Teologhe in Italia, siamo solo al 10%

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Avvenire 06/04/2010
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Teologhe in Italia,
siamo solo al 10%
A mezzo secolo
dal Concilio, nelle
facoltà ecclesiastiche
le docenti sono
appena una su dieci
Si occupano
di spiritualità
e antropologia, ma
ancora poco di
liturgia e pastorale
Esce il censimento
delle donne
nelle scienze sacre
Metti il
pallo.
DI LAURA BADARACCHI
orreva l’anno 1967 quando,
nella seduta del 20 dicembre,
la Sacra Congregazione dei
Riti si pronunciò sulla «capacità»
dottrinale delle donne. Si trattava
del primo «segnale importante» e
ufficiale del magistero, due anni
dopo la chiusura del Vaticano II,
che sanciva «la piena e pari dignità
teologica» dell’universo femminile
rispetto a quello maschile. E
affermava che le donne possono
salire in cattedra: una «svolta
epocale per il cattolicesimo, che segna un punto di non ritorno. Che
non coincide però con il punto
d’arrivo». È lucida l’analisi di Anna
Carfora, docente di Storia della
Chiesa alla Pontificia Facoltà
teologica dell’Italia meridionale
(sezione San Luigi), che insieme al
collega Sergio Tanzarella ha curato
il volume Teologhe in Italia.
Indagine su una tenace minoranza,
pubblicato dall’editore trapanese Il
pozzo di Giacobbe (pp. 192, 20),
che viene presentato oggi alle 17 al
Papyrus Café di Roma (via De Lucchesi 28) da Gianni Gennari e
Marinella Perroni insieme al
volume di Cettina Militello Volti e
storie. Donne e teologia in Italia
(Effatà, pp. 320, euro 17). A poco
più di quarant’anni dall’apertura
della formazione teologica di tipo
accademico alle donne, il libro
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Per di più fanno fatica
a trovare posti stabili
nelle istituzioni
e dunque a vivere
di ricerca, però questo
«part time forzato»
è stimolo alla creatività
E ora arriva la terza
generazione di studiose
tenta un’inedita – seppure parziale
– ricognizione numerica nel mondo
delle teologhe in Italia (Quante
sono? Dove insegnano?) e allo
stesso tempo qualitativa, sondando
le tipologie prevalenti dei campi
esplorati da ambiti disciplinari
scelti, ricerche e pubblicazioni. Si
scopre così che liturgia e pastorale
sono ancora settori teologici in
prevalenza maschili; non così l’antropologia teologica e la teologia
spirituale. «Significativo il
fenomeno delle madri spirituali che
esercitano un ruolo di direzione
spirituale – tradizionalmente
riservato agli uomini – e che sono
in numero maggiore rispetto alle
teologhe», evidenziano i curatori.
«La mappatura è da completare e
aggiornare. Ma il libro, ci tengo a
sottolinearlo, è frutto del lavoro
corale di un gruppo misto in seno
alla facoltà», riferisce Carfora, che
insieme ai collaboratori ha cercato
di evitare «la retorica di genere e le
analisi poco concrete: rischi di
ghettizzazione quando si affrontano questi temi». Per sgombrare il campo da pregiudizi impliciti e diffidenze non supportate
dai fatti, spazio alle cifre: nelle
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Teologhe italiane durante un incontro in vista del Cupolone
facoltà teologiche italiane le donne
rappresentano circa il 10,4% dei
docenti, «ma sono poche quelle che
insegnano discipline strettamente
teologiche», fa notare la storica. E le
suore costituiscono «una
minoranza nella minoranza», cosa
che evidenzia «i limiti relativi alla
loro emancipazione intellettuale».
Ma nelle istituzioni accademiche
ecclesiastiche sono i laici nella loro
totalità – uomini e donne – a
rimanere un’esigua porzione ri-
spetto a chierici e religiosi. Anche
se nel decennio 1998-2008 si è registrato «un leggero aumento di
presenza a tutti i livelli» nella
Pontificia Facoltà teologica
dell’Italia meridionale. Per avere
un’idea delle proporzioni, nell’anno
accademico 2008-2009 in 12 facoltà
teologiche romane insegnavano 72
donne (laiche e religiose) e 653
uomini, tra preti, religiosi e laici.
Tuttavia sta avanzando «la terza
generazione di teologhe, oggi in
formazione», che auspicano al pari
delle colleghe precedenti «una
collocazione stabile all’interno
delle istituzioni. Altrimenti di
teologia non si vive: uno scoglio
contro cui si infrangono non poche
vocazioni femminili in questo
settore», osserva Carfora. Riconoscendo al tempo stesso che la
precarietà di studiosi e ricercatori,
oltre a essere oggi un problema
diffuso, risulta drammatica in tutti
gli atenei, compresi quelli statali.
Ma c’è il rovescio della medaglia: da
questa specie di «part-time
teologico» forzato «può scaturire
una sorta di originalità creativa e di
innovazione metodologica che
conduce il pensiero a non
alimentarsi di se stesso, ma ad
assorbire nuova linfa dall’esterno».
Infatti questo particolarissimo
ramo del sapere «non è più legato
esclusivamente allo stato clericale
ma tocca anche i laici»: ha qualcosa
da dire alla vita di tutti.
Madre Zorzi: ancora poche
le suore che vanno in cattedra
Marinella Perroni: contarsi
per fare cultura «dal basso»
n monaco ha stanza, refettorio, chiesa,
aula e biblioteca a pochi metri, in collegi
"chiavi in mano"; una monaca trova queste cose a molti chilometri di distanza tra loro e senza
chiavi"». Suor Maria Benedetta Zorzi, benedettina
quarantenne del monastero di San Luca a Fabriano, si
serve di un’immagine caricaturale per raccontare come
oggi gli studi teologici siano sì aperti alle donne, ma non
«pensati» anche per loro. Lo dicono i dati snocciolati nel
volume Teologhe in Italia, evidenziando il basso numero
di religiose, di vita attiva o contemplativa, tra le loro file.
«Desiderare titoli accademici da parte di una consacrata viene
talvolta attribuito a mancanza di umiltà e di spirito di nascondimento, o a carrierismo – spiega la monaca, che insegna
all’Istituto teologico marchigiano e al Pontificio Ateneo
Sant’Anselmo di Roma, nonché alla Scuola di teologia della sua
diocesi –. Lo studio teologico da alcune viene considerato "altro"
dalla vita spirituale. Un certo timore deriva anche dal fatto che non
c’è una lunga tradizione in questo campo, chiuso alle donne fino
a pochi decenni or sono, e si è impreparate ad affrontare percorsi
che ancora risultano "singolari"».
Ma suor Benedetta è convinta che il problema permane solo se i
percorsi di formazione teologica «restano un "privilegio" per alcune,
non nel momento in cui fossero comuni a tutte». E stanno
aumentando le monache, «molto motivate», che stanno intraprendendo l’iter accademico: «A Sant’Anselmo siamo in 5
benedettine docenti, tra cui alcune badesse; a San Giuliano Milanese
madre Ignazia Angelini, alla guida del monastero di Viboldone, è
stata tra le prime monache docenti in una facoltà teologica. Molte
hanno raggiunto i titoli, ma non li spendono nella docenza».
Senza dimenticare «le cultrici della materia, di grande spessore
intellettuale e spirituale, come la mia amica carmelitana suor Cristiana Dobner, che si trova al monastero di Concenedo di Barzio
(Lc): impegnate in una ricerca teologica alta, pubblicano libri ma
non insegnano in una facoltà». (L.Bad.)
l primo tentativo di fotografare, anche dalla prospettiva dei numeri, la presenza complessiva delle
teologhe in Italia: Marinella Perroni, presidente del
Coordinamento teologhe italiane (Cti) e docente di
Nuovo Testamento presso il Pontificio Ateneo
Sant’Anselmo di Roma, delinea i contorni del volume
Teologhe in Italia, concordando in primis con il
sottotitolo «Indagine su una tenace minoranza»: «Mi
sento rappresentata da questa definizione e così ci
sentiamo al Cti, fondato nel 2003: oggi conta un
centinaio di iscritte. Ma il Coordinamento non abbraccia tutta la
realtà delle teologhe nel nostro Paese, quindi un censimento era
necessario per ricostruire un mondo che non si riusciva a mettere
a fuoco».
La ricerca, dunque, costituisce un punto di partenza da ampliare
in futuro, per sondare ad esempio «la galassia delle studentesse che
stanno completando gli studi teologici: una risorsa viva per le realtà
ecclesiali», fa notare Perroni, ribadendo quanto sia urgente per la
Chiesa italiana confrontarsi con una produzione variegata e in crescita ma ancora con una scarsa visibilità nel panorama nazionale.
Inoltre si potrebbe «allargare l’indagine ai confini europei» – propone
– per un confronto anche in ambito ecumenico con le colleghe
valdesi e battiste. «In Italia ci sentiamo già in rete, anche se riflettiamo tutte la vita delle donne odierne, impegnate nel prendersi
cura dei familiari e delle comunità: purtroppo a volte resta poco
tempo per lo studio».
Intanto si può implementare «una teologia "dal basso" nella vita
culturale del Paese, coniugando i linguaggi specialistici con quelli
esistenziali». Un esempio? Il protocollo d’intesa siglato nei giorni
scorsi dal Ministero dell’istruzione con l’associazione Biblia, di cui
fa parte anche la Perroni, per promuovere tra i banchi delle scuole
la conoscenza delle Scritture in percorsi interdisciplinari o all’interno
di singole materie, considerando il testo biblico «una componente
essenziale di tutte le culture d’Occidente».
«U
testimonianze
E
I
Laura Badaracchi
June 6, 2010 6:05 pm / Powered by TECNAVIA / HIT-MP
E tutte le religioni fecero i conti con l’«homo sapiens»
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