(Scoppola et al., 2004).
Se venisse confermato che i magmi OIB (ocean island basalts) dei punti caldi sono alimentati
dall’astenosfera, dato che anche i MORB (middle oceanic ridge basalts) delle dorsali provengono
dall’astenosfera, e gli IAB (island arc basalts) delle zone di subduzione sono anch’essi alimentati da
profondità astenosferiche (100-150 km), tutto ciò indicherebbe che la stragrande maggioranza dei
magmi terrestri vengono dalla parte alta del mantello superiore e che quindi non abbiamo
informazioni petrologiche dirette sulla composizione del sottostante mantello, che potrebbe dunque
essere più ricco in ferro, e quindi più denso, di quanto finora noto. In questo caso l’effetto dello slab
pull sarebbe ancora più basso di quanto stimato sopra, e non più in grado di attivare la tettonica
delle placche. La combinazione degli effetti astronomici con quelli convettivi potrebbe meglio
spiegare la geodinamica terrestre. Potrebbe anche spiegare perché gran parte dei satelliti si trovano
in Tidal locking, cioè hanno la stessa velocita di rotazione e di rivoluzione, mostrando sempre la
stessa faccia al pianeta madre, come per esempio la Luna e i satelliti galileiani di Giove: se
l’accelerazione della rotazione indotta da una diminuita convezione interna del satellite non è più in
grado di contrastare l’effetto mareale del pianeta madre, il satellite smette di ruotare
indipendentemente.
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