26NOVEMBRE2016
GIORNATA NAZIONALE PARKINSON
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PER IL PARKINSON ONLUS
LIMPE-DISMOV
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ACCADEMIA ITALIANA
MALATTIA DI PARKINSON
E DISORDINI DEL MOVIMENTO
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Accademia LIMPE-DISMOV
Viale Somalia 133
00199 Roma
Tel. 06.96046753
Fax 06.98380233
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Responsabile Comunicazione
Accademia LIMPE-DISMOV e Fondazione LIMPE per il Parkinson ONLUS
Dr. Cesare Peccarisi
Cel. +39 3389396435
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2016 L’ANNO DEL CAMBIAMENTO LA NUOVA DEFINIZIONE E I NUOVI CRITERI DIAGNOSTICI DELLA
“MALATTIA DEL TREMORE”
Per rispondere alla massa di dati che continuano ad emergere in questa malattia nei più vari campi della ricerca scientifica,
quest’anno la International Parkinson Disease and Movement Disorder Society, dopo aver istituto una speciale Task Force, ha
stabilito nuovi criteri sistematici di diagnosi prodromica per la “malattia del tremore” da poco pubblicati sulla prestigiosa rivista
Lancet Neurology (1).
In occasione della Giornata Parkinson 2016 l’Accademia LIMPE-DISMOV e la Fondazione LIMPE ne divulgano i punti salienti a
medici e pazienti coinvolti da quella che non è più la malattia del tremore, ma...
LA MALATTIA DELLA SINUCLEINA
La malattia di Parkinson (MP) viene definitivamente classificata come “sinucleinopatia”.
Questo tema era già stato affrontato nelle precedenti Giornate, ma ora c’è il suo riconoscimento ufficiale internazionale.
L’α-sinucleina è una piccola proteina codificata da un gene chiamato SNCA il quale innesca la produzione della sua forma alfa,
termine che specifica il suo particolare orientamento spaziale.
E’ assai diffusa nei neuroni cerebrali dove costituisce l’1% delle proteine totali (2), ma se ne può trovare anche nel cuore, nei
muscoli e in molti altri tessuti.
DALL’APPENDICE ALLA SALIVA - E’ stata rilevata in gran quantità anche nella mucosa dell’appendice di soggetti sani e la facilità
d’accesso di tale sede ne ha fatto prospettare l’impiego per un monitoraggio della sua concentrazione nei parkinsoniani (3),
ma sedi raggiungibili in maniera meno invasiva hanno spostato l’attenzione prima sulla ghiandola sottomandibolare (4) e
quest’anno direttamente sulla saliva (5).
NON SOLO DANNOSA - Questa proteina sembra contribuire ai processi di rimodellamento della membrana neuronale, ove si
concentra nei terminali presinaptici, le strutture dove si accumulano i neurotrasmettitori che portano i messaggi nervosi.
In uno studio pubblicato nel 2013 su eLife, Alex Brunger della Stanford University l’aveva definita il lubrificante dei neuroni:
bloccando nei topi il gene SNAC che la codifica, aveva visto che all’inizio non succedeva nulla, ma invecchiando, gli animali
sviluppavano gravi deficit motori e morivano prima: “E’ un po’ come non cambiare mai l’olio del motore –aveva commentatoAnche se per i primi chilometri l’auto si muove, alla fine fonde il motore”.
Sarebbe particolarmente importante nel regolare il rilascio di dopamina, il neurotrasmettitore che, controllando i movimenti, è
fondamentale nella MP.
Peraltro studi di medicina comparativa anche recenti hanno dimostrato che viene conservata lungo la scala evolutiva ed è una
proteina caratteristica dei vertebrati nei quali il movimento degli arti è fondamentale (6).
MISTERI E CERTEZZE - Come svolga la sua funzione non è ancora del tutto chiaro, ma una cosa è ormai certa: la sua struttura
elicoidale alfa va incontro a un processo di misfolding simile a quello dei prioni segnalato per primo da Heiko Braak della
Goethe University di Francoforte (7), comincia ad aggregarsi depositandosi prima nel citoplasma e poi si accumula in placche
extracellulari (8).
Abbiamo già visto nella malattia di Alzheimer quali danni si verificano quando un processo simile si verifica con l’amiloide (9).
Perché l’α-sinucleina inizia a comportarsi in questo modo?
Forse è un problema di fabbricazione da parte del gene SNCA che la codifica.
Se questo problema sia ereditato o acquisito, ancora non si sa, fatto sta che quando compaiono accumuli chiamati corpi di Lewy
vuol dire che la sinucleina si è aggregata nel citoplasma cellulare, ha formato fibrille, queste sono uscite dalla cellula e si sono
unite fra loro (10) e, insieme ad altre proteine circolanti, hanno formato questi accumuli che danneggiano il neurone fino a farlo
morire (11), innescando la cosiddetta neurodegerazione, tant’è vero che questi accumuli caratterizzano anche la demenza a
corpi di Lewy e quella da accumulo di ferro cerebrale di tipo 1 nota con la sigla NBIA-1 (12).
LA VIA DEL VACCINO
Inducendo un’immunizzazione cosiddetta passiva tramite copolimero, farmaco usato nella sclerosi multipla che modifica il
comportamento delle cellule gliali con aumento di cellule T, secrezione di citokine antinfiammatorie e fattori di crescita
nervosi (GDNF), nel 2004 il National Institute of Neurological Disorders and Stroke (NINDS) aveva pubblicato sui Proceedings
of the National Academy of Sciences (PNAS) uno studio su animale (13) in cui per la prima volta veniva vaccinato un topo
parkinsonizzato tramite MPTP, sostanza chimica che induce artificialmente la malattia.
Ma il primo studio sull’uomo in cui possiamo davvero parlare di vaccino parte due anni fa grazie ai ricercatori di Vienna diretti
da Dieter Volc dello Studienzentrum der PROSENEX, i quali, col supporto di un milione e mezzo di dollari da parte della Michael
J. Fox Foundation, hanno messo a punto uno studio in cieco, randomizzato e controllato con l’anticorpo monoclonale AFFITOPE
PD01A usato come vaccino anti-α-sinucleina, per ridurne l’accumulo e modificare positivamente il decorso della malattia.
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MELIUS ABUNDARE QUAM DEFICERE - Lo studio, terminato alla fine dell’estate 2015 con successivi 16 mesi di follow up, si è da
poco concluso dimostrando l’assoluta sicurezza del trattamento e indicando altresì che non fa male “esagerare” somministrando
anche una dose in più onde attivare la produzione degli anticorpi anti- α-sinucleina che si è verificata solo nel 50% dei pazienti
trattati.
Inizialmente lo studio della sostanza, prodotta dall’azienda viennese AFFIRIS, ha previsto la somministrazione di 4 iniezioni da
15 fino a 75μg a 8 controlli e 24 pazienti di ambo i sessi, con età fra 41 e 66 anni, di sola madre lingua tedesca e residenti nell’area
di Vienna o Innsbruck.
Sono stati valutati miglioramenti motori e non motori, cognitivi e olfattivi, umorali e di imaging, nonché nelle cosiddette ADLS,
cioè activities of daily living, a giudizio del caregiver.
Il miglioramento degli outcome previsti è stato ottenuto soprattutto sui sintomi motori e non ci sono stati casi di drop-out, nè
effetti collaterali di rilievo.
Il picco di immunizzazione si verifica alla 12° settimana per poi ridursi, restando comunque oltre il livello basale, come verificato
tramite controllo degli anticorpi anti-sinucleina liquorali (puntura lombare).
La riduzione longitudinale nel tempo della loro concentrazione ha indotto a un aumento del dosaggio del “vaccino” (uno in più
all’anno) in modo da mantenerla costante (14).
La fase di commercializzazione dovrà attendere l’approvazione sia della FDA che dell’EMA.
NON E’ TUTTA COLPA DELLA SINUCLEINA
Ma non di sola sinucleina si soffre nel Parkinson: ci sono rare forme genetiche in cui questa proteina non sembra svolgere alcun
ruolo, altre in cui gli accumuli di sinucleina arrivano ben dopo la comparsa di altre alterazioni patognomoniche di malattia
oppure casi in cui non è tecnicamente possibile rilevarne la presenza in vita.
Per quanto l’arbitro diagnostico fondamentale resti sempre l’accumulo di α-sinucleina, è stato stabilito un altro criterio altrettanto
importante mettendo a punto la categoria diagnostica genetica con la quale è possibile stabilire una diagnosi anche in assenza
di accumuli di sinucleina e ciò non solo quando il paziente è in vita, ma pure in sede autoptica, quando eventuali depositi non
possono più sfuggire.
NON PIU’ INSTABILITA’ E RALLENTAMENTO
Di instabilità posturale non si soffre più soltanto nel Parkinson perché questo sintomo cardinale non risulta più prerogativa
della sola MP, ma anche di altre patologie, soprattutto quando insorge precocemente nella storia clinica del paziente che può
presentare tale sintomo non per la MP in sé, ma anche per altre cause da stabilire di volta in volta.
I criteri si fanno più restrittivi anche per quanto riguarda il rallentamento: non basta più la sola lentezza, ma occorre valutare
anche quali particolari tipi di riduzione della rapidità di esecuzione dei movimenti si verificano e l’ampiezza del movimento
compromesso.
ANCHE DI DEMENZA
Anche di demenza si soffre nel Parkinson e il riscontro di decadimento cognitivo cessa di essere un criterio di esclusione, anche
se fosse il primo sintomo a presentarsi. Come altri sintomi non motori, la demenza spesso arriva prima dei tre sintomi finora
ritenuti cardinali e ora non va più considerato come un criterio di esclusione perché entra a pieno titolo fra i marker prodromici
di MP.
MILLE PARKINSON
Al di là della già nota molteplicità di forme della malattia familiare, sporadica, ad esordio tardivo, ad esordio precoce, ecc. ecc.)
la Task Force IPDS ha ufficialmente sancito l’estrema variabilità della MP, ventilando l’opportunità di classificarla in vari sotto-tipi,
invece di considerarla un’unica patologia. Peraltro questo campo è in continua evoluzione e i criteri diagnostici e di trattamento
devono essere continuamente aggiornati.
DIAGNOSI STATISTICA
Un’altra novità introdotta dalla Task Force è l’introduzione di metodi statistici di probabilità di malattia per definire la presenza
di sintomi prodromici di malattia, col vantaggio di basarsi su criteri di medicina delle evidenze.
I criteri introdotti sono tre:
1) età (criterio principale)
2) informazioni provenienti da vari indici di rischio (genere, fumo, caffè...), variabili genetiche (familiarità o risultati di test genetici)
3) segni e sintomi prodromici (stipsi, iposmia, ecc.) oppure biomarker (ad es. quelli ottenuti tramite neuroimaging)
Se la somma di questi 3 valori supera l’80% della soglia di rischio che, a seconda dell’età, va da 95 a 1000, la diagnosi è fatta.
I criteri internazionali di sinucleinopatogenesi della MP vanno conciliati con le ultime scoperte genetiche che costituiscono un
altro caposaldo dei nuovi criteri della International Parkinson Disease and Movement Disorder Society.
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La MP è da anni considerata un’entità nosologica univoca relativamente omogenea caraterizzata dai suoi 4 sintomi cardinali
di bradicinesia, rigidità, tremore e instabilità posturale, associati in misura più o meno variabile ad altri segni e sintomi motori
e non motori (cognitivi, comportamentali, sensoriali, ecc.) e alla cui base fisiopatologica si pone l’ingravescente progressione
degli accumuli di alfa-sinucleina.
La sua valutazione clinica è sempre parsa abbastanza agevole ad esempio con i criteri UK-PDBB (United Kingdom Parkinson’s
Disease Brain Bank) o UPDRS (Unified Parkinson’s Disease Rating Scale) che definiscono la malattia come certa o altamente
probabile, ma le recenti acquisizioni in campo genetico fanno pensare che queste definizioni siano adatte alle sole forme
sporadiche e forse la MP potrebbe essere meglio descritta col termine di parkinsonismo neurodegenerativo...
TOM 20 - Ma come si verifica il danno neurodegenerativo?
Fino a pochi mesi fa non era ancora del tutto chiaro, ma lo scorso giugno uno studio pubblicato su Science Translational
Medicine dai ricercatori dell’Università di Pittsburgh diretti da Roberto Di Maio (15) ha indicato che l’α-sinucleina ha una forte
affinità per la proteina TOM 20, una traslocasi della membrana mitocondriale esterna, e quando le due proteine si collegano
viene chiuso il passaggio alle proteine dall’esterno e il mitocondrio, che in sostanza è il motore energetico cellulare, si blocca
per processi ossidativi e mancanza di carburante. Così, le cellule nervose, senza il loro motore energetico interno, muoiono e
inizia la malattia.
Forse sarà possibile opporsi a questo processo con una terapia genica che induca una over-espression cioè un’iper-produzione
di TOM 20 così da saturare l’α-sinucleina e, come Di Maio ha visto nell’animale, riducendo l’affinità di quest’ultima per la TOM 20.
MIRO - Come tutti i motori, anche i mitocondri dopo un po’ vanno al macero e nel corpo quelli esausti vengono automaticamente
rimossi in modo da mantenere integra l’omeostasi della cellula, evitando dannosi processi ossidativi.
Di questa azione di pulizia dei mitocondri danneggiati si conosceva finora il ruolo dei geni PINK1 e LRRK2 (vedi dopo), ma
secondo uno studio appena pubblicato su Cell (16) in questo compito sarebbe implicata anche la proteina MIRO che funziona
come una sorta di interruttore di avviamento del processo.
Per l’azione di smembramento dei vecchi mitocondri, sia PINK-1 sia LRRK2 si collegano infatti a questa proteina della membrana
mitocondriale esterna .
MIRO agisce come il pulsante d’avvio del compressore dello sfasciacarrozze perché rende possibile il distacco del citoscheletro
mitocondriale, operazione fondamentale per la dismissione dei mitocondri danneggiati.
Comunque l’azione è possibile soprattutto grazia a LRRK2.
Non è raro però che quest’ultimo incorra nella mutazione chiamata G2019S (vedi dopo) che non gli permette di partecipare
al processo di mitofagia: si lega alla proteina MIRO, ma la demolizione non parte e i mitocondri esausti permangono, con la
conseguenza che i neuroni vanno incontro a degenerazione perché ne restano intossicati, un po’ come una macchina che
smette di camminare perché il motore è sbiellato.
La mutazione G2019S del gene LRRK2 è presente in molti casi di Parkinson familiare. Ma anche nelle forme sporadiche di
Parkinson possono esserci molte altre cause che indeboliscono l’azione sinergica fra LRRK2 e Miro (stress cellulare, farmaci,
sostanze tossiche, ecc. ).
VERIFICARE L’UNIONE - Da quanto è possibile capire è la forza della loro azione combinata a garantire l’autofagia dei mitocondri
esausti e quindi la salvezza dei neuroni per l’evitamento dei processi ossidativi che derivano dai mitocondri esausti non dismessi,
cosicché la verifica della funzionalità del complesso LRRK2-MIRO potrebbe diventare un nuovo biomarker precoce di malattia:
se il link funzionale fra LRRK2 e MIRO è saldo tutto va bene, ma se è debole il rischio di sviluppare la malattia sale.
Monitorando i livelli di MIRO nei fibroblasti di soggetti a rischio si potrebbe arrivare a un vero e proprio toll di diagnosi preventiva
e, usando sostanze in grado di ridurre la concentrazione della proteina MIRO, si potrebbe ottenere anche un nuovo tipo di
terapia per la MP.
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I NUOVI CRITERI POSSONO STANDARDIZZARE RICERCA E DIAGNOSI, MA UN TEST OBBIETTIVO NON
ESISTE, IL VERO GOLD STANDARD RESTA L’OCCHIO CLINICO DEL MEDICO
DECALOGO DEI MARKERS CLINICI ANNO PER ANNO
Al 68° Annual Meeting dell’American Academy of Neurology svoltosi quest’estate a Vancouver con un’indagine su 8mila soggetti
con almeno 55 anni d’età provenienti per l’80% dalla popolazione del famoso Rotterdam Study, un colossale data base che
segue dal 1990 gli abitanti di un quartiere della città olandese, i ricercatori dell’Erasmus University Medical Center dell’omonima
città diretti da Sirwan Darweesh hanno messo a punto quello che potrebbe diventare un decalogo (17) dei marker di previsione
clinica annuale della MP, a prescindere dai dati strumentali:
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6 ANNI PRIMA della diagnosi di MP i pazienti iniziano a riferire maggiori problemi rispetto alle persone normali nelle attività
quotidiane (daily activities) soprattutto in quelle in cui devono svolgere uno specifico compito che coinvolge attività sia
motorie sia non motorie (instrumental activities) come ad esempio spostarsi e viaggiare.
FRA 6 E 5 ANNI PRIMA compaiono i primi segni di ipocinesia, bradicinesia o tremore.
3 ANNI PRIMA circa, questi problemi si estendono ad attività di base quotidiane come alimentarsi.
POCHI ANNI PRIMA compaiono rigidità e alterazioni posturali e i pazienti presentano punteggi significativamente inferiori
alla media alla Mini-Mental State Examination.
NEGLI ULTIMI ANNI iniziano a usare lassativi molto più frequentemente della media.
L’ANNO PRIMA della diagnosi presentano più sintomi ansiosi e depressivi della media.
STIPSI
Se ne parlava già negli anni ’80 (18), ma sono stati due ricercatori della University of Nebraska Medical Center, Leonard L.
Edwards (19, 20) e Kenneth G. Byrne (21) fra i primi a segnalare all’inizio degli anni ’90 che, fra le componenti della disautonomia
che colpisce i pazienti con MP (almeno 20%), la stipsi rappresenta la più frequente manifestazione autonomica che compare sia
all’esordio della sintomatologia motoria, sia nel corso della progressione della malattia.
L’interesse per questo marker clinico si è riacceso recentemente (22) indicando che compare almeno vent’anni prima della
sintomatologia motoria, facendo salire significativamente il rischio di Parkinson, anche se, a parte la predisposizione genetica
e la concorrenza di altri fattori esterni, vanno considerati anche quelli con un’influenza specifica sul sistema gastroenterico
come la dieta o quelli ambivalenti come fumo e consumo di caffè che da una parte alterano il sistema gastroenterico e dall’altra
sembrano prevenire la MP (23).
Ad esempio uno studio pubblicato nel 2011 su Movement Disorders dal gruppo diretto dell’attuale Presidente SIN Leandro
Provinciali (24) ha focalizzato l’attenzione su un altro fattore: il microbiota intestinale.
Nei pazienti Parkinson le anomalie della motilità intestinale favorirebbero un eccessivo sviluppo dei batteri del piccolo intestino
che notoriamente costituisce una zona di passaggio fra il poco popolato stomaco e la lussureggiante flora batterica del colon,
sede della maggiore concentrazione microbica con oltre mille cellule (1.012) per grammo di contenuto intestinale.
Nel tenue la concentrazione di batteri si mantiene nell’ambito di concentrazioni più ridotte (102-3) rispetto al colon (103-7),
variando a seconda di fattori esogeni quali ambiente, dieta, ecc. ed endogeni come pH, enzimi gastrici, sali biliari, velocità di
transito, potenziale redox, concentrazione di nutrienti e di ossigeno disciolto, ecc. (25)
In genere la colonizzazione batterica è soppressa dalla velocità del transito intestinale e da sostanze antibatteriche come enzimi
e sali biliari, ma nel parkinsoniano la disautonomia peristaltica cui è legata anche la stipsi inibirebbe tali fattori.
L’ENNESIMA CONFERMA - L’importanza della stipsi come marker preventivo è stata confermata assai recentemente sull’European
Journal of Neurology dal gruppo di Carlo Colosimo (26) che ha rilevato una frequenza di questo sintomo compresa fra 24.6 e 63%
a seconda degli studi finora condotti. Colosimo riprende le tesi di Heiko Braak di cui abbiamo parlato nel misfolding prionico
dell’α-sinucleina e quelle di John M. Woulfe sul riscontro della proteina nella mucosa dell’appendice intestinale, indicando come
la stipsi possa rappresentare l’epifenomeno patogenetico delle alterazioni enteriche che si vanno verificando col progredire
della malattia con una potenziale sensibilità da biomarker clinico nelle fasi prodromiche da rilevare non solo tramite prelievi
bioptici (che, per quanto invasivi, lo sono meno di quelli del sistema nervoso), ma anche utilizzando le moderne metodiche
di visualizzazione strumentale: la PET con donepezil marcato (donepezil-C11), ad esempio, ha evidenziato una denervazione
parasimpatica nel piccolo intestino dei pazienti Parkinson, anche se ciò non era correlabile alla gravità della stipsi (27).
Lo STIGMA della stipsi - L’impatto della stipsi sulla qualità di vita dei pazienti è così grave da generare un vero e proprio stigma,
termine che intende la vergogna di malattia. L’ha rilevato uno studio inglese dell’Università di Surrey (28) che mette in luce
come questi pazienti siano imbarazzati a parlare di questo problema anche col medico.
Per quanto secondo i criteri internazionali di valutazione della funzionalità intestinale (29) nei parkinsoniani la stipsi risulti tre
volte maggiore che nei soggetti di controllo (rispettivamente 59 a 21%) e i pazienti ne siano molto più preoccupati degli altri
(33,4% a 6,1%), di fatto solo il 6% di loro ne parla, in confronto al 66% degli anziani che non soffrono di Parkinson.
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MACROGOL - Il rallentamento del transito intestinale può anche interferire col corretto assorbimento dei farmaci ed è importante
che il medico possa porvi riparo ad esempio usando una soluzione elettrolitica isosmotica di macrogol (30), lubiprostone per il
trattamento a breve termine (31) oppure con consigli di stile di vita come incremento dell’attività fisica e aumentata introduzione
di liquidi e fibre.
Attenzione però, se la dieta deve essere ipoproteica, quella vegetariana da un lato è ideale perchè l’alto contenuto di fibre
si oppone alla stipsi, ma dall’altro, se si esagera, può rallentare lo svuotamento gastrico a causa della sua lunga digestione,
ritardando la disponibilità di levodopa a livello duodenale con fluttuazioni motorie di fine pasto.
RQ-00000010 - Quest’estate, col supporto della Michael J. Fox Foundation, è partito presso la Virginia Commonwealth University
uno studio che terminerà nel 2019 per valutare la reale efficacia di un nuovo farmaco della RaQualia Pharma sulla sintomatologia
gastroenterica dei pazienti Parkinson. Per ora noto solo con la sigla RQ-00000010 è un agonista parziale del sub-recettore 4 della
serotonina (5-HT4) somministrato per via orale a dosaggi di 2, 50 e 200 micrigrammi/die per 14 giorni a soggetti maschi con età
compresa fra 18 e 75 anni, in trattamento con farmaci dopaminergici e/o di neuromodulazione DBS.
I criteri d’inclusione sono riscontro di sintomatogologia di gastroparesi e/o stipsi indicata da:
• uso regolare di procinetici, lassativi e purganti di vario tipo
• punteggio di almeno 2 al GCSI (Gastroparesis Cardinal Symptoms Index)
• punteggio di almeno 5 alla Gastroparesis Subscale
• punteggio di almeno 5 alla GSNDS (Gastrointestinal Symptoms in Neurodegenerative Disease Scale)
Si tratta di uno studio di fase 1b volto a verificare la tollerabilità del composto ai vari dosaggi crescenti selezionati in funzione
della loro efficacia sul riempimento gastrico e sulla sintomatologia gastroparetica.
I dati preliminari indicano che questa sostanza può esercitare un efficace effetto terapeutico scevro da effetti collaterali non
solo nella MP, ma ogni volta che si verifica compromissione della motilità gastrointestinale, dalle gastroparesi, alle dispepsie
funzionali, alla stipsi cronica, ecc.
MARKER DI IMAGING: A OGNI DISTURBO DEL MOVIMENTO IL SUO, ANNO PER ANNO
MP, MSA e PSP - Anche le tecniche di visualizzazione strumentale consentono di seguire l’andamento della MP nel tempo,
fungendo altresì da marker differenziale evidenziando come nel MP le aree cerebrali interessate da decadimento siano diverse
da quelle di altri due noti parkinsonismi come MSA (atrofia multisistemica) e PSP (paralisi sopranucleare progressiva). Lo
studio pubblicato in agosto su Neurology dai ricercatori dell’Università della Florida diretti da David Vaillancourt (32) indica
come tramite i marker di imaging funzionale si possa predire il tipo di parkinsonismo che si sta sviluppando: nel Parkinson c’è
decadimento progressivo sia di putamen sia di corteccia motoria primaria, nella MSA di corteccia motoria primaria, area motoria
supplementare e cervelletto superiore (lobi V e VI), nella PSP di tutte e 4 queste aree. I marker di imaging funzionale consentano
di monitorare la progressione della MP e degli altri parkinsonismi.
MARKER VIRTUALI
AMPLIFICAZIONE VIRTUALE - Alla fine dell’estate i ricercatori del Centro della Complessità e dei Biosistemi dell’Università di
Milano diretti da Caterina La Porta pubblicano su Physical Review Applied il modello computerizzato di un test clinico che può
prevedere virtualmente una malattia neurodegenerativa come il MP prima che si manifesti clinicamente (33) amplificando col
computer gli effetti della formazione degli aggregati che la caraterizzano (amiloide, alfa-sinucleina, ecc) prima della comparsa
dei sintomi ottenendo una diagnosi preclinica della malattia anche con concentrazioni molto basse e minuscole quantità delle
proteine aggregate in maniera anomala.
MARKER PLASMATICI
EGF DAL 1994 AL 2016
C’è un biomarker passato quasi inosservato alla stampa, ma che continua a riscuotere interesse sulla letteratura scientifica di
settore: l’EGF (Epidermal Growth Factor).
1994 - Fra i primi a segnalarne nel ’94 su Neuroscience Letter il ruolo come marker di previsione precoce di decadimento
intellettivo della MP il giapponese Makio Mogi.
2010 - Il dato è confermato nel 2010 sugli Annals of Neurology dagli americani della Pennsylvania e della Emory University
diretti da John Trojanowski.
2015 - L’anno scorso il cinese Jiang QW conferma su Aging Diseases che le fasi precoci del MP sono caratterizzate da calo
dell’EGF.
2016 - Quest’anno i ricercatori americani della Pennsylvania University diretti da Lim NS confermano su Ann Clin Transl Neurol
la riduzione di EGF come biomarker nel MP estendendola anche all’AD, specificando che in entrambe predice una peggiore
evoluzione cognitiva. Nella fase prodromica di soggetti asintomatici il suo valore è rafforzato da ridotte prestazioni solo nel
dominio visuo-spaziale e non negli altri domini cognitivi.
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MARKER GENETICI
E arriviamo infine alla grande rivoluzione dei marcatori genetici.
Appena tre anni fa l’European Federation of Neurological Societies e la Movement Disorder Society-European Section assegnavano
a questi marker un livello di prova di classe B3 (34) sconsigliando l’uso di routine dei test genetici nei parkinsonismi monogenici
per la poca sensibilità pratica e raccomandandone invece l’impiego su base individuale e su specifiche caratteristiche cliniche,
fra cui soprattutto la storia familiare e l’età d’esordio della malattia.
Negli ultimi anni la nostra comprensione delle basi genetiche della MP è radicalmente cambiata e qualora diventi possibile
disporre routinariamente di procedure specifiche è importante in termini di sanità pubblica valutare endpoint clinici rilevanti
per la vita del paziente fornendo a lui e familiari un servizio di counselling genetico qualificato.
Sono state individuate forme monogeniche, a trasmissione autosomico-dominante o recessiva, sostenute da mutazioni
genetiche nella codifica di specifiche proteine.
Alcune sono più rare, come SNCA, PINK1, PARK2, PARK7, PLA2G6, FBXO7, ATP13A2, altre più comuni come LRRK2 (PARK8).
La MP con ereditarietà recessiva più comune deriva da una mutazione di PARKIN che induce il 50% delle forme familiari a
ereditarietà recessiva a esordio precoce (<45 anni) e il 15% dei casi sporadici con esordio precedente a 45 anni e lenta
progressione senza comparsa di corpi di Lewy.
IL PUNTO DELLA SITUAZIONE
A febbraio di quest’anno è comparsa un’ampia review sugli Acta Neurologica (35) che sancisce come ormai siano stati individuati
sia marker genetici di rischio per il MP, sia marker causali di alcune forme familiari.
Il 5-10% circa dei casi di MP sono forme monogeniche con classica ereditarietà mendeliana, ma la maggior parte sono forme
sporadiche dove è probabile che fattori genetici e ambientali si combinino fra loro.
22 LOCUS GENICI Comunque, i geni associati a MP con ereditarietà autosomica, dominante o recessiva indicati da Kalinderi
sono sei: SNCA, LRRK2, VPS35, Parkina, Pink1, DJ-1
Mentre quelli implicati nelle forme familiari monogeniche sono 16: ADH1C, ATP13A3, EIF4G1, FBXO7, GBA+GBAP1
GIGYF, HTRA2, LRRK2, MAPT, PARK2, PARK7, PINK1, PLA2G6, SNCA UCHL1, VPS35
Lo studio più importante prima di questo è stato pubblicato due anni fa su Nature Genetics (36): si tratta di una colossale ricerca
internazionale condotta su quasi 100mila genomi diversi che ha individuato 7.893.274 varianti genetiche, 6 nuovi geni e 4 nuovi
loci genici (GBA, GAK-DGKQ, SNCA e HLA) a rischio per lo sviluppo di MP.
Alla fine le regioni significativamente associate alla malattia erano 28, sei delle quali non erano mai state associate prima alla
malattia.
I MARKER GENETICI NON SONO UGUALI PER TUTTI
La loro variabilità nella popolazione è grande: ad esempio il gene LRRK2 (leucine-rich repeat kinase 2) uno di quelli conosciuti
da più tempo e considerato fra i più comuni, risulta fra i meno diffusi nell’Europa centrale (37) .
CAUCASICI: LRRK2-G2019S - Perchè sia comunque così importante l’ha scoperto nel 2012 Juan Carlos Izpisua Belmonte del
Salk Institute di La Jolla che su Nature (38) ha indicato come a innescare la sua tossicità nella MP sia la mutazione G2019S che
determina lo scambio di glicina (G) con serina (S) nella posizione 2019 e ciò provoca la formazione di membrane neuronali
anomale che vanno incontro a neuro-degenerazione.
La mutazione LRRK2G2019S è fra le più frequenti nella razza caucasica in cui determina un caso di Parkinson familiare su 20 e di
Parkinson sporadico su 50.
Ma come dicevamo, le cose infatti cambiano a seconda della popolazione: fra gli israeliani Ashkenazi ad esempio è responsabile
del 40% dei casi di Parkinson familiare e del 13% di quelli sporadici.
Fra i Berberi Nordafricani invece le due percentuali sono pressocchè equivalenti: rispettivamente 39 e 40%.
IRANIANI: SIPA1L2, MIR4697, GCH1 e VPS13C - Uno studio su 1800 soggetti appena pubblicato sul Journal of the Neurological
Sciences da Tannaz Safaralizadeha dell’Università di Teheran (39) ha indicato che nei parkinsoniani iraniani i loci genetici che
dimostrano la più significativa associazione di suscettibilità per MP sono in particolare quattro: SIPA1L2, MIR4697, GCH1 e
VPS13C .
INDIANI: Q267X - Uno studio pubblicato l’anno scorso su Neuroscience Letters dai ricercatori indiani della Banaras Hindu
University di Varanasi diretti da Halder T (40) ha individuato una mutazione denominata Q267X che interessa la PINK1(P-TENinduced putative kinase 1, vedi dopo) e rappresenta la principale causa di MP in India, dove colpisce l’1,8% degli indiani del
Nord.
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SPAGNOLI e ISRAELIANI: p.R402C e p.R32S - Un altro studio da poco pubblicato su Neurobiology of Aging dai ricercatori delle
Università di Granada e di Londra diretti da Sara Bandrés-Ciga (41) ha valutato l’assetto genomico della MP in una popolazione
come quella della Spagna del Sud particolarmente esposta a continue migrazioni nell’arco dei secoli. Oltre a 11 geni notoriamente
implicati in varie forme della malattia, come ad esempio LRRK2 o PINK 1, ognuno con le sue particolari mutazioni alleliche
(rispettivamente: p.R1441G e p.G2019S il primo, p.G309D il secondo), sono state riscontrate due mutazioni alleliche sconosciute:
la p.R402C del gene PARK 2 e la p.R32S del gene VPS35.
La nuova scoperta andrà approfondita, ma al di là di questo, la particolare frequenza di geni già noti come LRRK2 e GBA ha fatto
propendere per una forte influenza della razza ebraica che ha la stessa distribuzione genomica. Come a dire che parkinsoniani
d’Israele e della Spagna del Sud hanno molto in comune.
E SE I MIGRANTI CI PRESERVASSERO DAL PARKINSON? PARKINSON DA ISOLAMENTO GENETICO
Fra i tanti casi di Parkinson familiare c’è quello segnalato l’anno scorso sul Journal of the Neurological Sciences dai ricercatori della
Palacky University Olomouc della Cecoslovacchia diretti da Katerina Mensikova che hanno individuato una forma autosomicadominante di tipo neurodegenerativo associata a demenza sviluppatasi nell’arco di 5 generazioni in una popolazione rimasta
geneticamente isolata dal 1840 nelle regioni del Sud-est della Moravia (42) .
CECOSLOVACCHI FBXO7 e VPS35 - La Moravia, parte sud-orientale della Repubblica Ceca, per quanto abbia dato i natali a
Sigmund Freud e Mendel, padre della genetica, già di per sé si trova in una situazione geografica che ha sfavorito le migrazioni e
l’arrivo di nuove etnie. Si tratta di un altopiano circondato da tre catene montuose: a ovest le montagne Boeme-Morave, a nord
la catena dei monti Sudeti, che diventano i Carpazi a est. A sud le alture Jeseníky che si fondono coi Monti Beschidi. I Carpazi
Bianchi fanno da confine orientale.
I casi individuati nell’area esaminata dalla Mensikova erano 8664 distribuiti in 10 villaggi. 2927 soggetti avevano oltre 50 anni e
la più elevata prevalenza di MP si concentrava in due gruppi etnici in particolare.
I dettagliati studi genetici e di analisi molecolare intrapresi a partire da questa scoperta hanno portato ai dati presentati lo scorso
giugno al 20° Congresso della International Parkinson and Movement Disorder Society: questa forma è dovuta a una nuova
mutazione dei geni FBXO7 e VPS35. Altre mutazioni di questi geni erano state riscontrate solo nella cosiddetta forma piramidale
di Parkinson a tipico esordio tardivo, ma non erano le stesse. La nuova forma individuata in Moravia determina sintomatologia
motoria e oculomotoria associata a demenza frontale, fino a sviluppare un fenotipo clinico da paralisi sopranucleare.
LE ULTIME SCOPERTE
E’ probabile comunque che altri ne vengano presto individuati grazie alle nuove tecniche GWAS di associazione intragenetica
allargata a tutto il genoma (genome-wide association studies) e a quelle di sequenziamento NGS di nuova generazione.
Le conclusioni dello studio di Kalinderi sono state infatti profetiche....
LAG 3 - Alla fine dell’estate 2016 i ricercatori dell’Institute for Cell Engineering and the NINDS Morris K. Udall Centers of Excellence
for Parkinson’s Disease Research at Johns Hopkins University School of Medicine di Baltimora diretti da Ted M. Dawson hanno
pubblicato su Science (43) quello che potrebbe essere considerato un nuovo biomarker genetico: la proteina transmembrana
LAG 3, acronimo di lymphocyte-activation gene 3, risultata capace di facilitare la trasmissione degli aggregati di alfa-sinucleina
da un neurone all’altro. Sono in corso trial con bloccanti del LAG3 e si stanno studiando anticorpi mirati su questa proteina. Il
successo di questi trial porterebbe a grossi vantaggi nella terapia del MP.
GDNF/RET e PARKINA - Il riscontro di sinergismo fra geni e altri fattori nella MP non è comunque nuovo: l’anno scorso i ricercatori
tedeschi del Center for Integrated Protein Science, Fakultät für Biologie,Ludwig-Maximilians-Universität di Monaco diretti da
Anne Kathrin Müller-Rischart hanno pubblicato sul J Clin Investigations (44) uno studio secondo cui il recettore della tirosinachinasi RET del GDNF (glial cell line–derived neurotrophic factor) svolge un’azione sinergica con la parkina nella prevenzione
della neurodegenerazione dopaminergica del MP.
Fbxo7 e PARKINA - La Parkina è un gene molto interattivo: uno studio pubblicato tre anni fa su Nature Neuroscience dai
ricercatori delle Università di Londra e Cambridge diretti da Victoria S. Burchell (45) ha dimostrato che collabora col gene PINK1
nell’azione di pulizia autofagica dei mitocondri danneggiati, svolgendo una funzione che in gergo viene definita mitofagia. Se
però si verifica una mutazione denominata Fbxo7 non solo tale collaborazione genica non si verifica, ma si innesca anche la
precoce comparsa di una MP di tipo autosomico-recessivo.
VPS35 e MITOCONDRI - Il ruolo dei mitocondri nella patogenesi della MP ribadito da questo studio inglese del 2013 è tornato alla
ribalta quest’anno quando su Nature Medecine i ricercatori di Cleveland, Dublino, Bristol e Shangai diretti da Wenzhang Wang e
Alan Whone (46) hanno pubblicato uno studio in cui individuano una nuova mutazione chiamata VPS35D620N che provoca una
disregolazione dei mitocondri che sarebbe alla base della patogenesi di una forma di MP familiare o, forse, anche sporadico. Il
VPS 35 era il sedicesimo gene indicato nella review di Kalinderi, ma la mutazione D620N individuata in questo studio potrebbe
spiegare perché dà luogo a MP: interagisce con la proteina DLP-1 dei mitocrondri provocandone la degradazione.
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TMEM230 - I ricercatori della Northwestern University di Chicago diretti da Teepu Siddique hanno recentemente pubblicato su
Nature Genetics (47) uno studio su un nuovo gene chiamato TMEM230 che avrebbe un ruolo causale di malattia. Nonostante la
correttezza dello studio, una sola rondine non fa primavera e prima di bollare i portatori del gene TMEM230 come ineluttabilmente
destinati a sviluppare MP occorreranno nuove conferme.
PINK 1 - Questa è una vecchia conoscenza e vari studi hanno indicato che le mutazioni omo- ed eterozigote del gene PINK 1
(PTEN-induced kinase 1 detto anche PARK 6) sono legate a precoce comparsa di MP.
Nel febbraio scorso però le scoperte sul PINK 1 si sono arrichite di un nuovo dato: i ricercatori diretti da Antonio Pisani hanno
pubblicato su Synapse uno studio che dimostra come la carenza di PINK 1 rappresenti un possibile marker per lo sviluppo di
declino cognitivo nella MP a causa dell’aumentata attività glutamatergica (neurotrasmissione e rilascio) nell’ippocampo, area
deputata alla cognitività (48).
NAMPT - Su NATURE Research (49) i ricercatori della Rosalind Franklin University of Medicine & Science di Chicago diretti da
Jose A. Santiago hanno appena pubblicato uno studio sul gene che codifica quello che appare come il mediatore ormonale
maggiormente disregolato nel MP mai identificato: la nicotide-fosforibosil-transferasi, in sigla NAMPT, un’adipokina, cioè un
mediatore prodotto dalle cellule adipose viscerali, dotato di azione simil-insulinica, implicato nel metabolismo del glucosio,
nell’infiammazione o nell’insulino-residetenza e ora rivelatosi un potenziale biomarker plasmatico nei pazienti MP de novo.
La sua funzione è regolare la concentrazione intracellule del NAD, il dinucleotide adenina-nicotinamide, coenzima essenziale
nella risposta ossidativa delle cellule allo stress. Nei pazienti Parkinson non ancora trattati scelti per non alterare la valutazione, la
concentrazione plasmatica di NAMPT è risultata abbondante rispetto a soggetti normali di controllo, un risultato peraltro simile
a quello riscontrato in pazienti affetti da depressione e ciò rappresenta un’ulteriore conferma del forte legame fra Parkinson e
depressione di cui avevamo parlato nella scorsa edizione della Giornata: forse la upregolation del gene NAMPT-RNA che codifica
l’adipokina potrebbe essere la chiave per trovare il legame eziopatogenetico che sottende entrambe le patologie.
DBS DIREZIONALE
Un ultimo cenno va anche alle terapie che, per quanto di maggior pertinenza del medico, interessano comunque agli organi
di stampa. Novità arrivano anche nei trattamenti di neuromodulazione che sembravano aver ormai raggiunto l’apice del loro
sviluppo e che invece stanno offrendo nuovi spunti di riflessione: l’Università dell’Alabama di Birmingham ha appena ricevuto
un grant di 7,3 milioni di dollari dai National Institutes of Health nell’ambito dell’iniziativa Brain Research through Advancing
Innovative Neurotechnologies lanciata dall’amministrazione Obama nel 2013 che incentiva ricerche di collaborazione fra
pubblico e privato.
La cospicua “borsa di studio” è andata alle innovazioni derivate da uno studio pubblicato l’anno scorso su Neurosurgery dai
ricercatori della UAB diretti da Harrison Walker (50) grazie alle quali diventerà ora possibile una DBS con impulsi monodirezionali
calibrati usando elettrodi superficiali da elettroencefalografia ed elettrodi profondi da elettrocorticografia.
Oltre a poter valutare rigorosamente la direzione dello stimolo DBS diventa ora possibile settare in tempo reale lo stimolo in
base alle necessità quotidiane della vita reale del paziente ed è il caso di far notare che noi italiani non siamo comunque secondi
a nessuno dato che due anni prima di Walker il gruppo diretto da Alberto Priori di Milano aveva messo a punto la cosiddetta
aDBS, acronimo di DBS adattativa (51) cioè capace di adeguare continuamente la stimolazione alle esigenze del momento
modulandola di conseguenza.
Con le dovute proporzioni, anche questo studio il 14 aprile scorso ha portato a un accordo internazionale di 4,5 mln di euro
fra l’Università Statale di Milano e fondi di investimento, segnando la nascita della prima realtà industriale italiana dedicata alla
stimolazione cerebrale profonda nella MP.
A distanza di quasi vent’anni dalla sua prima comparsa (52; 53) la Deep Brain Stimulation, ancora non smette di sorprendere
nonostante la sua sostanziale semplicità di funzionamento: tramite microimpulsi elettrici riattiva i neuroni dopaminergici,
riportandoli indietro di anni alla condizione che avevano quando erano ancora sensibili alla levodopa (54).
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PER INTERVISTE:
Prof. ALFREDO BERARDELLI
Presidente Fondazione LIMPE per il Parkisnon ONLUS
Università La Sapienza
mail: [email protected] - cell: 335/5266147
Prof. PIETRO CORTELLI
Presidente Accademia LIMPE-DISMOV
Università di Bologna
mail: [email protected] - cell: 335/5411356
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