Lezioni_Quinta parte - Dipartimento di Scienze e Tecnologie

CENNI DI GENETICA DELL’INFERTILITÀ
La trasmissione delle malattie genetiche
La variabilità genetica e i fattori epigenetici possono influire sulla riproduzione e
sulla fertilità dalla gametogenesi alla nascita. Il genoma umano è contenuto
all’interno di 23 coppie di cromosomi, ciascuno contenente centinaia o migliaia di
geni. Esso è costituito da circa tre miliardi di paia di basi, oggetto di innumerevoli
varianti che possono incidere sulla salute (Fig. 1).
Il gene è una struttura formata da regioni che codificano le proteine, gli esoni, e
da segmenti che non sono tradotti, gli introni. Le malattie ereditarie sono dovute
a mutazioni, cioè modifiche della sequenza del DNA e sono trasmesse nelle
famiglie con diverse modalità. Molte malattie umane sono ereditate come
caratteri semplici e seguono le leggi di Mendel. Si tratta delle malattie
monogeniche o mendeliane. Le malattie monogeniche si possono trasmettere con
modalità diverse: autosomica dominante; autosomica recessiva; legata al
cromosoma X; legata al cromosoma Y.
Le modalità di ereditarietà dei geni nell’uomo vengono generalmente
determinate esaminando come il carattere compare negli alberi familiari di
individui che chiaramente lo manifestano (fenotipo). Lo studio dell’albero
familiare si chiama analisi del pedigree; l’individuo affetto a partire dal quale si
costruisce l’albero è detto probando.
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Malattie dovute a mutazioni di geni dominanti esprimono il loro fenotipo sia in
eterozigosi che in omozigosi e sono localizzati sugli autosomi. La malattia è
presente quindi in ogni generazione e un individuo affetto trasmette la malattia
alla sua progenie con una probabilità del 50% dei casi. Generalmente una persona
sana genera una progenie sana, con una trasmissione della malattia che è
indipendente dal sesso. Il rischio di ricorrenza di una malattia autosomica
dominante è del 50%; tale rischio resta costante, indipendentemente dal numero
di soggetti affetti o non, che sono già nati.
Una malattia autosomica dominante può anche originare da nuova mutazione.
Questo si verifica nel caso di patologie che riducono l’idoneità biologica o fitness,
cioè la capacità di contribuire con i propri gameti alle generazioni future. La
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fitness può essere ridotta nel caso in cui il soggetto muore prima di raggiungere
l’età riproduttiva, o nel caso in cui la gravità della patologia compromette le
capacità riproduttive.
Le malattie autosomiche recessive si manifestano invece solo nello stato di
omozigosi, quando entrambi gli alleli sono interessati alla mutazione. Se entrambi
i genitori sono eterozigoti; i figli avranno il 50% di probabilità di essere eterozigoti,
il 25% di essere sani ed il 25% di essere affetti; ne consegue che se due soggetti
malati si sposano, tutti i figli ne saranno affetti. Inoltre, se un soggetto affetto
sposa un soggetto eterozigote, i figli avranno il 50% di probabilità di essere affetti.
Un classico esempio di malattia autosomica recessiva è la beta-talassemia1. La
consanguineità è il fattore di rischio più importante per l’evenienza o la ricorrenza
di malattie autosomiche recessive. Più una malattia autosomica recessiva risulta
rara, tanto più è probabile che origini dal matrimonio tra consanguinei.
Il cromosoma X contiene alcune centinaia di geni. I maschi hanno un solo
cromosoma X e perciò esprimono le mutazioni recessive presenti sul cromosoma
e sono detti maschi emizigoti. Una donna è omozigote se gli alleli sull’X sono
identici. Se gli alleli sono diversi, una donna è eterozigote, cioè portatrice sana.
Il carattere recessivo può in rari casi manifestarsi nelle donne per il fenomeno
della lyonizzazione2, che è casuale e precoce: nelle cellule somatiche delle donne,
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La beta-talassemia (MIM#141900) è una malattia ad ereditarietà autosomica recessiva caratterizzata da una marcata
riduzione o assenza di produzione delle catene beta-globiniche. La causa di questa patologia è da ricercarsi in un difettoso
funzionamento del gene beta-globinico, localizzato sul cromosoma 11, dovuto a meccanismi delezionali o, molto più spesso, a
mutazioni puntiformi che ne impediscono o riducono l'attività. Quando entrambe le copie (materna e paterna) del gene sono
difettose si realizza la condizione di omozigosi che può dare origine a quadri clinici severi (talassemia major) e meno gravi
(talassemia intermedia). La talassemia major si manifesta con una grave anemia microcitica trasfusione dipendente entro i due
anni di vita. La talassemia intermedia si rende clinicamente manifesta più tardi e spesso può non richiedere un supporto
trasfusionale costante. In entrambi i casi si sviluppa un importante sovraccarico di ferro dovuto all'eritropoiesi inefficace e alle
trasfusioni, che richiede l'utilizzo di terapie per rimuovere il ferro in eccesso (ferrochelazione). Le persone che possiedono una
sola copia alterata del gene sono dette eterozigoti, e in genere presentano solo una lieve anemia microcitica, ma possono
trasmettere il difetto ai figli.
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Precocemente, nello sviluppo dell’embrione femmina (allo stadio di circa 1000 cellule), uno dei due cromosomi viene
inattivato permanentemente in maniera del tutto casuale in tutte le cellule somatiche (non quelle germinali). Questo fenomeno
è chiamato inattivazione dell’X o lyonizzazione (dalla scopritrice Mary Lyon); il cromosoma X messo a tacere all’interno del
nucleo forma un condensato di eterocromatina (cromatina inattivata che è più affine ai coloranti rispetto all'eucromatina)
detto corpo di Barr.
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uno dei due cromosomi X viene inattivato; per un meccanismo di compenso
biologico, per assicurare nei due sessi la stessa quantità di prodotti codificati dai
geni presenti sul cromosoma X, in un epoca molto precoce della embriogenesi,
attorno al 15°-16° giorno successivo al concepimento un cromosoma X, materno o
paterno, della cellula embrionale femminile viene inattivato in maniera casuale e
così rimane in tutte le cellule figlie; in media metà delle cellule mantiene attivo l’X
ereditato dal padre e metà quello ereditato dalla madre. In conseguenza di
questo fenomeno l’attività dei prodotti dei geni che mappano sull’X è uguale nei
maschi e nelle femmine. Le donne posseggono perciò due popolazioni cellulari
funzionalmente diverse, quindi hanno un genotipo a mosaico.
Nel caso della patologia umana, le malattie X-linked si manifestano nei maschi
emizigoti e solo eccezionalmente nelle femmine eterozigoti.
Lo studio dell’albero genealogico permette di sospettare la trasmissione recessiva
legata all’X per i seguenti criteri: l’assenza della trasmissione maschio-maschio, in
quanto ogni maschio trasmette ai propri figli maschi il cromosoma Y, la presenza
in tutte le figlie dell’X paterno mutato, tutte le figlie del padre emizigote sono
eterozigoti obbligate, i maschi non affetti non trasmettono la mutazione, ad
eccezione di nuove mutazioni trasmesse alle figlie, le femmine eterozigoti
trasmettono la mutazione in media al 50% dei figli maschi, emizigoti, ed al 50%
delle figlie femmine, eterozigoti.
Un malattia recessiva legata all’X può esprimersi clinicamente in una donna
nell’evenienza che il suo genotipo sia omozigote, eterozigote o emizigote. Il caso
di una femmina omozigote è un evento raro in quanto origina da un matrimonio
tra un maschio emizigote ed una femmina eterozigote, per cui il 50% dei maschi
sarà emizigote e 50% sano, mentre le femmine saranno 50% eterozigoti e 50%
omozigoti. Solo eccezionalmente l’espressione fenotipica è dovuta ad una
condizione di omozigosi per la mutazione recessiva X-linked. Una importante
eccezione è la cecità ai colori rosso-verde, che colpisce l’8% della popolazione
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maschile e 1:150 donne è omozigote per il gene malattia. Più comunemente
l’espressione clinica si manifesta in una femmina eterozigote a causa della perdita
delle caratteristiche di casualità della inattivazione dell’X. Se la femmina
eterozigote obbligata ha una inattivazione somatica diversa dall’atteso 50%
materno e 50% paterno, l’elevata frequenza degli X mutati attivi determina un
fenotipo simile a quello dei maschi emizigoti. Occasionalmente il fenotipo può
manifestarsi in una femmina emizigote, cioè in una paziente con monosomia X,
quando l’X è mutato. Un quadro analogo può insorgere nel caso di una
traslocazione X/autosomica, se viene inattivato preferenzialmente l’X normale e
la traslocazione rompe un gene malattia, verrà espresso l’X mutato traslocato.
Molti caratteri umani ereditari si distribuiscono nelle famiglie in proporzione
diversa da quelle attese dai caratteri mendeliani. L’interazione tra geni e
l’interazione tra geni e ambiente modificano l’espressione di un fenotipo. Alcune
patologie umane presentano una eredità poligenica e/o multifattoriale. In questi
casi la trasmissione ereditaria non è facilmente riconoscibile dall’albero
genealogico. I caratteri multifattoriali possono essere continui, quindi misurabili
come il peso, l’altezza, la pressione arteriosa, oppure discontinui, ad esempio
cardiopatie congenite, piede torto, diabete, osteoporosi, malattie cardiovascolari.
Molte caratteristiche umane sono ereditate con un meccanismo multifattoriale
continuo, come ad esempio l’altezza, il peso, la pressione sanguigna, l’intelligenza.
I fattori di suscettibilità ad un fenotipo multifattoriale discontinuo si
distribuiscono nella popolazione secondo una curva normale, che predice che solo
pochi soggetti hanno un numero piccolo o, rispettivamente, elevato di fattori di
suscettibilità (code della curva della distribuzione), mentre la maggior parte ha un
numero medio di fattori. Il fenotipo discontinuo si manifesta solo quando il
numero dei fattori di suscettibilità supera un valore soglia empiricamente
definito. Alla estrinsecazione del fenotipo concorrono fattori genetici ed
ambientali. Le persone che cadono oltre la soglia definiscono la prevalenza di
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quella patologia nella popolazione generale. I consanguinei, che condividono con
le persone affette un numero di fattori di suscettibilità genetica che è
proporzionale al grado di consanguineità, hanno un rischio relativamente
maggiore di sviluppare lo stesso fenotipo. La valutazione del rischio di ricorrenza è
più complesso rispetto alle malattie mendeliane.
Si distingue inoltre la modalità di trasmissione delle malattie mitocondriali, dovute
alla trasmissione di caratteri codificati dal DNA mitocondriale. Circa un terzo del
DNA mitocondriale è ovocitario (i mitocondri degli spermatozoi non sopravvivono
nell'ovocita) e quindi le anomalie mitocondriali sono trasmessi solo lungo la linea
materna. Anomalie nel mtDNA possono causare anomalie nella fecondazione e
disturbi nello sviluppo embrionale precoce. L’assenza di segregazione controllata
genera ad ogni mitosi cellule con proporzioni variabili di mitocondri con DNA
normale o mutante.
Il tasso di mutazione del mtDNA è 10 volte maggiore di quello nucleare. Infatti Il
mtDNA è codificante per il 93%, il nucleare 1,6%. Danni ossidativi al mtDNA sono
causati dai ROS. Poiché il mtDNA non è protetto da istoni i sistemi di riparo
risultano poco efficienti e il danno ossidativo è più grave .
Caratteristiche delle malattie mitocondriali sono espressività variabile3,
penetranza incompleta4 e pleiotropia5. L’espressione del fenotipo dei disordini
mitocondriali dipende dalla proporzione tra mtDNA normali e mutati presenti
nelle cellule dei vari tessuti. La compromissione d’organo e la sua gravità
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L'espressività variabile è uno dei tanti fenomeni genetici che si discostano dalla classica analisi mendeliana sull'ereditarietà.
Da due genitori l'uno omozigote dominante e l'altro omozigote recessivo per quanto riguarda un certo carattere, dovrebbero
nascere essenzialmente figli eterozigoti, comunque manifestanti solo il fenotipo dominante. Con l'espressività variabile, in
parte della generazione si riscontrano anche individui con parte del fenotipo recessivo (in quantità variabile), poiché l'allele
dominante non è abbastanza "forte" da mascherare l'omologo.
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La penetranza incompleta è un caso limite dell'espressività variabile. È il caso, ad esempio, di alcune patologie genetiche che
insorgono anche negli individui eterozigoti i quali dovrebbero essere fenotipicamente sani.
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La pleiotropia (dal greco pleion - "molteplice", e tropein - "cambiamento") è un fenomeno genetico per il quale un unico gene
è in grado di influenzare aspetti multipli del fenotipo di un essere vivente. Tale capacità, in realtà, è soltanto apparente perché
l'effetto primario del gene rimane unico, ma determina una serie di conseguenze.
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dipendono dalla percentuale di mitocondri mutati, che è variabile da tessuto a
tessuto.
Difetti di un singolo gene, seppur raramente, possono essere la causa
dell’infertilità in una donna. Più comunemente tutto il complesso patrimonio
genetico contribuisce alle variazioni nella frequenza delle diagnosi come accade
ad esempio nell’endometriosi e nella PCOS, di cui si parlerà più in dettaglio in
seguito.
Mentre la comprensione dei complessi meccanismi genetici si sta evolvendo
lentamente, la conoscenza dei difetti di un singolo gene si sta arricchendo
rapidamente, in parte a causa di indagini genetiche nuove e potenti. Questi
metodi per l'analisi genetica includono lo studio del pedigree, l'analisi dell’assetto
cromosomico (cariotipo), la valutazione dei difetti a carico di un singolo gene e dei
disordini connessi con il numero di copie di un determinato gene.
A queste metodiche vanno affiancate le più recenti e del tutto innovative, quali
“deep sequencing” o “Next Generation Sequencing (NGS) e l’analisi microarray.
Fattori genetici causa di infertilità
I cromosomi sono strutture presenti nel nucleo di forme differenti,
particolarmente evidenziabili al momento della divisione cellulare (mitosi),
costituiti da una sostanza fondamentale, la cromatina, molto colorabile. I
cromosomi nel nucleo in interfase (a riposo) sono strettamente agglomerati pur
mantenendo la propria individualità, mentre durante la divisione cellulare
assumono la forma di bastoncino, più o meno spesso, di lunghezza variabile da
0,2 a 50 μm e diametro da 0,2 a 2 μm, salvo eccezioni, ad esempio i cromosomi
giganti delle ghiandole salivari delle larve dei ditteri raggiungono la lunghezza di
400 μm e in altri casi molto di più. Nell'uomo le lunghezze più frequenti vanno da
4 a 6 μm. La forma più studiata è quella che appare durante la metafase e
l’anafase, che sono particolari momenti del processo mitotico. Allora nei
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cromosomi è ben visibile una zona che non assume i coloranti della cromatina: il
punto di inserzione sul fuso acromatico o centromero, segnato da uno
strozzamento primario (Fig. 2).
Talvolta uno strozzamento secondario a una delle estremità fa apparire un
segmento globoso, o satellite, da non confondere con il precedente. Il
centromero contiene una “sferula” che è in stretta relazione con i movimenti
iniziali dei cromosomi durante la mitosi. Dalla posizione del centromero i
cromosomi vengono classificati in quattro tipi fondamentali: telocentrico, se esso
è posto a un'estremità del bastoncino; acrocentrico, se è posto vicino
all'estremità, tale da formare un braccio poco percettibile e uno molto lungo;
submetacentrico, se i due bracci (corto, p e lungo, q) sono ben visibili, ma
disuguali; metacentrici, se a bracci uguali (a forma di V). Durante questo processo
i cromosomi vengono fotografati, quindi la foto ritagliata e sistemata, in modo da
metterli in ordine di grandezza. Questa sistemazione ordinata, detta “cariotipo”, è
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tipica di ciascuna specie vivente. I cromosomi umani vengono studiati meglio negli
strisci di midollo osseo, nelle colture di leucociti e in altri tessuti.
Il cromosoma è composto da un filamento assiale a struttura elicoidale, il
cromonema. Il numero dei cromosomi è fisso per ogni specie. Come si è detto, in
determinate
fasi
i
cromosomi
sono
ben
visibili.
Essi
si
presentano
morfologicamente identici a due a due. Ogni coppia però differisce anche
notevolmente da un’altra. Unica eccezione i cromosomi sessuali che possono
essere diversi fra di loro. Le cellule somatiche contengono un numero diploide
(2n) di cromosomi; i gameti ne contengono un numero aploide (n). Nell'insieme si
chiamano corredo cromosomico; alla coppia si dà il nome di cromosomi omologhi.
Il corredo cromosomico è composto da autosomi e da eterocromosomi (o
cromosomi sessuali), i quali possono mancare in molte specie.
Il compito principale dei cromosomi è quello di essere il supporto dei caratteri
ereditari, ma ne posseggono altri, forse meno interessanti, ma altrettanto
importanti quali presiedere alle attività cellulari e controllarle. Il punto di partenza
di tutto è il filamento di DNA, molecola di acido desossiribonucleico, facente parte
della costituzione dei cromosomi, che racchiude l'informazione genetica da
trasmettere da una cellula all'altra, da un organismo a un altro secondo modalità
simili a tutti gli esseri viventi, sia animali che vegetali.
Nel loro massimo stadio di condensazione (metafase mitotica) i cromosomi sono
costituiti da un'impalcatura proteica sulla quale le fibre cromatiniche si avvolgono
in senso sia longitudinale che trasversale. Nonostante l'enorme quantità di DNA
che i cromosomi contengono, ognuno di essi è formato da un’unica doppia elica
di DNA, associata a proteine istoniche, a proteine acide e a RNA, specie nella zona
del centromero. Durante l'interfase è evidente la differenza tra eterocromatina ed
eucromatina. Vi sono differenti livelli di condensazione della cromatina:
l’eucromatina, poco condensata, e l’eterocromatina, molto condensata. I
progressi più importanti della citogenetica umana riguardano essenzialmente la
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messa a punto di nuove tecniche per l'identificazione dei cromosomi e la stesura
della “mappa cromosomica” dell'uomo.
L'aneuploidia6 in genere riguarda la perdita o l'acquisizione di un singolo
cromosoma. Non sono riportate, se non tra gli aborti, casi in cui viene acquisito
un intero assetto aploide o due (3n, 4n). Perdite o aggiunte di cromosomi
possono verificarsi durante la meiosi per fenomeni di non disgiunzione. Se l'errore
si verifica alla prima divisione meiotica il meccanismo più probabile è quello della
mancanza di appaiamento o di precoce terminalizzazione dei chiasmi, che
contribuiscono a tenere legati i due omologhi.
In questa condizione la loro distribuzione alle cellule figlie avviene a caso e quindi
si dà una probabilità del 50% che tutti e due gli omologhi migrino in una cellula
figlia, mentre l'altra ne rimane priva. Si possono formare quindi gameti
rispettivamente con un cromosoma in più ed in meno. Unendosi ad un gamete
normale i primi daranno luogo ad una trisomia, gli altri ad una monosomia. La non
disgiunzione in seconda divisione meiotica, che è di tipo equazionale riguarda la
separazione dei cromatidi fratelli (ritardo anafasico o prematura separazione del
centromero). La conseguenza per quanto riguarda l'assetto cromosomico è la
stessa della non disgiunzione per mancanza di appaiamento. Una non
disgiunzione alla prima divisione nella gametogenesi maschile produrrà soltanto
spermatozoi anormali (per il 50% con un cromosoma in più e per il 50% con un
cromosoma in meno), mentre una non disgiunzione durante la seconda divisione
meiotica produrrà metà gameti normali e metà anormali. La non disgiunzione
durante la gametogenesi femminile, sia che si verifichi alla prima o alla seconda
divisione, produrrà sempre cellule anormali.
Il termine aberrazione cromosomica viene usato specificamente per definire una
modificazione nella struttura del cromosoma, conseguente a rotture. Il fenomeno
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L'aneuploidia è una anomalia cromosomica. Essa consiste in una variazione nel numero dei cromosomi, rispetto a quello che
normalmente caratterizza le cellule di un individuo della stessa specie.
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può interessare un solo cromosoma o può coinvolgere più cromosomi non
omologhi.
Nel primo caso si distinguono:
la delezione, che consiste nella perdita di una porzione di cromosoma; può essere
terminale, a seguito di una sola rottura, oppure interstiziale, a seguito di due
rotture;
la duplicazione, che consiste nella ripetizione di un segmento cromosomico;
l'inversione, che è determinata in genere da due rotture con rotazione di 180° del
segmento cromosomico tra esse compreso. Se il segmento invertito include il
centromero l'inversione è pericentrica (due punti di rottura nelle due braccia)
altrimenti è paracentrica (punti di rottura nello stesso braccio). Un'inversione,
generalmente, non produce un fenotipo particolare nell'individuo affetto, ma,
durante la meiosi, quando si verifica la sinapsi dei cromosomi omologhi, possono
insorgere problemi che favoriscono la formazione di una struttura ad anello. Se
poi insorgono fenomeni di "cross-over", nell'ambito dell'ansa che si forma, si
possono verificare con frequenza delezioni, duplicazioni, formazione di
cromosomi acentrici e dicentrici;
un caso a parte può essere considerato l'isocromosoma che si presume originato
da una divisione sbagliata del centromero, questa avviene in senso trasversale
anziché longitudinale, come di norma. Nell'isocromosoma si ha una duplicazione
completa di uno dei due bracci, come altrettanto completa è la deficienza per
l'altro braccio.
Tra le aberrazioni che coinvolgono più cromosomi si distinguono:
le traslocazioni doppie o reciproche, che consistono nello scambio di parti tra
cromosomi non omologhi (Figg. 3 e 4). Le due coppie cromosomiche coinvolte
nella traslocazione formano, in meiosi, un complesso con una caratteristica figura
a croce. Un tipo, molto comune, di traslocazione reciproca di particolare interesse
per la patologia cromosomica umana è la fusione centrica o traslocazione
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Robertsoniana, essa consiste nella fusione di due cromosomi acrocentrici
(13,14,15,21,22) omologhi o no, che si rompono ambedue in corrispondenza del
centromero, ma su lati opposti. Per unione dei frammenti rotti si forma un nuovo
cromosoma costituito dalla braccia lunghe dei due elementi originali, e un piccolo
cromosoma costituito dalle due braccia corte, che di solito viene perduto. In
seguito a questa anomalia, che non ha conseguenze fenotipiche, probabilmente
perché il materiale perduto è geneticamente inerte, il corredo cromosomico
dell'individuo viene ridotto di un'unità. Alla meiosi si forma un trivalente
costituito dal cromosoma prodotto dalla traslocazione e dai due cromosomi,
rispettivamente omologhi alle due braccia. I gameti prodotti possono essere
cromosomicamente normali o bilanciati, in seguito ad una segregazione alternata,
o sbilanciati per una segregazione adiacente. Le traslocazioni che interessano due
cromosomi omologhi sono molto rare e gravi in quanto l'individuo che ne è
portatore produce solo gameti sbilanciati, che originano concepimenti trisomici o
monosomici, la maggior parte dei quali esiterà in aborto. L'individuo portatore di
una traslocazione tra cromosomi non omologhi può produrre gameti sbilanciati,
determinati dalla segregazione del cromosoma anomalo con l'omologo di uno dei
due elementi che lo compongono. Questo gamete unendosi ad uno normale dà
luogo ad uno zigote portatore di una trisomia secondaria che ha le stesse
manifestazioni cliniche di quella primaria;
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le traslocazioni multiple, che consistono nel trasferimento in serie di segmenti tra
più di due cromosomi non omologhi;
l'inserzione, che è un riarrangiamento a tre rotture in seguito alle quali un
segmento di cromosoma viene intercalato in un punto interstiziale di un altro
cromosoma non omologo;
un tipo particolare di riarrangiamento strutturale che ricorre abbastanza
frequentemente nella patologia cromosomica umana è il cromosoma ad anello
prodotto da rotture all’estremità delle due braccia e conseguente fusione delle
estremità rotte, questo riassetto porta alla delezione delle zone terminali del
cromosoma.
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Le anomalie cromosomiche sono alterazioni del numero o della struttura dei
cromosomi che si verificano all’incirca nel 7,5% dei concepimenti. Nella maggior
parte dei casi però esse sono incompatibili con la vita e portano ad un aborto
spontaneo precoce.
L’incidenza totale delle anomalie degli autosomi e dei cromosomi sessuali fra i
nati vivi è di circa lo 0,3%, per quanto riguarda quelle che comportano un effetto
fenotipico (trisomie totali e parziali e delezioni); a ciò va aggiunto uno 0,2% di
portatori di traslocazioni bilanciate. Pertanto lo 0,5% dei nati vivi presenta un
cariotipo anomalo.
In generale, uno sbilanciamento genico conseguente ad un’anomalia numerica o
strutturale dei cromosomi provoca sempre un danno nello sviluppo. Se lo
sbilanciamento è esteso, questo può compromettere lo sviluppo embrionale (con
conseguente aborto spontaneo) oppure determinare la nascita di bambini con
gravi malformazioni, generalmente associate a ritardo mentale. Se esso è
modesto, come nel caso di delezioni e duplicazioni di lieve entità, potranno non
essere presenti malformazioni gravi e quadri dismorfici accentuati, mentre è più
probabile un ritardo psicomotorio, anche se limitato.
Le trisomie complete fra i nati vivi si riscontrano a carico solo di pochi autosomi
(13, 18 e 21), mentre negli aborti spontanei ne sono state descritte per tutti i
cromosomi (Fig. 5).
Come conseguenza di una rottura e della riunione, anche se si verifica un
cambiamento nella morfologia dei cromosomi, non si produce nessuna
sostanziale modificazione nel patrimonio genetico che rimane bilanciato, in
quanto non varia né la quantità né la qualità di DNA presente nella cellula.
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Un individuo portatore in tutte le sue cellule di un riarrangiamento strutturale
bilanciato è, infatti, fenotipicamente normale. Le conseguenze di questo tipo di
anomalia si verificano nella maturazione delle cellule gametiche dell'individuo,
che possono essere anormali; alla meiosi infatti i cromosomi riarrangiati non si
appaiano normalmente e si possono avere gameti sbilanciati. Tutte le aberrazioni
cromosomiche sono la conseguenza di rotture che si verificano presumibilmente
durante l'interfase in cellule sia della linea germinale, che vanno incontro a
meiosi, sia della linea somatica, che si moltiplicano per mitosi. Quando l'origine è
meiotica vengono maturati gameti portatori di cromosomi strutturalmente
alterati. Questi unendosi a gameti normali formano zigoti nei quali compare una
eterozigosi strutturale per una coppia cromosomica, nel caso di una delezione o
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di un'inversione; oppure per due coppie di cromosomi nel caso di una
traslocazione reciproca. Se l'origine della mutazione è somatica, si creeranno dei
mosaici cromosomici formati da cellule normali e da cellule portatrici di
eterozigosi strutturali.
Le anomalie cromosomiche svolgono un ruolo di primaria importanza tra le cause
di infertilità maschile e femminile. Queste alterazioni, se presenti nel corredo
cromosomico
di un
individuo, possono:
interferire
direttamente
sulla
differenziazione sessuale della persona e quindi sulle sue capacità riproduttive;
causare la formazione di gameti portatori di anomalie cromosomiche e pertanto
con difficoltà a fecondare (se spermatozoi) o ad essere fecondati (se ovociti); in
caso di successo di fecondazione, tali gameti alterati possono generare feti
patologici che, ove non vengano abortiti spontaneamente, causano la nascita di
neonati con anomalie multiple.
Alterazioni cromosomiche che causano infertilità femminile
Nella donna infertile, le alterazioni più frequenti del cariotipo sono le aneuplodie
dei cromosomi sessuali e in modo particolare la sindrome di Turner (45,X0) e sue
forme di mosaicismo7. Si possono anche riscontrare diverse aberrazioni strutturali
a carico degli autosomi. La frequenza delle anomalie cromosomiche nell’infertilità
femminile, seppur con un certo grado di variazione tra i vari studi, può essere
stimata intorno al 5-6%. Più del 3% delle partner femminili di coppie sottoposte
ad ICSI presenta aneuploidie dei cromosomi sessuali, mentre circa il 2% ha
anomalie strutturali degli autosomi. Il fenotipo delle donne affette da aberrazioni
dei cromosomi sessuali è molto variabile, ma una caratteristica comune a tutte
queste alterazioni cromosomiche è rappresentata da una insufficienza ovarica
associata ad amenorrea (primaria o secondaria) o oligomenorrea. Aberrazioni
7
Per mosaico genetico o mosaicismo si intende la presenza, in un individuo pluricellulare, di due o più linee genetiche diverse,
ossia di diversi patrimoni genetici all’interno di uno stesso individuo che vengono espressi contemporaneamente. In pratica,
non tutte le cellule di quell’organismo hanno lo stesso corredo cromosomico, oppure lo esprimono in maniera variabile.
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strutturali degli autosomi possono essere causa di poliabortività. Su queste basi,
l’esame del cariotipo dovrebbe essere eseguito nelle donne infertili con
insufficienza ovarica primitiva o poliabortività.
La sindrome di Turner è la più comune alterazione cromosomica nelle donne
infertili, ma si possono riscontrare con una certa frequenza anche diverse
aberrazioni strutturali autosomiche. Il fenotipo delle donne affette da aberrazioni
cromosomiche sessuali è molto variabile, sia in termini di genitali esterni ed
interni che di caratteristiche somatiche. Per esempio, le donne con sindrome di
Turner o altre sindromi con bassa statura e disgenesia gonadica possono
presentare diversi dismorfismi e anomalie. Tuttavia, una caratteristica comune di
tutte queste alterazioni cromosomiche è rappresentata da una disfunzione
ovarica primaria (ipergonadotropa) con amenorrea primaria o secondaria (inclusa
la POF) o oligomenorrea. Per esempio, circa il 30% delle amenorree primarie è
causato dalla sindrome di Turner. Inoltre, le aberrazioni strutturali autosomiche
possono causare poliabortività (Tab. 1). Le linee guida per la diagnosi genetica
delle coppie infertili suggeriscono di eseguire l’analisi del cariotipo durante la fase
diagnostica delle donne infertili con disfunzione ovarica primaria o poliabortività
(Tab. 2).
Questo screening è inoltre obbligatorio nelle donne candidate a tecniche di
riproduzione assistita. Come per il maschio, l’analisi del cariotipo dovrebbe essere
eseguita dopo un anno di rapporti mirati senza risultato, poiché anche in questi
casi possono esistere alterazioni del cariotipo.
18
Tabella 1. Cause genetiche di infertilità femminile
Alterazioni cromosomiche
Cromosomi sessuali
Sindrome di Turner e disgenesia gonadica con bassa statura (45,X; mosaicismi tipo 45,X/46,
XX e 45,X/47, XXX; isocromosomi e/o delezioni Xp e Xq, etc.)
Disgenesie gonadiche con linea cellulare Y
Traslocazioni X-autosomi
47, XXX (e mosaicismi)
Autosomi
Traslocazioni (Robertsoniane, reciproche)
Inversioni
Mutazioni geniche
X-linked
Sindrome dell’X fragile (FRAXA)
Sindrome di Kallmann (KAL1)
Sindrome da insensibilità completa agli androgeni (AR)
Autosomi
Geni per FSH-beta, LH- beta, FSHR, LHR
Sindromi in cui l’infertilità è una manifestazione minore
Tabella 2 - Principali cause di infertilità femminile e relativi esami genetici consigliati dalle Linee
Guida.
Amenorrea (inclusa la
POF) e oligomenorrea con Aborti ripetuti
ipergonadotropinismo
Infertilità inspiegata
Cariotipo
Durante l’iter diagnostico
Prima della PMA
Dopo un anno di
rapporti mirati
Prima della PMA
FRAXA
Durante l’iter diagnostico
Prima della PMA
-
Test genetico
CFTR
MTHFR
Fattore II
Fattore V
-
Durante l’iter
diagnostico
Durante l’iter
diagnostico
Prima della PMA
-
19
L’analisi sistematica del cariotipo nelle donne infertili ha consentito di trarre
alcune conclusioni rilevanti per la consulenza genetica, che devono essere tenute
presenti, anche in vista di gravidanze avviate con tecniche di fecondazione
assistita:
 la monosomia e i difetti di struttura dell’X, omogenei o, più spesso, a
mosaico, sono la causa più comune di amenorrea primaria (circa il 30% dei
casi);
 le traslocazioni X;autosomiche con rottura del braccio lungo dell’X tra le
bande q21 e q26 si associano di solito ad amenorrea primaria senza altre
manifestazioni fenotipiche;
 la trisomia dell’X non si associa necessariamente ad infertilità. Sebbene
siano stati segnalati occasionalmente oligomenorrea, sterilità primaria o
menopausa precoce, molte di queste donne hanno pubertà, vita sessuale e
capacità riproduttiva normali e generano figli normali;
 non sono stati dimostrati fino ad oggi rapporti tra l’infertilità e gli
eteromorfismi cromosomici (variazioni delle regioni eterocromatiche e
delle regioni dei satelliti), sebbene alcuni lavori recenti riportano una certa
correlazione tra le varianti strutturali polimorfiche del cromosoma 9 e le
difficoltà riproduttive (box 1; Fig. 6);
 l’età materna avanzata è il principale fattore di rischio sulla patologia
cromosomica confinata agli ovociti. La produzione di ovociti aneuploidi è
correlata ad una riduzione della frequenza della ricombinazione meiotica.
20
BOX 1 – Il caso clinico: Influenza delle varianti polimorfiche del cromosoma 9
sull’infertilità
Il cromosoma 9 può presentare polimorfismo della regione centromerica che può
essere più estesa (qh+), ridotta (qh-) o invertita. Il polimorfismo dell’eterocromatina
costitutiva è caratterizzato dalla diversa estensione e/o inversione della regione e si
ritiene che non abbia effetti sul fenotipo. Le opinioni a proposito non sono però tutte
concordi: in coppie infertili o con storia anamnestica di aborti ricorrenti, il
polimorfismo delle regioni eterocromatiche risulta spesso più frequente dell’atteso
(2.5 - 5%). Presentiamo i risultati di uno studio eseguito su un gruppo di 48 coppie
afferenti alla nostra struttura per problemi di infertilità. L’esame citogenetico ha
evidenziato per 6 pazienti (4 maschi e 2 femmine) un’inversione pericentrica del
cromosoma 9 nella regione (p11q12) e per altri 7 (5 maschi e 2 femmine) una variante
polimorfica 9qh (6 qh+ e una qh-). Dopo esame standard del liquido seminale in 4
partner maschili abbiamo evidenziato una moderata o grave oligospermia, in 2 casi
associata a teratospermia. La reazione TUNEL ha fornito in 2 pazienti un valore
patologico (≥ 27%) di frammentazione del DNA spermatico. Uno di essi presentava
anche una microdelezione del locus AZFc sul cromosoma Y. Inoltre mediante FISH
abbiamo evidenziato in 4 di essi una percentuale di aneuploidie negli spermatozoi
superiore al 9%, in particolare un aumento di diploidie, riconducibile ad un difetto
della normale segregazione meiotica.
I nostri dati sembrano concordare con quelli scaturiti da recenti studi presenti in
letteratura in cui, in coppie candidate alle tecniche di fecondazione assistita per
infertilità o ripetuta abortività, più di un terzo dei maschi e delle femmine
presentavano varianti polimorfiche del cromosoma 9.
21
Alterazioni cromosomiche negli aborti spontanei
I cariotipi effettuati su materiale fetale proveniente da aborti spontanei hanno
confermato che nel 50% dei casi è presente una anomalia cromosomica. Di questi,
circa il 9% è un 45, X, il 30% ha una trisomia, il 10% è triploide o tetraploide e il 2%
ha un riarrangiamento strutturale. La trisomia è la classe più comune di anomalia
e la frequenza degli aborti spontanei per trisomia è associata all'aumento dell'età
materna, passando da un valore molto basso all'età di 20-24 anni fino al 35%
all'età di 40-44 anni. Di conseguenza, i tassi di trisomia sono in aumento con
l'aumento dell'età media al momento del parto.
Come già detto la trisomia è di solito il risultato di una non-disgiunzione alla prima
o alla seconda divisione meiotica, più spesso nella femmina. Tuttavia, il
22
meccanismo alla base dell'errore è, sorprendentemente, molto diverso a seconda
del cromosoma considerato. Il cromosoma X è l'unico in cui la non disgiunzione
nel maschio ha un ruolo importante. Si genera dal fallimento della ricombinazione
tra i cromosomi X e Y nella prima divisione meiotica nel maschio e questo errore
dà luogo al 50% di tutti i maschi XXY. La non-disgiunzione del cromosoma X
nell’ovogenesi avviene sia a livello di meiosi I che di meiosi II.
Il rischio associato alle tecniche di PMA
Il fenomeno dell’infertilità secondo le diverse stime disponibili riguarda circa il
15% delle coppie. Nonostante l’alta prevalenza dell’infertilità, la ricerca si è
focalizzata solo di recente sui fattori genetici che la possono causare. È ormai
chiaro che alterazioni genetiche sono presenti in circa il 15% degli uomini e nel
10% delle donne infertili, ed includono sia alterazioni cromosomiche che
mutazioni di singoli geni.
Molti ricercatori sostengono che le tecniche di riproduzione assistita rendano
possibile la trasmissione di alterazioni genetiche ai figli con una percentuale di
rischio più elevato. Soprattutto la ICSI ha suscitato i dubbi maggiori circa un
possibile aumento di malattie genetiche nei figli, poiché essa oltrepassa i normali
meccanismi fisiologici della fecondazione nel concepimento spontaneo. Occorre
però ricordare che gli studi recenti compiuti sull’incidenza di malformazioni
congenite (2-4%), la crescita e lo sviluppo neurologico di bambini nati in seguito a
trattamenti di PMA non hanno evidenziato differenze rispetto a quelli concepiti
spontaneamente. In ogni caso giova ricordare che l’incidenza delle malformazioni
congenite risente significativamente dell’età della madre e che le donne che
ricorrono alla fecondazione in vitro sono mediamente meno giovani di quelle che
riescono a concepire spontaneamente. Sembra che queste conclusioni possano
essere tratte anche per i bambini nati in seguito ad ICSI. Inoltre, utilizzando la ICSI
non si può escludere che talune anomalie dei cromosomi sessuali e determinate
23
disfunzioni riproduttive paterne di tipo congenito possano essere trasmesse al
nascituro. Se ne deduce che, più che il trattamento terapeutico, possono essere
certe caratteristiche delle coppie a costituire un potenziale rischio.
Mutazioni a carico di un singolo gene che limitano le potenzialità
riproduttive
Alterazioni del gene CFTR
La fibrosi cistica (o mucoviscidosi) è una malattia genetica a trasmissione
autosomica recessiva, il cui difetto di base consiste nella produzione di una
proteina alterata chiamata CFTR. Questa proteina provoca una anomalia nelle
secrezioni esocrine dell’organismo, con il risultato di una anormale produzione
delle stesse, che sono dense e viscose. La presenza di queste secrezioni anormali
determina un danno progressivo degli organi coinvolti. Dal punto di vista clinico,
la fibrosi cistica è una malattia cronica: ciò significa che la persona che ne è affetta
ha la malattia per tutta la vita.
È la malattia genetica ereditaria mortale più comune nella popolazione caucasica.
Si conoscono più di 1000 diverse mutazioni del gene CFTR. La più frequente nella
popolazione di origine caucasica è una delezione di 3 nucleotidi (CTT), che
provoca la perdita dell'aminoacido fenilalanina codificato dal codone 508 (ΔF508).
Oltre alle mutazioni patogene che interessano il gene CFTR, vi sono delle varianti
alleliche a livello di due regioni polimorfiche tra loro contigue nell’introne 8 (Fig.
7), che risultano abbastanza frequenti e che possono influenzare i processi
riproduttivi, soprattutto nell’uomo. Queste corrispondono a due brevi ripetizioni,
le cui unità ripetute sono T e TG. Il tratto poliT possiede 3 alleli principali, che
contengono 5, 7 e 9T. L’allele 5T è più frequente (circa il 30%) nei pazienti con
agenesia dei dotti deferenti.
24
Questa patologia si caratterizza per un’anomalia nel trasporto del cloro nella
membrana delle cellule delle ghiandole a secrezione esterna. Di conseguenza
queste ghiandole secernono un muco denso e quindi poco scorrevole. Negli
organi interessati, le secrezioni mucose, essendo anormalmente viscide,
determinano un'ostruzione dei dotti principali, provocando l'insorgenza di gran
parte delle manifestazioni cliniche tipiche della malattia, come la comparsa di
infezioni polmonari ricorrenti, di insufficienza pancreatica, di stati di
malnutrizione, di cirrosi epatica, di ostruzione intestinale.
In Italia si manifesta in un caso ogni 2700 nati vivi; i portatori sani, con la presenza
di un solo gene della FC, sono circa il 4% della popolazione ed i nuovi bambini
affetti da fibrosi cistica ogni anno sono circa 200. Il gene responsabile è localizzato
sul braccio lungo del cromosoma 7 (7q31.2). Le mutazioni finora riconosciute
sono classificate in 6 classi, da 1 a 6, in cui più basso è il numero della classe, più
severa sarà la malattia.
Secondo i dati dell’OMS, nelle coppie sane la donna avvia una gravidanza dopo un
periodo che è in media di circa 6-8 mesi di rapporti fecondi. Premesso questo,
diciamo che, per la donna che presenta mutazioni nel gene CFTR (che per brevità
definiremo donne FC) si parla di ipofertilità e non di infertilità. Nelle donne FC,
infatti, generalmente l’apparato riproduttivo (ovaio, tube, utero) e i meccanismi
25
ormonali che portano all’ovulazione sono normali (solo se ha un peso molto basso
e scadenti condizioni generali viene a cessare l’ovulazione). Nonostante questo,
un certo numero di donne FC ha difficoltà ad avviare una gravidanza: si parla
quindi, di diminuita fertilità o fertilità più bassa rispetto alle donne sane. Non si sa
quante donne FC presentino questo problema. Ciò perché una ricerca seria, in
questo
campo, inquisirebbe
aspetti profondi e
riservati, connessi ai
comportamenti sessuali, delle persone affette da questa malattia ed è, quindi,
molto difficile da farsi; infatti, molte donne con FC scelgono di non avere figli e,
per tale motivo, avendo una normale vita sessuale, adottano sistemi
contraccettivi. Sarebbe necessario conoscere tutte le gravidanze, non solo quelle
desiderate o programmate, ma anche quelle che hanno come esito un aborto,
spontaneo o volontario.
Per queste ragioni, ancora oggi non si conosce quale sia la reale fertilità biologica
delle donne FC, vale a dire quante di queste donne che vogliono avere un figlio e
non ci riescono per vie naturali, né tanto meno sappiamo se quelle che ci riescono
impiegano più tempo a rimanere incinte rispetto alle donne sane.
Molto interessante è una vecchia ricerca, risalente al 1973, in cui un gruppo di
donne FC era stato paragonato ad un gruppo di donne sane ed il tasso di
gravidanza (numero di gravidanza per donna per anno) delle prime era risultato
inferiore del 20% rispetto alle seconde.
La percentuale di questa ridotta fertilità si ritiene essere dipesa dall’eccessiva
densità del muco cervicale, correlata ad alterato funzionamento del gene CFTR,
che rende difficoltosa la migrazione degli spermatozoi. Questo muco non riesce a
idratarsi abbastanza, contenuto in acqua pari all’ 80%, mentre sembra essere
necessaria una idratazione dal 93% a 96% per la migrazione del liquido seminale.
Inoltre, è ben noto che il liquido uterino ha una concentrazione variabile di ioni
del ciclo mestruale per fornire un ambiente adatto agli eventi riproduttivi. Quindi
a rendere poco funzionale il muco cervicale in donne FC è anche lo squilibrio degli
26
elettroliti in esso contenuto. Infatti i cambiamenti ciclici degli elettroliti nel muco
cervicale non sono notati nei pazienti con FC; ad esempio, il contenuto di sodio a
metà ciclo è meno del 10% del normale. In effetti, nelle donne sane, il contenuto
in acqua del muco del canale cervicale (la parte inferiore dell’utero comunicante
con la vagina) varia durante il ciclo mestruale, raggiungendo il massimo (e quindi
conferendo al muco una particolare fluidità) al momento dell’ovulazione: questo
favorisce il passaggio e la risalita degli spermatozoi fino a livello della tuba
uterina, dove si trova l’ovocita che viene così fecondato. Nelle donne con fibrosi
cistica, invece, il muco cervicale non presenta questi cambiamenti ciclici nel livello
di idratazione (il fatto è diagnosticabile attraverso un esame del muco stesso nei
giorni immediatamente precedenti l’ovulazione). Ma non si sa con certezza se
questa caratteristica sia presente in tutte le donne FC e non si sa quanto essa
rappresenti un impedimento alla gravidanza, agendo come barriera meccanica al
passaggio degli spermatozoi. Sta di fatto che solo un piccolo, anche se crescente,
numero di donne con muco cervicale denso e dopo un certo periodo di rapporti
fecondi cerca e raggiunge una gravidanza, che in genere viene portata a termine
con successo, specialmente se lo stato di nutrizione e di salute respiratoria sono
buoni e anche senza interventi diagnostici o terapeutici particolari. Probabilmente
non è solo la scarsa idratazione del muco cervicale ad essere in gioco; si sa che il
gene CFTR è espresso nelle cellule dell’endometrio (l’epitelio che riveste
interamente la cavità uterina) ed è stato provato che cellule di tale mucosa
posseggono un meccanismo di secrezione di bicarbonato, regolato da CFTR.
Anche nell’endometrio, la proteina funziona come canale di trasporto del cloro
attivato da AMP ciclico. La produzione e l’attività della proteina CFTR è però
presente solo intorno alla fase ovulatoria del ciclo mestruale. È presumibile che
essa contribuisca a creare nell’utero le condizioni di fluidità e di composizione
elettrolitica delle secrezioni adatte agli eventi fecondanti appunto in fase
ovulatoria. Di conseguenza, la mancanza o il difetto della proteina CFTR,
27
porterebbe le cellule, della parete interna dell’utero, a produrre un fluido con un
basso contenuto di bicarbonato e che ciò potrebbe compromettere le condizioni
ottimali degli spermatozoi di fecondare l’ovocita. Inoltre, un gruppo di ricercatori
di Pechino, ha nel 2004 portato evidenza che nelle cellule ghiandolari
dell’endometrio la produzione di proteina CFTR e del corrispondente mRNA, è
stimolata dall’estradiolo ed inibita dal progesterone, i due ormoni che, con il loro
variare di livello, regolano la dinamica del ciclo mestruale. Inoltre, un’altra
recente ricerca ha avuto come scopo quello di studiare di livelli degli ormoni
prodotti dall’ipofisi (FSH, LH e Prolattina) e dall’ovaio (il principale è l’Estradiolo)
nelle adolescenti FC e correlare lo stato ormonale con lo stato di nutrizione, il
ciclo mestruale e l’aspetto delle ovaie valutato con l’ecografia. Per far questo
sono state incluse nello studio 18 adolescenti FC di età compresa fra i 12 ed i 23
anni e sono state paragonate a 18 adolescenti sane simili per età e sviluppo
puberale. Le adolescenti FC rispetto alle sane hanno presentato livelli d’ormoni
ipofisari mediamente più alti, mentre erano a livelli uguali quelli ovarici: il quadro
fa sospettare un’alterazione dell’ovaio da parte di un eccesso di ormoni
dell’ipofisi.
Per aggiornamenti on-line su questo tema si segnala il sito curato dalla
John
Hopkins
University
School
of
Medicine
(http://www.hopkinscme.net/ofp/eCysticFibrosisReview/). Si tratta di una review
della letteratura scientifica sulla FC per argomenti selezionati, con commenti su
ricerca corrente, protocolli, linee guida e gestione clinica da parte di esperti
specialisti del mondo FC.
Mutazioni di geni predisponenti il rischio trombotico
La trombofilia ereditaria (predisposizione genetica alla trombosi) determina un
aumentato rischio di eventi trombotici. Tali eventi sono frequentemente causati
da alterazioni di uno o più fattori della coagulazione del sangue. Le donne affette
28
da trombofilia ereditaria hanno una maggiore predisposizione ad aborti spontanei
(abortività ricorrente). Nella maggior parte dei casi la morte del feto è causata da
alterazioni sul gene del fattore V o sul gene del fattore II che determinano
l'instaurarsi di una trombosi placentare, caratterizzata da una ostruzione dei vasi
sanguigni placentari. Inoltre le donne che presentano mutazioni sul gene MTHFR
associate ad elevati livelli di omocisteina nel sangue, in gravidanza presentano un
aumentato rischio di aborto e di difetti del tubo neurale. Tali donne necessitano
di una maggiore quantità di acido folico durante il periodo periconcezionale allo
scopo di ridurre tale rischio.
Diversi studi hanno dimostrato un'associazione tra trombofilia ereditaria e aborti
ricorrenti. Vi è, tuttavia, un consenso unanime sul tipo di trombofilia ereditaria
associato con la poliabortività. È stato ipotizzato che il meccanismo coinvolto
nella recidiva perdita della gravidanza possa essere l’ipercoagulazione nel sito di
impianto nel punto in cui dovrebbe essere instaurata una connessione placenta e
sangue materno. Non è ancora ben conosciuto il preciso meccanismo attraverso il
quale la trombofilia influenzi il fallimento di impianto nella mucosa uterina.
Diversi studi hanno riportato un'associazione tra la trombofilia ereditaria e le
complicanze maggiori della gravidanza, come la preeclampsia8 grave, la ridotta
crescita fetale, i nati morti e il distacco di placenta. È stato suggerito che la
trombosi dei vasi materni e la ridotta perfusione nello spazio intervilloso9 può
contribuire a queste complicazioni in associazione con la trombofilia. L'invasione
dei vasi materni dal sinciziotrofoblasto può risentire di una microtrombosi locale
nel sito di impianto portando al fallimento l'impianto o l’aborto spontaneo.
8
La preeclampsia, nota anche come gestosi, è una sindrome caratterizzata dalla presenza, singola o in associazione, di sintomi
quali edema, proteinuria o ipertensione in una donna gravida. E’ caratterizzata da incremento pressorio dopo la 20ª settimana
di gestazione in donne precedentemente normotese, accompagnato da una proteinuria di circa 0,3 g/l in un campione delle
24h.
9
spazio intervilloso: area formata dall’insieme delle fessure tra loro comunicanti che intercedono tra la lamina coriale, la
decidua e la superficie libera dei villi.
29
Va ricordato, tuttavia, che lo sviluppo dello spazio intervilloso che si verifica a 11 ±
12 settimane di gestazione, non giustifica che il fallimento dell'impianto sia
dovuto esclusivamente a trombosi.
Circa l’influenza delle mutazioni dei fattori della coagulazione sul fallimento delle
tecniche di PMA è opportuno menzionare i risultati di uno studio eseguito da un
gruppo di ricercatori israeliani, il cui obiettivo è stato quello di verificare se la
trombofilia ereditaria si manifestasse con maggiore prevalenza tra le donne con
fallimento ricorrente del trasferimento dell'embrione fecondato in vitro.
Allo studio hanno preso parte 45 donne con una storia di 4 o più cicli falliti di
PMA, che sono state poste a confronto con 44 donne apparentemente sane. E'
stato eseguito uno screening per la ricerca di mutazioni nel gene della
protrombina, del fattore V di Leiden , della metilentetraidrofolato reduttasi
(MTHFR), e di deficienza della proteina C, della proteina S, e dell'antitrombina III.
Dalle
analisi
è
emerso
che,
ad
esclusione
dell'omozigosi
per
la
metilentetraidrofolato reduttasi, l'incidenza di trombofilia nel gruppo delle donne
con fallimenti della fecondazione in vitro è stata del 27% rispetto al 9% del gruppo
controllo. L'incidenza di trombofilia nelle donne con infertilità non spiegabile
dopo essere state sottoposte a PMA è stata del 40% rispetto al 19% dei controlli.
Secondo gli Autori questi dati indicano che la trombofilia ereditaria può svolgere
un ruolo di rilievo nell'eziologia dei ripetuti fallimenti della fecondazione in vitro,
in modo particolare nel sottogruppo di donne con infertilità inspiegata.
Negli ultimi anni si è sviluppato un interesse sempre crescente nell’individuazione
di nuovi potenziali marcatori genetici di rischio cardiovascolare, in modo da poter
sviluppare nuove misure preventive e/o terapeutiche. In particolare si stanno
studiando le possibili interazioni tra i fattori di rischio ambientali e quelli genetici.
I primi comprendono lo stile di vita (alcool, fumo e droghe), l’alimentazione e lo
stress; la suscettibilità genetica può essere dovuta a mutazioni e/o polimorfismi di
diversi geni coinvolti prevalentemente nella cascata coagulativa, nella regolazione
30
della pressione arteriosa, nel metabolismo di lipidi, glucosio, omocisteina e ferro.
Oltre a quelli già utilizzati da diverso tempo nei laboratori di diagnostica
specializzati, come i geni dei fattori della coagulazione (Fattore V e Fattore II) e
della metilentetraidrofolato reduttasi (MTHFR), tra i vari marcatori genetici
studiati sono stati selezionati il Fattore XIII della coagulazione, i geni della
cistationina beta sintetasi (CBS), dell’inibitore dell’attivazione del plasminogeno
(PAI-1), della Glicoproteina IIIa piastrinica (GPIIIa), dell’enzima di conversione
dell’angiotensina (ACE), dell’apolipoproteina E, dell’angiotensinogeno (AGT), del
recettore dell’angiotensina II (ATR-1) e del Beta Fibrinogeno (FGB). Lo screening
per le mutazioni presenti in questi geni completano oggi i metodi messi a punto
per uno studio sempre più completo dei fattori che predispongono al rischio
trombotico e, nelle donne, all’impossibilità a procreare. Di seguito è riportata una
breve descrizione dei principali geni coinvolti.
Gene Fattore V
Il fattore V attivato è un cofattore essenziale per l'attivazione della protrombina
(fattore II) a trombina. La variante genetica R506Q, definita variante di Leiden,
causa una maggiore attività pro-coagulante del fattore V attivato che predispone
alla trombosi. La frequenza dei portatori in Italia è pari al 3%. I soggetti eterozigoti
(portatori di una sola copia della variante) hanno un rischio 8 volte superiore di
sviluppare una trombosi venosa, mentre gli omozigoti (portatori di entrambe le
copie) hanno un rischio pari ad 80 volte. Tale evento trombotico è favorito in
presenza di altre condizioni predisponenti quali la gravidanza, l'assunzione di
contraccettivi orali, gli interventi chirurgici. Recentemente sono state individuate
altre 2 mutazioni sul gene del fattore V. La prima (H1299R) comporta un ulteriore
aumento di rischio trombotico nei portatori della mutazione fattore V di Leiden.
La seconda (Y1702C) causa un ulteriore aumento del rischio trombotico se è
31
presente contemporaneamente la mutazione fattore V di Leiden o la mutazione
G1299R.
Tale variante G1691A è definita variante di Leiden (località in cui fu scoperta), ed
ha una frequenza genica dell’ 1,4-4,2% in Europa con una frequenza di portatori in
eterozigosi in Italia pari al 2-3%, mentre l’omozigosità per tale mutazione ha
un’incidenza di 1:5000. I soggetti eterozigoti hanno un rischio 8 volte superiore di
sviluppare una trombosi venosa, mentre gli omozigoti hanno un rischio pari a 80
volte.
In gravidanza una condizione genetica di eterozigosi per il fattore di Leiden è
considerata predisponente all’aborto spontaneo, alla eclampsia, ai difetti
placentari.
Gene Fattore II
La protrombina o fattore II della coagulazione svolge un ruolo fondamentale nella
cascata coagulativa in quanto la sua attivazione in trombina porta alla
trasformazione del fibrinogeno in fibrina e quindi alla formazione del coagulo. La
variante genetica G20210A è associata ad elevati livelli di protrombina funzionale
nel plasma e conseguente aumentato rischio di trombosi, specie di tipo venosa. La
frequenza genica della variante è bassa (1,0-1,5%) con una percentuale di
eterozigoti del 2-3%. Tali soggetti hanno un rischio di trombosi venosa 3 volte
superiore rispetto alla popolazione generale. La compresenza della mutazione FV
Leiden aumenta il rischio di trombosi di 100 volte.
Per gli eterozigoti c'è un rischio aumentato di 3 volte di sviluppare una trombosi
venosa, di 5 volte per l'ictus ischemico, di 5 volte per infarto miocardico in donne
giovani, di 1,5 volte per gli uomini, di 7 volte nei diabetici, di 10 volte per trombosi
delle vene cerebrali e di 149 volte in donne che assumono contraccettivi orali.
32
Gene MTHFR
La metilentetraidrofolatoreduttasi (MTHFR) è un enzima coinvolto nel
metabolismo dell’omocisteina. In particolare agisce nella trasformazione del 5-10
metilentetraidrofolato in 5 metiltetraidrofolato che serve come donatore di metili
per la rimetilazione della omocisteina a metionina tramite l'intervento della
vitamina B12. Alcune varianti di questo enzima sono meno efficienti nella loro
attività e questa ridotta efficienza è associata con un aumento di omocisteina nel
sangue. Le varianti del gene MTHFR associate ad elevati livelli di omocisteina nel
sangue sono la C677T e la A1298C. Inoltre, se la dieta è carente di acido folico
queste varianti MTHFR causano una netta riduzione dei livelli di acido folico nel
plasma, diventando un importante fattore di rischio per i difetti del tubo neurale
nelle donne in gravidanza. Condizioni di eterozigosi doppia, specie con la variante
Leiden del fattore V o con la variante 20210 del Fattore II, possono incrementare
il rischio relativo per il tromboembolismo venoso.
Inoltre nelle donne in gravidanza queste varianti sono associate ad un rischio
aumentato di abortività.
La frequenza genica in Europa della mutazione è del 3-3,7% che comporta una
condizione di eterozigosi in circa il 42-46% della popolazione e di omozigosi pari al
12-13%. Recentemente, una seconda mutazione del gene MTHFR (A1298C) è
stata associata ad una ridotta attività enzimatica (circa il 60% singolarmente; circa
il 40% se presente in associazione alla mutazione C677T). Questa mutazione, in
pazienti portatori della mutazione C677T, determina un aumento dei livelli
ematici di omocisteina. Livelli aumentati di omocisteina nel sangue sono oggi
considerati fattore di rischio per malattia vascolare, (trombosi arteriosa) forse
attraverso un meccanismo mediato dai gruppi sulfidrilici sulla parete endoteliale
dei vasi.
Gli eventi trombotici del letto vascolare utero-placentare e la conseguente
insufficienza placentare possono determinare complicanze precoci (aborto del
33
primo e secondo trimestre) o tardive della gravidanza (morte endouterina,
preeclampsia, ritardo di accrescimento e distacco di placenta).
Per l'iperomocisteinemia viene inoltre descritto un effetto embriotossico diretto.
Al momento attuale è sicuramente indicato, in pazienti con perdite fetali del
secondo e terzo trimestre, lo studio di tutti i fattori trombofilici. La frequenza di
trombofilia congenita sale fino al 23% dei casi con almeno 2 perdite fetali dopo la
22a settimana, contro il 7% dei casi con storia di una sola perdita fetale dopo la
22a settimana
Cause genetiche meno comuni di infertilità femminile
È stato stimato che la prevalenza dell’infertilità genetica (quanto meno quella
maschile) tenderà ad aumentare con il passare delle generazioni. Il database
OMIM (On Line Mendelian Inheritance in Man: http://www.ncbi.nlm.gov) elenca
oltre 150 condizioni correlate all’infertilità “genica”. Molte malattie genetiche
includono l’infertilità tra le manifestazioni cliniche, ma ovviamente in questi casi
non è l’infertilità il segno principale e il problema che porta il paziente dal medico.
Molte alterazioni geniche d’altro canto possono causare infertilità come segno
principale ma la loro prevalenza è molto bassa e quindi i relativi test genetici
vanno richiesti solamente sulla base di un fondato sospetto clinico. Infatti, la
maggioranza di tali alterazioni genetiche possono essere sospettate sulla base di
quadri clinici ben precisi.
Per quanto riguarda l’infertilità femminile meritano un particolare cenno le
mutazioni di FMR1, che causano la forma mendeliana legata all’X più comune di
ritardo mentale (sindrome dell’X fragile – FRAXA o sindrome di Martin Bell). Si
tratta di una patologia caratterizzata da ritardo mentale medio-grave, viso
allungato, fronte alta, orecchie grandi, mandibola prominente e dopo la pubertà
macrorchidismo, causa del 4-8% dei ritardi mentali nei maschi, (frequenza di
1:5000). Viene trasmessa come mutazione legata all’X e a livello citologico si
34
manifesta con un sito fragile nella banda Xq27.3 (o Xq28). Le basi biologiche del
difetto consistono nella espansione di una tripletta CGG nell’esone 1 del gene
FMR1, che nelle persone non affette presenta una ripetizione da 10 a 50 volte nel
gene e viene trasmessa in maniera stabile. L’espansione da 50 a 200, detta
permutazione, rende la tripletta instabile.
Il maschio con una premutazione è detto trasmettitore normale e tende a
sviluppare nella vita adulta un fenotipo parkinsoniano. Le figlie eterozigoti sono a
rischio di avere figli maschi con una ulteriore espansione della mutazione.
Le espansioni, oltre 200, dette mutazione completa, si associano nei maschi ad
una sindrome conclamata. Un terzo delle femmine eterozigoti presenta un
espressione variabile della sindrome, dalla debilità, al ritardo mentale ed
infertilità da POF. Mentre nella popolazione non affetta l’espansione è inferiore
alle 50 ripetizioni, l’espansione oltre le 200 ripetizioni causa il ritardo mentale. La
premutazione (espansione nel range di 50-200 ripetizioni) si può associare a POF
nel 15-25% delle donne eterozigoti, che per il resto hanno di solito un fenotipo
normale. In caso di gravidanza queste donne sono a rischio di trasmettere ai figli il
gene-malattia, che, a causa dell’instabilità, può presentare un’espansione delle
ripetizioni con il passare delle generazioni producendo quadri clinici sempre più
gravi.
Altre alterazioni genetiche sono collegate alle determinazione e sviluppo del
sesso: NR5A1 (pseudoermafroditismo), SOX9, SRY, NROB1 (reversione sessuale),
AMH, AMHR (sindrome da persistenza dei dotti mulleriani), StAR, CYP21, TDD,
CYP17 (biosintesi degli steroidi).
I progressi tecnici nel campo delle tecniche di riproduzione assistita hanno ancor
più stimolato la ricerca in questo settore. E’ importante che la donna, meglio se
insieme al partner maschile, si sottoponga ad opportuni esami di tipo genetico,
prima di optare per una fecondazione assistita o comunque in caso di problemi a
procreare dopo un anno di rapporti mirati (tab. 2).
35
Meccanismi genetici complessi che possono causare infertilità nella
donna
Sindrome dell’ovaio policistico (PCOS)
La sindrome dell'ovaio policistico (o policistosi ovarica) è un disturbo complesso
delle ovaie, gli organi dell'apparato riproduttivo femminile che producono gli
ovociti maturi. In presenza di questa sindrome le ovaie hanno dimensioni
superiori alla media e presentano al loro interno numerose cisti, piccole cavità
ripiene di liquido; la superficie esterna appare punteggiata da un numero
anomalo di piccoli follicoli. Molti follicoli non raggiungono mai il completo
sviluppo, l'ovulazione avviene raramente e le pazienti presentano una condizione
di infertilità. I cicli mestruali sono irregolari: possono trascorrere anche molte
settimane senza che si presenti una mestruazione. Altri segni della sindrome sono
una condizione di sovrappeso e la presenza di un'eccessiva quantità di peli
superflui.
Questa patologia è abbastanza frequente fra le donne infertili ed è
particolarmente diffusa fra quelle con problemi di ovulazione, nel qual caso
l'incidenza è pari a circa il 75%. E' stata documentata una condizione di familiarità
anche se tuttora non è noto quale sia il preciso meccanismo di trasmissione
ereditaria. E' stata ipotizzata una ereditarietà multifattoriale, influenzata, cioè
dall'interazione di più geni.
Possiamo distinguere diversi fattori ereditari nella PCOS. Nelle donne con
policistosi le cellule della teca ovarica producono una quota eccessiva di
progesterone e di androgeni. Questo aspetto ha suggerito di studiare il
comportamento del gene responsabile del distacco della catena laterale del
colesterolo (CYP 11a) come probabile responsabile dell’anomala steroidogenesi.
E’ stato così individuato come il suo più comune polimorfismo (indicato come
216-) sia associato alla sindrome studiando la segregazione di detto gene nelle
36
pazienti con PCOS. L’analisi di linkage eseguita in tale regione del genoma ha
confermato che il gene CYP11a è il principale artefice della suscettibilità genetica
per questo tipo di iperandrogenismo presente in molte pazienti affette da
policistosi ovarica. L’eccessiva produzione di androgeni da parte delle pazienti con
PCOS può essere anche attribuita all’aumento dell’attività enzimatica svolta dal
citocromo P450 C17a. L’iperfosforilazione della serina nella molecola dell’enzima
stimola significativamente l’attività steroidogenetica sia a livello ovarico sia a
livello surrenalico causando un aumento della produzione di androgeni senza
peraltro modificare le quote di ACTH. Le donne con sindrome dell’ovaio policistico
presentano frequentemente anche insulino-resistenza. Il difetto metabolico è
riferibile ad una ridotta funzionalità del recettore insulinico sostenuta anche
questa da una iperfosforilazione dei residui serinici del recettore. La sua eccessiva
fosforilazione attenua infatti il segnale endocrino dell’ormone e stabilisce così una
situazione di insulino-resistenza. Un singolo difetto molecolare è capace di
spiegare due dei principali disturbi della sindrome associata alla policistosi
ovarica, poiché lo stesso meccanismo di iperfosforilazione, che a livello del
citocromo P450 C17 induce iperandrogenismo ovarico e surrenalico, può,
modificando l’attività del recettore per l’insulina, spiegare anche l’insulinoresistenza. Si è potuto così concludere che la regione VNTR 5’ del gene per la
secrezione dell’insulina rappresenta il locus responsabile per la iperinsulinemia
associata alla sindrome dell’ovaio policistico. Infine tutti gli studi esistenti in
letteratura sulla presenza della sindrome, suggeriscono che l’eredità PCOS venga
trasmessa in accordo ad un modello autosomico dominante.
La diagnosi genetica viene eseguita tramite la ricerca specifica delle singole
mutazioni dei geni coinvolti grazie al sequenziamento.
37
Endometriosi
L’endometriosi viene definita come la presenza di ghiandole endometriali e
stroma al di fuori della cavità uterina, spesso associata a dolore pelvico, infertilità
e masse annessiali. E’ una patologia che coinvolge globalmente la salute della
donna con effetti psico-fisici spesso debilitanti.
Molto recentemente sono stati compiuti studi molto importanti sul ruolo della
genetica nella patogenesi della malattia. Nel 2010 e 2011, infatti, sono stati
pubblicati i risultati di due studi di associazione genome wide (GWAS)10
sull’endometriosi. Il primo è uno studio giapponese effettuato su quasi 2000
donne con endometriosi e più di 5000 donne sane. Lo studio ha identificato
un'associazione significativa tra la patologia e una variante genica del gene
CDKN2BAS localizzato sul cromosoma 9 e codificante l'RNA antisenso per
l'inibitore 2B di una kinasi ciclina-dipendente. Il secondo è uno studio anglocanadese su circa 3.000 pazienti con endometriosi e più di 7.000 controlli. Il
segnale con la maggiore associazione è stato identificato sul braccio corto del
cromosoma 7 situato in una regione intergenica a monte dei geni candidati
NFE2L3 e HOXA10.
Altri studi condotti per far luce sui meccanismi genetici connessi all’endometriosi
coinvolgono un tratto di DNA sul cromosoma 1, vicino al gene WNT4, importante
per il metabolismo ormonale e lo sviluppo dell'apparato riproduttivo femminile,
soprattutto delle ovaie.
Questi studi aprono nuove prospettive per l'identificazione dei soggetti a rischio
genetico di sviluppo della patologia e per la possibilità di organizzare misure di
prevenzione. E’ chiaro che attualmente non sono ancora disponibili dei test
specifici in grado di evidenziare la patologia da un punto genetico.
10
uno studio di associazione genome-wide (in inglese genome-wide association study, o GWAS), è un'indagine di tutti, o quasi
tutti, i geni di diversi individui di una particolare specie per determinare le variazioni geniche tra gli individui in esame. In
seguito si tenta di associare le differenze osservate con alcuni tratti particolari, ad esempio una malattia.
38
Tecniche per l’analisi genetica
La pratica clinica dipende sempre più dalla conoscenza dei principi della genetica
e delle tecniche utilizzate dai genetisti. Questi includono le analisi citogenetiche,
l’ibridazione in situ fluorescente (FISH) e le tecniche di diagnosi genetica
molecolare come la PCR e la comparative genomic hybridization (CGH). La tabella
3 riassume i metodi utilizzati per individuare le varie anomalie genetiche. Tra
queste abbiamo selezionato quelle che sono ritenute alla base di un accurato
screening genetico di infertilità nella donna.
Tabella 3 – Tecniche per lo screening genetico dell’infertilità femminile (da Collins e Crosignani,
2008)
Tecniche
Metodologie specifiche
Cariotipo
FISH (Fluorescence insitu hybridization)
CGH (Comparative
genomic hybridization)
Sonde per sequenze ripetute
cromosoma- specifiche
Anomalie evidenziabili
Tutti i riarrangiamenti cromosomici
che interessano più di 5 Mb
Nuovi punti di rottura nei
riarrangiamenti cromosomici
Sonde “chromosome painting”
Anomalie strutturali complesse
Sonde a sequenza unica
Sindromi da microdelezioni
Sonde subtelomeriche
Delezioni criptiche
Array CGH (microarray)
Sequenziamento
Piccole anomalie strutturali e
sindromi da microdelezioni
Mutazioni a livello di singolo
nucleotide
PCR
Brevi ripetizioni trinucleotidiche
Southern blot
Estese ripetizioni trinucleotidiche
Tecniche di identificazione dei cromosomi umani
I 46 cromosomi del cariotipo umano normale sono ordinati in 22 paia di autosomi,
ognuna contraddistinta da un numero, più due cromosomi sessuali e sono
divisibili in: metacentrici (n. 1 - 2 - 3 - 16 - 19 - 20), submetacentrici (n. 4 - 5 - 6 - 7 8 - 9 - 10 - 11 - 12 - X - 17) e acrocentrici (n. 13 - 14- 15 - 18 - 21 - 22 - Y).
39
Le precedenti tecniche di rilevamento del cariotipo umano mostravano i bracci
cromosomici come strutture omogenee. Ciò impediva di distinguere con
precisione certi cromosomi. T. Caspersson, L. Zech e collaboratori sono stati i
primi a utilizzare la tecnica di studio in fluorescenza che evidenzia una topografia
a bande longitudinali, caratteristica in ogni coppia cromosomica. I preparati da
esaminare, trattati con vari derivati della chinacrina, vengono osservati al
microscopio in luce ultravioletta e mostrano un'alternanza di bande più o meno
fluorescenti che consentono di riconoscere con certezza ogni cromosoma del
cariotipo.
Questa tipica topografia è stata successivamente rilevata anche in luce visibile,
mediante tecniche più semplici, con le quali i preparati sono sottoposti a diversi
trattamenti (come il calore, una modificazione del pH o una proteolisi) e infine
colorati col sistema di Giemsa modificato: in tal modo viene messo in evidenza un
susseguirsi di bande chiare e scure longitudinali che corrispondono a quelle già
notate in fluorescenza, e quindi utili per una perfetta identificazione di ciascun
cromosoma (Fig. 8). In seguito ad alcune procedure di colorazione, è stato
possibile rendere visibili sui cromosomi la presenza di bande chiare e scure che si
alternano (regioni di eucromatina che si alternano a eterocromatina): bande G,
scure, che contengono pochi geni trascritti e ricche di AT; bande R, chiare,
contengono più geni trascritti e ricche di GC. Ciò ha permesso di giungere alle
seguenti
scoperte:
individuazione
di
nuove
sindromi
cromosomiche,
caratterizzazione esatta delle traslocazioni e l’evoluzione cromosomica della
specie.
40
Analisi del cariotipo
L’analisi del cariotipo su sangue periferico consente di analizzare il corredo
cromosomico di un individuo a partire da un semplice prelievo di sangue. Questo
esame è in grado di rivelare la presenza di alterazioni di numero o di struttura dei
cromosomi che possono essere associati a infertilità come la sindrome di Turner
nella donna o la sindrome di Klinefelter nell’uomo; spesso anche un soggetto
fenotipicamente normale può presentare un corredo cromosomico a mosaico per
queste alterazioni (es: cellule normali 46,XX/cellule alterate 45,X) evidenziabile
solo mediante l’analisi del cariotipo.
41
Allestimento di colture cellulari da sangue periferico
Il primo passo per l’allestimento dei cariotipi da sangue periferico è quello di
allestire una coltura cellulare di linfociti (non meno di due colture per campione).
 Si lasciano sedimentare in provetta i campioni di sangue per circa 3 ore,
 Il terreno di crescita (Fetal carf serum, L-glutamina, Penicillina e
Streptomicina, Fitoemagglutinina P, Hepes e Rosso fenolo) viene tenuto per
circa 30 min a RT
 Si prelevano 2 mL di sangue intero (sospensione di linfociti) e si pongono
nel terreno in fiaschette (capacità di 50 mL) preferite per sistema di crescita
aperti,
 Vengono incubati a 37oC per 72 ore,
 Si aggiungono 150 μL di Colcemid e si lasciano per 45 minuti a 37oC,
 Si trasferisce tutta la sospensione in provette da 15 mL e si centrifuga a
2500 rpm per 5 minuti,
 Viene eliminato il sopranatante e risospeso il pellet in soluzione ipotonica
(KCl 0.075M),
 Si centrifugano i campioni per 5 minuti a 2500 rpm e si elimina il
sopranatante,
 Si aggiungono 6 mL di Ibraimov preparato fresco (5ml di ac. Acetico + 3 mL
di metanolo + 92 mL di H2O distillata) e si spipetta,
 Si centrifugano i campioni a 2500 rpm per 5 minuti e si elimina il
sopranatante,
 Con 6 mL di metanolo si risospende il pellet,
 Si ricentrifuga per 5 minuti a 2500 rpm e si elimina il sopranatante,
 Vengono aggiunti 6 mL di Fissativo di Carnoy (metanolo: ac. Acetico, 3:1), si
ricentrifuga sempre per 5’ a 2500 rpm e si risospende il pellet con altri 3 mL
di fissativo,
42
 Si centrifugano i campioni
a 2500 rpm per 5 minuti e si elimina il
sopranatante,
 Viene posta una goccia del preparato su vetrini opportunamente sgrassati
in etanolo assoluto,
 I vetrini vengono fatti asciugare all’aria e lasciati per una notte a 70oC,
Bandeggio cromosomico
Col materiale risospeso si preparano i vetrini precedentemente sgrassati in
etanolo assoluto. Prima di procedere con le tecniche di bandeggio si invecchiano i
vetrini in stufa a 70 °C per 24-48 ore.
I diversi tipi di bandeggio che si applicano al riconoscimento dei cromosomi e
delle anomalie strutturali, possono raggrupparsi come segue:
1. bandeggi generali (G, Q, R, ecc.): consentono l’identificazione di tutti i
cromosomi e spesso di loro frammenti, in quanto in grado di determinare
lungo i bracci una serie di bande, secondo modelli diversi da un cromosoma
all’altro;
2. bandeggi particolari (C, AgNOR, T, ecc.):limitati ad aree di ogni singolo
cromosoma, oppure soltanto ad alcuni gruppi di cromosomi, si rivelano utili
nell’evidenziare caratteristiche comuni a tutti o ad alcuni cromosomi, come le
regioni centromeriche e/o quelle satellitare degli acrocentrici.
Bandeggio GTG
Per lo studio del cariotipo, i cromosomi sono trattati con una delle tecniche più
largamente applicate, la GTG (G-Trypsin-Giemsa).
Consiste nel trattare i cromosomi con un enzima proteolitico, la tripsina, in modo
da digerire le proteine istoniche che consentiranno la visualizzazione delle bande
G (Fig. 8).
43
Procedura
1) Si pongono i vetrini invecchiati in una soluzione di tripsina per circa un
minuto e mezzo (500 μL di Trypsin 2.5% (10X)+ 50 mL di soluzione
fisiologica),
2) Si immergono per pochi secondi in una soluzione fosfato (Gurr’s buffer
solution, pH 6.8; Invitrogen, 1 pasticca in 1 L di acqua distillata),
3) Si colorano in Giemsa-Gurr per 5 minuti (Giemsa staining solution 5%),
4) Si sciacquano con acqua distillata e si lasciano asciugare all’aria.
Bandeggio CBG
L’eterocromatina costitutiva è rappresentata da sequenze ripetitive del DNA: il
bandeggio C (C-Barium-Giemsa) consente la colorazione selettiva di questo DNA,
inoltre colora il DNA satellite, le regioni cromosomiche pericentromeriche
eterocromatiche e il tratto Yq distale.
Osservazione dei preparati e allestimento cariotipi
I vetrini bandeggiati sono di norma osservati al microscopio ottico con obiettivo
10X per la ricerca delle piastre metafasiche e poi, una volta individuate quelle
migliori, con obiettivo 100X a immersione. A questo punto si acquisiscono i
cromosomi con una CCD camera o una camera digitale e l’immagine viene salvata
su un computer dedicato su cui è presente un software di allestimento del
cariotipo (Genikon, Nikon Instruments). Il programma di cariotipizzazione ha la
capacità di allestire i cariotipi in automatico, ma è dotato di funzioni specifiche
che consentono all’operatore di effettuare modifiche con l’impostazione
“manuale”. Nella figura 9 è riportata una finestra di lavoro della workstation
Genikon.
44
I risultati vengono interpretati secondo i criteri raccomandati dalle linee guida
della Società Italiana di Genetica Umana e in accordo con le European Cytogenetic
Guidelines and Quality Assurance.
Diagnosi Genetica Preimpianto (PGD)
La Diagnosi Genetica Preimpianto, indicata anche con l’acronimo DPI o, più
frequentemente, con PGD, dall’inglese Preimplantation Genetic Diagnosis, è una
recente metodologia complementare a quelle di diagnosi prenatale che permette
d'identificare la presenza di malattie genetiche o di alterazioni cromosomiche in
embrioni ottenuti in vitro, in fasi molto precoci di sviluppo e prima dell'impianto
in utero. La sua indicazione elettiva è nella selezione di embrioni sani tra quelli
ottenuti dall'unione dei gameti di coppie portatrici di malattie genetiche, in modo
45
da impiantare solo quelli sani. Per questa tecnica esiste un tasso di errore
diagnostico basso (1-3%).
La PGD costituisce attualmente un’alternativa alla gravidanza spontanea seguita
dalla diagnosi prenatale per le coppie ad elevato rischio genetico. La
combinazione delle tecniche di micromanipolazione e di biologia molecolare ha
reso possibile la diagnosi genetica negli embrioni in fasi molto precoci di sviluppo.
Per procedere a una Diagnostica Preimpiantazione è necessario sottoporsi ad un
ciclo di Fecondazione in vitro.
L’identificazione di eventuali disordini genetici negli embrioni prima dell’impianto
permette un’esatta distinzione tra feti nomali e non, ed il successivo
trasferimento in utero solo di quegli embrioni nei quali non sono state riscontrate
anomalie. Questo approccio costituisce un’importante alternativa all’aborto
terapeutico che, attualmente, rappresenta la sola soluzione disponibile per le
pazienti portatrici di feti malformati. Inizialmente lo sviluppo della PGD è stato
legato a quelle particolari coppie ad elevato rischio di trasmettere alla prole gravi
malattie monogeniche recessive, quali le malattie X-linked; in questi casi l’unica
opzione disponibile era l’interruzione di tutte le gravidanze con feti maschili, ma
venivano così eliminati anche quella metà di feti non affetti. Attualmente il campo
di applicazione clinica della PGD è notevolmente più esteso. Restando nel campo
strettamente connesso all’infertilità essa è particolarmente indicata nelle coppie
con aborti ripetuti dovuti alla presenza di un riarrangiamento strutturale
cromosomico in uno dei genitori.
E’ possibile eseguire questa tecnica sia sull’embrione che sul globulo polare. Nel
primo caso viene effettuata una biopsia dell’embrione. Uno o due blastomeri
vengono rimossi, con scarsi rischi relativi al possibile sviluppo futuro, da un
embrione da tre a cinque giorni dopo la penetrazione dello spermatozoo
nell’ovocita (solitamente al Giorno 3, ad uno stadio di sviluppo di 6-10-cellule). Il
46
blastomero viene testato mediante NGS (Next Generation Sequencing) o
mediante FISH (Fig. 10).
La biopsia del globulo polare prevede il prelievo del materiale genetico contenuto
nei globuli polari. I globuli polari sono due, il primo viene espulso dall’ovocita
prima della sua fecondazione, mentre il secondo globulo polare viene espulso
dall’ovocita già fecondato. Nell'intervallo fra le due espulsioni si procede
all'apertura meccanica, chimica o via laser della zona pellucida ed all’aspirazione
dei 2 globuli polari che successivamente verranno utilizzati per la diagnosi. Questa
metodologia ha il vantaggio di essere molto meno invasiva della biopsia
dell’embrione (non vengono prelevate cellule embrionali), ma fornisce risultati
meno attendibili della biopsia del blastomero.
47
L'accuratezza nel risultato diagnostico offerto da queste tecniche è pari al 97-99%
dei casi nelle quali sono applicate, con errori di "falsi positivi" (in cui sarà
diagnosticata una malattia che non c'è) e "falsi negativi" (in cui non verrà
evidenziata una patologia che invece è presente). A parte i possibili errori nella
preparazione del campione da analizzare, può infatti verificarsi il fenomeno del
mosaicismo, in cui solo alcune delle cellule dell'embrione presentano difetti
cromosomici. In questi casi analizzare cellule sane o difettose è un evento casuale
e l’instaurarsi o meno del difetto genetico nella crescita dell’embrione è
altrettanto casuale.
Screening Genetico Preimpianto (PGS)
Lo Screening genetico preimpianto (PGS), a differenza della PGD, viene eseguito
sul prodotto di concepimento di coppie che non hanno un anomalia genetica
nota, ma sembrano essere ad alto rischio di aneuploidia a causa della età materna
avanzata, aborti ricorrenti di cui non è stata ancora individuata la causa, o
fallimenti di impianti in utero dopo tecniche di PMA . E’ stato ipotizzato da alcuni
autori che lo screening e quindi il trasferimento in utero di embrioni euploidi, cioè
con un assetto cromosomico normale, ridurrebbe le perdite di gravidanza e
aumenterebbe la percentuale di nati vivi. Alcuni studi randomizzati controllati
hanno dimostrato, tuttavia, che la PGS sembrerebbe non essere efficace nel
migliorare i tassi di natalità dopo IVF o ICSI nelle donne di età compresa tra 35-41
anni. Sono attualmente in corso ulteriori studi sull’efficacia dell’applicazione della
PGS nel ridurre il tasso di aborti ricorrenti e/o di mancato impianto in utero.
Screening delle principali mutazioni del gene CFTR
Per identificare eventuali difetti nel gene della FC è necessario effettuare un test
sul DNA alla ricerca di mutazioni. L’analisi è però complicata dal fatto che esistono
48
numerosissime mutazioni (ad oggi oltre 1000), alcune delle quali rare, molte altre
ancora sconosciute. Generalmente, il test genetico viene eseguito tenendo conto
di 38-200 mutazioni (a seconda del livello di analisi effettuata), scelte tra le più
frequenti nell'area geografica in questione e che nel complesso permette di
identificare circa il 90 % dei portatori. Il test genetico non è in grado di
identificarle tutte.
A seguito dell'analisi genetica per la fibrosi cistica si possono ottenere più tipi di
risultati. L'analisi può individuare nel DNA del paziente la presenza di una
mutazione a livello di una copia del gene CFTR, mentre l'altra copia è normale. Si
dice che il soggetto risulta portatore in eterozigosi di quella mutazione, e questo
risultato significa che il paziente è un portatore sano. L'analisi può individuare nel
DNA del paziente la presenza di mutazioni in entrambe le copie del gene CFTR. Si
dice che il soggetto risulta eterozigote composto (2 mutazioni diverse) o
omozigote (2 mutazioni uguali); questo risultato significa che il paziente è affetto
da FC. Oppure l'analisi genetica non individua nel DNA del paziente la presenza di
mutazioni del gene CFTR. Si dice che il soggetto risulta "negativo". Questo
risultato significa che il soggetto ha una probabilità diminuita, rispetto a prima
dell'analisi, di essere un portatore. Non è possibile che l'analisi escluda in assoluto
la probabilità di essere un portatore, perché non è possibile escludere la presenza
di tutte le numerosissime mutazioni del gene della FC.
E' importante ricordare che la probabilità di essere un portatore di FC è maggiore
per un soggetto che sia parente di un malato o un portatore. In questo caso è
necessario prima identificare la mutazione del malato o del portatore presente in
famiglia (mutazione familiare) e poi ricercarla nel parente. Se il parente risulta
non avere nel suo DNA la mutazione familiare, la sua probabilità di essere
portatore diventa estremamente bassa. Inoltre la probabilità di essere portatori di
FC è minore ma comunque presente anche nel soggetto che non è parente di un
malato o un portatore. In questo caso per chi si sottoponga alla ricerca delle più
49
frequenti mutazioni del gene della FC, e non risulta avere nel suo DNA nessuno di
queste, la probabilità di essere un portatore diventa bassa.
L'analisi di mutazione del DNA, più comunemente eseguita con metodo su striscia
(strip) (Southern-blot), viene condotta operando inizialmente una reazione
enzimatica di amplificazione del DNA, conosciuta come Polymerase Chain
Reaction (PCR), che consente di amplificare in vitro una specifica regione della
molecola, copiando in varie fasi successiva, fino ad ottenerne milioni di copie. In
tale maniera viene amplificata la regione codificante e parte della regione
intronica per ciascun esone del gene investigato, e contemporaneamente ne
viene eseguita una marcatura con biotina; i prodotti di PCR così ottenuti vengono
ibridati su strip. Gli ibridi biotinilati sono successivamente rivelati utilizzando la
streptavidina coniugata con fosfatasi alcalina e un appropriato substrato colorato.
Un procedimento analogo si utilizza per lo screening delle principali mutazioni dei
fattori coinvolti nella coagulazione.
50
GENETICA DELL’INFERTILITÀ MASCHILE
51
52
53
54
55
56
57
58
59
60
61
62
63
64
65
66
67
68
69
70
71
72
73
QUALITÀ DEL DNA SPERMATICO E INFERTILITÀ
Struttura della cromatina spermatica umana
La formazione degli spermatozoi è un processo unico che si evolve in una serie
di meiosi e mitosi con cambiamenti nell’architettura citoplasmatica,
sostituzione degli istoni, simili a quelli delle cellule somatiche, con proteine di
transizione e finale addizione di protammine che permettono una elevatissima
condensazione della cromatina; quindi, il DNA spermatico è organizzato in
modo da mantenere la cromatina compatta e stabile nel nucleo. Essa è
compattata con uno speciale tipo di piccole proteine basiche, in un morsa
stretta, quasi cristallina che la rendono sei volte più condensata dei
cromosomi mitotici. Occupa quasi l’intero volume nucleare, a differenza delle
cellule somatiche in cui impegna solo parzialmente il nucleo.
La condensazione della cromatina nell’uomo si verifica nel polo posteriore del
nucleo e procede apicalmente, una caratteristica presente solo nella specie
umana e non riscontrata in altri Mammiferi. Il processo di compattazione
inizia nel testicolo, continua nell’epididimo e si conclude nel fluido seminale,
dove la cromatina viene ulteriormente stabilizzata ad opera di elementi quali
lo zinco.
La formazione dei nuclei spermatici e la loro alta condensazione è speciespecifica e deriva da una complicata serie di reazioni attraverso le quali gli
istoni somatici e proteine non istoniche della cromatina vengono sostituite da
uno o più tipi di protammine.
Le protammine sono proteine altamente basiche per circa la metà della loro
struttura rispetto ad un istone tipico (5±8 kDa). Nell’uomo ne sono presenti
due tipi denominate PRM1 e PRM2. I residui amminoacidici dell’arginina
costituiscono per il 55-79% le protammine, permettendo al DNA di legarsi
saldamente. La maturazione degli spermatozoi nell’epididimo evolve in una
fase finale di organizzazione della cromatina nella quale le protammine
formano legami crociati multipli per mezzo di ponti disolfuro inter- ed
intraprotammine; un passaggio dovuto al fatto che le stesse contengono un
numero significativo di residui cisteinici che partecipano alla compattazione
74
della cromatina degli spermatozoi. Tutte queste interazioni fanno del DNA dei
mammiferi, il più condensato dei DNA eucariotici.
L’intero genoma aploide degli spermatozoi è organizzato in domini a forma di
anse che hanno una lunghezza di 27 kilobasi (Kb). L’organizzazione del DNA
spermatico non solo permette un elevato grado di compattazione
dell’informazione genetica per il trasferimento all’uovo, ma assicura anche che
il DNA sia liberato in una forma fisica e chimica che permette lo sviluppo
dell’embrione.
Possiamo riassumere in tre punti principali i vantaggi della condensazione
della cromatina per il gamete maschile, la cui unica preoccupazione è quella di
conservare perfettamente integro il suo patrimonio genetico fino al momento
della fecondazione:
1. permette una notevole riduzione del volume nucleare spermatico
2. aiuta a dare una forma affusolata alla cellula e a rendere più facile la
locomozione dello spermatozoo
3. Il DNA risulta meno soggetto a danni fisici e a mutazioni
Le alterazioni del DNA spermatico e l’infertilità
Numerosi studi hanno evidenziato come gli uomini fertili con normali
parametri seminali hanno in genere bassi livelli di alterazioni del DNA, mentre
gli uomini infertili, in particolare quelli con parametri seminali anormali,
presentano un incremento dei danneggiamenti a livello del DNA. Inoltre ben
l’8% degli uomini fertili presentano alterazioni dell’integrità del DNA,
nonostante parametri seminali nella norma (concentrazione, motilità e
morfologia). In particolare elevati livelli di frammentazione del DNA
spermatico sono stati posti in relazione a condizioni di infertilità maschile e ad
una maggiore incidenza di aborti precoci anche dopo tecniche di fecondazione
in vitro.
75
Il fenomeno sarebbe dovuto al fatto che tali alterazioni del DNA spermatico
porterebbero alla formazione di embrioni con minore vitalità e quindi non in
grado di svilupparsi opportunamente una volta impiantati.
Per quanto concerne le cause che determinerebbero tali alterazioni del DNA
spermatico sono state riportate sia cause di natura intrinseca sia cause di
natura estrinseca, ossia riconducibili a fattori ambientali e allo stile di vita.
Tra le cause di natura intrinseca sono state annoverate:

Deficit di protammina.

Mutazioni che ostacolano la compattazione del DNA.

Altri difetti nell’”impacchettamento” del DNA.

Età avanzata del paziente

Apoptosi abortiva

Aumento dei livelli di radicali liberi dell’ossigeno nel liquido seminale
Tra le cause di natura estrinseca gli studi prendono in considerazione:

fumo di sigarette

varicocele

calore, radiazioni, tossine ambientali, farmaci gonadotossici
Frammentazione del DNA spermatico (Apoptosi)
L’Apoptosi è la morte geneticamente programmata delle cellule. Questa
degenerazione procede per stadi, che includono la condensazione della
cromatina, la frammentazione del DNA nucleare, l’atrofia delle cellule ed
infine la frammentazione completa delle cellule stesse. A volte gli spermatozoi
con danni al DNA che non vengono eliminati dal normale processo apoptotico
riescono a fecondare un uovo, particolarmente quando viene utilizzata la
tecnica ICSI (iniezione intra-citoplasmica dello spermatozoo). Tutti i dati
stanno ad indicare che i livelli aumentati di apoptosi nel liquido seminale
76
durante la Fecondazione in vitro (IVF) sono correlati ad una peggiore
morfologia dell'embrione nelle fasi iniziali di divisione, con una incapacità a
diventare blastocisti in coltura e con diminuiti tassi di gravidanza.
È noto in letteratura che gli uomini infertili hanno un più alto livello di
apoptosi spermatozoaria rispetto agli uomini fertili. Quando l'indice
apoptotico è molto elevato (>40%) vi è una diminuita probabilità di gravidanza
da inseminazione intra-uterina (IUI), una probabilità aumentata di aborto
spontaneo nel caso di fecondazione in vitro (IVF) o di iniezione intracitoplasmica dello spermatozoo (ICSI o IMSI), una mancata fecondazione,
oppure un arresto iniziale dello sviluppo embrionario.
Il processo di apoptosi è regolato a 3 livelli:
 a livello di membrana cellulare: sono presenti recettori della famiglia
dei tumor necrosis factor (TNFR) noti come “Fas” e “Fas ligand” presenti
rispettivamente sulle cellule germinali e sulle cellule del Sertoli;
 a livello citoplasmatico: sono presenti alcune proteasi della famiglia
delle “caspasi”;
 a livello nucleare: sono presenti geni regolatori dell’apoptosi che
comprendono i geni p53 e Bcl-2. Il gene p53 in risposta ad un danno del
DNA blocca la cellula in fase G1 dando tempo alla cellula di riparare il
danno. Se il danno al DNA non è reparabile il p53 avvia il processo di morte
cellulare stimolando il legame del recettore di membrana Fas al Fas ligand.
Il sistema “Fas” nel testicolo è stato identificato come un sistema
fondamentale nella regolazione dell’apoptosi.
Aneuploidie su spermatozoi e infertilità
La meiosi è un processo che comprende due divisioni cellulari consecutive, con
un unico evento di replicazione del DNA, portando ad una riduzione della
quantità di materiale genetico. La prima divisione meiotica coinvolge gli
spermatociti primari (diploidi) e consiste nell’appaiamento dei cromosomi
omologhi, al fine di ricombinare il materiale genetico e di produrre nuove
combinazioni genetiche nella prole; in anafase, ogni cromosoma omologo
77
migra verso i poli della cellula e genera spermatociti secondari. Durante la
seconda divisione meiotica i cromatidi di ogni cromosoma migrano verso i poli
delle cellule generando spermatidi aploidi. Gli spermatidi sono
successivamente trasformati in spermatozoi grazie alla spermiogenesi, un
processo caratterizzato dalla formazione dell’ acrosoma e del flagello, dal
cambiamento della forma della cellula e la delocalizzazione degli organelli. Se
uno qualsiasi di questi passaggi non avviene in maniera corretta possono
verificarsi diversi tipi di anomalie cromosomiche numeriche (aneuploidie). Le
possibili conseguenze delle aneuploidie spermatiche diventano clinicamente
rilevanti con l’avvento delle tecniche di riproduzione assistita (ART), in
particolare con l’introduzione della ICSI, che ha dato luogo a molte
preoccupazioni sulla sua sicurezza e gli effetti a lungo termine sulla prole. La
ICSI, infatti, bypassa tutte le barriere naturali del processo di fecondazione,
consentendo a spermatozoi con morfologia e motilità anormale o a quelli non
completamente maturi di fecondare l’ovocita.
Studi di biologia molecolare hanno dimostrato che l’origine parentale degli
errori meiotici è strettamente legata al tipo di anomalia. Sono per lo più di
origine paterna le trisomie dei cromosomi sessuali, le triploidie e le anomalie
cromosomiche strutturali de novo (dal 50 al 100%). Studi condotti sui gameti
maschili di individui non selezionati indicano che complessivamente circa l’12% degli spermatozoi presenta alterazioni cromosomiche numeriche, mentre il
7-14% presenta anomalie strutturali.
Anche se la stragrande maggioranza delle anomalie cromosomiche
provengono dall'ovocita, alcuni maschi producono una percentuale elevata di
spermatozoi con aneuploidie, pur essendo nella norma i valori di
concentrazione e morfologia. Nonostante ciò, l’assetto cromosomico delle
cellule spermatiche non sempre viene preso in esame durante il trattamento
dell'infertilità. E’ noto tuttavia che gli spermatozoi con anomalie
cromosomiche possono ridurre le chances riproduttive e condurre a fallimenti
dei cicli di PMA.
Numerosi studi hanno dimostrato, in soggetti infertili ma cromosomicamente
normali, un aumento del tasso di aneuploidie spermatiche, dovuto
principalmente ad iperploidia dei cromosomi sessuali e a diploidia; inoltre
l’incidenza di tali aneuploidie è inversamente proporzionale alla
78
concentrazione spermatica dell’eiaculato e alla motilità totale degli
spermatozoi in pazienti affetti da oligoastenozoospermia.
Nella specie umana le anomalie cromosomiche degli embrioni costituiscono la
patologia più frequente al concepimento e presentano una frequenza
superiore al 50% nelle gravidanze che non sono giunte a termine.
Molte anomalie del liquido seminale sono dovute ad alterazioni dei
cromosomi sia numeriche che strutturali. Le anomalie cromosomiche
numeriche si riferiscono ai casi in cui gli spermatozoi hanno un numero
superiore od inferiore ai normali 23 cromosomi (aneuploidie). Le anomalie
cromosomiche strutturali si riferiscono ai casi in cui il maschio è portatore di
un riarrangiamento cromosomico bilanciato nel suo cariotipo. Il portatore di
un riarrangiamento cromosomico strutturale produce un numero di
spermatozoi geneticamente sbilanciati, che, se fecondano un uovo,
produrranno un embrione cromosomicamente anormale con un eccesso o un
difetto di materiale genetico. Sia le anomalie cromosomiche numeriche che
strutturali possono dare origine ad una situazione sbilanciata nell’embrione
che può condurre alla morte dell'embrione stesso, all’aborto, o alla nascita di
un bambino vivo, ma con gravi problemi di salute.
La frequenza delle aneuploidie dei gameti è stata ampiamente studiata in
uomini infertili. I risultati confermano che l’infertilità risulta spesso associata a
tassi aumentati di aneuploidie. Studi compiuti su modelli animali di sterilità
maschile hanno evidenziato che la diminuita produzione di spermatozoi non è
necessariamente sempre associata ad un aumento dei tassi di aneuploidie. È
interessante osservare che, sebbene i tassi aumentati di aneuploidie
costituiscono di per sé causa di infertilità, la situazione è ancora di più
aggravata dal fatto che le anomalie nella meiosi potrebbero essere causa di
una ridotta o addirittura assente produzione di spermatozoi dovuta
all’apoptosi di cellule in divisione, a prescindere dal tipo di anomalia
cromosomica che la determina. Tuttavia, almeno il 6% dei maschi infertili e il
17% dei maschi affetti da oligoastenoteratozoospermia grave hanno anomalie
della meiosi. Disordini meiotici si sono riscontrati nel 40% dei pazienti con una
concentrazione di spermatozoi mobili inferiore a 0,5 milioni/ml. Tali disordini
meiotici potrebbero essere causati da anomalie dei geni che intervengono nei
meccanismi di riparazione e controllo del DNA.
79
In conclusione è possibile affermare che l’analisi convenzionale del seme,
anche se fornisce informazioni considerevoli, non può evidenziare le possibili
aberrazioni cromosomiche numeriche o in generale la qualità del materiale
genetico degli spermatozoi. L’analisi della frammentazione del DNA e dei tassi
cromosomici di aneuploidia negli spermatozoi possono essere un valido ausilio
diagnostico nell’ambito della valutazione della coppia infertile, anche al fine di
definire con maggior precisione l’eventuale percorso terapeutico e la sua
tempistica. E’ infatti evidente come, anche nei casi in cui debba
necessariamente farsi ricorso a tecniche di Procreazione Medicalmente
Assistita, sia auspicabile giungere all’esecuzione della procedura con i migliori
presupposti ai fini di ottenere maggiori probabilità di riuscita.
Test di laboratorio per l’analisi della qualità del DNA spermatico
Per anni, i parametri seminali raccomandati dalle linee guida
dell’Organizzazione Mondiale della Sanità e normalmente analizzati in
laboratorio, come la conta del numero di spermatozoi, la motilità e la
morfologia, sono stati usati come unici indicatori del potenziale riproduttivo di
un uomo. Negli ultimi tempi, invece è stato dimostrato che l’analisi di routine
di un campione seminale non sempre riflette la qualità degli spermatozoi e
quindi non ha un valore prognostico affidabile sulla loro capacità di
determinare una gravidanza, probabilmente perché non da alcuna
informazione sulla qualità del DNA dello spermatozoo. Vari studi infatti hanno
messo in luce come anomalie della struttura della cromatina dello
spermatozoo come la decondensazione e la frammentazione, siano associate
con l’incapacità di ottenere una gravidanza (sia spontaneamente che dopo
fecondazione in vitro) o, ancora più frequentemente, con l’alta incidenza di
aborti precoci.
La frammentazione del DNA spermatico può essere causata da fattori
intrinseci come l’apoptosi o morte cellulare programmata, che è un processo
che tende ad eliminare cellule superflue o geneticamente compromesse, o da
fattori ambientali o transitori quali fumo, stress, infezioni, stati febbrili. Inoltre
è stato visto che un trattamento orale con antiossidanti (acido ascorbico vitamina C, α-tocoferolo - vitamina E) può portare ad un miglioramento della
qualità spermatica.
80
Il danno al DNA dello spermatozoo è quantificato come indice di
frammentazione del DNA (DFI) e, a prescindere dal metodo con cui viene
studiato il DNA spermatico, sono stati fissati dei valori soglia oltre i quali le
chances di fecondare un ovocita sono vicine allo zero, sia attraverso il
concepimento naturale che attraverso l’inseminazione intrauterina (IUI) (Tab.
5).
Tabella 5 - Valori soglia di riferimento per la frammentazione
del DNA spermatico
% DFI
(DNA Fragmentation Index)
15
15 - 20
20 - 27
27 - 40
> 40
Integrità del DNA
spermatico
eccellente
buona
borderline
ridotta
fortemente compromessa
È stato riportato che uomini infertili hanno una frazione più alta di
spermatozoi con difetti nella cromatina e punti di rottura nel DNA rispetto ad
uomini fertili. Quindi sembra che, al contrario dei parametri seminali standard,
che non sono del tutto in grado di discriminare tra uomini fertili ed infertili, la
valutazione dell’integrità della cromatina degli spermatozoi, abbia un valore
prognostico più attendibile in questo senso e che il risultato del test di
frammentazione del DNA spermatico affiancato all’esame seminale standard,
possa contribuire a determinare le reali cause dell’infertilità maschile.
Studi condotti hanno dimostrato che, ad esempio, la riduzione della capacità
fecondante
degli
spermatozoi
dopo
il
programma
di
congelamento/scongelamento con i tradizionali crioprotettori, aumenti
sensibilmente il numero di spermatozoi che mostrano un’anomalia strutturale
della cromatina. Ad ogni modo, nonostante lo stato della cromatina sembri
essere un marcatore biologico della qualità degli spermatozoi, non è ancora
previsto come test di routine per l’analisi del liquido seminale nei laboratori
clinici, ma è fortemente consigliato qualora risultino alterati uno o più
81
parametri dopo esame standard del liquido seminale, in particolare quando vi
è un incremento del numero di forme atipiche degli spermatozoi (morfologia).
Metodiche per lo studio della cromatina nemaspermica
Possiamo suddividere i saggi che prenderemo in esame in questo paragrafo in
due gruppi: test diretti e test indiretti. Sono test diretti quelli come la tecnica
TUNEL e il test Comet che analizzano direttamente il numero di rotture del
filamento di DNA. I saggi indiretti, come i test SCSA e SCD, misurano la
suscettibilità del DNA dello spermatozoo alla rottura dopo il trattamento con
acidi. Nella tabella 6 sono riportate le varie metodiche insieme al tipo di
valutazione che essi consentono di effettuare.
Tabella 6 - Saggi per la valutazione dei danni alla cromatina
spermatica
Nome del saggio
Principio del test
Valuta l’integrità del DNA,
Gel elettroforesi di singole
rotture a doppio e singolo
cellule (Test Comet)
filamento
Valuta il grado apoptotico
DNA Diffusion Assay
del DNA spermatico e la
(DDA)
formazione di siti labili in
ambiente alcalino
Terminal deoxynucleotidyl
Valuta la frammentazione
transferase mediated
del DNA, rotture a doppio e
dUTP- nick end labelling –
singolo filamento
TUNEL
Acridine Orange
Rotture a doppio e singolo
Technique (AOT)
filamento
Valuta la suscettibilità del
Sperm Chromatin
DNA spermatico alla
Structure Assay (SCSA)
denaturazione acida
Valuta la suscettibilità del
Sperm chromatin
DNA spermatico alla
dispersion test (SCD)
denaturazione acida
Colora i residui di lisina degli
Colorazione con blu di
istoni somatici non sostituiti
anilina
dalle protammine
82
Test Comet
Il test Comet, ovvero l’elettroforesi in ambiente alcalino di singole cellule su
gel di agarosio è una tecnica molto accurata e sensibile, che permette di
studiare i fattori che causano mutagenicità e carcinogenicità, e da diversi anni,
nonostante le diverse modifiche apportate, ha assunto un’importanza
rilevante nel campo della diagnostica cellulare umana e della tossicologia
genetica.
Questa tecnica effettuata in condizioni di buffer elettroforetico neutro mostra
i siti di rottura del DNA a doppio filamento, mentre lo stesso saggio effettuato
in condizioni basiche aumenta la sensibilità del test permettendo di valutare i
siti di rottura del DNA anche a singolo filamento.
Il test permette di quantificare sia “in vivo” che “in vitro” non solo i danni a
carico del materiale genetico ma anche l’eventuale grado di riparazione sia di
cellule eucariotiche che procariotiche, per tale motivo è utilizzato per lo studio
dei danni causati da agenti genotossici di natura endogena e/o esogena sul
materiale genetico, consentendo di valutare alterazioni di varia natura
(mutazioni o rotture) a carico del DNA.
La metodica si fonda sul principio che il filamento rotto del DNA a doppia elica
superavvolto subisce una riduzione della sua grandezza e può essere quindi
sottoposto a corsa elettroforetica. Utilizzando condizioni sperimentali
altamente alcaline si assiste ad una denaturazione del DNA, allo srotolamento
della doppia elica e all’espressione di siti labili alcalini sottoforma di singoli
filamenti rotti. Quindi, in seguito a lisi cellulare e al successivo trattamento con
una soluzione alcalina, il DNA denaturato, sottoposto ad un campo elettrico, è
in grado di migrare; di conseguenza, le cellule che hanno subito un danno al
DNA appaiono come comete (Fig. 11), dove la coda è rappresentata dal DNA
frammentato e la testa è rappresentata dal nucleo, mentre le cellule di
controllo mostrano un nucleo più sferico e condensato.
83
Nell’osservare la formazione delle comete bisogna tener presente che la
migrazione del DNA è funzione sia della grandezza del DNA sia del numero dei
siti di rottura e che la lunghezza delle code aumenta con l’aumentare del
danno.
Il tipo di migrazione del nucleo, l’intensità di fluorescenza, la lunghezza della
coda che si forma sono correlati al numero di frammenti di DNA che migrano
con velocità diverse rispetto al nucleo intatto. La lunghezza della coda delle
comete mostra una buona relazione dose-effetto e una forte correlazione con
i test citogenetici.
84
Tabella 7 - Filtri occorrenti per l’osservazione in fluorescenza dei
preparati. Il loro utilizzo dipende dal tipo di fluorocromo impiegato
nella reazione di riferimento
Filtro di
Filtro di
eccitazione
sbarramento
Fluorocromo
(lunghezza
(lunghezza
d’onda in nm)
d’onda in nm)
DAPI
330 - 380
420
Bromuro di etidio
510 - 560
590
470 - 490
520-560
433
480
330-560
420-590
FITC
(Fluoresceina-Iso-TioCianato)
Spectrum Aqua
Tripla banda
(DAPI-Bromuro di etidio
- FITC)
Criteri di score
Analizzare 50 spermatozoi per vetrino per un totale di 100 cellule. Per
ciascuna di queste il software consente di raccoglierne i dati per l’emissione
del risultato finale, che è poi quello che nello specifico ci viene richiesto per il
nostro esame e cioè la media delle singole percentuali di DNA presenti nelle
code delle comete. Il risultato viene infatti sottoposto ad analisi statistica
mediante il programma Microsoft Excel.
85
Il software di analisi computerizzata delle immagini "Komet 6.0" prende in
esame in realtà 34 parametri differenti, dei quali non tutti sono significativi; ad
esempio l'area della cometa, così come quelle della testa e della coda, sono
estremamente variabili, quindi non sono considerate ai fini della valutazione
statistica. Infatti, il programma "Komet 6.0" divide i parametri in due
categorie: nella prima, inserisce quelli che derivano dalla valutazione "globale"
del profilo della cometa; nella seconda, raggruppa le misurazioni geometriche
e densitometriche "pure", calcolate per tutte le componenti del profilo
esaminato, fornendo i dati quantitativi necessari alla valutazione dettagliata
della cometa. L’analisi statistica viene eseguita utilizzando la funzione: p-value
= 2 (1-DISTRIB.NORM.ST (Z)).
Per la valutazione complessiva del risultato e quindi per una quantificazione
della frammentazione del DNA spermatico fare riferimento alla tabella 5.
DNA Diffusion Assay (DDA)
Il DNA Diffusion Assay (DDA), ossia il saggio della diffusione, è una metodica
che consente di stimare il grado di apoptosi di cellule isolate. Si tratta di un
test semplice basato sul principio che cellule apoptotiche possiedono
numerosi siti alcali-labili che, una volta esposti a condizioni alcaline producono
frammenti a basso peso molecolare. La tecnica prevede di miscelare le cellule
con agarosio al fine di creare una sorta di microgel avente come supporto
solido un vetrino portaoggetti da microscopio. Successivamente, le cellule
sono lisate utilizzando soluzioni costituite prevalentemente da sali e
detergenti (al fine di garantire la diffusione del DNA a basso peso molecolare
nella matrice di agarosio), ed infine, il DNA, senza essere sottoposto a corsa
elettroforetica, è visualizzato utilizzando la microscopia a fluorescenza previa
colorazione del vetrino con un fluorocromo di contrasto (ad esempio il DAPI o
il bromuro di etidio). Nel DDA gli spermatozoi sono processati in modo tale
che le cellule contenenti il DNA frammentato producano un’estesa
disseminazione periferica dei frammenti dello stesso dopo la lisi in microgel di
agarosio. Questo risultato suggerisce che una modifica della matrice nucleare
è associata alla frammentazione del DNA spermatico. La modificazione della
matrice nucleare può essere una conseguenza dei meccanismi che generano la
frammentazione del DNA. Sebbene questa tendenza alla dispersione intorno
86
al nucleoide centrale non sia inizialmente visibile nelle cellule spermatiche
intatte, come innata conseguenza della forte compattazione della cromatina,
essa si evidenzia dopo il decremento del numero delle molecole di
protammine legate al DNA tramite la soluzione di lisi. I frammenti del DNA
potrebbero anche essere quelli generati durante il rimodellamento della
cromatina nella spermiogenesi dalla topoisomerasi II. Con questa metodica gli
spermatozoi apoptotici, caratterizzati dall’avere un DNA altamente disperso,
mostrano un contorno irregolare (Fig. 12). Le cellule con il solo DNA
danneggiato risultano chiaramente distinte ed hanno nuclei con proiezioni di
DNA intorno.
Criteri di score
Analizzare 100 spermatozoi per vetrino per un totale di 200 cellule. Il risultato
si esprime come percentuale di spermatozoi apoptotici, cioè quelli che hanno
le teste con un nucleo ridotto e con un alone tutto intorno secondo la
seguente formula:
spermatozoi
apoptotici
spermatozoi totali
X 100
87
Sperm Chromatin Structure Assay (SCSA)
Il test SCSA è un saggio di citometria a flusso, in cui le rotture del DNA degli
spermatozoi possono essere valutate indirettamente. Il test misura infatti la
suscettibilità del DNA dello spermatozoo indotta dalla denaturazione acida
seguita dalla colorazione con il colorante fluorescente arancio di acridina (AO).
Utilizzando un citofluorimetro, da 5.000 a 10.000 spermatozoi possono essere
analizzati entro pochi secondi e fornisce quindi un risultato meno soggettivo in
confronto ai parametri consigliati dal WHO (da 100 a 300 cellule). E’ basato
sulle proprietà metacromatiche dell’arancio di acridina. Le cellule emettono
fluorescenza verde quando l’AO si lega al DNA nativo e fluorescenza rossa
quando l’AO si lega al DNA danneggiato.
Attraverso un software specifico SCSA (SCSA-Soft, SCSA Diagnostics, Inc.,
Brookings, SD, USA), viene eseguito per ogni campione un diagramma a
dispersione, che mostra il rapporto tra gli spermatozoi colorati in verde e
quelli colorati in rosso (Fig. 13). La percentuale di spermatozoi rossi (con il
DNA denaturato) fornisce l’indice di frammentazione (DFI) del DNA
visualizzato da un istogramma (Fig. 14). Le cellule con il colore verde più
intenso sono spermatozoi HDS, ossia con DNA ad alta colorabilità. Non è
ancora chiaro circa i precisi meccanismi e tipi di danno al DNA che si celano
dietro DFI e HDS, tuttavia il DFI è legato alla percentuale di spermatozoi con
rotture del DNA o con difetti di legame alle protammine e la percentuale HDS
rappresenta spermatozoi immaturi.
88
89
Il test SCSA è sicuramente un metodo standardizzato e viene eseguito in base
ad un protocollo molto rigido. Inoltre si avvale del software specifico dedicato
SCSA-Soft che viene utilizzato per analizzare il flusso di dati di citometria ed è
sottoposto a una variabilità molto limitata sia intralaboratorio che tra
laboratori. Possiede però lo svantaggio che difficilmente è applicabile nelle
oligospermie severe, proprio per l’elevato numero di cellule che bisogna
analizzare per ottenere un risultato significativo.
Per calcolare la percentuale di DFI occorre applicare la seguente formula:
Cellule che emettono fluorescenza nel
rosso (DNA denaturato)
Cellule totali
X 100
Tecnica TUNEL
La TUNEL è una indagine biomolecolare normalmente effettuata su tutti gli
spermatozoi. Nel caso di pazienti candidati alle tecniche di PMA, in particolare
ICSI o IMSI, viene applicata su spermatozoi mobili.
Questa tecnica è ampiamente usata poiché fornisce delle informazioni molto
utili sulle anomalie della cromatina spermatica. Infatti, si è trovata una
correlazione tra la percentuale di DNA frammentato dello spermatozoo e la
motilità, la morfologia e la concentrazione dell’eiaculato. Test di introduzione
recente nella pratica clinica, essa valuta la percentuale di spermatozoi con
DNA frammentato. L’indagine è particolarmente utile al clinico nel giudizio
prognostico di fecondazione e di abortività spontanea.
Lo scopo della tecnica TUNEL (acronimo di Terminal deoxynucleotidyl
transferase UTP-driven Nick End Labeling) è quello di evidenziare gli
spermatozoi con la rotture delle catene di DNA e poi di calcolarne la
percentuale nell’eiaculato. Per evidenziare le rotture delle catene viene
utilizzato un enzima che va ad incorporare in situ i nucleotidi marcati, cioè
legati a un fluorocromo che fornisce una colorazione visibile di essi. Questo
enzima è la Trasferasi Deossinucleotidil Terminale (TdT), che catalizza tra i
frammenti 3’OH terminali del DNA e i nucleotidi marcati per evidenziare un
90
segnale fluorescente che è tanto più intenso, quanto più aumenta il numero di
frammenti. Il marcatore fluorescente è di solito il fluorocromo Isotiocianato di
Floresceina (FITC) che dà una colorazione fluorimetrica nel verde (515-565
nm), di facile lettura. La tecnica possiede due vantaggi: l’intensità della
marcatura e la rapida cinetica di incorporazione dei nucleotidi.
I nuclei degli spermatozoi con rotture della doppia elica del DNA appaiono di
colore verde, mentre quelli con DNA integro appaiono incolori. Ecco perché di
solito deve essere effettuata una colorazione di contrasto (DAPI), che non
interferisce con la reazione enzimatica, ma colora gli spermi con DNA integro
in blu, in modo che siano ben distinguibili dagli spermi con DNA alterato
colorati di verde. Questo fornisce una maggiore chiarezza a una visione già
vivida e reale del preparato (Fig. 15).
91
Protocollo sperimentale
Strumentazione necessaria
 Centrifuga a braccio oscillante

Frigotermostato (4° C)

Termostato (37° C)

Bilancia tecnica

pHmetro
 Microscopio ad epifluorescenza Nikon E80i dotato di filtro per DAPI e
FITC (tab. 7)

Cappa chimica
Materiale di consumo occorrente
 Vetrini portaoggetto

Vetrini coprioggetto (24 x 60)

Vaschetta in vetro tipo Hellendhal con coperchio

Provette coniche in polipropilene tipo Falcon da 15 ml
Soluzioni
1. PBS 1X
2. Soluzione permeabilizzante: 0,1 g sodio citrato, 100 µl Triton X-100, 100
ml H2Odist.
3. DAPI stock solution: 0.1 mg/ml
4. SSC 20X: NaCl 3M, Sodio Citrato 300 mM, pH 7.0
5. DAPI solution: 10 ml SSC 20X, 2 ml DAPI stock, 88 ml di H2Odist . Può
essere riutilizzata più volte e va conservata a 4° C al buio.
92
6. DABCO (1,4 diazobiciclo (2,2,2) ottano) solution (1 ml): Tris-HCl 1M (pH
8) 200 μl, glicerolo 9 ml, DABCO 0,22 g, H2Odist. 800 μl. Conservata a 4° C è
stabile per diversi mesi.
7. Paraformaldeide 4%: 4 g in 100 ml di PBS 1X. Sciogliere su piastra
riscaldata con agitazione. La soluzione è riutilizzabile più volte ed è stabile
per circa due mesi se conservata a 4° C. Attenzione: eseguire la
preparazione sotto cappa chimica.
Esecuzione
1. Centrifugare a 2000 rpm per 15 min almeno 1 ml di liquido seminale
dopo 30 min di riposo.
2. Eliminare il sopranatante e risospendere il pellet di cellule in un ugual
volume di PBS 1X.
3. Centrifugare a 2000 rpm per 15 min
4. Eliminare il sopranatante e risospendere il pellet di cellule in 50-100 μl
di PBS 1X.
5. Strisciare con un portaoggetti 10 µl di campione su ciascun vetrino
(almeno due per campione); lasciare asciugare all’aria.
6. Fissare i campioni strisciati in paraformaldeide per 1 h a RT e lasciare
asciugare all’aria.
7. Immergere i vetrini in PBS 1X per 5 min.
8. Incubare i vetrini nella soluzione permeabilizzante per 2 min.
9. Sciacquare i vetrini in PBS 1X e lasciarli asciugare all’aria.
10. Aggiungere la miscela di reazione TUNEL (5 µl di Enzym solution 2 e 45 µl
di label solution3) per ogni vetrino e coprirli con un coprioggetto.
11. Incubare i vetrini in camera umida1 per 1 h a 37° C al buio. Da questo
momento in poi evitare di esporre i vetrini a luce diretta per evitare danni al
DNA indotti dalla luce stessa.
93
12. Togliere il coprioggetto e lavare i vetrini in PBS 1X.
13. Colorare i vetrini in DAPI solution per 5 min.
14. Sciacquare i vetrini in PBS 1X e lasciarli asciugare all’aria.
15. Aggiungere 100 µl di DABCO solution; chiudere con copri oggetto e
contornare con smalto per unghie.
16. Tenere i vetrini a 4° C al buio per almeno 30 min e poi osservarli al
microscopio a fluorescenza.
1
Una camera umida atta allo scopo si prepara con una scatola Kartell
portavetrini da 50 posti, sul cui fondo viene depositata della carta bibula
imbevuta di acqua distillata. I vetrini sono adagiati come in figura 16.
2
La vial di Enzym solution contiene in un tampone di conservazione la
Transferasi Deossinucleotidil Terminale (TdT), concentrata 10X, ricavata dalla
polpa di timo (EC 2.7.7.3.31), ricombinata in E. coli.
3
La vial di Label Solution contiene una miscela di nucleotidi in un tampone di
reazione concentrato 1X.
94
Criteri di score
Analizzare 250 spermatozoi per vetrino per un totale di 500 cellule. In questa
tecnica i nuclei spermatici che presentano delle rotture a livello della doppia
elica (frammentazione del DNA), appaiono di colore verde mentre quelli
integri sono di colore blu.
Per calcolare la percentuale di DFI occorre applicare la seguente formula:
Cellule verdi (DNA frammentato)
Cellule blu (DNA integro) + cellule verdi
X 100
Per la valutazione complessiva del risultato e quindi per una quantificazione
della frammentazione del DNA spermatico fare riferimento alla tabella 5.
AO (Acridine Orange) Test
L’Acridine Orange Test valuta la percentuale di DNA denaturato o a singola
catena all’interno del nucleo dello spermatozoo. In questa procedura la testa
degli spermatozoi con elevata quantità di DNA denaturato si colora di arancio,
mentre gli spermatozoi normali si colorano di verde. La presenza di alterazioni
del DNA in una percentuale elevata degli spermatozoi (>30%) è associata a
ridotta o mancata capacità di sviluppo dell’embrione. E’ un test citochimico
che si basa sul principio che il DNA possiede una differente suscettibilità alla
parziale denaturazione indotta da uno shock termico o dal contatto con una
soluzione acida.
Il test utilizza la proprietà metacromatica dell’arancio di acridina, un
fluorocromo specifico per gli acidi nucleici, che legandosi al DNA a doppia elica
(forma nativa) emette fluorescenza verde, mentre legandosi al DNA a singolo
filamento (forma denaturata) si aggrega ed emette fluorescenza giallo-rossa.
E’ basato sullo stesso principio dello SCSA, ma la valutazione si effettua al
microscopio a fluorescenza. L’utilità clinica di questo test è stata molto
95
discussa per diverse ragioni. La ragione principale è che la colorazione con
arancio di acridina richiede una concentrazione di utilizzo molto restrittiva del
colorante (due molecole di AO per ciascun gruppo fosfato del DNA). La
seconda è che, dal momento che i vetrini porta- e copri-oggetto non hanno
superfici perfettamente piane, ci saranno alcune regioni del vetrino in cui si
troverà poco colorante per cui gli spermatozoi appariranno tutti i verdi. In
altre regioni in cui ci sono tasche nell'interfaccia tra vetrini porta- e coprioggetto, vi sarà un aumento nella concentrazione di AO che colorerà quindi di
giallo-rosso tutti gli spermatozoi.
Criteri di score
Analizzare 200 spermatozoi per vetrino per un totale di 400 cellule. In questa
tecnica i nuclei spermatici che presentano elevata quantità di DNA denaturato
si colorano di arancio, mentre gli spermatozoi normali si colorano di verde
(Fig. 17).
96
Per calcolare la percentuale di DFI occorre applicare la seguente formula:
Cellule che emettono fluorescenza nel
giallo-rosso (DNA denaturato)
Cellule totali
X 100
Per la valutazione complessiva del risultato e quindi per una quantificazione
della frammentazione del DNA spermatico fare riferimento alla tabella 5.
SCA System
Recentemente, a supporto dell’occhio clinico del laboratorista ma non
sostituendosi ad esso, e stata progettata una serie di software che consentono
di automatizzare l’analisi del liquido seminale, perfezionandola e
standardizzandola. Il sistema (SCA - Semen Class Analyzer – Microptic, NIKON)
migliora la qualità dell’analisi di infertilità del liquido seminale senza tuttavia
sostituire la figura e l’esperienza del biologo.
Questo sistema è di supporto nell’esecuzione di alcune analisi più dettagliate
sugli spermatozoi, quali per esempio la determinazione del livello di
frammentazione del DNA nemaspermico, non solo nelle coppie nelle quali si
riconosce un evidente fattore maschile (per esempio varicocele,
criptorchidismo etc.), ma anche negli uomini apparentemente fertili che per
varie ragioni sono esposti a inquinamento ambientale, a stress ossidativo
(fumo di sigaretta, alcool e droghe), ad alcuni farmaci, a radiazioni, e prima di
un programma di procreazione assistita nella partner.
Per questo motivo, oltre all’analisi dei parametri spermatici di base, quali il
numero, la concentrazione e la morfologia degli spermatozoi il software SCA
possiede un modulo specifico che consente di determinare il livello di
frammentazione del DNA negli spermatozoi.
SCD test
Per la determinazione del livello di frammentazione del DNA negli spermatozoi
con il sistema SCA è utilizzato il kit Halosperm Kit (Halotech Dna) in cui è
97
sviluppata e adottata la tecnica nota come il test SCD-Sperm Chromatin
Dispersion. E’ una tecnica che si basa sulla risposta differenziale dei nuclei
dello spermatozoo umano con DNA frammentato rispetto a quelli con DNA
intatto in cui, una denaturazione controllata del DNA, seguita dall’estrazione
delle proteine nucleari, genera i cosiddetti nucleoidi che rappresentano i
nuclei deproteinizzati dello spermatozoo composti a loro volta da una parte
interna “il core”situata al centro e da un alone periferico dovuto ai loops del
DNA che si espandono formando il cosiddetto “alone di dispersione
cromatinica” in presenza di DNA non frammentato.
Viceversa, in presenza di frammentazione, i nucleoidi non sviluppano, o lo
sviluppano in misura minima, l’alone di dispersione. In tutto questo, la coda
dello spermatozoo risulta visibile e rappresenta un importante parametro
morfologico che consente di distinguere i nuclei di altre cellule da quelli
nemaspermici in cui è ovviamente presente la coda.
Gli spermatozoi vengono immersi in una matrice di agarosio su vetrino, trattati
con una soluzione acida per denaturare il DNA e trattati con un tampone di lisi
per rimuovere la membrana e le proteine. Si basa sul principio che lo
spermatozoo con DNA frammentato non riesce a produrre l’alone
caratteristico di DNA che invece è possibile osservare negli spermatozoi con
DNA non frammentato dopo denaturazione acida e la rimozione delle proteine
nucleari.
Si raccomanda di effettuare sempre un controllo positivo con elevati livelli di
frammentazione e uno negativo.
Criteri di score
Vengono analizzati almeno 500 spermatozoi per campione, adottando il
seguente criterio che consente di distinguere due tipi di spermatozoi:
 spermatozoi senza DNA frammentato che includono gli spermatozoi
che presentano un “grande alone” - con spessore pari o superiore alla
lunghezza del diametro minore del nucleo - o “medio alone”- con spessore
superiore ad 1/3 del diametro minore del nucleo.
98
 spermatozoi con DNA frammentato che comprendono gli spermatozoi
che presentano un “piccolo alone”, con spessore pari o inferiore ad 1/3 del
diametro minore del nucleo e a volte anche irregolare nella forma; o
spermatozoi “privi di alone”e con segni di deterioramento dove non solo
non è presente l’alone, ma sono anche evidenti i segni di sofferenza
cellulare con nucleo frammentato in granuli e colorazione molto tenue (Fig.
18).
Colorazione con blu di anilina per la valutazione della maturità
nucleare spermatica
Un metodo ottico per valutare la maturità nucleare, cioè la sostituzione degli
istoni ricchi di lisina con le protammine ricche di residui di arginina e cisteina,
è quello basato sulla colorazione al blu di anilina. Tale colorante si lega agli
istoni colorando di blu i nuclei degli spermatozoi immaturi. In condizioni
normali, la sostituzione deve essere completa, affinché la condensazione delle
99
cromatina possa considerarsi ottimale. La fissazione delle cellule si effettua
con gluteraldeide al 3%.
Criteri di score
Per ogni campione vanno esaminate 300 cellule differenziando
percentualmente le cellule con nucleo colorato in blu (DNA non condensato)
da quelle non colorate (DNA condensato). Il valore delle cellule con nucleo
colorato in blu deve essere < 25% (Fig. 19). Una percentuale eccessivamente
elevata di spermatozoi con nucleo immaturo (>50%) è associata ad una ridotta
capacità di sviluppo dell’embrione.
Metodiche per la valutazione delle aneuploidie spermatiche: FISH test
L’elevato grado di condensazione del DNA ha costituito il limite principale per
l’analisi citogenetica delle cellule spermatiche; il primo metodo per la
visualizzazione dei cromosomi all’interno del nucleo spermatico è stato messo
a punto nell’uomo solo alla fine degli anni ’80 e consisteva nella fecondazione
in vitro di ovociti di hamster con spermatozoi umani. Il citoplasma degli ovociti
maturi di hamster riuscì a decondensare la cromatina spermatica fortemente
100
compattata degli spermatozoi. A causa della differenza di specie il processo di
fecondazione si arrestò e non avvenne la fusione dei 2 pronuclei, consentendo
così di analizzare il contenuto cromosomico di singoli spermatozoi.
Lo studio delle aneuploidie dei cromosomi negli spermatozoi è attualmente
effettuato con la tecnica della Ibridazione In Situ evidenziata per mezzo della
Fluorescenza (FISH). I piccoli segmenti di DNA (sonde), vengono
specificamente legati (ibridizzati) a determinate regioni di quei cromosomi che
sono analizzati. Ogni sonda è identificata con una diversa colorazione
fluorescente. Queste sonde fluorescenti sono applicate al campione di liquido
seminale e vanno a legarsi ai cromosomi specifici. Per mezzo di un microscopio
ad epifluorescenza è possibile identificare i segnali di colori diversi per ogni
cromosoma investigato (uno, due o più). Un singolo segnale rappresenta una
monosomia, due una disomia e tre una trisomia dello specifico cromosoma. In
questo modo, la diagnosi di aneuploidia in uno specifico cromosoma può
essere effettuata. Gli uomini fertili normali hanno un tasso di aneuploidie del
2-4% nel liquido seminale, mentre gli uomini severamente infertili hanno un
tasso superiore al 27%. Un aumento delle aneuploidie presente nel liquido
seminale contribuisce alla infertilità maschile.
Criteri di score
Valutazione complessiva della riuscita della reazione
Per valutare la qualità e la riuscita del FISH test vanno considerati i seguenti
aspetti:
 Fondo: il fondo del vetrino deve apparire scuro, senza macchie o aloni
fluorescenti.
 Intensità della sonda: i segnali di ibridazione devono essere netti,
luminosi, ben definiti e riconoscibili.
 Controcolorazione: i nuclei devono apparire ben colorati, anche se non
troppo brillanti. La colorazione con il DAPI, infatti, se troppo luminosa, non
consente un’osservazione reale dell’ibridazione.
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Selezione dei nuclei per la conta
Contare almeno 100 nuclei per sonda e riportare le percentuali di cromosomi
sessuali, quelli disomici, trisomici o nullisomici. Calcolare anche la percentuale
delle popolazioni diploidi per i cromosomi 13, 18 e 21.
L’osservazione va effettuata con l’obiettivo 40X o 100X ad immersione. Non
prendere in considerazione i nuclei con segnali incerti. Se i segnali non sono
tutti delle stesse dimensioni per l’interpretazione dei risultati può essere utile
lo schema riportato nella fig. 20.
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