L’Interesse, i calcoli finanziari e la moneta.
1) Cosa è l’interesse (nel suo significato più noto e superficiale)
pag. 1
2) Il montante
pag. 3
0)
Prima premessa (paterna)
0bis) Seconda premessa
pag. 5
pag. 7
3) Il tempo e il valore dei beni
pag. 8
4) Cosa è l’interesse (nel suo significato meno noto e più profondo)
pag. 9
5) La matematica finanziaria (con poca matematica)
pag. 12
pag. 13
pag. 15
pag. 17
pag. 19
5.1) La frequenza del pagamento (o della capitalizzazione) degli interessi
5.2) Tasso fisso e tasso variabile
5.3) Come si forma un prezzo (e quindi anche un tasso) di mercato
5.4) Se i tassi calano (aumentano) il valore dei crediti cresce (cala)
6) Cosa è la moneta
6.0) Premessa
pag. 22
6.1) Nascita, natura e importanza della moneta
6.1.1) Inevitabilità degli scambi
6.1.2) Come è nata la moneta
6.1.3) Dall’oro alla carta
pag. 22
pag. 22
pag. 24
pag. 25
6.2) Vari tipi di moneta
6.2.1) Moneta merce e moneta segno
6.2.2) Moneta legale e moneta privata
pag. 28
pag. 28
pag. 29
7) La moneta oggi
7.1) Chi produce la moneta, come viene prodotta e come funziona
7.1.a) Chi produce, come viene prodotta e come funziona la moneta legale
7.1.b) Chi produce, come viene prodotta e come funziona la moneta bancaria
Il moltiplicatore monetario
8) Come le banche erogano i finanziamenti
pag.
pag.
pag.
pag.
30
30
33
36
pag. 41
0
1) Cosa è l’interesse (nel suo significato più noto e superficiale)
Che per usare i beni altrui sia necessario pagare un prezzo, è
assolutamente naturale: nessuno trova illogico od iniquo che per
abitare in un appartamento di un altro gli si debba pagare l’affitto e
che per noleggiare un’auto a Milano o un pedalò a Riccione si debba
pagare.
Il prezzo per l’uso degli immobili altrui (case e terreni) è
spesso chiamato “affitto”, il prezzo per l’uso dei beni mobili altrui
(auto, ombrelloni) è chiamato “noleggio” e il prezzo per l’uso del
denaro altrui è chiamato “interesse”.
Affitto, noleggio e interesse hanno, quindi, la stessa natura: sono il corrispettivo ( = il
compenso, il prezzo) da pagare per usare i beni degli altri.
Mi preme (= ci tengo molto) far notare che solo una parte dell’affitto e del noleggio che
l’utilizzatore paga serve a indennizzare il proprietario per l’usura provocata al bene, un’altra parte è
invece il corrispettivo per il solo uso.
Infatti, se anche il bene non si usurasse sarebbe comunque inevitabile dover pagare per il suo
uso: se, per assurdo, le cose che usiamo fossero indistruttibili e inconsumabili (come è la moneta) e ci
fosse la possibilità di prenderle a noleggio gratuitamente, nessuno acquisterebbe nulla, essendo più
conveniente sfruttare gratis i beni acquistati dagli altri. Ma se nessuno acquistasse, nessuno
produrrebbe per vendere agli altri, e allora si tornerebbe all’economia del paleolitico, quando ognuno
produceva da sé tutto ciò che gli serviva e non c’erano scambi, si tornerebbe cioè nel mondo che i no
global e altri che nulla sanno di economia sognano e in cui, però, tutti morirebbero di stenti.
Morale: pagare un prezzo per l’uso dei beni altrui (e non solo per indennizzare la loro, eventuale, usura) è
necessario per uscire dalle caverne.
Se è naturale pagare un prezzo per l’uso dei beni altrui, è quindi anche naturale pagare un
prezzo (l’interesse) per usare il denaro degli altri, e cioè è naturale che il debitore, per usare il denaro
del creditore, gli debba pagare un compenso, sebbene il denaro non si usuri con l’uso (può stupire,
piuttosto, che pretendere l’interesse sia stato considerato, per tanti secoli e in varie civiltà, una colpa).
Se il prezzo dell’uso di un tandem è 5 € l’ora, ad un gruppo di amici l’uso di 4 tandem per 3
ore costerà 4 x 5 x 3 = 60 €, essendo ovviamente il prezzo complessivo direttamente proporzionale alla
quantità usata (4 tandem), al prezzo unitario (5 € per un tandem per un’ora) e al tempo di utilizzo (3 ore).
Allo stesso modo, per determinare quanto costa usare 6.000 euro per 2 anni sarà sufficiente
conoscere il prezzo unitario e moltiplicarlo per la quantità e per il tempo. Il prezzo dell’uso di 1 euro
(o di una qualsiasi altra unità di moneta diversa dall’euro, come ad esempio di una sterlina o di un dollaro ecc.)
viene in genere riferito, invece che ad un’ora come per il tandem o a un mese come per gli
appartamenti, ad un anno di tempo, e viene chiamato “tasso d’interesse” e simboleggiato con “i”
oppure con “r” se è espresso in percentuale (cioè in centesimi).
Così se “i” viene fissato in 0,07 € (che può anche essere scritto r = 7% o 7/100) significa che chi
usa il denaro altrui paga 7 centesimi di euro per ogni euro preso in prestito per ogni anno di tempo che
lo si è utilizzato. L’uso dei 6.000 euro per 2 anni costerà 6.000 x 0,07 x 2 = 840 euro. In simboli:
I=Cxixt
1
Quasi sempre nella pratica commerciale il prezzo dell’uso del denaro viene espresso con la
percentuale (cioè 5% invece di 0,05) e simboleggiato con “r” (invece che con “i”). Invece in
matematica finanziaria si utilizza spesso il simbolo “i” e il valore in unità (cioè non in percentuale).
E’ chiaro, comunque, che dire “pago 0,05 € per usare un euro per un anno” è la stessa cosa
che dire “pago 5 € per usare 100 euro per un anno”: è solo un modo diverso per indicare uno stesso
prezzo, così come 0,5 € all’etto è la stessa cosa di 5 € al chilo.
Lo riscrivo: I = C x i x t segnala che il prezzo complessivo che si paga per usare il denaro altrui
(I = interesse) è proporzionale alla quantità di denaro usata (C = capitale), è proporzionale al prezzo
unitario (i = tasso d’interesse, cioè quanto si paga per usare 1 euro per 1 anno) ed è proporzionale al tempo
(t = per quanti anni o frazione di anno si usa il denaro altrui, perché il tempo deve essere espresso in ANNI).
Ecco allora che:
-
Se presto 7.500 € al tasso dello 0,08 (o 8%) per 40 giorni allora, essendo 40 giorni pari a
40/365 (quaranta trecentosessantacinquesimi) di anno, guadagno 65,75 € di interesse.
Infatti: I = C x i x t → 7.500 x 0,08 x 40/365 = 65,75;
-
Se prendo in prestito 5.000 € al tasso del 6,25% (o 0,0625) per 18 mesi allora, essendo 18 mesi
pari a 18/12 (diciotto dodicesimi) di anno, devo pagare 468,75 € di interesse.
Infatti: I = C x i x t
→ 5.000 x 0,0625 x 18/12 = 468,75.
La formula dell’interesse ( I = C x i x t ) è composta di quattro grandezze fra loro legate dalla
relazione della proporzionalità diretta; se tre di esse sono conosciute allora risulta possibile individuare
la quarta, qualunque essa sia ( I, C, i oppure t ): basta risolvere una semplice equazione di 1° grado.
Volendo risolvere un problema inverso dell’interesse, ci basta sostituire ai simboli della formula
diretta I = C x i x t i valori noti, impostando così l’equazione che poi risolveremo. Ad esempio:
Ho prestato dei soldi per mezzo anno al tasso d’interesse del 12% (i = 0,12) ottenendo 150,00 €
di interessi. Quanti soldi ho prestato? (Faccio presente che ½ si può scrivere anche 0,5)
Da I = C x i x t sostituisco ai simboli i valori noti: 150,00 = C x 0,12 x 0,5 e dopo aver isolato
l’incognita C la soluzione è data da:
150,00
C = --------------------- → C = 2.500,00 €
0,12 x 0,5
Ho preso in prestito 30.000 € per 94 giorni pagando 730,11 € di interessi. Che tasso i è stato
applicato?
Da I = C x i x t sostituisco ai simboli i valori noti:
isolato l’incognita i la soluzione è data da:
730,11
i = ----------------------------------------------- →
30.000 x 94/365
730,11 = 30.000 x i x 94/365
e dopo aver
730,11 x 365
i = ---------------------------------------------------30.000 x 94
→
i = 0,0945 (o anche r = 9,45%)
2
Ho prestato 15.000 € al tasso dell’8,5% ottenendo 1.020,00 € di interessi. Quanto tempo è
durato il prestito?
Da I = C x i x t sostituisco ai simboli i valori noti:
isolato l’incognita t la soluzione è data da:
1.200
t = ---------------------- →
15.000 x 0,085
t = 0,8 anni
1.020 = 15.000 x 0,085 x t
→
t = 0,8 x 365
e dopo aver
→ t = 292 giorni
Coloro tra voi che, per sciocca e disprezzabile pigrizia, preferiscono usare la memoria pur di
non ragionare, possono risolvere i problemi inversi dell’interesse imparando stupidamente a memoria
le seguenti formule inverse:
I
C = ---------------------ixt
I
i = -----------------------Cxt
I
t=
----------------------------
Cxi
2) Il montante.
Il “montante” è la somma fra il capitale e gli interessi che ne derivano. In simboli: M = C + I .
Poiché, come dovresti già sapere, I = C * i * t , sostituendo si ha che M = C + C * i * t , e allora si può
anche scrivere – raccogliendo C – che: M = C * (1 + i * t) .
Come sempre, non mi interessa che impariate a memoria le formule: se anche non le ricordate
fa nulla, anzi: è anche meglio, a patto però che le sappiate ricostruire da soli; quindi non mi interessa
nemmeno che memorizziate la formula per calcolare direttamente il montante, purché siate in grado di
trovarla partendo dalla formula dell’interesse, nel modo che si è visto qui sopra nelle due righe
riquadrate.
Da quanto scritto ne deriva che per rispondere alla domanda “che montante produce in tre mesi
un capitale di 15.000 € impiegato al tasso del 9% ?” si possono seguire due strade:
1.
applicare la formula diretta del montante M = C * (1 + i * t) [M = 15.000 *(1 + 0,09 * 3/12) = 15.337,50 ]
2.
calcolare prima gli interessi I = C * i * t [I = 15.000 * 0,09 * 3/12 = 337,50 € ] e poi sommarli al capitale di
partenza [M = C + I → M = 15.000 + 337,50 = 15.337,50 ].
3
Dal momento che si può arrivare al montante calcolando prima gli interessi e poi sommandoli
al capitale, a qualcuno può venire l’idea che la formula del montante M = C * (1 + i * t) serva a nulla, e in
effetti per risolvere i problemi “diretti” di individuazione del montante (conoscendo il capitale, il tasso e il
tempo) è sufficiente ricordarsi la formula dell’interesse I = C * i * t e seguire la strada 2.
Ma se il montante lo conosciamo e, invece, il termine incognito (= il dato da trovare) è il capitale, allora è
indispensabile conoscere la formula del montante. Provate, infatti, a risolvere questo problema:
Dopo aver prestato dei soldi per 6 mesi al tasso del 14% ho ottenuto un montante di 13.375 €.
Quanti soldi (= che capitale) avevo prestato?
In casi come questo non possiamo passare, prima, dal calcolo dell’interesse perché della
formula I = C * i * t non conosciamo né I e nemmeno C, che è proprio ciò che dobbiamo trovare, ma solo
iet.
Ecco allora che diventa indispensabile utilizzare la relazione diretta fra M e C data dalla
formula M = C * (1 + i * t) .
Sostituendo alle lettere della formula i dati noti del problema (il montante, il tasso e il tempo) si scrive
l’equazione: 13.375 = C * (1 + 0,14 * 6/12) e la si risolve con la tecnica che vi è ben nota (si spera …) :
C = 13.375 ÷ (1 + 0,14 * 6/12)
→
C = 13.375 ÷ (1 + 0,07)
→
C = 13.375 / 1,07
→ C = 12.500 €
Da quanto scritto appena sopra si ricava che la formula per trovare il capitale che (prestato a un
certo tasso e per un certo tempo) ha originato un certo montante è: C = M / (1+i*t); come al solito, serve a
poco impararla a memoria in quanto la si può ricavare dalla formula precedente M = C * (1 + i * t).
E’ invece importante che tu sappia che, anche allo scopo di confondere le idee agli studenti, a
volte “M” (il montante) viene chiamato “C” (capitale a scadenza) e allora in questo caso il capitale viene
chiamato “Va” (valore attuale). Ad esempio, il problema proposto a inizio pagina può anche essere
esposto in questi termini:
Quale è, se il tasso è del 14%, il valore attuale di un capitale di 13.375 € che sarà disponibile fra 6
mesi?
Gli altri problemi “inversi” del montante, invece, possono essere risolti in due modi:
1. applicando la formula M = C * (1 + i * t) ; oppure 2. calcolando prima l’interesse e da questo arrivare
alla soluzione. Ad esempio, il problema
per quanto tempo occorre prestare 80.000 € al tasso del 5% per ottenere un montante di 81.000 €?
si può indifferentemente rispondere nei due sistemi: col metodo 2. , e cioè trovando prima gli interessi
(I = M – C = 1.000) per poi ricavare l’incognita tempo risolvendo l’equazione:
[ I = C * i * t → t = I ÷ (C * i) → t = 1.000 ÷ (80.000 * 0,05) → t = 0,25 anni → 0,25 x 12 = 3 mesi ], oppure con il
metodo 1., e cioè inserendo i termini noti nella formula diretta del montante 81.000 = 80.000 * (1 + 0,05 * t)
e risolvere l’equazione: [ 81.000 = 80.000 + 4.000*t
→
81.000 – 80.000 = 4.000 *t
→
t*4.000 = 1.000
→ t = 1.000 ÷ 4.000
→
t = 0,25 anni → 0,25 x 12 = 3 mesi ]
4
0) P.p.p. (Prima premessa paterna (se me lo concedete) )
Il primo paragrafo di questi appunti che dovrebbero servirti per cominciare a capire qualcosa del “mondo
finanziario” l’ho intitolato “Cosa è l’interesse (nel suo significato più noto e superficiale)”. Prima di proseguire, dal paragrafo 3),
sulla strada della comprensione più profonda dell’argomento ( più profonda del livello di comprensione della gran parte della
popolazione) ti tocca però sorbirti tre pagine che ho scritto non solo – e non tanto – per insegnarti l’economia (aziendale e non),
quanto per contribuire a insegnarti a stare al mondo. Sono certamente vecchio, probabilmente un po’ suonato e non posso
nemmeno del tutto escludere di essere tuo nonno, perciò con le prossime tre pagine mi prendo la libertà di estendere oltre
la norma la mia funzione di insegnante.
Ecco allora che devi sapere che c’è una giovane pulce, sveglia e intelligente, nata e cresciuta nel sottopelo di
Frei, il mio pastore tedesco a pelo lungo. La pulce è convinta che d’estate piova spesso e d’inverno quasi mai, e lo è
proprio perché è intelligente: si è accorta che d’estate, quando fa caldo, non passa quasi mai settimana senza che arrivi un
acquazzone, mentre in tutto l’inverno piove si e no un paio di volte.
Tutta la sua intelligenza e il suo spirito di
osservazione non sono bastati per farle capire la realtà, anzi l’hanno portata a prendere un granchio colossale, e ciò perché
si è basata sulla sua sola esperienza. Se avesse letto anche solo il più elementare manuale di meteorologia, oppure
avesse fatto lo sforzo di lasciare il comodo rifugio del sottopelo di Frei e si fosse arrampicata fino fuori all’aria aperta,
avrebbe capito che d’estate piove quasi mai e che, semplicemente, io in quella stagione faccio il bagno più spesso al mio cane di
quanto non faccia d’inverno, quando invece piove spesso ma tengo Frei in casa e all’asciutto.
La metafora (o è un’allegoria? Chiedilo all’Aleotti) vuole significare che tu (come la pulce, ma anche come qualunque essere
umano) non puoi sperare di comprendere il mondo o anche solo ciò che ti sta attorno limitandoti a osservare pigramente
quel che accade: capire costa fatica, e lo sforzo necessario alla pulce per uscire dal fitto ma per lei comodo intrico di peli e
scoprire un universo ben più ampio è la tua fatica necessaria per studiare così da comprendere le cose che qualcun altro,
prima di te e con esperienze diverse dalle tue, ha già scoperto e capito. E la sorpresa della pulce nel vedere un mondo
tanto più ampio e luminoso del sottopelo di Frei potrebbe essere la tua meraviglia e soddisfazione nello scoprire il fascino,
l’interesse e la bellezza in cose che prima ti annoiavano o non vedevi nemmeno. Credimi: le soddisfazioni più profonde
e perfino i piaceri più intensi implicano una preventiva fatica.
Per i maschietti potrei esemplificare con l’impegno del corteggiamento per giungere alla gratificazione di una
conoscenza femminile, oppure, per gli sportivi, con la fatica dell’allenamento in funzione della vittoria o della scalata per
giungere in vetta. Ma la regola vale anche per la fatica dello studio sempre necessaria per il piacere della comprensione:
tutti siamo in grado di comprendere al massimo livello di profondità ( si fa per dire) una canzone di Ligabue, una telenovela o
una puntata di “Amici”, e quindi tutti possiamo trarne il massimo piacere possibile, compatibilmente con i nostri gusti. Al
contrario, però, soltanto chi con lo studio ha affinato la propria cultura e sensibilità è in grado di comprendere a fondo – e
quindi di apprezzare – un quartetto per archi di Beethoven, un canto del Paradiso dantesco o una tragedia di
Shakespeare. Se, invece, li troviamo terribilmente pallosi, non è una questione di gusti, bensì di incapacità di andare oltre
la loro superficie: non avendo studiato abbastanza, non siamo dotati degli strumenti culturali che, soli e a mo’ di piccone,
permettono di infrangerne la crosta e dischiudere così un mondo straordinario di cui, da ignoranti, non riusciamo nemmeno
a immaginare l’esistenza.
E il piacere non si limita alla comprensione delle opere della mente umana: forti soddisfazioni le potresti anche
trarre, ad esempio con lo strumento della fisica, dalla comprensione dell’eleganza delle medesime forze che governano sia
gli atomi che l’universo, oppure, attraverso lo studio della storia e dell’economia, comprendendo le realtà sociali in cui
viviamo, o chissà cos’altro; ognuno è fatto a suo modo, fortunatamente, e nessuno può dirti cosa è che ti appassionerà
quando lo avrai conosciuto.
Non ti resta che provare, approfittando anche delle occasioni che la scuola ti propone, magari con una lezione
sulle ballate medioevali celtiche o con delle tediose pagine che parlano di aziende e di economia.
Usando le parole del Sommo, avrei potuto risparmiare questa pagina scrivendo: “Considerate la vostra semenza:
fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtude e conoscenza” (Dante, Inferno, canto 26°, 1300 circa) (per l’Aleotti: canoscenza).
5
L’invito, quindi, è a essere curiosi, a cogliere le occasioni per vedere e provare cose e esperienze nuove, e a farlo
attivandoti da te, senza aspettarti troppo dalla scuola (sfortunatamente) pubblica; lo “Stay hungry. Stay foolish” di Steve
Jobs ai giovani di Stanford è il mio più modesto invito a vigilare, sempre, affinché la routine non ti avviluppi e ti spenga, a
fare in modo che l’abitudine a facebookkare quotidianamente e discotecare settimanalmente non soffochi la tua crescita.
Per far ciò è necessario essere aperti, vincendo pigrizia e timori, a sperimentare molte strade, cogliendo le
occasioni per nuove esperienze. Non penso a nulla di eccezionale, bensì a quelle opportunità di variare l’andamento più
usuale della vita quotidiana che, sebbene con frequenza diversa, si presentano di tanto in tanto a tutti. Come, per fare solo
due esempi fra loro lontanissimi, i cento chilometri a piedi e con tenda in spalla di una settimana di vacanza in montagna a
cui, per timore della fatica e delle vesciche, si è scioccamente portati a preferire la casa o l’albergo al mare; oppure lo star
accanto al familiare o all’amico gravemente ammalato, che invece tendiamo a sfuggire temendo il troppo dolore e la nostra
inadeguatezza. Fatica, vesciche e angoscia passano, mentre il ricordo delle esperienze forti rimane, e rende migliori.
Come rimane la cultura, che qualcuno saggiamente definì “ciò che resta in noi dopo che abbiamo dimenticato
tutto quello che avevamo imparato”, concetto che si presta anche per ribadire che imparare non è sufficiente (e tanto meno
è sufficiente, e a volte nemmeno necessario, prendere un buon voto nelle verifiche a scuola): è anche necessario capire e, per quanto
possibile, applicare, utilizzare ciò che si è studiato, magari usandolo per comprendere altre cose ancora, per rispondere ad
altre domande che ci poniamo da soli, mossi dalla curiosità. Se non si interiorizza ciò che si studia, se non lo si assorbe in
profondità, dopo poco resterà nulla dello sforzo fatto, essendo quasi inevitabile il dimenticare.
Il granchio preso della pulce di Frei, che a causa dalla sua scarsa esperienza ed eccessiva ignoranza della realtà
ha scambiato l’inverno con l’estate, è analogo alle tante cantonate che prende chi, leggendo qualche articolo di giornale e
guardando “Ballarò”, “Reporter” o altre trasmissioni televisive ma senza studiare economia, parla di questioni economiche
magari sostenendo la cretinata che alcuni paesi sono poveri perché altri ( nel ricco Occidente) consumano le risorse che
spetterebbero ai primi, oppure la stupidaggine secondo cui i giovani non trovano lavoro perché si impedisce ai lavoratori
anziani di andare in pensione, o ancora l’idiozia che se adottassimo la pratica degli “acquisti a chilometri zero” (non acquistando
al supermercato i kiwi prodotti in Cile ma comprandoli direttamente dall’azienda agricola di Bagnolo) risparmieremmo in termini sia economici
che d’inquinamento, o, infine e solo per non tenerla troppo lunga, la boiata che il governo, per non fare aumentare troppo il
prezzo della benzina, dovrebbe intervenire sui petrolieri obbligandoli a limitare i prezzi. Tutte cretinate, stupidaggini, idiozie
e boiate che appaiono però logiche e credibili a chi delle questioni economiche ha un’idea totalmente falsa perché basata
solo sulla sua scarsa esperienza e l’insufficiente studio.
Purtroppo l’economia, intesa come scienza, ha solo pochi secoli di vita, ed è quindi particolarmente giovane se la
si paragona ai millenni della fisica, della matematica o della filosofia.
L’avanzamento della conoscenza in campo economico è stato poi anche fortemente rallentato dalla mancata
diffusione di alcune intuizioni avute da vari pensatori in piena epoca medioevale e rinascimentale. La mancata lettura dei
loro scritti da parte di coloro che, nei secoli successivi e fino al XIX ( che si legge 19°, cioè il 1800), avrebbero poi per primi
studiato l’economia in modo sistematico (i cosiddetti economisti di scuola “classica”) ha prodotto guasti notevoli, diffondendo idee
sbagliate di cui ci si è sbarazzati troppo tardi, facendo così perdere tempo prezioso allo sviluppo delle conoscenze
economiche e, quel che peggio, contribuendo al radicarsi nella gente comune, che non studia l’economia, di convinzioni
apparentemente ragionevoli ma in realtà del tutto sbagliate, come gli esempi precedenti a cui qui aggiungo, nella remota
speranza di incuriosire almeno un po’ qualcuno di voi, la fesseria secondo cui il prezzo dei prodotti è una conseguenza del
loro costo di produzione: in realtà, infatti, è l’esatto contrario, essendo il prezzo dei fattori produttivi a dipendere dal valore
del prodotto.
6
0bis) P.s. (Premessa seconda)
Sei in macchina, accendi la radio e ti capita di sintonizzarti su un canale nel momento in cui la
conduttrice chiede ai due “esperti”, ospiti della trasmissione: “ … ma allora, in conclusione, quali sono le
cause dell’insonnia e quali i rimedi che si possono suggerire?” Il primo esperto risponde: “Il fatto che i
disturbi del sonno siano sempre più diffusi fra la nostra popolazione è principalmente dovuto alla recente
accelerazione del moto rotatorio del sole intorno alla terra che causa significative alterazioni nel
metabolismo umano. Il rimedio all’insonnia è, quindi, utilizzare orologi a velocità variabile, sincronizzati
con il mutante movimento del sole”; interviene il secondo ospite: “Ciò che ha detto il prof. Mentechiara è
innegabile, e una dimostrazione è che il problema dell’insonnia non si è aggravato fra le popolazioni
dell’Oceania, proprio per effetto del fatto che all’accelerazione del moto solare nell’emisfero boreale si
contrappone un rallentamento del sole nell’emisfero australe”.
Arrivi a casa, convinto di aver ascoltato una trasmissione comica non particolarmente divertente;
sali le scale, entri in cucina dove, con la televisione accesa, ti accoglie tua madre: “Hai sentito cosa hanno
deciso all’ONU? L’ha proposto Obama, ma sono stati tutti d’accordo, anche la Cina: fra due settimane,
quando la luna sarà piena, verrà bloccata nel cielo così che tutte le notti dell’anno saranno rischiarate
dalla sua luce e si potrà risparmiare il 53,72% dell’energia elettrica consumata per illuminare le strade del
mondo. Non ti sembra una grande idea?”
Stupefatto, esci di casa e ti accorgi che tutti ormai usano orologi a velocità variabile causando casini
incredibili e si aspettano che la prossima luna rimarrà piena tutte le notti. Pizzicotto di verifica: non stai
sognando. A questo punto, consapevole di aver seguito le lezioni di geografia astronomica alle medie con
scarsa attenzione, vai su Wikipedia e per scrupolo anche alla Panizzi a consultare un testo di astronomia; è
come pensavi, sono tutti pazzi e tu hai ragione: è la terra che gira intorno al sole, è la rotazione della terra
sul suo asse a determinare il giorno e la notte e fermare la luna non è possibile.
La situazione descritta non è, ovviamente, immaginabile che si verifichi; ma lo stato d’animo che
vivresti se si realizzasse è analogo a quello di chi ha studiato (e capito) l’economia e vive nel mondo reale:
ascolta corbellerie in tutte le trasmissioni, legge idiozie sui giornali, frequenta persone la gran parte delle
quale crede a quelle sciocchezze e vede i governi di un po’ tutto il mondo prendere decisioni sbagliate.
Perché l’economista è condannato a vivere questa esperienza che, invece, all’astronomo viene
risparmiata? Perché le idee e le teorie astronomiche nulla a che fare hanno, almeno da qualche secolo, con
il potere di governo e con gli interessi economici, mentre le idee e le teorie economiche hanno ancora, e
avranno sempre, una diretta influenza sul potere politico.
E’ naturale che un tempo l’idea errata che il sole girasse intorno alla terra fosse diffusa: le
conoscenze scientifiche erano pressoché nulle e l’apparire dell’alba a Est e del tramonto a Ovest portava a
quella convinzione.
Se oggi tutti sanno che è la terra a girare intorno al sole e che è il suo girare su sé
stessa ad alternare il giorno e la notte, è perché gli astronomi, grazie a osservazioni e riflessioni più attente,
lo hanno capito molti secoli fa, e successivamente questa conoscenza si è potuta diffondere anche fra i non
esperti in quanto nessuno, almeno negli ultimi secoli, aveva un qualche interesse che la gente continuasse a
credere nell’idea sbagliata.
Per l’economia le cose funzionano diversamente dall’astronomia: alcune idee antiche continuano
purtroppo a dominare e a essere comunemente ritenute corrette nonostante da tempo ne sia stata dimostrata
la falsità. Ed è così perché in tanti, e principalmente coloro che hanno il potere di governo, hanno interesse
che le idee corrette non si diffondano.
Le pagine che seguono vorrebbero essere un mio piccolo contributo a modificare questo stato di
cose.
7
3)
Il tempo e il valore dei beni.
E’ Natale 2014, tuo zio ti vuole regalare dei soldi, però con il divieto di spenderli per un anno, fino
al Natale prossimo. Hai però il permesso di prestare i soldi che ti regalerà, e inoltre sai che, prestandoli,
otterrai certamente la restituzione e un interesse del 10% all’anno.
Tuo zio ti propone di scegliere fra:
1)
Ricevere 1.000 € subito;
2)
Ricevere 1.075 € fra un anno, a Natale 2014.
Cosa scegli?
Poiché sai che in ogni caso non puoi spendere quei soldi per i prossimi 12 mesi
e sai che puoi ottenere interessi al tasso del 10%, se sei razionale certamente scegli, fra la 1) e la 2), l’offerta 1):
ricevendo oggi 1.000 € e prestandoli per un anno al 10%, a Natale 2015 avresti a disposizione 1.000 + (1.000 x
10% x 1 = 100) = 1.100 €, ed è meglio avere (a Natale 2014) 1.100 € piuttosto che i 1.075 € che oggi tuo zio si è
impegnato a darti in quel giorno.
Tu (nell’imbarazzo della scelta)
Ordinando le due offerte e se il tasso d’interesse è del 10%,, tu ritieni la 1) migliore della 2) .
Si può quindi certamente dire che, se il prezzo per l’uso del denaro è il 10%, 1.075 € disponibili
fra un anno valgono meno di 1.000 € disponibili già oggi. Si può anche dire che, quando il tasso d’interesse è
del 10%, 1.100 € utilizzabili fra un anno valgono esattamente come 1.000 € già disponibili oggi, e quindi che
ogni euro disponibile fra un anno vale oggi meno di un euro, e precisamente il valore attuale (Va) di un euro
disponibile fra un anno è (1 ÷ 1,1) = 0,90909 € .
Supponiamo ora che il tasso d’interesse a cui puoi prestare i tuoi soldi non sia del 10% ma del 6%.
Quale dei due regali proposti da tuo zio accetterai?
In questo caso se sei razionale certamente scegli l’offerta 2): ricevendo oggi 1.000 € e prestandoli
per un anno al 6%, a Natale 2015 avresti a disposizione 1.000 + 60 = 1.060 €, ma è meglio avere (a Natale
2015) i 1.075 € direttamente da tuo zio piuttosto che ottenerne 1.060 € nello stesso momento ( Natale 2015)
facendoti dare oggi da tuo zio i 1.000 € e poi prestandoli per tutto l’anno al tasso del 6% .
Ordinando le due offerte e se il tasso d’interesse è del 6%,, tu ora ritieni la 2) migliore della 1) .
Si può certamente dire che, se il prezzo per l’uso del denaro è il 6% l’anno, 1.075 € disponibili fra
un anno valgono più di 1.000 € disponibili già oggi. Si può anche dire che, quando il tasso d’interesse è del
6%, 1.060 € utilizzabili fra un anno valgono esattamente come 1.000 € già disponibili oggi, e quindi che ogni
euro disponibile fra un anno ha un valore attuale (Va) pari a (1 ÷ 1,06) = 0,9434 €
Da quanto scritto si ricava che una qualsiasi somma di denaro (e quindi anche un euro) incassabile in
futuro ha nel momento attuale un valore sempre minore man mano che si allontana il giorno in cui quella
somma (quell’euro) potrà essere utilizzata, e la velocità di diminuzione del valore aumenta all’aumentare del
tasso d’interesse: il diritto di ricevere 50.000 € fra un anno (cioè un credito di 50.000 € che scade fra un anno) ha oggi
un valore inferiore a 50.000 €, e la differenza fra il valore attuale di un credito e l’importo del credito aumenta
all’aumentare del tasso d’interesse. E’ soltanto con un tasso d’interesse nullo, pari cioè allo 0%, che il
valore del denaro non cambia al cambiare del momento in cui è disponibile: se non hai intenzione di
usarli tu per fare subito degli acquisti, e se nessuno è disposto a pagarti per usare i tuoi soldi, 50.000 €
disponibili oggi, 50.000 disponibili fra una settimana e 50.000 € utilizzabili fra un anno sono per te tutti la
stessa cosa, cioè hanno lo stesso valore.
8
4) Cosa è l’interesse (nel suo significato meno noto e più profondo)
Da tempo sogni una crociera, magari alle Seychelles e per due persone;
siamo nel dicembre 2014, una nota marca di panettoni pubblicizza i propri prodotti in
questo modo: “Compra il panettone XY, puoi vincere una crociera per due persone!”.
Compri un panettone, lo apri e scopri di aver vinto la crociera che sognavi.
Il regolamento del concorso, allegato al panettone vincente, ti permette di
scegliere una qualsiasi di queste crociere, tutte con la stessa destinazione e la
stessa nave:
a) 7 giorni con partenza nel dicembre 2014;
b) 10 giorni ma con partenza in dicembre 2015;
Tu (nell’imbarazzo della scelta)
c) 16 giorni ma devi attendere il dicembre 2016.
Quale scegli?
Supponiamo che fra a) e b) tu non abbia dubbi: preferisci fare 3 giorni in meno pur di non
attendere un anno. Questo significa che per te 7 giorni di crociera disponibili subito valgono di più di 10
giorni godibili fra un anno; e allora possiamo dire che per te il valore attuale di una crociera di 10 giorni
disponibile fra un anno è minore del valore di una crociera di 7 giorni (disponibile subito); si può dire anche che
sei disposto/a a pagare un “prezzo” pari a tre giorni di vacanza (in realtà è pari a poco più di due giorni, ma non preoccuparti
se non capisci perché: se tu ci riuscissi già adesso allora avresti un cervello eccezionale) pur di anticipare di un anno il godimento
di una crociera lunga 7 giorni; significa allora che tu stai applicando al bene “crociera” un tasso d’interesse di
almeno il 43%, e questo perché per anticipare di un anno la disponibilità del bene “7 giorni di crociera” sei
disposta/o a sopportare un costo di 3/7 del bene stesso (tre giorni su sette), e 3 ÷ 7 = 43%;
Supponiamo poi che nella scelta fra a) e c) tu ancora non abbia dubbi e preferisca c): per fare 9
giorni in più (e passare così da 7 a 16) sei disposta/o a rimandare la crociera di due anni. Questo significa che per
te 7 giorni di crociera disponibili subito valgono meno di 16 giorni godibili fra due anni; il concetto lo
possiamo esprimere anche in questo modo: per te il valore attuale di una crociera di 16 giorni che parte fra
due anni è superiore al valore di una crociera di 7 giorni (che parte subito); si può anche dire che non sei
disposto a pagare un “prezzo” pari a 9 giorni di crociera per anticipare di due anni il godimento di 7 giorni di
crociera; significa allora che tu stai applicando al bene “crociera” un tasso di interesse inferiore al 52%, e
questo perché per anticipare di due anni il godimento del bene “7 giorni di crociera” non sei disposto a
sopportare un costo di 9/7 del bene stesso (nove giorni su sette). I calcoli per determinare quel valore (52%) del
tasso d’interesse li vedremo più avanti, per ora mi basta che tu capisca e interiorizzi questi concetti:
1) Per chiunque il valore di qualsiasi bene dipende dal momento in cui quel bene è disponibile;
2) Il valore che oggi ha il diritto di disporre (di usare) un bene diminuisce all’allontanarsi del momento in cui
quel bene sarà disponibile (usabile);
3) La velocità con cui il valore che diamo ai beni diminuisce all’allontanarsi del momento in cui saranno
disponibili è variabile da bene a bene: per alcuni il valore diminuisce lentamente, per altri molto
velocemente; [ad esempio: hai un gran mal di denti, gli analgesici non hanno effetto e l’unico dentista disponibile ti dice:
“per 100 € ti curo subito, ma se vuoi puoi aspettare un mese e ti curerò per soli 10 € ”. Probabilmente tu preferirai pagare 90 €
in più pur di anticipare la cura. Questo significa che per te il servizio del dentista perde più dei 9/10 del suo valore se la sua
disponibilità si allontana di un solo mese (il valore attuale di una cura dentistica che fra un mese varrà 100 € è, nel caso si
abbia un gran mal di denti, pari a meno di 10 € [ e quindi il tasso d’interesse che si applica in questa circostanza è più del 900%
al mese, equivalente al tasso annuo del 100.000 miliardi % all’annuo (e ti do 10 se riesci a spiegarmi da che calcolo proviene questo
risultato che appare folle al profano ma che è corretto) ].
9
4)
La velocità con cui il valore attuale di un bene cala all’allontanarsi del momento in cui sarà disponibile
varia da persona a persona, come dire che ognuno ragiona (fa i propri calcoli di equivalenza) con un suo
personale tasso di interesse (che a sua volta, e come ho scritto al punto precedente, è diverso da bene a bene).
Vediamo questo altro caso:
Tu, Al e Bo siete tre appassionati cinefili;
accessibile per voi c’è un unico cinema che offre, allo stesso
prezzo da pagare comunque oggi, la scelta fra 9 biglietti (con
titoli dei film a scelta) utilizzabili già da ora (dicembre 2014), oppure
12 biglietti utilizzabili però solo da dicembre 2015. Chi
sceglie il pacchetto da 12 non avrà possibilità di entrare nel
cinema nei prossimi 12 mesi.
Tu
Al
Bo
Ipotizza, infine, anche che ci siano almeno 12 film che giudichi ugualmente validi e di essere certo che la tua
passione per il cinema non si modificherà col tempo.
Tu giudichi equivalenti le due proposte, nel senso che la scelta che ti si propone (fra 9 film subito o 12 fra
un anno) ti imbarazza al punto che ti affidi al lancio di una moneta, ed invece fra 9 film in quest’anno e 11 nel
prossimo sceglieresti i 9 subito, mentre se, da vedere nel prossimo anno, ti offrissero 13 film allora opteresti
per l’attesa. Al, invece, sceglie con decisione i 9 film immediatamente disponibili, in quanto per lui 9 film
subito valgono di più di 12 fra un anno.
Bo, al contrario di Al, preferisce attendere un anno e vederne 12 piuttosto che 9 subito. In effetti
Bo sarebbe disposta a scambiare i 12 film fra un anno solo con 10 film godibili fin da ora.
Si può dire che 9 spettacoli al cinema disponibili da subito sono, per te, il “valore attuale” di 12
film godibili fra un anno, oppure – ed è la stessa cosa – che, per te, il valore di 9 film già utilizzabili equivale a
un “montante” di 12 film fra un anno.
Al e Bo, invece, danno ai 12 film disponibili fra un anno un valore rispettivamente minore (Al) e
maggiore (Bo) a quello di 9 film immediatamente visibili.
La faccenda può anche essere osservata in questo modo: tu valuti in tre film il sacrificio di
attendere un anno per soddisfare nove volte la tua passione cinefila, Al lo valuta più di te ed è Bo che a quel
sacrificio dà un minor valore.
Si può anche dire che, fra voi tre, è Al che dà al tempo un valore maggiore (quando lo valuta in
riferimento al bene “spettacolo cinematografico”), mentre per te e ancor più per Bo il tempo (sempre in riferimento a quel
bene) ha un valore minore. Infatti, Al è ben disposto a pagare (rinunciando a vederli) 3 film per “comprare” un
anno di tempo e anticipare così il godimento cinematografico; per te, invece, quello è il prezzo limite, mentre
per Bo il giusto prezzo di un anno di attesa è di soli 2 film.
In questo senso si può dire che il tasso di interesse è il prezzo del tempo ( della risorsa “tempo”, l’unica
risorsa non producibile dall’uomo, ché tutte le altre l’uomo le può produrre o sostituire grazie alla sua intelligenza ).
La stessa cosa si può esprimere dicendo che il tuo tasso di interesse annuo riferito al bene cinema
è il 33,33% (e questo in quanto il rapporto fra le quantità equivalenti di film disponibili con una differenza temporale di un anno è:
12/9 = 1,3333), il tasso d’interesse annuo applicato da Al è maggiore del 33,33% mentre quello di Bo è
inferiore, ed esattamente è del 20% (infatti: 12/10 = 1,2, dove 12 corrisponde al montante disponibile fra un anno di un
capitale che oggi vale 10 film, e quindi – essendo il tempo pari a un anno – dalla formula I = C x r x t deriva che il tasso annuo
d’interesse r con cui Bo, seppure inconsciamente, fa le sue valutazioni in merito a come il tempo modifica il valore del bene “visione
film al cinema” è: r = I ÷ (C x t) → r = 2 / (10 x 1) → r = 0,2 = 20% ).
10
Bo applica il tasso d’interesse del 20% al bene “visione film al cinema”, ma come ho già scritto il
tasso d’interesse con cui Bo e tutti noi facciamo le nostre valutazioni varia in funzione del tipo di bene la cui
disponibilità viene spostata nel tempo.
Poiché il denaro è lo strumento che permette di entrare in possesso di qualsiasi bene economico, il
tasso di interesse del denaro (cioè il tasso con cui facciamo le valutazioni di equivalenza fra la disponibilità di somme
monetarie di diverso importo disponibili in tempi diversi ) è la sintesi di tutti i tassi d’interesse dei beni reali, come dire
che il tasso d’interesse che si applica ai calcoli finanziari è la media dei tassi di tutti i beni acquistabili ( media
ponderata in base al peso che ogni bene ha sul complesso dell’economia ).
Da quanto ho scritto emerge che
l’interesse non è un fenomeno monetario!
Al contrario di quanto pensa l’uomo della strada ma anche – ahimè – la gran parte dei giornalisti
economici e dei banchieri,
l’interesse è un fenomeno reale
che riguarda, cioè, i beni concreti e l’economia reale; ed è solo perché gli scambi dei beni reali avvengono
attraverso la moneta che questa viene coinvolta nel fenomeno e quindi che l’interesse assume (anche) una
veste monetaria.
Il tasso d’interesse a cui ognuno di noi è disposto a prestare il denaro (il prezzo a cui siamo disposti a
sopportare il sacrificio del rinvio degli acquisti, del rinvio dell’utilità che traiamo da essi ) è soggettivo, nel senso che cambia
da persona a persona, così come è soggettivo il tasso di interesse che è disposto a pagare chi vuole anticipare
gli acquisti (di beni sia di consumo che di investimento) per goderne prima l’utilità, cioè chi chiede denaro in prestito.
L’uno e l’altro sono la stessa cosa, sono il prezzo del tempo.
La media dei tassi d’interesse sul bene “denaro” con cui ragiona ogni operatore finanziario (cioè
ognuno dei milioni di risparmiatori che offrono e dei milioni di prenditori che domandano il bene “uso del denaro”) è il tasso
d’interesse espresso dal mercato, ed ecco perché ha un senso dire che
il tasso d’interesse di mercato misura il valore che la società dà al tempo.
Ecco perché (a parità dello strumento moneta) i tassi alti sono spesso un sintomo di vivacità della
popolazione, segnalano la sua voglia di vivere e di fare, di costruire il futuro; i tassi bassi, invece, sono spesso
indicatori del declino di una società che si accontenta di conservare il presente e non vuole, nell’immediato, né
pagare più di tanto né correre troppi rischi per realizzare un futuro diverso.
E’ la cultura della stabilità e della conservazione, atteggiamento che è naturale e quindi
comprensibile nei vecchi (come vecchia è la gran parte della classe dirigente, a partire dal presidente della vostra repubblica Giorgio
Napolitano), ma che addolora vedere così diffusa in tutta la popolazione, a partire da quella giovanile (anche per
effetto di un martellamento propagandistico talmente capillare ed esteso che avrebbe stupito lo stesso Goebbels).
11
5) La matematica finanziaria (con poca matematica)
anni
montante
val.att.
val.att.di
di 1 €
di 1 €
rendita
montante val.att.
di 1 €
di 1 €
val.att.di
rendita
montante val.att.
di 1 €
di 1 €
val.att.di
montante val.att. val.att.di
rendita
di 1 €
di 1 €
rendita
1%
1%
10%
10%
10%
5%
5%
5%
2,5%
2,5%
2,5%
1%
1
1,100
0,9091
0,9091
1,050
0,9524
0,9524
1,025
0,9756
0,9756
1,01
0,9901 0,9901
1
2
1,210
0,8264
1,7355
1,103
0,9070
1,8594
1,051
0,9518
1,9274
1,02
0,9803 1,9704
2
3
1,331
0,7513
2,4869
1,158
0,8638
2,7232
1,077
0,9286
2,8560
1,03 0,97059
2,941
3
4
1,464
0,6830
3,1699
1,216
0,8227
3,5460
1,104
0,9060
3,7620
1,041 0,96098
3,902
4
5
1,611
0,6209
3,7908
1,276
0,7835
4,3295
1,131
0,8839
4,6458
1,051 0,95147 4,8534
5
6
1,772
0,5645
4,3553
1,340
0,7462
5,0757
1,160
0,8623
5,5081
1,062 0,94205 5,7955
6
7
1,949
0,5132
4,8684
1,407
0,7107
5,7864
1,189
0,8413
6,3494
1,072 0,93272 6,7282
7
8
2,144
0,4665
5,3349
1,477
0,6768
6,4632
1,218
0,8207
7,1701
1,083 0,92348 7,6517
8
9
2,358
0,4241
5,7590
1,551
0,6446
7,1078
1,249
0,8007
7,9709
1,094 0,91434
8,566
9
10
2,594
0,3855
6,1446
1,629
0,6139
7,7217
1,280
0,7812
8,7521
1,105 0,90529 9,4713
10
11
2,853
0,3505
6,4951
1,710
0,5847
8,3064
1,312
0,7621
9,5142
1,116 0,89632 10,368
11
12
3,138
0,3186
6,8137
1,796
0,5568
8,8633
1,345
0,7436
10,2578
1,127 0,88745 11,255
12
13
3,452
0,2897
7,1034
1,886
0,5303
9,3936
1,379
0,7254
10,9832
1,138 0,87866 12,134
13
14
3,797
0,2633
7,3667
1,980
0,5051
9,8986
1,413
0,7077
11,6909
1,149 0,86996 13,004
14
15
4,177
0,2394
7,6061
2,079
0,4810
10,3797
1,448
0,6905
12,3814
1,161 0,86135 13,865
15
16
4,595
0,2176
7,8237
2,183
0,4581
10,8378
1,485
0,6736
13,0550
1,173 0,85282 14,718
16
17
5,054
0,1978
8,0216
2,292
0,4363
11,2741
1,522
0,6572
13,7122
1,184 0,84438 15,562
17
18
5,560
0,1799
8,2014
2,407
0,4155
11,6896
1,560
0,6412
14,3534
1,196 0,83602 16,398
18
19
6,116
0,1635
8,3649
2,527
0,3957
12,0853
1,599
0,6255
14,9789
1,208 0,82774 17,226
19
20
6,727
0,1486
8,5136
2,653
0,3769
12,4622
1,639
0,6103
15,5892
1,22 0,81954 18,046
20
21
7,400
0,1351
8,6487
2,786
0,3589
12,8212
1,680
0,5954
16,1845
1,232 0,81143 18,857
21
22
8,140
0,1228
8,7715
2,925
0,3418
13,1630
1,722
0,5809
16,7654
1,245
19,66
22
23
8,954
0,1117
8,8832
3,072
0,3256
13,4886
1,765
0,5667
17,3321
1,257 0,79544 20,456
23
24
9,850
0,1015
8,9847
3,225
0,3101
13,7986
1,809
0,5529
17,8850
1,27 0,78757 21,243
24
25
10,83
0,0923
9,0770
3,386
0,2953
14,0939
1,854
0,5394
18,4244
1,282 0,77977 22,023
25
26
11,92
0,0839
9,1609
3,556
0,2812
14,3752
1,900
0,5262
18,9506
1,295 0,77205 22,795
26
27
13,11
0,0763
9,2372
3,733
0,2678
14,6430
1,948
0,5134
19,4640
1,308
23,56
27
28
14,42
0,0693
9,3066
3,920
0,2551
14,8981
1,996
0,5009
19,9649
1,321 0,75684 24,316
28
29
15,86
0,0630
9,3696
4,116
0,2429
15,1411
2,046
0,4887
20,4535
1,335 0,74934 25,066
29
30
17,45
0,0573
9,4269
4,322
0,2314
15,3725
2,098
0,4767
20,9303
1,348 0,74192 25,808
30
31
19,19
0,0521
9,4790
4,538
0,2204
15,5928
2,150
0,4651
21,3954
1,361 0,73458 26,542
31
32
21,11
0,0474
9,5264
4,765
0,2099
15,8027
2,204
0,4538
21,8492
1,375
0,7273
27,27
32
33
23,23
0,0431
9,5694
5,003
0,1999
16,0025
2,259
0,4427
22,2919
1,389
0,7201
27,99
33
34
25,55
0,0391
9,6086
5,253
0,1904
16,1929
2,315
0,4319
22,7238
1,403 0,71297 28,703
34
35
28,10
0,0356
9,6442
5,516
0,1813
16,3742
2,373
0,4214
23,1452
1,417 0,70591 29,409
35
36
30,91
0,0323
9,6765
5,792
0,1727
16,5469
2,433
0,4111
23,5563
1,431 0,69892 30,108
36
37
34,00
0,0294
9,7059
6,081
0,1644
16,7113
2,493
0,4011
23,9573
1,445
30,8
37
38
37,40
0,0267
9,7327
6,385
0,1566
16,8679
2,556
0,3913
24,3486
1,46 0,68515 31,485
38
39
41,14
0,0243
9,7570
6,705
0,1491
17,0170
2,620
0,3817
24,7303
1,474 0,67837 32,163
39
40
45,26
0,0221
9,7791
7,040
0,1420
17,1591
2,685
0,3724
25,1028
1,489 0,67165 32,835
40
41
49,79
0,0201
9,7991
7,392
0,1353
17,2944
2,752
0,3633
25,4661
1,504
33,5
41
42
54,76
0,0183
9,8174
7,762
0,1288
17,4232
2,821
0,3545
25,8206
1,519 0,65842 34,158
42
43
60,24
0,0166
9,8340
8,150
0,1227
17,5459
2,892
0,3458
26,1664
1,534
34,81
43
44
66,26
0,0151
9,8491
8,557
0,1169
17,6628
2,964
0,3374
26,5038
1,549 0,64545 35,455
44
45
72,89
0,0137
9,8628
8,985
0,1113
17,7741
3,038
0,3292
26,8330
1,565 0,63905 36,095
45
46
80,18
0,0125
9,8753
9,434
0,1060
17,8801
3,114
0,3211
27,1542
1,58 0,63273 36,727
46
47
88,20
0,0113
9,8866
9,906
0,1009
17,9810
3,192
0,3133
27,4675
1,596 0,62646 37,354
47
48
97,02
0,0103
9,8969
10,40
0,0961
18,0772
3,271
0,3057
27,7732
1,612 0,62026 37,974
48
49
106,7
0,0094
9,9063
10,92
0,0916
18,1687
3,353
0,2982
28,0714
1,628 0,61412 38,588
49
50
117,4
0,0085
9,9148
11,47
0,0872
18,2559
3,437
0,2909
28,3623
1,645 0,60804 39,196
50
100
13.781
0,0001
9,9993
131,5
0,0076
19,8479
11,81
0,0846
36,6141
2,705 0,36971 63,029 100
200
1,9E+08
5,27E-09
10,00
17.293
0,00
20,00
139,6
0,01
39,71
7,32
0,8034
0,7644
0,692
0,665
0,6519
0,14
86,33
anni
200
12
5.1) La frequenza del pagamento (o della capitalizzazione) degli interessi.
Un euro disponibile domani vale, oggi, un po’ meno di un euro già utilizzabile oggi, e se non sei
sicuro di aver capito il motivo allora torna a pagina 8 perché è inutile che tu prosegua oltre senza la
comprensione del precedente paragrafo.
Ora ipotizza di esserti accordato con me in questi termini: tu, oggi 10 novembre 2014, mi presti per
6 anni 10.000 € al tasso del 10%. L’accordo, a prima vista, può sembrare chiaro: oggi tu mi metti a
disposizione 10.000 €, io il 10 novembre 2020 te li restituirò e, come corrispettivo per il servizio di
finanziamento che mi fornisci io ti pagherò un prezzo (interesse) pari a 6.000 € (I = C x i x t → 10.000 x 0,1 x 6).
In realtà ci siamo scordati di definire una cosa importante: il momento in cui gli interessi devono essere
pagati. Io, infatti, ho tutto l’interesse a pagarti i 6.000 € alla fine del prestito, il 10 novembre 2020; a te,
invece, conviene incassarli prima, magari 1.000 euro alla fine di ognuno dei 6 anni o, meglio ancora per te,
tutti subito al momento in cui inizia il finanziamento, cioè oggi 10 novembre 2014 (e per la solita ragione che gli
euro disponibili subito hanno un valore maggiore degli euro disponibili fra uno, due o sei anni) . Che il momento (e quindi anche la
frequenza) del pagamento degli interessi incida notevolmente sulla convenienza dell’operazione risulta
evidente se pensi che fissarlo all’inizio significa fare un’operazione completamente diversa da quella che
sarebbe se si scegliesse di pagarli alla fine: pagare tutti i 6.000 euro di interessi all’inizio dei sei anni in cui
si svilupperà il finanziamento significa, in pratica, ottenere un finanziamento non di 10.000 bensì di soli
4.000 euro (i 10.000 di capitale prestati meno i 6.000 di interessi immediatamente corrisposti) ; risulta quindi che un prestito di
10.000 € per sei anni al tasso del 10% con pagamento anticipato di tutti gli interessi equivale a un prestito
di 4.000 € per sei anni al tasso del 25% ma con pagamento posticipato di tutti gli interessi (se C è 4.000 €, t è 6
anni e I è 6.000 € allora ne risulta che i = 6.000 ÷ (4.000 x 6) = 0,25 → 25%).
Credo che l’esempio proposto evidenzi bene l’importanza di stabilire (oltre all’importo prestato, ai tempi di
rimborso e al tasso di interesse) anche il momento (e la periodicità) con cui gli interessi devono essere corrisposti. Si
può certamente dire che, anche a parità di interessi complessivamente pagati, la frequenza con cui si
pagano modifica la convenienza dell’operazione, cioè ne modifica il tasso effettivo di interesse; un tasso
annuo (con pagamento annuale e posticipato degli interessi) del 10% è, per il creditore, un po’ meno conveniente di un
tasso semestrale (con pagamento semestrale e posticipato degli interessi) del 5%. Un esempio numerico può essere
utile: oggi 10/11/2014 hai dei risparmi che non intendi spendere almeno per tutto il prossimo anno e ti
vengono fatte queste due proposte (supponi che la rischiosità dell’investimento sia la stessa, magari perché si tratta dello stesso
potenziale debitore):
1) prestare 40.000 € per un anno al tasso annuo del 10% (con pagamento posticipato degli interessi in un’unica soluzione);
2) prestare 40.000 €, sempre per un anno ma al tasso semestrale del 5% (con pagamento posticipato degli interessi alla
fine di ognuno dei due semestri). I due possibili investimenti possono essere schematizzati così:
4.000 €
↓
1)
2)
→
2.000 €
2.000 €
↓
↓
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
10/11/2014
10/11/2014
10/5/2015
10/11/2015
10/5/2015
→
10/11/2015
L’operazione 1) è, per te che sei il creditore, meno conveniente della 2) perché i 2.000 € che potrai
disporre (con la 2)) il 10/5/2015 valgono oggi più dei 2.000 € che (con l’operazione 1)) potrai utilizzare solo sei
mesi più tardi, dal 10/11/2015.
Nel caso proposto non occorre alcun calcolo per individuare il corretto ordine di convenienza, ma se
le proposte fossero state le seguenti:
1) prestare 40.000 € per un anno al tasso annuo del 10,3% (con pagamento posticipato degli interessi in un’unica soluzione);
2) prestare 40.000 €, sempre per un anno ma al tasso semestrale del 5% (con pagamento posticipato degli interessi alla
fine di ognuno dei due semestri). I due possibili investimenti possono essere schematizzati così:
4.120 €
↓
1)
2)
→
2.000 €
2.000 €
↓
↓
----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
10/11/2014
10/11/2014
10/5/2015
10/11/2015
10/5/2015
→
10/11/2015
In questo caso la scelta corretta non può essere trovata senza l’utilizzo di calcoli finanziari. Ecco
allora che è utile imparare a determinare a quale “tasso annuale” equivale un tasso con periodicità diversa.
13
Nel nostro caso occorre determinare a che tasso annuo equivale un tasso semestrale del 5%, e la
risposta la si ottiene così: (1 + 5%)2 – 1 = 0,1025 e cioè 10,25%. [ Infatti: un capitale di 1 € al un tasso semestrale del 5% origina
un interesse di 0,05 € per ognuno dei due semestri di un anno; ma i 5 centesimi di interessi prodotti alla fine del primo semestre producono, nel corso del
secondo semestre, 0,05 x 5% = 0,0025 € di ulteriori interessi, perciò a fine anno gli interessi complessivi sono 0,1025 (0,05 + 0,05 + 0,0025), cioè quelli che si
otterrebbero impiegando lo stesso capitale di 1 € per un anno ma al tasso del 10,25% ]. Quindi il tasso annuale equivalente al 5%
semestrale è il 10,25% e allora è più conveniente la proposta 1) in quanto il 10,3% è maggiore del 10,25% .
Lo stesso giudizio di convenienza lo si poteva ricavare seguendo la strada (che dovrebbe esserti ormai familiare)
del confronto di capitali disponibili in momenti diversi, e cioè – ad esempio – confrontando i 2.000 €
disponibili fra 6 mesi [proposta 2)] con i 2.120 disponibili fra 12 mesi [proposta 1) ] [gli altri 2.000 € dell’unica rata della 1)
non interessano perché coincidono – e quindi hanno lo stesso valore attuale – con i 2.000 € della seconda rata nella proposta 2)]; la domanda è
perciò: se si utilizza il tasso annuo del 10,3%, il valore che fra sei mesi avranno 2.120 € disponibili sei mesi
dopo (e quindi fra un anno da oggi) sarà o no maggiore dei 2.000 € che potrai incassare fra sei mesi se scegliessi la
proposta 2) ? Essendo la formula del valore attuale Va = C x [1/(1 + i)t] , la risposta è:
Va = 2.120 x [1/(1 + 0,103)1/2] = 2.018,59 (valore attuale di 2.120 € disponibili fra ½ anno se il tasso è il 10,3%), e poiché
2.018,59 è maggiore di 2.000, ecco che anche per questa strada risulta più conveniente la proposta 1) .
Mi pare evidente che, anche in un caso semplice come quello proposto, il sistema di individuare il
tasso equivalente sia più rapido di quello consistente nel rendere confrontabili gli importi disponibili in
momenti diversi attraverso la loro riconduzione a un medesimo istante; da qui l’opportunità di imparare a
determinare a che tasso, con pagamento annuo posticipato degli interessi (d’ora in avanti lo chiamerò semplicemente
“tasso annuo”), equivale un tasso che preveda il pagamento degli interessi con una frequenza diversa dall’anno.
Il procedimento per calcolare il tasso annuo equivalente (iaeq) è questo: si divide il tasso annuo (ian)
per il numero periodi (cioè di volte in cui vengono pagati gli interessi in un anno) (np) e si trova così il tasso periodale
(ipe); si somma 1 al tasso periodale e si eleva il risultato a una potenza pari a np ; infine, si sottrae 1 e ciò
che resta è il tasso (espresso non in forma percentuale). In simboli: iaeq = (1 + ian ÷ np)np – 1 o, sostituendo,
iaeq = (1 + ipe)np – 1
Così, ad esempio, il tasso annuo
(con capitalizzazione annua degli interessi)
(cioè a un tasso annuo del 9% con capitalizzazione semestrale degli interessi)
equivalente a un tasso semestrale del 4,5%
risulta: iaeq = (1 + 0,09 ÷ 2)2 – 1 = 0,0925 = 9,2025%.
Ora, anche per familiarizzare con Excel, provate a fare la tabella qui sotto (la colonna centrale “calcoli” l’ho inserita solo per
agevolarvi nella scrittura della formula da trascinare lungo la colonna “tasso annuo equivalente”):
tasso annuo nominale:
periodicità
interessi
annua
semestrale
quadrimestrale
trimestrale
bimestrale
n. periodi tasso
all'anno periodale
1
2
3
4
6
0,09
0,045
0,03
0,0225
0,015
mensile
settimanale
12
52
0,0075
0,0017
giornaliera
365
0,0002
calcoli
9,00%
montante a 1 anno
tasso % tasso annuo tasso %
su un capitale di
periodale equivalente equivalente €
10.000,00
0,09
9,0000%
10.900,00
2
9,00%
4,50% 0,092025
9,2025%
10.920,25
3
3,00% 0,092727
9,2727%
10.927,27
(1 + 0,09) – 1
(1 + 0,045) – 1
(1 + 0,03) – 1
4
2,25% 0,093083
9,3083%
10.930,83
6
1,50% 0,093443
9,3443%
10.934,43
12
0,75% 0,093807
0,17% 0,094089
9,3807%
9,4089%
10.938,07
10.940,89
0,025% 0,094162
9,4162%
10.941,62
(1 + 0,0225) – 1
(1 + 0,015) – 1
(1 + 0,0075) – 1
(1 + 0,0017)52 – 1
365
(1 + 0,00024658)
–1
L’ultima colonna (“ montante a un anno di 10.000 € ” ) l’ho inserita perché mi sembra evidenzi in modo
chiaro come la maggiore vantaggiosità di una capitalizzazione più frequente vada man mano riducendosi:
capitalizzare (oppure incassare) gli interessi quotidianamente è sì più vantaggioso che incassarli (o capitalizzarli)
settimanalmente, ma si tratta di un vantaggio ben piccolo: meno di un euro su oltre 900 di interessi
complessivi; passare, cioè, da 52 a 365 periodi all’anno fa guadagnare, con un tasso nominale del 9%, 0,73 €
di interessi in più su 10.000 € di capitale; passare, invece, da 1 a 2 periodi (da una capitalizzazione annuale a una
semestrale) incrementa la convenienza in modo più significativo (di oltre 20 €, da 900 a 920,25). Se poi dalla
capitalizzazione giornaliera si passa a quella “istantanea”, anche detta “capitalizzazione continua”, in cui
gli interessi si aggiungono al capitale nell’istante in cui maturano, e cioè infinite volte all’anno (l’anno viene
suddiviso in infiniti periodi, ognuno perciò più breve di un miliardesimo di secondo), l’ulteriore guadagno rispetto alla capitalizzazione
giornaliera si riduce a meno di 0,12 € (e la formula non la riporto perché ricordo che nel titolo ho promesso “poca matematica”).
14
5.2) Tasso fisso e tasso variabile.
Come certamente sai, affinché un contratto sia valido è essenziale che siano determinate o determinabili
le prestazioni delle due parti; se ci limitiamo a considerare la prestazione del compratore, è quindi necessario
che il prezzo sia determinato o determinabile fin dall’inizio per tutta la durata dell’accordo, e questo anche
quando il contratto è destinato a svolgere i suoi effetti per un tempo lunghissimo.
E’ opportuno, a questo punto, cercare con due esempi di dare un idea corretta di come funzionino la
gran parte dei contratti di durata (cioè contratti la cui esecuzione si prolunga nel tempo, che si contrappongono ai contratti istantanei, come è ad
esempio la compravendita, i cui effetti si concentrano in un solo momento): o si stabilisce subito un prezzo fisso che non si modificherà
nel tempo (è il caso del prezzo – o tasso – “fisso”), o si stabilisce subito il procedimento con il quale il prezzo potrà
cambiare nel corso del tempo (è il caso del prezzo – o tasso – “variabile”) .
Esempio 1): lo scorso settembre, sotterrando un osso nel mio giardino, Frei (è un pastore tedesco, quindi si legge Frai)
ha trovato il petrolio. La produzione non è tanta e il giacimento è piccolo, rispettivamente 10 barili al giorno e
100.000 barili le riserve stimate, ma la qualità è eccellente e così mi posso accontentare.
Per semplificarmi la vita e non perdere troppo tempo nella continua ricerca di acquirenti del petrolio che
sgorga nel mio giardino ed evitare le continue e seccanti trattative che si renderebbero necessarie, il primo di
ottobre ho stipulato con l’IREN un contratto in base al quale per i prossimi 20 anni io mi sono impegnato a
consegnare (franco giardino), e l’IREN si è impegnata a ritirare e pagare, 300 barili di petrolio al mese ad un prezzo
che per il primo mese (cioè ottobre 2014) abbiamo stabilito in 88,00 $ al barile, e che in ognuno dei 239 mesi
successivi (cioè fino al termine del contratto ventennale) sarà pari alla media dei prezzi del petrolio Brent rilevati alla borsa di
NY (cioè al mercato di New York) nell’ultima settimana del mese precedente, media aumentata però di 5,00 $ per tenere
conto dell’ottima qualità del mio petrolio.
In questo modo, poiché nell’ultima settimana di ottobre la media dei prezzi del Brent alla borsa di NY è
stata di 85 $ , per i 300 barili che consegnerò in novembre l’AGAC mi pagherà (300 barili x (85 + 5) € l’uno) = 27.000 $.
Per tutti i prossimi 20 anni (più precisamente fino al 30 settembre 2034) ogni mese il prezzo a cui venderò il mio
petrolio si modificherà in base allo stesso meccanismo. Il mio è un contratto di fornitura ventennale a “prezzo
variabile con indicizzazione mensile al prezzo del petrolio Brent della borsa di NewYork e spread di + 5,00 $”.
Esempio 2): tuo cugino Bassanio il primo ottobre scorso ha ottenuto da Unicredit (banca di cui è cliente) un
mutuo ventennale di 120.000 € a “tasso variabile con indicizzazione trimestrale al tasso Euribor a tre mesi più
uno spread dell’2,50% ”. Questo significa che Unicredit si è impegnata per 20 anni (e quindi fino al 30 settembre 2034) a
vendere a Bassanio l’uso di 120.000 € ad un prezzo (tasso) che, in ogni trimestre, sarà pari al tasso “Euribor con
scadenza a 3 mesi” (tasso che oggi è bassissimo, circa lo 0,1%) aumentato di uno “spread” di 2,5 punti percentuali. In
questo modo, l’Unicredit venderà a Bassanio l’uso dei 120.000 € nel primo trimestre al prezzo di 2,60%, e nel
secondo trimestre (tra l’1 gennaio e il 31 marzo 2015), nell’ipotesi che l’euribor a tre mesi sia, nel marzo 2015, pari al
0,60%, il tasso sarà del 3,10%. Lo “spread” di 2 punti e ½ è, in pratica, il ricarico che applica l’Unicredit: la
banca, infatti, raccoglie il denaro pagandolo l’X% e lo rivende a vostro cugino a (X + 2,5)%, in modo da coprire
tutte le altre spese (stipendi, imposte, elettricità, ecc.) e sperare di ottenere un utile, allo stesso modo in cui l’ortolano
compra i broccoli a 1,25 e li rivende a 2,00 € applicando un “ricarico” (che gli ortolans londinesi chiamano “spread”) di 0,75 €.
L’indicazione del parametro (il prezzo del brent a NY o l’euribor a tre mesi) su cui basare il prezzo in futuro, serve a
rendere valido il contratto per tutta la sua durata pur senza fissare il prezzo fin dall’inizio.
IREN ed io, così come Bassanio e l’Unicredit, se avessimo voluto fin da subito avere la certezza
dell’ammontare dei futuri esborsi (l’Iren e Bassanio, che sono gli acquirenti) e incassi (io e l’Unicredit, i venditori) derivanti dal
contratto anche nel lontano futuro, avremmo certamente potuto stabilire un prezzo del petrolio – o un prezzo
per l’uso dei soldi – che rimanesse valido per tutto il ventennio contrattuale (seppure in Italia la libertà contrattuale vada
purtroppo progressivamente riducendosi, è per fortuna ancora sufficiente per permettere alle parti di stringere liberamente accordi di questo tipo). Avremmo
così superato l’incertezza derivante dalla mancata conoscenza dei costi d’acquisto o dei ricavi di vendita futuri.
Mettiamoci nei panni del cugino Bassanio, il quale per acquistare la casa dove abita si è indebitato di 120.000 €
restituibili in 20 anni e a un tasso variabile che, adesso, è del 2,6% . Ciò significa che ora paga (120.000 x 0,026 x 1 =)
3.120 € di interesse in un anno, poco più di 250 € al mese. Ma se fra qualche tempo l’euribor tornasse, ad
esempio, al 4,7% (come era a inizio 2008, quindi non molti anni fa), gli interessi annui che si troverebbe a dover pagare
sarebbero 8.640 € [120.000 x (4,7 + 2,5)% x 1], cioè 720 € al mese da dare alla banca per il servizio di finanziamento;
e 720 sono cosa un tantino diversa degli originari 250 € che avevano convinto Bassanio a fare il mutuo.
15
Non bisogna però credere che la scelta del tasso fisso elimini i rischi: il rischio è inevitabile in tutte le
vicende umane. Nelle righe sopra ho evidenziato il rischio che corre chi si indebita per lungo tempo senza
fissare il tasso per tutta la durata del prestito; qui sotto, invece, sottolineo la rischiosità del tasso fisso.
Ripartiamo dal fatto che il tasso d’interesse, come e forse più di qualsiasi altro prezzo, varia
imprevedibilmente nel tempo, e più il periodo di tempo è ampio più la probabilità che cambi anche di molto è
alta. Ecco allora che impegnarsi per un lungo periodo (ad esempio 10 o 30 anni) a prestare (o a prendere in prestito) il denaro a
un tasso “fisso” (cioè stabilito all’inizio per tutto il periodo) procura incertezza: ci si può guadagnare o perdere tanto.
E’ come impegnarsi oggi a vendere (o comprare) il petrolio per i prossimi 10 o 30 anni sempre al prezzo di
oggi (che è di circa 85 $ al barile): è una scommessa, se nei prossimi anni il prezzo tornerà a 40 $ (come era a fine 2008) io, con
il petrolio del mio giardino, festeggerò per aver vinto e l’IREN certamente imprecherà, ma se il prezzo dovesse
tornare a 150 $ (come era a metà 2008) sarebbe l’IREN a festeggiare e io mi mangerei le mani dalla rabbia.
Non si può quindi dire quale dei due modi di determinazione del prezzo (tasso fisso o tasso variabile) sia il più
prudente e quale il più rischioso: dipende dalle condizioni in cui si trova l’operatore, dipende dall’importanza
che diamo alle nostre esigenze, perché è il valore che noi diamo alla soddisfazione di queste esigenze che
determina il valore, come sempre soggettivo, del prodotto; dipende, insomma, dai gusti.
Approfitto dell’argomento, sebbene mi renda conto di andare un po’ off topic, per sgombrare la tua testa
dall’idea, se mai ce l’avessi, che ci sia qualcuno in grado di prevedere l’andamento futuro di qualche prezzo.
Nessuno, a parte il mago Otelma, è in grado di sapere quali sarà il prezzo di un bene in futuro, e quindi anche
quali saranno i tassi nel futuro, e nemmeno se saliranno o scenderanno. Ognuno, se si diverte, può cercare di prevedere
se un certo prezzo (ad esempio il tasso sull’euro nei finanziamenti a 3 mesi che le banche si praticano fra loro, il cui andamento nel passato potete vedere
nella seconda tabella di pagina 21) nei prossimi mesi o anni sarà più alto o più basso di adesso, e se crede di poterne trarre un
vantaggio può anche scommetterci sopra, così come si può cercare di indovinare chi vincerà lo scudetto e si può anche
scommettere dei soldi sulla mia Udinese. Per darti un’idea di quanto sviluppato sia il mercato, sappi che il volume
complessivo medio di tutte le scommesse che si fanno in un giorno nel mondo sull’andamento dei tassi d’interesse è un
multiplo (circa dieci volte) del volume complessivo di tutte le scommesse fatte in un anno su tutti gli sport.
Che sia impossibile prevedere l’andamento futuro del prezzo di un qualsiasi bene scambiato liberamente in un
mercato aperto (cioè in un mercato in cui chiunque è libero di offrire e domandare come vuole ) lo si può dimostrare con un
ragionamento “per assurdo”, cioè ipotizzando che sia possibile: se ci fosse il modo di sapere, ad esempio, che fra un
anno il petrolio costerà 150 dollari al barile, allora il suo prezzo già domattina balzerebbe a (quasi) 150 dollari, in quanto
tutti si metterebbero subito a comprarlo per rivenderlo a 150 fra un anno e guadagnare la differenza; ma se la gente
corre a comprare oggi con l’intenzione di rivendere fra un anno, allora il prezzo aumenta immediatamente per effetto
della maggiore domanda, e quindi si avvicina già oggi agli attesi 150 dollari al barile. In realtà, quindi, se il prezzo di oggi
è 85 $ è perché, così come alcuni operatori pensano che debba aumentare (e quindi comprano oggi per rivendere
successivamente e guadagnarci), altrettanti credono che scenderà (e quindi vendono oggi con l’intenzione di ricomprare quando
costerà meno e guadagnarci). Si può dire che se il prezzo di oggi è 85 è proprio perché gli operatori “mediamente” si
attendono che il prezzo in futuro sarà 85 (più qualcosa per tener conto degli interessi).
Insomma: i prezzi di oggi sono i prezzi che, mediamente, gli operatori pensano ci saranno in futuro (scontati –
cioè diminuiti degli interessi – ad un opportuno tasso per il periodo di tempo che c’è fra oggi e quel domani ). Ma dal momento
che la realtà ci dice che i prezzi variano continuamente nel tempo, e a volte anche di molto in poco tempo, questo
dimostra che sono imprevedibili: se le aspettative “medie” degli operatori si realizzassero, allora i prezzi non
cambierebbero mai!
Ecco allora che quando sentite dire dal grande esperto Dott. Prof. “Pinco Palla” che “gli operatori si attendono
che il petrolio raggiunga i 120 $ entro un paio d’anni” oppure che “ci si aspetta una diminuzione dei tassi a lungo
termine nei prossimi mesi”, l’unica cosa di cui potete essere certi è che il dott. Prof. Pinco Palla o nulla ha capito delle
basi di economia, oppure ha già comprato del petrolio o dei crediti a lungo termine e cerca ora di convincere altri a fare
altrettanto in modo che il prezzo di ciò che ha acquistato aumenti e lui possa rivendere guadagnandoci. In altre parole: il
Dott. Prof. Pinco Palla o è ignorante o è un furbetto. Legittimo è, invece, dire (come fa anche il Mago Otelma) “io prevedo che
il petrolio nel 2016 costerà 120 $” e “io ritengo che nei prossimi mesi i tassi a lungo termine scenderanno”; ma chi
ascolta deve essere consapevole che chi parla va controcorrente, così come andrebbe ugualmente controcorrente chi
facesse le previsioni opposte: infatti, complessivamente (in generale, in media) gli operatori ritengono che nel futuro il
prezzo del petrolio sarà quello di oggi e che i tassi a lungo termine non scenderanno né saliranno rispetto a quelli di oggi
(a parte piccole differenze dovute agli interessi, cioè al fatto che in uno stesso istante il valore di un bene è diverso in funzione del tempo che manca
affinché quel bene sia disponibile. E’ il concetto di base della matematica finanziaria che spero di essere riuscito a chiarirti qualche pagina indietro).
16
5.3) Come si forma un prezzo (e, quindi, anche un tasso) “di mercato”.
Ognuno è libero di chiedere, per la sua casa come per i servizi di telefonia che produce o per i suoi
broccoli o coriandoli, il prezzo che vuole, ma è chiaro che se la richiesta è assurda (o, come si dice, “fuori mercato”) non
troverà nessuno disposto ad accordarsi con lui, in quanto nessuno preferisce spendere molto per acquistare da me
una cosa che altri vendono a poco. Cosicché chi è intenzionato a vendere (ma anche chi vuole acquistare il bene altrui) dovrà
proporre un prezzo in linea con quelli praticati usualmente dai tanti altri soggetti impegnati nella medesima
operazione. E’ poi evidente che più il bene trattato è diffuso o ha alternative merceologiche, e più è difficile
proporre per quel bene prezzi che si discostano da quelli offerti dai concorrenti: certamente, il proprietario della
pietra filosofale non dovrebbe temere la concorrenza di altri offerenti, ma un agricoltore che cerca di vendere il
latte delle sue mucche non può non preoccuparsi del prezzo a cui i suoi colleghi allevatori sono disposti a
vendere il loro latte, e altrettanto deve fare chi offre l’uso dei propri risparmi o chiede di poter usare soldi non suoi.
5.3.1) La “legge della domanda e dell’offerta” e il “prezzo di equilibrio”.
Immaginati rinchiuso a scuola e certo di doverci rimanere per i prossimi dieci giorni, senza possibilità
di uscire, insieme ad altri 99 studenti del Tricolore, muniti ognuno di 100 euro e senza possibilità di rifornirvi di
alimenti al di fuori del quotidiano passaggio di un unico merendero autorizzato a rifocillarvi. Ipotizza ora che il
merendero porti, ogni giorno, 100 panini. A quanto pensi che riuscirà a venderti ogni panino? Ritengo
estremamente probabile che accetteresti di pagarli 10 euro l’uno.
Ipotizza invece che altri merenderi siano autorizzati a proporvi liberamente in vendita i loro panini, in
modo che negli ambienti scolastici ne siano potenzialmente disponibili ogni giorno un numero enorme,
sufficiente per saziare centinaia di persone. A quanti euro ritieni che i merenderi saranno disposti a vendervi i
loro panini? Credo sia intuitivo che il prezzo di vendita di un panino si scosterà di poco dal costo sostenuto dai
merenderi per il suo acquisto (o produzione) e la sua consegna a scuola, diciamo più o meno un euro: guadagnare
poco è sempre meglio di guadagnare niente lasciando le vendite ai concorrenti.
Questo mostra come, a parità di panini richiesti (parità perché le esigenze alimentari nelle due situazioni non mutano), il
prezzo diminuisce all’aumentare della quantità offerta (e, viceversa, il prezzo aumenta al diminuire della quantità offerta).
La cosa può anche essere vista da un’angolazione diversa: quanti di voi sono disposti a raccogliere
castagne nei boschi per venderle ai caldarrostai ambulanti a 0,10 euro al chilo? Immagino nessuno.
Quanti di voi sarebbero invece disposti a star chini nei boschi se il prezzo delle castagne fresche fosse
25 euro al chilo? Tutti, voglio sperare (ché, altrimenti, meritereste solo d’esser presi a calci nel retro). E se tutti voi andate a
raccogliere castagne (e ossigenarvi i polmoni tra i boschi) il quantitativo di castagne offerto in vendita aumenta.
Questo dimostra come la quantità offerta di un bene economico aumenti all’aumentare del suo prezzo (e,
viceversa, la quantità offerta diminuisce al diminuire del prezzo).
Graficamente si può rappresentare il concetto in questo modo:
Quantità
offerta
Prezzo
Attenzione: visto il grafico, non è corretto affermare che prezzo e quantità offerta sono “direttamente
proporzionali”, in quanto se è vero che all’aumentare dell’uno aumenta l’altra, non è però detto che aumentino
nella stessa proporzione: al raddoppio del prezzo la quantità certamente aumenta ma non necessariamente del
doppio. Potrebbe aumentare del triplo o del 20%, ad esempio.
Se prezzo e quantità fossero “direttamente proporzionali” la curva dell’offerta sarebbe una retta.
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Provate adesso a contare quante volte nell’ultimo anno siete andati al cinema. Ora pensate a quante
volte ci sareste andati se il biglietto fosse costato un euro. Certamente qualcuna in più, a meno che non vi piaccia
questo genere di svago. Quanti film avreste visto, invece, se l’ingresso fosse costato 50 euro? Certamente di
meno, e forse nessuna. Ciò per evidenziare come la quantità domandata di un bene diminuisce all’aumentare del
suo prezzo.
Graficamente:
Quantità
domandata
Prezzo
Se in un certo momento, al mercato di Reggio Emilia, 2,14 € al chilo è il prezzo dei lattonzoli, questo
significa che in quel momento, a Reggio, gli operatori economici sono disposti ad acquistare, a quel prezzo, un
quantitativo di lattonzoli (ad esempio 133.333 chilogrammi) esattamente uguale (133.333 chilogrammi) al
quantitativo di lattonzoli che altri operatori sono disposti a vendere in cambio di 2,14 € lire al chilo.
Si dice che 2,14 € è, in quel momento e in quel luogo, il prezzo di equilibrio dei lattonzoli.
Quantità
(kg)
500.000 domanda
offerta
220.000
133.333
60.000
0
1,00
Peq.
3,00
4,00
5,00
Prezzo (€/kg)
Nel grafico si legge, ad esempio, che se il prezzo fosse di 3 euro gli allevatori e i commercianti
riverserebbero sul mercato 220.000 kg di maialini, ma si legge anche che a quel prezzo gli acquirenti sarebbero
disposti a comprare soltanto 60.000 kg. Rimarrebbero quindi invenduti qualche migliaio di porcellini pari a
160.000 chili di carnose prelibatezze rosa. Questo significa che 3 euro non è quindi un prezzo di equilibrio.
Se, partendo dal un prezzo di equilibrio di 2,14 euro, il quantitativo domandato a quel prezzo diventa
133.334 (perché ai 133.333 di prima si aggiunge 1 chilo domandato da me per far festeggiare il compleanno al mio cane con una braciola di maialino),
allora, essendo come si è detto i possessori di lattonzoli disposti a vendere a quel prezzo ( 2,14 €) soltanto
133.333 chili, non vi è più coincidenza fra domanda ed offerta. Perciò non tutti gli acquirenti riusciranno a
soddisfare le proprie esigenze (forse io, oppure se io riuscissi a comprare il chilo di carne allora qualcun altro, che pure era disposto a spendere 2,14 €,
non lo troverà più). Si dice che il prezzo non è più in equilibrio.
A meno che qualche operatore non diminuisca la propria quantità richiesta per motivi suoi (magari perché il
l’unico modo per avere la certezza che il mio cane festeggi
alla grande il compleanno (e se lo merita, ha trovato il petrolio in giardino) è convincere un detentore di lattonzoli – che ritiene il prezzo
attuale di 2,14 non per lui conveniente perché troppo basso – a vendere la sua merce. E l’unico sistema per
convincerlo, in un regime di scambi liberi e quindi volontari, è offrire un prezzo maggiore, ad esempio 2,15 €.
colesterolo gli è andato troppo su o perché Maometto gli è apparso in sogno),
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A quel prezzo il quantitativo di lattonzoli offerto aumenterà (ad esempio diventerà 133.333,8 chili) perché chi era
disposto a vendere a 2,14 lo sarà a maggior ragione anche a 2,15, e a questi si è aggiunto qualcuno che ritiene
2,14 un prezzo troppo basso e, al contrario, 2,15 un prezzo accettabile; contemporaneamente diminuirà la
domanda, perché dai 133.333 + 1 chili di prima verrà a mancare la richiesta, ad esempio, di 0,2 chili di qualche
acquirente disposto a pagare 2,14, ma che ritiene 2,15 un prezzo troppo caro).
Se questo avviene, il nuovo prezzo di 2,15 € può essere ancora chiamato di equilibrio, perché rende di
nuovo uguali il quantitativo domandato ed offerto (al nuovo livello, questa volta, di 133.333,8 chili).
Nulla è più instabile del prezzo di equilibrio, nel senso che esso varia continuamente: il continuo variare
delle intenzioni di acquisto e di vendita altera (= modifica) istante dopo istante il rapporto fra domanda e offerta,
elevando il prezzo quando la pressione della domanda eccede quella dell’offerta e, viceversa, deprimendolo
quando è l’offerta che si fa più intensa della domanda.
Il “prezzo di equilibrio” di un bene, cioè il “prezzo di mercato” che si forma in un certo istante, è
leggibile, per ciò che si è detto più sopra, come una sorta di media dei diversi valori che le persone (gli “operatori del
mercato”) in quell’istante danno al bene; poiché il valore che ognuno di noi dà a un bene cambia continuamente
perché continuamente cambiano le nostre esigenze e condizioni, allora anche il prezzo di equilibrio si modifica in
continuazione.
E’ questo il motivo per cui, ad esempio, il prezzo del petrolio, dei lattonzoli, dell’oro, dell’erba medica,
dei carciofi ma anche quello delle azioni, delle obbligazioni e di tutti gli altri prodotti finanziari che vengono
compravenduti (scambiati) in borsa sale e scende continuamente.
5.4) Se i tassi calano (aumentano) il valore dei crediti cresce (cala).
Lo riscrivo ancora una volta; tu leggilo, se non altro per verificare se hai acquisito i concetti di base:
1) Un bene del valore di 1.000 € ma che sarà disponibile (cioè che potrà essere usato) solo fra un anno vale, oggi,
meno dello stesso bene già utilizzabile oggi, ma più di quello stesso bene che fosse però disponibile solo fra due
anni e ancor di più di quanto vale, sempre oggi, quel bene se è utilizzabile solo fra 10 ecc.; questa è una regola
generale che vale per qualsiasi bene e per qualsiasi persona: ciò che cambia, da bene a bene e da persona a
persona, è la velocità con cui il valore diminuisce all’aumentare del tempo che occorre attendere per utilizzare il
bene.
2) La velocità con cui il valore di un certo bene diminuisce all’allontanarsi del momento in cui è
disponibile è misurata dal suo (suo di quel bene) tasso di interesse, e ognuno di noi ragiona con un proprio tasso
d’interesse perché ognuno ha gusti propri, perché essendo il valore soggettivo, allora è anche soggettivo
(personale) il valore che diamo al tempo (che è l’unico bene scarso e non producibile).
3) Poiché il denaro compra qualsiasi bene, allora la velocità con cui il suo valore diminuisce
all’allontanarsi del momento in cui può essere utilizzato (cioè il suo tasso di interesse) è come una media delle
velocità (dei tassi di interesse) di tutti i beni acquistabili [ e il tasso d’interesse di equilibrio del denaro, cioè il tasso d’interesse di
mercato, può quindi essere visto come il valore che la gente, mediamente, dà al tempo ] .
credito di 10.000 € che scade fra un anno ha oggi (per ciò che si è detto sopra e nell’ipotesi che di quel credito sia certo il
un valore diverso in funzione del tasso d’interesse con cui si misura la velocità di diminuzione del
valore del denaro per effetto dell’allontanarsi del momento in cui può essere usato: se il tasso è del 10% allora il
valore attuale del credito (il valore che ha oggi) è 9.090,91 € [ 10.000 / (1 + 0,1) ]; se il tasso è del 5% quel credito oggi
vale 9.523,81 € [ 10.000 / (1 + 0,05) ]; se il tasso è dell’ 1% vale 9.900,99 € [ 10.000 / (1 + 0,01) ]; se è dello 0,1% il
valore aumenta a 9.990,01 [ 10.000 / (1 + 0,001) ]; e raggiunge il massimo di 10.000 € quando il tasso è lo 0%, cioè
quando il tempo non ha più valore (come esercizio, controlla i valori che ho scritto). [ I tassi negativi non esistono, a meno
4) Un
futuro incasso)
che avere crediti sia giudicato preferibile all’avere denaro, magari perché, oltre a dare valore nullo o quasi al tempo, i rischi (e quindi i
costi) di conservazione del denaro sono maggiori dei costi di conservazione dei crediti; è quanto avviene in questo anormale periodo
storico in cui, ad esempio, la B.C.E. (Banca Centrale Europea) fa pagare alle banche un tasso (ora, a fine 2014, è lo 0,1%) sulla liquidità che
queste lasciano in deposito su conto corrente che hanno presso di lei; è cioè il creditore che paga il debitore affinché questi continui a
non rimborsare il debito! ].
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5) Se l’orizzonte temporale non è breve (come invece era – un solo anno – nell’esempio del precedente punto) allora la
variazione di valore che i crediti subiscono per effetto di una variazione dei tassi di mercato diviene
considerevole, e la dimostrazione è qui sotto.
Prendiamo come esempio un credito di 10.000 € concesso al tasso fisso del 5% e che scade fra 25 anni:
il suo valore attuale, se il tasso d’interesse di mercato per scadenze a 25 anni è anch’esso del 5%, è ovvio che
sia esattamente 10.000 €. Se avessi dei dubbi in proposito puoi verificarlo usando le tavole finanziarie (vai a pag. 12)
facendo questo calcolo:
il valore attuale di 10.000 € disponibili fra 25 anni è, se il tasso è il 5%, 10.000 x 0.29532 = 2.953,20 €;
il valore attuale di una rendita annua costante di 500 € della durata di 25 anni (sono i 500 € di interessi che il creditore incassa
annualmente grazie al tasso del 5%: 10.000 x 5% x 1 = 500) è: 500 x 14,0939 = 7.046,80 €; la somma fra i due valori attuali è
(2.953,20 + 7.046,80) 10.000,00 € ]
Ora sottoponiamo quel credito, che continua a dare interessi al tasso del 5%, a due variazioni del tasso
di mercato: a) dal 5% i tassi salgono al 10%, b) dal 5% i tassi calano all’1%.
a) se il tasso d’interesse di mercato che è ora possibile ottenere dai prestiti a 25 anni è il 10%:
il valore attuale di 10.000 € disponibili fra 25 anni è: 10.000 x 0,0923 = 923 €;
il valore attuale di una rendita annua di 500 € della durata di 25 anni è: 500 x 9,077 = 4.538,5 €;
il valore attuale di un credito di 10.000 € che scade fra 25 anni e che frutta interessi al 5% è quindi pari a
(923 + 4.538,5) 5.461,50 €
b) se il tasso d’interesse di mercato che è ora possibile ottenere dai prestiti a 25 anni è l’1%:
il valore attuale di 10.000 € disponibili fra 25 anni è: 10.000 x 0,77977 = 7.797,70 €;
il valore attuale di una rendita annua di 500 € della durata di 25 anni è: 500 x 22,023 = 11.011,50 €;
il valore attuale di un credito di 10.000 € che scade fra 25 anni e che frutta interessi al 5% è quindi pari a
(7.797,7 + 11.011,5) 18.809,20 €
La variazione dei tassi di mercato (e i tassi, lo ricordo, variano continuamente e in modo imprevedibile: nel primo grafico della prossima
pagina puoi verificare come dal 2008 a oggi i tassi per prestiti a 20 anni sono calati da oltre il 5% a meno del 2%) non influisce solo sul valore dei
crediti a tasso fisso, bensì sul valore di tutti i beni produttivi di un reddito che prevedibilmente si manterrà
costante nel tempo: se tu avessi una giacca magica (tipo quella di Dino Buzzati) da una tasca della quale ogni giorno e per
sempre potessi trarre 100 € (36.500 € l’anno) il prezzo a cui riusciresti a venderla dipenderebbe dal tasso d’interesse
a lungo termine che si forma sul mercato (il “tasso di equilibrio”, e se hai dei dubbi sul significato di questo equilibrio torna a pagina 18) al
momento della vendita. Infatti, se il tasso fosse del 10% nessuno sarebbe disposto a comprarti la giacca per più
di 365.000 € (36.500 / 0,1), perché con quella cifra, e se il tasso a cui si possono prestare in modo sicuro i risparmi
è del 10%, si ottengono 36.500 € di interessi l’anno, esattamente la capacità reddituale della tua giacca; al
contrario, troveresti un sacco di persone disposte a comprare la giacca per anche solo un po’ meno di 365.000,
ad esempio 364.000: con 364.000 investiti al 10% un risparmiatore ottiene 36.400 € di interessi l’anno, ed è
meglio avere 36.500 € di reddito annuale (dalla tua giacca) che non 36.400 (Catalano docet).
Ipotizziamo che il tasso d’interesse a lungo termine dal 10% cali al 5% (come era nel 2008) e tu abbia ancora
la giacca magica (che continua a produrre un centone al giorno). Ora troveresti innumerevoli operatori disposti a comprarla
per una cifra molto prossima ai 730.000 (36.500 / 0,05), perché con, ad esempio, 729.000 € di capitale investito,
ora (adesso che il tasso di rendimento per investimenti a lungo termine e senza rischio è sceso al 5%) si ottiene un reddito annuo di 36.450 €
(720.000 x 5%) e quindi a quel prezzo meglio comprare la tua giacca magica.
Se poi il tasso scendesse al 2% (come è ora) allora potresti vendere la giacca a 1.825.000 € (36.500 / 0,02). Lo
straordinario aumento di valore della giacca (o del credito, così come di qualsiasi altro bene di investimento produttivo di un reddito
sufficientemente stabile nel tempo) è legato all’ipotesi fatta che il bene produca un reddito per un tempo infinito: in questo
caso tasso e valore sono legati da un rapporto di proporzionalità inversa: se il tasso dimezza (dal 10% passa al 5%)
allora il valore raddoppia (da 365.000 arriva a 730.000); se il tasso si riduce a un quinto (dal 10% cala al 2%) allora il
valore si moltiplica per 5 (e da 365.000 arriva a 1.825.000).
20
Ma le variazioni di valore risultano decisamente elevate anche quando il periodo non è infinito ma è
comunque piuttosto lungo: si è visto più sopra che nel caso di durata 25ennale il dimezzamento del tasso dal
10% al 5% provoca un aumento del valore che, pur non raddoppiando (cioè pur non aumentando del 100% come quando il tempo
è infinito) è comunque pari a oltre l’83% (da 5.461,50 a 10.000), perciò non molto lontano dal doppio.
Andamento storico (2001 – 2014) dei tassi a lungo termine (20 anni) sull’euro (per debitori di sicura solvibilità)
€ IRS 20Y
7,00%
6,00%
5,00%
4,00%
3,00%
€ IRS 20Y
2,00%
1,00%
0,00%
Andamento storico (2000 – 2014) dei tassi a breve termine (3 mesi) sull’euro (per debitori di sicura solvibilità)
Euribor a 3 mesi
6,00%
4,00%
2,00%
Euribor a 3 mesi
dic-99
giu-00
dic-00
giu-01
dic-01
giu-02
dic-02
giu-03
dic-03
giu-04
dic-04
giu-05
dic-05
giu-06
dic-06
giu-07
dic-07
giu-08
dic-08
giu-09
dic-09
giu-10
dic-10
giu-11
dic-11
giu-12
dic-12
giu-13
dic-13
giu-14
0,00%
Prima di cominciare, nel prossimo paragrafo, a parlare di moneta per cercare di capirne natura e
funzionamento, non fa male ripetere un’altra volta che quando si offre – o si chiede – un finanziamento non si
pone in vendita – o non si compra – il denaro bensì il suo uso: nessuno è così coglione da comprare o vendere i
soldi (a meno che non si tratti di monete diverse, come quando l’italiano che va a Londra vende degli euro per comprare delle sterline): un euro nessuno
mai lo comprerà per più di un euro e nessuno lo venderà per meno di un euro. Il risparmiatore offre in vendita
l’uso del suo denaro; chi ha bisogno di più denaro di quanto ne disponga domanda di usare il denaro altrui.
Il prodotto (finanziario) che viene compravenduto (a un certo prezzo chiamato “interesse”) è il servizio
costituito dall’uso del denaro.
Se proprio volessimo parlare di compravendita di un bene e non di un servizio, allora lo potremmo fare
solo pensando che il creditore, quando eroga il finanziamento, sta comprando, con pagamento immediato, il
montante che il debitore dovrà consegnargli alla fine del prestito, e così risulterebbe che l’acquirente (il cliente) è
chi finanzia e il venditore è chi si indebita (il quale “vende” il montante). Oltre a risultare piuttosto tortuoso, non si
potrebbe comunque dire che si è in presenza di denaro, perché il denaro è tale se dà immediato potere
d’acquisto, e quindi il montante non è certo denaro.
21
6) Cosa è la moneta.
6.0) Premessa.
Sapete già che l’interesse è il prezzo che si paga per usare il denaro altrui . Il concetto non è
particolarmente complicato; ben più difficile è avere chiaro che cosa è il denaro (denaro e moneta sono sinonimi),
tanto è vero che nonostante tutti lo usino, sono in pochissimi a sapere cosa è e come funziona.
So bene che spesso serve a poco conoscere la natura e il funzionamento di uno strumento, essendo
sufficiente il saperlo usare (né voi né io sappiamo come ha fatto la televisione a farci vedere le olimpiadi in diretta da Pechino, ma poco ci importa: la
televisione è sufficiente saperla accendere e sintonizzarla sul canale giusto, e noi – che nulla sappiamo di elettronica e di tecnologia delle telecomunicazioni –
usiamo la TV con la stessa efficacia di un ingegnere elettronico),
ma nel caso della moneta le cose sono diverse: la moneta è uno
strumento di importanza enorme, in grado di influenzare pesantemente la nostra vita quotidiana, e non
conoscerla significa non comprendere tanta parte della realtà ed essere quindi incapaci di prendere le decisioni
corrette.
Sono anche perfettamente consapevole del fatto che ci teniate di più ad usarlo, il denaro, che a capirne
la natura; ma essendo pagato per insegnarvi un po’ di economia, vi offro queste fotocopie anziché delle
banconote.
6.1) Nascita, natura e importanza della moneta.
L’economia è una faccenda parecchio complicata, e di tutti i problemi economici la moneta è
probabilmente il più intricato e quello per cui è maggiormente necessario assicurarsi di avere ben capito i
concetti di base prima di affrontare gradualmente le questioni più complesse.
Per di più, il continuo e agevole uso che quotidianamente facciamo dello strumento moneta ci porta a
sottovalutarne la straordinaria complessità, un po’ come la semplicità del telefonare al cellulare allontana dalla
corretta percezione (che solo un ingegnere delle comunicazioni può avere) della straordinaria complessità dei processi e
delle infrastrutture sottostanti a quell’azione.
Ecco perché vi chiedo attenzione mentre leggerete questa e le prossime due pagine (in parte tratte
dall’introduzione di “What Has Government Done to Our Money?” un testo scritto nel 1964 da Murray N. Rothbard, un
economista di scuola “austriaca”): non commettete l’errore di crederle semplici o banali.
6.1.1) Inevitabilità degli scambi.
Perché è nata la moneta? Chiaramente Robinson Crusoe non ne aveva bisogno:
non avrebbe potuto mangiare monete, né, con esse, curarsi il mal di denti o ripararsi
dal freddo (paragrafo 1.1 – “L’attività umana – degli appunti “Bisogni, beni, aziende ecc.”).
Neanche ne avrebbero avuto bisogno, Crusoe e Venerdì, nei loro scambi di –
poniamo – pesce per noci di cocco.
Ma quando la società si espande oltre alcune
famiglie, lo scenario è pronto per la comparsa della moneta.
R
Robinson Crusoe e Venerdì
22
Per spiegare il ruolo della moneta dobbiamo andare ancora indietro, e chiederci: perché gli uomini
scambiano? Lo scambio è la base della vita economica Senza scambi non ci sarebbe nessuna vera economia
e praticamente nessuna società.
Chiaramente uno scambio volontario si verifica perché entrambe le parti se ne attendono un beneficio.
Uno scambio è un accordo tra A e B per trasferire beni o servizi di un individuo per i beni e i servizi dell’altro.
Entrambi ne beneficiano perché ognuno valuta quello che riceve in cambio più di quello che cede, ed è questo
il motivo per cui, anche a parità di beni prodotti e disponibili, una collettività in cui gli scambi sono liberi e
agevoli è più ricca di una in cui gli scambi sono limitati.
Quando Crusoe scambia del pesce per le noci di cocco di Venerdì, egli valuta le noci che “compra”
più del pesce che “vende”, mentre Venerdì, al contrario, valuta il pesce più delle noci.
Per millenni, da Aristotele a Marx, gli uomini hanno erroneamente creduto (ma Aristotele è giustificato dalla
stazionarietà dell’economia della sua epoca, Marx no; e se non capisci questa parentesi non ti preoccupare: non hai ancora gli strumenti
necessari)
che uno scambio richieda una qualche sorta di eguaglianza di valore, che se il cesto di pesce è
scambiato per 20 noci di cocco, allora c’è una sottostante uguaglianza tra di loro, per cui in tutti i casi in cui
uno ci guadagna l’altro necessariamente ci perde.
In realtà, invece, lo scambio è stato fatto proprio perché
ogni parte ha valutato i due prodotti differentemente.
Perché lo scambio è così universale nella specie umana? Fondamentalmente a causa della duplice
grande varietà della natura, e cioè: 1. la varietà nell’uomo, in quanto ognuno di noi possiede differenti abilità,
attitudini e gusti; 2. la diversità di localizzazione delle risorse naturali, in quanto ogni porzione di suolo ha le
sue proprie caratteristiche, le sue specifiche risorse.
Lo scambio deriva cioè dalla realtà naturale della varietà; olio di Puglia per aringhe d’Islanda; i servizi
sanitari di un medico in cambio del concerto di un pianista.
La specializzazione permette ad ogni uomo di sviluppare le sue migliori abilità, e permette ad ogni
regione di sfruttare le sue peculiari risorse. Se nessuno potesse scambiare, se ogni uomo (o ogni piccola collettività di
uomini come una tribù o un borgo medioevale) fosse costretto a essere completamente autosufficiente, è ovvio che la
maggior parte di noi morirebbe di fame, e il resto rimarrebbe vivo a malapena: nei secoli passati, quando per
motivi tecnici e/o politici gli scambi erano limitati, il nostro pianeta aveva risorse per mantenere in vita solo
qualche centinaio di milioni di uomini (di cui la gran parte in estrema povertà); oggi, a globalizzazione ormai completa,
lo stesso pianeta fa vivere oltre sette miliardi di persone (e buona parte in opulenza). Lo scambio è la linfa vitale,
non soltanto dell’economia, ma della civiltà stessa.
Tuttavia lo scambio diretto di beni e servizi (il baratto) sarebbe a malapena sufficiente a mantenere
un’economia appena sopra un livello primitivo. Lo scambio diretto, il baratto, difficilmente può portare a
condizioni economiche di poco migliori della pura autosufficienza. Perché questo? Per prima cosa, è chiaro
che si potrebbe realizzare una produzione molto limitata. Se do l’incarico a degli operai di costruire una casa,
con cosa li pagherò? Con delle lezioni di economia che interessano a nessuno? E cosa darò al fornaio per il
pane che comprerò domani? So che gli piace la mia moto, ma per 4 ragnetti una moto mi sembra un prezzo un
po’ eccessivo, e non posso certo dargliene solo un pezzettino. I due problemi base del baratto sono
“l’indivisibilità” e la “mancanza di coincidenza dei desideri”.
Così, se ho un televisore e lo volessi scambiare con diverse cose – diciamo uova, pane e vestiti – come
posso fare? Non posso certo fare a pezzi la TV e darne un pezzo al contadino e un altro pezzo al sarto. Ma
23
anche quando i beni sono divisibili, è generalmente impossibile per due che abbiano da scambiare qualcosa
incontrarsi proprio in quel momento. Se A ha delle uova da vendere e B ha un paio di scarpe, come possono
trovarsi d’accordo se A in quel momento vuole un vestito e non le scarpe? E pensate alla fatica, per un
vecchio professore di economia amante del pinzimonio, trovare un venditore di carote e cipollotti che voglia
acquistare alcune lezioni di economia o una consulenza fiscale in cambio dei suoi prodotti! Chiaramente
nessun tipo di società non primitiva è possibile sotto un regime di scambio diretto.
6.1.2) Come è nata la moneta.
L’uomo ha scoperto, grazie al processo per tentativi ed errori – by
trial and error – (processo che più di qualsiasi altro fattore ci ha portato dalle caverne ai
grattacieli), la strada che conduce ad un’economia in continua espansione: lo
scambio indiretto.
Effetti dell’applicazione del processo “by trial and error”
Con lo scambio indiretto si vendono i prodotti non per un bene che ci serve direttamente, ma per un
altro bene che può a sua volta essere venduto per un bene desiderato. A prima vista questa può sembrare una
complicazione. Ma è invece uno strumento meraviglioso che permette alla civiltà di svilupparsi.
Consideriamo il caso di Biolco, il contadino ricco di uova che vuole comprare le scarpe fatte da
Ciabattoni, il calzolaio.
Dal momento che Ciabattoni, avendo il colesterolo alto, non è interessato alle uova, Biolco scopre ciò
che il calzolaio desidera, ad esempio della benzina, e si mette alla ricerca di un terzo, Carburo, che desidera
uova e ha benzina in eccesso. Biolco scambia le sue uova per la benzina di Carburo; poi Biolco vende la
benzina a Ciabattoni per le scarpe. Attenzione: Biolco va in bicicletta, non in auto; non gli interessa la
benzina per il consumo diretto, ma perché essa gli permetterà di prendersi le scarpe.
Il contadino
ha bisogno di scarpe,
interessano le sue uova:
ma al calzolaioo
a lui interessa, invece, la benzina
Il contadino, allora, vende le sue uova al benzinaio
non
.
che è goloso di frittata, allo scopo
di comprare la benzina da dare al calzolaio e ottenere così le scarpe.
Ecco come la benzina
si evolve
→ in moneta
.
24
Allo stesso modo io, proprietario di una televisione di cui posso fare a meno, venderò il mio TV
per un prodotto che posso più facilmente dividere e vendere – ad esempio sempre la benzina – e poi scambierò
litri di benzina per uova, pane, vestiti ecc.
In entrambi i casi la superiorità della benzina – la ragione per cui c’è una domanda extra di
benzina oltre a quella originata dalla semplice volontà di consumarla – sta nella sua maggiore
commerciabilità o, come anche si dice, nel suo maggior grado di “liquidità”.
Se un bene è più
commerciabile (più “liquido”) di un altro – se tutti cioè pensano che sarà più prontamente vendibile – allora
esso sarà molto richiesto perché sarà comprato per accumularne una certa scorta da utilizzare come efficace
mezzo di scambio. Sarà il mezzo con cui un produttore specializzato può scambiare il suo prodotto con i
beni di altri produttori specializzati.
C’è una grande varietà nella commerciabilità (nella liquidità) dei beni: alcuni beni sono più
diffusamente richiesti di altri, alcuni sono più divisibili in unità più piccole senza perdere di valore nel
frazionamento, alcuni sono più duraturi nel tempo, alcuni più facilmente trasportabili a grandi distanze. Tutti
questi vantaggi riuniti danno una maggiore commerciabilità.
In ogni società i beni più commerciabili sono stati, nei millenni, gradatamente selezionati come
mezzi di scambio. Quanto più essi furono scelti come mezzi di scambio, tanto più ne crebbe la domanda
proprio a causa di questo loro uso, diventando così sempre più commerciabili.
Il risultato è una spirale: più commerciabilità causa un più ampio uso come mezzo di scambio;
questo a sua volta causa una maggiore commerciabilità, ecc. Alla fine, man mano che col tempo si
sperimentano vari beni, in quella collettività di persone, senza che nessuno lo imponga, saranno da tutti
utilizzati come mezzo di scambio uno o due beni, e questi beni saranno chiamati moneta.
Nella storia, come mezzi di scambio, sono stati usati molti beni e molto differenti fra loro: tabacco
nella Virginia, zucchero nelle Antille, sale in Abissinia, bestiame nell’antica Grecia e nella Mongolia, chiodi
in Scozia, rame nell’antico Egitto, grano, perline, tè, conchiglie, ami ecc. . La risposta corretta alla domanda
“cosa può essere utilizzato come moneta?” è, quindi, “qualsiasi cosa la gente consideri moneta”.
Attraverso i secoli, due beni, l’oro e l’argento, sono emersi come monete migliori grazie a un
millenario processo “by trial and error” reso possibile dalla libera competizione del mercato, spodestando col
tempo altri mezzi di scambio. Entrambi, l’oro e l’argento, sono straordinariamente commerciabili, sono
grandemente richiesti per uso ornamentale ed eccellono nelle altre qualità indispensabili ai mezzi di scambio.
Negli ultimi millenni, l’argento, essendo relativamente più abbondante dell’oro, si è rivelato utile
per scambi di non rilevante importo, mentre l’oro è risultato più adatto per saldare transazioni di importo
elevato. In ogni modo, la cosa importante è che, qualunque ne sia la ragione, il libero mercato e cioè lo
spontaneo comportamento degli uomini – e non la volontà di un Principe e nemmeno la scienza dei sapienti – ha
rivelato che l’oro e l’argento sono le monete più efficienti. Almeno fino al 15 agosto 1971.
6.1.3) Dall’oro alla carta.
Negli ultimi secoli all’oro e all’argento si sono affiancati dei documenti di carta. Dapprima
rappresentavano l’oro e l’argento, erano cioè dei documenti rappresentativi della moneta (dei “titoli di credito”):
alcuni soggetti che godevano della fiducia del pubblico cominciarono a stampare pezzi di carta impegnandosi
a ricomprarli in un qualsiasi momento in cambio di un determinato quantitativo di oro (più raramente di argento o di
25
entrambi).
In questo modo quella carta assumeva il valore del metallo prezioso sottostante, e da qui nacque il
termine “cartamoneta” (e la stessa origine ha il termine “banconota”, che significa “nota del banco”, cioè scrittura (documento,
nota) compilata sul tavolo (banco) dal soggetto emittente (che inizialmente era il mercante e poi, più o meno dal XIII secolo, l’ex mercante che
si era specializzato nell’attività di banchiere. Fossero mercanti o banchieri, i più capaci e innovativi al mondo erano comunque del centro-nord
Italia)).
Se il soggetto emittente la carta conservava riserve di metallo prezioso pari all’importo
complessivo di carta emessa, allora il sistema monetario, pur basato sulla carta-moneta, era “metallico a
riserva totale”. Ben presto, però, i banchieri (coloro che emettevano le “note del banco”) si resero conto che la maggior
parte dell’oro che veniva depositato non veniva ritirato, in quanto i depositanti preferivano tenersi in tasca le
banconote; ecco, allora, che i banchieri cominciarono a emettere per ogni grammo d’oro che ricevevano varie
banconote ognuna delle quali garantiva al possessore il diritto di ritirare un grammo d’oro. L’emittente, in
altre parole, stampava un volume di moneta cartacea maggiore (ad esempio di 5 volte) del valore di metallo
prezioso che conservava nelle sue riserve. Il sistema monetario continuava a essere “metallico” ma divenne
“metallico a riserva frazionaria” (nell’esempio, con riserva al 20%, cioè 1/5).
Il sistema a riserva frazionaria funziona sulla base della convinzione che mai tutti i possessori di
carta-moneta si presentano contemporaneamente a vendere la carta-moneta per comprare l’oro sottostante (un
sistema a riserva frazionaria al 10% funziona fino a quando le richieste di conversione in metallo delle banconote rimangono sotto l’1/10 della
carta in circolazione).
Il sistema metallico a riserva frazionaria basato sull’oro (detto “gold standard”) è stato usato negli
U.S.A. fino al 15 agosto del 1971, quando il dollaro, che dopo gli accordi internazionali di Bretton Woods del
1944 era rimasta l’ultima moneta convertibile in oro, ha cessato di esserlo (dal 1934 e fino al 1971 il governo USA
consegnava un’oncia d’oro in cambio di 35 dollari; in precedenza, dalla fine del ‘700 al 1933, il cambio $ USA/oncia oro fu sempre di circa 20 $ per
un’oncia. Per chi non lo sapesse un’oncia corrisponde a circa 31 grammi).
Pur essendo il dollaro l’unica moneta rimasta convertibile in oro, con gli accordi di Bretton Woods
del 1944 molte altre monete risultavano ugualmente ancorate al metallo prezioso e quindi anche il loro poteva
ancora essere definito un sistema metallico: infatti i soggetti emittenti altre monete (le “banche centrali” dei vari paesi,
come la Banca d’Italia che emetteva lire, la Bank of England che stampava – e stampa – sterline, la Bundesbank che emetteva i marchi ecc., tutti
organismi, le Banche Centrali, che, sebbene formalmente di proprietà privata, sono in realtà soggetti pubblici più o meno strettamente legati ai
governi o ai parlamenti nazionali)
si impegnavano a comprare la loro moneta in cambio di un quantitativo prefissato di
dollari (per la nostra vecchia lira il cambio fisso col dollaro fu per molti anni 625 lire per un $ USA) e quindi in pratica, anche se
indirettamente, in cambio di un certo quantitativo di oro. Quando una moneta è convertibile ad un cambio
fisso con un’altra a sua volta convertibile in oro allora il suo sistema monetario è detto “gold exchange
standard”.
Il 15 agosto 1971 ha segnato il passaggio al sistema attuale: il sistema monetario basato sul nulla,
o meglio basato unicamente sulla fiducia che la gente continui a credere sia che le banconote conservino il
potere di acquisto (moneta fiduciaria), sia che le banche siano in grado di restituire ai risparmiatori la moneta da
essi depositata “a vista” sebbene la gran parte (ben oltre il 90%) l’abbiano prestata ad altri (sistema a “riserva
frazionaria”, e di questo si parlerà ancora più avanti).
Per migliaia di anni ci si è fidati che l’oro e l’argento continuassero a essere considerati preziosi e
liquidi (e, perciò, moneta), poi, per qualche secolo, a questa fiducia si è affiancata anche la fiducia che il banchiere
che stampava carta fosse disposto e in grado di ricomprarsi le banconote stampate vendendo oro, e ora, da
circa mezzo secolo, ci fidiamo semplicemente che anche gli altri si fidino come noi che tutti continuino a
credere che la moneta conservi il suo valore.
26
Che funzioni in un modo o nell’altro, la moneta è, comunque, un bene economico. Resta
certamente vero che la moneta, specie se di carta, non è in grado di soddisfare direttamente alcun bisogno, ma
la fiducia che gli altri l’accettino in cambio dei loro beni conferisce anche ad essa il valore di bene.
La nascita della moneta è stata, non mi stanco di ripeterlo, di grande vantaggio per la specie
umana. Senza la moneta – senza un mezzo generale di scambio – non ci potrebbe essere alcuna vera divisione
del lavoro, nessun avanzamento dell’economia oltre un livello primitivo di produzione. Con la moneta
scompaiono i problemi dell’indivisibilità e della “coincidenza dei desideri” che avevano afflitto la società del
baratto. Così tutti i beni e i servizi sono venduti in cambio di moneta e la moneta è usata per comprare tutti i
beni e servizi che la gente desidera.
Grazie alla moneta, grazie al fatto che moltiplica la possibilità di scelta dei beni acquistabili e
quindi anche di beni non di consumo cioè di fattori produttivi (il lavoro, i beni capitali e le risorse naturali), si possono
creare tantissime elaborate “strutture di produzione” e tra queste individuare quelle più efficienti, arricchendo
straordinariamente, a parità di risorse, la collettività.
[ Nel caso le ultime quattro righe non ti fossero chiare, provo con un esempio: Biolco è un agricoltore che deve
decidere cosa coltivare nel suo podere; Ermes è un commerciante di sementi e di concimi; Efèsto è un fabbro. Biolco sa che
il suo terreno è più adatto al girasole che al trifoglio e sa anche, però, che per coltivare girasoli avrà bisogno di semi, concime
e di un aratro, mentre per il trifoglio gli bastano i semi e il concime. Se non esistesse la moneta Biolco sarà probabilmente
costretto a coltivare il trifoglio per superare la difficoltà aggiuntiva di trovare, oltre a ciò che dovrà dare a Ermes in cambio di
semi e concime, anche qualcos’altro che convinca Efèsto a vendergli o noleggiargli l’aratro. Ecco allora che quella collettività
sarà più povera di quanto sarebbe stata in presenza di moneta, quella moneta che avrebbe reso agevole lo scambio tra Biolco
ed Efèsto. La struttura di produzione in quella società senza moneta sarà infatti meno efficiente in quanto verrà prodotto un
output di valore minore (il trifoglio inadatto al terreno invece del girasole che massimizza la produttività del fattore terra)
].
L’istituzione della moneta comporta anche un altro grande vantaggio. Dal momento che tutti gli
scambi sono fatti in moneta, tutti i rapporti di scambio sono espressi nei suoi termini, e quindi la gente può
confrontare il valore di un qualsiasi bene con quello di ogni altro bene.
Se un televisore si può scambiare con 10 grammi d’oro (o con 10 banconote) e una automobile
con 180, allora è evidente che sul mercato quell’auto “vale” 18 televisori. Questi rapporti di scambio sono i
prezzi, e la moneta serve – anche – come denominatore comune, come metro, come unità di misura di tutti i
prezzi.
Soltanto l’istituzione di prezzi monetari di mercato permette lo sviluppo di una economia evoluta,
perché solo con essi è possibile il calcolo economico.
Potendo, grazie alla moneta, fare calcoli economici, gli imprenditori possono capire se con
l’attività aziendale andranno incontro più probabilmente a profitti o a perdite, e i consumatori possono meglio
individuare il mix di acquisti che massimizza la loro soddisfazione.
Tali calcoli guidano le persone che agiscono come produttori (imprenditori, lavoratori autonomi e capitalisti)
alla ricerca di profitto monetario permettendo loro di orientarsi sul mercato; quando le persone, smessi i panni
di produttori o lavoratori e vestiti quelli di consumatori, vanno alla ricerca della più elevata soddisfazione dei
bisogni, sono ancora guidati dal calcoli economici.
Solo questi calcoli possono allocare (= indirizzare, sistemare) le
risorse verso il loro uso più produttivo, verso il benessere della collettività; e questi calcoli, ribadisco, sono
resi possibili dai prezzi e quindi dalla moneta.
27
6.2) Vari tipi di moneta.
6.2.1) Moneta merce e moneta segno.
Nel paragrafo precedente si è visto che ci possono essere due tipi di moneta. di cui il primo è stato
usato per millenni e il secondo è in uso solo da qualche decennio:
la moneta-merce, che pur essendo di carta ha un valore collegato a un bene reale attraverso
l’impegno di chi l’ha emessa di ricomprarla in cambio di una quantità prestabilita del bene (normalmente oro);
la moneta-segno, o moneta fiduciaria, il cui valore è basato su nulla al di fuori del fatto
che gli utilizzatori ritengono che abbia quel valore.
In effetti, l’unica caratteristica necessaria e distintiva della moneta, di qualunque tipo sia, è
la liquidità, che è il “potere di acquisto” o, meglio, la possibilità di effettuare pagamenti.
La moneta merce fa parte della ricchezza individuale del suo possessore ed anche della ricchezza
nazionale del paese di cui il possessore è cittadino.
Non altrettanto, invece, si può dire per la moneta segno (o moneta fiduciaria). Certamente
l’individuo che possiede della moneta segno la considererà una sua ricchezza, in quanto sa di poterla
scambiare con merci di ogni genere, con valore intrinseco, non appena lo voglia. Ma non è corretto
considerare la moneta segno come parte della ricchezza nazionale, cioè della collettività.
Consideriamo, infatti, la tipica moneta segno, la moderna banconota della banca centrale: essa
viene intesa come un titolo (= un documento) attestante un debito della banca emittente (la B.C.E., Banca Centrale Europea,
per le banconote in euro) verso il detentore (= possessore) del biglietto (il creditore). E’, ovviamente, un debito a vista,
cioè immediatamente esigibile (= già scaduto).
Ma così stando le cose, se la banconota è ricchezza positiva per il creditore che ne è in possesso, è
però ricchezza negativa di pari importo per il debitore emittente, cioè per la Banca Centrale e quindi per lo
stato. Sommando la ricchezza (positiva) di tutti i creditori (i cittadini che possiedono banconote) e quella (negativa) del
debitore (la Banca Centrale, in pratica lo stato) per ottenere così la ricchezza nazionale, l’addendo positivo viene
neutralizzato dall’addendo negativo e il risultato è zero qualsiasi sia il numero di banconote emesse.
Perché la moneta segno sia ricchezza nazionale, occorre che il debitore ed il creditore
appartengano a due nazioni diverse. I dollari USA posseduti da cittadini cinesi saranno per così dire ricchezza
cinese, in quanto credito della Cina (di un cittadino cinese) verso il paese Stati Uniti; ma se posseduti da americani,
gli stessi dollari non saranno ricchezza americana.
Questa conclusione evita il paradosso che il paese che emette della moneta segno possa accrescere
illimitatamente la sua ricchezza col solo stampare dei pezzi di carta chiamati lire, o euro (o dollari ecc.). Ecco
perché l’idea ingenua di far stampare dalla B.C.E. tante banconote da 100 euro e poi distribuirle a tutti non
servirebbe a cancellare la povertà né ad aumentare la ricchezza di noi europei. Come diceva Luigi Einaudi,
“… coi pezzi di carta non si prosciugano paludi, non si semina il grano, non si produce alcunché”.
28
6.2.2) Moneta legale e moneta privata.
Che sia di un tipo o dell’altro (cioè che sia moneta-merce oppure moneta-segno), in ogni caso la
moneta può anche distinguersi a seconda del fatto che sia “legale” o “privata”.
la moneta legale è quella che il creditore non può rifiutarsi di accettare in pagamento, cioè
la moneta a cui la legge conferisce il “potere liberatorio” (in Italia e in altri 18 paesi europei la moneta legale
è costituita dalle banconote e le monete metalliche della B.C.E.);
la “moneta privata” o “consuetudinaria”, che coincide in pratica con la “moneta
bancaria”, può invece essere rifiutata dal creditore (a meno che in precedenza si fosse impegnato ad accettarla) il quale
può infatti negare al debitore di pagare con un assegno o con carta di credito o con un bonifico per pretendere
invece la moneta legale.
La gran parte dei pagamenti è effettuata con moneta privata (bancaria), rimanendo l’uso della
moneta legale (il “circolante”) quasi del tutto circoscritto nell’ambito familiare (o, se tra aziende, nelle sempre più
rare transazioni in “nero”). Il maggior uso della moneta privata rispetto alla legale è testimoniato anche dalla loro
diversa quantità: come vedremo meglio più avanti, in Italia la moneta legale esistente (detta M0) è meno di un
sesto della moneta bancaria (detta M1) (circa 160 miliardi contro 1.000 miliardi; in termine di media pro capite sono circa
2.500 € di legale contro circa 16.500 € di moneta bancaria).
Ma il rapporto di 6 o 7 a 1 diventa ben maggiore se invece che misurare lo stock di moneta
esistente in un certo momento mettiamo in rapporto i flussi di moneta di un certo periodo, cioè il volume di
pagamenti che vengono fatti, ad esempio in un anno, con una e con l’altra moneta.
Questo concetto, con molte meno parole, può essere espresso dicendo che la velocità di
circolazione della moneta bancaria è maggiore di quella legale.
La quasi totalità dei pagamenti effettuati dalle aziende di produzione avviene utilizzando la
moneta bancaria: i pagamenti con banconote sono una rarissima eccezione ( magari a volte capita che un dipendente
in trasferta faccia benzina o mangi al ristorante pagando con banconote, ma al di fuori di questi casi è quasi impossibile che il
pagamento non avvenga utilizzando il canale bancario );
l’uso del contante è praticamente circoscritto ai consumatori,
ma anche nell’ambito familiare si sta diffondendo sempre più l’uso della moneta “privata” (bancomat, carta di
credito, bonifici via internet, pay-pal ecc.).
Sotto questo punto di vista si nota comunque una netta differenza fra le abitudini italiane e quelle
dei paesi anglosassoni e dell’Europa del Nord: da noi (ma anche in Grecia e in Spagna) l’uso del contante per
gli acquisti di beni di consumo è ancora molto più diffuso.
29
7) La moneta oggi.
7.1) Chi produce la moneta, come viene prodotta e come funziona.
Una risposta estremamente sintetica alla domanda “chi fa il denaro?” è: la Banca Centrale (BC) e le
banche; la Banca Centrale produce la moneta legale (stampa le banconote e le monete metalliche che utilizziamo come
“contante”), mentre le aziende di credito (le “banche”) producono la moneta bancaria (i pagamenti attraverso gli assegni, i
bonifici, i bancomat, le carte di credito ecc.), anche definibile “moneta scritturale” in quanto il suo trasferimento da un
soggetto all’altro avviene attraverso delle “scritture” (in partita doppia).
7.1a) Come viene prodotta e come funziona la moneta legale.
Anche rispondere alla domanda “come fa la BC a produrre la moneta legale?” è semplice: dà incarico a
qualche tipografia di stampare fogli di carta in modi e quantità ben precisi.
Qui sotto vi riporto, solo come curiosità, le quantità (in milioni di pezzi) di banconote e il valore (in milioni di €)
delle banconote stampate nel 2012. Se volete maggiori dettagli cliccate sul link:
http://www.ecb.europa.eu/stats/euro/production/html/index.en.html
(Fonte: B.C.E.)
Quantity (in millions of banknotes)
Value (€ millions)
€5
2,915.30
14,576.52
BE, ES, FR, IT, AT
€ 10
1,959.04
19,590.45
DE, GR, FR, IE, PT
€ 20
1,703.95
34,079.03
CY, EE, FR, IT, MT, LU, NL, SI, SK, FI
€ 50
1,530.43
76,521.70
BE, DE, ES, IT
€ 100
298.13
29,813.20
DE
€ 200
50.00
10,000.04
DE
€ 500
0.00
0.00
8,456.87
184,580.95
Denomination
TOTAL
NCBs commissioning production
-
Pur nella certezza che sia superfluo, segnalo che il dato totale di 184,580.95 € millions stampati nel
2012 è leggibile come 184mila e 580,95 milioni, vale a dire 184 miliardi e 580 milioni e rotti €, che divisi per
i circa 320 milioni di abitanti dei 17 paesi che usano questa moneta fanno una produzione annua dal
controvalore di quasi 600 € a testa (il controvalore medio nel decennio 2003 – 2012 è circa 200 miliardi all’anno, quindi se ne deduce
che nel 2012 la BCE è stata un po’ stitica), e circa l’80% della produzione annua va a sostituire le banconote troppo
usurate che vengono ritirate dalla circolazione. Allo stesso modo, il dato del numero totale di banconote
prodotte nel 2012 (8,456.87 millions) si legge 8 miliardi 456 milioni e 870 mila pezzi di carta, circa 26
banconote a testa prodotte nell’anno. Questi sono dati di flusso, poiché rappresentano la produzione di
moneta in un certo periodo (dal primo gennaio al 31 dicembre del 2012)
Se poi siete curiosi di conoscere i dati di stock relativi al valore di banconote (nei vari tagli) circolanti in un
dato momento, cliccate su quest’altro link qui: http://www.ecb.europa.eu/stats/euro/circulation/html/index.en.html ; io, nella
prossima pagina, mi limito a darvi alcuni dati approssimati in miliardi di € di controvalore di moneta legale
che era circolante in un giorno imprecisato dei mesi di agosto degli anni dal 2008 al 2013 (Fonte: B.C.E.):
30
data
totale
Variazione
percentuale
5€
10 €
20 €
50 €
100 €
200 €
500 €
Ago 2013
919
+ 2,6%
8
21
58
329
177
38
289
Ago 2012
896
+ 5,4%
8
20
57
309
168
37
297
Ago 2011
850
+ 4,4%
7
20
55
282
158
36
292
Ago 2010
814
+ 6,0%
7
20
53
264
151
36
284
Ago 2009
768
+ 12,5%
7
19
50
242
140
35
274
Ago 2008
683
7
19
48
219
124
32
234
L’incremento anomalo (+ 12,5%) tra il 2008 e il 2009 fu causato dalla crisi finanziaria iniziata con il
fallimento, nell’ottobre 2008, della banca Lehman Brothers: molti cittadini, temendo che a quel fallimento
potessero seguirne altri, in quel mese ritirarono denaro contante dai propri conti di deposito generando, in
poche settimane, un brusco incremento del valore delle banconote in euro in circolazione (ulteriori 35-40 miliardi di euro
che si aggiunsero all’incremento fisiologico annuo).
Tanto per riempire una pagina in più senza faticare, vi inserisco due grafici
avrete difficoltà a interpretare, soprattutto se li guardate a colori.
(sempre di fonte B.C.E.)
che non
Volume di banconote in euro in circolazione tra il 2002 e la fine del 2010: banconote di grosso taglio
Per chi legge in bianco e nero: la linea superiore (verde) indica il numero di banconote da 100 € in
circolazione nei vari anni (dai circa 400 milioni del 2002 ai circa 1,5 miliardi del 2011, quantità che equivalgono a un
controvalore in € passato dai 40 miliardi del 2002 ai 150 miliardi del 2011 ); quella intermedia (fuxia) segnala il numero di
banconote da 500 € (da circa 80 milioni a circa 600 milioni, e quindi un controvalore che da 40 miliardi di € del 2002 è arrivato,
nel 2011 a circa 300 miliardi di €); la più bassa (gialla) rappresenta il numero, nei vari anni, di banconote da 200 € in
circolazione (da 100 milioni a circa 200 milioni per un valore passato da 20 a 40 miliardi di € ).
31
Volume di banconote in euro in circolazione tra il 2002 e la fine del 2010: banconote di piccolo taglio
Sempre per i daltonici: la linea più alta (arancione) segnala che il numero di banconote da 50 € è
aumentato da 1.500 milioni a 5.500 milioni (e quindi il controvalore da 75 a 275 miliardi di € ); la più bassa (in grigio)
evidenzia, ad esempio, che il numero di banconote da 5 € nel 2011 era 1.500 milioni (per un controvalore di 7,5
miliardi di €); infine, in ordine crescente di numero di pezzi in circolazione, troviamo le banconote da 10 € ( nel
2011 erano 2 miliardi per 20 miliardi di controvalore ) e, con la linea a punti in blu, le banconote da 20 € (che, essendo nel
2011 circa 2,8 miliardi, costituivano un controvalore di 56 miliardi di € ).
Visto il come e il quanto si produce, resta la terza domanda: come fa una banconota (cioè come fa la
moneta legale) a funzionare? Lo si è già detto: funziona sulla fiducia. Ognuno di noi è fiducioso del fatto che
tutti continueranno a essere convinti che quel pezzo di carta avrà anche in futuro la capacità di essere
scambiato con beni di valore analogo a quelli che quella banconota compra oggi. Se non fosse così, se cioè
pensassimo che domani quella banconota non sarà più in grado di darci una soddisfazione pari a quella che ci
garantisce oggi, allora tenteremmo di liberarcene al più presto scambiandola con qualcosa d’altro; ma se la
nostra idea è diffusa anche fra gli altri, allora non troveremmo persone disposte a prenderla in cambio dei loro
beni, e quindi quella moneta, non essendo più un valido mezzo di scambio, cesserebbe di essere tale (cesserebbe
di essere moneta). Ma questa eventualità (la perdita di valore della moneta) si fa concreta nell’ipotesi che la quantità
di moneta in circolazione aumenti troppo [cioè aumenti molto più dell’aumento della quantità di beni acquistabili. E’ la
legge della domanda e dell’offerta: se la quantità offerta di un bene aumenta, allora il suo prezzo diminuisce; solo che qui il bene
offerto è la moneta e il suo “prezzo” è definito dal quantitativo di beni con cui può essere scambiata: ecco quindi che se prima
potevo scambiare 100 € con X beni (cioè il prezzo di 100 € era X beni), ora che l’offerta del bene “moneta” è aumentata il suo
prezzo diminuisce, e quindi i 100 € ora li potrò scambiare con Y beni, in cui Y è minore di X ],
e quindi è indispensabile
tenere sotto controllo la quantità di moneta che viene prodotta. E’ per questo motivo che la Banca Centrale fa
di tutto per rendere impossibile, a chiunque che non sia lei, la stampa di pezzi di carta uguali ai “suoi” (le
banconote “false”): non lo fa certo per non far arricchire i falsari, lo fa per avere sotto controllo il quantitativo di
moneta in circolazione; lo fa, quindi, per far funzionare la sua moneta, per non fare morire la sua creatura e,
con essa, il sistema monetario che la BC governa.
32
7.1b) Chi produce, come viene prodotta e come funziona la moneta bancaria.
Chi produce la moneta bancaria (o “scritturale”) l’ho già scritto: le aziende di credito (più comunemente
dette “banche”).
Alla domanda “come fanno a produrla?” si può sinteticamente rispondere “attraverso il meccanismo del
moltiplicatore monetario che, a sua volta, funziona grazie al sistema di riserva frazionaria”.
Mi rendo però conto che la risposta, se ha il pregio della sintesi, non ha quello della immediata
comprensibilità. Per capire quindi come le banche producono la moneta è necessario sia avere ben presente
come funziona un conto corrente bancario, sia comprendere il “meccanismo del moltiplicatore”. In questa e
nelle prossime due pagine riprendo quanto già dovresti sapere del conto corrente, le successive quattro sono
destinate a chiarire il funzionamento del “moltiplicatore”.
Il conto corrente bancario
Il conto corrente, e lo dovresti sapere da precedenti appunti, è un prospetto in cui la banca annota le
operazioni che fanno aumentare e diminuire i crediti o i debiti che ha nei confronti di un cliente, azienda di
produzione o di erogazione (famiglia, associazione no profit, ente pubblico) che sia.
I tuoi euro, 100 o 100.000 o quelli che ti pare, vanno o vengono dalla tua disponibilità a seconda che
100 o 100.000 o quello che ti pare venga scritto nella contabilità della banca, rispettivamente in dare o in
avere del conto intestato a te. Poiché, come ho detto qui sopra, i pagamenti e le riscossioni sono effettuati
con delle scritture contabili, allora la moneta bancaria è detta anche moneta “scritturale”.
Se si tiene conto del fatto che chiunque può essere titolare di un conto corrente bancario e che ogni
banca del mondo è direttamente o indirettamente (*) in contatto con tutte le altre banche, se ne ricava che
chiunque ha la possibilità di trasferire denaro a qualsiasi altra persona ovunque nel mondo.
In media, per ogni milione di euro mossi viene spostata fisicamente solo qualche banconota. Il denaro
viene, infatti, trasferito (depositato dal risparmiatore alla banca, prestato dalla banca a chi lo richiede, inviato dal compratore di una merce
al venditore ecc.) semplicemente attraverso registrazioni contabili, vale a dire grazie al fatto che le banche
annotano quei trasferimenti su dei “conti” (cioè su dei prospetti, su dei fogli di carta, almeno fino agli anni ’70 quando i computer
ancora non esistevano, ora su dei file che, volendo, possono essere stampati) intestati ai loro clienti (risparmiatori o debitori che siano).
Così, se vuoi un buon voto in economia, è sufficiente che tu vada alla tua banca, che supponiamo sia il
CREDITO EMILIANO (in seguito abbreviato CREDEM, e che è la banca in cui tu hai un “conto corrente” e alla quale hai prestato l’uso
dei suoi risparmi ammontanti a 1.150 €; si dice che tu sei “correntista” del CREDEM) e ordini che 1.000 di quei 1.150 € sia
trasferito sul conto che Carlo Massa ha alla Cassa di Risparmio in Bologna (in seguito abbreviata C.R.B.; io sono, quindi,
un “correntista” della C.R.B.).
(*) “Indirettamente” in questo senso: se la banca AP (polacca) ha un conto corrente presso la banca BS
(svizzera) ma non ha rapporti con la banca CV (venezuelana), e la banca CV ha anch’essa un conto presso la banca
svizzera BS, allora quando il signor Wojtyla, cliente di AP, vuole pagare il signor Chavez di Caracas, cliente di CV, lo
potrà fare comodamente rivolgendosi alla sua banca in Polonia: la banca polacca incaricherà quella svizzera di far
giungere il pagamento alla banca venezuelana.
33
Gli effetti di questa tua saggia iniziativa saranno:
1)
Il CREDEM annoterà sul conto intestato a te che ora il denaro che le stai prestando ammonta a soli 150 € (e lo
farà scrivendovi 1.000 a sinistra – cioè in Dare – in quanto per la banca è una diminuzione di un suo debito nei tuoi confronti e quindi è una
operazione che migliora il saldo del conto);
2)
Il CREDEM ti rilascerà un documento firmato da un impiegato della banca (cassiere) in cui risulta che è stata
trasferita la disponibilità di 1.000 € sul conto presso la C.R.B. del sig. Carlo Massa;
3)
Mi farai vedere quel documento prima dello scrutinio, per provarmi che mi ha pagato e ottenere così una
valutazione benevolmente gonfiata;
4)
Il CREDEM avviserà la C.R.B. di annotare sul conto intestato a me che da quel momento il denaro che io sto
prestando alla C.R.B. è aumentato di 1.000 € (oppure, se era la C.R.B. che stava prestando soldi a me, che da quel momento il mio
debito è diminuito di 1.000 €, ma in ogni caso CRB lo farà scrivendo 1.000 a destra – in avere – del conto intestato a me perché, dal suo punto di
vista, è un peggioramento – un maggior debito o un minor credito – del valore del conto);
5)
la C.R.B. mi avvertirà con una lettera che mi sono arrivati 1.000 € da te e che quindi ora ho 1.000 € in più sul
conto (o 1.000 € di debiti in meno);
6)
infine CREDEM e C.R.B. annoteranno che la prima deve alla seconda 1.000 €, ognuna registrando l’importo
nella propria contabilità [il Credem annoterà i 1.000 in avere – a destra – del conto intestato a CRB, la CRB annoterà nella sua contabilità
i 1.000 in dare – a sinistra – del conto intestato a Credem, e con queste registrazioni entrambe le banche pareggiano (dare = avere) gli importi
scritti sul conto intestato al loro reciproco cliente (tu e io), rispettando le regole Pacioliane di partita doppia]
Anche al fine di consolidare contemporaneamente sia la comprensione di quanto appena scritto, sia la
vostra comprensione della ragioneria, può essere utile dare un’occhiata alle registrazioni in partita doppia che
le due banche (quelle coinvolte nell’operazione fra me e te) fanno nelle loro rispettive contabilità.
Se sei sicuro di aver capito e di ricordare tutto della partita doppia puoi anche saltare la parte scritta con
questo carattere; se, invece, non sei certo di dominare la P.D., allora non ti fa male leggere anche questa parte.
L’ipotesi è questa: la situazione di partenza (Saldo Iniziale) è:
-
io ho un conto corrente presso la banca C.R.B. verso cui ho un debito di 123.456 € (ultimamente ci ho dato un po’
troppo dentro con le spese) e ti ho convinto a darmi 1.000 €.
-
tu hai, depositati sul suo conto corrente aperto presso la banca CREDEM, 1.150,00 € di risparmi; successivamente, in
seguito all’accordo con me, tu ordini alla sua banca di trasferire 1.000,00 € sul conto che io ho presso la banca C.R.B.
(op. 1);
Contabilità della banca CREDEM (di cui tu sei cliente)
D
c/c studente X
A
------------------------------------------------------------------------------------------------------------
(op.1) 1.000,00
|
|
1.150,00 (s.i.)
D
c/c C.R.B.
A
------------------------------------------------------------------------------------------------------------
|
| 1.000,00 (op.1)
D
Cassa
A
--------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
|
|
Con questa registrazione la banca CREDEM annota che – dopo aver eseguito il tuo ordine – ora i suoi debiti (suoi della
banca) nei tuoi confronti sono calati di 1.000 € [variazione patrimoniale attiva che quindi la banca registra nella propria
contabilità in Dare del conto interessato (cioè il conto corrente intestato a te)]; contemporaneamente la stessa banca
CREDEM – che ha ordinato alla banca C.R.B. di mettere 1.000 € sul conto del suo cliente ( suo della C.R.B.) Carlo Massa –
annota nella propria contabilità che le sono peggiorati i debiti nei confronti della banca C.R.B. [variazione patrimoniale
passiva che quindi il CREDEM registra nella propria contabilità in Avere del conto interessato (cioè il conto corrente intestato
alla banca C.R.B.)];
34
Contabilità della banca C.R.B. (di cui è cliente Carlo Massa)
D
c/c Carlo Massa
A
-----------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
(s.i. ) 123.456,00 |
| 1.000,00 (op.1)
D
c/c CREDEM
------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
|
(op.1) 1.000,00 |
A
D
Cassa
A
---------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------------
|
|
Con questa registrazione la banca C.R.B. annota che – dopo aver eseguito l’ordine ricevuto dalla banca CREDEM – ora i suoi
crediti (suoi della banca) nei confronti di Carlo Massa sono calati di 1.000 € [variazione patrimoniale passiva che quindi la
banca registra nella propria contabilità in Avere del conto interessato (cioè il conto corrente intestato al suo cliente Carlo Massa)];
contemporaneamente la stessa banca C.R.B. – avendo eseguito l’incarico ricevuto dalla banca CREDEM di dare 1.000 € al suo
cliente (suo della C.R.B.) Carlo Massa – annota nella propria contabilità che sono migliorati i suoi crediti nei confronti della
banca CREDEM [variazione patrimoniale attiva che quindi la banca C.R.B. registra nella propria contabilità in Dare del
conto interessato (cioè il conto corrente intestato alla banca CREDEM)]. Detto in poche e semplici parole: i 1.000 € che la mia
banca mi dà li pretende – ovviamente – da chi le ha chiesto di darmeli, e cioè dal CREDEM.
A questo punto tu puoi continuare a non studiare economia e io ho 1.000 € di debiti in meno verso la
mia banca; [se invece che avere il conto “in rosso” lo avessi avuto in attivo (cioè se anche io avessi avuto dei soldi depositati
sul mio conto, se fossi stato quindi anch’io in una posizione a credito nei confronti della mia banca)
non cambiava nulla nelle scritture in
partita doppia: sarebbe stato diverso solo il saldo del mio conto].
Io, grazie ai 1.000 € ricevuti, potrò comunque utilizzare 1.000 € più di prima, emettendo assegni o a
mia volta ordinando alla mia banca di fare bonifici a favore di altri, oppure pagando la spesa con la tessera
bancomat o anche prelevando dal cassiere o dal bancomat delle banconote.
E’ come se avessi ricevuto materialmente da te 1.000 € in banconote, ma con la differenza, tra l’altro,
che non rischio di farmeli rubare in classe da studenti o studentesse delinquenti. Per di più, non dovrò
nemmeno rilasciare alcuna ricevuta, perché a te basta il documento che ti ha rilasciato la tua banca, dal
momento che le registrazioni contabili delle banche costituiscono una prova inattaccabile del fatto che mi ha
pagato.
Come puoi notare, non si è mossa alcuna banconota (e infatti i conti “cassa” delle due banche non sono mai stati coinvolti):
sono solo stati inviati dei file. L’operazione descritta è un “bonifico bancario”; tu sei l’“ordinante” e Carlo
Massa è il “beneficiario” del bonifico. E’ evidente che per dare a te la possibilità di fare il bonifico a mio
favore mi preoccuperò di indicare con precisione i dati del mio conto corrente: per far ciò potrei affiggere
(= attaccare) alla porta della classe, di fianco al mio listino prezzi dei voti, un foglio con il “codice IBAN” del
mio conto corrente che, per l’esattezza, è: IT32 Q 06385 12800 07400000925P. L’IBAN, infatti, è un codice
di 27 caratteri che identifica senza possibilità di errori ogni singolo conto corrente di qualsiasi banca del
mondo. Per i curiosi posso dire che IT segnala la nazionalità italiana della banca, 06385 è il codice che
identifica la banca Cassa di Risparmio in Bologna, 12800 quello che individua lo sportello ( cioè l’agenzia) di
Reggio Emilia via Giorgione, e 07400000925P è il codice che caratterizza il conto, presente in quella banca,
intestato a Carlo Massa.
Alla fine di ogni mese o trimestre (a scelta del correntista) la banca invia per posta (tradizionale e/o elettronica)
l’elenco delle operazioni registrate sul conto corrente nel periodo. Questo documento è chiamato “estratto
conto”.
Attendo fiducioso di leggere vostre notizie sugli estratti conti che CRB mi invierà in futuro.
35
Il moltiplicatore monetario.
Nel timore che tu stia perdendo il filo del discorso, ti ricordo che stiamo cercando di capire come
viene prodotta la moneta bancaria, ma per farlo abbiamo prima dovuto rinfrescare le conoscenze relative al
“conto corrente di corrispondenza” (al c/c bancario) e ora dobbiamo comprendere il meccanismo del
“moltiplicatore monetario”.
Per agevolare la comprensione del moltiplicatore monetario può essere utile vedere un’applicazione
dello stesso meccanismo (il “moltiplicatore”) applicato a un fenomeno più vicino alla tua esperienza.
Il
meccanismo del moltiplicatore si applica, infatti, a varie grandezze, non solo alla moneta.
Esso, infatti, funziona ogni volta che una grandezza complessiva si ripartisce in una quota autonoma
(capace di influire sulla grandezza complessiva, ma non influenzata da essa) e in una quota dipendente (ossia influenzata dalla stessa
grandezza complessiva); i raffinati, in luogo di autonoma e dipendente, usano i termini “esogena” (= che proviene
dall’esterno) e “endogena” (= che nasce nell’interno).
Chi di voi, non del tutto disgustato dalle mie lezioni, deciderà di proseguire gli studi in ambito
economico, vedrà che, ad esempio, lo stesso meccanismo, secondo molti economisti, svolge i suoi effetti sul
reddito nazionale (che è, più o meno, il P.I.L.) attraverso il cosiddetto “moltiplicatore keynesiano degli
investimenti”.
Probabilmente, come dicevo, è però meglio uscire dall’economia e descrivere il meccanismo del
moltiplicatore applicato all’urbanistica, perché cos’è una città e cos’è la sua popolazione ti è più chiaro di cosa
siano il “reddito nazionale” o gli “investimenti”.
Il meccanismo del moltiplicatore: l’esempio del “moltiplicatore urbano”.
Vediamo allora come funziona il “moltiplicatore urbano”, che studia gli incrementi della popolazione
di una città in seguito all’insediamento di nuove unità produttive.
Ipotizziamo che una fabbrica di Montecchio si ingrandisca ed assuma 1.000 nuovi lavoratori
provenienti da altre località, in quanto nei dintorni del paese non vi sono persone interessate a quella
occupazione. In realtà, il nuovo stabilimento ne attirerà certamente di più, in quanto occorreranno altri
lavoratori per soddisfare le domande di merci e servizi che è necessario produrre localmente (pane,
cappuccini, negozi, tagli di capelli, pizze a domicilio, case, cinema, massaggi tailandesi e non, servizi pubblici
ecc.), domande che provengono proprio dai primi 1.000 “immigrati”.
Faccio notare che la domanda espressa dai mille arrivati di beni prodotti lontano dal luogo
dell’insediamento originario (ad esempio la domanda di una Dacia Duster da parte di uno tra i mille nuovi
montecchiesi) non ha alcuna influenza sul flusso verso Montecchio di nuovi lavoratori: tutt’al più
incrementerà l’immigrazione verso Pitesti (in Romania) dove, ipotizzo, sono prodotte le Duster e dove la Dacia
assumerà nuovi operai per far fronte all’eventuale aumento di vendite.
Supponiamo ora che questa seconda "ondata" di lavoratori sia composta da 600 persone, che
chiamiamo “occupati derivati”.
Il rapporto “n. occupati derivati / n. occupati originari” (nel nostro caso 600 / 1.000 = 0,6) può essere definito
“coefficiente di occupazione derivata” e, salvo rarissimi casi in cui supera l’unità, è normalmente compreso
fra 0 e 1, essendo molto improbabile che la capacità di acquisto di un lavoratore “originario” permetta il
sostentamento di più di un lavoratore derivato, nemmeno se il reddito del primo fosse interamente speso per
beni “locali”, nel senso di prodotti a Montecchio.
36
Ma anche i 600 occupati dell'indotto (quelli che, nell’ordine, sono andati a fare, per soddisfare le esigenze dei primi 1.000 lavoratori, i
fornai, i baristi, i commessi di negozio, i parrucchieri, i pizzaioli, le maschere, le massaggiatrici più o meno tailandesi, i vigili urbani ecc.) a loro volta
richiedono beni e servizi che devono essere prodotti localmente, e allora si verificherà un nuovo incremento di
lavoratori pari, questa volta (e rimanendo per ipotesi costante (fermo a 0,6) il coefficiente di occupazione derivata), a 360 (600 x 0,6 ).
E il processo si ripeterà all'infinito, sebbene con incrementi man mano decrescenti e quindi che
tendono a zero: ai 600 che lavorano per produrre i beni richiesti dai primi mille si aggiungono i 360 (600 x 0,6)
che lavorano per questi 600, e poi altri 216 (360 x 0,6) necessari per soddisfare le richieste dei precedenti 360, poi
altri 130 (216 x 0,6), altri 78 (130 x 0,6), altri 47 (78 x 0,6), altri 28 (47 x 0,6) poi 17 (28 x 0,6), 10 (17 x 0,6), altri 6 (10 x 0,6), altri 3
o 4 (6 x 0,6), poi 2, infine 1 solo.
La somma di tutti i lavoratori immigrati [ 1.000 + 600 + 360 + 216 + 130 + 78 + … …+ 2 + 1 (numeri che scaturiscono
da 1000 + 1000 x 0,61 + 1.000 x 0,62 + 1.000 x 0,63 + 1.000 x 0,64 + 1.000 x 0,65 + … ecc.) ] è pari a: 1.000 / (1 – 0,6) = 1.000 / 0,4 e
quindi a 2.500.
La dimostrazione è semplice, dal momento che la relazione può anche essere espressa in questo modo:
X = Y + pX,
dove X è l’incognita (l’incremento complessivo dell’occupazione) mentre Y e p sono termini noti, e cioè sono,
rispettivamente, l’aumento originario dell’occupazione (Y) e il coefficiente di occupazione derivata (p).
Lasciando le lettere a chi è bravo in matematica e tornando ai numeri dell’esempio, si può scrivere:
X = 1.000 + 0,6 X; che, espresso non in forma matematica, si legge: “le persone che arriveranno in
tutto (X) sono un numero uguale a quelle arrivate inizialmente (1.000) + il 60% delle persone che arriveranno in
tutto” (perché per ogni 100 nuovi arrivi servono 60 altre persone che lavorano nel paese per produrre localmente i beni richiesti dai 100 precedenti).
da qui, risolvendo l’equazione, si passa a X – 0,6 X = 1.000 e quindi, raccogliendo:
X (1 – 0,6) = 1.000 e da qui la formula risolutiva
X = 1.000 / (1 – 0,6).
In termini generali, la formula del moltiplicatore è, quindi:
Y
X=
----------------
1–p
Se la dimostrazione della formula non l’avete digerita (nonostante che da non poco tempo vi spieghi le equazioni di primo
grado e vi dica di applicarle per risolvere problemi di vario tipo) è sì preoccupante dal punto di vista della vostra preparazione
complessiva e dell’utilità che traete dal venire a scuola, ma non è determinante per la comprensione del
meccanismo del moltiplicatore, premendomi ora, infatti, solo che ne abbiate compreso la logica, cioè abbiate
capito come un aumento iniziale pari a Y provochi alla fine una variazione pari a X, con X che è un multiplo
di Y.
Se è così, siete pronti per affrontare il moltiplicatore monetario.
37
Il meccanismo del moltiplicatore applicato alla moneta.
L’ offerta di moneta è la quantità di moneta presente in una economia, ed è quindi la somma fra il
circolante (con “circolante” intendo le banconote più le monete metalliche, cioè la moneta legale ) e i depositi bancari a vista
(cioè i debiti immediatamente esigibili che le banche hanno nei confronti del pubblico, costituiti per la gran parte dai saldi attivi – per i
clienti – dei conti correnti). La somma fra circolante “C” e depositi “D” è detta “M 1”.
La base monetaria, invece, è la somma fra il circolante e i depositi (i crediti) che le banche hanno
presso la Banca Centrale (depositi che vengono chiamati “riserve” e che sono debiti che la BC ha nei confronti delle banche,
crediti delle banche in parte a loro imposti dalla BC – le riserve obbligatorie – e in parte volontari – le riserve libere – che
complessivamente costituiscono le riserve totali Rt). La
somma fra circolante “C” e “Rt” è detta “M 0”.
Il moltiplicatore monetario è dato dal rapporto M1 / M0, cioè fra l’offerta di moneta e la base
monetaria, e perciò:
Mm = (C + D) / (C + Rt)
Imparate le definizioni qui sopra, adesso dovete comprenderne il significato leggendo con attenzione
qui sotto.
I depositi a vista dei risparmiatori raccolti dalle banche possono essere investiti (prestati ad altri e quindi
trasformando la liquidità in crediti, oppure usati per acquistare azioni o qualcosa d’altro, ma comunque nell’attivo della banca la
o mantenuti in riserva come liquidità (denaro tenuto disponibile così com’è per permettere alle
banche di restituire ai propri depositanti il contante nel caso lo richiedessero ).
liquidità diventa altro)
Se tutti i depositi fossero tenuti liquidi dalle banche per funzionare come riserva, l’offerta di moneta
non verrebbe influenzata.
Un simile sistema bancario sarebbe, come già sappiamo, “a riserva totale”, e
in pratica la moneta bancaria non esisterebbe: il quantitativo di moneta (l’offerta di moneta) coinciderebbe con la
moneta legale (il circolante creato dalla BC), e il moltiplicatore sarebbe pari a 1: se D = Rt, allora (C + D) / (C +
Rt) fa 1 e quindi il moltiplicatore non ha effetti.
Ovviamente, questo non avviene. Se avvenisse, la banca – almeno per l’importo del denaro raccolto
con scadenza “a vista” – sarebbe un “debitore cretino”: il debitore, cioè, che chiede soldi in prestito e poi non
li usa, tenendoli da parte in un cassetto senza ricavarci nulla. Se il sistema bancario fosse “a riserva totale”
dovrebbe essere la banca a farsi pagare dai risparmiatori per la custodia del loro denaro (come si fa a teatro quando
si paga al guardaroba per lasciare il cappotto e l’ombrello ) in modo da coprire almeno i costi della custodia.
Se il sistema fosse a riserva totale la banca potrebbe svolgere la funzione creditizia solo con il denaro
raccolto con scadenza a termine (cioè ottenuto in prestito da risparmiatori che si impegnano a non utilizzarlo prima di un certo giorno,
più o meno lontano nel tempo) mentre con quello raccolto con scadenza a vista (come i depositi in conto corrente) la banca
potrebbe svolgere solo la funzione monetaria, cioè rendere agevole per i clienti l’uso del loro denaro.
Ma così non avviene. In tutto il mondo e da secoli i sistemi bancari funzionano a “riserva
frazionaria”, cioè le banche prestano anche gran parte del denaro ottenuto con scadenza a vista.
38
I depositi, quindi, vengono in parte (piccola) tenuti a riserva e in parte (ben più grande) investiti (soprattutto in
forma di prestito).
Ogni banca, quindi, tiene come riserva liquida in banconote solo una piccola parte dei depositi
(normalmente, meno del 2%) e come riserva liquida d’altro tipo (depositi a vista presso la Banca Centrale o presso altre aziende di
credito) una parte più consistente ma comunque non elevata (qualche punto percentuale).
Viene detto “Tasso di riserva” (r) il rapporto
Riserve / Depositi .
Se, ad esempio, il tasso di riserva è 0,05 (5%), significa che su 1.000 euro di depositi:

50 euro sono conservati dalle banche in liquidità per far fronte ai prelievi e ad altri pagamenti (per non
pochi lettori: 1.000 x 5% = 50);

i restanti 950 euro sono investiti, per lo più prestati ad altri soggetti (soprattutto aziende di produzione, ma anche
di erogazione) che hanno bisogno di fondi per i propri acquisti (in beni di investimento o di consumo).
Ma nel momento in cui la banca concede prestiti, l’offerta di moneta aumenta: nell’esempio di prima, da
1.000 € di moneta disponibile nei depositi a vista, si è passati a 1.950 grazie ai 950 € prestati.
Faccio presente, infatti, che i precedenti 1.000 € depositati sono ancora disponibili, a vista, per i loro
proprietari (i risparmiatori) che possono usarli per fare acquisti con assegni, pago-bancomat ecc., essendo per loro
moneta a tutti gli effetti; allo stesso tempo, però, i prenditori (coloro a cui la banca ha prestato i soldi) hanno ora
effettivamente a disposizione 950 € per effettuare acquisti e pagamenti (ad esempio per pagare gli stipendi ai dipendenti),
e in effetti questi 950 € vengono rapidamente spesi, ché nessuno prende dei soldi in prestito a interesse per
tenerli sotto il materasso; l’offerta di moneta è ora diventata realmente pari a 1.950 € (1.000 + 950).
Segnalo anche (per ribadire un concetto di base sebbene centri poco col moltiplicatore) che il sistema economico dispone sì
di una maggiore quantità di moneta, cioè di mezzi di scambio, ma non dispone di una maggior ricchezza: alla
creazione di 950 € di moneta corrisponde infatti la creazione di 950 € di passività (debiti) per chi ha ricevuto i
prestiti. La maggiore ricchezza (reale) di 950 si spera che verrà creata (prodotta) in futuro grazie anche allo
stimolo che l’economia riceve dall’incremento di domanda originato dalla creazione di moneta bancaria.
E il processo non finisce qui: se supponiamo che questi 950 € ricevuti in prestito dai clienti delle banche
siano da loro utilizzati per il pagamento di beni e servizi, allora chi riceve questi soldi (nell’esempio i dipendenti delle
aziende finanziate dalle banche) ne terrà una piccola parte in contanti (supponiamo il 10% – e questa percentuale è definita
“propensione alla liquidità del pubblico” – ) e depositerà a sua volta presso la propria banca il restante 90% (e se gli
stipendi sono stati accreditati sui conti correnti dei lavoratori non serve nemmeno andare in banca) .
I depositi bancari aumenteranno così di altri 855 € (il 90% di 950), e allora le banche, che ora hanno più
liquidità disponibile, potranno prestare altri soldi ancora: terranno in liquidità il solito 5% di questi nuovi 855
€ di depositi (cioè 42,75 euro, 855 x 5%) e presteranno il rimanente 95% (altri 812,25 euro), e così la moneta
complessivamente disponibile nel sistema economico aumenta ancora, moltiplicandosi.
Le banche hanno quindi la capacità di generare moneta partendo dai propri depositi a vista, e questa
loro capacità è attivata dal processo descritto, che è pertanto chiamato “moltiplicatore monetario” o
“moltiplicatore dei depositi” o “del credito” ed è reso tanto più potente quanto più è “frazionaria” (cioè piccola in
percentuale) la riserva su cui si basa il sistema monetario
39
Si può dimostrare, si è visto come due pagine più sopra, che il moltiplicatore monetario è il reciproco
della propensione complessiva alla liquidità del sistema economico, cioè il reciproco della somma fra il tasso
di riserva delle banche e la propensione alla liquidità del pubblico (nell’esempio: 5% + 10% = 15%, cioè 0,15 , il cui
reciproco è 1 / 0,15 = 6,66 periodico).
Questo significa che se la Banca Centrale immettesse nel sistema economico un miliardo di euro di
moneta legale, allora il sistema bancario nel giro di qualche tempo (se la propensione alla liquidità del sistema è del 15%)
moltiplicherebbe quel miliardo per 6,667.
Lo stesso risultato la B.C. lo può ottenere anche senza stampare materialmente delle banconote: le
basta permettere alle banche di ridurre le riserve obbligatorie, oppure può stimolarle a diminuire le riserve
volontarie tenute presso di sé (sé Banca Centrale), e questo lo può fare riducendo il tasso di interesse che applica
su queste riserve; una diminuzione dei tassi di interesse corrisposti da BC alle riserve di liquidità detenute
dalle aziende di credito ha quindi l’effetto di aumentare la moneta in circolazione nel sistema economico, e
ogni euro che, nel bilancio delle banche, si trasforma da credito verso la BC e credito (prestito) verso un
operatore (azienda di produzione o di erogazione) si moltiplica in breve tempo e ne produce altri in un numero che è
pari a 1 ÷ propensione alla liquidità del sistema
Più sono basse la propensione a tenere liquidità da parte delle banche (= più è basso il tasso di riserva) e la
propensione a tenere liquidità nel pubblico (cioè negli operatori non bancari: le altre aziende e le famiglie) e più il
moltiplicatore produce effetti (per non pochi lettori: più è piccolo il denominatore e più è grande il risultato).
Lo strumento del moltiplicatore funziona ovviamente anche in retromarcia: se la base monetaria ( M0) si
riduce di X, l’offerta di moneta (M1, cioè la moneta complessiva in circolazione) si riduce di un multiplo di X, multiplo
che è pari al solito rapporto 1 ÷ propensione complessiva alla liquidità . Ecco allora che, se B.C. ritiene
opportuno ridurre la quantità di moneta in circolazione (magari perché l’inflazione sta salendo troppo), lo può fare
aumentando il tasso di interesse con il quale remunera le riserve che le banche mantengono presso di lei
[se aumento il prezzo l’offerta aumenta: in questo caso il prezzo è il tasso d’interesse e l’offerta è la liquidità che le aziende di credito sono
disposte a “investire” in riserve volontarie presso la B.C.; ricordo ai distratti che queste “riserve” sono – per le banche – dei crediti sulla B.C., e se
prima la B.C. remunerava questi crediti al tasso dell’1,5% mentre adesso offre il 2% allora aumenterà il quantitativo di € che le banche sono
disposte a depositare; ecco quindi che questi € verranno drenati ( risucchiati, tolti) dal sistema economico e “sterilizzati” nel bilancio (nel passivo, ché per
la BC sono dei debiti)
della B.C. . Quel denaro non può quindi essere più utilizzato dagli operatori. Ma se la propensione complessiva del sistema
alla liquidità è, ad esempio, del 10% e rimane costante, allora ogni € che viene assorbito dalle riserve della B.C. provoca una diminuzione di
moneta complessiva in circolazione pari a 10 €].
Sebbene l’aumento del tasso di interesse deciso dal banchiere centrale (per l’euro: Mr. Mario Draghi) e applicato
sulle riserve non tocchi direttamente nessun operatore economico diverso dalle banche, si ripercuote però lo
stesso e immediatamente su tutti i tassi d’interesse per un effetto “segnale” (quando la BC dà quel segnale allora gli
operatori, se riconoscono autorevolezza e capacità nel banchiere centrale, si attendono che i tassi aumenteranno davvero, e l’attesa di un
maggior prezzo in futuro provoca l’aumento del prezzo già nell’immediato);
ma anche senza effetto “segnale” (chiamato anche effetto
“annuncio”) i tassi aumenterebbero ugualmente, anche se non all’istante: la diminuzione del denaro in circolo ne
farebbe comunque aumentare il prezzo in base all’ineluttabile legge della domanda e dell’offerta, legge
trattata a pagina 17 e 18 e che il Manzoni (1) aveva compreso assai meglio di qualche pseudo esperto di
economia alla Guido Rossi che, pur avendo capito quasi nulla di economia, riesce a farsi pagare scrivendo
corbellerie sul Sole 24 Ore.
la penuria [di farina] si fece subito sentire, e con la penuria quel suo doloroso, ma salutevole
come inevitabile effetto, il rincaro.” [I promessi sposi, cap. XII] .
(1) “…
40
Come le banche erogano finanziamenti (= prestano soldi)
Le aziende di credito usano i soldi che raccolgono dai risparmiatori depositanti e da altri loro
finanziatori (soprattutto obbligazionisti, ma di obbligazioni parleremo in altri appunti) in vari modi, ma dei vari possibili sistemi
tratteremo in queste pagine solo quelli che riguardano le operazioni di finanziamento che le banche
compiono per vendere l’uso del denaro, cioè per prestare a imprese e famiglie (quindi non parlerò, ad esempio, dei
finanziamenti agli enti pubblici e nemmeno degli impieghi in partecipazioni in altre imprese o in investimenti di altro tipo); e delle
varie operazioni di finanziamento a imprese e famiglie vedremo solo le più frequenti, e cioè:
1.1) Aperture di credito in c/c (conosciute anche come “scoperti di conto”);
1.2) Anticipo salvo buon fine (sbf) di Ricevute Bancarie (Ri.Ba.) e altri effetti;
1.3) Anticipo su fatture; 1.4) Anticipazioni bancarie; 1.5) Mutui; 1.6) Factoring; 1.7) Leasing.
Se mi limito a descrivere solo queste operazioni e non ne tratto altre, è perché queste sette diverse forme di
prestito sono le più frequenti e coprono quasi tutte le esigenze e finalità di finanziamento, sia a breve come a
medio-lungo termine, sia avendo riguardo alle necessità tipiche di un’azienda, sia con riferimento ai bisogni delle
famiglie.
Prima, però, di vedere le caratteristiche principali di queste operazioni, è necessario chiarire che la
concessione da parte della banca di un finanziamento sotto qualsiasi forma si basa su una preventiva analisi delle
condizioni economiche, patrimoniali, finanziarie e personali del soggetto che chiede il finanziamento (impresa o
consumatore-famiglia).
Se questa vera e propria “fase istruttoria”, condotta per valutare la futura capacità del richiedente di
rimborsare il capitale e di corrispondere gli interessi, si chiude positivamente, allora la banca concede il c.d.
“fido”, a cui dedico qui (§ 1.0) solo qualche riga, ma che poi tratteremo più ampiamente nelle ultime pagine.
1.0) Cosa è il fido bancario.
Prima di arrivare ad ottenere un qualsiasi finanziamento bancario sono necessarie due operazioni
preliminari: l’apertura di un conto corrente e la richiesta alla banca – e la successiva concessione da parte di questa – di un
“fido”. Del conto corrente si è già trattato. Resta quindi da parlare del fido, e come ho appena detto lo facciamo
un po’ subito e di più alla fine.
Un modo un po’ rozzo ma sostanzialmente corretto di definire il fido bancario può essere: l’importo
massimo di credito che la banca si impegna a concedere al cliente.
Un fido, quindi, non è ancora un prestito, ma la sua concessione è un atto preliminare in ogni modo
necessario per poter poi concretizzare una qualsiasi operazione di finanziamento.
L’operatore – impresa, famiglia o altra azienda di erogazione che sia – bisognoso di un finanziamento deve
quindi inoltrare alla banca una richiesta di fido, compilando un modulo di domanda in cui, tra le altre, dovrà
descrivere quattro cose fondamentali: a) le motivazioni della richiesta; b) la propria situazione patrimoniale e
reddituale (e cioè, usando un linguaggio elementare, dovrà dire quanto è ricco e quanto guadagna ); c) le garanzie che può
offrire alla banca; d) le forme tecniche di finanziamento con cui intende utilizzare il fido.
Una volta inoltrata la richiesta di fido corredata di tutta la documentazione richiesta, la banca la esamina
attentamente. E’, questa, la fase dell’istruttoria fido, che consiste nella valutazione, sulla base di tutte le
informazioni ottenute e di tutta la documentazione, dell’affidabilità del cliente; alla fine dell’istruttoria, dopo un
percorso che non di rado comprende più di un confronto fra le parti, la banca comunica l’importo del fido che è
disposta a concedere e i modi di utilizzo. Così, ad esempio, potrebbe accordare al cliente un fido utilizzabile per
150.000 € con “scoperto di conto corrente” e per altri di 800.000 € attraverso l’anticipo s.b.f. di crediti (i due sistemi
di finanziamento che più frequentemente sono utilizzati dalle imprese)
41
Per fidi di piccolo importo la decisione finale può rientrare nelle competenze del semplice direttore di filiale,
mentre per i fidi di importo molto elevato la decisione spetta al massimo organo amministrativo della banca, cioè
al consiglio di amministrazione. La responsabilità della concessione di fidi di importo intermedio potrebbe poi
essere di competenza di un organo intermedio, magari all’interno dell’ufficio fidi della sede centrale.
Concesso il fido, la banca seguirà costantemente l’andamento del rapporto, e nel caso col passare del tempo
scorgesse qualche anomalia (ad esempio l’utilizzo costante nel tempo della quasi totalità del fido, senza cioè mai “rientrare” significativamente, oppure una
non costante puntualità negli adempimenti, o una frequenza eccessiva di insoluti subiti dal finanziato ad opera dei suoi clienti ecc.) inserirà il nominativo fra
quelli a cui prestare più attenzione, e, giustamente, in questo caso la banca comincerà ad applicare tassi maggiori.
Comunque, anche nel caso di rapporti tranquilli e sereni, la banca periodicamente, ad esempio ogni anno,
riprende in esame la situazione del cliente affidato per verificare se è ancora meritevole di fiducia; effettua cioè la
“revisione del fido”, operazione per la quale la banca può addebitare sul c/c del cliente (come del resto fa anche per
l’istruttoria iniziale) un importo forfetario compreso in genere fra qualche decina e qualche centinaio di euro.
Una buona parte dei fidi e dei finanziamenti concessi dalle banche hanno scadenza “a vista”, il che significa
che la banca si riserva il diritto di ridurre o addirittura di revocare il fido in un qualsiasi momento e, in pratica,
senza preavviso. Al cliente può quindi essere richiesto di “rientrare” dall’oggi al domani, vale a dire di ridurre o
addirittura annullare tutte le sue posizioni debitorie. E’ evidente che una simile grave decisione verrà presa dalla
banca soltanto nel caso in cui le pervengano notizie tali da modificare considerevolmente il giudizio
sull’affidabilità del cliente. Al di fuori del caso della percezione di una maggiore rischiosità del cliente, la banca
non ha mai interesse a ridurre i prestiti che gli ha concesso: prestare soldi è il suo mestiere, se chiedesse al cliente
di “rientrare” senza quella ragione sarebbe come un fornaio che chiede ai clienti di comprare meno pane.
1.1) Aperture di credito in conto corrente.
L’apertura di credito in c/c è un contratto con il quale la banca si impegna a mettere a disposizione del
cliente, per un certo periodo di tempo o a tempo indeterminato, una certa somma di denaro che il cliente potrà
utilizzare in qualsiasi momento e a sua discrezione. (art. 1842 e 1843 cod.civ.)
Il concreto utilizzo del credito avviene con modalità del tutto simili alla normale gestione di un conto
corrente, effettuando prelevamenti e attraverso bonifici, l’emissione di assegni ecc.
Nell’apertura di credito la banca non provvede ad accreditare alcuna somma a favore del cliente. Il
finanziamento, in altre parole, è rappresentato dalla possibilità di utilizzare tali somme al di là delle effettive
disponibilità presenti sul c/c. Il cliente, cioè, potrà effettuare pagamenti sebbene il suo conto presenti un saldo
nullo o negativo (cioè a suo debito) fino a quando il saldo negativo del conto risulterà entro l’importo stabilito
nell’apertura di credito. Il cliente potrà anche ricostituire, con versamenti successivi, l’ammontare della somma a
sua disposizione, o comunque ridimensionare la propria posizione debitoria.
L’apertura di credito in c/c rappresenta una forma di finanziamento estremamente vantaggiosa ed elastica. È,
infatti, il cliente che, a sua totale discrezione, decide quando e quanto utilizzare della somma globalmente
disponibile in base alle proprie esigenze operative, e gli interessi a favore della banca saranno conteggiati solo
sull'ammontare effettivamente utilizzato. Questo rende l’apertura di credito particolarmente adatta a finanziare
esigenze e fabbisogni di entità variabile, legati alla gestione caratteristica dell’impresa.
1.2) Anticipo salvo buon fine di Ri.Ba e altri effetti
Con l’anticipo s.b.f. di crediti la banca si impegna ad anticipare immediatamente, entro il limite del fido
accordato, detto anche “castelletto s.b.f”, gli importi dei nostri crediti commerciali (cioè i crediti che vantiamo sui nostri clienti)
che scadranno soltanto successivamente. Se, ad esempio, l’11 marzo abbiamo emesso una fattura di 30.000 euro
con pagamento a 60 giorni fine mese (il che significa che il nostro cliente ci dovrà pagare il 31 maggio), possiamo chiedere alla banca di
42
accreditarci immediatamente i 30.000 euro sul conto in modo da poterli utilizzare fin da oggi. E’ ovvio che,
quando il 31 maggio il nostro cliente ci salderà la fattura, la banca tratterrà per sé la somma, posto che noi i
30.000 euro li abbiamo già ricevuti. Se invece quel disgraziato del nostro cliente ci pianta un chiodo (non rispetta la
scadenza del debito), allora la banca preleverà dal nostro conto i 30.000 che in precedenza ci aveva accreditato (più spese e
commissioni per l’insoluto); ecco il significato di “salvo buon fine”: la banca ci dà i soldi se l’operazione finisce bene,
altrimenti se li riprende.
Le due modalità in cui più frequentemente l’anticipo s.b.f. di crediti si concretizza sono l’anticipo su Ri.Ba
e l’anticipo su fattura. Do per scontato che sappiate cos’è una fattura; quanto alla Ri.Ba (ricevuta bancaria), è un
documento emesso dal venditore nel quale egli dichiara di ricevere un pagamento relativo ad un credito che vanta
su un suo cliente in virtù di una fattura emessa.
Al momento della vendita, il venditore che si accorda con il
cliente per questa forma di pagamento (pagamento “a mezzo Ri.Ba.”) si fa indicare dal cliente la “banca d’appoggio”, cioè
la banca dal cui conto corrente il compratore intende saldare il debito.
Il venditore, prima della scadenza della fattura, consegna (un tempo, prima della rivoluzione informatica, si consegnava
materialmente il documento cartaceo, oggi la si invia in forma di file per internet) la Ri.Ba
(su cui appaiono: l’importo e la data di scadenza del credito, il
numero della fattura che l’ha originato e gli estremi della banca d’appoggio) alla propria banca chiedendole: o di curarne soltanto
l’incasso (e in questo caso si dice che la Ri.Ba è stata presentata in banca “al Dopo Incasso”), oppure anche di
anticiparne l’importo (e allora si dirà che la presentazione è stata fatta “al Salvo Buon Fine”).
In entrambi i casi la banca del venditore si attiverà, qualche tempo prima della scadenza del credito, per
richiedere il pagamento della Ri.Ba al debitore, e lo farà (se, come il più delle volte capita, la banca d’appoggio non coincide con la banca a
cui il creditore ha presentato la Ri.Ba) incaricando a sua volta l’altra banca (quella del debitore) di informare il suo cliente (il compratore)
della scadenza da rispettare. La banca d’appoggio, pochi giorni prima della scadenza, invita il suo cliente a darle
istruzioni su cosa fare, cioè se pagare o no la ricevuta bancaria. E’ ovvio che la banca d’appoggio pagherà la
ri.ba. soltanto se il suo cliente glielo ordina, e quindi se il debitore non vuole pagare il creditore non ha modo di
fargli più pressioni di quanto avrebbe potuto fare anche senza ri.ba. (e cioè: telefonate e lettere minacciose e quasi sempre improduttive
o l’avvio di una pratica legale il cui esito è certo solo nel costo mentre è incertissimo nel risultato).
L’utilità dell’incasso tramite ri.ba. non sta quindi certo nella sua forza legale (che, come visto, è nulla), quanto
piuttosto nel timore del debitore che la sua banca, notando gli insoluti, modifichi il giudizio di affidabilità e,
ritenendolo un cliente più rischioso, gli aumenti i tassi e/o gli riduca i fidi. Ecco allora che le aziende a corto di
liquidità prima di non pagare le fatture incassabili tramite ri.ba. non pagano le fatture per le quali erano stati
stabiliti altri sistemi di incasso, come ad esempio il bonifico: se non invio il bonifico alla data prevista per pagare
una fattura, infatti, faccio sì un torto al mio creditore, ma non faccio alcuna brutta figura con la mia banca per il
semplice fatto che non viene a sapere del mio insoluto e quindi delle mie presumibili difficoltà finanziarie. Ed
ecco anche perché quando si dà istruzione alla propria banca di mandare insoluta una ricevuta (o, coma anche si dice,
quando non si “ritira” una ricevuta) è opportuno (soprattutto se l’importo è rilevante) farlo per tempo e motivare la decisione (ad esempio per un
contenzioso con il fornitore).
L’anticipo s.b.f. può essere realizzato attraverso varie modalità tecniche che, per la verità, si differenziano
più da un punto di vista contabile che non sostanziale. Di tutte, descrivo solo quella forse più frequente e più
chiara ai fini della comprensione dell’operazione “anticipo s.b.f. di crediti”: l’anticipo s.b.f. attraverso l’utilizzo
di un conto corrente transitorio (o “c/c di giro”) dedicato esclusivamente a questa operazione.
Con modalità di accredito immediato, gli effetti sbf vengono accreditati con valuta coincidente con la
scadenza della ricevuta (aumentata dei giorni valuta previsti, e con la valuta adeguata se si tratta di un gruppo di effetti ) nel Conto Anticipi (che è
anch’esso un conto fruttifero per il quale al termine di ogni trimestre viene inviato l’estratto conto e il calcolo degli interessi e delle altre competenze) e subito dopo
girati con valuta in giornata al c/c ordinario.
Le spese e le commissioni di incasso vengono addebitate direttamente sul c/c con valuta in giornata. Gli
effetti che ritornano insoluti, aumentati delle spese, vengono addebitati sul c/c con valuta coincidente con la
scadenza dell'effetto. Nella prossima pagina trovate un esempio con 4 presentazioni e un insoluto nel trimestre (e
4 gg banca di valuta e 10 € spese su insoluti); il c/c che ho definito “ordinario” è il conto corrente normale da cui
transitano tutte le operazioni che il cliente effettua tramite quella banca (bonifici, assegni, utenze ecc.), operazioni che
non sono state evidenziate per non appesantire inutilmente l’esempio.
il 5 genn. presentato al sbf un gruppo di RiBa per tot. € 5.400 con scadenza adeguata (media) al 23/2;
il 18 genn. presentata una RiBa di 2.780 € sc. 31.3; il 3 febb gruppo RiBa per tot. 6.800 € e scad. adeguata 22.4;
il 5 febb. ricevuto insoluto su una RiBa di 1.695 € con sc. 24 gennaio e presentata nel gruppo del 5 genn.
il 2 marzo presentato un gruppo di RiBa per € 5.678 con scad. adeguata 24 marzo.
43
Dall’esempio risulta evidente che la presentazione al sbf di crediti ha senso solo se il conto corrente
“ordinario” conserva un saldo passivo (per l’azienda) anche dopo l’accredito degli importi anticipati. Se, infatti e
come nell’esempio, così non fosse, l’azienda andrebbe a pagare degli interessi passivi sul conto “anticipi” per
avere degli interessi attivi sul conto “ordinario”, e poiché i tassi passivi sono molto più alti di quelli attivi
(nell’esempio 7% contro 1%) l’operazione risulterebbe idiota (in effetti, nell’esempio, l’azienda nel trimestre paga complessivamente interessi
passivi sugli anticipi per 230,66 €, mentre ottiene interessi attivi sul conto ordinario, nello stesso trimestre, per 31,14 €, una differenza di oltre sette volte dovuta al
differenziale dei tassi – da 1% al 7%. – e dai giorni valuta applicati).
Qualora, invece, il conto “ordinario” conservasse un saldo passivo anche dopo l’accredito proveniente dal
conto “di giro”, allora il cliente beneficerebbe di un risparmio in interessi passivi dovuto al tasso minore applicato
dalla banca sul conto anticipi rispetto allo scoperto del conto ordinario (nell’esempio il 7% invece dell’8%).
Risulta pertanto necessario che chi ha la responsabilità della gestione della liquidità aziendale presti
attenzione nel decidere quali crediti presentare al salvo buon fine e quali al dopo incasso, oltre che, ovviamente, su
quali banche effettuare la presentazione (poiché quasi sempre un’azienda opera con più di una sola banca).
CONTO ANTICIPI RI.BA S.B.F. (Movimenti 1° trim.)
Data
Operazione
Dare
Avere
05/01 Ri.Ba. varie al s.b.f.
05/01 Giroconto a c/c
-----
5.400
-----
18/01 Ri.Ba al s.b.f.
-----
-----
Giorni
interessi
Interessi
(rp = 7%)
5.400
P
53
54,89
-----
Dal 5/1 al 27/2
18/01
2.780
P
-----
6.800
-----
02/03 Ri.Ba. varie al s.b.f.
-----
Segno
interessi
40,52
76
Dal 18/1 al 4/4
6.800 26/04
-----
02/03 Giroconto a c/c
05/01
2.780
03/02 Ri.Ba varie al s.b.f.
-----
calcolo inter.)
2.780 04/04
-----
03/02 Giroconto a c/c
Saldo (per
5.400 27/02
-----
18/01 Giroconto a c/c
Val.
03/02
6.800
P
-----
82
106,94
Dal 3/2 al 26/4
5.678 28/03
5.678
-----
-----
02/03
5.678
P
-----
28,31
26
Dal 2/3 al 28/3
(Totale interessi passivi:
230,66)
CONTO CORRENTE ordinario (movimenti al 31/03)
Data
-----
Operazione
-----
Dare
Avere
-----
05/01 Giroconto a c/c
05/01 Commiss. d'Incasso
-----
-----
-----
-----
-----
03/02 Giroconto da c/ant.
03/02 Commiss. d'Incasso
-----
-----
5.400 05/01
5.400
05/01
5.394
8.174
18/01
8.170
6.800 03/02
14.970
03/02
14.962
6.475
05/02 Spese per insoluto
10
24/01
6.465
02/03 Commiss. d'Incasso
8
1,92
6
1,34
A
27
11,07
Dal 3/2 al 2/3
24/01
02/03 Giroconto da c/ant.
A
-----
1.695
-----
13
Dal 18/1 al 24/1
-----
05/02 Ricevuta Insoluta
-----
A
Interessi
(ra = 1%)
(rp = 8%)
Dal 5/1 al 18/1
2.780 18/01
8
-----
Segno
Giorni
interessi interessi
-----
4
-----
Saldo (per
calcolo inter.)
-----
6
18/01 Giroconto da c/ant.
18/01 Commiss. d'Incasso
Val.
A
10
1,77
Dal 24/1 al 3/2
-----
5.678 02/03
18.935
02/03
18.927
A
29
14,04
Dal 2/3 al 31/3
(Totale interessi attivi:
30,14)
44