ECONOMIA INTERNAZIONALE
TEORIE DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE
LEZIONE 1: INTRODUZIONE AI VANTAGGI COMPARATI
1.
Introduzione all’economia internazionale
Come campo di specializzazione l’economia internazionale ha avuto uno sviluppo di 200 anni e le sue teorie si sono
affermate nel tempo. Vari sono stati i contributi di grandi economisti quali Smith (1776), Ricardo (1817), Mill, Marshall,
Keynes e Samuelson. Tale teoria si divide in due campi:
-
Il commercio internazionale che spiega le ragioni degli scambi a livello internazionale, i benefici, le motivazioni dei
dazi e di altre ostruzioni di commercio internazionale imposte alle nazioni. Si spiegano anche le ragioni
dell’integrazione economica e l’essenza del sistema commerciale internazionale. In tale ambito non si parlerà mai di
prezzi in termini monetari, ma in contesto relativo (confronto fra Stati);
-
La finanza internazionale che esamina la bilancia dei pagamenti, il mercato dei cambi e il sistema monetario
internazionale ($/€).
2.
Teoria Mercantilista
Nel 1776 con “La ricchezza delle Nazioni” di A. Smith nasce il campo d’applicazione dell’economia internazionale. Nel XVI
– XVII alcuni commercianti, banchieri, finanzieri e filosofi evidenziarono la teoria del commercio mercantilistico, prima
ancora della nascita della vera e propria teoria. La teoria mercantilista afferma che l’unico modo per far diventare ricca
una nazione è rappresentato dalla condizione che le esportazioni siano maggiori rispetto alle importazioni: bisognava
quindi stimolare le esportazioni e restringere al minimo le importazioni. Come ricompensa delle esportazioni vi era
l’apporto di oro e argento che determinavano la ricchezza di una nazione. L’idea della ricchezza oggi è totalmente diversa
in quanto si valuta il reddito pro capite. Ciò nonostante è importante non sottovalutare la teoria mercantilista, ma
bisogna analizzarla attentamente nel contesto dell’epoca in cui questa si è sviluppata: la teoria mercantilista era
funzionale al sovrano, infatti gli economisti servivano il re che aveva bisogno di oro da investire negli armamenti.
Tuttavia, siccome non tutti i paesi possono simultaneamente avere un avanzo commerciale, è chiaro che un paese può
guadagnare solo a spese degli altri. I mercantilisti quindi predicavano il nazionalismo economico (teoria dei giochi a
somma zero: più una nazione guadagna, meno sarà riservato alle altre).
Oggi sembra esservi la ripresa di un neo-mercantilismo, dato che paesi affetti da alti livelli di disoccupazione cercano di
sottoporre a restrizione le importazioni allo scopo di stimolare la produzione e l’occupazione interne.
3.
Vantaggi assoluti A. Smith
Affinché due paesi siano disposti volontariamente ad effettuare degli scambi, entrambi devono ricavarne dei benefici. Se
un paese non guadagnasse nulla o perdesse, chiaramente rifiuterebbe di scambiare. E’ quindi importante capire come
avvengono questi scambi reciprocamente convenienti. Secondo A. Smith gli scambi tra due paesi si basano sul
vantaggio assoluto: se una nazione è più efficiente nella produzione di un bene (ha un vantaggio assoluto), ma meno
in quella di un altro bene, deve specializzarsi dove è più efficiente ed importare l’altro bene. Così facendo ogni nazione
ne trarrà un profitto. Ci si specializza quindi nei settori in cui si è più efficienti.
Ciò giustifica l’esistenza del commercio internazionale, infatti tale sistema consente ad ogni paese di guadagnare; è però
vero che spesso tale sistema non distribuisce i benefici in modo equo, quindi è importante apportare dei correttivi.
Così mentre i mercantilisti credevano che un paese potesse guadagnare soltanto a spese di altri paesi, e sostenevano
uno stretto controllo dell’attività economica e del commercio estero da parte del governo, Adam Smith era convito che
tutti i paesi potessero trarre benefici dal libero scambio e sosteneva fermamente una politica di laissez-faire: Smith non
concepiva i dazi e le restrizioni, ma auspicava un mercato libero dove i livelli di specializzazione sarebbero stati massimi e
conseguentemente anche i benefici.
Alcune eccezioni al laissez-faire riguardavano la protezione delle industrie importanti ai fini della difesa nazionale.
4.
Vantaggi comparati D. Ricardo
Nel 1817 Ricardo pubblicò i suoi “Principi di economia politica e della tassazione” nei quali presentò la legge del
vantaggio comparato la quale postula che anche se una nazione è meno efficiente (soffre uno svantaggio assoluto) di
un’altra nella produzione di entrambi i beni, esiste ancora la possibilità per scambi reciprocamente vantaggiosi. La
nazione più efficiente deve specializzarsi nella produzione del bene in cui il suo vantaggio assoluto è maggiore e deve
importare il bene in cui il vantaggio assoluto è inferiore; la nazione meno efficiente deve specializzarsi nella produzione e
nell’esportazione del bene nel quale il suo svantaggio assoluto è minore (questo è il bene per il quale si ha un vantaggio
comparato) e deve importare il bene nel quale il suo svantaggio assoluto è maggiore (svantaggio comparato).
Unità Grano
(1 ora di lavoro)
Unità Stoffa
(1 ora di lavoro)
USA
Regno Unito
4 (V.A.)
1 (S.A.)
3 (V.A.)
2 (S.A.)
4 > 1 (Vantaggio assoluto
by USA)
3 > 2 (Vantaggio assoluto
by USA)
Come si evince si ha la seguente situazione:
-
gli Usa hanno un vantaggio assoluto nel grano e nella stoffa, ma dato che il vantaggio assoluto è maggiore nel
grano che nella stoffa, gli USA hanno un vantaggio comparato nel grano, mentre per la stoffa vi è uno svantaggio
comparato;
-
il Regno Unito ha uno svantaggio assoluto per entrambi i beni, ma poiché tale svantaggio assoluto è più piccolo per
la produzione di stoffa (3>2), ha un vantaggio comparato nella stoffa e uno svantaggio comparato nel grano.
4.1. I benefici derivanti dal commercio internazionale
Come si osserva dall’esempio precedente, con 1 ora di lavoro gli usa producono 4 G e 3 S, quindi 4G = 3S = 1L. Se gli
Usa riuscissero a vendere 4G per ricevere dal Regno unito 4S, guadagnerebbero 1S ottenendo più di quello che
potrebbero produrre. Per far si che si verifichi tale situazione, anche il Regno unito deve guadagnarci: essi ricevono 4G,
quindi le 4L che dovevano impiegare nella produzione del grano le impiegano nella produzione della stoffa ottenendo
così 8S (per UK 4G = 8S).
Il Regno unito, se riceve 4G, cederà solo 4S, guadagnando le ulteriori 4S. Il beneficio totale è 5S, ossia le 4S guadagnate
dal regno unito e 1S guadagnata dagli USA.
Per far in modo che gli Usa nello scambio ci guadagnino devono scambiare 4G con più di 3S, nel caso del Regno unito le
4 unità di Grano ricevute devono essere scambiate con meno di 8S affinché anche questa nazione possa guadagnare:
pertanto 3S < 4S < 8S; la differenza tra 8S e 3S è il vantaggio totale pari a 5S in cui entrambe le nazioni guadagnano.
4.2. Vantaggio comparato in presenza di moneta
Secondo la legge del vantaggio comparato, benché un paese abbia rispetto all’altro uno svantaggio assoluto nella
produzione di entrambi i beni, sussiste ugualmente una base per scambi reciprocamente convenienti. E’ importante
capire com’è possibile che il Regno unito, pur essendo meno efficiente degli Usa, riesce comunque ad esportare e a
guadagnare dallo scambio.
A tal riguardo si osserva che la nazione meno efficiente in tutto (UK) ha salari più bassi, tali da rendere il prezzo del bene
in cui ha un vantaggio comparato più basso in termini monetari, rispetto alla nazione più efficiente in tutto.
Ad esempio, analizzando solo il fattore lavoro, avremo la seguente situazione:
Salario
USA 6$
UK 2$
Paese
Come si evince, la Stoffa è il bene in cui UK ha un vantaggio
Valore 1 ora di L
Pz. beni
6$ = 4G
PG = 1,50 $
comparato e di conseguenza il prezzo è inferiore.
6$ = 3S
PS = 2,00 $
Attraverso i tassi di cambio e il costo del lavoro, il vantaggio
2$ = 1G
PG = 2,00 $
comparato in termini di produttività si trasforma in vantaggio
2$ = 2S
PS = 1,00 $
di prezzo in termini monetari. Tutto ciò permette di
USA
UK
comprendere come effettivamente una nazione meno
efficiente ha la possibilità di esportare.
LEZIONE 2: LA TEORIA STANDARD DEL COMMERCIO INTERNAZIONALE
1. La frontiera di produzione di due nazioni
Tale rappresentazione mostra l’ipotetica frontiera di produzione del Grano e della Stoffa per Usa e Uk. Entrambe le
frontiere sono concave rispetto all’origine, e ciò riflette il fatto che ogni paese sostiene costi-opportunità crescenti nella
produzione di entrambi i beni.
Come si evince, gli Usa hanno una frontiera più alta rispetto al grano perché la produttività è più alta nel grano; il
contrario accade per UK.
Nella figura sono evidenziati i seguenti punti:
-
A lungo la frontiera della produzione possibile rappresenta la condizione di piena occupazione in cui sono utilizzate
tutte le risorse e le tecnologie;
-
C è un punto d’inefficienza in quanto la nazione non sta utilizzando tutte le risorse o la migliore tecnologia;
-
F è un punto al disopra delle capacità produttive attuali della nazione;
-
B è il punto in cui la nazione decide di produrre maggiori quantitativi di Stoffa a scapito del Grano.
2. Autarchia e prezzi relativi
Come si evince, entrambe le nazioni producono al punto A e A’ che rappresentano quei punti in cui la nazione
massimizza la produzione e la soddisfazione: la produzione è massimizzata in quanto A e A’ si trovano lungo la frontiera
della produzione; la soddisfazione è massimizzata perché tali punti sono tali per cui si ha una tangenza con la curva
d’indifferenza sociale che rappresenta i gusti di una nazione. In regime di autarchia (assenza del commercio
internazionale) la nazione ottimizza la produzione producendo secondo la curva d’indifferenza più alta possibile.
Altro aspetto rilevante è che A e A’ di equilibrio consentono di determinare il prezzo relativo della Stoffa rispetto al
Grano; in tal modo è possibile comprendere il vantaggio comparato.
Come si evince dalla figura, in corrispondenza di A e A’ è possibile tracciare una retta tangente alla frontiera della
produzione, la cui pendenza offre il prezzo della stoffa rispetto a quello del grano.
In tale ottica avremo:
-
nel Regno unito, come si evince dalla retta, 10 G = 20 S → 1G = 2 S → 1S = ½ G, pertanto il prezzo relativo della
Stoffa rispetto al Grano è
-
PS
= 1 / 2;
PG
negli Usa 20 G = 10 S → 2 G = 1 S, pertanto il prezzo relativo della Stoffa rispetto al Grano
Conseguentemente, poiché
poiché
PS
= 1/ 2
PG
PG
P
= 1 / 2 Usa < G = 2
PS
PS
UK <
PS
=2
PG
PS
= 2.
PG
Usa, l’UK ha un vantaggio comparato nella stoffa; viceversa,
UK, gli Usa hanno un vantaggio comparato nel grano.
Se una nazione ha un vantaggio comparato su un bene, l’altra inevitabilmente avrà il suo vantaggio comparato sull’altro
bene.
3. Saggio marginale di trasformazione
Il saggio marginale di trasformazione di Stoffa in termini di Grano indica l’ammontare di Grano cui un paese deve
rinunciare per produrre ciascuna unità addizionale di Stoffa. Esso è rappresentato dall’inclinazione della frontiera di
produzione calcolata nel punto in cui si colloca la produzione.
Come si evince dalla figura, la situazione è differente tra UK e USA:
-
in UK si parte dal punto A (situazione di autarchia) e ci si specializza (punto B). Per ogni unità in più di stoffa
bisognerà sacrificare sempre più grano. Il saggio marginale di trasformazione aumenta perché la frontiera è
concava; ciò accade perché le risorse di una nazione non sono omogenee, infatti se lo fossero la frontiera non
sarebbe concava (sarebbe una retta) e il saggio marginale di sostituzione sarebbe costante. Essendo la frontiera
concava, la pendenza (SMT) aumenta sempre più: ciò significa che costa sempre più sacrificare grano per produrre
un’unità di stoffa in più. L’Inghilterra ha un vantaggio comparato nella stoffa, ma per specializzarsi su di essa andrà
in contro a costi marginali crescenti. Il SMT è crescente perché costa sempre di più in termini di sacrificio di un bene
a vantaggio dell’altro (costo opportunità crescente);
-
in Usa si parte dal punto A’ (autarchia) e ci si specializza (punto B’). Per ogni unità di grano in più bisognerà
sacrificare sempre più stoffa. Gli Usa hanno un vantaggio comparato sul grano, quindi devono specializzarsi su di
esso, ma in tal modo sacrificano più stoffa e sopportano costi marginali crescenti in termini di stoffa.
La specializzazione andrà avanti finché i prezzi relativi delle due nazioni saranno uguali.
4. Modello standard del commercio internazionale
Come osservato, una differenza nei prezzi relativi tra due paesi riflette i rispettivi vantaggi comparati e costituisce la base
di scambi reciprocamente vantaggiosi. Il paese con il minor prezzo relativo per un certo bene, gode di un vantaggio
comparato per quel bene, quindi deve specializzarsi nella sua produzione, ossia deve produrne più di quanto ne desideri
consumare al proprio interno e scambiare parte del proprio prodotto con l’altro paese, in cambio del bene per il quale ha
uno svantaggio comparato. Come già osservato la specializzazione comporta costi-opportunità crescenti, ma procederà
finché i prezzi relativi dei beni nei due paesi si eguaglieranno ad un livello in presenza del quale gli scambi sono in
equilibrio. Attraverso lo scambio internazionale, entrambi i paesi consumeranno alla fine più di quanto avrebbero
consumato in assenza di commercio internazionale.
Tale situazione è illustrata nella figura in cui si verifica la seguente situazione:
-
il Regno Unito in situazione di autarchia è nel punto A; gode inoltre di un vantaggio comparato nella produzione di
stoffa, infatti
PS
= 1 / 2 . Con il commercio internazionale, UK si specializza nella produzione di stoffa e nella sua
PG
esportazione, in cambio di grano prodotto dagli USA. A partire dal punto A, man mano che il paese si specializza
nella produzione di stoffa e si sposta verso il basso della frontiera di produzione, sostiene costi-opportunità crescenti
nella produzione di stoffa (crescente inclinazione della frontiera). Questo processo continua finché i prezzi relativi dei
beni (inclinazione delle frontiere di produzione è la stessa nei due paesi, infatti le rette tangenti a B e B’ sono
parallele) si eguagliano: UK giunge al punto B e la tangente alla frontiera mostra che
PS
= 1 . Giunti al punto B,
PG
UK decide di scambiare i suoi beni con quelli USA, pertanto esporta unità di stoffa pari a BC e riceve stesse unità di
grano pari a CE (triangolo BCE): il paese quindi finisce col consumare al punto E collocato all’esterno della frontiera
di produzione sulla curva d’indifferenza II. Questo è il massimo livello di soddisfazione che il paese può raggiungere
in presenza di scambi internazionali, con prezzo relativo
PS
= 1,
PG
in cui, rispetto al punto A lungo la curva
d’indifferenza I, si guadagna sia in termini di grano che in termini di stoffa;
-
negli USA accade la situazione opposta. Anche qui in situazione di autarchia il paese è nel punto A’, ma gode di un
vantaggio comparato nella produzione di grano, infatti
PS
P
= 2 → G = 1 / 2 . Segue quindi la specializzazione
PG
PS
nel grano e nella sua esportazione in cambio di stoffa UK; il paese si sposta verso l’alto lungo la propria frontiera di
produzione e sperimenta costi-opportunità crescenti nella produzione di grano (decrescente inclinazione della
frontiera, in cui una riduzione del costo-opportunità della stoffa comporta un incremento in quello del grano). Si
giunge al punto B’ in cui i prezzi si eguagliano con quelli UK, quindi gli USA decidono di esportare grano per unità
pari a quelle richieste da UK (BC’) e importano stoffa per unità pari a C’E’: il paese di fatto consuma al punto E’
lungo la curva d’indifferenza II’, quindi guadagna rispetto al punto A sia in termini di grano che in termini di stoffa.
Come si è osservato, con la specializzazione e il commercio internazionale, ogni paese è in grado di consumare al di fuori
della propria frontiera di produzione.
LEZIONE 3: CURVE DI DOMANDA RECIPROCA E RAGIONI DI SCAMBIO
1.
Curva di domanda reciproca di una nazione (UK)
La curva di domanda reciproca di un paese indica qual è la quantità della merce di esportazione che il paese è disposto
ad offrire, per ciascuna delle quantità della merce d’importazione che il paese domanda. Tale curva quindi incorpora sia
elementi di domanda che elementi di offerta, quindi indica la disponibilità di un paese ad importare ed esportare in
corrispondenza di differenti prezzi relativi dei beni. La curva è sempre convessa ma la curvatura sarà rivolta verso l’asse
che misura il bene in cui la nazione ha un vantaggio comparato.
Con riferimento al Regno Unito avremo la seguente situazione, in cui la curva di domanda reciproca è ricavata dalla
frontiera di produzione
UK si trova inizialmente nel punto di autarchia A, con il commercio internazionale ci si sposta al punto B scambiando BC
di stoffa per avere CE di grano; si raggiunge quindi il punto E sulla curva d’indifferenza II e si ricava anche il punto E
della curva di domanda reciproca nel grafico a destra.
In corrispondenza del prezzo
PS
= 0,7 , UK si sposterebbero per quanto riguarda la produzione, dal punto A al punto
PG
F in cui sarebbero disposti a scambiare FG di stoffa per avere GH di grano; si raggiunge il punto H sulla curva
d’indifferenza III e conseguentemente si ricava il punto H nel grafico della curva di domanda reciproca. Unendo l’origine
con i punti E e H si ottiene la curva di domanda reciproca del UK. Essa mostra le importazioni di grano che UK richiede
per esportare varie quantità di stoffa.
Tale curva giace sopra il prezzo di autarchia
PS
= 1/ 2
PG
e presenta una curvatura rivolta verso l’asse x relativa alla
stoffa, che misura le quantità del bene in cui UK gode di un vantaggio comparato e che esporta. Per indurre il paese ad
esportare in misura maggiore, il prezzo relativo PS/PG deve aumentare.
2.
Curva di domanda reciproca dell’altra nazione (USA)
Per quanto concerne la situazione degli USA anche in tal caso la posizione di partenza è il punto A’ di autarchia. Se il
commercio internazionale si svolge in corrispondenza di
PS
=1
PG
il paese si sposta nel punto B’ e dal punto di vista
della produzione scambia B’C’ con C’E’ e raggiunge così il punto E’ sulla curva d’indifferenza II’; si ricava così il punto E’
sul grafico della curva di domanda reciproca degli USA.
In corrispondenza del prezzo
PS
= 1,5
PG
il paese si sposterebbe da A’ ad F’ e dal punto di vista della produzione
sarebbe disposto a scambiare F’G’ di grano con G’H’ di stoffa; in tal caso ci si posiziona sul punto H’ lungo la curva
d’indifferenza III’ e si ottiene il relativo punto H’ sulla curva di domanda reciproca del paese.
Come si evince dalla seguente figura, nel grafico di destra unendo l’origine con i punti E’ e H’ si ottiene la curva di
domanda reciproca degli USA che mostra le quantità importate di stoffa che gli USA richiedono per esportare varie
quantità di grano.
In tal caso la curva di domanda reciproca degli Usa giace al di sotto della linea del prezzo di autarchia
PS
P
= 2 → G = 1/ 2
PG
PS
e presenta una curvatura rivolta verso l’asse y del grano, che misura le quantità del bene in
cui gli USA godono di un vantaggio comparato e che esportano. Per indurre gli USA ad esportare più grano, il prezzo
relativo del grano deve aumentare, quindi il suo reciproco PS/PG deve diminuire.
3.
Ragioni di scambio
L’intersezione tra le curve di domanda reciproca dei due paesi
definisce il prezzo relativo di equilibrio in corrispondenza del
quale si svolgono gli scambi internazionali. Solo a questo prezzo
il commercio tra i due paesi sarà in equilibrio in quanto
PS PG
=
= 1.
PG PS
In presenza di qualsiasi altro prezzo relativo,
le quantità destinate ad importazioni ed esportazioni dei due
beni da parte dei due paesi, non saranno uguali, il che spingerà
il prezzo relativo ad aggiustarsi verso il proprio livello di
equilibrio. In corrispondenza del punto E gli scambi sono in
equilibrio poiché UK offre OC di stoffa e richiede EC di grano e gli
USA offrono OC’ di grano e richiedono E’C’ di stoffa. In presenza
di qualsiasi altro valore di
PS
<1
PG
la quantità di stoffa che UK
sarebbe disposto ad esportare, sarebbe inferiore a quella richiesta dagli USA, quindi il prezzo relativo è spinto verso
l’equilibrio E.
Questo processo continuerà finché offerta e domanda non diventeranno uguali in corrispondenza di E.
Il triangolo OCE indica l’andamento del commercio internazionale, ma rappresenta lo stesso risultato ottenuto nel caso
della determinazione del prezzo di equilibrio con la produzione (cfr. grafico del modello standard).
In tale ottica si può comprendere l’importanza delle ragioni di scambio che sono il rapporto tra il prezzo del bene che
un paese esporta e il prezzo del bene che importa:
scambio per UK sono RS
=
PS
PG
RS =
; per gli USA invece sono RS
PE
PI
=
. Nel caso dei paesi in analisi avremo: le ragioni di
PG
PS
.
Considerando che in realtà non si scambiano solo due beni, le ragioni di scambio di un paese sono date dal rapporto tra
l’indice dei prezzi dei beni esportati e l’indice dei beni importati.
LEZIONE 4: LA TEORIA DI HECKSCHER – OHLIN
1.
Introduzione
Nel 1919 Heckscher scrisse un articolo (Gli effetti del commercio estero sulla distribuzione del reddito) nel quale
presentava le linee generali di quella che sarebbe diventata la teoria moderan del commercio internazionale. Tale articolo
fu ripreso nel 1933 da Ohlin che pubblicò il libro “Commercio interregionale e internazionale”. Tale teoria comprende
aspetti delle basi sul vantaggio comparato di Ricardo e studia l’effetto del commercio sulla remunerazione dei fattori
produttivi e in particolare sui salari.
Essa è presentata sotto forma di due teoremi: il primo che riguarda la struttura degli scambi; il secondo che riguarda
invece gli effetti del commercio internazionale sui prezzi dei fattori.
2.
I Teorema: il teorema di Heckscher – Ohlin
Un paese esporterà il bene la cui produzione richiede l’utilizzo intensivo del fattore che nel paese è relativamente
abbondante e poco costoso, mentre importerà il bene la cui produzione richiede l’impiego intensivo del fattore che nel
paese è relativamente scarso e costoso. In breve, il paese relativamente ricco di lavoro esporterà il bene labour-intensive
e importerà il bene relativamente capital-intensive.
Tale teorema individua nella differenza dell’abbondanza fattoriale relativa o delle dotazioni dei fattori tra paesi, la causa
fondamentale del vantaggio comparato e del commercio internazionale: in sostanza si va alle radici del vantaggio
comparato. In situazione di autarchia, la differenza fra i prezzi relativi dei beni nei due paesi è dunque causata dalla
differenza nelle abbondanze relative dei fattori e nei prezzi relativi dei fattori.
In particolare si giunge ad una struttura di equilibrio generale così come illustrato nella seguente figura:
i gusti e la distribuzione dei diritti di proprietà
Prezzi dei beni
sui fattori (cioè la distribuzione del reddito)
determinano la domanda di beni. La domanda
Prezzi dei fattori
per i beni determina la domanda derivata per
Domanda derivata di fattori
i fattori necessari a produrre i beni stessi. La
domanda
Domanda di beni finali
dei
fattori
produttivi,
insieme
all’offerta di fattori, determina il prezzo dei
fattori in condizioni di concorrenza perfetta.
Tecnologia
Offerta di fattori
Gusti
Distribuzione della proprietà
dei fattori di produzione
Quest’ultimo,
assieme
alla
tecnologia
determina i prezzi dei beni finali. La differenza
tra prezzi relativi dei beni finali tra paesi determina il vantaggio comparato e la struttura degli scambi (ossia quale paese
esporta quale bene).
In particolare si osserva che il prezzo dei beni di consumo dipende da molti fattori, però ciò che determina e differenzia
principalmente le nazioni non sono tanto né la tecnologia (che è facilmente acquisibile e trasferibile), né i gusti dei
consumatori, quanto in realtà l’offerta di fattori che influisce sul prezzo dei fattori e quindi sul prezzo dei beni.
3.
II Teorema: il teorema del pareggiamento dei prezzi dei fattori
Il commercio internazionale conduce all’eguaglianza delle remunerazioni relative e assolute dei fattori omogenei tra
paesi: tende a ridurre o eliminare il divario nella remunerazione dei fattori di produzione omogenei fra le nazioni. Esso
quindi sostituisce la mobilità internazionale dei fattori.
Il commercio internazionale fa si che il salario del lavoro di tipo omogeneo (con lo stesso livello di addestramento,
abilità,…) sia lo stesso per tutti i paesi che partecipano allo scambio.
Si consideri la seguente rappresentazione:
L’India, avendo un prezzo del lavoro basso, ha un vantaggio comparato nel lavoro per cui deve specializzarsi nella
produzione di beni labour-intensive. Per esportare l’India deve produrre di più, quindi in tal modo sale la domanda di
lavoro e conseguentemente anche il prezzo del lavoro salirà. Viceversa, per l’Italia che deve produrre beni capitalintensive, scenderà la domanda di lavoro e anche il suo prezzo.
Parimenti è possibile considerare la seguente situazione relativa al fattore produttivo capitale:
L’India ha uno svantaggio comparato nella produzione di beni capital-intensive, quindi la domanda di capitale si sposta in
basso e scende il suo prezzo. Ciò perché l’India si deve specializzare in beni labour-intensive. Il contrario accade per
l’Italia che gode di un vantaggio comparato nei beni capital-intensive e può incrementare la domanda di capitale;
conseguentemente il tasso d’interesse aumenterà.
4.
Teorema II + ineguaglianza
Myrdal sostenne che le remunerazioni dei fattori omogenei convergono, ma questo non è sufficientemente influente sulle
variazioni del reddito pro-capite. Le divergenze nei fattori omogenei non provocano necessariamente divergenze sul
reddito pro-capite. E’ un’applicazione del teorema II secondo cui le divergenze nel tempo diminuiscono.
Consideriamo il seguente esempio in cui si esprime il salario orario del settore manifatturiero nei maggiori paesi
industrializzati come percentuale del salario degli USA:
La teoria di Myrdal è sbagliata perché ciò che si uniforma non è il reddito pro-
Paese
1959
1983
1999
Giappone
11
51
96
capite, bensì i salari.
Italia
23
62
87
Si può notare come la Germania, avendo costi del lavoro molto alti, il teorema II
Francia
27
62
93
funziona.
UK
29
53
88
Germania
29
84
149
Canada
42
75
88
Media
27
65
100
USA
100
100
100
5.
Teorema II + protezionismo
Come osservato nel teorema II, il commercio internazionale tende ad eguagliare sia i salari che il costo del capitale in
entrambi i paesi. E’ però importante comprendere come il commercio internazionale influenza i salari reali e il reddito
reale del lavoro in rapporto al tasso di interesse reale e al reddito reale dei proprietari di capitale all’interno di ogni
paese.
Come già osservato, il commercio internazionale accresce il prezzo del fattore che nel paese è relativamente abbondante
e meno costoso e riduce il prezzo del fattore scarso e costoso: nel caso dell’India il prezzo del lavoro sale e quello del
capitale scende; viceversa per l’Italia il costo del capitale sale, mentre quello del lavoro scende.
In virtù di tali variazioni nei prezzi di entrambi i fattori produttivi, varieranno anche il reddito reale del lavoro e il reddito
reale del capitale: il commercio internazionale comporta in India l’aumento del reddito reale del lavoro e la caduta del
reddito reale dei capitalisti; in Italia però diminuiscono i redditi reali da lavoro e aumentano i redditi dei possessori di
capitale.
Dato che nei paesi sviluppati il capitale è relativamente abbondante, il commercio internazionale tende a ridurre il reddito
reale del lavoro e ad accrescere il reddito reale dei possessori di capitale. Per tale ragione i sindacati nei paesi sviluppati
sono propensi ad adottare restrizioni agli scambi internazionali. Bisogna osservare che nei paesi meno sviluppati il lavoro
è relativamente abbondante e il commercio estero accrescerà il reddito reale del lavoro riducendo il reddito da capitale.
Ci si chiede se i governi dei paesi sviluppati debbano adottare misure protezionistiche per tutelare i redditi da lavoro. In
realtà sarebbe errato adottare restrizioni al commercio internazionale perché le perdite arrecate dal commercio estero ai
lavoratori sono inferiori al beneficio ottenuto dai possessori di capitale. Mediante un’appropriata politica redistributiva
basata sulla tassazione dei possessori di capitali e sui sussidi ai lavoratori, entrambe le grandi classi di fattori di
produzione possono trarre beneficio dal commercio internazionale. La politica di redistribuzione può assumere la forma di
riaddestramento dei lavoratori, ma anche quella di sgravi fiscali e fornitura di alcuni servizi sociali.
6.
Teorema II + migrazioni
Le migrazioni sono un’alternativa al commercio internazionale, infatti è possibile importare il fattore lavoro per la
produzione di beni anziché importare direttamente i beni.
Si consideri la seguente situazione relativa ad India e Italia in cui opera solamente il commercio internazionale:
:
In India il salario è basso, quindi gli indiani abbandonano l’India e vengono in Italia per cercare lavoro. L’offerta di lavoro
in India si sposta quindi verso sinistra e determina un aumento dei salari. In Italia avviene il contrario in quanto
l’aumento dell’offerta di lavoro determina una riduzione dei salari.
Commercio e migrazioni hanno quindi lo stesso effetto sui salari. La differenza è rappresentata dal fatto che mentre il
commercio sposta la domanda di lavoro, le migrazioni influiscono sull’offerta.
Un paese povero può quindi essere aiutato incentivando le sue esportazioni: più il divario salariale è eliminato con il
commercio, meno ci sarà necessità di migrazione da parte delle popolazioni dei paesi poveri.
LEZIONE 5: TEORIE COMPLEMENTARI
1.
Commercio basato su economie di scala
Le economie di scala si verificano quando la produzione aumenta
più che proporzionalmente rispetto all’aumento degli input
(fattori di produzione). La produzione può più che raddoppiare
con l’utilizzo delle stesse risorse.
In tal caso i costi sono decrescenti. In particolare la frontiera di
produzione è in cenere concava in quanto una nazione che
produce di più va in contro a costi marginali crescenti
(diseconomie di scala); in tale modello delle economie di scala,
come si evince la frontiera di produzione è invece convessa
perché si hanno costi decrescenti.
Questo modello è complementare a quello di H-O (che
presuppone
prezzi
relativi
diversi),
in
quanto
vi
è
una
complementarietà sia nei gusti che nella produzione delle
nazioni, quindi conviene la produzione e lo scambio tra diverse
nazioni.
Nella figura a destra si considerano quindi due nazioni
identiche (stesso grafico, stessa frontiera di produzione e
stessa curva d’indifferenza sociale). Sembrerebbe che nessuna
di queste nazioni ha un vantaggio comparato dato che i prezzi
relativi sono gli stessi. Non ci sarebbero quindi i presupposti
del commercio secondo la teoria di H-O.
In realtà più una nazione produce, più va in contro ad
economie di scala. Se la nazione A si specializza nel prodotto X
e B si specializza e produce Y, si crea una nuova frontiera di
produzione che consente di toccare una curva d’indifferenza
più alta e si ha una specializzazione completa. Anche se non
c’è vantaggio comparato, quindi, ci può essere commercio
purché vi siano economie di scala.
2.
Commercio intra-industriale
Nelle ipotesi considerate, il commercio tra stati sussiste considerando prodotti diversi: si parla di commercio
interindustriale (tra due settori differenti); a livello mondiale il commercio interindustriale incide per meno della metà.
L’altra metà si basa su un commercio di tipo intra-industriale, ovvero basato su stessi settori merceologici (questo non è
contemplato nella teoria di H-O). Se quindi prima si era ipotizzata una diversità fra i paesi che praticavano gli scambi,
nella realtà metà del commercio avviene tra paesi simili tra loro (ad esempio i paesi europei sono simili tra loro perché
sono prevalentemente economie di trasformazione). I paesi non si stanno più specializzando nella produzione di un bene
piuttosto che un altro, bensì in processi e fasi di lavorazione. Ci si sposta quindi con la specializzazione in fasi o in
componenti di prodotti appartenenti comunque allo stesso settore merceologico.
In realtà in questo caso non sono i paesi che commerciano tra di loro, bensì le imprese. L’impresa di una nazione si
specializza in una determinata fase della produzione perché trova le condizioni economiche per il relativo sviluppo.
Attraverso le economie di scala un’impresa può diventare più competitiva. Quando un’impresa raddoppia l’input avremo
la seguente situazione rappresentata sulla frontiera della produzione con economie di scala:
Dal punto A di generale equilibrio tra i paesi, se uno aumenta la
produzione diventa più competitivo e il prezzo diminuisce (Px). Il
paese aumenta la produzione fino al punto N dove la produzione
di specializzazione è completa.
Il paese 1 quindi aumenta la produzione di X e diminuisce quella
di Y; viceversa nel paese 2 si ha una specializzazione opposta
fino al punto M. I due punti N e M rappresentano punti di
specializzazione completa e di maggiore benessere e in questo
modo i due paesi non finiranno mai di specializzarsi al fine di
ottenere i benefici delle economie di scala, sfruttando un
commercio intra-industriale.
Il benessere di un paese si misura con la quantità di beni a
disposizione.
Attraverso
le
economie
di
scala,
dunque,
aumentando la quantità di input si ottiene una quantità di output
sempre maggiore a costi decrescenti. Per comprendere quanto un paese rappresenti nel commercio intra-industriale,
nello stesso settore merceologico, il livello degli scambi intra-industriali può essere misurato mediante l’indice di
commercio intra-industriale:
T = 1−
X−M
X+M
dove X rappresenta il valore delle esportazioni e M il valore delle importazioni di una particolare
industria o gruppo di beni. Il valore di T varia da 0 a 1, quindi se T=0 vuol dire che i beni del paese in questione sono
solamente esportati o importati (assenza di commercio intra-industriale); se T=1 le esportazioni e le importazioni di un
bene sono uguali, cioè il commercio intra-industriale è massimo.
Tanto maggiore è il commercio intra-industriale, tanto minori saranno le ripercussioni negative del commercio tra paesi
diversi. Rispetto alle teorie precedenti, in cui si parlava di una concorrenza perfetta tra i paesi, di imprese come price
taker, di trasparenza di mercato e di perfetta mobilità, nel commercio intra-industriale le aziende sfruttando le economie
di scala possono influenzare il mercato o meglio possono determinare il prezzo del bene sul mercato, diventando da price
taker a price maker (si crea un piccolo potere monopolistico all’interno di una piccola nicchia di mercato). A tal riguardo
è importante osservare la presenza di due tipologie di economie di scala:
-
economie di scala interne che rimangono all’interno di un’azienda e riguardano una migliore allocazione delle risorse
produttive, tale da migliorare l’efficienza con un conseguente incremento della produzione;
-
economie di scala esterne in cui si osserva la seguente situazione: la maggiore competitività delle aziende deriva
dalla concentrazione di imprese che operano nello stesso settore e che caratterizzano il tessuto economico di
un’area geografica (es. distretto del salotto). Si osserva quindi che le curve dei costi medi tendono a diminuire
grazie alle sinergie presenti all’interno del distretto.
In base a quanto osservato è importante enunciare la teoria dell’import substitution (teoria della sostituzione
dell’importazione), in base alla quale, anziché applicare le teorie per cui si esporta il prodotto in cui si ha un vantaggio
comparato e importare il prodotto in cui si ha uno svantaggio comparato, si decide di non importare tecnologia, ma di
svilupparla all’interno della nazione impiantando industrie con tecnologie più elevate, al fine di sfruttare un costo del
lavoro inferiore. Ciò accade spesso nei paesi sottosviluppati che, per proteggere le loro produzioni, erigono barriere
all’importazione; anche le esportazioni però diminuiranno perché il paese da cui si importava non sarà più disposto a
cedere tecnologia al paese che si è chiuso. In tal modo si registreranno forti squilibri nella bilancia dei pagamenti e la
mancata specializzazione comporterà anche una qualità inferiore dei prodotti. Si dimostra quindi che la teoria della
sostituzione delle importazioni non funziona, quindi per tali paesi sono migliori le teorie ricardiane in base alle quali
questi paesi devono produrre quei beni in cui godono un vantaggio comparato.
Come si evince dalla seguente rappresentazione,
chiaramente il
costo medio di produzione tende a scendere con le economie di
scala. Teoricamente la funzione dei costi medi di produzione di un
PVS dovrebbe essere più bassa poiché questo paese, a parità di
condizioni dovrebbe produrre a costi inferiori.
Anche i PVS possono sfruttare le economie di scala riducendo
ulteriormente i costi. Ci si chiede quindi se un PVS può scalzare un
paese industrializzato. Come si evince dal grafico, ciò non è
possibile perché fino alla quantità Q1 il PVS produrrebbe in perdita.
Per realizzare rendimenti crescenti dovrebbe ottenere sostegni tali
da poter produrre in Q1 e solo dopo questa soglia riuscirà a
diventare competitivo. Quindi è possibile che il PVS scalzi il paese
industrializzato, ma è alquanto improbabile.
Tutto ciò è giustificato dal fatto che il PVS nel momento storico considerato non ha ancora le industrie. In questo caso il
paese industrializzato potrebbe fornire al mercato quantità pari a Q0 ad un costo medio pari a P0. Parimenti il PVS
potrebbe però offrire maggiori quantità (Q*) ad un prezzo inferiore (P1). Tuttavia, con il paese industrializzato che è già
presente sul mercato, il PVS non può entrare sul mercato perché sosterrebbe un costo pari ad A per poter iniziare a
produrre il bene. Dato che A supera il prezzo P0 al quale il paese industrializzato vende sul mercato mondiale, il PVS non
produrrà il bene, altrimenti se lo producesse andrebbe in perdita.
Pertanto, in presenza di economie esterne la struttura degli scambi non può essere determinata sulla base dei costi
unitari effettivi o potenziali.
POLITICHE COMMERCIALI
LEZIONE 6: LE RESTRIZIONI AL COMMERCIO
1.
Commercio libero e protezionismo
Il commercio libero è il miglior sistema perché ogni nazione può specializzarsi nella produzione dei beni in cui è più
efficiente e sfruttando il proprio vantaggio si raggiunge una massimizzazione del prodotto mondiale. Tutto ciò è valido in
teoria, ma nella realtà tutti gli stati farebbero e fanno protezionismo che in realtà comporta un beneficio elevato a pochi
pur provocando un danno piccolo a molti. Il protezionismo ha delle conseguenze in quanto accresce il prezzo pagato dai
consumatori riducendo il loro tenore di vita (reddito reale). Inoltre fa un danno gravissimo perché protegge spesso
settori che costituiscono gli input per altri settori; siccome tali input sono inefficienti si danneggiano anche altre imprese
e settori che quindi competono in maniera poco efficiente.
Ci sono diversi modi per fare protezionismo: il dazio (restrizioni di prezzo), la quota (restrizioni di quantità), nuove forme
di protezionismo rappresentate dalle restrizioni volontarie alle esportazioni (una nazione dice ad un’altra di esportare di
meno in via amichevole), dalle norme anti-dumping e dalle restrizioni su salute e sicurezza.
2.
Effetto dazi
Si consideri il seguente esempio relativo alla stoffa. Con la
domanda di stoffa (Ds) e l’offerta di stoffa (Os) il prezzo di
equilibrio è Pe e la quantità di equilibrio è Qe senza importazioni.
Si ipotizza che il paese in questione sia piccolo, quindi con
un’economia
piccola,
per
cui
l’offerta
mondiale
(OM)
è
orizzontale perché il paese, essendo piccolo, non riesce ad
incidere sul prezzo pur variando la sua domanda del bene.
Se la nazione non fa protezionismo il prezzo della nazione è pari
al prezzo mondiale (Pm). A questo prezzo la quantità di
domanda di stoffa è pari ad AC, di cui AB è prodotto nella
nazione e BC è importato. Il fatto che il prezzo mondiale è più
basso rispetto a quello della nazione, vuol dire che la nazione ha
uno svantaggio comparato nel settore della stoffa, per cui
dovrebbe produrre meno quantità del bene, rispetto a quanto ne
produce (AB anziché AT).
Con il dazio (d) la quantità di stoffa domandata è FH (anziché AC, perché il prezzo è più alto) di cui FG è prodotta nella
nazione e GH è importata. Il prezzo è aumentato; la domanda di stoffa è diminuita; nella nazione si produce di più: tutto
ciò va a vantaggio dei produttori, ma a discapito dei consumatori.
Come si evince il dazio comporta i seguenti effetti:
-
effetto consumo, ossia la quantità domandata (QD) si riduce da AC a FH con una conseguente riduzione di – CK;
-
effetto produzione, ossia la quantità offerta (QO) aumenta da AB a FG con un conseguente aumento pari a + BJ;
-
effetto commercio internazionale (importazioni), ossia le importazioni si sono ridotte di
-(BJ+CK), infatti
prima dei dazi erano pari a BC, mentre dopo sono GH (BC-GH = BJ+CK);
-
effetto entrate fiscali, ossia il governo guadagna dai dazi imposti entrate fiscali pari all’area di JGHK (JG rappresenta
l’entità del dazio, GH rappresenta le importazioni).
L’effetto netto è negativo in quanto bisogna comparare il danno ai consumatori con il beneficio per produttori e stato: si
dimostra che in realtà il consumatore perde più di quanto guadagnano i produttori e lo stato. Ciò è dimostrato dal
seguente confronto tra il surplus del consumatore e il surplus del produttore.
Come si evince dalle figure avremo:
-
il surplus del consumatore è la differenza fra ciò che il consumatore paga effettivamente e ciò sarebbe disposto a
pagare; il consumatore infatti paga Q1, Q2, Q3, Q4 al prezzo di P4 anziché pagare prezzi più elevati per le prime
unità del bene. Come si evince dalla rappresentazione, in assenza di dazi, ossia al livello di prezzi Pm, il consumatore
ha un certo surplus; quando il prezzo sale per effetto del dazio (livello di prezzo pari a Pm + d) il surplus del
consumatore si contrae.
-
il surplus del produttore è pari alla differenza tra quello che riceve e quello che sarebbe disposto a ricevere; il
produttore infatti vende Q1, Q2, Q3, Q4 al prezzo di P4 anziché a prezzi inferiori. Come si evince dalla
rappresentazione, in assenza di dazi, ossia al livello di prezzi Pm, il produttore ha un certo surplus; quando il prezzo
sale per effetto del dazio (livello di prezzo pari a Pm + d) il surplus del produttore aumenta
Osservando tali aspetti nel grafico precedente relativo all’esempio della stoffa, si evince che quando la nazione impone
un dazio, il surplus del consumatore diminuisce di – FHCA, il surplus del produttore aumenta invece di + FGBA; il
governo guadagna + JKHG. Rimangono i due triangoli in rosso BGJ e HCK che rappresentano il costo sociale del dazio,
ovvero la differenza tra ciò che produttori e stato guadagnano e ciò che i consumatori perdono: BGJ è l’inefficienza
nell’utilizzo degli input che la nazione spreca nel produrre un bene in cui non è efficiente; HCK rappresenta una
distorsione dei prezzi e dei consumi perché si consuma di meno per un bene che si potrebbe pagare meno.
3.
Effetto quote
La quota è la forma più importante di barriera commerciale non tariffaria. E’ una restrizione quantitativa diretta
sull’ammontare di una merce che è consentito importare o esportare.
Le quote sulle importazioni possono essere usate a fini protezionistici dell’economia nazionale. In tal caso, riferendoci al
grafico precedente del dazio, si suppone che la nazione, invece di imporre il dazio fissi una quantità massima di
importazioni pari a GH.
Gli effetti delle quote sono molto simili a quelli prodotti dall’introduzione di un dazio: per quanto riguarda i prezzi l’effetto
sarà pari all’entità del dazio d, infatti con la quota il prezzo sale a Pm + d. Tutti gli effetti sono identici al dazio eccetto
uno: nel caso delle quote chi riceve il permesso d’importazione ottiene conseguentemente l’equivalente del beneficio
fiscale che dava il dazio; infatti chi riceve il permesso per importare pagherà il bene al prezzo mondiale (Pm) ma lo
rivenderà a Pm + d. Ciò accade se il governo non mette all’asta le licenze e quindi le imprese godranno di profitti di
monopolio. Per evitare tale situazione lo Stato deve vendere all’asta tali licenze per evitare il rischio di corruzione nel
decidere come distribuire tali permessi: in tal modo il beneficio che avrebbero tratto gli importatori è riacquistato dal
governo a patto che con l’asta il prezzo pagato equivalga al dazio.
Se analizziamo la distinzione tra dazio e quote dal punto di vista dell’esportatore, si osserva la seguente situazione: se
l’esportatore grazie ad una maggiore efficienza raggiunta (maggiore produttività), fosse disposto ad esportare ad un
prezzo inferiore a Pm, in presenza del dazio, questi potrebbe comunque esportare di più, viceversa con la quota questo
non accade perché come visto, le quote limitano proprio le quantità e quindi la maggiore produttività dell’esportatore
rimane bloccata.
4.
Effetto restrizioni volontarie alle esportazioni
Le restrizioni volontarie alle esportazioni si riferiscono al caso in cui un paese importatore induce, sotto la minaccia di
maggiori restrizioni globali al commercio, un altro paese a ridurre “volontariamente” le sue esportazioni di un bene
quando tali esportazioni costituiscono un pericolo per un’intera industria nazionale.
Se il paese che subisce la restrizione decide di ridurre la produzione fino ad un certo limite, non ci perde perché investe il
guadagno derivante dalla produzione in settori in cui non produceva con elevate possibilità di differenziazione.
LEZIONE 7: ALTRE RESTRIZIONI AL COMMERCIO E NEGOZIAZIONI MULTILATERALI
1.
Dumping
Il dumping consiste nell’esportazione di un bene sotto costo o alla vendita di un bene all’estero ad un prezzo inferiore
rispetto a quello praticato all’interno del paese. Vi sono tre tipologie di dumping:
-
dumping sporadico che consiste nella vendita occasionale di un bene sottocosto o ad un prezzo inferiore all’estero
rispetto a quello praticato sul mercato interno, al fine di liberarsi di un’imprevista e temporanea eccedenza del bene
prodotto, senza dover ridurre i prezzi nazionale.
-
dumping predatorio che consiste nella vendita temporanea di un bene sottocosto o a un prezzo più basso all’estero
rispetto a quello praticato sul mercato interno, al fine di spingere i produttori esteri fuori mercato, successivamente i
prezzi vengono di nuovo aumentati, traendo vantaggio dal potere di monopolio conquistato all’estero (questa è una
pratica illegale, pena sanzioni pecuniarie e obbligo di rialzare il prezzo).
-
dumping persistente o discriminazione internazionale dei prezzi è la continua tendenza da parte di un monopolista
nazionale a massimizzare i profitti totali vendendo il bene a un prezzo più elevato sul mercato interno rispetto a
quello applicato sul mercato internazionale su cui fronteggia la concorrenza di produttori internazionali.
A tal riguardo si consideri il seguente esempio:
Nella figura la somma orizzontale tra la curva del ricavo marginale nazionale (RMN) e quella del ricavo marginale estero
(RME), fornisce come risultato ∑RM per l’impresa. Il punto E dove la curva dei costi marginali (CMg) interseca ∑RM,
indica che il monopolista nazionale dovrebbe vendere una quantità totale pari a 300X al fine di massimizzare i suoi
profitti totali. La distribuzione nelle vendite di questi 300X tra il mercato interno e quello internazionale è dato dal punto
in cui la linea orizzontale che parte dal punto E, interseca rispettivamente le curve dei ricavi marginali nazionali e esteri.
Quindi il monopolista nazionale dovrebbe vendere 200X sul mercato estero al prezzo di 3 e 100X sul mercato interno al
prezzo 4. Px è più elevato sul mercato interno rispetto al mercato estero. Il principio generale per massimizzare i profitti
totali è quello di eguagliare RMN a RME. Il prezzo estero è minore del prezzo interno perché la domanda estera è più
elastica di quella interna.
Esempio
In virtù delle differenze presenti tra elasticità nazionale e estera, si vuol determinare a quale prezzo il monopolista
dovrebbe vendere i suoi prodotti sul mercato estero (PE) per massimizzare i profitti totali, supponendo di conoscere il
prezzo nazionale; avremo ad esempio la seguente situazione:
-
elasticità nazionale (
-
elasticità estera (
-
Prezzo nazionale (PN) = 12 €
-
PE = ?
Sapendo che
E)
N)
= -2
= -3
1
RMg = P(1 + ) e che per massimizzare i profitti l’azienda deve eguagliare i RMg della nazione ai RMg
η
esteri, allora avremo:
RMg N = RMg E ⇔ PN (1 +
2.
1
1
1
1
) = PE (1 +
) ⇔ 12(1 +
) = PE (1 +
) ⇔ PE = 9€
ηN
ηE
−2
−3
Altre barriere commerciali
Tra le varie forme di protezionismo ve ne è anche una caratterizzata dalla seguente situazione: ci sono nazioni che,
avendo un potere di mercato più alto rispetto agli stranieri, possono approfittarne praticando un prezzo più alto, come se
imponessero un dazio. Chiaramente, siccome il prezzo di esportazione aumenta, la nazione esporterà di meno, ciò
nonostante questa diminuzione non compromette i guadagni dell’esportatore: questo tipo di politica può portare a delle
ritorsioni da parte dei paesi che otterranno un guadagno inferiore.
Altre forme di protezionismo vengono attuate per tutelare la salute, l’igiene, ed altre esigenze del paese. Ad esempio
l’Europa rifiuta di importare carne degli USA perché gli animali vengono allevati con ormoni; per tale ragione impone
dazi. Tali politiche sono di tipo protezionistico perché incrementano i costi per chi esporta. Spesso quindi diventa difficile
distinguere quando si tratta effettivamente di protezionismo o meno.
3.
Politiche strategiche industriali e commerciali
La politica commerciale strategica è una politica attivista e diretta al protezionismo. Un paese può crearsi un vantaggio
comparato (attraverso il temporaneo protezionismo commerciale, sussidi, sgravi fiscali e programmi di cooperazione
governo-industria) in alcuni settori ritenuti cruciali per lo sviluppo futuro del paese.
Per poter comprendere meglio tale politica è possibile impiegare la teoria dei giochi ricorrendo ad un esempio:
supponiamo che la Boeing e la Airbus debbano decidere se produrre o meno un nuovo aereo; si ipotizza inoltre che a
causa dell’elevato costo richiesto per sviluppare il nuovo velivolo, per conseguire un profitto (100 milioni di $) un singolo
produttore dovrebbe assicurarsi l’intero mercato mondiale. Se entrambi i produttori sviluppano il velivolo, perdono
entrambi 10 mln $ come si evince dalla seguente tabella:
AIRBUS
BOEING
Si supponga che la Boeing entri per prima nel mercato e
Produce
Non produce
consegua un profitto pari a 100, pertanto la Airbus è tagliata fuori
Produce
- 10; -10
100; 0
dal mercato. Si supponga, quindi che i governi europei
Non produce
0; 100
0; 0
garantiscano un sussidio pari a 15 mln $ annui alla Airbus; a tal
punto la Airbus produrrebbe l’aereo anche se la Boeing lo stesse
già producendo, infatti la perdita di 10 si trasformerebbe in un utile di 5 (15 – 10). Tuttavia, se non ha alcun sussidio, la
Boeing in tale ottica, passerebbe da un profitto di 100 ad una perdita di 10 mln $. A causa della perdita non sussidiata,
la Boeing smetterà di produrre il velivolo lasciando infine l’intero mercato alla Airbus che realizzerà un profitto pari a 100
mln $ senza bisogno di ulteriori sovvenzioni.
Questo tipo di analisi è stata ritenuta carente perché è molto difficile prevedere in maniera accurata i risultati delle
politiche industriali e commerciali del governo. Infatti persino una piccola variazione nei dai potrebbe far cambiare
completamente gli scenari. In particolare, nell’esempio proposto, se si suppone che entrambe le compagnie producono,
ma invece di perdere entrambe 10 mln $, la Boeing consegue un profitto pari a 10 mln $ (è più efficiente) e la Airbus
perde 10 mln $, a questo punto la Airbus avrebbe sempre bisogno del sussidio, ma ciò non è considerato efficiente dal
punto di vista della politica economica dei governi.
4.
Tariffa ottimale
Dall’esempio precedente è possibile comprendere come il sistema economico/commerciale migliore è quello
caratterizzato dal libero scambio, in quanto ciascuna nazione si specializza nella produzione di un bene in cui gode di un
vantaggio comparato, quindi utilizza i fattori in cui è più efficiente: la produzione mondiale non può che migliorare in
virtù di tale specializzazione.
Una nazione potrebbe sfruttare il proprio vantaggio a scapito di ogni altra nazione imponendo un prezzo che massimizzi i
ricavi: il prezzo è aumentato tramite un dazio ottimale, tenendo conto dell’inelasticità della domanda. Chiaramente, però
c’è il rischio di ritorsione da parte delle altre nazioni.
LEZIONE 8: INTEGRAZIONE ECONOMICA (Unioni doganali e imprese multinazionali)
1.
Tipi di integrazione
La teoria riguardante l’integrazione economica si riferisce alla politica commerciale volta a ridurre o ad eliminare in
maniera discriminatoria le barriere commerciali, esclusivamente tra i paesi che aderiscono ad un trattato. L’integrazione
rappresenta una forma di protezionismo parziale, ovvero nei confronti delle nazioni che non fanno parte dell’unione. Ci
sono diversi tipi di integrazione economica:
-
Accordi di commercio preferenziale che assicurano minori barriere commerciali tra i paesi partecipanti. Questa è la
forma più generica di integrazione economica;
-
Area di libero scambio che è un modello di integrazione economica dove ogni forma di barriera commerciale tra i
paesi membri viene abolita, ma ogni paese mantiene le sue barriere nei confronti dei paesi non membri;
-
Unione doganale che è un’area di libero scambio in cui vi è assenza di dazi e di altre barriere tra i membri; in più
armonizza le politiche commerciali nei confronti del resto del mondo (es. Comunità Europea nel 1957);
-
Mercato comune che va oltre l’unione doganale in quanto permette il libero movimento di lavoro e capitale tra gli
stati membri (Unione Europea agli inizi del 1993);
-
Unione economica che prevede l’armonizzazione e l’unificazione delle politiche monetarie e fiscali degli stati membri;
questo è lo stadio più evoluto dell’integrazione economica;
-
Zone franche che sono aree istituite con lo scopo di attrarre investimenti esteri attraverso l’esenzione da dazi su
materie prime e beni intermedi.
2.
UE, NAFTA, MERCOSUR
L’UE è stata costituita nel 1957 originariamente da Germania occidentale, Olanda, Francia, Italia, Belgio e Lussemburgo.
In seguito si è evoluta fino ai giorni d’oggi con 25 stati; essa è oggi un’unione economica-monetaria.
Il NAFTA (North American Free Trade Agreement) è l’accordo nord americano per il libero scambio formato nel 1993 tra
USA, Messico e Canada. Non è né unione doganale, né mercato comune.
Il MERCOSUR è un accordo di libero scambio realizzato nel 1991 da Argentina, Brasile, Paraguay e Uruguay; Cile e
Bolivia sono divenuti membri nel 1996.
3.
Unione doganale che crea commercio o provoca diversione del commercio
Fino al 1950 si chiedeva agli economisti cosa potesse accadere se si fosse realizzata una restrizione parziale nell’ambito
di un’area di commercio libero; si intendeva comprendere se la restrizione avesse comportato un beneficio o meno alle
nazioni partecipanti all’unione. Si osserva che se c’è diversione di commercio la restrizione danneggia sia i membri che i
non membri all’unione; viceversa se c’è integrazione economica questo comporta un beneficio.
Si ipotizza la seguente situazione in cui l’Italia, la Francia e la Germania producono uno stesso bene X e poi quello Y. Ad
esempio si analizza il comportamento dell’Italia che potrebbe imporre un dazio del 100% oppure del 50% sulle nazioni
non aderenti all’unione. Avremo la seguente situazione:
Px/Py
Px/Py
Px/Py
Commercio Libero
con Dazio del 100%
con Dazio del 50%
ITALIA
10
10
FRANCIA
8
16
GERMANIA
6
12
non c’è
unione
10
12
9
non c’è
unione
-
Innanzitutto, supponendo che l’Italia impone un dazio del 100%, i valori sarebbero 10, 16 e 12. Se l’Italia forma
un’unione con la Francia, anche in presenza del dazio del 100% questo non grava sulla Francia, quindi i valori
sarebbero 10, 8 e 12: l’unione doganale ha quindi creato commercio nel senso che mentre prima l’Italia produceva
per sé, ora importa il bene X dalla Francia pagando un prezzo più basso; questo provoca però una riduzione dei
posti di lavoro in Italia nella produzione di X, ma consente l’impiego di lavoratori nella produzione di Y dove l’Italia
gode di un vantaggio comparato in quanto
Py
Py 1
Px
1 Px
e
= 10 →
=
=8→
= .
Py
Px 10 Py
Px 8
Quindi la Francia
importa Y dall’Italia e l’Italia importa X dalla Francia. In questo caso l’Italia e la Francia ci guadagnano entrambe
perché si specializzano nella produzione di due beni in cui godono di un vantaggio comparato e risparmiano in
termini di prezzo per l’altro bene. In virtù di questa specializzazione di Francia ed Italia, anche la Germania a lungo
termine ci guadagnerà, pur mantenendo una propria autonomia: la Germania pagherà prezzi inferiori nell’acquisto
dei beni in cui le altre due nazioni si sono specializzate. La specializzazione comunque è a scapito dell’autonomia
perché crea una necessaria interdipendenza tra gli stati (es. Francia ed Italia).
Un’unione doganale creatrice di commercio quindi accresce anche i benefici per i paesi non membri, poiché
parte del maggiore reddito reale dell’unione (dovuto alla più elevata specializzazione) si traduce in maggiori
importazioni dal resto del mondo;
-
Altra supposizione, è relativa alla presenza di un dazio del 50% con il quale i valori sarebbero 10, 12 e 9, quindi il
prezzo della Germania è più conveniente per l’Italia che anche in presenza di dazio acquisterebbe dalla Germania.
Se ci fosse un’unione tra Italia e Francia i valori con il dazio del 50% sarebbero 10, 8 e 9 e l’Italia importerebbe
quindi dalla Francia al prezzo di 8 (diversione del commercio). Ciò provoca però una perdita per le tre nazioni, infatti
l’Italia se avesse acquistato dalla Germania al prezzo di 6, con il dazio al 50% avrebbe guadagnato 3; ora invece
importa dalla Francia pagando 8 e non intascando nessun dazio: si registra quindi una perdita complessiva di 5
perché si rinuncia al potenziale guadagno di 3 e si paga 8 quando in Germania costava 6. Pertanto l’Italia paga un
prezzo più alto e ci perde; la Francia non si specializza; la Germania pur essendo specializzata rimane senza
commercio.
La distorsione dei flussi commerciali avviene quando importazioni a costi inferiori provenienti da paesi esterni
all’unione, sono sostituite da importazioni a costi superiori provenienti da paesi che fanno parte dell’unione; essa
riduce il benessere perché sposta la produzione da produttori più efficienti (esterni all’unione) a produttori meno
efficienti, ma appartenenti all’unione, quindi peggiora l’allocazione internazionale delle risorse e sposta la produzione
in una direzione contraria rispetto alla teoria dei vantaggi comparati.
4.
Effetto del mercato UE
All’inizio del 1993 tutte le rimanenti restrizioni al libero flusso di beni, servizi, capitali e forza lavoro tra i paesi membri
sono stati eliminati, in maniera tale che l’Unione Europea è diventata un mercato unico. Si suppone che nel tempo
questo arrechi sostanziali guadagni in termini di efficienza e altri benefici per i membri della UE. La tabella, infatti mostra
le attese dell’UE in termini di aumento del PIL nel 1988:
Percentuale del PIL dell’UE nel 1988
Guadagni da:
Rimozione barriere non tariffarie
0,20
Rimozione barriere alla produzione
2,20
Economie di scala
1,65
Maggiore concorrenza
1,25
Guadagni totali
5,30
LEZIONE 9: SISTEMA COMMERCIALE MONDIALE
1.
Sistema commerciale internazionale
Il sistema commerciale mondiale è stato creato durante il secondo conflitto mondiale, precisamente nel 1947; esso è
costituito da tre istituti:
-
il GATT o General Agreement on Tariffs and Trade regola il sistema del commercio internazionale; esso è l’accordo
generale su commercio e dazi, creato con l’obiettivo di ridurre qualsiasi tipo di restrizione ed evitare che le
popolazioni avessero subito gli effetti della discriminazione; esso promuoveva quindi il libero scambio attraverso
negoziati commerciali multilaterali.
Si fonda su tre principi fondamentali: la non discriminazione (si accetta il principio della nazione più favorita che
estende a tutti i partner commerciali qualsiasi reciproca riduzione tariffaria negoziata dagli USA con uno di essi;
eccezioni a tale principio si riferiscono alle unioni doganali e al commercio tra un paese e i suoi precedenti
possedimenti), l’eliminazione delle barriere commerciali non tariffarie (come le quote, fatta eccezione per i prodotti
agricoli e per i paesi con problemi nella bilancia dei pagamenti), la consultazione tra paesi per risolvere le
controversie commerciali.
Entro il 1993 123 paesi sottoscrissero il GATT e 24 paesi fecero domanda di ammissione; l’accordo copriva circa il
90% del commercio mondiale. I dazi furono ridotti del 35% nel corso di cinque negoziati commerciali che si svolsero
tra il 1947 e il 1965. Nel 1965 gli accordi furono estesi per permettere trattamenti commerciali preferenziali ai PVS
(beneficiare delle riduzioni tariffarie negoziate tra i paesi industrializzati, senza obbligo di reciprocità).
Altro aspetto importante è relativo al fatto che il GATT funge da corte di giustizia in quanto dà risoluzioni alle
eventuali dispute;
-
il FRI che regola il sistema finanziario;
-
la Banca Mondiale.
2.
Problemi del sistema
Nonostante gli ingenti benefici apportati dal GATT è opportuno evidenziare la presenza di alcuni problemi del sistema. In
particolare si osserva che l’agricoltura e i servizi non erano inclusi nei negoziati; i servizi inoltre erano in forte espansione
dagli anni ’50 agli anni ’90, quindi nello stesso tempo in cui i dazi si riducevano, nascevano nuove forme di protezionismo
(forme di dumping, regole di protezionismo per ambiente e salute,…). Il problema che è ancora presente riguarda
l’inapplicabilità di talune sentenze del GATT a varie dispute commerciali prodottesi nel tempo.
3.
Uruguay Round
Nel 1993 l’Uruguay Round, l’ottavo giro di negoziati commerciali multilaterali della storia, si è concluso dopo sette anni di
trattative. Il round ebbe inizio nel 1986 e sarebbe dovuto terminare nel 1990, ma i disaccordi tra USA e UE sulla
riduzione dei sussidi all’agricoltura, ritardò la sua conclusione. Lo scopo era quello di stabilire regole per controllare la
proliferazione del nuovo protezionismo e invertirne la tendenza; portare i servizi, l’agricoltura e gli investimenti esteri
nell’ordine del giorno dei negoziati; stabilire regole internazionali per un miglior funzionamento delle regole del GATT.
I provvedimenti contenuti nell’accordo sono i seguenti:
-
i dazi sui prodotti industriali devono essere ridotti da una media del 4,7% al 3% e deve aumentare la quota di beni
esenti da dazio; devono esser rimossi i dazi su prodotti farmaceutici, materiale da costruzione, attrezzature mediche,
prodotti cartacei e acciaio;
-
per quanto riguarda le quote, i paesi devono sostituire le quote sulle importazioni di prodotti agricoli, tessili e
abbigliamento, con dazi meno restrittivi;
-
l’accordo prevede più rigide e rapide misure di risoluzione delle dispute risultanti dalle leggi antidumping, ma non
vieta l’adozione delle stesse;
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a riguardo dei sussidi, il volume delle esportazioni di prodotti agricoli sussidiati deve essere ridotto del 21% entro 6
anni;
-
per quanto concerne la salvaguardia, ai paesi è concesso di aumentare temporaneamente i dazi su importazioni che
possono compromettere severamente un’industria nazionale, ma proibisce di imporre specifici standard sanitari e/o
di sicurezza;
-
inoltre si disciplina la proprietà intellettuale (brevetti, marchi, …), i servizi, altri provvedimenti per l’industria e misure
relative all’investimento commerciale. Infine è stato previsto il WTO (World Trade Organization) che ha sostituito il
GATT; esso ha autorità non solo in materia di prodotti industriali, ma anche in materia di prodotti agricoli e servizi.
Le dispute nel WTO non sono più risolte con il voto unanime, bensì con il voto di 2/3 o di 3/4 dei paesi (ciò serve
per evitare che il paese colpevole avrebbe potuto bloccare qualsiasi azione promossa contro di lui).
4.
Doha Round
Anch’esso fu stipulato per continuare a ridurre il protezionismo; nel 2003 è però crollato perché i paesi in via di sviluppo
hanno chiesto di eliminare tutte le restrizioni internazionali sui prodotti agricoli, ma quando si sono accorti che i paesi
industrializzati non avrebbero accettato le richieste, si sono ritirati dall’accordo. Inoltre i PVS non erano disposti a
concedere benefici ai propri lavoratori e a contenere le causi di inquinamento; i paesi sviluppati, d’altra parte, hanno
deciso di non competere con nazioni senza regole.
5.
Problemi commerciali odierni
Nel commercio odierno è possibile riscontrare le seguenti tre situazioni problematiche:
-
mancata crescita e ristrutturazione in Europa che causa un freno alla crescita del commercio e degli scambi. Ciò
accade perché le nazioni sono interdipendenti, quindi se l’Europa non produce, il suo Pil non cresce e quindi il
commercio non gira;
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la globalizzazione che si sta realizzando non è disciplinata da regole equivalenti a livello globale (ad esempio si
osserva una differenza circa le regole relative alla disciplina del problema dell’inquinamento);
-
la povertà nel mondo, il terrorismo e altri problemi rilevanti bloccano l’espansione dei commerci. Si registra infatti un
aumento della soglia di povertà: il livello minimo al di sotto del quale si è considerati poveri è 1,5$ al giorno (Banca
Mondiale); nel 2000 la stima sui poveri è pari al 13% della popolazione mondiale con una drastica riduzione rispetto
alle stime del 1980 in base alle quali si aveva una percentuale del 25% della popolazione mondiale. Le popolazioni
povere si concentrano principalmente in Cina e in India, in cui si osserva che le cause dell’impoverimento non
dipendono dalla globalizzazione, bensì dalle guerre, da condizioni igieniche precarie, dall’AIDS. L’unico problema
della globalizzazione è che essa non ha permesso di partecipare al fenomeno del libero commercio ai paesi poveri.
COME MISURARE IL PIL
Il reddito pro-capite si misura calcolando il valore totale della produzione di consumo e dei servizi diviso per la
popolazione; ma c’è anche l’inflazione che dev’essere considerata. In più, con l’avvento della moneta unica, bisogna
considerare il tasso di cambio di equilibrio (la Banca Mondiale determina il valore che corrisponde al tasso di equilibrio).
MOVIMENTO INTERNAZIONALE DEI FATTORI PRODUTTIVI
Altro aspetto rilevante del commercio di beni è relativo al movimento internazionale di risorse, infatti il capitale, il lavoro
e le tecnologie si muovono anche oltre i confini nazionali. Oltre ai movimenti internazionali, i fattori produttivi possono
“muoversi” anche all’interno dello stesso paese. Il commercio internazionale e i movimenti di risorse produttive hanno
tuttavia effetti economici molto diversi sui paesi coinvolti.
Il lavoro è generalmente meno mobile del capitale a livello internazionale, tuttavia i fattori che spingono la
movimentazione del lavoro sono l’alta disoccupazione e i salari bassi, quindi motivi economici, ma anche motivi non
economici. In particolare, considerando i movimenti di lavoro tra Sud e Nord all’interno di un singolo paese, si osserva
che essi sono in funzione del livello dei salari e del livello dell’occupazione: MSN = f (SS, SN ; OS, ON).