La gestione finanziaria dell`azienda

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La gestione finanziaria dell’azienda
Premessa
pag. 1
Introduzione
pag. 1
1)
La moneta
1.1) Inevitabilità degli scambi
1.2) La nascita della moneta
1.3) Dall’oro alla carta
2)
pag. 2
pag. 3
pag. 4
La moneta oggi: chi la produce, come la produce e come funziona
2.1) Chi produce, come produce e come funziona la moneta “legale”
2.2) Chi produce, come produce e come funziona la moneta bancaria
Il conto corrente bancario
pag. 6
pag. 8
pag. 8
Il moltiplicatore monetario
Il meccanismo del moltiplicatore: l’esempio del moltiplicatore urbano
pag. 11
3)
Il meccanismo del moltiplicatore applicato alla moneta
pag. 12
La manovra monetaria della Banca Centrale
pag. 14
L’interesse
(nel significato più noto e banale)
3.1) Cosa è l’interesse
3.2) Il montante
3.3) Il tempo e il valore dei beni
4)
L’interesse
5)
Segnali distorti ad arte
6)
Il tasso di interesse
6.1)
6.2)
6.3)
6.4)
6.4)
6.5)
(nel significato meno noto e più profondo)
Chi stabilisce i prezzi
Come si forma un prezzo (e quindi anche un tasso) “di mercato”
La “legge della domanda e dell’offerta” e il “prezzo di equilibrio”
Tra Economia e Italiano: tasso d’interesse e Promessi Sposi
Tanti tassi quanti debitori
Solvibilità e tasso d’interesse
pag. 15
pag. 15
pag. 16
pag. 17
pag. 20
pag. 22
pag. 23
pag. 23
pag. 25
pag. 27
pag. 28
0
Premessa.
Dovessi spiegare a un abitante di Marte, pianeta arido senza mari, laghi né pozzanghere, come si governa
una nave, comincerei col fargli capire cosa sono l’acqua, il mare, le correnti e le onde.
Per la stessa ragione, dovendo spiegarvi cosa si può fare per finanziare un’azienda, mi assicuro prima che
abbiate un’idea corretta di cosa siano i soldi, l’interesse e il tasso d’interesse.
Ecco, quindi, perché questi appunti iniziano con concetti già visti o che vedrete in seguito grazie a diritto
o relazioni internazionali; se io vi (ri)propongo qui queste cose, non è perché pensi di affrontarle in modo
migliore di quanto un altro insegnante e un libro di testo siano in grado di fare, bensì per prudenza: non sono,
infatti, del tutto convinto che vi accorgiate di saperle già, e in ogni caso, trovando tutto accorpato, è più
probabile che riusciate a comprendere qualcosa. Per lo stesso motivo inserisco in questo blocco di appunti
anche varie pagine che già vi ho dato, alcune anche di recente, pur non illudendomi che saranno molti quelli
che riusciranno a individuarle.
I primi quattro capitoli (in cui mi dilungo su moneta e interesse) e il quinto (che tratta del grande potere delle Banche Centrali) e
parte del sesto sono solo vagamente propedeutici agli altri, nel senso che la loro funzione è soprattutto di
cultura generale e il non afferrare in profondità i concetti esposti non pregiudica sensibilmente una decente
comprensione dei successivi capitoli. Questo non significa che potete saltare le prime 26 pagine, e non solo
perché saranno oggetto di verifica ma, soprattutto, perché difficilmente, in futuro, vi capiterà di nuovo
l’occasione per comprendere non superficialmente cosa è e come funziona il mondo della finanza.
Introduzione.
L’azienda è un organismo unitario, e agisce come tale; per poterla meglio gestire è, però, opportuno
suddividere l’insieme delle azioni che compie (e che per quanto possano essere diversissime le une dalle altre sono tutte fra loro
collegate in modo più o meno diretto, se non altro perché sono tutte finalizzate a massimizzare il profitto) in alcuni sottoinsiemi (a loro volta,
poi, scomponibili ulteriormente) composti da azioni fra loro più omogenee.
In questi appunti ci occuperemo della gestione finanziaria, cioè delle azioni che si compiono per “finanziare
l’attività produttiva”, vale a dire che parleremo di ciò che l’azienda fa per trovare le fonti da cui attingere per
acquisire i fattori produttivi.
Se la cosa non vi garba perché siete maggiormente interessati alle azioni tese direttamente alla produzione
dei beni e servizi, allora cambiate scuola e andate all’Istituto Tecnico Industriale a progettare quadri elettrici,
all’agrario Zanelli a selezionare sementi, all’istituto per geometri a tracciare strade, all’alberghiero Motti a
organizzare buffet ecc..
Se non vi garba perché la vostra passione è conoscere e comprendere le azioni utili per ottimizzare la
gestione delle vendite e svilupparle al massimo, allora ripassate qualche appunto vecchio (compravendita, iva ecc.) e
aspettate pazientemente che mi venga voglia di parlare di marketing.
Se non vi garba perché anelate soprattutto a conoscere quali azioni si compiono, all’interno della “gestione
fiscale”, allo scopo di avere un rapporto il meno peggiore possibile con Big Pig & sons (per chi mi frequenta da poco: lo
stato e gli altri enti pubblici tassatori), allora cambiate sezione e andate allo Scaruffi: io rimango qui apposta per non
occuparmi, quanto meno a scuola, di quelle nauseanti cose.
Se non vi garba punto, allora andate a cercar lavoro oppure rassegnatevi a studiare quel che non vi garba.
1
1) La moneta.
L’economia è una faccenda parecchio complicata, e di tutti i problemi economici la moneta è forse il più
intricato e quello per cui è maggiormente necessario assicurarsi di avere ben capito i concetti di base prima di
affrontare gradualmente le questioni più complesse.
Per di più, il continuo e agevole uso che quotidianamente facciamo dello strumento moneta ci porta a
sottovalutarne la straordinaria complessità, un po’ come la semplicità del telefonare al cellulare allontana dalla
corretta percezione (che solo un ingegnere delle comunicazioni può avere) della straordinaria complessità dei processi e
delle infrastrutture sottostanti a quell’azione.
Ecco perché vi chiedo attenzione mentre leggerete questa e le prossime due pagine (in parte tratte
dall’introduzione di “What Has Government Done to Our Money?” un testo scritto nel 1964 da Murray N.
Rothbard, un economista di scuola “austriaca”): non commettete l’errore di crederle semplici o banali.
1.1) Inevitabilità degli scambi.
Perché è nata la moneta? E’ ovvio che Robinson Crusoe, sulla sua isola disabitata,
non ne aveva bisogno: non avrebbe potuto mangiare monete, né, con esse, curarsi il mal
di denti o ripararsi dal freddo.
Neanche ne avrebbero avuto bisogno Crusoe e Venerdì, nei loro scambi di –
poniamo – pesce per noci di cocco.
Ma quando la società si espande oltre alcune
famiglie, lo scenario è pronto per la comparsa della moneta.
Per spiegare il ruolo della moneta dobbiamo andare ancora indietro, e chiederci:
perché gli uomini scambiano? Lo scambio è la base della vita economica. Senza scambi
non ci sarebbe nessuna vera economia e praticamente nessuna società.
Robinson Crusoe e Venerdì
Chiaramente uno scambio volontario si verifica perché entrambe le parti se ne attendono un beneficio.
Uno scambio è un accordo tra A e B per trasferire beni o servizi di un individuo per i beni e i servizi dell’altro.
Entrambi ne beneficiano perché ognuno valuta quello che riceve in cambio più di quello che cede, ed è questo il
motivo per cui, anche a parità di beni prodotti e disponibili, una collettività in cui gli scambi sono liberi e
agevoli è più ricca di una in cui gli scambi sono limitati.
Quando Crusoe scambia del pesce per le noci di cocco di Venerdì, egli valuta le noci che “compra” più
del pesce che “vende”, mentre Venerdì, al contrario, valuta il pesce più delle noci.
Per millenni, da Aristotele a Marx, gli uomini hanno erroneamente creduto che uno scambio richieda una
qualche sorta di eguaglianza di valore, che se il cesto di pesce è scambiato per 20 noci di cocco, allora c’è una
sottostante uguaglianza tra di loro, per cui in tutti i casi in cui uno ci guadagna l’altro necessariamente ci perde.
In realtà, invece, lo scambio è stato fatto proprio perché ogni parte ha valutato i due prodotti differentemente.
E’ l’argomento della soggettività del valore trattato in altri appunti e che do per acquisito.
Perché lo scambio è da sempre stato così universale nella specie umana? Fondamentalmente a causa
della duplice grande varietà della natura, e cioè: 1. la varietà nell’uomo, in quanto ognuno di noi possiede
differenti abilità, attitudini e gusti; 2. la diversità di localizzazione delle risorse naturali, in quanto ogni
porzione di suolo ha le sue proprie caratteristiche, le sue specifiche risorse.
Lo scambio deriva cioè dalla realtà naturale della varietà; olio di Puglia per aringhe d’Islanda; i servizi
sanitari di un medico in cambio del concerto di un pianista.
La specializzazione permette ad ogni uomo di sviluppare le sue migliori abilità, e permette ad ogni
regione di sfruttare le sue peculiari risorse. Se nessuno potesse scambiare, se ogni uomo (o ogni piccola collettività di
uomini come una tribù o un borgo medioevale) fosse costretto a essere completamente autosufficiente, è ovvio che la
maggior parte di noi morirebbe di fame, e il resto rimarrebbe vivo a malapena: ancora pochi secoli fa, quando
per motivi tecnici (arretratezza tecnologica nei trasporti) e/o politici (mercantilismo) gli scambi erano limitati, il nostro
pianeta aveva risorse per mantenere in vita solo qualche centinaio di milioni di uomini (di cui la gran parte in estrema
povertà); oggi, a globalizzazione ormai completa, lo stesso pianeta fa vivere oltre sette miliardi di persone ( e buona
parte in opulenza). Lo scambio è la linfa vitale, non soltanto dell’economia, ma della civiltà stessa.
2
Tuttavia lo scambio diretto di beni e servizi (il baratto) sarebbe a malapena sufficiente a mantenere
un’economia appena sopra un livello primitivo. Lo scambio diretto, il baratto, difficilmente può portare a
condizioni economiche di poco migliori della pura autosufficienza. Perché questo? Per prima cosa, è chiaro
che si potrebbe realizzare una produzione molto limitata. Se do l’incarico a degli operai di costruire una casa,
con cosa li pagherò? Con delle lezioni di economia che interessano a nessuno? Con dei pezzi della casa che
mi stanno costruendo? I due problemi base del baratto sono “l’indivisibilità” e la “mancanza di coincidenza
dei desideri”.
Così, se ho un televisore e lo volessi scambiare con diverse cose – diciamo uova, pane e vestiti – come
posso fare? Non posso certo fare a pezzi la TV e darne un pezzo al contadino e un altro pezzo al sarto. Ma
anche quando i beni sono divisibili, è generalmente impossibile per due che abbiano da scambiare qualcosa
incontrarsi proprio in quel momento. Se A ha delle uova da vendere e B ha un paio di scarpe, come possono
trovarsi d’accordo se A in quel momento vuole un vestito e non le scarpe? E pensate alla fatica, per un vecchio
(ma immortale) professore di economia amante del pinzimonio, trovare un venditore di carote e cipollotti che
voglia acquistare alcune lezioni di economia o una consulenza fiscale in cambio dei suoi prodotti! Chiaramente
nessun tipo di società non primitiva è possibile sotto un regime di scambio diretto.
1.2) La nascita della moneta.
L’uomo ha scoperto, grazie al processo per tentativi ed errori – by
trial and error – (processo che più di qualsiasi altro fattore ci ha portato dalle caverne ai
la strada che conduce ad un’economia in continua espansione: lo
scambio indiretto.
grattacieli),
Effetti dell’applicazione del processo “by trial and error”
Con lo scambio indiretto si vendono i prodotti non per un bene che ci serve direttamente, ma per un altro
bene che può a sua volta essere venduto per un bene desiderato.
A prima vista questa può sembrare una
complicazione. Ma è invece uno strumento meraviglioso che permette alla civiltà di svilupparsi.
Consideriamo il caso di Biolco, il contadino ricco di uova che vuole comprare le scarpe fatte da
Ciabattoni, il calzolaio.
Dal momento che Ciabattoni, avendo il colesterolo alto, non è interessato alle uova, Biolco scopre ciò che
il calzolaio desidera, ad esempio della benzina, e si mette alla ricerca di un terzo, Carburo, che desidera uova e
ha benzina in eccesso. Biolco scambia le sue uova per la benzina di Carburo; poi Biolco vende la benzina a
Ciabattoni per le scarpe. Attenzione: Biolco va in bicicletta, non in auto; non gli interessa la benzina per il
consumo diretto, ma perché essa gli permetterà di prendersi le scarpe.
Il contadino
interessa,
ha bisogno di scarpe, ma al calzolaio non interessano le sue uova: al calzolaio
invece,
la benzina.
Il contadino, allora, vende le sue uova al benzinaio
che è goloso di frittata, al solo scopo di comprare da lui la benzina da dare al calzolaio e ottenere così le scarpe.
Ecco
come
la
benzina
si
evolve
in
moneta
→
3
Allo stesso modo io, proprietario di una televisione di cui posso fare a meno, venderò il mio TV per un
prodotto che posso più facilmente dividere e vendere – ad esempio sempre la benzina – e poi scambierò litri di
benzina per uova, pane, vestiti ecc.
In entrambi i casi la superiorità della benzina – la ragione per cui c’è una domanda extra di benzina oltre a
quella originata dalla semplice volontà di consumarla – sta nella sua maggiore commerciabilità o, come anche
si dice, nel suo maggior grado di “liquidità”.
Se un bene è più commerciabile (più “liquido”) di un altro – se tutti cioè pensano che sarà più prontamente
vendibile – allora esso sarà molto richiesto perché sarà comprato per accumularne una certa scorta da utilizzare
come efficace mezzo di scambio.
Sarà il mezzo con cui un produttore specializzato può scambiare il suo
prodotto con i beni di altri produttori specializzati.
C’è una grande varietà nella commerciabilità (nella liquidità) dei beni: alcuni beni sono più diffusamente
richiesti di altri, alcuni sono più divisibili in unità più piccole senza perdere di valore nel frazionamento, alcuni
sono più duraturi nel tempo, alcuni più facilmente trasportabili a grandi distanze. Tutti questi vantaggi riuniti
danno una maggiore commerciabilità.
In ogni società i beni più commerciabili sono stati, nei millenni, gradatamente selezionati come mezzi di
scambio. Quanto più essi furono scelti come mezzi di scambio, tanto più ne crebbe la domanda proprio a causa
di questo loro uso, diventando così sempre più commerciabili. Il risultato è una spirale: più commerciabilità
causa un più ampio uso come mezzo di scambio; questo a sua volta causa una maggiore commerciabilità, ecc.
Alla fine, man mano che col tempo si sperimentano vari beni, in quella collettività di persone, senza che
nessuno lo imponga, saranno da tutti utilizzati come mezzo di scambio uno o due beni, e questi beni saranno
chiamati moneta.
Nella storia, come mezzi di scambio, sono stati usati molti beni e molto differenti fra loro: tabacco nella
Virginia, zucchero nelle Antille, sale in Abissinia, bestiame nell’antica Grecia e nella Mongolia, chiodi in
Scozia, rame nell’antico Egitto, grano, perline, tè, conchiglie, ami ecc.
Attraverso i secoli, due beni, l’oro e l’argento, sono emersi come monete migliori grazie a un millenario
processo “by trial and error” reso possibile dalla libera competizione del mercato, spodestando col tempo altri
mezzi di scambio.
Entrambi, l’oro e l’argento, sono straordinariamente commerciabili, sono grandemente richiesti per uso
ornamentale ed eccellono nelle altre qualità indispensabili ai mezzi di scambio.
Negli ultimi millenni l’argento, essendo relativamente più abbondante dell’oro, si è rivelato utile per
scambi di non rilevante importo, mentre l’oro è risultato più adatto per saldare transazioni di importo elevato.
In ogni modo, la cosa importante è che, qualunque ne sia la ragione, il libero mercato – e non la volontà di un
Principe –, e cioè lo spontaneo comportamento degli uomini – e non la scienza dei sapienti –, ha rivelato che
l’oro e l’argento sono le monete più efficienti. Almeno, come vedremo fra poco, fino al 15 agosto 1971.
1.3) Dall’oro alla carta.
Negli ultimi secoli all’oro e all’argento si sono affiancati dei documenti di carta. Dapprima
rappresentavano l’oro e l’argento, erano cioè dei documenti rappresentativi della moneta (dei “titoli di credito”): alcuni
soggetti che godevano della fiducia del pubblico cominciarono a stampare pezzi di carta impegnandosi a
ricomprarli in un qualsiasi momento in cambio di un determinato quantitativo di oro (più raramente di argento o di
entrambi). In questo modo quella carta assumeva il valore del metallo prezioso sottostante, e da qui nacque il
termine “cartamoneta”. La stessa origine ha il termine “banconota”, che significa “nota del banco”, cioè
scrittura (documento, nota) compilata sul tavolo (banco) dal soggetto emittente (che inizialmente era il mercante e poi, più o meno
dal XIII secolo, l’ex mercante che si era specializzato nell’attività di banchiere. Fossero mercanti o banchieri, i più capaci e innovativi al mondo erano
comunque del centro-nord Italia).
Se il soggetto emittente la carta conservava riserve di metallo prezioso pari all’importo complessivo di
carta emessa, allora il sistema monetario, pur basato sulla carta-moneta, era “metallico a riserva totale”; se,
invece, l’emittente stampava un volume di moneta cartacea maggiore (ad esempio di 5 volte) del valore di metallo
prezioso che conservava nelle sue riserve allora il sistema monetario era “metallico a riserva frazionaria”
(nell’esempio, con riserva al 20%, cioè 1/5).
4
Il sistema a riserva frazionata funziona sulla base della convinzione che mai tutti i possessori di cartamoneta si presentano contemporaneamente a vendere la carta-moneta per comprare l’oro sottostante (un sistema a
riserva frazionaria al 20% funziona fino a quando le richieste di conversione in metallo delle banconote rimangono sotto l’1/5 della carta in
circolazione).
Il sistema metallico a riserva totale non fu quasi mai utilizzato, posto che assai presto chi produceva le
banconote si accorse che la sua moneta cartacea poteva funzionare benissimo anche se ve ne era in circolazione
un multiplo (il triplo, il quintuplo o anche di più) rispetto al quantitativo d’oro che essa
(essa moneta cartacea) rappresentava.
Così, per secoli, ci si basò sul sistema monetario a riserva frazionaria
(detto “gold standard”); il “gold standard” fu usato fino all’inizio del XX
secolo un po’ in tutto il mondo, e fino ad allora i governi dei paesi che
avevano una moneta propria (la Gran Bretagna con la sterlina, la Francia con il franco, il
Regno di Sardegna e, dal 1861, l’Italia con la lira ecc.) si impegnavano a consegnare un
predeterminato quantitativo d’oro a chi avesse consegnato le banconote
emesse.
Banconota del 1746 da 200 lire del Regno di Sardegna
Gli ultimi ad abbandonare questo sistema monetario furono gli U.S.A., il 15 agosto del 1971. Fino a quel
Ferragosto di quasi mezzo secolo fa, infatti, era ancora possibile, anche se non per il normale cittadino, farsi
cambiare dalla FED (la banca centrale USA) 35 biglietti verdi da un $ con un’oncia d’oro (corrispondenti a circa 31 grammi; il
cambio garantito dal governo statunitense dal 1934 al 1971 era quindi poco più di un dollaro per un grammo; in precedenza, e cioè dalla nascita
degli USA al 1934, il valore in oro garantito dal dollaro rimase sempre fisso a 20 $ per un’oncia; il fatto che ora per acquistare un’oncia d’oro
occorrano più di 1.000 dollari - cioè circa 30 volte in più rispetto al 1971 - dovrebbe far riflettere).
Gli U.S.A. erano rimasti gli unici a garantire oro in cambio di banconote dopo gli accordi internazionali
di Bretton Woods del 1944. Questo, però, non significa che le monete degli altri paesi – Italia compresa – dal
1944 non avessero più alcun collegamento con l’oro: infatti i soggetti emittenti altre monete (le “banche centrali” dei
vari paesi, come la Banca d’Italia che emetteva lire, la Bank of England che stampava – e stampa – sterline, la Bundesbank che emetteva i marchi
ecc., tutti organismi, le Banche Centrali, che, sebbene formalmente di proprietà privata, sono in realtà soggetti pubblici più o meno strettamente
legati ai governi) si impegnavano a comprare la loro moneta in cambio di un quantitativo prefissato di dollari (per la
nostra vecchia lira il cambio fisso col dollaro fu per molti anni 625 lire per un $ USA) e quindi, in pratica anche se indirettamente, in
cambio di un certo quantitativo di oro. Quando una moneta è convertibile ad un cambio fisso con un’altra che
è a sua volta convertibile in oro allora il suo sistema monetario è detto “gold exchange standard”. Per questo
motivo fino al 1971 anche il sistema monetario dell’Italia, come quello delle principali altre nazioni, poteva
ancora essere considerato un sistema “metallico” basato sull’oro.
Il 15 agosto 1971 ha segnato il passaggio al sistema attuale: il sistema monetario basato sul nulla, o
meglio basato unicamente sulla fiducia che la gente continui a credere che le banconote conservino il potere di
acquisto, e da qui il termine moneta fiduciaria.
Per migliaia di anni ci si è fidati che l’oro (e l’argento) continuassero a essere considerati preziosi e liquidi (e,
perciò, moneta); poi, per qualche secolo, a questa fiducia si è affiancata anche la fiducia che il banchiere che
stampava e consegnava carta ricevendo in cambio l’oro fosse disposto e in grado di ricomprarsi le banconote
stampate rivendendo l’oro allo stesso prezzo a cui l’aveva ricevuto; e ora, da quasi di mezzo secolo, ci fidiamo
non solo, come nei secoli scorsi, che le banche siano in grado di restituirci i soldi che noi depositiamo presso di
loro, ma ci fidiamo anche che gli altri si fidino, come noi, che tutti continuino a credere che la moneta abbia il
valore che noi immaginiamo.
Che non ci sarà mai il ritorno al sistema monetario metallico molto probabile, che il nuovo sistema sia
comunque migliore lo è un po’ meno. Comunque, d’ora in poi non vi tedierò con la storia monetaria ma solo
con l’attualità.
5
2) La moneta oggi: chi la produce, come la produce e come funziona.
2.1) Chi produce, come produce e come funziona la moneta “legale”.
Una risposta estremamente sintetica alla domanda “chi fa il denaro?” è: la Banca Centrale (B.C.) e le
banche; la Banca Centrale produce la moneta legale (stampa le banconote e le monete metalliche che utilizziamo come
“contante”), mentre, come vedremo da pagina 8, le aziende di credito (le “banche”) producono la moneta bancaria (i
pagamenti attraverso gli assegni, i bonifici, i bancomat, le carte di credito ecc.) , anche definibile “moneta scritturale” in quanto il
suo trasferimento da un soggetto all’altro avviene attraverso delle “scritture” (in partita doppia).
Anche rispondere alla domanda “come fa la BC a produrre la moneta legale?” è semplice: dà incarico a
qualche tipografia di stampare fogli di carta in modi e quantità ben precisi.
Qui sotto vi riporto le quantità (in milioni di pezzi) di banconote e il valore (in milioni di €) delle banconote
stampate nel 2012. Se volete maggiori e più aggiornati dettagli cliccate sul link:
http://www.ecb.europa.eu/stats/euro/production/html/index.en.html
Denomination
Quantity (in millions of banknotes)
(Fonte: B.C.E.)
Value (€ millions)
NCBs commissioning production
€5
2,915.30
14,576.52
BE, ES, FR, IT, AT
€10
1,959.04
19,590.45
DE, GR, FR, IE, PT
€20
1,703.95
34,079.03
CY, EE, FR, IT, MT, LU, NL, SI, SK, FI
€50
1,530.43
76,521.70
BE, DE, ES, IT
€100
298.13
29,813.20
DE
€200
50.00
10,000.04
DE
€500
0.00
0.00
8,456.87
184,580.95
TOTAL
-
Pur nella certezza che sia superfluo, segnalo che il dato totale di 184,580.95 € millions stampati nel 2012 è
leggibile come 184mila e 580,95 milioni, vale a dire 184 miliardi e 580 milioni e rotti €, che divisi per i circa
335 milioni di abitanti dei 19 paesi che usano questa moneta fanno una produzione annua dal controvalore di
quasi 600 € a testa, e circa l’80% della produzione annua va a sostituire le banconote troppo usurate che
vengono ritirate dalla circolazione. Allo stesso modo, il dato del numero totale di banconote prodotte nel 2012
(8,456.87 millions) si legge 8 miliardi 456 milioni e 870 mila, circa 26 banconote a testa prodotte nell’anno.
Se poi siete curiosi di sapere di preciso che valore di banconote (nei vari tagli) circolano, cliccate su
quest’altro link qui: http://www.ecb.europa.eu/stats/euro/circulation/html/index.en.html ; io, qui sotto, mi limito a darvi
alcuni dati approssimati in miliardi di € di controvalore (Fonte: B.C.E.):
Variazione
data
totale
percentuale
5€
10 €
20 €
50 €
100 €
200 €
500 €
Ago 2013
919
+ 2,6%
8
21
58
329
177
38
289
Ago 2012
896
+ 5,4%
8
20
57
309
168
37
297
Ago 2011
850
+ 4,4%
7
20
55
282
158
36
292
Ago 2010
814
+ 6,0%
7
20
53
264
151
36
284
Ago 2009
768
+ 12,5%
7
19
50
242
140
35
274
Ago 2008
683
7
19
48
219
124
32
234
L’incremento anomalo (+ 12,5%) tra il 2008 e il 2009 fu causato dalla crisi finanziaria iniziata con il
fallimento, nell’ottobre 2008, della Lehman Brothers: molti cittadini, temendo che a quel fallimento potessero
seguirne altri, in quel mese ritirarono denaro contante dai propri conti di deposito generando, in poche
settimane, un brusco incremento del valore delle banconote in euro in circolazione (ulteriori 35-40 miliardi di euro che si
aggiunsero all’incremento fisiologico annuo).
6
Tanto per riempire una pagina in più senza faticare, vi inserisco due grafici (sempre di fonte B.C.E.) che
non avrete difficoltà a interpretare, soprattutto se li guardate a colori.
Volume di banconote in euro in circolazione tra il 2002 e la fine del 2010: banconote di grosso taglio
Per chi legge in bianco e nero: la linea superiore (verde) indica il numero di banconote da 100 € in
circolazione nei vari anni (dai circa 400 milioni del 2002 ai circa 1,5 miliardi del 2011, quantità che equivalgono a un controvalore in €
passato dai 40 miliardi del 2002 ai 150 miliardi del 2011); quella intermedia (fuxia) segnala il numero di banconote da 500 € (da
circa 80 milioni a circa 600 milioni, e quindi un controvalore che da 40 miliardi di € del 2002 è arrivato, nel 2011 a circa 300 miliardi di €); la più
bassa (gialla) rappresenta il numero, nei vari anni, di banconote da 200 € in circolazione (da 100 milioni a circa 200 milioni
per un valore passato da 20 a 40 miliardi di €).
Volume di banconote in euro in circolazione tra il 2002 e la fine del 2010: banconote di piccolo taglio
Sempre per i daltonici: la linea più alta (arancione) segnala che il numero di banconote da 50 € è aumentato
da 1.500 milioni a 5.500 milioni (e quindi il controvalore da 75 a 275 miliardi di €); la più bassa (in grigio) evidenzia, ad
esempio, che il numero di banconote da 5 € nel 2011 era 1.500 milioni (per un controvalore di 7,5 miliardi di €, 1,5 x 5);
infine, in ordine crescente di numero di pezzi in circolazione, troviamo le banconote da 10 € e, con la linea a
punti in blu, le banconote da 20 € (che, essendo nel 2011 circa 2,8 miliardi, costituivano un controvalore di 56 miliardi di €).
7
Visto il come e il quanto si produce, resta la terza domanda: come fa una banconota (cioè come fa la moneta
a funzionare. Lo si è già detto: funziona sulla fiducia. Ognuno di noi è fiducioso del fatto che tutti
continueranno a essere convinti che quel pezzo di carta avrà anche in futuro la capacità di essere scambiato con
beni di valore analogo a quelli che quella banconota compra oggi.
legale)
Se non fosse così, se cioè pensassimo che domani quella banconota non sarà più in grado di darci una
soddisfazione pari a quella che ci garantisce oggi, allora tenteremmo di liberarcene al più presto scambiandola
con qualcosa d’altro, cioè comprando subito qualcosa che, in condizioni normali, avremmo acquistato
probabilmente solo più tardi; ma se la nostra idea è diffusa anche fra gli altri, allora non troveremo persone
disposte a prendere la nostra banconota in cambio dei loro beni, e quindi quella moneta, non essendo più un
valido mezzo di scambio, cesserebbe di essere tale (cesserebbe di essere moneta).
Ma questa eventualità (la perdita di valore della moneta) si fa concreta nell’ipotesi che la quantità di moneta in
circolazione aumenti troppo [cioè aumenti più dell’aumento della quantità di beni acquistabili. E’ la legge della domanda e dell’offerta: se
la quantità offerta di un bene aumenta, allora il suo prezzo diminuisce; solo che qui il bene offerto è la moneta e il suo “prezzo” è definito dal
quantitativo di beni con cui può essere scambiata: ecco quindi che se prima potevo scambiare 100 € con X beni (cioè il prezzo di 100 € era X beni), ora
che l’offerta del bene “moneta” è aumentata il suo prezzo diminuisce, e quindi i 100 € ora li potrò scambiare con Y beni, in cui Y è minore di X],
e quindi è indispensabile tenere sotto controllo la quantità di moneta che viene prodotta. E’ per questo motivo
che la Banca Centrale fa di tutto per rendere impossibile, a chiunque che non sia lei, la stampa di pezzi di carta
uguali ai “suoi” (la stampa, cioè di banconote “false”): non lo fa certo per non far arricchire i falsari, lo fa per avere sotto
controllo il quantitativo di moneta in circolazione; lo fa, quindi, per far funzionare la sua moneta, per non fare
morire la sua creatura e, con essa, il sistema monetario che la stessa B.C. governa.
2.1) Chi produce, come produce e come funziona la moneta bancaria.
Chi produce la moneta bancaria (o “scritturale”) l’ho già scritto: le aziende di credito (più comunemente dette “banche”).
Alla domanda “come fanno a produrla” si può sinteticamente rispondere “attraverso il meccanismo del
moltiplicatore monetario che, a sua volta, funziona grazie al sistema di riserva frazionaria”.
Mi rendo conto, però, che la risposta, se ha il pregio della sintesi, non ha quello della immediata
comprensibilità. Per capire quindi come le banche producono la moneta è necessario sia avere ben presente
come funziona un conto corrente bancario, sia comprendere il “meccanismo del moltiplicatore”. In questa e
nelle prossime due pagine riprendo, in questo carattere e colore, quanto già dovreste sapere del conto corrente,
le successive quattro sono invece destinate a chiarire il funzionamento del “moltiplicatore”.
Il conto corrente bancario
Il conto corrente è un prospetto in cui la banca annota le operazioni che fanno aumentare e diminuire i crediti
o i debiti che ha nei confronti di un cliente, azienda di produzione o di erogazione ( famiglia, associazione no profit,
ente pubblico) che sia. I tuoi euro, 100 o 100.000 o quelli che ti pare, vanno o vengono dalla tua disponibilità a
seconda che 100 o 100.000 o quello che ti pare venga scritto nella contabilità della banca, rispettivamente in
dare o in avere del conto intestato a te. Poiché, come ho detto qui sopra, i pagamenti e le riscossioni sono
effettuati con delle scritture contabili, allora la moneta bancaria è detta anche moneta “scritturale”. Se si
tiene conto del fatto che chiunque può essere titolare di un conto corrente bancario e che ogni banca del
mondo è direttamente o indirettamente (*) in contatto con tutte le altre, se ne ricava che chiunque ha la
possibilità di trasferire denaro a qualsiasi altra persona ovunque nel mondo.
(*) “Indirettamente” in questo senso: se la banca AP (polacca) ha un conto corrente presso la banca BS (svizzera) ma non ha rapporti
con la banca CV (venezuelana), e la banca CV ha anch’essa un conto presso la banca svizzera BS, allora quando il signor Wojtyla,
cliente di AP, vuole pagare il signor Chavez di Caracas, cliente di CV, lo potrà fare comodamente dalla sua banca in Polonia: la banca
polacca incaricherà quella svizzera di far giungere il pagamento alla banca venezuelana.
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In media, per ogni milione di euro mossi viene spostata fisicamente solo qualche banconota. Il denaro,
infatti, viene trasferito (depositato dal risparmiatore alla banca, prestato dalla banca a chi lo richiede, inviato dal compratore di una merce
al venditore ecc.) semplicemente attraverso registrazioni contabili, vale a dire grazie al fatto che le banche
annotano quei trasferimenti su dei “conti” (cioè, come già scritto, su dei prospetti, su, un tempo, dei fogli di carta, almeno fino agli
anni ’70 quando i computer ancora non esistevano e ora su dei file) intestati ai loro clienti (risparmiatori o debitori che siano).
Così, se vuoi un buon voto in economia, è sufficiente che tu vada al CREDITO EMILIANO (in seguito abbreviato
CREDEM, e che ipotizzo sia la banca in cui tu hai un “conto corrente” e alla quale hai prestato l’uso dei suoi risparmi ammontanti a 1.150 €; si dice
che tu sei “correntista” del CREDEM) e ordini che 1.000 di quei 1.150 € sia trasferito sul conto che Carlo Massa ha alla
Cassa di Risparmio in Bologna (in seguito abbreviata C.R.B. e io sono “correntista” della C.R.B.).
Gli effetti di questa tua saggia iniziativa saranno:
1)
Il CREDEM annoterà sul conto intestato a te che ora il denaro che le stai prestando ammonta
a soli 150 € (e lo farà scrivendovi 1.000 a sinistra (cioè in Dare) in quanto per la banca è una diminuzione di un suo debito nei tuoi confronti e
quindi è una operazione che, dal suo punto di vista, migliora il saldo del conto);
2)
Il CREDEM ti rilascerà un documento firmato da un impiegato della banca (un cassiere) in cui
risulta che è stata trasferita la disponibilità di 1.000 € al sig. Carlo Massa;
Mi farai vedere quel documento prima dello scrutinio, per provarmi che mi ha pagato e
ottenere così una valutazione benevolmente gonfiata;
3)
Il CREDEM avviserà la C.R.B. di annotare sul conto intestato a me che da quel momento il
denaro che io sto prestando alla C.R.B. è aumentato di 1.000 € (oppure, se era la C.R.B. che stava prestando soldi a me, che
4)
da quel momento il mio debito è diminuito di 1.000 €, ma in ogni caso CRB lo farà scrivendo 1.000 a destra (in avere) del conto intestato a me perché,
dal suo punto di vista, è un peggioramento (maggior debito o minor credito) del valore del conto);
5)
la C.R.B. mi avvertirà con una lettera che mi sono arrivati 1.000 € da te e che quindi ora ho
1.000 € in più sul conto (o 1.000 € di debiti in meno);
infine CREDEM e C.R.B. annoteranno che la prima deve alla seconda 1.000 €, ognuna
registrando l’importo nella propria contabilità [il Credem annoterà i 1.000 in avere (a destra) del conto intestato a CRB, la CRB
6)
annoterà nella sua contabilità i 1.000 in dare (a sinistra) del conto intestato a Credem, e con queste registrazioni entrambe le banche pareggeranno
(dare = avere) gli importi scritti sul conto intestato al loro reciproco cliente (tu e io), rispettando le Pacioliane regole della partita doppia]
Anche al fine di consolidare contemporaneamente sia la comprensione di quanto appena scritto, sia la
vostra comprensione della ragioneria, può essere utile dare un’occhiata alle registrazioni in partita doppia che
le due banche (quelle coinvolte nell’operazione fra me e te) fanno nelle loro rispettive contabilità. Se sei sicuro di aver
capito tutto e di ricordarti la partita doppia puoi anche saltare la parte scritta con questo colore.
L’ipotesi è questa: la situazione di partenza (Saldo Iniziale) è:
io ho un conto corrente presso la banca C.R.B. verso cui ho un debito di 123.456 € (ultimamente ci
ho dato un po’ troppo dentro con le spese) e ti ho convinto a darmi 1.000 €.
-
tu hai, depositati sul suo conto corrente aperto presso la banca CREDEM, 1.150,00 € di risparmi;
successivamente, in seguito all’accordo con me, tu ordini alla sua banca di trasferire 1.000,00 € sul conto che
io ho presso la banca C.R.B. (op. 1);
Contabilità della banca CREDEM (di cui tu sei cliente)
D
c/c student X
A
------------------------------------------------------------------------------------------------------------
|
(op.1) 1.000,00 |
1.150,00 (s.i.)
D
c/c C.R.B.
A
------------------------------------------------------------------------------------------------------------
|
| 1.000,00 (op.1)
D
Cassa
A
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
|
|
Con questa registrazione la banca CREDEM annota che – dopo aver eseguito il tuo ordine – ora i suoi
debiti (suoi della banca) nei tuoi confronti sono calati di 1.000 € [variazione patrimoniale attiva che quindi la banca registra nella
propria contabilità in Dare del conto interessato (cioè il conto corrente intestato a te)]; contemporaneamente la stessa banca CREDEM
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– che ha ordinato alla banca C.R.B. di mettere 1.000 € sul conto del suo cliente (suo della C.R.B.) Carlo Massa –
annota nella propria contabilità che le sono peggiorati i debiti nei confronti della banca C.R.B. [variazione
patrimoniale passiva che quindi il CREDEM registra nella propria contabilità in Avere del conto interessato (cioè il conto corrente intestato alla banca C.R.B.)];
Contabilità della banca C.R.B. (di cui è cliente Carlo Massa)
D
c/c Carlo Massa
A
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------- --------------------------------------------------------
(s.i. ) 123.456,00 |
| 1.000,00 (op.1)
D
c/c CREDEM
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
(op.1) 1.000,00
|
|
A
D
Cassa
A
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
|
|
Con questa registrazione la banca C.R.B. annota che – dopo aver eseguito l’ordine ricevuto dalla banca
CREDEM – ora i suoi crediti (suoi della banca) nei confronti di Carlo Massa sono calati di 1.000 € [variazione patrimoniale
passiva che quindi la banca registra nella propria contabilità in Avere del conto interessato (cioè il conto corrente intestato al suo cliente Carlo Massa.)];
contemporaneamente la stessa banca C.R.B. – avendo eseguito l’incarico ricevuto dalla banca CREDEM di dare
1.000 € al suo cliente (suo della C.R.B.) Carlo Massa – annota nella propria contabilità che le sono migliorati i
crediti nei confronti della banca CREDEM [variazione patrimoniale attiva che quindi la banca C.R.B. registra nella propria contabilità in
Dare del conto interessato (cioè il conto corrente intestato alla banca CREDEM)]. Detto in poche e semplici parole: i 1.000 € che la
mia banca mi dà li pretende – ovviamente – da chi le ha chiesto di darmeli, e cioè dal CREDEM.
A questo punto tu puoi continuare a studiare poco economia e io ho 1.000 € di debiti in meno verso la
mia banca; [se invece che avere il conto “in rosso” lo avessi avuto in attivo (cioè se anche io avessi avuto dei soldi depositati sul mio conto, se
fossi stato quindi anch’io in una posizione a credito nei confronti della mia banca) non cambiava nulla nelle scritture in partita doppia: sarebbe stato
diverso solo il saldo del mio conto].
Io, grazie ai 1.000 € arrivati nella forma di una scrittura contabile, potrò comunque utilizzare 1.000 € più
di prima, emettendo assegni o a mia volta ordinando alla mia banca di fare bonifici a favore di altri, oppure
pagando la spesa con la tessera bancomat o anche prelevando dal cassiere o dal bancomat delle banconote.
E’ come se avessi ricevuto materialmente da te 1.000 € in banconote, ma con la differenza, tra l’altro,
che non rischio di farmeli rubare in classe da studenti o studentesse delinquenti. Per di più, non dovrò
nemmeno rilasciare alcuna ricevuta, perché a te basta il documento che ti ha rilasciato la tua banca , dal
momento che le registrazioni contabili delle banche costituiscono una prova inattaccabile del fatto che mi ha
pagato.
Come puoi notare, non si è mossa alcuna banconota: sono solo stati inviati dei file. L’operazione
descritta è un “bonifico bancario”; tu sei l’“ordinante” e Carlo Massa il “beneficiario” del bonifico. E’ evidente
che per dare a te la possibilità di fare il bonifico a mio favore mi preoccuperò di indicare con precisione i
dati del mio conto corrente: per far ciò potrei affiggere (= attaccare) alla porta della classe, di fianco al mio listino
prezzi dei voti, un foglio con il “codice IBAN” del mio conto corrente che, per l’esattezza, è: IT32 Q 06385
12800 07400000925P. L’IBAN è un codice di 27 caratteri che identifica senza possibilità di errori ogni singolo
conto corrente di qualsiasi banca del mondo. Per i curiosi posso dire che IT segnala la nazionalità italiana della
banca, 06385 è il codice che identifica la banca Cassa di Risparmio in Bologna, 12800 quello che individua lo
sportello (cioè l’agenzia) di Reggio Emilia via Giorgione, e 07400000925P è il codice che caratterizza il conto,
presente in quella banca, intestato a Carlo Massa.
Alla fine di ogni mese o trimestre (a scelta del correntista) la banca invia per posta (tradizionale e/o elettronica)
l’elenco delle operazioni registrate sul conto corrente nel periodo. Questo documento è chiamato “estratto
conto”, e se cercate negli appunti antichi troverete, come esempio, l’estratto conto di non so quale mese che
mi è arrivato per il c/c che ho presso la C.R.B. (“c/c” è l’acronimo di “conto corrente”) n. 0740/925 e in cui, purtroppo,
non c’era alcun bonifico proveniente da voi.
10
Il moltiplicatore monetario.
Nel timore che tu stia perdendo il filo del discorso, ti ricordo che stiamo cercando di capire come viene
prodotta la moneta bancaria, ma per farlo abbiamo prima dovuto rinfrescare le conoscenze relative al “conto
corrente di corrispondenza” e ora dobbiamo comprendere il meccanismo del “moltiplicatore monetario”.
Per agevolare la comprensione del moltiplicatore monetario può essere utile vedere un’applicazione dello
stesso meccanismo (il “moltiplicatore”) applicato a un fenomeno più vicino alla tua esperienza. Il meccanismo del
moltiplicatore si applica, infatti, a varie grandezze, non solo alla moneta.
Esso, infatti, funziona ogni volta che una grandezza complessiva si ripartisce in una quota autonoma
(capace di influire sulla grandezza complessiva, ma non influenzata da essa) e in una quota dipendente (ossia influenzata dalla stessa
grandezza complessiva); i raffinati, in luogo di autonoma e dipendente, usano i termini “esogena” (= che proviene
dall’esterno) e “endogena” (= che nasce nell’interno).
Chi di voi, non del tutto disgustato dalle mie lezioni, deciderà di proseguire gli studi in ambito
economico, vedrà che, ad esempio, per molti economisti lo stesso meccanismo svolge i suoi effetti sul reddito
nazionale (cioè, in sostanza, sul P.I.L., poiché il PIL è, più o meno, la somma dei redditi dei residenti in un paese) attraverso il cosiddetto
“moltiplicatore keynesiano degli investimenti”.
Probabilmente, come dicevo, è però meglio uscire dall’economia e descrivere il meccanismo del
moltiplicatore applicato all’urbanistica, perché cos’è una città e cos’è la sua popolazione ti è più chiaro di cosa
siano il “reddito nazionale” e gli “investimenti”.
Il meccanismo del moltiplicatore: l’esempio del “moltiplicatore urbano”.
Vediamo allora come funziona il “moltiplicatore urbano”, che studia gli incrementi della popolazione di
una città in seguito all’insediamento di nuove unità produttive.
Ipotizziamo che Amazon decida di stabilire il suo centro di distribuzione per l’Italia a Montecchio e che
per questo assuma 1.000 nuovi lavoratori (è ciò che è realmente accaduto nel 2011 non in provincia di Reggio ma di Piacenza: gli
assunti sono stati finora 600, ma sono previste altre circa 400 assunzioni entro breve) provenienti da altre località, in quanto nei
dintorni del paese non vi sono persone interessate a quella occupazione. In realtà, il nuovo stabilimento ne
attirerà certamente di più, in quanto occorreranno altri lavoratori per soddisfare le domande di merci e servizi
che è necessario produrre localmente (pane, cappuccini, negozi, tagli di capelli, pizze a domicilio, case, cinema, massaggi tailandesi e
non, servizi pubblici ecc.), domande che provengono proprio dai primi 1.000 “immigrati”.
Faccio notare che la domanda, espressa dai mille arrivati a Montecchio, di beni prodotti lontano dal luogo
dell’insediamento originario (ad esempio la domanda di una Dacia Duster da parte di uno tra i mille nuovi montecchiesi) non ha
alcuna influenza sul flusso verso Montecchio di nuovi lavoratori: tutt’al più incrementerà l’immigrazione verso
Pitesti (in Romania) dove, ipotizzo, sono prodotte le Duster e dove la Dacia assumerà nuovi operai per far fronte
all’eventuale aumento di vendite.
Supponiamo ora che questa seconda "ondata" di lavoratori sia composta da 600 persone, che chiamiamo
“occupati derivati”.
Il rapporto “n. occupati derivati / n. occupati originari” (nel nostro caso 600 / 1.000 = 0,6) può essere
definito “coefficiente di occupazione derivata” e, salvo rari casi in cui supera l’unità, è compreso fra 0 e 1,
essendo molto improbabile che la capacità di acquisto di un lavoratore “originario” permetta il sostentamento di
più di un lavoratore derivato, nemmeno se il reddito del primo fosse interamente speso per beni “locali”, nel
senso di beni prodotti a Montecchio.
Ma anche i 600 occupati dell'indotto (quelli che, nell’ordine, sono andati a fare, per soddisfare le esigenze dei primi 1.000
lavoratori, i fornai, i baristi, i commessi di negozio, i parrucchieri, i pizzaioli, le maschere, le massaggiatrici più o meno tailandesi, i vigili urbani ecc.)
a loro volta richiedono beni e servizi che devono essere prodotti localmente, e allora si verificherà un nuovo
incremento di lavoratori pari, questa volta (e rimanendo per ipotesi costante (fermo a 0,6) il coefficiente di occupazione derivata), a 360
(600 x 0,6 ).
11
E il processo si ripeterà all'infinito, sebbene con incrementi man mano decrescenti e quindi che tendono a
zero: ai 600 che lavorano per produrre i beni richiesti dai primi mille si aggiungono i 360 (600 x 0,6) che lavorano
per questi 600, e poi altri 216 (360 x 0,6) necessari per soddisfare le richieste dei precedenti 360, poi altri 130 (216 x
0,6), altri 78 (130 x 0,6), altri 47 (78 x 0,6), altri 28 (47 x 0,6) poi 17 (28 x 0,6), 10 (17 x 0,6), altri 6 (10 x 0,6), altri 3 o 4 (6 x 0,6),
poi 2, infine 1 solo.
La somma di tutti i lavoratori immigrati (1.000 + 600 + 360 + 216 + 130 + 78 + …+ 2 + 1 , numeri dati da 1000 + 1000 x 0,61
+ 1.000 x 0,62 + 1.000 x 0,63 + 1.000 x 0,64 + 1.000 x 0,65 + … ecc.) è pari a: 1.000 / (1 – 0,6) = 1.000 / 0,4 e quindi a 2.500.
La dimostrazione è semplice, dal momento che la relazione può anche essere espressa in questo modo:
X = Y + pX,
dove X è l’incognita (l’incremento complessivo dell’occupazione) mentre Y e p sono termini noti, e cioè sono,
rispettivamente, l’aumento originario dell’occupazione (Y) e il coefficiente di occupazione derivata (p).
Lasciando le lettere a chi è bravo in matematica e tornando ai numeri dell’esempio, si può scrivere:
X = 1.000 + 0,6 X; che, espresso non in forma matematica, si legge: “le persone che arriveranno in tutto (X) sono
un numero uguale a quelle arrivate inizialmente + il 60% delle persone che arriveranno complessivamente ” (perché per ogni 100 nuovi
arrivi servono 60 altre persone che lavorano nel paese per produrre localmente i beni richiesti dai 100 precedenti) .
da qui, risolvendo l’equazione, si passa a X – 0,6 X = 1.000 e quindi, raccogliendo:
X (1 – 0,6) = 1.000 e da qui la formula risolutiva X = 1.000 / (1 – 0,6).
In termini generali, la formula del moltiplicatore è, quindi:
Y
X = ----------------------1–p
Se la dimostrazione della formula non l’avete digerita (nonostante che da settembre 2013 vi spieghi le equazioni di primo
è sì preoccupante dal punto di vista della vostra preparazione
complessiva e dell’utilità che traete dal venire a scuola, ma non è determinante per la comprensione del
meccanismo del moltiplicatore: ora, infatti, mi preme solo che ne abbiate compreso la logica, cioè abbiate
capito come un aumento iniziale pari a Y provochi alla fine una variazione pari a X, con X che è un multiplo di Y.
grado e vi dica di applicarle nel risolvere problemi di vario tipo)
Se è così, siete pronti per affrontare il moltiplicatore monetario.
Il meccanismo del moltiplicatore applicato alla moneta.
L’ offerta di moneta è la quantità di moneta presente in una economia, ed è quindi la somma fra il
circolante (con “circolante” intendo le banconote più le monete metalliche, cioè la moneta legale) e i depositi bancari a vista (cioè i debiti
immediatamente esigibili che le banche hanno nei confronti del pubblico, costituiti per la gran parte dai saldi attivi – per i clienti – dei conti correnti).
La somma fra circolante “C” e depositi “D” è detta “M 1”.
La base monetaria, invece, è la somma fra il circolante e i depositi (i crediti) che le banche hanno presso
la Banca Centrale (depositi che vengono chiamati “riserve” e che sono debiti che la BC ha nei confronti delle banche e quindi crediti delle
banche verso la B.C. Questi depositi in parte sono imposti alle banche dalla BC – le riserve obbligatorie – e in parte sono volontari – le riserve
libere – ; le riserve obbligatorie e quelle libere complessivamente costituiscono le riserve totali Rt).
La somma fra circolante “C” e “Rt” è detta “M 0”.
Il moltiplicatore monetario è dato dal rapporto M1 / M0, cioè fra l’offerta di moneta e la base monetaria,
e perciò:
Mm = (C + D) / (C + Rt)
Imparate le definizioni qui sopra, adesso dovete comprenderne il significato leggendo con attenzione qui sotto.
12
I depositi a vista dei risparmiatori raccolti dalle banche possono da queste essere investiti (prestati ad altri e
quindi trasformando la liquidità in crediti, oppure usati per acquistare azioni o qualcosa d’altro, ma comunque la liquidità ricevuta in deposito diventa
altro nell’attivo della banca) o mantenuti in riserva come liquidità (denaro tenuto disponibile così com’è per permettere alle banche di
restituire ai propri depositanti il contante nel caso lo richiedessero).
Se tutti i depositi fossero tenuti liquidi dalle banche per funzionare come riserva, l’offerta di moneta non
verrebbe influenzata. Un simile sistema bancario sarebbe, come già sappiamo, “a riserva totale”, e in pratica
la moneta bancaria non esisterebbe: il quantitativo di moneta (l’offerta di moneta) coinciderebbe con la moneta legale
(il circolante creato dalla B.C.), e il moltiplicatore sarebbe pari a 1: se D = Rt, allora (C + D) / (C + Rt) fa 1 e quindi il
moltiplicatore non ha effetti.
Ovviamente, questo non avviene, altrimenti le banche non sarebbero banche ma zii Paperone, tutti
fanatici appassionati del “tuffo e nuoto nell’oro”. Se avvenisse, la banca – almeno per l’importo del denaro
raccolto con scadenza “a vista” – sarebbe un “debitore cretino”: il debitore, cioè, che chiede soldi in prestito e
poi non li usa, tenendoli da parte in un cassetto senza ricavarci nulla. Se il sistema bancario fosse “a riserva
totale” dovrebbe essere la banca a farsi pagare dai risparmiatori per la custodia del loro denaro (come si fa a teatro
quando si paga al guardaroba per lasciare il cappotto e l’ombrello) in modo da coprire almeno i costi della custodia.
Se il sistema fosse a riserva totale, quindi, la banca potrebbe svolgere la funzione creditizia solo con il
denaro raccolto con scadenza a termine (cioè ottenuto in prestito da risparmiatori che si impegnano a non utilizzarlo prima di una certa
data, più o meno lontana nel tempo) mentre con quello raccolto con scadenza a vista la banca potrebbe svolgere solo la
funzione monetaria, cioè rendere agevole per i clienti l’uso del loro denaro.
Ma così non avviene. In tutto il mondo e da secoli i sistemi bancari funzionano a “riserva frazionaria”,
cioè le banche prestano anche gran parte del denaro ottenuto con scadenza a vista.
I depositi, quindi, vengono in piccola parte tenuti a riserva e in parte ben più grande investiti.
Ogni banca, quindi, tiene come riserva liquida in banconote solo una piccola parte dei depositi (normalmente,
e come riserva liquida di altro tipo (cioè come depositi a vista presso la Banca Centrale o presso
altre aziende di credito) una parte più consistente ma comunque non elevata (qualche punto percentuale).
meno del 2%)
Viene detto “Tasso di riserva” (r) il rapporto
Riserve / Depositi .
Se, ad esempio, il tasso di riserva è 0,05 (5%), significa che su 1.000 euro di depositi:
-
50 euro sono conservati dalle banche in liquidità per far fronte ai prelievi e ad altri pagamenti (Per
Rebecca, ma non solo: 1.000 x 5% = 50);
-
i restanti 950 euro sono investiti, per lo più prestati ad altri soggetti (soprattutto aziende di produzione, ma
bisogno di fondi per i propri acquisti (in beni di produzione o di consumo).
anche di erogazione) che hanno
Ma nel momento in cui la banca concede prestiti, l’offerta di moneta aumenta: nell’esempio di prima, da
1.000 € di moneta disponibile nei depositi a vista, si è passati a 1.950 grazie ai 950 € prestati.
Faccio presente, infatti, che i precedenti 1.000 € depositati sono ancora disponibili, a vista, per i loro
proprietari (i risparmiatori) che possono usarli, con assegni, pago-bancomat ecc. per fare acquisti, essendo, per loro,
moneta a tutti gli effetti; ma allo stesso tempo i prenditori (coloro a cui la banca ha prestato i soldi) hanno ora
effettivamente a disposizione 950 € per effettuare acquisti e pagamenti (ad esempio per pagare gli stipendi ai dipendenti);
l’offerta di moneta è ora diventata realmente pari a 1.950 € (1.000 + 950).
Segnalo anche (per ribadire un concetto di base sebbene centri poco col moltiplicatore) che il sistema economico
dispone sì di una maggiore quantità di moneta, cioè di mezzi di scambio, ma non dispone di una maggior
ricchezza: alla creazione di 950 € di moneta corrisponde infatti la creazione di 950 € di passività (debiti) per chi
ha ricevuto i prestiti. La maggiore ricchezza (reale) di 950 si spera che verrà creata (prodotta) in futuro grazie
anche allo stimolo che l’economia riceve dall’incremento di domanda originato dalla creazione di moneta
bancaria.
E il processo non finisce qui: se supponiamo che questi 950 € ricevuti in prestito dai clienti delle banche
siano da loro utilizzati per il pagamento di beni e servizi, allora chi riceve questi soldi (nell’esempio i dipendenti delle
aziende finanziate dalle banche) ne terrà una piccola parte in contanti (supponiamo il 10% – e questa percentuale è definita
“propensione alla liquidità del pubblico” – ) e depositerà a sua volta presso la propria banca il restante 90% (e se gli stipendi
sono stati accreditati sui conti correnti dei lavoratori non serve nemmeno andare in banca).
13
I depositi bancari aumenteranno così di altri 855 € (il 90% di 950), e allora le banche, che ora hanno più
liquidità disponibile, potranno prestare altri soldi ancora: terranno in liquidità il solito 5% di questi nuovi 855 €
di depositi (cioè 42,75 euro, 855 x 5%) e presteranno il rimanente 95% (altri 812,25 euro, 855 x 95%), e così la moneta
complessivamente disponibile nel sistema economico aumenta ancora, moltiplicandosi.
Le banche hanno quindi la capacità di generare moneta partendo dai propri depositi a vista, e questa loro
capacità è attivata dal processo descritto, che è pertanto chiamato “moltiplicatore monetario” o “moltiplicatore
dei depositi” o “del credito”, ed è reso tanto più potente quanto è “frazionaria” (cioè piccola in percentuale) la riserva
su cui si basa il sistema monetario.
Si può dimostrare, e lo si è visto come due pagine più sopra, che il moltiplicatore monetario è il reciproco
della propensione complessiva alla liquidità del sistema economico, cioè il reciproco della somma fra il tasso di
riserva delle banche più la propensione alla liquidità del pubblico (nell’esempio: 5% + 10% = 15%, cioè 0,15 , il cui reciproco
è 1 / 0,15 = 6,66 periodico).
La manovra monetaria della Banca Centrale
Da quanto detto sopra si deduce che se la Banca Centrale immettesse nel sistema economico un miliardo
di euro di moneta legale, allora il sistema bancario nel giro di qualche tempo (se la propensione alla liquidità del sistema è
del 15%) moltiplicherebbe quel miliardo per 6,667.
Ma lo stesso risultato la B.C. lo può ottenere anche senza stampare materialmente delle banconote: le basta
permettere alle banche di ridurre le riserve obbligatorie, oppure può stimolarle a diminuire le riserve volontarie
tenute presso di sé (sé Banca Centrale), e questo lo può fare riducendo il tasso di interesse che applica su queste
riserve; questo stimolo è stata utilizzato così tanto intensamente dalla B.C.E. negli ultimi anni da arrivare a un
tasso d’interesse negativo: ora (dicembre 2015) se una banca vuole lasciare della moneta sul c/c che ha presso la
B.C. deve pagare lo 0,3% annuo. Una diminuzione dei tassi di interesse corrisposti da B.C. (ma al punto in cui siamo
oggi è più corretto dire: un aumento del tasso di interesse che la BC pretende dalle banche se queste le prestano denaro) alle riserve di
liquidità detenute dalle aziende di credito dovrebbe avere quindi l’effetto di aumentare la moneta in
circolazione nel sistema economico, e ogni euro che, nel bilancio delle banche, si trasforma da credito verso la
B.C. e credito (prestito) verso un operatore (azienda di produzione o di erogazione) si moltiplica in breve tempo e ne produce
altri in un numero che è pari a 1 ÷ propensione alla liquidità del sistema
Più sono basse la propensione a tenere liquidità da parte delle banche (= più è basso il tasso di riserva) e la
propensione a tenere liquidità nel pubblico (cioè negli operatori non bancari: le altre aziende e le famiglie) e più il
moltiplicatore produce effetti (per Gloria e altri: più è piccolo il denominatore e più è grande il risultato).
Lo strumento del moltiplicatore funziona ovviamente anche in retromarcia: se la base monetaria (M0) si
riduce di X, l’offerta di moneta (M1, cioè la moneta complessiva in circolazione) si riduce di un multiplo di X pari al solito
rapporto 1 ÷ propensione complessiva alla liquidità. Ecco allora che, se B.C. ritiene opportuno ridurre la
quantità di moneta in circolazione (magari perché l’inflazione sta salendo troppo), lo può fare aumentando il tasso di
interesse con il quale remunera le riserve che le banche mantengono presso di lei [ se aumento il prezzo l’offerta aumenta:
in questo caso il prezzo è il tasso d’interesse e l’offerta è la liquidità che le aziende di credito sono disposte a “investire” in riserve volontarie presso
la BC; ricordo ai distratti che queste “riserve” sono – per le banche – dei crediti sulla BC, e se prima la BC remunerava questi crediti al tasso
dell’1,5% mentre adesso offre il 2% allora aumenterà il quantitativo di € che le banche sono disposte a depositare; ecco quindi che questi €
verranno drenati (risucchiati, tolti) dal sistema economico e “sterilizzati” nel bilancio (nel passivo, ché per la BC sono dei debiti) della BC. Quel denaro
non può quindi più essere utilizzato dagli operatori. Ma se la propensione complessiva del sistema alla liquidità è, ad esempio, del 10% e rimane
costante, allora ogni € che viene assorbito dalle riserve della BC provoca una diminuzione di moneta complessiva in circolazione pari a 10 €].
Sebbene la variazione del tasso di interesse deciso dal banchiere centrale e applicato sulle riserve non
tocchi direttamente nessun operatore economico diverso dalle banche, esso si ripercuote però lo stesso e
immediatamente su tutti i tassi d’interesse per un effetto “segnale” (quando la BC dà quel segnale allora gli operatori, se
riconoscono autorevolezza e capacità nel banchiere centrale, si attendono che i tassi aumenteranno davvero, e l’attesa di un maggior prezzo in
futuro provoca l’aumento del prezzo già nell’immediato); ma anche senza effetto “segnale” (chiamato anche effetto “annuncio”) i tassi
aumenterebbero ugualmente, anche se non all’istante: la diminuzione del denaro in circolo ne farebbe
comunque aumentare il prezzo in base all’ineluttabile legge della domanda e dell’offerta. E’ quindi certamente
corretto affermare che i tassi di interesse sono “manovrati” dalle scelte della B.C., ed essendo le B.C. strumenti
in mano ai governi (in modo più o meno diretto), allora ne risulta che i tassi d’interesse sono pesantemente influenzati
dalla volontà politica che distorce pesantemente quella del mercato, cioè quella dei singoli individui.
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3) L’interesse (nel suo significato più noto e superficiale)
3.1) Cosa è l’interesse
Che per usare i beni altrui sia necessario pagare un prezzo, è del tutto naturale:
nessuno trova illogico od iniquo che per abitare in un appartamento di un
altro gli si debba pagare l’affitto o che per noleggiare un pedalò a Riccione si
debba pagare. Il prezzo per l’uso degli immobili altrui (case e terreni) è spesso
chiamato “affitto”, il prezzo per l’uso dei beni mobili altrui (auto, pedalò ecc.) è
chiamato “noleggio” e il prezzo per l’uso del denaro altrui è chiamato “interesse”.
Affitto, noleggio e interesse hanno, quindi, la stessa natura: sono il corrispettivo (= il
compenso, il prezzo) da pagare per usare i beni degli altri.
Mi preme (= ci tengo molto) farvi notare che solo una parte dell’affitto e del noleggio che l’utilizzatore paga serve
a indennizzare il proprietario per l’usura provocata al bene, un’altra parte è invece il corrispettivo per il solo uso.
Infatti, se anche il bene non si usurasse, sarebbe comunque inevitabile dover pagare per il suo uso: se, per
assurdo, le cose che usiamo fossero indistruttibili e inconsumabili (come è la moneta) e ci fosse la possibilità di
prenderle a noleggio gratuitamente, nessuno acquisterebbe nulla, essendo più conveniente sfruttare gratis i beni
acquistati dagli altri. Ma se nessuno acquistasse, nessuno produrrebbe per vendere agli altri, e allora si
tornerebbe all’economia del paleolitico, quando ognuno produceva da sé tutto ciò che gli serviva e non c’erano
scambi, si tornerebbe cioè nel mondo che i no global e altri che nulla sanno di economia sognano e in cui, però,
tutti morirebbero di stenti. Morale: pagare un prezzo per l’uso dei beni altrui (e non solo per indennizzare la loro,
eventuale, usura) è necessario per uscire dalle caverne.
Se è naturale pagare un prezzo per l’uso dei beni altrui, è quindi anche naturale pagare un prezzo
(l’interesse) per usare il denaro degli altri, e cioè è naturale che il debitore, per usare il denaro del creditore, gli
debba pagare un compenso, sebbene il denaro non si usuri con l’uso (può stupire, piuttosto, che pretendere l’interesse sia
stato considerato, per tanti secoli e in varie civiltà, una colpa).
Se il prezzo dell’uso di un tandem è 5 € l’ora, ad un gruppo di amici l’uso di 4 tandem per 3 ore costerà
4 x 5 x 3 = 60 €, essendo ovviamente il prezzo complessivo direttamente proporzionale alla quantità usata
(4 tandem), al prezzo unitario (5 € per un tandem per un’ora) e al tempo di utilizzo (3 ore).
Allo stesso modo, per determinare quanto costa usare 6.000 euro per 2 anni sarà sufficiente conoscere il
prezzo unitario e moltiplicarlo per la quantità e per il tempo. Il prezzo dell’uso di 1 euro (o di una qualsiasi altra unità
di moneta diversa dall’euro, come ad esempio di una sterlina o di un dollaro ecc.) viene in genere riferito, invece che ad un’ora
come per il tandem o a un mese come per gli appartamenti, ad un anno di tempo, e viene chiamato “tasso
d’interesse” e simboleggiato con “i” oppure con “r” se è espresso in percentuale (cioè in centesimi).
Così se “i” viene fissato in 0,07 € (che può anche essere scritto r = 7% o 7/100) significa che chi usa il denaro
altrui paga 7 centesimi di euro per ogni euro preso in prestito per ogni anno di tempo che lo si è utilizzato.
L’uso dei 6.000 euro per 2 anni costerà 6.000 x 0,07 x 2 = 840 euro. In simboli:
I = Cxixt
E’ chiaro, comunque, che dire “pago 0,05 € per usare un euro per un anno” è la stessa cosa che dire
“pago 5 € per usare 100 euro per un anno”: è solo un modo diverso per indicare uno stesso prezzo, così come
0,5 € all’etto è la stessa cosa di 5 € al chilo.
3.2) Il montante
Il “montante” è la somma fra il capitale e gli interessi che ne derivano. In simboli: M = C + I .
Poiché, come dovresti già sapere, I = C * i * t , sostituendo si ha che M = C + C * i * t , e allora si può anche
scrivere – raccogliendo C – che: M = C * (1 + i * t) .
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3.3) Il tempo e il valore dei beni
E’ Natale 2015, tuo zio ti vuole regalare dei soldi, però con il divieto di spenderli per un anno, fino al
Natale prossimo. Hai però il permesso di prestare i soldi che ti regalerà, e inoltre sai che, prestandoli,
otterrai certamente la restituzione e un interesse del 10% all’anno.
Tuo zio ti propone di scegliere fra:
1)
Ricevere 1.000 € subito;
2)
Ricevere 1.075 € fra un anno, a Natale 2016.
Tu (nell’imbarazzo della scelta)
Cosa scegli? Poiché sai che in ogni caso non puoi spendere quei soldi per i prossimi 12 mesi e
sai che puoi ottenere interessi al tasso del 10%, se sei razionale certamente scegli, fra la 1) e la 2), la prima:
ricevendo oggi 1.000 € e prestandoli per un anno al 10%, a Natale 2015 avresti a disposizione 1.000 + (1.000
x 10% x 1 = 100) = 1.100 €, ed è meglio avere (a Natale 2016) 1.100 € piuttosto che i 1.075 € che oggi tuo zio si è
impegnato a darti in quel giorno.
Ordinando le due offerte e se il tasso d’interesse è del 10%,, tu ritieni la 1) migliore della 2) .
Si può quindi certamente dire che, se il prezzo per l’uso del denaro è il 10%, 1.075 € disponibili fra un
anno valgono meno di 1.000 € disponibili già oggi. Si può anche dire che, quando il tasso d’interesse è del
10%, 1.100 € utilizzabili fra un anno valgono esattamente come 1.000 € già disponibili oggi, e quindi che
ogni euro disponibile fra un anno vale oggi meno di un euro, e precisamente il valore attuale (Va) di un
euro disponibile fra un anno è (1 ÷ 1,1) = 0,90909 € .
Supponiamo ora che il tasso d’interesse a cui puoi prestare i tuoi soldi non sia del 10% ma del 6%.
Quale dei due regali proposti da tuo zio accetterai?
In questo caso se sei razionale certamente scegli l’offerta 2): ricevendo oggi 1.000 € e prestandoli per
un anno al 6%, a Natale 2016 avresti a disposizione 1.000 + 60 = 1.060 €, ma è meglio avere (a Natale 2016) i
1.075 € direttamente da tuo zio piuttosto che ottenerne 1.060 € nello stesso momento ( Natale 2016) facendoti
dare oggi da tuo zio i 1.000 € e poi prestandoli per tutto l’anno al tasso del 6% .
Ordinando le due offerte e se il tasso d’interesse è del 6%,, tu ora ritieni la 2) migliore della 1) .
Si può certamente dire che, se il prezzo per l’uso del denaro è il 6% l’anno, 1.075 € disponibili fra un
anno valgono più di 1.000 € disponibili già oggi. Si può anche dire che, quando il tasso d’interesse è del
6%, 1.060 € utilizzabili fra un anno valgono esattamente come 1.000 € già disponibili oggi, e quindi che
ogni euro disponibile fra un anno ha un valore attuale (Va) pari a (1 ÷ 1,06) = 0,9434 €
Da quanto scritto si ricava che una qualsiasi somma di denaro (e quindi anche l’importo di un euro) incassabile
in futuro ha nel momento attuale un valore sempre minore man mano che si allontana il giorno in cui quella
somma (quell’euro) potrà essere utilizzata, e la velocità di diminuzione del valore aumenta all’aumentare del
tasso d’interesse: il diritto di ricevere 50.000 € fra un anno (cioè un credito di 50.000 € che scade fra un anno) ha oggi un
valore inferiore a 50.000 €, e la differenza fra il valore attuale di un credito e l’importo del credito aumenta
all’aumentare del tasso d’interesse.
E’ soltanto con un tasso d’interesse nullo, pari cioè allo 0%, che il valore del denaro non cambia
al cambiare del momento in cui è disponibile: se non si ha l’intenzione di usarli per fare subito degli
acquisti, e se nessuno è disposto a pagare per usare i soldi, 50.000 € disponibili oggi, 50.000 disponibili fra
una settimana e 50.000 € utilizzabili fra un anno sono tutti la stessa cosa, cioè hanno lo stesso valore.
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4) L’interesse (nel suo significato meno noto e più profondo)
Da tempo sogni una crociera, magari alle Seychelles e per due persone; siamo nel
dicembre 2015, una nota marca di panettoni pubblicizza i propri prodotti in questo modo:
“Compra il panettone XY, puoi vincere una crociera per due persone! ”.
Compri un panettone, lo apri e scopri di aver vinto la crociera che sognavi.
Il regolamento del concorso, allegato al panettone vincente, ti permette di scegliere una
qualsiasi di queste crociere, tutte con la stessa destinazione e la stessa nave:
a) 7 giorni con partenza nel dicembre 2015;
b) 10 giorni ma con partenza in dicembre 2016;
Tu (nell’imbarazzo della scelta)
c) 16 giorni ma devi attendere il dicembre 2017.
Quale scegli?
Supponiamo che fra a) e b) tu non abbia dubbi: preferisci fare 3 giorni in meno pur
di non attendere un anno. Questo significa che per te 7 giorni di crociera disponibili subito valgono di più di
10 giorni godibili fra un anno; e allora possiamo dire che per te il valore attuale di una crociera di 10
giorni disponibile fra un anno è minore del valore di una crociera di 7 giorni disponibile subito.
Si può anche dire che sei disposto/a a pagare un “prezzo” pari a tre giorni di vacanza (in realtà è pari a poco
più di due giorni, ma non preoccuparti se non capisci perché: se tu ci riuscissi già adesso allora avresti un cervello eccezionale) pur di
anticipare di un anno il godimento di una crociera lunga 7 giorni; significa allora che tu stai applicando al
bene “crociera” un tasso d’interesse di almeno il 43%, e questo perché per anticipare di un anno la
disponibilità del bene “7 giorni di crociera” sei disposta/o a sopportare un costo di 3/7 del bene stesso (tre
giorni su sette), e 3 ÷ 7 = 43%.
Supponiamo poi che nella scelta fra a) e c) tu ancora non abbia dubbi e preferisca c): per fare 9 giorni
in più (e passare così da 7 a 16) sei disposta/o a rimandare la crociera di due anni.
Questo significa che per te 7 giorni di crociera disponibili subito valgono meno di 16 giorni godibili
fra due anni; il concetto lo possiamo esprimere anche in questo modo: per te il valore attuale di una
crociera di 16 giorni che parte fra due anni è superiore al valore di una crociera di 7 giorni che parte subito.
Si può anche dire che non sei disposto a pagare un “prezzo” pari a 9 giorni di crociera per anticipare di
due anni il godimento di 7 giorni di crociera; significa allora che tu stai applicando al bene “crociera” un
tasso di interesse inferiore al 52%, e questo perché per anticipare di due anni il godimento del bene “7 giorni
di crociera” non sei disposto a sopportare un costo di 9/7 del bene stesso (nove giorni su sette). I calcoli per
determinare quel valore (52%) del tasso d’interesse li vedremo fra un po’, per ora mi basta che tu capisca e
interiorizzi questi concetti:
1) Per
chiunque il valore di qualsiasi bene dipende dal momento in cui quel bene è disponibile;
valore che oggi ha il diritto di disporre (di usare) un bene diminuisce all’allontanarsi del momento
in cui quel bene sarà disponibile (usabile);
2) Il
La velocità con cui il valore che diamo ai beni diminuisce all’allontanarsi del momento in cui
saranno disponibili è variabile da bene a bene: alcuni diminuiscono lentamente, altri molto velocemente; ad
esempio: hai un gran mal di denti, gli analgesici non hanno effetto e l’unico dentista disponibile ti dice: “per
100 € ti curo subito, ma se vuoi puoi aspettare un mese e ti curerò per soli 10 € ”. Probabilmente tu
preferirai pagare 90 € in più pur di anticipare la cura. Questo significa che per te il servizio del dentista perde
più dei 9/10 del suo valore se la sua disponibilità si allontana di un solo mese (il valore attuale di una cura dentistica
3)
che fra un mese varrà 100 € è, nel caso si abbia un gran mal di denti, pari a meno di 10 €, e quindi il tasso d’interesse che si applica in questa
circostanza è più del 900% al mese, equivalente al tasso annuo del 100.000 miliardi % all’annuo (e ti do un premio se riesci a spiegarmi da che
calcolo proviene questo risultato che appare folle al profano ma che è corretto) .
4) La velocità con cui il valore attuale di un bene cala all’allontanarsi del momento in cui sarà
disponibile varia da persona a persona, come dire che ognuno ragiona (fa i propri calcoli di equivalenza) con un suo
personale tasso di interesse (che a sua volta, e come ho scritto al punto precedente, è diverso da bene a bene) . Vediamo un
altro caso:
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Tu, Al e Bo siete tre appassionati cinefili; accessibile per voi c’è un
unico cinema che offre, allo stesso prezzo da pagare comunque oggi, la scelta
fra 9 biglietti (con titoli dei film a scelta) utilizzabili già da ora, oppure 12 biglietti
utilizzabili però solo fra un anno, da dicembre 2016. Chi sceglie il pacchetto
da 12 non avrà possibilità di entrare nel cinema nei prossimi 12 mesi.
Tu
Al
Bo
Ipotizza, infine, anche che ci siano almeno 12 film che giudichi ugualmente validi e di essere certo che
la tua passione per il cinema non si modificherà col tempo.
Tu giudichi equivalenti le due proposte, nel senso che la scelta che ti si propone (fra 9 film subito o 12 fra un
anno) ti imbarazza al punto che ti affidi al lancio di una moneta, ed invece fra 9 film in quest’anno e 11 nel
prossimo sceglieresti i 9 subito, mentre se, da vedere nel prossimo anno, ti offrissero 13 film allora opteresti
per l’attesa.
Al, invece, sceglie con decisione i 9 film immediatamente disponibili, in quanto per lui 9 film subito
valgono di più di 12 fra un anno.
Bo, al contrario di Al, preferisce attendere un anno e vederne 12 piuttosto che 9 subito. In
effetti Bo sarebbe disposta a scambiare i 12 film fra un anno solo con 10 film godibili fin da ora.
Si può dire che 9 spettacoli al cinema disponibili da subito sono, per te, il “valore attuale” di 12 film
godibili fra un anno, oppure – ed è la stessa cosa – che, per te, il valore di 9 film già utilizzabili equivale a un
“montante” di 12 film fra un anno.
Al e Bo, invece, danno ai 12 film disponibili fra un anno un valore rispettivamente minore (Al) e
maggiore (Bo) a quello di 9 film immediatamente visibili.
La faccenda può anche essere osservata in questo modo: tu valuti in tre film il sacrificio di attendere un
anno per soddisfare nove volte la tua passione cinefila, Al lo valuta più di te ed è Bo che a quel sacrificio dà
un minor valore.
Si può anche dire che, fra voi tre, è Al che dà al tempo un valore maggiore (quando lo valuta in riferimento al
bene “spettacolo cinematografico”), mentre per te e ancor più per Bo il tempo (sempre in riferimento a quel bene) ha un valore
minore. Infatti, Al è ben disposto a pagare (rinunciando a vederli) 3 film per “comprare” un anno di tempo e
anticipare così il godimento cinematografico; per te, invece, quello è il prezzo limite, mentre per Bo il giusto
prezzo di un anno di attesa è di soli 2 film.
In questo senso si può dire che il tasso di interesse è il prezzo del tempo (della risorsa “tempo”, l’unica risorsa non
producibile dall’uomo, ché tutte le altre l’uomo le può produrre o sostituire grazie alla sua intelligenza) .
La stessa cosa si può esprimere dicendo che il tuo tasso di interesse annuo riferito al bene cinema è il
33,33% (e questo in quanto il rapporto fra le quantità equivalenti di film disponibili con una differenza temporale di un anno è: 12/9 = 1,333),
il tasso d’interesse annuo applicato da Al è maggiore del 33,33% mentre quello di Bo è inferiore, ed
esattamente è del 20% (infatti: 12/10 = 1,2, dove 12 corrisponde al montante disponibile fra un anno di un capitale che oggi vale 10 film, e
quindi – essendo il tempo pari a un anno – dalla formula I = C x r x t deriva che il tasso annuo d’interesse r con cui Bo, inconsciamente, fa le sue
valutazioni in merito a come il tempo modifica il valore del bene “visione film al cinema” è: r = I ÷ (C x t) → r = 2 / (10 x 1) → r = 0,2 = 20%).
Bo applica il tasso d’interesse del 20% al bene “visione film al cinema”, ma come ho già scritto il tasso
d’interesse con cui Bo e tutti noi facciamo le nostre valutazioni varia in funzione del tipo di bene la cui
disponibilità viene spostata nel tempo.
Poiché il denaro è lo strumento che permette di entrare in possesso di qualsiasi bene economico, il
tasso di interesse del denaro (cioè il tasso con cui facciamo le valutazioni di equivalenza fra la disponibilità di somme monetarie di
diverso importo disponibili in tempi diversi) è la sintesi di tutti i tassi d’interesse dei beni reali, come dire che il tasso
d’interesse che si applica ai calcoli finanziari è la media dei tassi di tutti i beni acquistabili (media ponderata in
base al peso che ogni bene ha sul complesso dell’economia).
Da quanto ho scritto emerge che
l’interesse non è un fenomeno monetario!
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Al contrario di quanto pensa l’uomo della strada ma anche – ahimè – la gran parte dei giornalisti
economici e dei banchieri,
l’interesse è un fenomeno reale
che riguarda, cioè, i beni concreti e l’economia reale; ed è solo perché gli scambi dei beni reali
avvengono attraverso la moneta che questa viene coinvolta nel fenomeno e quindi che l’interesse assume,
anche, una veste monetaria.
Il tasso d’interesse a cui ognuno di noi è disposto a prestare il denaro (il prezzo a cui siamo disposti a sopportare il
è soggettivo, nel senso che cambia da
persona a persona, così come è soggettivo il tasso di interesse che è disposto a pagare chi vuole anticipare gli
acquisti (di beni sia di consumo che di investimento) per goderne prima l’utilità, cioè chi chiede denaro in prestito.
sacrificio del rinvio degli acquisti, del rinvio dell’utilità che pensiamo di trarre da essi)
L’uno e l’altro sono la stessa cosa, si può dire che sono il prezzo del tempo.
La media dei tassi d’interesse sul bene “denaro” con cui ragiona ogni operatore finanziario (cioè ognuno
è il tasso d’interesse espresso
dal mercato, ed ecco perché ha un senso dire che
dei milioni di risparmiatori che offrono e dei milioni di prenditori che domandano il bene “uso del denaro”)
il tasso d’interesse di mercato misura il valore che la società dà al tempo.
Cinque pagine fa, trattando della “manovra monetaria della Banca Centrale”, ho scritto: “… i tassi di
interesse sono “manovrati” dalle scelte della B.C., ed essendo le banche centrali strumenti in mano ai governi
(in modo più o meno diretto), allora ne risulta che i tassi d’interesse sono pesantemente influenzati dalla volontà
politica che distorce pesantemente quella del mercato, cioè a quella dei singoli individui”. Per comprendere
quanto sia elevata la capacità della B.C. di stravolgere la vita di chi usa la moneta da lei governata, occorre sia
avere presente come il tasso d’interesse modifica i valori dei beni d’investimento, sia capire come la politica
monetaria può indurre le persone a prendere decisioni diverse da quelle che avrebbero prese in assenza
dell’intervento monetario. Il primo punto (come la variazione del tasso d’interesse modifica i valori dei beni d’investimento) è
certamente utile anche ai fini della comprensione dell’economia aziendale e sarà trattato nel capitolo 6), al
secondo (come la B.C. ci fa fare scelte a cui, in mancanza del suo intervento, non saremmo mai approdati) è dedicato il prossimo
capitolo che è utile più che altro per la comprensione della geopolitica.
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5) Segnali distorti ad arte.
Immagina un’isola, senza alcun rapporto col resto del mondo, nel cui Sud vivono, in un villaggio, un
centinaio di abitanti dediti per lo più
all’agricoltura.
L’unica fonte d’acqua è un fiume che
nasce da una montagna e scende poi al mare
attraverso il Nord dell’isola, zona inospitale
perché paludosa.
La fornitura dell’acqua necessaria alla
popolazione e all’agricoltura avviene grazie al
lavoro degli “acquaioli”,
una decina di
lavoratori che quotidianamente si recano alla
fonte sulla montagna, lì riempiono dei recipienti
che poi, tornati al villaggio, vuotano nella
“Grande Cisterna”.
Più volte, in passato, qualcuno ha proposto di scavare un canale
che, partendo dalla fonte in montagna, devii una parte
dell’acqua del fiume facendola giungere fino alla zona abitata e
coltivata dell’isola.
Nonostante tutti da sempre si rendano conto della sua
utilità, collegata soprattutto all’aumento di produzione agricola
che la migliore irrigazione garantirebbe, il progetto è però
sempre stato accantonato; il fatto è che la costruzione del canale
impegnerebbe per circa un anno una decina di persone le quali,
per tutto quel periodo, dovrebbero cambiare occupazione; ma
l’attuale produzione agricola è appena sufficiente per alimentare gli abitanti, e distogliere dall’agricoltura
per un anno dieci lavoratori causerebbe una carestia intollerabile.
A qualcuno è, però, venuta ora l’idea che
a scavare il canale possano essere i lavoratori
addetti al trasporto dell’acqua:
basterà
accumulare nella Grande Cisterna una scorta
d’acqua sufficiente per le esigenze di un anno,
dopo di che sarà agevole convincere gli
acquaioli a sospendere il trasporto d’acqua per
dedicarsi al canale (e si convinceranno, se non altro,
perché il prezzo dell’acqua, che loro vendono, diminuirà in
virtù della gran quantità accumulata, e quindi riterranno più
vantaggioso farsi pagare come scavatori che come acquaioli).
Il popolo si riunisce in assemblea, viene
illustrata l’idea, e tutti si impegnano a ridurre i consumi d’acqua in modo tale da raggiungere presto, nella
Grande Cisterna, il livello di scorta di 365 fg, (fg è l’unità di misura utilizzata nell’isola) sufficiente per dare inizio senza
troppi rischi alla costruzione del canale.
Se non capitano ostacoli imprevisti, dopo qualche tempo di minori consumi (d’acqua) il villaggio avrà
accumulato sufficienti risorse da investire nella grande opera del canale, terminata la quale si aprirà un’epoca
di benessere: più produzione agricola grazie all’abbondante irrigazione e meno puzza nel villaggio grazie
alle più frequenti docce. Il capitale accumulato (prima sotto forma d’acqua risparmiata e poi trasformato in canale irriguo) ha
permesso di aumentare la produzione attraverso un miglioramento della produttività del settore agricolo.
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Ecco come, secondo la ricetta antica, migliora l’economia di un paese: il non consumare subito la
produzione (cioè il risparmiare) porta, se si fanno investimenti ragionevoli, a maggiore produzione e quindi a
maggior possibilità di consumare in futuro. E’ la ricetta dell’epoca pre-keynesiana, di quando risparmiare
era considerato virtuoso.
Dall’altra parte del mondo c’è un’isola gemella; l’unica differenza è che qui gli abitanti hanno eletto
una “Guida Suprema” (GS) a cui sono state delegate le decisioni più importanti. Immediatamente dopo essere
stato eletto, GS ha nominato un suo vecchio compagno di merende alla carica di “Grande Mentore Kapo” (JMK)
(nell’isola, ragionevolmente, la gente non fa distinzione fra la “c” dura e la “k”, né fra la “g” tenera e la “j”)
Il primo suggerimento dato da JMK a GS è di gestire, lui solo, la Grande Cisterna, e così la Guida
Suprema annuncia al popolo che, per evitare il rischio che qualcuno inquini l’acqua e quindi per il Bene
Comune, lui solo potrà d’ora in poi controllare il livello dell’acqua nella cisterna.
Successivamente, JMK consiglia a GS di anticipare i tempi della costruzione del canale: secondo i suoi
calcoli e poiché i potenti modelli matematici usati dalla moderna meteorologia prevedono abbondanti piogge
future, non è necessario risparmiare e accumulare tanta acqua, è sufficiente che il suo livello nella Grande
Cisterna arrivi a 200 fg, e non a 365 come il popolo ignorante ancora ritiene. Ecco che, raggiunto il livello di
200 fg, la Guida Suprema, sempre per il Bene Comune, annuncia al popolo che la cisterna è piena fino a 400,
in modo tale che, in seguito a questa informazione, il prezzo dell’acqua scenda e gli acquaioli si convincano
a cambiare attività e si dedichino con entusiasmo alla costruzione del canale.
Passano alcuni mesi e le abbondanti piogge previste sono rimaste incastrate nei potenti modelli
matematici dei meteorologi (insomma, è piovuto meno del previsto). L’acqua nella Grande Cisterna è quindi ormai
quasi terminata e il canale, ancora a metà, è del tutto inutile; per scongiurare catastrofi peggiori diviene
inevitabile, allora, interromperne la costruzione e tornare a rifornirsi alla fonte coi recipienti.
Il canale costruito a metà rimarrà lì a deteriorarsi col tempo, inutile a tutto, inutile anche come monito
a non fidarsi delle Guide Supreme e dei loro Grandi Mentori: JMK e GS riusciranno, infatti, a convincere la
gente che la colpa del disastro è dei ladri e degli sprecatori d’acqua, e che quindi è necessario, sempre per il
Bene Comune, che il popolo dia alla Guida Suprema maggiori mezzi e poteri per arrestare i primi e per
educare gli altri. La Guida Suprema premierà poi, con lauti compensi e ambite onorificenze, il suo Grande
Mentore per i saggi consigli che gli hanno permesso di consolidare la sua autorità e il suo ruolo di guida.
Chi volesse fare un parallelo con la storia recente sostituisca:
- l’annuncio (falso) della presenza di tanta acqua nel serbatoio con la diminuzione dei tassi
d’interesse operata delle Banche Centrali a partire dal 2001 per convincere gli operatori della
presenza di tante risorse disponibili per gli investimenti e consumi;
- lo scavo del canale irriguo con la costruzione, nel decennio precedente il 2008, di una quantità
esagerata di immobili (buona parte dei quali è ora inutilizzata e offerta fallimentarmente in vendita) e anche con lo
sviluppo abnorme, sia in volume di attività sia in numero di addetti, di un settore finanziario che
assorbe sempre più risorse, anche lavorative;
- GS con i governi e le Banche Centrali di quasi tutto il mondo;
- JMK con gli economisti-econometrici consulenti di quei governi e di quelle Banche Centrali;
- i potenti modelli matematici su cui si basano i meteorologi con gli ancor più potenti , costosi (e
fallaci) modelli matematici su cui si basano gli econometrici (cugini bastardi degli economisti);
- i ladri, gli sprecatori d’acqua e altri eventuali capri espiatori con, a scelta: gli speculatori,
gli evasori, il neolibbberismo e la sete di profitto, i corrotti e i corruttori, la Merkel e le sue politiche di
austerity, la Cina, la globalizzazione, gli Stati Uniti, l’Euro, il Dollaro troppo forte, il Dollaro troppo debole, il
climate change, le multinazionali, i petrolieri, Donald Trump, Uncle Donald Duck, la mafia, il destino cinico e baro
e q.c.c.t.p.
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6) Il tasso d’interesse.
Il tasso d’interesse è, giova ripeterlo, un prezzo, e allora, prima di parlarne, è prudente controllare cosa
si sa del “prezzo”.
6.1) Chi stabilisce i prezzi
I sistemi per stabilire i prezzi dei beni sono essenzialmente tre: a), b) e c), con il terzo che, in realtà,
può essere considerato una combinazione dei primi due e che, a sua volta, può essere suddiviso in due tipologie
( c1) e c2) ):
a) col primo sistema, tipico del “dirigismo”, il prezzo viene deciso da un'Autorità (il parlamento, il
governo, lo sceriffo, il sindaco o qualcun altro) e tutti devono adeguarsi e scambiare quel bene a quel prezzo: chi non lo fa
(chi cioè compra o vende a un prezzo diverso da quello stabilito dall’alto, andando in questo modo ad alimentare il cosiddetto “mercato nero”)
rischia di essere sanzionato (con multe, galera o altre seccature);
b) col secondo sistema, caratteristico del “liberismo”, chiunque è libero di proporre il prezzo che
crede, così come chiunque è libero di rifiutare il prezzo che gli viene proposto.
c) col terzo sistema, anch’esso frequente nelle società dirigiste, l’autorità non fissa un particolare
livello di prezzo ma lo influenza con norme che tendono a diminuirlo o aumentarlo; i sistemi con cui la politica
riduce o innalza il prezzo di un bene possono a loro volta essere di due tipi:
c 1)
l’autorità stabilisce un prezzo massimo (come ad esempio con l’ “equo canone”, cioè per gli affitti delle abitazioni)
oppure un prezzo minimo (come, ad esempio, per gli stipendi) o sia un massimo che un minimo (come, ad esempio, le “tariffe a
forcella” in vigore nel trasporto merci fino a qualche anno fa) e gli individui possono concordare fra loro il prezzo rispettando
però quei limiti.
c 2)
l’autorità aumenta o diminuisce il prezzo che spontaneamente si formerebbe intervenendo con
delle agevolazioni che lo riducono (come, ad esempio, con i “contributi alle rottamazioni”) oppure con delle imposte (aggiuntive
rispetto all’imposta sul consumo) che lo aumentano (come, ad esempio, con le accise sulla benzina o i dazi sulle ciabatte pakistane).
I vari sistemi possono convivere fra loro, nel senso che in un certo paese e in un certo momento ci
possono essere alcuni beni i cui prezzi sono fissati dall'autorità, altri il cui prezzo è invece libero e altri ancora
col prezzo influenzato ma non esattamente determinato dalle scelte di chi ha il potere politico.
Più numerosi sono i prezzi fissati o influenzati dall’autorità e più tendenzialmente “dirigista” (socialista o
corporativo non fa una gran differenza ) è il sistema economico: più sarà, cioè, la “politica” (sia essa incarnata da un parlamento
democratico, da un partito unico o da un dittatore assoluto non fa una gran differenza ) a guidare la società e gli individui
imponendosi sull’economia (e, quindi, sui singoli).
All’opposto, più sono i beni la formazione del cui prezzo è lasciato al mercato e più quella sarà una
società liberista: più, sarà, cioè, l’“economia” (intesa come il coacervo delle innumerevoli scelte quotidiane che ognuno dei milioni di
individui prende nel decidere cosa fare nella giornata e della sua vita) a guidare la società impedendo alla politica (ma non alle
singole persone) di occuparsi della vita degli altri.
In tutti i paesi economicamente avanzati, e quindi (per ora) anche in Italia, i prezzi della gran parte dei
beni, dai prezzi dei camion a quelli delle matite, sono liberi oppure solo tenuamente influenzati dalla politica
(soprattutto con le imposte sul consumo, le accise e i dazi).
Se è vero che in Italia col tempo è diminuito il numero dei prezzi stabiliti col sistema a) (*), è però anche
vero che sono aumentati quelli che si formano attraverso il processo c), sia esso coniugato nella forma c1) (cioè
stabilendo un minimo o un massimo o entrambi) o in quella c2) (cioè influenzando il prezzo con speciali agevolazioni o penalizzazioni che
hanno l’effetto di modificare il prezzo “naturale” di mercato).
Fra due o tre pagine vedremo che il tasso di interesse è un prezzo il cui processo di formazione rientra nel
caso c), ma per esso il sistema adottato dall’autorità per modificare il prezzo “naturale” che si forma sul
mercato è specifico e ben diverso dai precedenti due: lo fa aumentando o diminuendo l’offerta di moneta.
(*) Fino a non molti anni fa, in Italia, era il governo a stabilire il prezzo, ad esempio, della benzina, del gasolio, del
metano, del pane comune, del sale, dei servizi telefonici, dell’elettricità, dei pedaggi autostradali, delle sigarette, ecc. .
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6.2) Come si forma un prezzo (e, quindi, anche un tasso) “di mercato”
A meno che un’autorità imponga un prezzo particolare, ognuno è libero di chiedere, per la sua casa che
vuole vendere come per i servizi di telefonia che produce o per i suoi broccoli o i libri usati, il prezzo che
vuole, ma è chiaro che se la richiesta è assurda (o, come si dice, “fuori mercato”) non troverà nessuno disposto ad
accordarsi con lui, in quanto nessuno preferisce spendere molto per acquistare da me una cosa che altri vendono
a poco. Cosicché chi è intenzionato a vendere (ma anche chi vuole acquistare il bene altrui) dovrà proporre un
prezzo in linea con quelli praticati usualmente dai tanti altri soggetti impegnati nella medesima operazione. E’
poi evidente che più il bene trattato è diffuso o ha alternative merceologiche, e più è difficile proporre per quel
bene prezzi che si discostano da quelli offerti dai concorrenti: il proprietario della pietra filosofale certamente
non dovrebbe temere la concorrenza di altri offerenti, ma un agricoltore che cerca di vendere il latte delle sue
mucche non può non preoccuparsi del prezzo a cui i suoi colleghi allevatori sono disposti a vendere il loro latte,
e altrettanto deve fare chi offre l’uso dei propri risparmi o chiede di poter usare soldi non suoi.
6.3) La “legge della domanda e dell’offerta” e il “prezzo di equilibrio”.
Immaginati rinchiuso a scuola e certo di doverci rimanere per i prossimi dieci giorni, senza possibilità
di uscire, insieme ad altri 99 studenti del Tricolore, muniti ognuno di 100 euro e senza possibilità di rifornirvi di
alimenti al di fuori del quotidiano passaggio di un unico merendero autorizzato a rifocillarvi. Ipotizza ora che il
merendero porti, ogni giorno, 100 panini. A quanto pensi che riuscirà a venderti ogni panino? Ritengo
estremamente probabile che accetteresti di pagarli 10 euro l’uno.
Ipotizza invece che altri merenderi siano autorizzati a proporvi liberamente in vendita i loro panini, in
modo che negli ambienti scolastici ne siano potenzialmente disponibili ogni giorno un numero enorme,
sufficiente per saziare centinaia di persone. A quanti euro ritieni che i merenderi saranno disposti a vendervi i
loro panini? Credo sia intuitivo che il prezzo di vendita di un panino si scosterà di poco dal costo sostenuto dai
merenderi per il suo acquisto (o produzione) e la sua consegna a scuola, diciamo più o meno un euro: guadagnare
poco è sempre meglio di guadagnare niente lasciando le vendite ai concorrenti.
Questo mostra come, a parità di panini richiesti (parità, perché le esigenze alimentari nelle due situazioni non mutano), il
prezzo diminuisce all’aumentare della quantità offerta (e, viceversa, il prezzo aumenta al diminuire della quantità offerta).
La cosa può anche essere vista da un’angolazione diversa: quanti di voi sono disposti a raccogliere
castagne nei boschi per venderle ai caldarrostai ambulanti a 0,10 euro al chilo? Immagino nessuno.
Quanti di voi sarebbero invece disposti a star chini nei boschi se il prezzo delle castagne fresche fosse
25 euro al chilo? Tutti, voglio sperare (ché, altrimenti, meritereste solo d’esser presi a calci nel retro). E se tutti voi andate a
raccogliere castagne il quantitativo di castagne offerto in vendita aumenta (e i vostri polmoni si ossigenano tra i boschi).
Questo dimostra come la quantità offerta di un bene economico aumenti all’aumentare del suo prezzo (e,
viceversa, la quantità offerta diminuisce al diminuire del prezzo).
Graficamente si può rappresentare il concetto in questo modo:
Quantità
offerta
Prezzo
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Attenzione: visto il grafico, non è corretto affermare che prezzo e quantità offerta sono “direttamente
proporzionali”, in quanto se è vero che all’aumentare dell’uno aumenta l’altra, non è però detto che aumentino
nella stessa proporzione: al raddoppio del prezzo la quantità certamente aumenta ma non necessariamente del
doppio. Potrebbe aumentare del triplo o del 20%, ad esempio.
Se prezzo e quantità fossero “direttamente proporzionali” la curva dell’offerta sarebbe una retta.
Provate adesso a contare quante volte nell’ultimo anno siete andati al cinema. Ora pensate a quante
volte ci sareste andati se il biglietto fosse costato un euro. Certamente qualcuna in più, a meno che non vi
piaccia questo genere di svago. Quanti film avreste visto, invece, se l’ingresso fosse costato 50 euro?
Certamente di meno, e forse nessuna. Ciò per evidenziare come la quantità domandata di un bene diminuisce
all’aumentare del suo prezzo.
Graficamente:
Quantità
domandata
Prezzo
Se in un certo momento, al mercato di Reggio Emilia, 2,14 € al chilo è il prezzo dei lattonzoli, questo
significa che in quel momento, a Reggio, gli operatori economici sono disposti ad acquistare, a quel prezzo, un
quantitativo di lattonzoli (ad esempio 133.333 chilogrammi) esattamente uguale (133.333 chilogrammi) al quantitativo di
lattonzoli che altri operatori sono disposti a vendere in cambio di 2,14 € lire al chilo.
Si dice che 2,14 € è, in quel momento e in quel luogo, il prezzo di equilibrio dei lattonzoli.
Quantità
(kg)
500.000 domanda
offerta
220.000
133.333
60.000
0
1,00
Peq.
3,00
4,00
5,00
Prezzo (€/kg)
Nel grafico si legge, ad esempio, che se il prezzo fosse di 3 euro gli allevatori e i commercianti
riverserebbero sul mercato 220.000 kg di maialini, ma si legge anche che a quel prezzo gli acquirenti sarebbero
disposti a comprare soltanto 60.000 kg. Rimarrebbero quindi invenduti qualche migliaio di porcellini pari a
160.000 chili di carnose prelibatezze rosa. Questo significa che 3 euro non è quindi un prezzo di equilibrio.
Se, partendo dal un prezzo di equilibrio di 2,14 euro, il quantitativo domandato a quel prezzo diventa
133.334 (perché ai 133.333 di prima si aggiunge 1 chilo domandato da me per il regalo di compleanno del mio cane), allora, essendo
come si è detto i possessori di lattonzoli disposti a vendere a quel prezzo (2,14 €) soltanto 133.333 chili, non
vi è più coincidenza fra domanda ed offerta. Perciò non tutti gli acquirenti riusciranno a soddisfare le proprie
esigenze (forse io, oppure se io riuscissi a comprare il chilo di carne allora qualcun altro, che pure era disposto a spendere 2,14 €, non lo troverà
più). Si dice che il prezzo non è più in equilibrio. A meno che qualche operatore non diminuisca la propria
quantità richiesta per motivi suoi (magari perché il colesterolo gli è andato troppo su o perché Maometto gli è apparso in sogno) ,
l’unico modo per avere la certezza che il mio cane festeggi alla grande il compleanno è convincere un detentore
di lattonzoli – che ritiene il prezzo attuale di 2,14 non per lui conveniente perché troppo basso – a vendere la
sua merce. E l’unico sistema per convincerlo, in un regime di scambi liberi e quindi volontari, è offrire un
prezzo maggiore, ad esempio 2,15 €.
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A quel prezzo il quantitativo di lattonzoli offerto aumenterà (ad esempio diventerà 133.333,8 chili) perché chi era
disposto a vendere a 2,14 lo sarà a maggior ragione anche a 2,15, e a questi si è aggiunto qualcuno che ritiene
2,14 un prezzo troppo basso e, al contrario, 2,15 un prezzo accettabile; contemporaneamente diminuirà la
domanda, perché dai 133.333 + 1 chili di prima verrà a mancare la richiesta, ad esempio, di 0,2 chili di qualche
acquirente disposto a pagare 2,14, ma che ritiene 2,15 un prezzo troppo caro.
Se questo avviene, il nuovo prezzo di 2,15 € può essere ancora chiamato di equilibrio, perché rende di
nuovo uguali il quantitativo domandato ed offerto (al nuovo livello, questa volta, di 133.333,8 chili).
Nulla è più instabile del prezzo di equilibrio, nel senso che esso varia continuamente: il continuo variare
delle intenzioni di acquisto e di vendita altera (= modifica) istante dopo istante il rapporto fra domanda e offerta,
elevando il prezzo quando la pressione della domanda eccede quella dell’offerta e, viceversa, deprimendolo
quando è l’offerta che si fa più intensa della domanda.
Il “prezzo di equilibrio” di un bene, cioè il “prezzo di mercato” che si forma in un certo istante, è
leggibile, per ciò che si è detto più sopra, come una sorta di media dei diversi valori che le persone (gli “operatori del
mercato”) in quell’istante danno al bene; poiché il valore che ognuno di noi dà a un bene cambia continuamente
perché continuamente cambiano le nostre esigenze e condizioni, allora anche il prezzo di equilibrio si modifica
in continuazione.
E’ questo il motivo per cui, ad esempio, il prezzo del petrolio, dei lattonzoli, dell’oro, dell’erba medica,
dei carciofi ma anche quello delle azioni, delle obbligazioni e di tutti gli altri prodotti finanziari che vengono
compravenduti (scambiati) in borsa sale e scende continuamente.
Da quanto scritto nel capitolo 5) si ricava che nel caso del tasso d’interesse, cioè del prezzo per l’uso del
denaro, alle normali cause che fanno oscillare i prezzi se ne aggiunge una specifica, cioè la volontà politica
della Banca Centrale. Ecco perché, a pagina 21, ho scritto “il tasso di interesse è un prezzo il cui processo di
formazione rientra nel caso c), anche se per esso il sistema adottato dall’autorità per modificare il prezzo “naturale” che
si forma sul mercato è specifico e ben diverso dai precedenti due: lo fa aumentando o diminuendo l’offerta di moneta.”
6.4) Tra Economia e Italiano: tasso d’interesse e Promessi Sposi.
Nel XII capitolo del suo capolavoro, Manzoni, raccontando l’assalto al forno delle grucce, descrive un
effetto di una decisione politica sbagliata: l’azione politica infausta è imporre per legge a un bene scarso un
prezzo più basso di quello “naturale” (cioè del prezzo di libero mercato); l’effetto non è la diminuzione del disagio
causato dalla la scarsità di quel bene, ma piuttosto, e soltanto, l’aumento del disordine sociale.
Nella cronaca Manzoniana i disordini sono collegati al prezzo “politico”
del pane, prima abbassato forzatamente dal Gran Cancelliere Antonio Ferrer per
tener buono il popolo affamato e poi, quando i fornai quasi cessarono la
produzione perché stanchi di vendere a un prezzo che non copriva i costi e così
il pane mancò del tutto, aumentato dal governatore Don Gonzalo de Cordova a
un livello deciso da una giunta di saggi che si credevano in grado di stabilire il
giusto prezzo.
“Don Gonzalo, ingolfato fin sopra i capelli dalle faccende della guerra,
fece ciò che il lettore s’immagina certamente: nominò una giunta, alla quale
conferì l’autorità di stabilire al pane un prezzo che potesse correre; una cosa da
poterci campar tanto una parte che l’altra. I deputati si radunarono, o come qui
si diceva spagnolescamente nel gergo segretariesco d’allora, si giuntarono; e
dopo mille riverenze, complimenti, preamboli, sospiri, reticenze, proposizioni in
aria, tergiversazioni, strascinati tutti verso una deliberazione da una necessità
sentita da tutti, certi che tiravano un gran dado, ma convinti che altro non v’era
da fare, si accordarono ad aumentare il prezzo del pane. I fornai respirarono,
ma il popolo imbestialì. (*)”
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Manzoni ha ben chiaro che il rincaro del prezzo è, oltre che una conseguenza della scarsità dell’offerta,
anche l’indispensabile suo rimedio: “ … la penuria [di farina] si fece subito sentire, e con la penuria quel suo
doloroso, ma salutevole come inevitabile effetto, il rincaro.”
L’aumento di un prezzo è infatti, sebbene “doloroso”, anche “salutevole” perché stimola un aumento
dell’offerta (oltre che una diminuzione della domanda); i prezzi sono segnali, segnali che indicano agli
operatori economici (cioè a tutti noi, a tutti coloro che hanno una qualche possibilità di acquisto o di vendita) la corretta direzione da
seguire: chi acquista è invitato, dal prezzo che sale, a sostituire almeno parte quel bene con altri il cui prezzo è
divenuto ora (relativamente) più conveniente; chi vende è invitato, dal prezzo che sale, a produrre o procurarsi
un quantitativo maggiore di quel bene. All’epoca dei fatti magistralmente descritti nei Promessi Sposi la
carenza di pane, e quindi il suo alto prezzo, era la conseguenza dell’alto prezzo del grano, a sua volta causato da
alcuni anni di scarsi raccolti nel territorio lombardo: il naturale aumento del suo prezzo avrebbe stimolato, se
nel ‘600 gli scambi fossero stati liberi (se cioè la “globalizzazione” fosse stata già in atto) l’afflusso di grano da altri territori
attenuando il problema. La decisione del Gran Cancelliere Antonio Ferrer di fissare per decreto governativo un
prezzo (del pane o del grano) più basso di quello di mercato peggiorò non poco una situazione già non
naturalmente brillante.
Nella realtà odierna il prezzo che viene spesso abbassato d’imperio dalla politica non è quello del pane o
di qualche altro singolo bene, bensì quello dell’uso del denaro.
Essendo però il denaro il mezzo per
compravendere tutti i beni, l’effetto di questa azione si ripercuote non su un solo settore produttivo ma
sull’intero sistema economico, e rischia così di provocare il disordine economico generale.
In tutti i casi, lo ripeto ancora, l’effetto di un prezzo “troppo” basso di un bene è duplice: ne
aumenta innaturalmente la domanda e ne inibisce, ancora innaturalmente, la produzione. Applicato alla
moneta, questo duplice effetto provoca un eccesso di richiesta di finanziamenti (la domanda di capitali
finanziari) e una riduzione di produzione di risparmio (l’offerta di capitali).
Forzando verso il basso i tassi d’interesse attraverso le manovre monetarie espansive, la Banca Centrale
cerca (spesso s’illude) di sostituire la carenza di beni reali investiti
ragionevolmente, con l’abbondanza di capitali finanziari. Ma la
mancanza di risparmio (reale, non monetario) difficilmente può essere
“sostituita” dall’aumento di produzione di moneta, e se anche in questo
modo si riuscisse a stimolare gli investimenti, è probabile che questi
risultino irragionevoli perché fatti seguendo le indicazioni offerte da
prezzi innaturali , come irragionevoli si sono dimostrati gli investimenti
nel settore edile del decennio precedente la crisi del 2008, investimenti
che furono stimolati dalla continua crescita del prezzo delle case a sua
volta originata dal progressivo calo del costo del denaro (e il motivo di
questo collegamento “diminuzione dei tassi → aumento dei prezzi dei beni
d’investimento” lo si vedrà meglio nel capitolo a pagina ).
I membri della cui giunta esecutiva della BCE
intenti a stabilire il “giusto” tasso d’interesse.
(*) Notare come l’ironia di Manzoni sferza la presunzione mercantilistica dei pianificatori, i quali, allora come oggi, nelle
giunte, nei governi e nei parlamenti si consolidano nella convinzione della loro utilità attraverso pomposi rituali autoreferenziali.
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