Il tumore della prostata e la nutrizione A cura della Dr.ssa Anna Villarini – Biologo-nutrizionista, Dipartimento di Medicina Predittiva e per la Prevenzione Unità di Epidemiologia Eziologica e Prevenzione Il tumore della prostata è il secondo tumore più frequente negli uomini (914,000 nuovi casi/anno, 14% di tutti i tumori negli uomini) ed il quinto tumore più comune in generale. I principali fattori di rischio per il tumore della prostata sono età, razza e familiarità. Ma, le ampie variabilità geografiche del tumore della prostata suggeriscono l’importanza anche di fattori di rischio legati allo stile di vita ed all’esposizione ambientale. Purtroppo ad oggi non si hanno informazioni scientifiche solide sul ruolo della nutrizione in relazione allo sviluppo del tumore della prostata ma possibili fattori di rischio sembrano essere le diete ricche di calcio e/o i latticini mentre possibili fattori protettivi sono i legumi (tra cui la soia) e i cibi contenenti licopene (tra cui il pomodoro e la passata di pomodoro). Gli studi evidenziano però un’associazione tra obesità e carcinoma prostatico. I meccanismi biologici alla base, seppur non ancora chiariti, sembrano essere legati ad alterazioni degli equilibri ormonali e di atri metaboliti che regolano la crescita cellulare (aumento dei livelli di insulina, insuline like growth factor-I (IGF-I), leptina e adipochine e riduzione dei livelli di testosterone ed adiponectina). Recentemente diversi studi hanno evidenziato anche un possibile ruolo della sindrome metabolica (cioè la presenza in un individuo di almeno tre dei seguenti fattori di rischio: glicemia, trigliceridi e pressione arteriosa elevati, circonferenza vita superiore a 94, colesterolo buono-HDL basso), nello sviluppo del carcinoma prostatico probabilmente dovuto ad alterazioni metaboliche e ormonali sovrapponibili a quelli descritte per l’obesità. Più informazioni, invece, emergono dagli studi per migliorare la prognosi attraverso la nutrizione in chi ha già diagnosi di carcinoma prostatico. Obesità, sovrappeso con obesità addominale e sindrome metabolica, si confermano come fattori di rischio, come il consumo di latte e latticini, mentre il consumo di alimenti ricchi in licopene (pomodori e affini) si confermano protettivi assieme a un consumo regolare di crucifere (cavoli, cavolfiore, rucola, rapanelli ecc). Anche il consumo di pesce (2 volte a settimana) sembra associato a una miglior prognosi e in generale la dieta mediterranea ricca in cereali integrali, legumi, verdura e frutta (sia fresca che secca), pesce, ma con pochi dolci, zuccheri, cibi fatti con farine raffinate, carne, salumi, latte e latticini. Anche l’utilizzo di integratori di vitamina E e selenio è sconsigliato sia in prevenzione che dopo la diagnosi poiché è risultato aumentare il rischio di ammalarsi ma anche di avere recidive. Dato però che la vitamina E e il selenio assunti con i cibi sono protettivi e migliorano la prognosi è bene consumare olio extravergine di oliva (tutti i giorni ma non più di 2-3 cucchiai al giorno) e qualche noce brasiliana naturalmente ricca sia in vitamina E che in selenio. Inoltre, dato che una peggior prognosi è legata anche a un eccesso di fattori infiammatori circolanti, è bene ridurre il consumo dei cibi che favoriscono l’infiammazione, in particolare i prodotti animali ricchi di grassi (carni, insaccati, uova, formaggi), le patatine fritte, gli snack salati, i grassi idrogenati (margarine), i dolciumi, le bevande zuccherate e le farine raffinate. Aiutano invece a contrastare l’infiammazione i cereali integrali (tra cui il riso ma solo integrale), la frutta secca (noci), la verdura, la frutta, il tè, il pesce grasso (per la ricchezza di omega-3, tipo pesce azzurro). Ci sono poi specifiche sostanze vegetali con attività anti-infiammatoria che conviene mangiare spesso ma in quantità modeste: la curcuma – un ingrediente del curry – ma solo se non si stanno facendo chemioterapie perché ne può modificare gli effetti, lo zenzero, i mirtilli o altri frutti di bosco, le cipolle, specie le rosse, le mele cotte e le prugne.