INDICE SUMMARY Editoriale Sistema cardiovascolare e disturbi respiratori nel sonno L. F. Nespoli, L. Nosetti, L. Nespoli Obesità e sindrome delle apnee ostruttive nel sonno (OSAS) L. Brunetti, I. Colella, R. Tesse, G. Tedeschi, R. Micieli, O. Amato, R. Procacci, V. Tranchino, L. Armenio 5 Volume 9, n. 34 - Giugno 2009 7 14 Disturbi comportamentali e neurocognitivi nella sindrome delle apnee ostruttive del bambino S. Miano, R. Castaldo, M. Cecili, M. P. Villa Sindromi infiammatorie da ipossia intermittente nel sonno M. P. Villa, M. Evangelisti, A. Urbano in età pediatrica J. Pagani, M.C. Paolino, A. Crescenzi, M. P. Villa Terapia medica dei disturbi respiratori nel sonno L. Brunetti, G. Tedeschi, D. Rizzi, I. Colella, L. Antonazzo, F. Fiore, V. Tranchino, C. Paglialunga, L. Calace, L. Armenio Terapia integrata nel bambino con disturbi respiratori notturni M. P. Villa, F. Ianniello, A.C. Massolo I disturbi parossistici del sonno in età evolutiva E. Finotti, C. Boniver, O. Bruni Polimorfismi genetici e fattori ambientali modificabili per ridurre il rischio di SIDS L. Nosetti, A. C. Niespolo, L. Nespoli Corticosteroidi per la nebulizzazione: non tutti nascono uguali A. Kantar, L. Terracciano, A. Fiocchi, G. Rossi Congressi Articoli del prossimo numero Spedizione in A.P. - 45% art. 2 comma 20/b legge 662/96 - N. 1047 del 12/07/2002 - Pisa Reg.Trib. PI n. 12 del 3 giugno 2002 Direttore scientifico Baraldi Eugenio (Padova) Codirettori scientifici Rusconi Franca (Firenze) Santamaria Francesca (Napoli) Segreteria scientifica Carraro Silvia (Padova) 22 29 Linee Guida per la diagnosi della sindrome delle apnee ostruttive nel sonno Organo ufficiale della Società Italiana per le Malattie Respiratorie Infantili (SIMRI) 38 50 59 66 Comitato editoriale Barbato Angelo (Padova) Bernardi Filippo (Bologna) Cutrera Renato (Roma) de Benedictis Fernando Maria (Ancona) Peroni Diego (Verona) Rusconi Franca (Firenze) Santamaria Francesca (Napoli) Tripodi Salvatore (Roma) Gruppo Allergologia coord. Pajno Giovanni (Messina) Gruppo Disturbi respiratori nel sonno coord. Brunetti Luigia (Bari) Gruppo Educazione coord. Indinnimeo Luciana (Roma) Gruppo Endoscopia bronchiale e delle Urgenze respiratorie coord. Midulla Fabio (Roma) Gruppo Fisiopatologia respiratoria coord.Verini Marcello (Chieti) Gruppo Riabilitazione respiratoria coord.Tancredi Giancarlo (Roma) Gruppo Il polmone suppurativo coord. Canciani Mario (Udine) Direttore responsabile Baraldi Eugenio (Padova) 74 83 103 107 © Copyright 2009 by Primula Multimedia Editore Primula Multimedia S.r.L. Via G. Ravizza, 22/b 56121 Pisa - Loc. Ospedaletto Tel. 050 9656242; fax 050 3163810 e-mail: [email protected] www.primulaedizioni.it Redazione Walker Manuella Realizzazione Editoriale Primula Multimedia S.r.L. Stampa Litografia VARO - San Giuliano Terme (PI) XIII Convegno della Società Italiana per le Malattie Respiratorie Infantili SIMRI 15 - 17 Ottobre 2009 Centro Congressi Hotel Royal Continental - Napoli Presidenti del Congresso Angelo F. Capristo Francesca Santamaria Presidente SIMRI Giovanni A. Rossi Segreteria Scientifica Carlo Capristo Fabio Decimo Sara De Stefano Nunzia Maiello Michele Miraglia del Giudice Silvia Montella Comitato Scientifico Consiglio Direttivo SIMRI Segreteria Organizzativa iDea congress Via della Farnesina, 224 - 00194 Roma Tel. 06 36381573 - Fax 06 36307682 E-mail: [email protected] - www.ideacpa.com Il Congresso seguirà le procedure presso il Ministero della Salute per l’attribuzione dei crediti di “Educazione Continua in Medicina” E.C.M. Domanda di ammissione per nuovi Soci Il sottoscritto, CHIEDE AL PRESIDENTE della Società Italiana per le Malattie Respiratorie Infantili di essere ammesso quale socio ordinario. Pertanto, riporta i seguenti dati personali: DATI PERSONALI Cognome Luogo e data di nascita Nome Domicilio (via/piazza) CAP Sede di lavoro Indirizzo Città Prov. Recapiti telefonici: Casa Ospedale Regione Reparto Studio Cellulare Fax e-mail Laurea in Medicina e Chirurgia - Anno di laurea Specializzazioni Altri titoli CATEGORIA Universitario Ospedaliero Pediatra di libera scelta QUALIFICA UNIVERSITARIA Professore Ordinario Professore Associato Ricercatore QUALIFICA OSPEDALIERA Dirigente di 2º Livello Dirigente di 1º Livello Altro Altro Con la presente autorizzo la Società Italiana per le Malattie Respiratorie Infantili al trattamento dei miei dati personali ai sensi del D.L. del 30 giugno 2003 n. 196. Data Firma del Richiedente Soci presentatori (cognome e nome) Firma 1) 2) Compilare in stampatello e spedire insieme con la copia dell’avvenuto versamento (quota sociale di euro 30,00. 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I disturbi respiratori nel sonno sono uno spettro di alterazioni che vanno dal russamento alla grave sindrome dell’apnea ostruttiva (OSAS). Numerosi studi hanno dimostrato che il russamento abituale può interessare fino al 10%-25% dei bambini e il 10% di questi può avere OSAS. I bambini obesi hanno un rischio elevato di presentare questa patologia. Numerosi dati della letteratura hanno dimostrato che i disturbi respiratori nel sonno si possono associare a complicanze cardiovascolari, problemi comportamentali e neurocognitivi e sono causa di un frequente ricorso alle cure del medico. Una diagnosi precoce ed accurata è fondamentale per prevenire le complicanze. La standardizzazione delle tecniche di monitoraggio e l’applicazione di criteri validati per la diagnosi resta una priorità per affrontare in maniera adeguata il trattamento che può essere farmacologico, chirurgico o di supporto ventilatorio con metodiche non invasive nei casi più complessi. In questo fascicolo, il gruppo dell’Università di Bari coordinato da Luigia Brunetti ci presenta una completa revisione della sindrome OSAS nel bambino, considerandone gli aspetti patogenetici, la relazione con l’obesità, e ci propone un aggiornato stato dell’arte sulle terapia medica. Il gruppo di Roma, coordinato da Maria Pia Villa ha affrontato l’aspetto della diagnosi, proponendo una revisione chiara e completa degli esami strumentali che abbiamo a disposizione nell’iter diagnostico dei bambini con disturbi respiratori del sonno. Gli Autori propongono inoltre una interessante riflessione sulle conseguenze dell’ipossia dovuta alla sindrome OSAS sia in relazione all’insorgenza di un quadro infiammatorio sistemico, sia per quanto riguarda le ripercussioni sugli aspetti cognitivi e comportamentali. Infine viene fatto il punto sulle opzioni terapeutiche per la gestione integrata del bambino con OSAS. Il gruppo di Varese ci porta un preciso aggiornamento sulle possibili complicanze cardiovascolari con possibile successiva insorgenza di sindrome metabolica in età adulta. Luana Nosetti e colleghi propongono un interessante articolo sulla SIDS con particolare riferimento al rapporto tra predisposizione genetica e influenza ambientale. Elena Finotti e collaboratori discutono il problema dei disturbi parossistici del sonno in età evolutiva, fornendo indicazioni su quali siano i segnali che dovrebbero indurre ad un approfondimento diagnostico. 5 Editoriale View point 6 Infine, nella rubrica “special topics” un gruppo di ben noti esperti, coordinato da Amy Kantar, ci offre uno stato dell’arte sulle diverse modalità di erogazione dei farmaci per via inalatoria, con particolare riferimento alla terapia steroidea. Ringrazio Luigia Brunetti per la preziosa collaborazione nel “tirar le fila” di questo interessante fascicolo e auguro a tutti un buon aggiornamento! Eugenio Baraldi e-mail: [email protected] Pneumologia Pediatrica 2009; 34: 7-13 7 Luisa Federica Nespoli1, Luana Nosetti2, Luigi Nespoli2 1U.O. Cardiologia Pediatrica e dell’età evolutiva, Policlinico “Sant’Orsola-Malpighi”, Bologna; 2Clinica Pediatrica, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi dell’Insubria, Varese Sistema cardiovascolare e disturbi respiratori nel sonno Cardiovascular system and sleep disordered breathing Parole chiave: disturbi respiratori nel sonno, sindrome delle apnee ostruttive nel sonno, cuore polmonare cronico, ipertensione polmonare, indice di performance miocardica Keywords: sleep disordered breathing, obstructive sleep apnea syndrome, cor pulmonale, pulmonary hypertension, myocardial per- formance index Riassunto. La sindrome delle apnee ostruttive nel sonno (obstructive sleep apnea syndrome, OSAS) è caratterizzata dall’interruzione ripetitiva della ventilazione durante il sonno causata dall’ostruzione intermittente delle alte vie aeree, associata a disturbo del sonno e ad ipossia e, non costantemente, ipercapnia. Queste ultime aumentano lo sforzo respiratorio con aumento della pressione negativa intratoracica e aumento della pressione transmurale ventricolare sinistra. Aumenta anche il ritorno venoso al ventricolo destro e la pressione arteriosa polmonare con aumento del postcarico ventricolare destro. L’ipossia intermittente induce la produzione di radicali liberi, di molecole proinfiammatorie, e riduzione dell’ossido nitrico (NO) con predisposizione all’aterosclerosi e all’ipertensione arteriosa. Nei bambini con OSAS esiste una maggior predisposizione ad eventi cardiovascolari legati all’aumentato tono simpatico con ipertensione arteriosa e ridotta variabilità della frequenza cardiaca, disfunzione endoteliale, disfunzione sisto-diastolica ventricolare, destra e sinistra, alterazioni proinfiammatorie e metaboliche. Il persistere dell’OSAS può portare non solo alla ipertensione polmonare e al cuore polmonare cronico, ma anche allo sviluppo di ipertensione arteriosa sistemica e alla sindrome metabolica. Se l’OSAS viene riconosciuta per tempo e trattata tempestivamente con la adeno-tonsillectomia (risolutiva nei tre quarti dei casi), le alterazioni a carico del cuore regrediscono nell’arco di alcuni mesi. È pertanto necessario aumentare la consapevolezza dei pediatri riguardo a queste patologie, spesso misconosciute dai genitori stessi dei bambini. Accettato per la pubblicazione il 13 maggio 2009. Corrispondenza: Dott.ssa Luisa Federica Nespoli, U.O. Cardiologia pediatrica e dell’età evolutiva. Policlinico “Sant’Orsola-Malpighi”, Bologna; e-mail: [email protected] Introduzione Russamento, sindrome delle aumentate resistenze respiratorie (upper airway resistance syndrome, UARS), e (la manifestazione più grave) sindrome dell’apnea ostruttiva nel sonno (OSAS), costituiscono lo spettro dei disturbi respiratori nel sonno (DRS) del bambino. Il russamento primario o abituale, presente per la maggior parte delle ore di sonno del bambino e per 3-5 giorni alla settimana, è un rumore a varie tonalità prodotto durante il sonno dalle vibrazioni dell’ugola e del palato molle, deriva da una ostruzione parziale delle alte vie aeree. La prevalenza è del 18%- 20% dei bambini fino ai 2 anni di età, del 7%-13% dei bambini fra 2 e 8 anni e 3%-5% dei bambini più grandi (1) (presente in circa il 12% in un gruppo di 604 bambini di età compresa fra 3 e 6 anni da noi esaminati) (2). Non si associa a caduta di saturazione dell’ossigeno nel sangue (SpO2) o ipercapnia. Un bambino con OSAS nella grande maggioranza dei casi russa. Questo fenomeno può associarsi a sintomi diurni e a scarse prestazioni scolastiche (3). L’American Thoracic Society definì nel 1996 l’OSAS come “disturbo del respiro durante il sonno caratterizzato da prolungata parziale ostruzione delle 8 Nespoli, et al. prime vie aeree e/o da una ostruzione completa intermittente (apnea ostruttiva) che compromette la normale ventilazione durante il sonno e i normali ritmi del sonno” (4). Questi episodi di totale o parziale ostruzione al flusso aereo portano di regola a caduta della SpO2 ed eventualmente ad ipercapnia e possono causare risvegli parziali o microrisvegli (microarousal). L’OSAS è egualmente rappresentata nei 2 sessi, ha una prevalenza 0,7%-10,3% nei bambini senza altre patologie associate (5). Presenta due picchi di incidenza il primo nell’età del gioco e il secondo in quella adolescenziale. Nel 1965 Menashe e collaboratori descrissero per la prima volta due bambini con cuore polmonare e ipoventilazione cronica dovuta a gravissima ostruzione delle vie aeree da ipertrofia adeno-tonsillare (6). L’ipertensione polmonare e il cuore polmonare sono state riportate come le più gravi sequele cardiologiche dell’OSAS (7). La genesi delle complicanze cardiache è multifattoriale (Figura 1). L’ipossia ed ipercapnia associate all’apnea, causano un aumento dello sforzo respiratorio inefficace a glottide chiusa, con conseguente creazione di aumentata pressione negativa intratoracica, ed aumento della pressione transmurale ventricolare sinistra (post-carico), potente stimolo allo sviluppo di ipertrofia cardiaca. La pressione intratoracica negativa aumenta il ritorno venoso, incrementando il precarico ventricolare destro, mentre l’ipossia causa vasocostrizione delle arterie polmonari, aumentando il postcarico ventricolare destro; come conseguenza si ha uno spostamento del setto interventricolare verso sinistra, con compressione del ventricolo sinistro e ridotta gittata sistolica. La presenza di episodi di ipossia-ipercapnia incrementa il tono simpatico, con vasocostrizione periferica, cui contribuisce inoltre l’aumento del tono simpatico al risveglio al termine dell’apnea. Questi effetti acuti possono persistere durante il giorno, determinando un aumento della pressione arteriosa sistemica ed una ridotta variabilità della frequenza cardiaca vagomediata (Figura 1) (8-10). L’ipossia intermittente può indurre produzione di radicali liberi dell’ossigeno, incremento delle molecole infiammatorie, riduzione della produzione di ossido nitrico con conseguente riduzione della vasodilatazione endotelio-mediata, con predisposizione all’aterosclerosi ed all’ipertensione arteriosa. È stata inoltre osservata una maggiore aggregabilità piastrinica con ridotta capacità fibrinolitica nei pazienti con OSAS, con aumentata trombofilia. Ipossemia Riossigenazione Pressione intratoracica OSAS Ipercapnia Privazione del sonno Attivazione simpatica Alterata regolazione metabolica Ingrossamento dell’arteria sinistra Arousal Disfunzione endoteliale Meccanismi di malattia Infiammazione sistemica Ipercoagulazione Sistemica Polmonare Ipertensione Scompenso cardiaco Malattia renale Malattie CV associate Aritmia Ictus Infarto miocardico Morte cardiaca improvvisa Figura 1 Riassunto schematico delle componenti fisiopatologiche dell’OSAS, dei meccanismi di attivazione della malattia cardiovascolare e del la successive evoluzione della malattia cardiovascolare ormai iniziata. Modificata da (10). Sistema cardiovascolare e disturbi respiratori nel sonno In bambini con OSAS, come negli adulti, è stata dimostrata una maggiore predisposizione ad eventi cardiovascolari. I principali effetti negativi (11, 12) delle apnee notturne in età pediatrica si possono riassumere in: - aumentato tono simpatico con ipertensione arteriosa e ridotta variabilità della frequenza cardiaca - disfunzione endoteliale - disfunzione sisto-diastolica ventricolare destra e sinistra - alterazioni proinfiammatorie e metaboliche. Disregolazione del sistema nervoso autonomo L’aumento dell’attività del sistema nervoso simpatico è stata studiata attraverso l’analisi della variabilità della frequenza cardiaca (HRV), costituita da una componente ad elevata frequenza (HF), che riflette l’attività nervosa vagale, ed una componente a bassa frequenza (LF), che riflette l’attività nervosa vagale e simpatica. Nei bambini con OSAS è stata evidenziata un’aumentata componente a bassa frequenza e del rapporto LF/HF sia durante il sonno che durante veglia. Una ridotta variabilità della frequenza cardiaca è un fattore prognostico negativo per aritmie e morte in pazienti adulti con cardiomiopatia dilatativa o infarto miocardico, mentre un’aumentata variabilità della pressione arteriosa in pazienti ipertesi è correlata a comparsa di danno d’organo. Uno studio in pazienti adulti con OSAS (13) ha valutato il sistema nervoso autonomo mediante lo studio della variabilità della frequenza cardiaca (LF, HF, LF/HF), la misura dell’attività nervosa simpatica a livello del nervo peroneale (MSNA), la valutazione della variabilità della pressione arteriosa durante la veglia. È stata dimostrata una ridotta variabilità della frequenza cardiaca, con aumento della componente LF e del rapporto LF/HF, aumentata attività nervosa simpatica, ridotta componente HF ed un’aumentata variabilità della pressione arteriosa sistemica. L’aumento dell’attività simpatica legato agli episodi di apnea può essere alla base dell’aumentata variabilità della pressione arteriosa, con alterazione della sensibilità barocettiva e di altri riflessi cardiovascolari che persistono durante il giorno. Anche i bambini con OSAS mostrano una frequenza cardiaca più elevata sia durante il sonno che durante la veglia, in associazione ad elevati valori di pressione arteriosa; questa associazione indicherebbe una disfunzione della sensibilità barocettiva, verosimilmente secondaria all’aumentato tono simpatico e/o all’aumentato volume plasmatico (14, 15). La pressione arteriosa sistemica è stata valutata nei pazienti con OSAS sia con misurazioni random durante la giornata che con una misurazione Holter nelle 24 ore, il migliore strumento per la valutazione delle variazioni pressorie indotte dai disturbi del sonno (15). Sono stati valutati in particolare il picco mattutino, la variabilità della pressione arteriosa diurna e notturna, il load pressorio, ossia la percentuale di valori superiori al 95° percentile sia per quanto riguarda la pressione arteriosa sistolica che diastolica, il cui andamento notturno sembra essere maggiormente influenzato dalla presenza di OSAS. Tutti questi parametri sono risultati significativamente aumentati in pazienti con OSAS, con un cut-off di significatività a partire da un indice di apnea-ipopnea (AHI) >5, indice di disturbo del sonno di grado lieve. Ciò comporta un aumentato rischio cardiovascolare già nella fase iniziale dei disturbi del sonno, in quanto tutti i parametri indagati sono stati dimostrati in pazienti adulti predittori dello sviluppo di ipertrofia miocardica, infarto miocardico, eventi cardiovascolari, ictus, aterosclerosi. Anche in età pediatrica è stata evidenziata un’associazione con la presenza di ipertrofia miocardica ed aumentata massa miocardica. Sono stati tuttavia riportati casi di pazienti pediatrici con OSA con bassi valori di pressione arteriosa sisto-diastolica; vi è comunque in tutti l’evidenza di una disregolazione della pressione arteriosa sistemica, con alterata vaso motricità (16-19). Disfunzione endoteliale Nei pazienti adulti con OSAS è stato evidenziato, quale meccanismo di morbidità cardiovascolare, la ridotta disponibilità di ossido nitrico, con conseguente disfunzione endoteliale ed innalzamento della pressione arteriosa. Inoltre sono stati evidenziati aumentati livelli plasmatici di nitrotirosina e/o di inibitore endogeno della sintasi dell’ossido nitrico, la asymmetric dimethylarginine (ADMA). Un altro marker della disfunzione endoteliale è il ligando solubile per il CD40, che incrementa l’espressione di mediatori infiammatori e fattori procoagulanti. Un recente studio di Gozal indica la presenza di aumentati livelli di sCD40 e di ADMA, proteina C-reattiva ed interleuchina-6 in pazienti 9 10 Nespoli, et al. con OSAS, che si riducono dopo l’intervento chirurgico di adenotonsillectomia, tranne nei pazienti con forte familiarità per patologie cardiovascolari (20, 21). OSAS ed ecocardiogramma L’associazione tra OSAS e cuore polmonare è stata descritta già da numerosi anni, tuttavia, tale evidenza è costituita da report di singoli casi e piccole serie (6, 7). La presenza di comorbidità e la differente definizione di ipertensione polmonare nei vari studi non permettono la stima della prevalenza di cuore polmonare in bambini con OSAS non complicata. Non sono noti i valori di severità e/o ipossia intermittente associati all’aumento di rischio di cuore polmonare; resta inoltre da chiarire la fisiopatologia ed il contributo dell’ipertensione venosa polmonare in pazienti pediatrici con OSAS (22, 23). L’avvento di nuove tecniche ecocardiografiche, ha permesso di evidenziare più precocemente alterazioni della funzione sisto-diastolica ventricolare, la comparsa di ipertrofia e rimodellamento ventricolare. Amin e collaboratori hanno dimostrato la presenza di ipertrofia ed aumento della massa ventricolare sinistra in pazienti con OSAS, con una correlazione tra severità del disturbo del sonno ed il grado di rimodellamento ventricolare (19). Lo stesso studio ha evidenziato un’associazione tra il grado di desaturazione raggiunto durante gli episodi di apnea ed i parametri ecocardiografici, mentre non vi era differenza nei valori di pressione arteriosa sistolica e diastolica tra i gruppi studiati. Tali risultati indicano, almeno nelle fasi iniziali dell’OSAS, un ruolo principale dell’ipossia e dell’incremento di mediatori infiammatori quali l’interleuchina-6 ed interleuchina-1β rispetto all’incremento della pressione arteriosa, nello sviluppo di ipertrofia ventricolare sinistra. Per quanto concerne il ventricolo destro, l’ipossia e l’ipercapnia risultanti dagli episodi di apnea, con acidosi respiratoria, causano vasocostrizione polmonare, sia in acuto, con effetti reversibili con la rimozione dell’ostruzione respiratoria, che in cronico, inducendo un rimodellamento dei vasi polmonari con ipertrofia della tonaca muscolare delle piccole e medie arterie, con aumento dello strain ed ipertrofia ventricolare destra. L’incremento del ritorno venoso sistemico causato dalla vasocostrizione e dall’aumento della pressione negativa intracardiaca causa inoltre dilatazione delle sezioni destre, con disfunzione ventricolare destra e sinistra, fino all’insufficienza cardiaca con edema polmonare (14, 19, 21). Uno studio di Duman (25) ha analizzato l’andamento del myocardial performance index (MPI), un indice della funzione globale ventricolare destra o sinistra, indipendente da frequenza cardiaca e pressione arteriosa, e della pressione arteriosa polmonare media, in pazienti con ipertrofia adenotonsillare prima e dopo l’intervento di adenotonsillectomia (Figura 2). Il MPI ventricolare destro è risultato più elevato nel preoperatorio nei pazienti con OSAS rispetto ai controlli, indicando la presenza di disfunzione ventricolare destra subclinica, mentre i valori di MPI ventricolare sinistro nei pazienti con OSAS risultavano sovrapponibili ai controlli. Il valore del MPI correlava con la severità dell’ostruzione respiratoria e con il valore della pressione arteriosa polmonare media, entrambi tali parametri mostravano una normalizzazione già nei primi mesi postoperatori (Figura 3). Con l’utilizzo del tissue Doppler imaging (TDI) è possibile studiare le velocità di accorciamento miocardico, con una valutazione più accurata della funzione diastolica cardiaca, rispetto ad un classico esame ecocardiografico. Un recente studio di Ugur (26) utilizzando il TDI ha evidenziato la presenza di disfunzione diastolica ventricolare destra e sinistra, che migliorava ad una rivalutazione dopo sei mesi dall’intervento di adenotonsillectomia. Figura 2 Calcolo dell’indice di performance miocardica (MPI) del ventricolo destro (RV). L’intervallo “a” (dall’inizio della contrazione isovolumetrica all’inizio del riempimento diastolico) è stato misurato dalla traccia di afflusso tricuspidale (sinistra della figura). L’intervallo “b” (tempo di eiezione sistolica) è stato misurato dalla traccia di eiezione del ventricolo destro (RV) (destra della figura). Modificata da (25). Sistema cardiovascolare e disturbi respiratori nel sonno 0,60 p= 0,9 p <0,001 p <0,001 RV MPI 0,40 0,20 N= 21 N= 21 N= 21 Controlli Preoperatorio Postoperatorio 0,00 Bambini con ATH Figura 3 Confronto degli indici di performance miocardica del ventricolo destro (RV MPI) in controlli, in bambini con DRS prima e dopo adenotonsillectomia (ATH). Modificata da (25). Un marker di disfunzione ventricolare sinistra ampiamente utilizzato nello scompenso cardiaco in pazienti adulti è il peptide natriuretrico atraile (BNP), rilasciato dai miociti ventricolari in risposta ad un sovraccarico pressorio e volumetrico (strain ventricolare), con conseguente vasodilatazione e natriuresi. L’incremento di pressione arteriosa al termine di un episodio ostruttivo, associato alla riduzione della gittata sistolica, determinata verosimilmente dall’aumento del postcarico ventricolare, e dall’aumento del precarico destro dovuto all’aumento della pressione intratoracica negativa, con conseguente spiazzamento verso sinistra del setto interventricolare, può agire come stimoli all’incremento del BNP, come già dimostrato in pazienti adulti. Kaditis e collaboratori (27) hanno misurato i livelli di BNP mattutini e notturni in bambini con e senza OSAS, dimostrando una correlazione tra i livelli di BNP notturno e la severità del disturbo ostruttivo, indicativo di strain ventricolare; resta da indagare la possibile associazione tra incremento del BNP notturno e disfunzione e rimodellamento ventricolare in bambini con OSAS. Conclusioni I disturbi respiratori nel sonno, in particolare la sindrome delle apnee ostruttive nel sonno, erano nel passato la prima causa di cuore polmonare cronico e i bambini che ne soffrivano giungevano in ospedale per scompenso cardiaco acuto (6). Fortunatamente, dopo la identificazione di questi disturbi anche nel bambino, questa evenienza è diventata del tutto eccezionale (28).Tuttavia le possibilità diagnostiche attuali hanno permesso di identificare segni di disfunzione cardiaca precoci che coinvolgono non solo il cuore destro, ma anche quello sinistro. Inoltre queste condizioni se non riconosciute e trattate precocemente, si associano a una condizione di infiammazione cronica che apre la strada a quella che sarà la sindrome metabolica dell’adulto. Le alterazioni a carico del cuore nonché quelle metaboliche vanno incontro a rapida regressione e normalizzazione se l’OSAS viene riconosciuta e trattata precocemente (25). L’intervento risolutivo che è rappresentato nella grande maggioranza dei casi dalla adenotonsillectomia deve essere programmato in modo molto attento ricordandosi del fatto che questi bambini OSAS sono più soggetti a rischi perioperatori e a complicanze di tipo anestesiologico. 11 Nespoli, et al. Bibliografia 1. Spilsbury JC, Redline S. Epidemiology of pediatric obstructive sleep apnea. In: Marcus CL, Carroll JL, Donnelly DF, Loughlin GM (eds). Sleep and Breathing in children. 2nd Edition. NY, Informa healthcare 2008: 397-418. 2. Castronovo V, Zucconi M, Nosetti L, et al. Prevalence of habitual snoring and sleep-disordered breathing in preschool-aged children in an Italian community. J Pediatr 2003; 142: 377-382. 3. O’Brien LM, Mervis CB, Holbrook CR, et al. Neurobehavioral implications of habitual snoring in children. Pediatrics 2004; 114: 44-49. 4. American Thoracic Society. Standards and indications for cardiopulmonary sleep studies in children. 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Maggiore”, Università degli Studi di Bari Obesità e sindrome delle apnee ostruttive nel sonno (OSAS) Obesity and obstructive sleep apnea syndrome (OSAS) Parole chiave: obesità, disturbi respiratori nel sonno, infiammazione, leptina Keywords: obesity, sleep breathing disorders, inflammation, leptin Riassunto. Il problema dell’obesità in età pediatrica è in drammatico aumento in tutto il mondo e rappresenta oggi un preoccupante fenomeno per la salute pubblica in relazione alle complicanze associate, tra cui soprattutto quelle cardiovascolari. Attualmente si ritiene che molte condizioni morbose finora considerate pressoché esclusive dell’età adulta possano avere origine nell’infanzia. Tra queste si annoverano i disturbi respiratori nel sonno e in particolare la sindrome delle apnee ostruttive nel sonno (OSAS). Considerando i dati epidemiologici disponibili è prevedibile che parallelamente all’aumento dell’obesità nei bambini, si osservi un aumento dell’incidenza dell’OSAS. Pertanto la classica presentazione del bambino affetto da OSAS con ipertrofia adenotonsillare e sottopeso, potrebbe gradualmente essere sostituita da quella di un paziente in sovrappeso. Inoltre, recentemente è stato ipotizzato che la patogenesi della sindrome delle apnee ostruttive non sia su base esclusivamente meccanica, ma coinvolga anche fattori umorali, tra cui alcune adipochine. Accettato per la pubblicazione il 13 maggio 2009. Corrispondenza: Prof.ssa Luigia Brunetti, Clinica Pediatrica I “S. Maggiore”, Università di Bari, Bari; e-mail: [email protected] Introduzione La prevalenza del sovrappeso nei bambini e negli adolescenti è in drammatico aumento in tutto il mondo (15%-17%) (1-3). Negli Stati Uniti, tra il 1980 e il 2000, essa è raddoppiata nei bambini fra i 6 e gli 11 anni ed è triplicata in quelli di età compresa tra i 12 e i 17 anni (4, 5). L’obesità, definita come un eccesso di peso corporeo per accumulo di tessuto adiposo tale da influire negativamente sullo stato di salute, è stata considerata dall’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) come uno dei più rilevanti problemi di salute pubblica nell’infanzia. Questo soprattutto in relazione all’impatto delle condizioni croniche ad essa associate, quali diabete mellito di tipo II, insulino resistenza, dislipidemie, ipertensione arteriosa, aterosclerosi, cardiopatia ischemica, steatosi epatica, disturbi respiratori, depressione e ridotta qualità di vita (6-11). Attualmente si ritiene che molte delle suddette condizioni, finora considerate problematiche pressoché esclusive dell’età adulta, possano avere origine proprio nell’infanzia e nell’adolescenza (12). Tra le numerose condizioni morbose associate all’obesità vanno considerati anche i disturbi respiratori nel sonno e, in particolare, la sindrome delle apnee ostruttive nel sonno (OSAS) (13) e la sindrome da obesità e ipoventilazione (14). Sindrome delle apnee ostruttive nel sonno Nonostante l’OSAS sia stata descritta sin dall’antichità, solo in tempi recenti è stata riconosciuta come un importante problema di salute pubblica in età pediatrica. Secondo i dati presenti in letteratura, Obesità e sindrome delle apnee ostruttive nel sonno (OSAS) la prevalenza dei disturbi respiratori nel sonno in età prescolare e scolare varia ampiamente dal 3,2% al 12% per quanto concerne il russamento abituale e dall’1,1% al 2,9% per quanto concerne l’OSAS (15-19). Da una nostra recente esperienza condotta su circa un migliaio di bambini e adolescenti del Sud Italia, è emerso che il 4,9% dei bambini soffriva di russamento, mentre la prevalenza dell’OSAS era pari a 1,8% (20). Nei bambini lo spettro clinico dei disturbi respiratori ostruttivi nel sonno comprende l’OSAS, la forma più grave, caratterizzata da episodi prolungati di parziale o completa ostruzione delle alte vie aeree che disturbano la ventilazione notturna (ipossia intermittente e ipercapnia) e la struttura del sonno, solitamente associati a una riduzione della saturazione ematica di ossigeno (21); la sindrome da aumentata resistenza delle vie aeree superiori (UARS), una forma intermedia in termini di severità dei disturbi nel sonno, caratterizzata da pattern respiratori nel complesso normali con evidenza di microrisvegli e frammentazione del sonno; il russamento abituale o primitivo, caratterizzato dall’assenza di apnee, alterazioni dello scambio dei gas e/o alterazione dell’architettura del sonno. I sintomi notturni più comuni dell’OSAS nei bambini includono russamento, respirazione orale, respiro rumoroso, movimenti paradossi toracoaddominali, pause respiratorie riferite dai genitori, difficoltà respiratoria, sudorazione profusa, cianosi, sonno agitato, enuresi. I sintomi diurni includono respirazione orale, difficoltà di risveglio al mattino, cefalea mattutina, congestione nasale, rinolalia, difficoltà di concentrazione, sonnolenza, iperattività e aggressività. Nei casi più severi di OSAS si può avere ipertensione polmonare e cuore polmonare, ipertensione arteriosa sistemica, ritardo di crescita e, in casi estremi, morte improvvisa. In linea generale i meccanismi fisiopatologici alla base delle apnee ostruttive nei bambini sono per molti aspetti differenti da quelli che intervengono negli adulti. In questi ultimi infatti l’OSAS è principalmente, anche se non esclusivamente, associata all’obesità; nei bambini, invece, la causa più frequente è rappresentata dall’ipertrofia tonsillare e adenoidea, seguita dalla rinite cronica, dall’obesità e dalle malocclusioni (22). Poiché il picco di incidenza dell’OSAS è compreso tra i 2 e gli 8 anni di età, alcuni Autori hanno attribuito questo dato alla sproporzionata crescita del tessuto linfoide delle alte vie aeree in questa fase della vita (23); al contrario, Arens ha suggerito che la crescita del tessuto linfoide sarebbe proporzionata allo sviluppo di altre strutture delle vie aeree superiori (24-26). Secondo recenti dati della letteratura, l’ipotesi più probabile sull’eccessivo sviluppo di questi tessuti sarebbe l’intervento di numerosi fattori come infezioni da virus respiratori, esposizione ad allergeni, fumo passivo e altri inquinanti atmosferici (12). Tuttavia è stata documentata solo una debole correlazione tra la severità dell’OSAS e le dimensioni di questi tessuti, quando valutati clinicamente o mediante metodi radiografici; evidentemente il ruolo dell’ipertrofia adenotonsillare nella patogenesi dell’OSAS è molto più complesso ed è possibile che l’orientamento tridimensionale di questi tessuti ed il modo in cui essi si sovrappongono a livello delle vie aeree sia un fattore più importante e possa significativamente influenzare la resistenza del flusso aereo durante il sonno (27). Gli studi più attuali suggerirebbero l’ipotesi di uno squilibrio dinamico nella funzione delle alte vie aeree in cui coesisterebbero alterazioni strutturali ed anatomiche con anomalie dei riflessi protettivi e neuromotori delle alte vie aeree. Obesità in età pediatrica: un fattore di rischio per l’OSAS? I bambini obesi presentano un rischio maggiore di sviluppare disturbi respiratori nel sonno? Il grado di severità dell’OSAS è proporzionale al grado di obesità? Numerose evidenze presenti in letteratura hanno dimostrato una correlazione tra OSAS e obesità: Guilleminault ha riportato che su 50 bambini con OSAS, cinque (10%) erano obesi (28); Mallory ha dimostrato la presenza di alterazioni polisonnografiche nel 24% dei soggetti di una popolazione di bambini obesi (29); allo stesso modo, Marcus ha evidenziato che il 46% di bambini e adolescenti obesi presentava alterazioni polisonnografiche e il 27% disturbi del sonno di grado moderato e severo (30). Redline e collaboratori hanno esaminato i fattori di rischio per disturbi respiratori nel sonno in bambini tra 2 e 18 anni e hanno trovato che negli obesi il rischio di sviluppare disturbi nel sonno aumentava di 4-5 volte (31); in particolare, per ogni incremento di 1 Kg/m² del body mass index (BMI) rispetto al valore medio di BMI per età 15 16 Brunetti, et al. e sesso, il rischio di OSAS aumentava del 12%. Dati preliminari relativi a una nostra casistica di bambini obesi hanno evidenziato una frequenza significativamente più alta (12,5%) di russamento abituale tra gli obesi rispetto ai bambini in sovrappeso (5,8%) e di peso normale (32). Sulla base di questi dati che mostrano una significativa correlazione tra l’obesità e i disturbi nel sonno e considerando che, secondo dati epidemiologici recenti, la prevalenza dell’obesità è in progressivo aumento nel mondo, è prevedibile che nei prossimi anni si osserverà anche un parallelo incremento dell’incidenza dell’OSAS. E dunque, la classica presentazione del bambino affetto da OSAS, sottopeso, con ipertrofia adenotonsillare, potrebbe gradualmente essere sostituita da quella di un paziente con analoghi disturbi ma in sovrappeso (33). Ma come influisce l’obesità sui disturbi respiratori nel sonno e viceversa? Secondo studi recenti, nei bambini obesi con OSAS la ristrettezza delle alte vie aeree è causata non solo dall’iperplasia/ipertrofia adenotonsillare, ma anche dall’infiltrazione di tessuto adiposo in queste strutture; inoltre i depositi di grasso nel sottocutaneo della regione anteriore del collo e della regione sottomentoniera rendono le alte vie aeree più suscettibili al collasso quando il soggetto é in posizione supina (34-36). Secondo le suddette osservazioni, l’iperplasia/ipertrofia adenotonsillare non è da considerarsi sempre il principale fattore di rischio per lo sviluppo di OSAS nei bambini obesi (30, 37). Infatti, il soggetto obeso è tipicamente affetto da un disturbo respiratorio di tipo restrittivo in cui il grasso viscerale agisce meccanicamente riducendo i volumi polmonari (38); inoltre l’aumento del tessuto adiposo a livello addominale, così come a livello del torace, aumenta il carico respiratorio globale e riduce l’escursione diaframmatica e il volume intratoracico, soprattutto in posizione supina (39). Queste modificazioni comportano una riduzione dei volumi polmonari e della riserva di ossigeno e un aumento del lavoro respiratorio durante il sonno (40).Tuttavia, se fino a poco tempo fa si riteneva che la patogenesi delle apnee ostruttive nel sonno fosse su base esclusivamente meccanica, recentemente è stato ipotizzato che alcuni fattori umorali, tra cui le adipochine, abbiano pure un ruolo rilevante. Il tessuto adiposo dei pazienti obesi ha le caratteristiche di un tessuto “infiammato” che presenta infiltrati di macrofagi e produce molecole in grado di richiamare le cellule della flogosi. L’infiammazione di tale tessuto, che oggi viene considerato un organo metabolicamente attivo e non un inerte deposito di energia, si associa ad una maggiore produzione di sostanze che inducono insulino-resistenza e aumentano il rischio cardiovascolare, quali leptina,TNF-α, resistina, IL-6, l’inibitore dell’attivatore del plasminogeno-1 (PAI-1), e a una minore sintesi di adiponectina, che invece aumenta la sensibilità all’insulina. In una serie di recenti ed eleganti studi condotti su pazienti adulti, è emerso il ruolo potenziale della leptina come collegamento endocrino-mediato tra obesità, sindrome metabolica e disturbi respiratori nel sonno; la condizione di obesità è stata associata ad una resistenza centrale e periferica alla leptina, che a sua volta comporta un inefficace aumento dei livelli circolanti di questa molecola (41-43). La ridotta biodisponibilità della leptina è stata implicata in ridotte risposte all’ipercapnia (44) ed in meccanismi sottostanti l’ipoventilazione alveolare nell’obesità (45-48). Infatti la leptina, il cui ruolo principale è nel controllo dell’appetito, è un potente stimolatore della funzione respiratoria, che oltre alle sue proprietà modulatorie sui chemorecettori centrali, sembra che agisca su tutta la meccanica respiratoria (49-51), nello stesso modo in cui influenza tutta l’attività chemorecettoriale periferica (52). Inoltre i ripetuti episodi di ipossia seguiti da riossigenazione, tipici dell’OSAS, determinano un aumentato rilascio di citochine proinfiammatorie e inducono uno stress ossidativo dell’endotelio vascolare aumentando il tono simpatico (53). Queste alterazioni potrebbero contribuire allo sviluppo dell’ipertensione, dell’insulino-resistenza e della dislipidemia e spiegherebbero perché l’OSAS rappresenterebbe un fattore di rischio indipendente per la comparsa delle complicanze cardiovascolari dell’obesità.Tuttavia, sono necessari ulteriori studi sul contributo dell’obesità nello sviluppo dei disturbi nel sonno in età pediatrica. In particolare resta da chiarire il ruolo delle adipochine in generale, e della leptina in particolare, nella fisiopatologia della disfunzione delle alte vie aeree e delle alterate risposte ventilatorie all’aumentata resistenza delle alte vie in questa epoca di vita. Trattamento L’adenotonsillectomia è considerato il primo presidio terapeutico nelle forme severe di OSAS. La maggior parte delle esperienze ha mostrato un marcato miglioramento del disturbo respiratorio Obesità e sindrome delle apnee ostruttive nel sonno (OSAS) nel sonno dopo la rimozione chirurgica di tonsille e adenoidi; tuttavia l’efficacia della terapia chirurgica in bambini obesi con OSAS è stata valutata solo in pochi studi. Mitchell e collaboratori hanno registrato una completa risoluzione dell’OSAS nel 46% dei bambini obesi con disturbi del sonno sottoposti ad adenotonsillectomia (54). Gozal, più recentemente, su 110 bambini trattati chirurgicamente (il 52% dei quali obesi), ha riportato una frequenza di OSAS residua maggiore negli obesi rispetto ai non obesi, con una incidenza di risoluzione completa molto più bassa nel gruppo degli obesi (55). Questi dati indicano che nei bambini obesi il trattamento chirurgico è meno efficace rispetto ai non obesi, confermando il dato che l’obesità alla diagnosi di OSAS rappresenta il rischio maggiore per la persistenza della malattia dopo il trattamento (56). È anche provato che l’obesità in generale determina un alto rischio post-operatorio e, in letteratura, esistono evidenze di un’incidenza di complicanze postoperatorie cardiache e respiratorie nel 23%-27% dei pazienti sottoposti ad adenotonsillectomia (57-59). A tale proposito, l’American Academy of Pediatrics identifica l’obesità come un fattore di rischio per complicanze postoperatorie di tipo respiratorio dopo adenotonsillectomia e raccomanda un’ospedalizzazione di 24 ore e uno stretto monitoraggio post-operatorio (60). Negli adulti affetti da OSAS, l’efficacia della riduzione del peso, che costituisce una delle principali raccomandazioni per la gestione della malattia, è ben riconosciuta. Alcuni Autori hanno documentato una risoluzione delle apnee nel sonno dopo riduzione di peso anche nei bambini (61, 62), sostenendo così che in particolari casi, in cui la chirurgia non è percorribile, un intensivo programma di riduzione del peso può essere di grande beneficio. La perdita di peso, se da un lato riduce la gravità del disturbo respiratorio nel sonno, dall’altro riduce le complicanze legate all’associazione obesità-OSAS, in particolare le alterazioni dell’endotelio delle arteriole e l’ispessimento della parete vascolare; tali eventi precoci precedono la formazione delle placche nel processo di aterogenesi responsabile della cardiopatia ischemica (63, 64) con elevato rischio di mortalità (65, 66). Un altro fondamentale ausilio terapeutico nell’OSAS del bambino è rappresentato dalla ventilazione continua a pressione positiva (continuous positive airway pressure, CPAP) che, oltre a ridurre gli episodi di apnee notturne, con conseguente riduzione dell’ipossiemia, è efficace nel ridurre la quota di adiposità viscerale. Non vi è dubbio che la terapia con CPAP attenua gli effetti cardiodepressivi dell’OSAS; a tale proposito è stato dimostrato che migliora la funzione ventricolare destra del cuore (67) e la funzione diastolica (68) e sistolica sinistra del cuore (69). Inoltre è stato dimostrato che il trattamento con CPAP di pazienti obesi con OSAS determina una significativa riduzione del grasso intraddominale e delle concentrazioni sieriche di leptina, anche in assenza di significative variazioni del peso corporeo (70). Conclusioni La perdita di peso non solo migliora la gravità del disturbo respiratorio nel sonno, ma riduce inoltre le complicanze legate all’associazione obesitàOSAS, in particolare le complicanze cardiovascolari che costituiscono oggi la principale causa di mortalità. 17 Brunetti, et al. Bibliografia 1. Magarey AM, Daniels LA, Boulton TJ. Prevalence of overweight and obesity in Australian children and adolescents: reassessment of 1985 and 1995 data against new standard international definitions. Med J Aust 2001; 174: 561-564. 2. Lobstein T, Baur L, Uauy R. IASO International Obesity Task Force. Obesity in children and young people: a crisis in public health. Obes Rev 2004; 5 (suppl 1):4-104. 3. Dietz WH, Robinson TN. Clinical practice. Overweight children and adolescents. N Eng J Med 2005; 352: 2100-2109. 4. Ogden CL, Kuczmarski RJ, Flegal KM, et al. 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I bambini con disturbi respiratori nel sonno presentano disturbi neurocomportamentali diurni, che comprendono il deficit di attenzione ed iperattività, disturbi dell’apprendimento e del comportamento che suggeriscono la presenza di eccessiva sonnolenza diurna.Tali disturbi sono presenti in almeno il 30% dei bambini con sindrome delle apnee ostruttive nel sonno (OSAS). Studi recenti hanno dimostrato una evidente relazione di causa-effetto tra l’ipossia notturna conseguente agli eventi respiratori (apnee e ipopnee ostruttive, limitazione di flusso), l’alterazione della struttura del sonno e la comparsa di deficit neurocognitivi. Oltre al deficit di attenzione ed iperattività, i bambini con OSAS presentano disturbi dell’apprendimento scolastico, deficit della memoria e delle funzioni esecutive. Molti studi hanno dimostrato una correlazione inversa tra i disturbi dell’apprendimento e della memoria e l’indice di apnea, e hanno anche dimostrato la presenza di deficit del quoziente intellettivo. La severità dell’OSAS nel bambino non è l’unico determinate per lo sviluppo dei deficit neurocognitivi, ma lo sviluppo di tali disturbi è mediato anche dalla suscettibilità genetica e dalle condizioni ambientali e questo spiegherebbe l’eterogeneità del fenotipo neurocomportamentale, con bambini affetti da OSAS severo che sono relativamente asintomatici e, al contrario, russatori con evidenti disturbi cognitivi. I sintomi neurocomportamentali sono indicativi di un’alterazione delle funzioni esecutive (scarso controllo degli impulsi, pensiero rigido, deficit della memoria di lavoro e della memoria contestuale, con difficoltà a prendere decisioni, e scarsa regolazione degli affetti e emozioni). Per tale motivo si è ipotizzato un coinvolgimento della corteccia prefrontale (PFC), che controlla le funzioni esecutive. I modelli animali hanno portato alla luce ulteriori chiarimenti sul ruolo dell’ipossia e gli effetti a livello cerebrale nell’OSAS pediatrica. Questi studi hanno dimostrato una relazione di causa-effetto tra ipossia e alterazioni sia anatomiche che funzionali della corteccia prefrontale e dell’ippocampo, che possono persistere per tutta la vita. Accettato per la pubblicazione il 13 maggio 2009. Corrispondenza: Dott.ssa Silvia Miano, Centro di Medicina del sonno in età pediatrica, Ospedale “S. Andrea”, Roma; e-mail: [email protected] Introduzione La prima descrizione della sindrome delle apnee ostruttive nel sonno (OSAS) nel bambino risale alla fine del XIX secolo, narrando delle conseguenze cognitive del disturbo notturno come: “il bambino è di giorno pigro, svogliato e rallentato” (1). Da allora, tale sindrome e le sue conseguenze neurocomportamentali non sono state più riportate fino a quasi il secolo successivo (2). Le apnee ostruttive nel sonno interessano i bambini di tutte le età, dal neonato all’adolescente, con una maggiore prevalenza in età prescolare (dai 2 ai 6 anni). La prevalenza dei disturbi respiratori nel sonno in età prescolare e scolare varia ampiamente: dal 3,2% al 27% per il russamento, dallo 0,5% al 3% per l’OSAS (3-4). I disturbi neurocompor tamentali diurni, che Disturbi comportamentali e neurocognitivi nella sindrome delle apnee ostruttive del bambino comprendono il deficit di attenzione ed iperattività, disturbi dell’apprendimento e comportamentali, suggeriscono la presenza di eccessiva sonnolenza diurna (5). Studi recenti hanno dimostrato una evidente relazione di causa-effetto tra l’ipossia notturna conseguente agli eventi respiratori (apnee e ipopnee ostruttive, limitazione di flusso), l’alterazione della struttura del sonno e la comparsa di deficit neurocognitivi (6). L’alterazione delle funzioni ristorative e delle funzioni omeostatiche del sonno può avere ripercussioni sulle connessioni sinaptiche, con effetti a lungo termine a livello neuronale, in particolare a livello della corteccia prefrontale, incidendo sui disturbi cognitivi (7). Nelle Linee Guida pediatriche italiane per la diagnosi dell’OSAS, tra i sintomi diurni sono presenti il deficit dell’attenzione ed iperattività diurna, lo scarso rendimento scolastico, e l’eccessiva sonnolenza diurna (8). L’OSAS non rappresenta soltanto un rischio per lo sviluppo neurocomportamentale nell’età evolutiva, ma molti bambini con disturbi neurologici sono più a rischio di sviluppare una sindrome delle apnee ostruttive nel sonno: sindromi ipotoniche (come nel bambino prematuro o nella sindrome di Down), paralisi cerebrali infantili, patologie del troncoencefalo, come la sindrome di Arnold-Chiari, malattie neuromuscolari (9). Per tutti questi motivi, l’OSAS pediatrica può essere considerata una sindrome neurocomportamentale, la cui diagnosi e cura diventano determinanti non solo per ridurre il rischio di sequele metaboliche e cardiovascolari, ma anche per la riduzione del rischio cognitivo. Gli studi sui disturbi neurocompor tamentali nell’OSAS pediatrica si possono differenziare a seconda della funzione neurocomportamentale e cognitiva indagata: studi che hanno utilizzato test neuropsicologici e/o questionari su bambini con OSAS per dimostrare la presenza di disturbi comportamentali, psichiatrici e disturbi cognitivi (deficit di attenzione ed iperattività, disturbi del comportamento e della condotta, ansia, depressione, deficit delle funzioni esecutive, disturbi degli apprendimenti scolastici), o la presenza di eccessiva sonnolenza diurna (studi di neurofisiologia e/o con questionari) ed infine studi neurofisiologici del sonno per dimostrare la presenza di caratteristiche alterazioni dell’attività cerebrale in sonno (studi polisonnografici sulla microstruttura del sonno). OSAS e disturbi neurocomportamentali Disturbi comportamentali Durante il giorno, i sintomi più caratteristici dei bambini che russano e che hanno apnee ostruttive durante il sonno sono rappresentati dall’iperattività ed il deficit attentivo, con conseguente scarso rendimento scolastico e irritabilità diurna. Tali disturbi sono presenti in almeno il 30% dei bambini con OSAS ma il comportamento diurno migliora nettamente dopo la terapia chirurgica di adenotonsillectomia (10-12). I sintomi dei bambini con OSAS non rientrano pienamente nei criteri di diagnosi della sindrome da disattenzione ed iperattività (attention deficit hyperactivity disorder, ADHD), ma possono essere più sfumati e meno severi, anche se è stato dimostrato che nei bambini con ADHD la percentuale di OSAS è del 20% (13). È stata inoltre osservata una correlazione tra la severità del disturbo respiratorio e la severità del deficit d’attenzione e dell’impulsività (14). I bambini con OSAS presentano una riduzione delle capacità riflessive, della capacità di attenzione sostenuta e selettiva e una riduzione del quoziente intellettivo (15). Non bisogna dimenticare che i disturbi comportamentali e le conseguenze cognitive del disturbo respiratorio nel sonno sono presenti anche nei bambini in cui viene riferito un russamento “benigno”, senza la presenza di apnee nel sonno; per cui il russamento deve essere sempre considerato seriamente dai pediatri e la cura precoce può evitare conseguenze a lungo termine sul piano cognitivo (10). Disturbi neuropsicologici Oltre al deficit di attenzione ed iperattività, i bambini con OSAS presentano disturbi dell’apprendimento scolastico, deficit della memoria e delle funzioni esecutive. Molti studi hanno dimostrato una correlazione inversa tra i disturbi dell’apprendimento e della memoria e l’indice di apnea e hanno anche dimostrato la presenza di deficit del quoziente intellettivo. Tutti questi disturbi neurocognitivi sono stati messi in relazione con gli episodi di ipossia notturna, secondari alle apnee nel sonno (1618). Esiste una relazione tra la comparsa di OSAS in età prescolare e difficoltà di apprendimento in età scolare, con reversibilità e risoluzione delle difficoltà scolastiche dopo intervento chirurgico (13, 19-20). Non è ancora chiaro se il disturbo respiratorio induca effetti negativi sull’intelligenza globale o su 23 24 Miano, et al. specifiche aree (intelligenza verbale, visuo-spaziale, performance) e se tali deficit siano reversibili. Tale reversibilità può essere anche parziale, perché un’alterazione precoce in età prescolare può determinare un debito cognitivo che non si riesce a recuperare, o in alternativa il deficit neurocognitivo è espressione di un alterazione anche funzionale irreversibile o parzialmente reversibile del sistema nervoso, in particolare della corteccia prefrontale (7, 20). Nell’ambito dei deficit neuropsicologici indagati recentemente è stato dimostrato che questi bambini presentano un disturbo del linguaggio di tipo fonologico, e riguardante in particolare una ridotta capacità di discriminazione fonologica (13). Molti lavori hanno studiato le funzione esecutive in questi bambini, in quanto il core dei sintomi neurocomportamentali indicano una alterazione proprio delle funzioni esecutive (scarso controllo degli impulsi, pensiero rigido, deficit della memoria di lavoro e della memoria contestuale, con difficoltà a prendere decisioni, e scarsa regolazione degli affetti e emozioni). Nel modello descritto da Beebe e Gozal (7) i disturbi comportamentali e cognitivi presenti nei bambini con OSAS potrebbero essere legati ad un’alterazione della corteccia prefrontale (PFC), che rappresenta l’area cerebrale deputata al controllo delle funzioni esecutive. La corteccia prefrontale presenta una notevole riduzione dell’attività in tutti gli stadi del sonno ed è apparentemente disconnessa dalle altre regioni della corteccia, in quanto nel sonno avviene la ricalibrazione delle informazioni della veglia durante il sonno. La corteccia prefrontale è l’ultima area cerebrale che matura, infatti i bambini acquisiscono la piena maturità delle funzioni esecutive all’età di 10-12 anni: il picco d’incidenza dell’OSAS può costituire un periodo di particolare vulnerabilità della maturazione della PFC che può essere solo parzialmente reversibile. OSAS ed eccessiva sonnolenza diurna La sonnolenza diurna rappresenta la conseguenza diurna più importante dell’OSAS e questo sintomo diurno è maggiormente evidente nell’adulto, mentre è di più difficile valutazione nel bambino. Esiste un test per misurare oggettivamente la sonnolenza diurna che si chiama test delle latenza multiple al sonno (multiple sleep latency test, MSLT): si caratterizza per la ripetizione di 5 polisonnografie brevi della durata di circa 20-30 minuti durante il giorno, con inizio al mattino e ripetizione ad intervalli regolari di circa 2 ore. Alla fine della prova viene calcolato il tempo di latenza all’addormentamento e minore è il valore, maggiore è la sonnolenza diurna. Studi con il MSLT riportano la presenza di sonnolenza diurna in una percentuale che varia dal 12% al 20% di bambini con OSAS, in particolare nei soggetti obesi (21-22). Esistono anche questionari che indagano la sonnolenza diurna come la scala di valutazione della sonnolenza diurna pediatrica (pediatric daytime sleepiness scale, PDSS) (23). I questionari vengono utilizzati anche perché il punteggio al MSLT spesso non corrisponde alla sonnolenza soggettiva, infatti la percentuale di sonnolenza diurna nei bambini che russano sale al 40% circa quando tale sintomo viene indagato con il questionario (24). Un lavoro recente ha dimostrato una relazione tra eccessiva sonnolenza diurna, russamento e ridotte prestazioni scolastiche in un gruppo di adolescenti spagnoli intervistati con la PDSS (25). OSAS e microstruttura del sonno La correlazione tra disturbi neurocognitivi e frammentazione del sonno è stata indagata attraverso l’analisi della struttura del sonno, in particolare l’analisi degli arousal, che sono degli eventi di breve durata (pochi secondi) riconoscibili all’elettroencefalogramma (EEG), che testimoniano la fluttuazione dal sonno verso la veglia. Nonostante molti studi abbiano dimostrato la presenza di un’alterazione della microstruttura del sonno (analisi degli arousal e degli eventi brevi al di sotto del minuto), caratterizzata da un aumento dei movimenti, degli arousal e dei movimenti periodici in sonno (26-28), nei bambini il riconoscimento degli arousal alla fine di un evento respiratorio è più difficile rispetto a quello degli adulti (29). La spiegazione potrebbe essere che l’ipossia e l’ipercapnia notturne secondarie all’OSAS siano causa di un deficit di arousal, ma è anche possibile che nei bambini vi siano presenti eventi non riconoscibili con la semplice analisi degli arousal (30). Per tutti questi motivi, recentemente il nostro gruppo e altri ricercatori hanno effettuato lo studio della microstruttura del sonno attraverso l’analisi del pattern alternate ciclico (CAP), le cui oscillazioni lente all’EEG (sottotipi A1) sono strettamente correlate all’attività della corteccia prefrontale (30-34). Il CAP è testimone di un ritmo endogeno a genesi talamo-corticale che Disturbi comportamentali e neurocognitivi nella sindrome delle apnee ostruttive del bambino riflette la fatica del cervello nel preservare e regolare la microstruttura del sonno. Ogni ciclo CAP è composto dall’alternanza di eventi attivatori (fase A) e inibitori (fase B) che coinvolgono simultaneamente la profondità del sonno, il tono muscolare e le attività neurovegetative. In base alle caratteristiche morfologiche e all’impatto sul tono muscolare e sulle funzioni autonomiche, le fasi A si dividono in potenze A1, A2 e A3, a seconda della predominanza di componenti lente ed in sincronizzazione (sottotipi A1) oppure di componenti rapide e di desincronizzazione, più simili all’arousal (sottotipi A2 e A3) (31). Le figure 1 e 2 mostrano esempi dei sottotipi del CAP, durante una fase di sonno non-REM. La necessità di un’analisi più raffinata del sonno nei bambini con OSAS è dovuta anche al fatto che non esiste una correlazione diretta tra la frammentazione del sonno (aumento degli arousal e alterazione macrostruttura del sonno), deficit neurocognitivi e sonnolenza diurna (30). L’analisi del CAP ha rilevato la presenza di una riduzione del CAP rate ed in particolare dei sottotipi A1 in un gruppo di bambini con OSAS severa (30). In un altro lavoro in un gruppo di bambini con una forma più lieve abbiamo dimostrato la presenza di un aumento del CAP rate con persistenza di tale alterazione anche dopo la correzione e risoluzione del problema respiratorio, a conferma che le alterazioni EEG possono essere la spia di un disturbo neuronale persistente o di una parziale risposta al trattamento LOC-A2 ROC-A1 A1 A1 Fp1-T3 Fp2-T4 C3-A2 C4-A1 Chin1-Chin2 Figura 1 Esempio di due sottotipi A1 del CAP, in un epoca di sonno 2NREM, epoca di 30 secondi, 300µv di ampiezza. ROC, occhio destro, LOC, occhio sinistro, chin-chin2, elettromiogramma sottomentoniero. LOC ROC Fp1-C3 Fp2-C4 A2 A3 C3-A2 C4-A1 D1-A2 D2-A1 Chin-Chin2 Figura 2 Esempio di due sottotipi A2 e A3 del CAP, in un epoca di sonno 2NREM, epoca di 30 secondi, 300µv di ampiezza. ROC, occhio destro, LOC, occhio sinistro, chin-chin2, elettromiogramma sottomentoniero. 25 26 Miano, et al. (34). Recentemente abbiamo dimostrato che una riduzione del CAP rate e dei sottotipi A1 del CAP nei bambini con OSAS sembra essere correlata alla presenza di anomalie parossistiche all’EEG, simili a quelle presenti nei bambini con epilessia rolandica, con autismo, ADHD, o con disturbi dell’apprendimento (Figura 3) (35). La presenza di anomalie EEG può inoltre essere un ulteriore segno di disfunzione della corteccia prefrontale, con ipereccitabilità talamica. Tali anomalie EEG sono presenti in circa il 14% dei bambini con OSAS, mentre sono assenti nei bambini con solo russamento (35). Discussione I modelli animali hanno portato alla luce ulteriori chiarimenti sul ruolo dell’ipossia e degli effetti a livello cerebrale dell’OSAS pediatrica (10). Questi studi hanno dimostrato una relazione di causaeffetto tra ipossia e alterazioni sia anatomiche che funzionali della corteccia prefrontale e dell’ippocampo, che possono persistere per tutta la vita (36-38). I ratti esposti all’ipossia intermittente presentano un aumento dell’attività motoria e una riduzione della durata e del numero di interazioni sociali, che possono essere considerate il corrispettivo dell’iperattività e della riduzione dell’attenzione sostenuta nei bambini con OSAS (38). È stato recentemente dimostrato che l’ipossia intermittente durante il sonno causa perdita neuronale (39), tale perdita neuronale sembrerebbe mediata dall’attivazione dei mediatori dell’infiammazione (fattore di attivazione piastrinico, ciclo-ossigenasi 2, attivatore della sintesi dell’ossido nitrico, apolipoproteina E) (38, 40-43) e dalla ridotta capacità delle cellule staminali di migrare e differenziarsi nelle zone di necrosi neuronale (44). La severità dell’OSAS nel bambino non è l’unico determinate per lo sviluppo dei deficit neurocognitivi, ma lo sviluppo di tali disturbi è mediato anche dalla suscettibilità genetica e dalle condizioni ambientali e questo spiegherebbe l’eterogeneità del fenotipo neurocomportamentale, con bambini affetti da OSAS severo che sono relativamente asintomatici e al contrario russatori con evidenti disturbi cognitivi (10, 45). Un recente editoriale di Bruni e Ferri (45) ha ipotizzato che il rischio di sviluppo dei deficit cognitivi nei bambini con OSAS sia mediato dalla riduzione del fattore di crescita dell’insulina (IGF-1) e dalla suscettibilità genetica, in particolare a livello del locus dell’apolipoproteina E, nel cromosoma 19. Nell’OSAS pediatrica è stata recentemente dimostrata una riduzione dell’IGF-1 e una maggiore rappresentazione del locus E dell’apolipoproteina E (apoE) nei bambini con deficit neurocognitivi. È stato inoltre dimostrato che l’IGF-1 ha un ruolo protettivo nella neurogenesi a livello dell’ippocampo e di resistenza all’ipossia (45). L’attività dell’IGF-1 è anche una misura indiretta di quella dell’ormone della crescita, che viene secreto principalmente nella prima parte della notte e durante il sonno ad onde lente (nel sonno NREM) (45). Le oscillazioni del sonno ad onde lente sono direttamente correlate con i processi di memorizzazione a lungo termine e sono principalmente rappresentate a livello dello scalpo dai sottotipi A1 del CAP (45). Per questo motivo gli studi della microstruttura del sonno (in particolare nei bambini con OSAS e anomalie EEG) insieme a studi sul metabolismo e sul ruolo dei mediatori dell’infiammazione possono portare ulteriori conferme a questa ipotesi patofisiologica. Fp2-C4 C4-T4 T4-O2 Fp1-C3 C3-T3 T3-O1 C4-A1 C3-A2 O2-A1 O1-A2 LOC ROC Chin Figura 3 Esempio di anomalie elettroencefalografiche in un bambino con OSAS (da onde aguzze sulle regioni centrali di sinistra), epoca di 30 secondi, 300µv di ampiezza. ROC, occhio destro, LOC, occhio sinistro, chin, elettromiogramma sottomentoniero. Bibliografia 1. Hill W. On some causes of backwardness and stupidity in children. BMJ 1889; 2: 771-772. 2. Guilleminault C, Eldridge FL, Simmons FB, Dement WC. Sleep apnea in eight children. 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Andrea”, II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università “La Sapienza”, Roma Sindromi infiammatorie da ipossia intermittente nel sonno Inflammatory and intermittent hypoxia syndrome Parole chiave: OSAS, obesità, ipoventilazione, ipossia intermittente Keywords: OSAS, obesity, hypoventilation, intermittent hypoxia Riassunto. La sindrome delle apnee ostruttive notturne (OSAS) è una condizione clinica caratterizzata da ripetuti episodi di parziale (ipopnea) o completa (apnea) ostruzione delle alte vie aeree che avvengono durante il riposo notturno, con conseguente disregolazione della normale ventilazione notturna, ipercapnia ed ipossiemia e frammentazione del sonno. La fisiopatologia delle complicanze legate all’OSAS sono multifattoriali ma studi recenti hanno concentrato l’attenzione sulla ipossia intermittente che si verifica durante la notte con cicli ripetuti di ipossia e riossigenazione e che sarebbe alla base della morbidità dei DRS nonché della comorbidità con l’obesità. L’OSAS e l’ipoventilazione sono responsabili di uno stato infiammatorio sistemico che se non rimosso determina danni a vari organi ed apparati. La comorbidità tra OSAS e obesità ha permesso di comprendere come il meccanismo patogenetico dell’infiammazione comune alle due sindromi, possa riconoscere il medesimo modello di ipossia intermittente e ipossia cronica. Accettato per la pubblicazione il 13 maggio 2009. Corrispondenza: Prof.ssa Maria Pia Villa, Dipartimento di Pediatria, A.O. “S. Andrea”, II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università “La Sapienza”, Roma; e-mail: [email protected] Introduzione I disturbi respiratori nel sonno (DRS) sono un continuum di disordini respiratori (Figura 1) osservabili durante il riposo notturno che vanno dal russamento isolato alle ipopnee per giungere alle apnee e che disturbano la ventilazione notturna e l’architettura del sonno (1). Sono disturbi prevalentemente ostruttivi che riconoscono momenti patogenetici di varia natura. L’ipopnea può essere ulteriormente caratterizzata come ostruttiva quando è associata a movimenti in opposizione di fase di torace o addome oppure è definita centrale in caso di riduzione in fase degli stessi segnali (2-4). In accordo con Gastaut e collaboratori, sia l’apnea che l’ipopnea possono essere classificate in 3 tipi differenti: centrale, ostruttiva e mista (5). Il prototipo dell’ipoventilazione centrale è la sindrome di Ondine o ipoventilazione centrale congenita di cui non parleremo in questo articolo mentre ci occuperemo delle apnee/ipopnee ostruttive da limitazioni al flusso aereo come risultato della collassabilità e restringimento delle alte vie aeree. Epidemiologia Sebbene l’incidenza del russamento primario e della sindrome delle apnee/ipopnea ostruttive del sonno (OSAS) non siano conosciute precisamente, stime recenti indicano che circa il 9% di bambini tra 1 e 10 anni e l’8,5% tra 6 e 13 anni hanno un russamento abituale, senza differenza tra i due 30 Villa, et al. Resistenze delle vie aeree superiori normali (no russamento) Aumento delle resistenze delle alte vie respiratorie che causa solo rumore respiratorio (russamento) Aumento delle resistenze delle alte vie aeree capace di deteriorare la qualità del sonno Aumento delle resistenze capace di elevare la PaCO2 e di abbassare la SaO2 Aumento delle resistenze delle alte vie aeree che portano ad una completa o parziale chiusura intermittente delle alte vie aeree Normale Russamento primario UARS Ipoventilazione ostruttiva o ipopnea ostruttiva Apnea ostruttiva (OSA) Figura 1 Rappresentazione grafica della distribuzione dei disturbi respiratori nel sonno. sessi e che circa l’1%-3%, con una prevalenza nei bambini tra i 2 e i 5 anni, presenta apnee/ipopnee ostruttive nel sonno (6-8). La ipoventilazione nel sonno è di difficile definizione in età pediatrica ma se ci distacchiamo dalla definizione strumentale di ipopnea, possiamo indicare come ipoventilazione ogni sindrome respiratoria ostruttiva che si verifichi durante il sonno. Negli ultimi 2 decenni si è assistito all’incremento dell’obesità/soprappeso nella popolazione pediatrica e, sebbene le stime non siano ancora ben conosciute, è comunque aumentata la prevalenza di bambini obesi che si recano presso centri di medicina del sonno (9-11) per disturbi respiratori nel sonno. Questo fenotipo di bambini presenta delle caratteristiche della obesity hypoventilation syndrome (OHS) con obesità marcata, sonnolenza diurna, cianosi, policitemia, ipoventilazione alveolare, respiro periodico, ipossiemia intermittente ed ipercapnia. L’eziopatogenesi di questa forma non è completamente chiarita ma alcuni studi indicano che il meccanismo alla base potrebbe essere dovuto all’associazione di alterato controllo del drive ventilatorio, congenito o acquisito, e anomalie respiratorie dovute all’alterata dinamica della gabbia toracica per l’obesità. Aspetti clinici I sintomi predominanti sono rappresentati dal russamento, dagli sforzi respiratori nel sonno, dalla presenza di apnee e da sintomi diurni quali disturbi neurocognitivi e comportamentali (iperattività, sonnolenza diurna, deficit di attenzione) e respirazione orale (12-14). Patogenesi La presentazione fisiopatologica è correlata alla collassabilità delle alte vie aeree e alla riduzione del lume faringeo (15). L’ostruzione completa è definita apnea, mentre il collasso parziale delle alte vie aeree è definita ipopnea. Fattori anatomici, come l’ipertrofia adeno-tonsillare e le anomalie cranio-facciali, sono coinvolti nella patogenesi dell’OSAS. I disturbi dell’arousal e l’alterato controllo neurovegetativo spesso accompagnano tale sindrome (16-17). Naturalmente fattori genetici giocano un ruolo addizionale, di difficile inquadramento. Sebbene nel bambino la riduzione del flusso aereo è per lo più dovuto all’ingombro creato dal tessuto adenotonsillare ipertrofico, anche l’effetto meccanico Sindromi infiammatorie da ipossia intermittente nel sonno esercitato dal tessuto adiposo a livello del collo e della parete addominale è ugualmente responsabile di eventi ostruttivi respiratori (16-21). L’ipoventilazione che consegue a tali eventi respiratori induce ipossia notturna di severità pari al grado di ostruzione (Figura 2). Studi recenti suggeriscono che i cicli ripetuti di ipossia e riossigenazione, propri degli eventi ostruttivi, inducono a livello mitocondriale la produzione di fattori dell’infiammazione, come il fattore di necorsi tumorale alpha (tumor necrosis factor, TNF-α) e le interleuchine 6, 10 e 8 (IL-6, IL-10, IL-8), in grado di determinare uno stato infiammatorio sistemico. Il danno che ne consegue sembrerebbe essere alla base della morbidità cardiovascolare tipica delle sindromi respiratorie ostruttive durante il sonno (22-23). In particolare, secondo il modello proposto da Ryan (Figura 3), i ripetuti episodi di transitoria ipossia determinano uno stress mitocondriale a livello cellulare ed innescano la cascata citochinica proinfiammatoria attraverso l’attivazione del fattore nucleare di trascrizione NF-κB. Gli effetti di tale attivazione aumentano l’espressione di fattori proaterogeni come il TNF-α che contribuiscono alla disfunzione endoteliale e di conseguenza alle complicanze cardiocircolatorie (24-25). Tempo (ore) 22:00 23:00 24:00 01:00 02:00 03:00 04:00 05:00 100 80 70 Tempo (min) 100 60 50 02:00 02:10 % di saturazione dell’O2 % di saturazione dell’O2 90 22:00 90 Figura 2 Cicli di ipossia e riossigenazione in corso di eventi desaturanti da ostruzione delle alte vie respiratorie durante il sonno. Normossia sostenuta Ipossia sostenuta ~90% ~100% O2 ~10% Ipossia intermittente HIF-1α O2 HIF-1α HIF-1α VEGF EPO Adattata Figura 3 Modello di Ryan. NFκB TNF-α Infiammatoria 31 32 Villa, et al. La base fisiopatologia di tale meccanismo di flogosi sta nel continuo alternarsi di episodi di ipossiariossigenazione caratteristici dell’OSAS (23). Mentre una ipossia sostenuta attiva una risposta adattativa attraverso l’aumentata espressione di diversi geni che codificano per proteine quali la eritropoietina (EPO) e il vascular endothelial growth factor (VEGF) – mediata dall’attivazione del hypoxia inducible factor (HIF-1) in risposta alla riduzione dell’ossigeno disponibile, i ripetuti episodi di ipossia transitoria determinano a livello cellulare uno stress mitocondriale che innesca la cascata citochinica proinfiammatoria attraverso l’attivazione del fattore nucleare di trascrizione NFκB. Gli effetti di tale attivazione aumentano l’espressione di fattori pro-aterogeni come il TNF-α che contribuiscono alla disfunzione endoteliale responsabile delle complicanze cardiocircolatorie (Figura 3). Il meccanismo ischemia-riperfusione, aumenta inoltre la produzione di radicali liberi dell’ossigeno (ROS), altamente reattivi, capaci di interagire con tutte le macromolecole biologiche, alterandone la struttura e la funzione in modo spesso irreversibile. In particolare, sembra essere il danno da riperfusione il principale responsabile dell’attivazione di sistemi pro-infiammatori che promuovono la formazione di un ambiente proaterogeno (26-27). L’aumento della produzione e della liberazione di ROS a livello endoteliale ha diverse conseguenze: - la sintesi e l’espressione in membrana di molecole di adesione - la riduzione dei livelli di NO di derivazione endoteliale, aumento di perossinitrito - il rolling di linfociti Th ed attivazione della flogosi parietale - l’adesione ed attivazione piastrinica - l’ossidazione delle LDL - il danno endoteliale. L’endotelio perde la sua funzione anti-infiammatoria e anti-aterogena ed inizia a produrre molecole vasoattive, citochine e fattori di crescita (Figura 4). Se la risposta infiammatoria non riesce a neutralizzare o a rimuovere l’agente offensivo, la flogosi si automantiene (27-28). Verrà quindi stimolata la migrazione e la proliferazione delle cellule muscolari lisce che perdono il loro fenotipo contrattile e si spostano dalla media all’intima, stimolando la sintesi di enzimi come le metalloproteinasi e le elastasi, con deposizione di collagene, elastina e glicoproteine che contribuiscono alla formazione di tessuto fibroso che progressivamente riveste il core lipidico (25-26). Si comprende come i fattori fisiopatologici alla base del rischio di sviluppare malattie cardiovascolari in soggetti con OSAS siano molteplici e correlati. L’infiammazione, la disfunzione endoteliale, l’attivazione cronica del sistema nervoso simpatico e la stimolazione del sistema renina-angiotensina (25-26) sono tutti aspetti attivati dopo episodi di ipossia intermittente. La comorbidità tra obesità e OSAS è in forte aumento a causa dell’aumento del numero di bambini che presenta eccesso ponderale. Entrambe rappresentano modelli di infiammazione e di danno endoteliale che hanno punti in comune. Studi in vitro hanno dimostrato che la sintesi di leptina (che è aumentata negli obesi), dotata di proprietà pro-angiogeniche, incrementi i suoi livelli in seguito ad un insulto ipossico con un meccanismo di attivazione mediato dall’HIF-1. Gozal ha inoltre mostrato in un recente studio che i livelli di leptina circolante in soggetti con OSAS sono correlati non solo all’indice di massa corporea ma anche all’indice di apnea-ipopnea (apneaipopnea index, AHI). La diminuzione dell’eNO circolante associato allo stress mitocondriale che si verifica nell’OSAS potrebbe determinare una condizione di riassetto del metabolismo cellulare con una diminuzione nel dispendio di energia ed accumulo di tessuto adiposo (27). A parità di consumo di cibo, animali knockout per il gene che codifica per l’ossido nitrico sintetasi endoteliale hanno, infatti, una spesa energetica inferiore ed un accumulo di peso aumentato rispetto ai controlli. Inoltre, essi possiedono tutte le stigmate dei soggetti affetti da sindrome metabolica essendo insulino-resistenti (diabetici), ipertesi e iperlipidemici. Complicanze Il quadro di infiammazione sistemica coinvolge vari organi ed apparati. Le complicanze cardiovascolari in età pediatrica sono per lo più rappresentate da ipertensione polmonare e sistemica e ipertrofia ventricolare sinistra (29-30); l’ipertensione sistemica, tuttavia, che è una complicanza frequente in età adulta, si verifica meno spesso in età pediatrica. Per quanto riguarda la pressione arteriosa, numerosi studi hanno dimostrato che i bambini con Sindromi infiammatorie da ipossia intermittente nel sonno Migrazione delle cellule muscolari lisce Formazione cellule schiumose Attivazione delle cellule T Aderenza e aggregazione di piastrine Aderenza ed entrata di leucociti Figura 4 Rappresentazione schematica del processo aterosclerotico. OSAS presentano valori superiori quando confrontati con i bambini con russamento primario, in assenza di differenze significative dell’indice di massa corporea (29-33). In particolare, come è emerso attraverso lo studio del monitoraggio pressorio delle 24 ore, l’OSAS altera la normale regolazione omeostatica della pressione arteriosa (29, 34). In età adulta, l’ipertensione è il meccanismo che sottende il rimodellamento miocardico e la comparsa di ipertrofia ventricolare sinistra, l’ispessimento del setto interventricolare e alterazioni del diametro diastolico e telesistolico delle camere atriali. In caso di OSAS, l’effetto dell’ipertensione è amplificato e, addirittura, può da sola indurre rimodellamento cardiaco (35) in pazienti senza malattie cardiache concomitanti (36-37). Amin e collaboratori (38) hanno dimostrato che nei bambini con disturbi respiratori nel sonno è presente una riduzione della funzione diastolica del ventricolo sinistro e che questa alterazione migliora dopo la risoluzione del disturbo respiratorio nel sonno. È verosimile che alcune delle alterazioni del ventricolo sinistro, in termini di contrattilità e geometria, possono riflettere l’interazione tra l’aumento della pressione arteriosa, cambiamenti nelle resistenze vascolari periferiche e l’OSAS (34, 39). Gli episodi ricorrenti di ipossia e ipercapnia che si verificano durante la notte aumentano le resistenze vascolari polmonari e sono responsabili di ipertensione polmonare (40-43) che, associata al rimodellamento cardiaco del ventricolo destro ed alla disfunzione diastolica e sistolica delle camere cardiache di destra, può condurre (quando i sintomi non sono precocemente riconosciuti e trattati) a core polmonare (44-45). È ipotizzabile che gli episodi ricorrenti di ipossia durante l’infanzia predispongano ad una risposta anomala, a carico della circolazione polmonare, agli stimoli vasocostrittivi in età adulta (46, 47), con conseguente danno cardiorespiratorio cronico. Negli ultimi anni la ricerca si è concentrata sui danni neurocognitivi dell’OSAS pediatrica. Le implicazioni neurocognitive della sindrome delle apnee sono già note da oltre un secolo. Già nel 1892 Sir William Osler descrisse, nel bambino, un’associazione fra il russamento notturno, l’ostruzione delle alte vie respiratorie e il ritardo intellettivo. Nel 1899 Hill confermò quanto precedentemente descritto da Osler e dimostrò che l’asportazione delle adenoidi e delle tonsille determinava la scomparsa non solo dei sintomi respiratori notturni, ma anche il recupero della funzione intellettiva. I 33 34 Villa, et al. bambini con OSAS possono, infatti, mostrare comportamenti diurni caratterizzati da aggressività, iperattività, sonnolenza diurna e scarso rendimento scolastico (48). Non si conosce esattamente quale sia il legame eziopatogenetico fra i disturbi respiratori notturni ed i sintomi comportamentali diurni. Certamente la frammentazione del sonno dovuta ai frequenti microrisvegli (arousals), l’ipoventilazione e gli squilibri dei gas ematici che questi bambini sperimentano durante il sonno giocano un ruolo importante nella genesi di questi disturbi. Il dato rilevante è che il 20%-30% dei bambini con OSAS o con russamento notturno hanno problemi attentivi e di iperattività (49). Gozal e collaboratori (50), in uno studio condotto su una popolazione di 1.588 bambini scolarizzati, di età compresa tra i 13 e i 14 anni, hanno dimostrato che i bambini con rendimento scolastico basso riferivano all’anamnesi russamento ed intervento di adenotonsillectomia durante i primi anni di vita, con una frequenza significativamente maggiore rispetto ai loro coetanei con rendimento scolastico alto. Questi dati supportano l’ipotesi che i danni neurocognitivi conseguenti ai disturbi respiratori nel sonno che si verificano nei primi anni di vita (epoca del massimi sviluppo di tali funzioni) possano essere recuperabili solo in parte, creando una sorta di “debito di apprendimento” che potrà compromettere il futuro del bambino (51, 52). Quale sia la prognosi a lungo termine dei bambini affetti da OSAS non è del tutto nota. Non è chiaro se l’OSAS del bambino sia precursore dell’OSAS dell’adulto o se questa sia una malattia diversa da quella dell’adulto. In letteratura esiste un solo studio sul follow-up a lungo termine. In tale studio è evidenziato come pazienti trattati con adenotonsillectomia in età pediatrica presentavano nel 13% dei casi una recidiva nelle fasi successive della vita (53). OSAS e obesità Lo stesso modello patogenetico, nonché le complicanze, sono condivise dall’obesità. In particolare, dai dati presenti in letteratura è emerso che il tessuto adiposo a livello addominale induce uno stato di infiammazione cronica, con livelli aumentati sia di proteina C-reattiva (PCR) (54) che di citochine (55-56) nei soggetti obesi. Il tessuto adiposo è in grado di produrre e rilasciare diversi fattori proinfiammatori quali la leptina e la resistina (57-59), citochine (IL-1,TNF-α, IL6, IL-8, IL-10, VEGF, EGF, MCP-1) e chemochine (adiponectina) (55-56) che partecipano attivamente allo sviluppo dell’insulino-resistenza e predispongono a danni cardiocircolatori (60). Tali fattori sono prodotti direttamente dalle cellule adipose e hanno attività pro-infiammatoria. La produzione di tali mediatori è tanto maggiore quanto più il tessuto adiposo è ipovascolarizzato ed in debito di ossigeno, quindi l’ipossia tissutale delle cellule adipose sembra essere un fattore aggiuntivo. Appare che l’elemento che potenzia l’infiammazione dei due modelli, OSAS e obesità, è l’ipossia intermittente e/o sostenuta, come ipotizzato da Ryan. Conclusioni L’OSAS e l’ipoventilazione sono responsabili di uno stato infiammatorio sistemico che se non rimosso, determina danni a vari organi ed apparati. La comorbidità tra OSAS e obesità ha permesso di comprendere come il meccanismo patogenetico dell’infiammazione comune alle due sindromi, possa riconoscere il medesimo modello di ipossia intermittente e di ipossia cronica. Bibliografia 1. American Thoracic Society. Standards and indications for cardiopulmonary sleep studies in children. Am J Respir Crit Care Med 1996; 153: 866-878. 2. Westbrook PR. Sleep disorders and upper airway obstruction in adults. Otolaryngol Clin North Am 1991; 23: 727-743. Review. 3. Rosen CL, D’Andrea L, Haddad GG. Adult criteria for obstructive sleep apnea do not identify children with serious obstruction. Am Rev Resp Dis 1992; 146: 1231-1234. 4. American Academy of Sleep Medicine. Review articles for the AASM manual for the scoring of sleep and associated events: rules, terminology and technical specification. J Clin Sleep Med 2007; 3: 99-246. 12. American Accademy of Pediatrics. 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In particolare questo articolo sarà incentrato sulla diagnosi in pediatria dei disordini respiratori ostruttivi nel sonno associati o meno ad ipoventilazione. Essi rappresentano un ampio capitolo della patologia respiratoria in età pediatrica e comprendono uno spettro di quadri clinici molto ampio che va da una condizione relativamente benigna conosciuta come russamento primario, alla sindrome da aumentate resistenze delle alte vie fino alla sindrome delle apnee ostruttive in sonno. Accettato per la pubblicazione il 13 maggio 2009. Corrispondenza: Prof.ssa Maria Pia Villa, Dipartimento di Pediatria, Ospedale “S. Andrea”, II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Roma “La Sapienza”, Roma; e-mail: [email protected] Introduzione La sindrome delle apnee ostruttive nel sonno, o dall’acronimo inglese OSAS, è un disturbo respiratorio che si verifica nel sonno ed è caratterizzato da episodi prolungati di ostruzione parziale o completa intermittente (ipopnea o apnea ostruttiva) delle alte vie che disturbano la ventilazione notturna (1). Le manifestazioni cliniche nel bambino sono principalmente caratterizzate, in accordo con quanto definito dall’American Thoracic Society e dall’American Academy of Pediatrics (2), da russamento notturno abituale e/o riferite apnee nel sonno, disturbi neurocognitivi e/o comportamentali. Le complicanze possono includere ritardo della crescita, disturbi neurologici e, nei casi più severi, ipertrofia ventricolare destra ed ipertensione polmonare, oggi meno frequenti grazie ad una diagnosi precoce e ad un più efficace trattamento. La patologia, pur presentando alcune analogie con quella dell’adulto, risulta molto differente tanto che le definizioni ed i criteri utilizzati per fare diagnosi di OSAS nell’adulto non sono applicabili in età pediatrica (3, 4). In letteratura risultano disponibili pochi lavori epidemiologici nei quali la prevalenza dei disturbi respiratori del sonno in età prescolare e scolare varia ampiamente: dal 3.2% al 12.1% per il russamento abituale e dall’1,1% al 2,9% per l’OSAS (5, 6). In Italia Brunetti e collaboratori hanno evidenziato in uno studio condotto su 1.207 bambini una prevalenza del 4,9% per il russamento abituale e dell’1,8% per l’OSAS (7). Nonostante l’OSAS possa colpire qualunque fascia di età, è stato osservato che il picco di massima incidenza è generalmente compreso tra i 2 e i 5 anni, corrispondente al periodo di massima iperplasia del tessuto linfatico. È in effetti l’età Linee Guida per la diagnosi della Sindrome delle Apnee Ostruttive nel Sonno in età pediatrica nella quale le vegetazioni adenoidee e le tonsille presentano il massimo sviluppo in rapporto allo spazio orofaringeo. Un secondo picco di frequenza è descritto nell’adolescenza età in cui l’OSAS si manifesta con le caratteristiche dell’adulto (risvegli notturni e sonnolenza diurna). Occorre, peraltro, sottolineare, come l’eziologia, la clinica, le caratteristiche polisonnografiche, le complicanze dell’OSAS in età pediatrica non siano le stesse osservabili nell’adulto. Il processo di diagnosi, nel bambino con OSAS, è in continua evoluzione visto il progressivo riconoscimento di nuove espressioni cliniche della malattia e la disponibilità di nuove metodologie diagnostiche. Storia ed esame fisico Una visita pediatrica di routine dovrebbe comprendere sempre una storia clinica riguardante il sonno ed il russamento. Sebbene essa non sia sufficiente da sola a distinguere il russamento primario dall’OSAS, la storia clinica può essere utile a selezionare i bambini che devono continuare il percorso diagnostico; infatti una revisione degli studi della letteratura evidenzia come la valutazione clinica possieda un’elevata sensibilità ed una bassa specificità per la diagnosi di OSAS. In caso, quindi, l’anamnesi ponga il sospetto di disturbi respiratori nel sonno (DRS), l’esame fisico dovrà prendere in considerazione l’aspetto generale del bambino, il suo pattern di crescita, la presenza di ostruzione nasale, l’eventuale presenza ed il grado di ipertrofia adeno-tonsillare. È bene valutare attentamente la presenza di dimorfismi craniofacciali o anomalie a b dell’oro-rino-faringe, la relazione dentale occlusale, la geometria del palato duro (palato ogivale) e molle (palato allungato). Può essere utile a tal proposito al fine di standardizzare la valutazione, utilizzare classificazioni internazionalmente riconosciute come quelle di Friedman o di Mallampati (Figura 1). L’esame fisico dovrà prendere in considerazione anche l’eventuale presenza di obesità. Sintomi Il paziente con DRS si presenta classicamente con ostruzione nasale, respiro orale, riferito russamento e difficoltà respiratoria in sonno. Il russamento è il sintomo più riferito dai genitori dei bambini con OSAS, circa il 96% dei casi (8, 9); talvolta i genitori riferiscono di aver osservato inoltre apnee durante il sonno e/o in aggiunta otiti ricorrenti, vomito, nausea e difficoltà nella deglutizione. Spesso il sonno di questi bambini è agitato, con assunzione di posizioni particolari nel sonno (iperestensione del capo, seduta in posizione antiversa) (10) e sudorazione profusa. Nei casi più gravi i genitori possono assistere, durante la notte ad una respirazione forzata con alitamento delle pinne nasali o rientramenti al giugulo ed intercostali. Spesso ai DRS si associano parasonnie come il pavor nocturnus, l’enuresi ed il sonniloquio. Al mattino spesso il bambino si alza con una sensazione di secchezza della bocca e comunque chiede acqua anche durante la notte a causa della respirazione orale. Talvolta presenterà cefalea mattutina. Durante il giorno i sintomi più caratteristici sono caratterizzati da iperattività, dalla presenza di c d a: (1+) Le tonsille occupano meno del 25% dello spazio trasversale dell’orofaringe misurato tra i pilastri tonsillari anteriori; b: (2+) Le tonsille occupano meno del 50% dello spazio trasversale dell’orofaringe; c: (3+) Le tonsille occupano meno del 75% dello spazio trasversale dell’orofaringe; d: (4+) Le tonsille occupano il 75% o più dello spazio trasversale dell’orofaringe. Figura 1 Classificazione dell’ipertrofia tonsillare secondo Mallampati. Modificata da Mallampati SR, Can J Anaesth 1985. 39 40 Pagani, et al. deficit attentivo (con conseguente scarso rendimento scolastico) ed irritabilità (11). Molti di questi sintomi, in particolar modo lo scarso rendimento scolastico, sono risultati essere reversibili dopo trattamento dell’OSAS (12, 13). Spesso la voce risulta cambiata, si ha rinolalia e difficoltà alla pronuncia delle consonanti nasali (n ed m). La sonnolenza risulta un sintomo meno frequente nel bambino rispetto all’adulto, riferito dal 7%-10% dei pazienti con una prevalenza maggiore nei bambini più grandi (14, 15). Tuttavia quando presente nel bambino tale sintomo sembra essere altamente predittivo di DRS e correlare significativamente con la severità dell’OSAS (14). Benché il test di latenza multipla del sonno (multiple sleep latency test, MSLT) e la scala della sonnolenza di Epworth nei bambini con OSAS presentino valori significativamente differenti nei bambini con OSAS rispetto ai bambini sani, i valori non sono da considerarsi anomali secondo i criteri applicati nell’adulto (12-16), suggerendo l’ipotesi che i bambini con OSAS possono avere una soglia della sonnolenza che differisce da quella dell’adulto. Esame obiettivo L’esame obiettivo dei bambini con OSAS è variabile. In molti casi il bambino sembra avere solo un modesto incremento del tessuto linfatico (adenoidi-tonsille) e non mostra necessariamente difficoltà nella respirazione durante la visita. I bambini con OSAS presenteranno sostanzialmente tre fenotipi: classico, adulto e congenito. Fenotipo “classico” (tipo I) Corrisponde alla vecchia descrizione della facies adenoidea è caratterizzato da volto allungato (spesso asimmetrico), espressione apatica, sofferente, occhi clonati con respirazione prevalentemente orale. Le labbra sono spesso ipotoniche con perdita della competenza labiale. Le cartilagini alari divengono ipotoniche con narici ridotte di volume. Spesso sono presenti dimorfismi del volto come naso insellato o deviazioni del setto con presenza o assenza di ipertrofia dei turbinati. È caratteristica di questo fenotipo la malocclusione scheletrica (alterazione dei rapporti di combaciamento dei denti determinata da difetti di crescita del mascellare superiore e della posizione della mandibola), il palato risulta ogivale e stretto con verticalizzazione della struttura stomatognatica, il palato molle può essere allungato e le tonsille sono ipertrofiche e spesso occludenti. Non di rado il bambino ha un ritardo di accrescimento staturo ponderale e può presentare pectus escavatum a causa del lavoro dei muscoli respiratori. Fenotipo “adulto” (tipo II) È quello simile all’adulto caratterizzato dalla presenza di obesità più o meno importante, collo corto e tozzo spesso associato a dimorfismi cranio-facciali caratterizzati da riduzione della dimensione verticale del volto in particolare con riduzione del terzo inferiore del volto. Fenotipo “congenito” È caratterizzato prevalentemente da micrognazia, ipoplasia mandibolare, retrognazia, contrazione del mascellare o anomalie cranio-facciali complesse. Questo fenotipo ha come espressione completa, per esempio, la sindrome di Pierre Robin ed è caratteristico dei dimorfismi cranio-facciali presenti nelle sindromi congenite. Metodi di screening per l’OSAS Questionari Sono stati studiati vari questionari per lo screening dell’OSAS nei bambini, semplici e di facile esecuzione. Tuttavia non sono risultati essere in grado di distinguere tra russamento primario e OSAS (9). Recentemente sono stati proposti da Chervin (17) e Montgomery-Downs (18) i questionari che sembrano avere il valore predittivo più elevato per la diagnosi dei diversi DRS. Ad oggi, comunque, i questionari hanno unicamente un valore indicativo e servono ad indirizzare il paziente verso gli eventuali esami strumentali. Registrazione Audio La registrazione audio può essere utilizzata nell’identificazione del russamento notturno ma non è in grado di distinguere il russamento primario dal russamento associato ad OSAS (19, 20). Potrebbe essere utile nella selezione dei pazienti da indirizzare verso l’esame polisonnografico (20), attualmente non trova alcun utilizzo nella pratica clinica. Registrazione video È stato dimostrato da uno studio di comparazione tra una registrazione video domiciliare durante il sonno e la polisonnografia come tale tecnica Linee Guida per la diagnosi della Sindrome delle Apnee Ostruttive nel Sonno in età pediatrica Monitoraggio Domiciliare Le tecniche di monitoraggio domiciliare notturno nei bambini con OSAS sono migliorate notevolmente. Dati di letteratura evidenziano risultati simili ottenuti dall’utilizzo di un monitoraggio cardiorespiratorio associato a registrazione video di 8 ore ed esame polisonnografico effettuato in laboratorio soprattutto nel paziente adulto (25, 26). L’utilità di tale metodica fuori da un ambito scientifico non è stata tuttavia ancora stabilita Pulsossimetria Il riscontro di desaturazioni intermittenti durante il sonno nei bambini è considerato altamente predittivo di OSAS (10, 22).Tuttavia tale tecnica risulta non idonea per la diagnosi dei disordini ostruttivi con ipoventilazione non associati ad ipossemia (23) e spesso inficiata da artefatti tecnici, quindi spesso non conclusiva per i diversi DRS. Tuttavia, essa riveste un ruolo fondamentale nell’algoritmo diagnostico dell’OSAS del bambino, evidenziato in particolare dalle Linee Guida italiane. La pulsossimetria domiciliare notturna, può essere, infatti, un valido strumento diagnostico per la semplicità di esecuzione, l’economicità e per l’elevato valore predittivo positivo (97%) nel caso in cui l’esame mostri il classico pattern caratterizzato da cluster di desaturazioni cicliche secondo la classificazione Brouillette (22, 23). In questa classificazione interpretativa le desaturazioni sono definite come caduta della SaO2 >4% ed un cluster di desaturazioni è definito come la presenza di 5 o più desaturazioni in un periodo tra i 10 e i 30 minuti. Un esame si definisce (a) negativo quando si verifica una assenza di cluster di desaturazione ed una assenza di desaturazioni <90% (Figura 2), tracciato Esami ematici Dalla letteratura emerge come vi sia un’associazione tra OSAS e disfunzioni metaboliche (2730). Uno dei meccanismi chiave innescato dalla OSAS nella genesi dello stato infiammatorio cronico è rappresentato dallo stress ossidativo esplicato a livello dei diversi tessuti. Secondo il modello proposto da Ryan e collaboratori (31) la base fisipatologica di tale meccanismo di flogosi, si a SaO2 (%) L’elettrocardiografia è stata utilizzata tra le tecniche di screening per OSAS sulla base della capacità di identificare la Variabilità della Frequenza Cardiaca in relazione agli eventi respiratori (24). Non esistono tuttavia studi che hanno validato tale tecnica. 100 90 b 100 SaO2 (%) Elettrocardiografia superiore); (b) positivo quando sono presenti 3 o più cluster di desaturazione e almeno 3 desaturazioni <90% (Figura 2, tracciato intermedio); (c) non conclusivo in assenza di entrambi i criteri (Figura 2, tracciato inferiore). La pulsossimetria è in grado di distinguere unicamente il russamento primario dalla sindrome ostruttiva solo quando l’esame risulta positivo. Non può oggettivamente diagnosticare la severità delle OSAS né valutare l’alterazione dell’architettura del sonno. Se la pulsossimetria è positiva secondo i suddetti criteri si può porre la diagnosi di OSAS e decidere il piano terapeutico senza ricorrere alla polisonnografia, mentre in caso di esame negativo o inconcludente e in caso di persistenza dei sintomi il paziente dovrà sottoporsi comunque ad esame polisonnografico. 90 80 70 65 c SaO2 (%) di monitoraggio possa rapresentare un test di screening valido per OSAS nei bambini, con una specificità del 68% ed una sensibilità del 94% (21). Tuttavia sono necessari ulteriori studi per valutare l’utilità pratica di tale tecnica. 41 100 90 23:00 01:00 03:00 05:00 07:00 Figura 2 Classificazione delle pulsossimetrie. a, esempio di tracciato negativo; b, esempio di tracciato positivo per diagnosi di OSAS; c, esempio di tracciato non conclusivo. Modificata da (22). 42 Pagani, et al. ritrova nel continuo alternarsi di episodi di ipossiareossigenazione caratteristici dell’OSAS. Mentre una ipossia sostenuta attiva, infatti, una risposta adattativa attraverso l’aumentata espressione di diversi geni che codificano per proteine quali EPO e VEGF mediata dall’attivazione del hypoxia inducible factor (HIF-1) in risposta alla riduzione di ossigeno disponibile, i ripetuti episodi di transitoria desaturazione determinano a livello cellulare uno stress mitocondriale ed innescano la cascata citochinica proinfiammatoria attraverso l’attivazione del fattore nucleare di trascrizione NFκB. Gli effetti di tale attivazione aumentano l’espressione di fattori proaterogeni come il TNFα che contribuisce alla disfunzione endoteliale e di conseguenza alle complicanze cardiocircolatorie. Come si verifica nel danno indotto dal meccanismo ischemia-riperfusione, aumenta inoltre la produzione di radicali liberi dell’ossigeno ROS, intermedi altamente reattivi, capaci di interagire con tutte le macromolecole biologiche, alterandone la struttura e la funzione in modo spesso irreversibile. In particolare l’aumento della produzione e della liberazione di ROS a livello delle cellule endoteliali determina sintesi ed espressione in membrana di molecole di adesione, riduzione dei livelli di NO di derivazione endoteliale, rolling di linfociti Th ed attivazione della flogosi parietale, adesione ed attivazione piastrinica, ossidazione delle LDL e, quindi, danno endoteliale (32-34). Studi in vitro hanno dimostrato come la sintesi di leptina sia aumentata in seguito ad un insulto ipossico con un meccanismo di attivazione mediato dall’HIF-1. Gozal ha inoltre mostrato in un recente studio come i livelli di leptina circolante in soggetti con OSAS siano correlati non solo al BMI ma anche all’indice di apnea-ipopnea (AHI) (35). Inoltre la diminuzione dell’ossido nitrico (NO) circolante associato allo stress mitocondriale che si verifica nell’OSAS (36) potrebbe determinare una condizione di riassetto del metabolismo cellulare con una diminuzione nel dispendio di energia ed accumulo di tessuto adiposo come dimostrato da studi sull’effetto di una carenza nella produzione di NO sui meccanismi dell’omeostasi energetica negli animali di laboratorio (37). Risulta quindi importante dosare citochine proinfiammatorie ed effettuare l’assetto lipidico nei pazienti con OSAS per un completo inquadramento diagnostico. Metodi di studio per il disturbo respiratorio nel sonno in età pediatrica Polisonnografia standard notturna L’esame gold standard, raccomandato dall’American Academy of Pediatrics (AAP), per l’inquadramento diagnostico e la definizione di severità dei DRS in età pediatrica è la polisonnografia (2). “Polisonnografia” è il termine comunemente usato per indicare una registrazione simultanea di più parametri fisiologici durante la notte. Le Linee Guida per l’esecuzione di una polisonnografia standard sono state pubblicate dall’American Thoracic Society (ATS) (1) e recentemente l’American Academy of Sleep Medicine (AASM) ha revisionato le evidenze di letteratura sulle regole di stadiazione del sonno (38, 39, 40) e pubblicato le regole di scoring degli arousals e degli eventi respiratori (41). Normalmente nel corso del test vengono registrati più canali EEG, vari canali elettromiografici, i movimenti di torace e addome, il flusso oro-nasale, e la saturazione di ossigeno nel sangue. Le informazioni provenienti dall’elettroencefalogramma (EEG) vengono utilizzate, in questo tipo di registrazione, prevalentemente nella differenziazione dei vari stadi del sonno. L’elettrooculogramma (EOG) viene registrato per individuare i movimenti degli occhi utili nella stadiazione del sonno. Benché l’attività elettromiografica (EMG) durante il sonno possa essere registrata da qualsiasi gruppo di muscoli scheletrici, è ormai prassi consolidata utilizzare i muscoli submentonieri per valutare il tono muscolare. L’EMG, oltre ad essere utile per la stadiazione del sonno, fornisce importanti informazioni per la valutazione delle risposte arousal e sui movimenti. Durante una polisonnografia standard inoltre sono abitualmente registrati tre parametri respiratori: il flusso oro-nasale, i movimenti toracoaddominali, la saturazione di ossigeno. Il flusso aereo al naso e alla bocca viene comunemente registrato mediante termocoppia o termistore posto in prossimità di ciascuna narice e della bocca. Viene effettuata inoltre la registrazione del suono che permette di avere informazioni aggiuntive sul grado e sul tipo di russamento anche se in letteratura non è riportata una correlazione tra indici rilevati dal microfono e gravità del disturbo respiratorio I movimenti di torace e addome possono essere registrati mediante pletismografia ad impedenza o ad induttanza, trasduttori pneumatici, strain gauges, Linee Guida per la diagnosi della Sindrome delle Apnee Ostruttive nel Sonno in età pediatrica EMG intercostale. La saturazione d’ossigeno (SaO2) è misurata mediante pulseossimetro; tale metodica rappresenta lo standard per la valutazione non invasiva continua della saturazione arteriosa di ossigeno. Nella registrazione polisonnografica è compreso il monitoraggio della CO2; in pazienti senza patologie polmonari la CO2 può essere valutata al naso e alla bocca mediante capnografo. Sebbene la CO2 misurata con questa metodiche non sia l’esatto specchio di ciò che avviene a livello polmonare tuttavia considerando il valore medio di plateau di CO2 a fine espirazione (end tidal CO2) si ha una buona misura della CO2 alveolare e di conseguenza arteriosa. Una sottostima della reale CO2 alveolare si può avere nei pazienti con malattie polmonari ostruttive o con aumento della frequenza respiratoria. L’end tidal CO2 è efficace nello studio dei disturbi respiratori del sonno ed in particolare nella valutazione delle apnee e nelle ipoventilazioni, tuttavia è necessaria la continua vigilanza da parte di un tecnico al fine di mantenere il corretto posizionamento della sonda del capnografo indispensabile per una corretta stima della CO2. Nei bambini più piccoli può essere difficile fissare un catetere nasale per questi casi può essere utilizzato un sistema di monitoraggio transcutaneo della CO2 (PtcCO2). La PtcCO2 può essere sottostimata in pazienti più grandi o obesi, tuttavia la differenza in questi casi con la CO2 arteriosa è minima. Come per la rilevazione della PtcCO2, la temperatura della sonda richiede continui spostamenti della stessa, almeno ogni 4 ore nel bambino più grande ed almeno ogni 2 in quello più piccolo, per evitare lesioni cutanee. L’utilizzo del monitoraggio della CO2 può essere molto utile nella valutazione delle ipoventilazioni e per la valutazioni delle ostruzioni parziali delle vie aeree. La frequenza cardiaca è misurata con una singola derivazione registrata mediante elettrodi posti in sede precordiale. Di conseguenza la derivazione ECG della polisonnografia ci fornisce unicamente informazioni di massima sull’attività cardiaca e non è sufficiente per trarre conclusioni cliniche su eventuali cardiopatie. Negli ultimi anni tuttavia si sono sviluppate nuove metodiche (analisi di spettro della variabilità cardiaca, pulse transit time) che partendo dal segnale ECG sono in grado di fornire informazioni sul bilanciamento simpato-vagale, sullo sforzo respiratorio e sulla “quantità dei microrisvegli” di un sonno. Altri parametri monitorati sono i movimenti degli arti inferiori valutati con elettromiografia, la posizione corporea attraverso sensori di posizione o il monitoraggio video. I disturbi respiratori nel sonno interessano bambini dai primi mesi di vita fino all’adolescenza. Di conseguenza il laboratorio del sonno e le attrezzature (sonde, elettrodi, fasce) devono essere adatte o adattabili alle varie età dei pazienti e al loro grado di sviluppo fisico e comportamentale. Il bambino potrebbe, infatti, essere facilmente spaventato dal dormire in un ambiente estraneo con molti elettrodi attaccati sul corpo, specie qualora questo ambiente risulti freddo e poco ospitale. Per questi motivi normalmente le stanze di registrazione sono opportunamente arredate per soddisfare le esigenze del bambino e di un genitore il quale potrà assistere. Sebbene ci siano pochi dati relativi all’utilizzo dei sonnellini pomeridiani (in inglese nap) nella diagnosi dei disturbi respiratori nel sonno negli adulti, in età pediatrica vi sono evidenze che dimostrano che la valutazione di un sonnellino pomeridiano di un bambino con sospetta OSAS sia ben correlato con l’esame di un’intera notte. Tuttavia il valore di tale esame è puramente indicativo e di primo screening e la negatività di tale esame non esclude la presenza di apnee ostruttive invece dimostrabili con un sonno notturno. Refertazione degli esami polisonnografici Analisi del tracciato I tracciati devono essere valutati secondo i criteri internazionali e nazionali di scoring del sonno e degli eventi associati. L’interpretazione dei dati polisonnografici e la conseguente refertazione, deve essere eseguita mediante stadiazione manuale da parte del medico esperto in medicina del sonno; non sono ritenute sufficienti ed attendibili diagnosi basate sullo score automatico degli eventi effettuato dal poligrafo. Definizione degli eventi respiratori durante il sonno La definizione degli eventi respiratori nel sonno in età pediatrica si basa principalmente sulle Linee Guida pubblicate nel 1996 dall’American Thoracic Respiratory Society e dalle più recenti raccomandazioni (2007) dell’American Academy of Sleep Medicine. 43 44 Pagani, et al. Apnee ostruttiva Nel bambino, una apnea ostruttiva (AO) è definita come la presenza di movimenti toraco-addominali associati ad una assenza di flusso oro-nasale della durata di almeno 2 cicli respiratori. Una apnea ostruttiva deve essere segnalata polisonnograficamente quando il segnale di flusso subisce un calo nell’ampiezza della durata di almeno due cicli respiratori (o una durata paragonabile a due cicli respiratori registrati durante il respiro basale di sonno del soggetto) ≥90% rispetto al flusso basale precedente all’apnea per un tempo ≥90% dell’intero evento associati a sforzo inspiratorio continuo durante tutta la durata di cessazione del flusso oro-nasale. Un evento per essere segnalato deve avere la durata di almeno due cicli respiratori (o una durata paragonabile a due cicli respiratori registrati durante il respiro basale di sonno del soggetto). La durata dell’evento deve essere misurata dalla fine dell’ultimo respiro normale all’inizio del primo respiro che raggiunge l’escursione inspiratoria registrata prima dell’evento stesso. Le apnee ostruttive sono infrequenti nel bambino e nell’adolescente ed hanno una durata media di circa 6 secondi per questi motivi la presenza di almeno 1 apnea ostruttiva (indipendentemente dalla durata) per ora di registrazione è da considerarsi non fisiologica in età pediatrica. Attualmente, non vi sono dati sul significato clinico delle apnee ostruttive non desaturanti. L’osservazione di quadri particolari caratterizzati da ostruzione parziale delle vie aeree (evidenziato da una riduzione del flusso oronasale rilevato però dalla cannula nasale) e/o da respiro paradosso associati o non a desaturazione con una evidenza clinica di disturbi comportamentali e dell’apprendimento, sonnolenza e sonno frammentato possono suggerire la presenza di una sindrome da aumentate resistenze delle alte vie aeree superiori (upper airway resistance syndrome, UARS). Sebbene non vi sia un generale consenso sulla esatta definizione clinica e diagnostica delle UARS, la valutazione delle variazioni della pressione endoesofagea durante la polisonnografia rimane l’unico gold standard diagnostico di questa forma di disturbo respiratorio nel sonno. Apnea centrale Una apnea centrale (AC) è definita come una assenza di flusso oro-nasale in corrispondenza di una assenza di sforzo respiratorio (movimenti toraco-addominali) per l’intera durata dell’evento. Una apnea centrale deve essere segnalata polisonnograficamente quando è associata ad una delle seguenti caratteristiche: l’evento dura più di venti secondi oppure l’evento dura almeno due cicli respiratori (o una durata paragonabile a due cicli respiratori registrati durante il respiro basale di sonno del soggetto) ma è associato ad un arousal, ad un risveglio o ad una desaturazione ≥ 3%. Le apnee centrali possono essere osservate come reperto occasionale, soprattutto durante la fase REM, in bambini di tutte le età e possono non avere alcun significato patologico. Il significato clinico di questi episodi, e soprattutto degli episodi >di 20 secondi o denaturanti, va interpretato in base al quesito diagnostico. I valori di normalità sono pochi in letteratura, tuttavia un numero di eventi così individuati >3 per ora di sonno dovrà essere considerato patologico. Apnea mista Una apnea mista è caratterizzata da una componente centrale che termina con un quadro ostruttivo. Spesso un sospiro nel sonno incontra un ostruzione delle alte vie che risulta in una apnea ostruttiva con aumento dello sforzo inspiratorio nel tentativo di sbloccare l’ostruzione. Una apnea mista (AM) deve essere segnalata polisonnograficamente quando i segnali di flusso oronasale incontrano i criteri di durata ed ampiezza per descrivere una apnea ostruttiva ma l’evento è associato ad una assenza di sforzo inspiratorio nella porzione iniziale dell’evento. Ipopnea L’ipopnea è definita come la riduzione di almeno il 50% dell’ampiezza del segnale del flusso oronasale rispetto al flusso basale precedente per un tempo ≥90% dell’intero evento della durata di almeno 2 cicli respiratori. L’ipopnea è spesso associata ad arousal, risveglio o ipossiemia (desaturazioni >3%). L’ipopnea può essere ulteriormente caratterizzata come ostruttiva quando è associata a movimenti in opposizione di fase di torace o addome oppure è definita centrale in caso di riduzione in fase degli stessi segnali. Arousal correlati a sforzo respiratorio respiratory effort-related arousal (RERA) Uno RERA è definito come un arousal accompagnato da russamento, respirazione rumorosa, aumento della PETCO2/PtcCO2o ed elementi di Linee Guida per la diagnosi della Sindrome delle Apnee Ostruttive nel Sonno in età pediatrica prova visiva di un maggior lavoro respiratorio. L’evento deve durare almeno due cicli respiratori. L’evento deve essere considerato polisonnograficamente se uno dei seguenti criteri è presente: una consistente riduzione di ampiezza del segnale di flusso nasale di un sensore trasduttore di pressione (<50% rispetto al livello basale) con un appiattimento della forma d’onda o vi è un progressivo aumento dello sforzo inspiratorio durante l’evento su un sensore di pressione esofagea. - qualsiasi desaturazione con ipercapnia, soprattutto se associate a un età inferiore ai 3 anni, retroo micro-gnazia, disturbi neuromuscolari, anomalie craniofacciali. La gestione del bambino ad alto rischio include un attento monitoraggio cardiorespiratorio perioperatorio. Ipoventilazione La classificazione di gravità polisonnografica delle OSAS è riportata nella Tabella 1. Una ipoventilazione può essere segnata quando >25% del tempo totale di sonno è trascorso con una CO2 inferiori a 50 mmHg, misurata con sensori di PtcCO2 e /o PETCO2 sensori. Calcolo e definizione degli indici polisonnografici Si definisce indice di apnea il numero di eventi ostruttivi per ora di sonno. Si definisce indice di apnea + ipopnea o indice di disturbo respiratorio (IDR) il numero di eventi apnoici di qualsiasi natura + ipopnee per ora di sonno. Un indice IDR >1,3 eventi/ora è da considerarsi non fisiologico in età pediatrica, tuttavia si può considerare francamente patologico un IDR >di 5 eventi/ora. Indice di apnea (Acronimi: IA-AI) Si definisce indice di apnea il numero di eventi ostruttivi e/o centrali per ora di sonno; Indice di Apnea Ostruttiva (Acronimi: IAO-OAI) Si definisce indice di apnea ostruttiva il numero di eventi ostruttivi per ora di sonno; Indice di Ipopnea (Acronimi: IH-HI) Si definisce indice di ipopnea il numero di eventi ipopnoici (ostruttivi e/o centrali) per ora di sonno; Indice di Apnea-Ipopnea (Acronimi: IAH-AHI-IDR) Si definisce indice di apnea-ipopnea la somma dell’indice di apnea con l’indice di ipopnea; Indice di Apnea-Ipopnea Ostruttivo (Acronimi: IAHOOAHI) Si definisce indice di apnea-ipopnea ostruttivo la somma dell’indice di Apnea ostruttiva con l’indice di ipopnea; 45 Classificazione di gravità polisonnografica dell’osas Percorso diagnostico strumentale Come suggerito dall’American Academy of Pediatrics (AAP) (42) dovrebbe essere effettuata una anamnesi specifica per russamento e DRS a tutti i bambini in corso dei periodici controlli pediatrici. Lo screening per DRS dovrebbe includere domande sulla eventuale presenza di russamento, respiro forzato, apnee, disturbi neurocognitivi e/o comportamentali, sonnolenza diurna, deficit di crescita staturo-ponderale che supporterebbero il sospetto di DRS. In caso di positività nel riscontro di tali sintomi, vanno ricercati all’esame-obiettivo eventuali fattori di rischio per DRS quali la presenza di ipertrofia tonsillare, dimorfismi craniofacciali, condizioni neurologiche o sindromiche che determinano disfunzioni nel controllo della pervietà delle vie aeree superiori, ed obesità. Tabella 1 Gravità polisonnografica delle OSAS. Modificata da: Italian Guidelines for the diagnosis of childhood obstructive sleep apnea syndrome. Minerva Pediatr 2004; 56:239-253. OSAS - MINIMA IDR tra 1 e 3 e/o la presenza di russamento continuo per almeno il 50% del sonno associata a desaturazioni di O2 superiori al 4% (ipoventilazione ostruttiva), e SaO2 media >97% Predittori di morbilità post-operatoria OSAS - LIEVE Il bambino richiede un intensivo monitoraggio postoperatorio dopo adenotonsillectomia se: - l’indice di apnea >10 eventi/ora - l’IDR >40 eventi/ora - la SaO2 Nadir <70% OSAS - MODERATA IDR tra 3 e 5 e SaO2 media >97% IDR tra 5-10 e SaO2 media >95% OSAS - SEVERA IDR >10 o con SaO2 media <95% 46 Pagani, et al. Tabella 2 Criteri clinici per una corretta scelta degli esami strumentali. Modificata da: Italian Guidelines for the diagnosis of childhood obstructive sleep apnea syndrome. Minerva Pediatr 2004; 56: 239-253. Sintomi maggiori a) Russamento abituale (la maggior parte delle notti) e persistente (da almeno 2 mesi). b) Pause respiratorie riferite dai genitori abituali e persistenti c) Difficoltà nel respiro (respiro rumoroso,eccessivo sforzo respiratorio) notturno abituale e persistente Sintomi minori a) Russamento occasionale (alcune notti a settimana) ed intermittente (Es. alcuni mesi dell’anno, in occasioni di episodi influenzali) b) Pause respiratorie riferite dai genitori occasionali ed intermittenti c) Difficoltà nel respiro (respiro rumoroso,eccessivo sforzo respiratorio) notturno occasionale ed intermittente d) Deficit dell’attenzione, scarso rendimento scolastico, e) Iperattività diurna f) Eccessiva sonnolenza diurna Segni maggiori a) Ipertrofia adeno-tonsillare di grado III e I; e/o Friedman score di grado III e IV b) Dismorfismi craniofacciali ed anomalie dell’oro-rino-faringe , maleocclusione. Segni minori a) Obesità b) Scarso accrescimento staturo ponderale c) Ugula allungata e palato molle che toccano la lingua, lingua larga che copre l’arcata dentaria d) Ipertrofia adeno-tonsillare di grado II e/o Friedman score di grado II >2 sintomi maggiori 1 sintomo maggiore + 1 segno maggiore Screening Pulsossimmetria notturna Esami negativi 1 segno maggiore + 1 sintomo resp. minore >2 sintomi maggiori + ipertrofia adenotonsillare (++; +++) Esami non conclusivi Oppure: patologia neuromuscolare e comunque in tutte le altre condizioni Polisonnografia standard notturna Esami positivi Esame positivo Esame negativo Piano terapeutico Follow-up Follow-up Persistenza dei sintomi Figura 3 Percorso diagnostico clinico e strumentale. Modificata da Italian Guidelines for the diagnosis of childhood obstructive sleep apnea syndrome. Minerva Pediatr 2004; 56: 239-253. Linee Guida per la diagnosi della Sindrome delle Apnee Ostruttive nel Sonno in età pediatrica sintomo maggiore; due sintomi minori di cui uno o più di tipo respiratorio in assenza di segni; un sintomo respiratorio minore + un segno minore; un segno maggiore ed un sintomo minore respiratorio; nel caso in cui sia presente un solo sintomo minore il paziente dovrà essere seguito clinicamente nel tempo. Nella Figura 3 è riportato il percorso diagnostico clinico e strumentale secondo quanto indicato dalle Linee Guida Italiane. Bibliografia 1. American Thoracic Society. Standards and Indoor cardiopulmonary sleep studies in children. Am J. Resp Crit Care Med 1996; 153: 866-878. 8. Brouilette R, Hanson D, David R, et al. A diagnostic approach to suspected obstructive sleep apnea in children. J Pediatr 1984; 105: 10-14. 2. Subcommittee on Obstructive Sleep Apnea Syndrome. American Academy of Pediatrics. Clinical practice guideline: diagnosis and management of childhood obstructive sleep apnea syndrome. Section on Pediatric Pneumology..Pediatrics 2002; 109: 704-712. 3. Corroll JL, Loughlin GM. Diagnostic criteria for obstructive sleep apnea syndrome in children. Pediatr. Pulmonol 1992; 14: 71-74. 4. Rosen CL, D’Andrea L, Haddad GG. Adult criteria for obstructive sleep apnea do not identify children with serious obstruction. Am Rev Respir Dis 1992; 146: 1231-1234. BIBLIOGRAFIA Una volta identificati tali fattori di rischio i bambini vanno indirizzati ad uno specialista e quindi ad eseguire l’esame polisonnografico. Le attuali Linee Guida italiane (20) suggeriscono di avviare un paziente con sospetto di OSAS al percorso diagnostico strumentale se sono presenti più sintomi e segni di DRS come riportato nella Tabella 2. In particolare il percorso diagnostico strumentale è indicato per i pazienti che presentano: un 47 9. Carroll JL, McColley SA, Marcus CL, et al. Inability of clinical history to distinguish primary snoring from obstructive sleep apnea syndrome in children. Chest 1995; 108: 610-618. 10. Stradling JR,Thomas G,Warley AR, et al. Effect of adenotonsillectomy on nocturnal hypoxaemia, sleep disturbance, and symptoms in snoring children. Lancet 1990; 335: 249-253. 11. Brouillette RT, Fernbach SK, Hunt CE. Obstructive sleep apnea in infants and children. J Pediatr 1982; 100: 31-40. 5. Ali NJ, Pitson DJ, Stradling JR. Snoring, Sleep disturbance and behaviour in 4-5 years old. Arch Dis Child 1993; 68: 360-366. 12. Chervin RD, Ruzicka DL, Giordani BJ, et al. Sleep-disordered breathing, behavior, and cognition in children before and after adenotonsillectomy. Pediatrics 2006; 117: e769-e778. 6. Gislason T, Benediktsolottir B. Snoring, apneic epispdes and nocturnal hypoxemia among children 6 months to 6 years old. Chest 1995; 107: 963-966. 13. Gozal D. Sleep-disordered breathing and school performance in children. 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Pediatrics 2002; 109: 704-712. 50 Pneumologia Pediatrica 2009; 34: 50-58 Luigia Brunetti, Giuseppe Tedeschi, Domenica Rizzi, Isabella Colella, Livio Antonazzo, Francesca Fiore, Valentina Tranchino, Claudia Paglialunga, Laura Calace, Lucio Armenio Centro di Riferimento Interregionale per le Apnee Infantili; Clinica Pediatrica I “S. Maggiore”, Università degli Studi di Bari Terapia medica dei disturbi respiratori nel sonno Medical therapy of sleep-disordered breathing Parole chiave: disturbi respiratori nel sonno, sindrome delle apnee ostruttive nel sonno, bambini, terapia medica Keywords: sleep-disordered breathing, obstructive sleep apnea syndrome, children, medical therapy Riassunto. I disturbi respiratori nel sonno comprendono, in ordine crescente di gravità: il russamento, la sindrome delle aumentate resistenze delle alte vie, la sindrome delle apnee ostruttive nel sonno. La causa di gran lunga più frequente di ostruzione naso-faringea nel bambino è l’ipertrofia adenotonsillare. I disturbi respiratori nel sonno se non diagnosticati in tempo e, soprattutto, se non trattati opportunamente e precocemente, possono portare ad una serie di complicanze quali disfunzioni cardiache, ipertensione polmonare, ritardi di crescita, danni neurocognitivi. I cardini della terapia dell’OSAS sono la terapia medica, l’adeno-tonsillectomia, la terapia ortodontica e la ventilazione meccanica non invasiva. Accettato per la pubblicazione il 13 maggio 2009. Corrispondenza: Prof.ssa Luigia Brunetti, Clinica Pediatrica I “S. Maggiore”, Università di Bari, Bari; e-mail: [email protected] Introduzione L’aria che raggiunge le vie aeree inferiori presenta delle caratteristiche fisico-chimiche assolutamente differenti da quella che impatta nelle prime vie respiratorie. Le fosse nasali partecipano a produrre tali modificazioni attraverso meccanismi di umidificazione e riscaldamento da un lato e di purificazione dall’altro. Questa peculiarità fisiologica si realizza grazie all’esistenza di strutture anatomo-funzionali all’uopo preposte (turbinati, shunt artero-venosi, etc.). Qualsiasi alterazione dell’integrità morfo-funzionale di tali strutture compromette il passaggio di aria nelle vie aeree superiori e può condurre ai disturbi respiratori nel sonno (DRS). Essi comprendono, in ordine crescente di gravità, il russamento, la sindrome delle aumentate resistenze delle alte vie aeree (upper airway resistance syndrome, UARS), la sindrome delle apnee ostruttive nel sonno (obstructive sleep apnea syndrome, OSAS). La causa di gran lunga più frequente di ostruzione naso-faringea nel bambino è l’ipertrofia adenotonsillare che gioca il suo ruolo più importante nella fascia di età compresa tra i 3 e i 6 anni. Altre cause frequenti sono quelle che comportano il realizzarsi di una rinite cronica come la rinosinusite e la flogosi allergica. L’incidenza dei disturbi respiratori nel sonno oscilla in età prescolare e scolare e varia ampiamente dal 3,2% al 12,1% per il russamento abituale e dall’1,1% al 4,3% per quanto concerne l’OSAS. In linea con tali stime uno studio effettuato in Italia su una larga coorte di bambini (1.207 totale) ha mostrato una prevalenza del 4,9% del russamento abituale e dell’1,8% dell’OSAS (1). Terapia medica dei disturbi respiratori nel sonno I DRS, se non diagnosticati in tempo e soprattutto se non trattati opportunamente e precocemente, possono portare ad una serie di complicanze quali disfunzioni cardiache, ipertensione polmonare, ritardo di crescita, danni neurocognitivi (2-4). I cardini della terapia dell’OSAS sono la terapia medica, l’adeno-tonsillectomia, la terapia ortodontica e la ventilazione meccanica non invasiva. Spesso il trattamento d’elezione è chirurgico anche se esiste, a nostro parere, uno spazio per un approccio basato su una terapia medica ragionata, che sebbene non perfettamente standardizzata nelle sue indicazioni, offre tuttavia la possibilità di attenuare o risolvere in maniera definitiva il problema. Infatti l’ipertrofia dei tessuti linfoidi delle alte vie respiratorie presenta caratteristiche di reversibilità e di dinamicità tali da giustificare, in ogni caso, un trattamento medico, almeno in prima battuta. Il primo approccio alla gestione del bambino con disturbi respiratori nel sonno è rappresentato, inizialmente, dalla gestione della eventuale malattia di base, costituita principalmente dall’obesità e dall’atopia (5). Gestione della malattia di base Obesità L’obesità è certamente uno dei più importanti fattori di rischio per lo sviluppo di OSAS sia nell’adulto che bambino, tuttavia i meccanismi alla base di ciò non sono ancora completamente chiariti. Un incrementato accumulo di tessuto adiposo a livello dei muscoli faringei, una riduzione nella compliance della parete toracica, uno spostamento in alto del diaframma ed una ridotta sensibilità del drive respiratorio a livello centrale potrebbero essere responsabili di un aumento della collassabilità del tratto respiratorio e così dello sviluppo di OSAS (6). In età pediatrica, il calo ponderale ha un’efficacia minore rispetto all’adulto nella terapia dei disturbi respiratori nel sonno, tuttavia l’American Academy of Pediatrics consiglia (benché non lo consideri uno specifico trattamento) di adottare strategie per la perdita del peso in bambini OSAS obesi, ed in questi soggetti spesso la perdita di peso ha maggiore successo dopo la disostruzione delle alte vie aeree (7). Smith e collaboratori in uno studio randomizzato in pazienti con OSAS hanno dimostrato che una dieta ipocalorica della durata di 5 mesi determina un netto miglioramento dell’indice di apnea-ipopnea sia durante il sonno non-REM che durante quello REM (8). Successivamente Kansanene e collaboratori hanno valutato l’efficacia di una dieta ipocalorica in pazienti obesi con OSAS, dimostrando come la perdita di peso correllasse effettivamente con una riduzione nel numero degli episodi di apnea ed ipopnea e soprattutto con l’indice di desaturazione dell’emoglobina, definito come il numero di episodi di desaturazione dell’ossigeno >4% per ora di sonno (9). Tutti questi dati, pertanto, suggeriscono che il calo del peso in eccesso concorre ad un miglioramento significativo dell’OSAS (10). Atopia Negli ultimi anni è stato sottolineato come la flogosi immunoallergica rivesta una grande importanza nel bambino con disturbi respiratori nel sonno; oggi la rinite allergica è presente in circa il 40% dei bambini con OSAS e ne costituisce un importante fattore di rischio (11). Da un punto di vista fisiopatologico la rinite determina edema generalizzato della mucosa nasale, ipertrofia dei turbinati, congestione nasale ed in ultima analisi ostruzione nasale. Queste condizioni, attraverso un aumento delle resistenze delle alte vie aeree, sono corresponsabili dell’insorgenza dei DRS. L’elevata prevalenza di atopia nei soggetti affetti da russamento primitivo ed OSAS viene confermata dai dati epidemiologici attualmente disponibili in letteratura. McColley e collaboratori hanno sottoposto 39 bambini, russatori abituali, a polisonnografia notturna. Il 36% dei soggetti esaminati aveva un test di radio-allergo-assorbimento (radio-allergo-sorbent test, RAST) positivo per uno o più allergeni alimentari o inalanti, dato significativamente superiore rispetto all’incidenza riportata nella popolazione pediatrica generale. Gli stessi Autori hanno poi messo in evidenza come la prevalenza di OSAS fosse del 57% tra gli atopici e del 40% fra i non allergici. La gravità delle OSAS, al contrario, non presentava variazioni statisticamente significative fra atopici e non (12). Inoltre esistono sufficienti prove sperimentali che supportano l’ipotesi che le adenoidi siano coinvolte nel processo di sensibilizzazione allergica. Infatti, 51 52 Brunetti, et al. in un recente studio, condotto su 32 bambini, di cui la metà allergici, sottoposti ad adenoidectomia, è stato dimostrato un incremento, nel gruppo dei soggetti allergici, delle cellule CD1a+, cellule presentanti l’antigene, e degli eosinofili. Questi dati sembrano dimostrare che nelle adenoidi degli atopici si realizza la presentazione degli antigeni, che è alla base del processo della flogosi allergica, nonché il reclutamento di cellule che sono profondamente coinvolte nello stesso processo infiammatorio, come gli eosinofili (13). Pertanto diventa, inoltre, indispensabile mettere in atto una serie di interventi di supporto, quali la prevenzione ambientale per acari e l’eliminazione degli inquinanti ambientali, tutti potenziali fattori aggravanti dell’OSAS (10). Terapia medica Di recente la comunità scientifica ha posto maggiormente l’attenzione sul ruolo dell’infiammazione nella genesi e nel mantenimento dei disturbi respiratori nel sonno sia negli adulti che nei bambini (14). Uno dei meccanismi chiave innescato dall’OSAS nella genesi dello stato infiammatorio cronico è rappresentato dallo stress ossidativo esplicato a livello dei tessuti. Secondo il modello proposto da Ryan (15) la base fisiopatologica di tale meccanismo di flogosi si ritrova nel continuo alternarsi di episodi di ipossia-riossigenazione caratteristici dell’OSAS. Questa ipossia intermittente alternata a riossigenazione, associata allo stress ossidativo ed al processo infiammatorio sistemico, caratterizzato da elevati livelli di diversi mediatori pro-infiammatori, potrebbe predisporre allo sviluppo successivo di complicanze cardiovascolari (16, 17). Un ruolo fondamentale viene svolto dai neutrofili, i quali sono in grado di liberare una grande quantità di radicali liberi, leucotrieni ed enzimi proteolitici responsabili del danno vascolare (18, 19). Lo studio di Dyugovskaya e collaboratori ha dimostrato per la prima volta come in pazienti con OSAS modereta o severa si assiste ad una ritardata apoptosi dei neutrofili e ad un incrementato numero di molecole di adesione sulla loro superficie cellulare; gli stessi Autori, inoltre, hanno evidenziato come la percentuale di neutrofili che andava incontro ad apoptosi era inversamente proporzionale al grado di severità dell’OSAS (20). Anche la proteina C-reattiva (PCR), sebbene costituisca un marcatore aspecifico di flogosi, potrebbe facilitare direttamente la costituzione delle placche ateromatose, attraverso una riduzione nella sintesi di ossido nitrico e attraverso l’induzione, a livello delle cellule endoteliali, di particolari molecole di adesione (21-23). Nell’ultimo decennio, inoltre, diversi studi hanno focalizzato l’attenzione sulla correlazione tra i livelli plasmatici di PCR ed i disturbi respiratori nel sonno (24-26). In particolare Tauman e collaboratori hanno evidenziato, in 81 bambini con OSAS, una significativa correlazione tra i livelli plasmatici di PCR e l’indice di apnea-ipopnea e come tale correlazione fosse maggiore nei pazienti che presentavano danni neurocognitivi (27). Tali osservazioni hanno rafforzato l’indicazione ad un approccio non chirurgico basato sull’utilizzo di farmaci antiinfiammatori per uso sistemico o topico nel trattamento dei disturbi respiratori nel sonno. Disostruzione nasale: corticosteroidi topici Nell’ultimo decennio diversi Autori hanno proposto l’uso di corticosteroidi topici intranasali nel tentativo di ridurre la flogosi persistente della mucosa nasale e la massa adenoidea evitando, in tal modo, l’ablazione di un tessuto immunologicamente funzionante ed evitando al bambino i rischi connessi all’intervento chirurgico (28-33). Nel 1995 Demain e collaboratori in uno studio in doppio cieco contro placebo con crossover, hanno dimostrato che i pazienti sottoposti a terapia topica con beclometasone in soluzione acquosa (336 µg/die), dopo 4 settimane presentavano una riduzione del grado di ostruzione nasale significativamente maggiore rispetto al gruppo trattato con placebo e, dopo il crossover, si assisteva ad una ulteriore riduzione delle dimensioni delle adenoidi in entrambi i gruppi per una sorta di “effetto di trascinamento” dovuto al beclometasone nel gruppo trattato con il farmaco. Anche la sintomatologia clinica durante le 8 settimane mostrava un significativo miglioramento se paragonata allo score clinico iniziale o a quello del gruppo placebo. La riduzione delle dimensioni delle adenoidi sarebbe riconducibile ad una azione linfocitolitica diretta dello steroide e secondariamente ad una generale inibizione della risposta infiammatoria operata dai cortisonici (28). Terapia medica dei disturbi respiratori nel sonno Ad analoghi risultati giunsero Berlucchi e collaboratori, i quali, nel 2007, in un trail randomizzato contro placebo, hanno dimostrato l’efficacia del momestasone furoato nel determinare un riduzione delle dimensioni delle adenoidi e della sintomatologia clinica ad esse associata, giungendo alla conclusione che nei pazienti con ipertrofia adenoidea, non associata ad ipertrofia tonsillare, sarebbe auspicabile far precedere il trattamento con mometasone furoato (50 µg/die) prima di programmare l’intervento chirurgico (34). I cortisonici topici nasali si sono dimostrati utili nel migliorare la severità delle apnee notturne in bambini con ipertrofia adeno-tonsillare. Infatti, nel 2001 Brouillette et collaboratori in uno studio randomizzato, controllato con placebo, su bambini affetti da apnea ostruttiva nel sonno diagnosticata con esame polisonnografico hanno dimostrato, dopo un periodo di trattamento di 6 settimane con fluticasone nasale (200 µg/die nella prima settimana e di 100 µg/die nelle successive 5 settimane) un netto miglioramento del quadro clinico ostruttivo nel 92,3% dei pazienti trattati con fluticasone documentato dalla riduzione dell’indice apnea/ipopnea mista/ostruttiva nel gruppo fluticasone e della frequenza di desaturazioni (29). Ad analoghi risultati è giunto Gozal, il quale ha dimostrato come l’utilizzo quotidiano di budesonide intranasale (32 µg/die), per 6 settimane seguito da altre 6 settimane in maniera alternata, dopo un periodo di wash out di 2 settimane, riduce la severità della sintomatologia clinica in pazienti con OSAS lieve e come questo miglioramento perdura per almeno 8 settimane dopo la sospensione della terapia intranasale (35). Ci sono pochi studi che valutano la durata dell’effetto terapeutico del corticosteroide, sebbene Criscuoli e collaboratori abbiano dimostrato come bambini sottoposti a trattamento topico con beclometasone presentavano una significativa riduzione della severità dell’ostruzione nasale a 24, 52 e 100 settimane dopo la sospensione della terapia medica (36). Ad analoghi risultati è giunto Alexopoulos e collaboratori, i quali hanno studiato l’efficacia della budesonide intranasale (somministrata per 4 settimane) sull’indice di apnea-ipopnea e sulla sintomatologia diurna in bambini affetti da russamento e OSAS da lieve a moderata dimostrando, dopo 2 settimane di trattamento, una riduzione di tale indice ed un miglioramento della sintomatologia clinica che si protraeva per circa 12 mesi dopo la fine del trattamento (37). Sembra opportuno sottolineare che la complessiva risposta favorevole agli steroidi topici può essere spiegata dall’alta espressione dei livelli dei recettori dei glicocorticoidi nei tessuti linfatici dei bambini con OSAS come evidenziato dallo studio di Goldbart e collaboratori (38). L’impiego dei cortisonici topici troverebbe un’ulteriore giustificazione nella possibilità di modificare patogeneticamente il processo di sensibilizzazione allergica che pare realizzarsi nelle adenoidi. Infatti i cortisonici topici riducono la congestione mucosale, attraverso una serie di attività definite genericamente antinfiammatorie (tra cui la riduzione del numero delle mastocellule, linfociti Th2, eosinofili) e, soprattutto, attraverso un blocco dell’inibizione dell’apoptosi indotta dalla IL-4 (39, 40). L’utilizzo prolungato di corticosteroidi sistemici, invece, genera elevate concentrazioni plasmatiche che correlano con una riduzione del sistema ipotalamico-ipofisario. Le variazioni indotte sui livelli circadiani del cortisolo interferiscono con molteplici meccanismi biologici, tra cui la crescita, specie nei bambini e negli adolescenti (40). La somministrazione per via topica, però, riduce drasticamente questi effetti indesiderati (41-43). Gli eventuali effetti sulla crescita degli steroidi topici usati a lungo termine nei bambini (dai 3 ai 9 anni) sono stati valutati nello studio di Schenkel e collaboratori, in cui è emerso come le altezze medie e la velocità di crescita siano risultate simili nei due gruppi di confronto dopo un anno di trattamento con mometasone furoato (44). Ad analoghi risultati è giunto Ratner, il quale ha sottoposto a trattamento intranasale con mometasone furoato (100 µg/die) per 12 mesi, dimostrando nessuna soppressione dell’asse ipotalamico-ipofisario (45). È stato dimostrato, inoltre, come il mometasone furoato (100-200 µg/die) non sia praticamente rintracciabile nel plasma di bambini e di adulti e risulti sotto la soglia di rilevamento perfino in pazienti trattati con dosaggi 12 volte maggiori rispetto a quelli raccomandati (46). Rosenblut e collaboratori hanno dimostrato come la somministrazione intranasale di fluticasone furoato (110 µg/die) per 12 mesi, rispetto ad un gruppo controllo, non determinava effetti avversi, fatta eccezione per l’epistassi, e che non emergeva nessuna differenza significativa nella 53 54 Brunetti, et al. quantità di cortisolo urinario escreto nelle 24 ore nel gruppo dei pazienti trattati rispetto al gruppo controllo (47). I corticosteroidi intranasali, pertanto, si propongono come terapia di prima scelta nei pazienti con OSAS lieve-moderata, nei russatori abituali ed in bambini con OSAS “residua”, ossia coloro che presentano sintomi dopo qualsiasi altro tipo di intervento terapeutico. Disostruzione nasale: corticosteroidi sistemici Dai dati presenti in letteratura emerge un solo studio che esamina il ruolo degli steroidi sistemici nell’OSAS. Nel 1997 Al-Ghamdi e collaboratori hanno sottoposto 10 bambini con OSAS, documentata polisonnograficamente, ed ipertrofia adenotonsillare ad un ciclo di 5 giorni con prednisone per os (1,1+/-0,1 mg/kg/die) dimostrando una riduzione non significativa della sintomatologia clinica e degli indici polisonnografici e concludendo così che un breve ciclo di prednisone per os è inefficace nel trattamento delle OSAS in pazienti pediatrici con ipertrofia adenotonsillare (48). Antileucotrieni Il recente riscontro, in bambini affetti da sleep apnea, di una sovraespressione dei recettori dei cisteinil-leucotrieni (LTR1 e LTR2) nel tessuto tonsillare (49) e la preliminare evidenza che i leucotrieni rivestono un importante ruolo come mediatori della flogosi nelle vie aeree superiori e come responsabili della proliferazione del tessuto linfoadenoideo (50, 51) ha indotto la comunità scientifica ad avanzare l’ipotesi secondo la quale la somministrazione sistemica di antileucotrieni potrebbe migliorare l’OSAS di grado lievemoderato. Goldbart e collaboratori hanno valutato 24 bambini con OSAS di grado moderato ed ipertrofia adenoidea, i quali furono sottoposti a monoterapia con montelukast per 16 settimane; al termine del trattamento i pazienti presentarono una significativa riduzione nelle dimensioni delle adenoidi ed un significativo miglioramento dei disturbi respiratori nel sonno (52). Gli stessi Autori hanno dimostrato, inoltre, che la terapia antinfiammatoria combinata con budesonide intranasale e montelukast per via orale per 12 settimane migliora drasticamente e/o normalizza i disturbi respiratori nel sonno in 22 bambini con OSAS lieve residua dopo interevento di adenotonsillectomia (53). Decongestionanti orali e nasali I decongestionanti nasali sono rappresentati da una vasta gamma di principi attivi disponibili singolarmente o in associazione, sia sotto forma di preparazioni per uso topico sia sistemico. Essi possono effettivamente ridurre la congestione e l’ostruzione nasale migliorando di conseguenza la qualità del sonno; tuttavia, possono indurre, se usati per periodi superiori a 5 giorni, reazioni avverse a livello sia locale che sistemiche (54). In particolare si può manifestare irritazione locale transitoria; inoltre la vasocostrizione indotta dai decongestionanti topici può essere seguita da vasodilatazione o congestione rebound (55) che sembra essere meno marcata per i derivati imidazolinici e per l’ossifenil-propilamina iodio idrato. Nel tempo la ridotta sensibilità dei recettori alfa adrenergici può causare tachifilassi. L’abuso dei vasocostrittori, indotto dal fenomeno della congestione rebound e della tachifilassi, e lo scorretto uso del farmaco possono determinare alterazioni prolungate della mucosa che risultano in rinite atrofica medicamentosa che è particolarmente pericolosa in bambini al di sotto dei 6 mesi di età in cui la respirazione è soprattutto nasale. Poiché la mucosa nasale è una buona superficie di assorbimento (56), in circostanze rare, quantità significative di questi farmaci possono essere assorbite e causare a livello sistemico effetti simpaticomimetici. Le reazioni avverse più significative sono a carico dell’apparato cardiovascolare (ipertensione arteriosa, tachicardia, pallore, sudorazione, bradicardia, ipotensione arteriosa) e del sistema nervoso centrale (cefalea, depressione neurologica con sintomi che vanno dalla sonnolenza fino al coma e depressione respiratoria). I bambini e i lattanti sono più sensibili agli effetti sistemici rispetto agli adulti. Uno studio retrospettivo brasiliano condotto su 72 bambini di età compresa tra due mesi e 13 anni esposti a derivati imidazolinici, sia per via orale che per via nasale, ha evidenziato un’alta incidenza di reazioni avverse (57 su 72 bambini esposti). Le reazioni non risultavano essere gravi; erano prevalentemente a carico del sistema nervoso centrale, cardiovascolare e respiratorio; interessavano bambini al di sotto di 3 anni ed erano più frequenti negli esposti a nafazolina rispetto a quelli esposti a ossimetazolina (57). Una revisione sistematica dal Cochrane Database, aggiornata al 2007, effettuata con lo scopo di valutare negli adulti e nei bambini l’efficacia e la Terapia medica dei disturbi respiratori nel sonno sicurezza dei decongestionanti nasali, ha evidenziato la mancanza di validi studi di efficacia nella popolazione pediatrica (58). Le differenze esistenti tra la popolazione adulta e quella pediatrica, sia nell’anatomia nasale sia nella tolleranza ai farmaci, non permettono, secondo gli Autori, un’estrapolazione dell’efficacia e della sicurezza dei decongestionanti nei bambini. Gli Autori concludono che fino a quando non saranno pubblicati lavori che dimostrino l’efficacia dei decongestionanti nasali in bambini, l’uso di questi farmaci non è raccomandato nei bambini al di sotto di 12 anni. Antibiotici Il ruolo degli antibiotici nel management dell’ipertrofia adenotonsillare e dell’OSAS è ancora discusso. È stata avanzata l’ipotesi che gli antibiotici possano ridurre le dimensioni delle adenoidi, migliorare i sintomi ostruttivi ed in tal modo evitare l’intervento chirurgico. Scalfani e collaboratori nel 1998, in uno studio contro placebo, hanno sottoposto bambini (dai 2 ai 16 anni) con sintomatologia ostruttiva da ipertrofia adenotonsillare cronica a terapia antibiotica con amoxicillina/clavulanata (40 mg/Kg in 3 dosi giornaliere) per un periodo di 30 giorni evidenziando come, al follow-up di 1 mese, tale ciclo riduceva significativamente la necessità dell’intervento chirurgico rispetto al gruppo controllo (37,5% vs 62,7%). Questa riduzione relativa persisteva ai successivi follow-up a 3 mesi (AMOX/CLAV 54,5% vs placebo 85,7%) e 24 mesi (AMOX/CLAV 83,3% vs placebo 98,0%) sebbene, durante questi follow-up, la percentuale assoluta di pazienti che richiedevano l’intervento chirurgico aumentava in entrambi i gruppi. Gli Autori, pertanto, concludevano che la terapia antibiotica poteva essere intrapresa quando era necessario un miglioramento a breve, sia pur temporaneo, della sintomatologia o quando l’intervento chirurgico era gravato da elevati rischi (59). Successivamente Debra e collaboratori hanno valutato, in uno studio in doppio cieco contro placebo, l’efficacia della terapia antibiotica con azitromicina (12 mg/kg/die) per 5 giorni, ripetuta ad intervalli di 6 giorni per un totale di 3 cicli, in bambini con ipertrofia adenotonsillare e sintomi suggestivi di OSAS, andando a valutare i parametri polisonnografici prima e dopo tale il trattamento e concludendo che la terapia antibiotica poteva determinare solo un miglioramento temporaneo nell’OSAS dovuta ad ipertrofia adeno-tonsillare, ma non costituiva una terapia sostitutiva all’intervento chirurgico (60). Lavaggi nasali I lavaggi delle fosse nasali rappresentano sicuramente un intervento medico utile per ridurre i sintomi dovuti all’ostruzione nasale. L’impiego sempre più capillare delle cosiddette docce nasali micronizzate ha molto migliorato la possibilità di eseguire una buona toilette nasale (diluizione del muco, rimozione di secrezioni, croste, microparticelle estranee, allergeni, batteri, idratazione delle mucose) (61). L’impiego, inoltre, relativamente recente, di soluzioni ipertoniche al posto delle tradizionali soluzioni iso- o ipo-toniche sembra migliorare la clearance mucociliare, almeno in individui sani (62). Ossigenoterapia L’ossigenoterapia può essere prescritta per migliorare l’ipossia notturna per brevi periodi in casi speciali, quali neonati con anomalie craniofaciali, o in pazienti con OSAS grave che non hanno beneficiato dell’intervento di adenotonsillectomia o che non tollerano la terapia tramite continuous positive airway pressure (CPAP). È importante monitorare la CO2 affinché la normalizzazione della ossiemia non mascheri un’ipercapnia pericolosa. L’ossigenoterapia comunque non previene l’ostruzione e le complicanze delle alte vie aeree quali la frammentazione del sonno e l’aumentato lavoro respiratorio; inoltre potrebbe peggiorare l’ipoventilazione (10, 63). Conclusioni In conclusione, la diagnosi ed il trattamento precoce dei disturbi respiratori nel sonno (capitolo importante della salute del bambino) evitano, riducendo la durata della sintomatologia clinica, le complicanze dei disturbi respiratori nel sonno così, probabilmente, da modificarne la storia naturale. 55 Brunetti, et al. Bibliografia 1. Brunetti L, Rana S, Lospalluti ML, et al. Prevalence of obstructive sleep-apnea syndrome in a cohort of 1207 children of Southern Italy. Chest 2001; 120:1930-1935. 12. McColley SA, Carroll JL, Curtis S, et al. High prevalence of allergic sensitization in children with abitual snoring and obstructive sleep apnea. 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Andrea”, II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università “La Sapienzà” Roma Terapia integrata nel bambino con disturbi respiratori notturni Management of paediatric obstructive sleep apnea syndrome Parole chiave: terapia, apnee ostruttive nel sonno, ipertrofia adenotonsillare, infiammazione, russamento Keywords: treatment, obstructive sleep apnea, adeno-tonsillar hypertrophy, inflammation, snoring Riassunto. L’apnea ostruttiva nel sonno nel bambino si presenta non solo come un disturbo ad elevata prevalenza ma anche come una sindrome caratterizzata dall’associazione di numerosi quadri morbosi. Le maggiori conseguenze riguardano l’apparato cardiovascolare, il sistema nervoso, con alterazioni neuro-comportamentali ed il metabolismo. Il trattamento dell’OSAS è rappresentato dalla terapia chirurgica, meccanica o medica. Il trattamento chirurgico ha il fine di aumentare lo spazio a disposizione nell’ambito delle vie aeree superiori. Sebbene l’adenotonsillectomia sia la tecnica più largamente utilizzata nei bambini con OSAS, una valida alternativa è rappresentata dal trattamento ortopedico ortodontico (placca di riposizionamento mandibolare ed espansore rapido del palato) ed il trattamento medico che include la perdita di peso nei bambini obesi, gli steroidi nasali e la somministrazione di antinfiammatori sistemici per via orale o topici. La ventilazione meccanica non invasiva a pressioni positive continue si avvale di maschere nasali e determina una risoluzione dell’OSAS attraverso l’apertura delle vie aeree. Questo articolo si focalizza sulle diverse opzioni terapeutiche e sulla valutazione della loro efficacia nel trattamento delle apnee ostruttive nel sonno nel bambino. Accettato per la pubblicazione il 13 maggio 2009. Corrispondenza: Prof.ssa Maria Pia Villa, Dipartimento di Pediatria, A.O. “S. Andrea”, II Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università di Roma “La Sapienza”, Roma; e-mail: [email protected] Introduzione Negli ultimi anni molti studi hanno cambiato il nostro modo di guardare ai disturbi respiratori nel sonno (DRS) in età pediatrica ed in particolare le novità sulla eziopatogenesi di questo spettro di quadri clinici hanno indotto la comunità scientifica a rivederne l’approccio terapeutico (1-3). Essendo infatti l’eziopatogenesi multifattoriale, anche l’approccio terapeutico deve spesso essere multifattoriale ed interdisciplinare. I cardini della terapia dell’OSAS ad oggi sono rappresentati da terapia medica, asportazione delle adenoidi e delle tonsille, terapia ortodontica e ventilazione meccanica non invasiva. La terapia chirurgica con intervento di adenotonsillectomia rappresenta la prima scelta nei bambini con OSAS severo ed ipertrofia adenotonsillare. Una metanalisi dei dati pubblicati in letteratura ha messo in evidenza infatti un tasso di successo dell’intervento di adeno-tonsillectomia pari circa all’85% (4) con valori inferiori nei bambini obesi o nei bambini con OSAS molto severo (5-9).Tali dati supportano l’importanza di effettuare un follow-up polisonnografico nei bambini sottoposti ad intervento chirurgico (9) e suggeriscono inoltre che la ricorrenza del disturbo respiratorio nel sonno presenta un’incidenza maggiore nei bambini in cui concorrono altri fattori di rischio nella eziologia del DRS, quali l’obesità e le alterazioni scheletriche morfo-strutturali (palato ogivale, microretrognazia, etc.) (10). Un intervento aggiuntivo per i bambini in cui l’adenotonsillectomia non porta a risoluzione dell’OSAS o in cui residua un OSAS moderato-severo è 60 Villa, et al. rappresentato dalla ventilazione meccanica non invasiva con pressioni positive continue per via nasale (nasal continuous positive airway pressure, NCPAP) (11-16). Nonostante la scarsa disponibilità di maschere pediatriche adatte alle dimensioni del volto, il tasso di aderenza sembra essere soddisfacente (17) e può essere incrementato attraverso supporto alle famiglie ed accorgimenti comportamentali. (18). La maggiore difficoltà dal punto di vista terapeutico si incontra nella gestione di quei bambini appartenenti alla così detta “zona grigia”, con valori del apnea-ipopnea index (AHI) compresi tra 1 e 5 eventi/ora, che configurano una OSAS lieve. In questi pazienti è infatti necessario effettuare una attenta analisi del rapporto rischiobeneficio di fronte alle diverse opzioni terapeutiche. Ecco perché sono stati studiati approcci terapeutici alternativi rispetto a quello chirurgico o ventilatorio. Uno di questi è rappresentato dalla terapia cortisonica nasale che, da diversi studi (19-23) è risultato essere in grado di determinare una significativa riduzione dell’AHI soprattutto nei bambini con ipertrofia adenoidea, associato ad un miglioramento del quadro clinico. In aggiunta, dati di letteratura evidenziano come elevate concentrazioni di leucotrieni e dei loro recettori siano presenti a livello delle vie aeree nei bambini con OSAS (24-25). Questo darebbe conto della buona risposta alla terapia con antagonisti specifici del recettore per leucotrieni (24). Tale approccio è risultato soddisfacente anche dopo intervento di adeno-tonsillectomia per l’OSAS residua (26). L’approccio ortodontico infine sembrerebbe rappresentare una valida alternativa alla adenotonsillectomia o come terapia coadiuvante o come primo intervento in assenza di ipertrofia adenotonsillare; la modificazione della struttura stomatognatica potrebbe inoltre prevenire le recidive come mostrato dai dati di letteratura ad oggi disponibili (27-29). Terapia medica Di recente la letteratura ha posto l’attenzione sul ruolo della infiammazione nella genesi dei disturbi respiratori nel sonno (30). Uno dei meccanismi chiave innescato dalla OSAS nella genesi dello stato infiammatorio cronico è rappresentato dallo stress ossidativo esplicato a livello dei diversi tessuti. Secondo il modello proposto da Ryan, la base fisipatologica di tale meccanismo di flogosi, si ritrova nel continuo alternarsi di episodi di ipossia-riossigenazione caratteristici dell’OSAS (31). Tali osservazioni hanno rafforzato l’indicazione ad un approccio basato sull’utilizzo di farmaci antinfiammatori per uso sistemico o topico (19-26) nel trattamento dei disturbi respiratori nel sonno, di cui ampliamente discusso precedentemente. Trattamento e prevenzione dell’obesità La riduzione di peso nei bambini obesi con OSAS è un obiettivo prioritario (32). L’American Academy of Pediatrics benché non consideri la perdita di peso un trattamento specifico consiglia di adottare strategie di dimagramento nei bambini obesi con OSAS (33, 34). Diversi studi hanno dimostrato l’associazione tra OSAS e disfunzioni metaboliche (35-39). Studi in vitro ed in vivo hanno dimostrato come la sintesi di leptina sia aumentata in seguito ad un insulto ipossico con un meccanismo di attivazione mediato dall’HIF-1. Gozal ha inoltre mostrato come i livelli di leptina circolante in soggetti con OSAS siano correlati non solo al BMI ma anche all’indice di apneaipopnea (AHI) (36). Inoltre la diminuzione dell’ossido nitrico (NO) circolante associato allo stress mitocondriale che si verifica nell’OSAS potrebbe determinare una condizione di riassetto del metabolismo cellulare con una diminuzione nel dispendio di energia ed accumulo di tessuto adiposo come dimostrato da studi sull’effetto di una carenza nella produzione di NO sui meccanismi dell’omeostasi energetica negli animali di laboratorio (37-40). In questi soggetti spesso la perdita di peso ha maggiore successo se contemporanea al ripristino della pervietà delle alte vie respiratorie, in modo da assicurare una migliore ossigenazione ed interrompere il meccanismo dell’ipossia intermittente. Terapia chirurgica I dati della letteratura riportano un tasso di risoluzione dei sintomi clinici e normalizzazione del quadro polisonnografico dopo adenotonsillectomia mediamente nel 75%-80% dei casi, con complicanze respiratorie postoperatorie nel 16%-27% dei casi (4-10). Allo stesso tempo, il 15%-20% di bambini trattati chirurgicamente non ha una risoluzione della sintomatologia ostruttiva, inoltre un Terapia Integrata nel bambino con disturbi respiratori notturni ulteriore 15 % presenta OSAS residuo, mentre il 2%, sebbene abbia una polisonnografia negativa, continua a russare (11). Questo dato risulta ancora più significativo nei bambini sotto i tre anni dove il 65% dei bambini sembrerebbe mantenere una polisonnografia patologica dopo l’intervento di adenotonsillectomia (12). Anche bambini con sindromi associate, come la sindrome di Down, la sindrome di Apert, ed altre trovano giovamento dalla terapia chirurgica. Tuttavia in questi pazienti spesso è necessario un trattamento addizionale (10). La terapia chirurgica in bambini al di sotto dei 3 anni dovrebbe essere accompagnata da un inquadramento diagnostico completo mediante polisonnografia al fine di ridurre i rischi post-operatori (34). Il distress respiratorio post-operatorio è più frequente nei pazienti con OSAS severa e nei bambini con età inferiore ai 3 anni nei quali si raccomanda un attento monitoraggio nel periodo postoperatorio anche se non ci sono dati che dimostrino la necessità che bambini al di sotto di 2 anni con OSAS severa debbano essere operati in strutture con monitoraggio post operatorio intensivo. I casi più gravi, identificati sulla base clinica e/o strumentale devono essere sottoposti all’intervento nel più breve tempo possibile. Dopo l’intervento di adeno-tonsillectomia è consigliabile una terapia miofunzionale volta alla rieducazione della respirazione nasale e alla riconquista del sigillo labiale (41) per ridurre le recidive. Altri interventi chirurgici sui tessuti molli non sono consigliati nei bambini. Figura 2 Esempio di espansore rapido del palato. 61 Terapia ortodontica Una opzione terapeutica alternativa alla adeno-tonsillectomia, come evidenziato da uno studio del nostro gruppo (27) è rappresentato, in soggetti con alterato sviluppo mandibolare e malocclusione, dalla placca di riposizionamento mandibolare (Figura 1) o dall’espansore rapido del palato (Figura 2) (27-29). I bambini OSAS presentano delle caratteristiche dento-scheletriche peculiari, quali retrusione mandibolare associata o meno a morso profondo, palato ogivale associato o meno a morso crociato mono o bilaterale, che potrebbero influire sui disturbi respiratori. La terapia ortodontica mira al ripristino di un rapporto armonico mascellaremandibolare e di conseguenza tra le arcate dentarie e ci consente, attraverso l’applicazione di determinate procedure terapeutiche di ottenere dei benefici respiratori non indifferenti. Figura 1 Esempio di placca di riposizionamento mandibolare. Modificata da (27). 62 Villa, et al. Dai dati in letteratura emerge come il trattamento ortodontico sia tanto più efficace tanto più precocemente sia instaurato, in modo da poter correggere ed orientare la crescita del massiccio maxillo-mandibolare e spostare in avanti la lingua. La terapia ortopedica della bocca e cioè il riposizionamento della mandibola e l’ampliamento del mascellare devono essere considerati momenti terapeutici importanti, poiché potrebbero essere in grado di modificare la storia naturale dell’OSAS. Tuttavia mancano dati di follow-up sulla efficacia a lungo termine: attualmente gli studi hanno valutato gli effetti terapeutici fino a 12 mesi dall’intervento ortodontico. Studi sull’efficacia della terapia con espansore rapido del palato hanno dimostrato come tale trattamento sia in grado di modificare la storia dell’OSAS anche in pazienti con ipertrofia tonsillare, dopo 12 mesi di trattamento si osserva un marcata riduzione dei disturbi respiratori nel sonno ed un miglioramento di quelle che sono le sequele diurne dell’OSAS (27-29). Dati preliminari concernenti il follow-up a 24 mesi dei soggetti che hanno effettuato la terapia ortopedica indicano che l’AHI, nonché lo score clinico ottenuto mediante questionari standardizzati, non cambia nel tempo (29). Questo tipo di intervento naturalmente può essere integrato sia con la terapia medica sia con la terapia chirurgica. Gli interventi ricostruttivi e le distrazioni ossee sono la terapia d’elezione nelle alterazioni morfostrutturali nelle sindromi di Apert, di Crouzon e di Pierre Robin ed altre sindromi congenite. Ventilazione meccanica non invasiva Nei pazienti gravi, nei quali la terapia medica o chirurgica non è realizzabile (obesità marcata, disturbi neurologici, sindromi malformative, etc.) o ha dato risultati insoddisfacenti la scelta terapeutica giusta è la terapia ventilatoria non invasiva con pressioni positive continue per via nasale (nCPAP) o con pressioni ventilatorie alternanti (bi-level positive airway pressure, BiPAP). La CPAP è efficace e ben tollerata in più dell’80% dei pazienti con OSAS grave (1-16) soprattutto in bambini con anomalie craniofacciali e disordini neurologici. La compliance terapeutica è direttamente correlata alla severità dell’OSAS e al convincimento della famiglia che la ventilazione non invasiva è la migliore soluzione terapeutica in quel momento. Una volta prescritta e tarata con pressioni appropriate mediante polisonnografia, la ventilazione meccanica non invasiva è gestita agevolmente a domicilio e controllata periodicamente nei centri specialistici. Gestione del paziente con DRS Attualmente non esistono Linee Guida o Consensus Paper sul corretto iter terapeutico multidisciplinare nel bambino con OSAS; in particolare non esistono dati sul timing della terapia. Il nostro gruppo ha di recente individuato un timing selettivo per le varie terapie basato sulla gravità polisonnografica dell’OSAS, sul fenotipo, sull’età e sulla presenza o meno di difetto ortodontico (Tabelle 1 e 2). La flow chart prende in considerazione da una parte la severità dell’OSAS secondo i criteri polisonnografici dall’altra l’età del paziente. Inoltre si fa distinzione nell’approccio terapeutico tra i vari fenotipi, in particolare il Fenotipo I, “classico” con ipertrofia adenotonsillare ed il tipo II, il bambino obeso. Non viene menzionato nella flow chart il fenotipo “congenito” per la complessità della sindrome di base e per il diverso approccio terapeutico. Conclusioni L’OSAS e i Disturbi Respiratori nel Sonno sono un capitolo importante nella salute del bambino. Il pediatra può, riconoscendo precocemente la sindrome, intervenire e ridurre la durata dei sintomi evitando le conseguenze dell’OSAS, così da modificare la storia naturale di questa malattia. Terapia Integrata nel bambino con disturbi respiratori notturni Tabella 1 Schema per la gestione ed il “Timing” terapeutico nel bambino >3 anni con disturbo respiratorio nel sonno. AHI, apnea-ipopnea index; ev/h, eventi/ora; nCPAP, pressioni positive per via nasale. Gravità polisonografica del DRS Fenotipo Russamento primario AHI <1 ev/h OSAS lieve-minima AHI >1 <5 ev/h OSAS moderata-severa AHI >5 ev/h Classico “Tipo 1” senza difetto ortodontico Terapia medica Terapia Miofunzionale Terapia medica Terapia Miofunzionale Adenotonsillectomia (con carattere di Urgenza se OSAS severa) - Nell’OSAS residua - nCPAP (AHI >5) - terapia medica - terpia miofunzionale Classico “Tipo 1” senza difetto ortodontico Terapia ortodontica Terapia medica Terapia Miofunzionale Terapia medica Terapia medica Terapia Miofunzionale Adenotonsillectomia (con carattere di Urgenza se OSAS severa) Terapia ortodontica - Nell’OSAS residua - nCPAP (AHI >5) - terapia medica - terpia miofunzionale Adulto “Tipo 2” Dieta ipocalorica Terapia medica Terapia ortodontica (se difetto ortodontico) Dieta ipocalorica Terapia medica nCPAP Terapia ortodontica (se difetto ortodontico) nCPAP Dieta ipocalorica Terapia medica Terapia ortodontica (se difetto ortodontico) Tabella 2 Schema per la gestione ed il “Timing” terapeutico nel bambino <3 anni con disturbo respiratorio nel sonno. AHI, apnea-ipopnea index; ev/h, eventi/ora; nCPAP, pressioni positive per via nasale. Gravità polisonografica del DRS Fenotipo Russamento primario AHI <1 ev/h OSAS lieve-moderato AHI >1 <10 ev/h OSAS severa AHI >5 ev/h Classico “Tipo 1” senza difetto ortodontico con difetto ortodontico Terapia medica Terapia medica nCPAP (quando applicabile) Adenotonsillectomia nCPAP (quando applicabile) 63 Villa, et al. Bibliografia 1. Capdevila OS, Keirandish-Gozal L, Dayyat E, Gozal D. Pediatric Obstructive Sleep Apnea Complications, Management, and Long-term Outcomes. Proc Am Thorac Soc Vol 2008; 5: 274-282. 2. Brouillette RT, Fernbach SK, Hunt CE. Obstructive sleep apnea in infants and children. J Pediatr 1982; 100: 31-40. 3. Gozal D. Sleep-disordered breathing and school performance in children. Pediatrics 1998; 102: 616-620. 4. Lipton AJ, Gozal D. Treatment of obstructive sleep apnea in children: do we really know how? Sleep Med Rev 2003; 7: 61-80. BIBLIOGRAFIA 64 in 80 children. 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Riv Ital Pediatr (IJP) 2001; 27: 229-236. 66 Pneumologia Pediatrica 2009; 34: 66-73 Elena Finotti1, Clementina Boniver1, Oliviero Bruni2 1Dipartimento di Pediatria “Salus Pueri”, Università degli Studi di Padova, Padova; 2Centro per i disturbi del sonno, Dipartimento di Scienze Neurologiche, Psichiatriche e Riabilitative dell’Età Evolutiva, Università “La Sapienza”, Roma I disturbi parossistici del sonno in età evolutiva Paroxysmal sleep disorder of childhood Parole chiave: disturbi del sonno, parasonnie Keywords: sleep disorders, parasomnias Riassunto. I disturbi del sonno in età evolutiva possono essere molteplici, verificarsi all’inizio del sonno, durante il sonno, o al risveglio. Possono determinare non solo un disagio ai famigliari ma anche conseguenze per il bambino. È importante pertanto effettuare un corretto inquadramento diagnostico, terapeutico, e conoscere quali casi inviare ad uno specialista del sonno per eventuali approfondimenti ed esami strumentali. La maggior parte delle volte si tratta di disturbi benigni e a risoluzione spontanea, generalmente durante l’adolescenza. Un’anamnesi accurata è in genere sufficiente per formulare una diagnosi, tuttavia in alcuni casi può essere indicato uno studio polisonnografico. In questa review verranno analizzati i disturbi parossistici del sonno più comuni in età evolutiva. Accettato per la pubblicazione il 13 maggio 2009. Corrispondenza: Dott.ssa Elena Finotti, Dipartimento di Pediatria “Salus Pueri” Università degli Studi di Padova; e-mail: [email protected] Introduzione La classificazione internazionale dei disturbi del sonno (ICSD-2) (1) suddivide i disturbi del sonno in varie categorie: 1. insonnia; 2. disturbi respiratori del sonno; 3. ipersonnie di origine centrale; 4. disturbi del ritmo circadiano; 5. parasonnie; 6. disturbi del movimento in sonno; 7. varianti fisiologiche, sintomi isolati e problemi irrisolti. È fondamentale pertanto un corretto approccio anamnestico che permetta al clinico di orientasi all’interno di questa ampia categoria di disturbi. La valutazione del bambino con disturbo del sonno deve comprendere un esame obiettivo, un esame dello sviluppo neuropsichico e delle modalità di interazione genitore/bambino, con particolare riferimento alla percezione genitoriale del disturbo, e all’interferenza di questo con la vita familiare e di coppia. La raccolta delle informazioni sul disturbo è estremamente importante perché può già permettere di orientarci verso la diagnosi e la terapia più appropriata. Se è in grado di descrivere il problema, bisogna ascoltare per primo il bambino (2). In caso di disturbi parossistici nel sonno si deve valutare: il momento di insorgenza (prima o ultima parte della notte); la costanza di presentazione temporale dell’evento; lo stato di coscienza durante l’evento; il ricordo dell’evento la mattina successiva. Andrebbe comunque richiesta l’eventuale registrazione video del disturbo da parte dei genitori. Le parasonnie Le parasonnie comprendono un’ampia varietà di comportamenti inusuali durante il sonno. L’American Academy of Sleep Medicine le definisce come eventi fisici o esperienze indesiderabili che si verificano all’inizio del sonno, durante il sonno, o al risveglio (1). Queste manifestazioni sono accompagnate da movimenti, comportamenti, emozioni, percezioni anomali correlati al sonno e all’attivazione del sistema nervoso autonomo. La classificazione internazionale dei disturbi I disturbi parossistici del sonno in età evolutiva del sonno (ICSD-2) le suddivide in 3 gruppi: 1. i disturbi dell’arousal (parasonnie del sonno nonREM), 2. le parasonnie associate al sonno REM, 3. altre parasonnie (1). I disturbi dell’arousal I disturbi dell’arousal (DOA) si manifestano tipicamente durante il sonno ad onde lente (stadio 3-4), ma possono occorrere anche durante il sonno più leggero (3). Tali parasonnie insorgono nel primo terzo della notte, quando il sonno ad onde lente è predominante. Sono così definiti perché si ritiene siano causati da alterati meccanismi dell’arousal e sono caratterizzati da una percezione dell’ambiente circostante falsata, risveglio difficoltoso durante l’evento, segni d’attivazione autonomica, comportamenti afinalistici, disorientamento e amnesia retrograda. I disturbi dell’arousal sono frequenti durante l’infanzia, manifestandosi nel 15%-20% dei bambini preadolescenti (4). Un recente studio condotto in età pediatrica ha dimostrato che l’alta prevalenza si riscontra nei bambini in età prescolare (14,5% per il sonnambulismo, 39,8% per il pavor nocturnus) e può essere correlata con un disturbo d’ansia da separazione (5). Raramente tali disturbi persistono in età adulta; la prevalenza in questa fascia d’età è stimata intorno al 1%-4% per il sonnambulismo e meno dell’1% nel pavor nocturnus (1). L’elevata incidenza dei disturbi dell’arousal in età evolutiva sembra essere dovuta ad un’incompleta maturazione delle strutture del sistema nervoso centrale (SNC) implicate nella regolazione del sonno ad onde lente e dei meccanismi dell’arousal. Con il processo di maturazione tali meccanismi completano il loro sviluppo, avviene la sincronizzazione, e i sintomi si risolvono spontaneamente a meno che non sussista una patologia sottostante (6). L’attivazione del sistema serotoninergico è parzialmente responsabile dei risvegli ed è implicata nello scatenamento dei fenomeni motori (7). Questa alterazione neuro-trasmettitoriale può essere presa in considerazione per il trattamento di tali disturbi utilizzando farmaci contenenti precursori della serotonina (8). Alcuni fattori possono influenzare lo scatenamento di episodi parasonnici e le loro manifestazioni cliniche. La predisposizione genetica gioca un ruolo importante. La prevalenza del sonnambulismo e del pavor nocturnus nei parenti di primo grado dei soggetti affetti da pavor era di 10 volte superiore rispetto alla popolazione generale; se entrambi i genitori sono affetti da DOA c’è il 60% di possibilità che questo si manifesti nel bambino (9). Studi di popolazione su gemelli monozigoti e dizigoti suggeriscono che i fattori genetici sono implicati nel 65% dei casi di sonnambulismo (10). Inoltre alcuni studi neurofisiologici dimostrano una predisposizione ad ereditare un’instabilità del sonno NREM caratterizzata da alti livelli di oscillazione nei meccanismi dell’arousal, che sarebbero legati all’instabilità dei livelli di serotonina (11). Oltre all’influenza genetica, devono essere presi in considerazione diversi fattori contribuenti o scatenanti gli episodi come l’età, la deprivazione di sonno, un’inadeguata igiene del sonno, lo stress emotivo, l’eccessiva quantità di sonno o la deprivazione di sonno, i disturbi del ritmo circadiano e disturbi intrinseci del sonno (apnea ostruttiva, e i movimenti periodici degli arti) (12, 13). Sono stati riportati anche casi di disturbi dell’arousal correlati allo stato febbrile (14). I disturbi respiratori in sonno e i movimenti periodici degli arti inferiori (PLMs) sono entrambi responsabili nello scatenamento degli episodi di sonnambulismo o di terrore notturno sia perché determinano una frammentazione del sonno, sia perché inducono un rebound di sonno ad onde lente (15). Il trattamento del disturbo primario (apnee o PLM) determinava una scomparsa delle parasonnie (12). Dall’altro lato il trattamento dell’apnea ostruttiva può causare un aumento del sonno ad onde lente per effetto rebound predisponendo così agli eventi parasonnici (16). Altri fattori di rischio sono rappresentati dall’uso di alcuni farmaci (ad es. neurolettici, sedativi ipnotici, stimolanti, antistaminici) (17) e l’uso ed abuso di alcool. Inoltre anche fattori come la sovradistensione della vescica, i rumori, la luce o i risvegli forzati possono precipitare le parasonnie (3). I DOA vengono clinicamente suddivisi in: risvegli confusionali, sonnambulismo, terrore notturno (pavor nocturnus). I risvegli confusionali sono caratterizzati da un improvviso risveglio che si associa a confusione, disorientamento, movimenti e lamenti, talvolta accompagnati da comportamenti semi-intenzionali come il gridare, piangere o compiere atti aggressivi (1). Tipicamente si presentano nella prima parte della notte, ma possono anche insorgere più tardi, al momento del risveglio forzato al mattino o nei sonnellini diurni. Il tentativo di consolare o svegliare il bambino durante l’episodio può non 67 68 Finotti, et al. essere d’aiuto ed anzi può peggiorare o prolungare l’evento. Il paziente appare spesso confuso ed alcune volte può divenire aggressivo o agitato, particolarmente se viene obbligato a svegliarsi. Gli eventi possono essere brevi, della durata di 1 o 2 minuti, ma possono prolungarsi anche fino 30- 40 minuti prima che il bambino si calmi e torni a dormire. Alcune forme di risvegli confusionali possono evolvere in sonnambulismo in adolescenza, o esprimersi come eccessiva inerzia mattutina al risveglio (18). La diagnosi differenziale deve prendere in considerazione le crisi parziali in sonno, che possono mimare i risvegli confusionali, il sonnambulismo, il terrore notturno e anche i disturbi comportamentali in sonno REM (REM behavior disorders). Il sonnambulismo viene definito come “una serie di comportamenti complessi che usualmente iniziano durante un arousal dal sonno ad onde lente e culminano con l’alzarsi e camminare in uno stato di coscienza parziale”. Si manifesta spesso nel primo terzo della notte o a metà del sonno, durante il sonno ad onde lente, comunemente verso la fine del primo o secondo ciclo di sonno; raramente durante i sonnellini diurni. Il sonnambulismo può iniziare da quando il bambino è in grado di camminare a qualsiasi altro momento della vita. Generalmente tale disturbo si risolve spontaneamente intorno alla pubertà ma può continuare a persistere anche in adolescenza. Gli episodi possono verificarsi con cadenza di uno per notte e in alcuni casi anche più frequentemente. Esistono due forme di sonnambulismo: calmo e agitato, con diversi gradi di complessità e durata (3). Spesso i pazienti si siedono sul letto e in uno stato confuso si guardano attorno prima di iniziare a camminare, altre volte possono uscire subito dalla camera, correre nella stanza o fuori casa e parlare in un linguaggio incomprensibile, vestirsi, mangiare e bere. La forma di sonnambulismo agitato si manifesta più spesso nel bambino più grande. Gli episodi possono durare da pochi minuti fino anche a mezz’ora e si esauriscono usualmente con il ritorno del paziente a letto e con la ripresa del sonno. È presente amnesia dell’evento. Risulta difficile svegliare il paziente durante l’episodio, e se ci si riesce egli appare confuso. La diagnosi differenziale tra sonnambulismo e pavor può non essere di facile risoluzione, in quanto entrambi i casi possono manifestarsi con urli, scatti fuori del letto, corse e atti violenti sebbene nel paziente sonnambulo manchi l’attivazione autonomica e l’espressione tipica di terrore del pavor. Gli occhi sono spesso aperti e lo sguardo è vitreo e confuso; tale caratteristica può essere d’ausilio nella diagnosi differenziale con i disturbi comportamentali in sonno REM in cui gli occhi sono in genere chiusi. I pavor nocturnus sono i più drammatici tra i disturbi dell’arousal, caratterizzati da risvegli improvvisi dal sonno ad onde lente e da terrore o paura intensa, urla, sudorazione, confusione mentale, attivazione autonomica (midriasi, diaforesi, tachicardia, tachipnea, flushing e aumento del tono muscolare) (3). Gli episodi si presentano nel primo terzo della notte. I pazienti sembrano agitati, si siedono sul letto, sono irresponsivi agli stimoli esterni, e inconsolabili. Se vengono svegliati appaiono confusi e disorientati. Durante gli eventi i bambini possono riportare ricordi di immagini minacciose (mostri, ragni, serpenti) dai quali si devono difendere (12). L’episodio può durare 5 minuti o più. Generalmente non hanno memoria di ciò che è accaduto e non riferiscono né sogni né incubi, ma possono ricordare vagamente immagini spaventose. Generalmente le parasonnie sono eventi benigni e autolimitantesi ma in alcuni casi è necessaria una diagnosi precoce e quindi un intervento. Il primo approccio nei disturbi dell’arousal è quello di rassicurare i genitori sulla benignità del disturbo e di dare consigli su come organizzare la casa in maniera sicura. È importante informare i genitori di non cercare di fermare il bambino o di svegliarlo perché questo potrebbe prolungare o addirittura peggiorare l’episodio. In secondo luogo è importante adottare principi di igiene del sonno, mantenere una regolarità del ritmo sonno-veglia ed evitare la deprivazione di sonno. Le bevande che contendo caffeina dovrebbero essere evitate perché possono contribuire a diminuire l’efficienza di sonno e predisporre così agli episodi. Vanno, inoltre, identificati e trattati ulteriori disturbi del sonno sottostanti: l’apnea notturna e i movimenti periodici degli arti inferiori, se presenti, possono essere fattori precipitanti gli eventi parasonnici (12). Ci si può avvalere anche di altri approcci terapeutici quali: i risvegli programmati (svegliare il bambino alcuni minuti prima dell’orario previsto I disturbi parossistici del sonno in età evolutiva dell’evento) (19); la psicoterapia o l’ipnosi; la terapia farmacologica con benzodiazepine e/o antidepressivi triciclici (3); la terapia con L-5 idrossitriptofano (L-5HTP) (8). Le parasonnie associate al sonno REM I disturbi comportamentali durante il sonno REM (RBD) sono caratterizzati dalla mancanza fisiologica dell’atonia muscolare durante il sonno REM, con aumento dell’attività muscolare durante la fase REM che porta quindi all’agire il sogno. Nei bambini l’RBD è molto raro e si presenta come sintomo della narcolessia o associato a sindrome di Giles de la Tourette, di Moebius, degenerazione olivopontocerebellare, malattia di Parkinson ad esordio giovanile, tumori cerebrali, sclerosi multipla, autismo, e vari altri disturbi psichiatrici (3, 20). Le paralisi del sonno e le allucinazioni ipnagogiche se manifeste in età evolutiva sono normalmente associate a narcolessia ma possono essere presenti anche nelle paralisi del sonno familiari o sporadicamente come effetto rebound del sonno REM (21). Più comune nel bambino è, invece, il disturbo da incubi. Gli incubi sono sogni dai contenuti terrifici e accompagnati dal vivido ricordo e da sensazioni di intenso terrore che determinano il risveglio del paziente (23). Tipicamente tale disturbo insorge tra i 3 e i 6 anni, con un picco di incidenza tra i 6 e i 10 anni e tende a diminuire con la crescita. Gli incubi comportano nel bambino emozioni negative come ad esempio ansia, paura, terrore, collera, rabbia e disagio. Sebbene i bambini possano apparire agitati quando si risvegliano, riescono a fornire informazioni dettagliate a riguardo del sogno (18). Nei bambini dai 3 ai 5 anni viene riscontrato che il 10%-15% ha incubi tali da disturbare il sonno dei genitori. Le adolescenti riportano questi episodi con maggiore frequenza (24). È stata riscontrata una comorbidità con patologie psichiatriche negli adulti e negli adolescenti e i disturbi psichiatrici prevalgono 3 volte di più nei bambini affetti da incubi (22). Gli incubi possono essere uno dei sintomi specifici di disturbo post traumatico da stress (PTSD) o di abuso sessuale in infanzia ed adolescenza (3, 24). Nei casi di sogni terrifici ricorrenti e in cui si sospetti una causa psicologica sottostante, può essere utile un trattamento psicoterapeutico, raramente (e solo nei casi più severi) viene impiegato l’approccio farmacologico che comprende l’utilizzo di soppressori del sonno REM (ad es. antidepressivi triciclici) (25). Altre parasonnie L’enuresi notturna è caratterizzata da episodi ricorrenti di perdita involontaria di urina nel sonno (1). Tende a manifestarsi con maggiore frequenza nei ragazzi rispetto alle ragazze prima degli 11 anni, ma dopo tale età non sussistono differenze tra i sessi (26). Nei bambini al di sotto dei 5 anni, l’enuresi notturna è considerata fisiologica ed è presente in circa il 30% dei bambini di 4 anni. La prevalenza a 6 anni è di circa il 10% con remissione spontanea del 15% dei casi per anno. In adolescenza e in giovane età ne è colpito solo l’1-3% dei pazienti (1). L’enuresi può essere di tipo primario o secondario. È primaria quando la perdita di urine durante il sonno è presente dalla nascita e il bambino non ha mai presentato lunghi periodi di continenza urinaria. La forma secondaria è presente nei bambini che sono stati continenti per lunghi periodi (3). Gli episodi di enuresi possono presentarsi durante qualsiasi stadio di sonno, durante i risvegli notturni, e durante gli arousal transitori. La polisonnografia mostra una struttura del sonno non significativamente differente da quella dei bambini normali (27). Si pensa che la causa di enuresi notturna sia collegata ad un ritardato sviluppo dei meccanismi di continenza vescicale, che coinvolge l’interazione di fattori quali lo sviluppo del tratto urinario, il sistema endocrino, il sistema nervoso autonomo e aree del sistema nervoso centrale responsabili dei meccanismi di arousal e di risveglio. Alcuni bambini con enuresi primaria hanno una capacità vescicale diminuita ed una minor secrezione notturna di ormone antidiuretico (28). Fattori psicologici sembrerebbero essere presenti in meno dell’1% dei bambini prepuberi affetti da enuresi primaria. Gli stressor psicosociali come il divorzio, l’abbandono, gli abusi sessuali e l’istituzionalizzazione sono stati riscontrati in bambini affetti da enuresi secondaria. L’influenza genetica è molto importante nell’enuresi: se entrambi i genitori erano affetti il 75% dei figli ha il rischio di presentare enuresi, contro il 15% della popolazione generale (29). 69 70 Finotti, et al. L’enuresi secondaria è più comunemente associata a fattori organici. Cause di enuresi persistente includono: 1. infezioni del tratto urinario; 2. malformazioni del tratto urogenitale; 3. pressione estrinseca sulla vescica, come costipazione cronica o encopresi; 4. poliuria, da diabete mellito o insipido; 5. aumento di urina in seguito ad elevata ingestione di liquidi serali, di caffeina, diuretici o altro; 6. patologie neurologiche, come anormalità del midollo spinale con vescica neurogena; 7. disturbi respiratori durante il sonno; 8. epilessia. Il procedimento diagnostico inizia con la raccolta dell’anamnesi e l’esame obiettivo. L ‘esame delle urine con urinocultura dovrebbe essere effettuate in prima istanza. Esami strumentali come l’ecografia, l’urodinamica e la cistoscopia possono essere eseguite nei bambini che continuano ad avere enuresi dopo 3 mesi di trattamento. L’indagine polisonnografica viene riservata a quelle situazioni in cui si sospetta un sottostante disturbo correlato al sonno come le apnee notturne o l’epilessia. Il trattamento del disturbo respiratorio in sonno, qualora presente, porta ad una remissione dell’enuresi (30). A livello terapeutico è importante tranquillizzare i genitori circa la benignità e remissione spontanea del disturbo e scoraggiarli dal mettere in atto punizioni o rimproveri che hanno l’effetto di aumentare l’ansia e la scarsa autostima nel bambino e quindi incrementare il problema. Non è necessario attuare alcun trattamento prima dei 5-6 anni, dopo tale età la decisione verso il trattamento dipende dalla frequenza e gravità del disturbo. I migliori risultati si ottengono con combinazioni di più interventi terapeutici, ma il primo approccio è determinare se si tratta di una enuresi primaria o secondaria, nel qual caso è imperativo trattare le eventuali cause sottostanti. Molto utile si rivela una corretta igiene del sonno e l’approccio comportamentale: restrizione delle bevande serali, esercizi di condizionamento sfinterico, rinforzo positivo, ed eventualmente allarme per enuresi. È stato dimostrato da una review della Cochrane Database (31) che la terapia con allarme porta alla risoluzione del problema in circa i due terzi dei bambini, dimostrando che questo è il trattamento più efficace e l’unico che permette di risolvere l’enuresi. Il trattamento farmacologico è consigliato se l’enuresi si prolunga oltre i 7-8 anni e principalmente si prevede l’utilizzo della desmopressina e dell’imipramina (2, 32). I disturbi del movimento in sonno La sindrome delle gambe senza riposo (restless legs syndrome, RLS) è un disturbo senso-motorio caratterizzato dal bisogno irresistibile di muovere le gambe. Tale disordine colpisce generalmente la popolazione adulta, ma è stato descritto anche in età evolutiva, con una prevalenza del 1,9% in bambini di età scolare e del 2% negli adolescenti (33). L’eziologia è tuttora ignota, anche se fattori genetici, disfunzioni dopaminergiche e basse riserve di ferro nell’organismo sono stati imputati/chiamati in causa nella patogenesi. Inoltre, è stata descritta una comorbidità con il deficit di attenzione e iperattività (ADHD), indicando una possibile genesi comune dei due disturbi. La diagnosi nel bambino è spesso difficile, il piccolo paziente può non essere in grado di riconoscere e descrivere i sintomi, e per tale motivo il disturbo è spesso sottodiagnosticato. Sono riportati importanti ritardi di diagnosi fra l’esordio del disturbo del sonno e la diagnosi di RLS, ma anche fra la consultazione clinica e la diagnosi (34). Un altro disturbo spesso associato alla RLS è il mioclono periodico notturno degli arti (periodic leg movements, PLM), caratterizzato da ripetitivi e stereotipati movimenti degli arti nel sonno (PLMs), associati spesso a sintomi quali insonnia ed eccessiva sonnolenza diurna. Generalmente il 63%-74% dei pazienti pediatrici con RLS presenta PLMs (35), anche se molti pazienti con PLM non presentano sintomi di RLS. Recentemente sono stati stabiliti dal Gruppo di Studio Internazionale sulla RLS, i criteri diagnostici nel bambino e nell’adolescente (36), che definiscono la diagnosi come certa, probabile o possibile. I criteri di diagnosi certa, a scopo clinico, sono applicabili solo ai bambini di età compresa fra i 2 e i 12 anni, mentre per gli adolescenti vengono utilizzati gi stessi criteri degli adulti. Nel bambino, quindi, sono validi i criteri utilizzati per l’adulto: l’impellenza di muovere le gambe, la quale è peggiorata da condizioni di riposo e sedentarietà, tale sensazione peggiora la sera o durante la notte, ed è alleviata dal movimento degli arti. È molto importante lasciare che il bambino descriva il disturbo con parole proprie. Altri criteri utilizzabili in età evolutiva sono la presenza, oltre dei 4 criteri validi per l’adulto, anche di almeno 2 dei seguenti aspetti: un disturbo del sonno, familiarità per RLS, reperto polisonnografico di PLMs (indice di PLM >5 per ora di sonno). I disturbi parossistici del sonno in età evolutiva La diagnosi differenziale nel bambino prevede altre condizioni che inducono sensazione sgradevole alle gambe quali i crampi notturni, l’artrite, la dermatite, le neuropatie in particolare quella di Osgood-Schlatter (34, 36). La RLS può riguardare quasi qualsiasi parte del corpo, con una tipica distribuzione a livello delle cosce e dei polpacci. È sempre necessario effettuare un esame obiettivo e la valutazione neurologica per escludere cause secondarie. La diagnosi è essenzialmente clinica ma quando non sono presenti i classici sintomi di RLS può essere necessario eseguire uno studio polisonnografico allo scopo di identificare la presenza di PLMs. Molti pazienti con RLS e PLM possono avere un basso livello di riserve di ferro, per cui risulta importante un esame completo che comprenda emocromo, ferritinemia e sideremia. Come per i disturbi respiratori del sonno, anche i disturbi del movimento in sonno possono determinare conseguenze cardiovascolari e cognitive in relazione alla frammentazione del sonno che determinano. In pazienti predisposti vi può essere poi un aumento della frequenza di episodi parasonnici, che si risolvono trattando il disturbo del movimento. Una buona igiene del sonno e ritmi sonno-veglia regolari sono i primi interventi da attuare. I pazienti con basse riserve di ferro possono beneficiare di una supplementazione marziale. Sono state utilizzate anche le benzodiazepine quali il clonazepam ma questo può determinare un peggioramento dell’iperattività nei pazienti con da deficit d’attenzione ed iperattività (attentiondeficit/hyperactivity disorder, ADHD). Possono essere utilizzati nel bambino anche i farmaci dopaminergici comunemente usati nell’adulto. Alternative terapeutiche in età evolutiva sono rappresentate da gabapentin e clonidina (37). I disturbi ritmici del movimento in sonno sono caratterizzati da movimenti ripetitivi, stereotipati, ritmici che si presentano soprattutto durante la sonnolenza o il sonno e coinvolgono ampi distretti muscolari (25). In genere riguardano la fase di transizione tra la veglia ed il sonno, ma possono manifestarsi anche nelle altre fasi, si risolvono spontaneamente verso i 3-4 anni. Possono essere suddivisi in tre sottotipi: head rolling, head banging e body rocking. Non vi è alcuna terapia di elezione, è consigliabile creare un ambiente sicuro nel lettino del bambino per evitare possibili traumi fisici ed aiutarlo a rilassarsi in altro modo (musica, rituale dell’addormentamento…). Nel caso in cui il disturbo sia importante sono state utilizzate terapie come antistaminici, carbamazepina e benzodiazepine a breve emivita (25). Conclusioni Per il medico è generalmente possibile, sulla base della sola storia clinica, diagnosticare la maggior parte dei disturbi parossistici in sonno. A volte può essere necessario però, ricorrere a tecniche neurofisiologiche, come la registrazione video EEG o la polisonnografia, soprattutto per escludere la presenza di fenomeni di tipo epilettico, o quando non è possibile avere una descrizione dettagliata del fenomeno. In età evolutiva questi disturbi sono abbastanza frequenti, possono in alcun casi non incidere significativamente sulla qualità o quantità del sonno e generalmente si risolvono spontaneamente. Tuttavia in alcuni casi gli eventi parossistici possono essere causa di incidenti, frammentazione del sonno, o disturbi psico-fisici per il bambino e la sua famiglia. 71 Finotti, et al. Bibliografia 1. American Academy of Sleep Medicine. International Classification of Sleep Disorders: Diagnostic and coding manual, 2nd ed Westchester Illinois. 2005. 2. Bruni O. Principi di Medicina del sonno in età evolutiva, Mediserve 2000. 3. Mason TB, Pack AI. Pediatric Parasomnias. Sleep 2007 ;30: 141-151. 4. Agargun MY, Cilli AS, Sener S, et al. The prevalence of parasomnias in preadolescent school-aged children: a Turkish sample. Sleep 2004; 27: 701-705. 5. Petit D, Touchette E, Tremblay R, et al. Dyssomnias and Parasomnias in Early Childhood. Pediatrics 2007; 119: 1016-1025. 6. Derry CP, Duncan JS, Berkovic SF. Paroxysmal Motor Disorders of Sleep:The Clinical Spectrum and Differentiation from Epilepsy. Epilepsia 2006; 47: 1775-1791. 7. Jacos BL, Azmitia E. 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Sleep Med Rev 2009; 13: 149-156. 74 Pneumologia Pediatrica 2009; 34: 74-82 Luana Nosetti, Alessandra Cristina Niespolo, Luigi Nespoli Clinica Pediatrica, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi dell’Insubria, Varese Polimorfismi genetici e fattori ambientali modificabili per ridurre il rischio di SIDS Genetic polymorphisms and environmental factors to reduce SIDS risk Parole chiave: SIDS, morte improvvisa del lattante, polimorfismi genetici, fattori di rischio ambientali Keywords: SIDS, sudden infant death syndrome, genetic polymorphisms, environmental factors Riassunto. La sindrome della morte improvvisa del lattante (sudden infant death syndrome, SIDS) consiste nella morte improvvisa di un bambino al di sotto dell’anno di vita, non prevenibile in base all’anamnesi e inspiegabile anche dopo accurato esame comprendente un’autopsia completa, l’analisi della scena del decesso e la revisione della storia clinica del caso. La SIDS è da considerarsi una conseguenza estrema dell’interazione tra genetica ed ambiente. Non a caso l’introduzione di norme comportamentali ne ha ridotto notevolmente l’incidenza, che statisticamente è massima nel weekend. La storia della SIDS è molto antica ed è in continua evoluzione ed è passata dalla descrizione del fenomeno alla sua interpretazione grazie al contributo dell’epidemiologia, dell’anatomia patologica e della genetica molecolare. Purtroppo esistono ancora molti punti da chiarire. Al momento attuale le norme comportamentali per ridurre i fattori di rischio ambientali e l’identificazione precoce di lattanti a rischio sono ancora le uniche possibilità disponibili per cercare di cambiarne la storia clinica. Anche se la genetica apre nuove prospettive ezio-patogenetiche. Accettato per la pubblicazione il 13 maggio 2009. Corrispondenza: Dott.ssa Luana Nosetti, Clinica Pediatrica, Facoltà di Medicina e Chirurgia, Università degli Studi dell’Insubria,Varese; e-mail: [email protected] Introduzione La sindrome della morte improvvisa del lattante (sudden infant death syndrome, SIDS) consiste nella morte improvvisa di un bambino al di sotto dell’anno di vita, non prevenibile in base all’anamnesi, e inspiegabile anche dopo accurato esame comprendente un’autopsia completa, l’analisi della scena del decesso e la revisione della storia clinica (1). La SIDS era già conosciuta nell’antichità, nel I Libro dei Re 3, 19 si dice: “il suo bambino morì schiacciato dal suo corpo”, ma solo nel 1969 venne per la prima volta definita come la morte di un bambino inaspettata ed inspiegata. Questa definizione è stata completata negli anni successivi fino ad arrivare a quella attualmente in uso. La diagnosi di SIDS è singolare in quanto non identifica una precisa causa di morte ma in verità è una diagnosi di esclusione, a cui si arriva solo dopo un’attenta analisi del caso. Solo quando si escludono tutte le possibili cause note si può usare questo termine. Epidemiologia La SIDS, è la causa più comune di mortalità infantile postneonatale, responsabile del 40%-50% di tutti i decessi dei lattanti di età compresa tra un mese ed un anno. L’incidenza annuale di SIDS varia molto nelle diverse nazioni. Negli Stati Uniti era di circa 1,3-1,4/1000 nati vivi (circa 7.000 neonati/anno) prima del 1992, anno in cui l’American Academy of Pediatrics (AAP) ha raccomandato che i neonati Polimorfismi genetici e fattori ambientali modificabili per ridurre il rischio di SIDS identificati. Al momento attuale sono state identificate cinque categorie di geni candidati: 1. geni per proteine dei canali ionici (long-QT); 2. geni per trasportatori della serotonina; 3. geni pertinenti lo sviluppo embrionario del Sistema Nervoso Autonomo (SNA); 4. geni per metabolismo della nicotina; 5. geni regolatori di infiammazione, produzione energia, ipoglicemia, termoregolazione. dormissero in posizione prona per ridurre il rischio di SIDS. Da allora, in particolare dopo l’inizio della campagna “Back to sleep” nel 1994, la frequenza della SIDS si è progressivamente ridotta per stabilizzarsi nel 2002 a 0,47/1000 nati vivi (2.295 neonati/anno) (2). In Italia, in uno studio effettuato nell’Italia del nord, l’incidenza è stata stimata intorno allo 0,54/1000 nati vivi nel periodo 1990-2000 (3). Giappone ed Olanda hanno la più bassa incidenza di SIDS pari a 0,09-0,1/1000 nati vivi e la Nuova Zelanda ha la più alta incidenza di SIDS pari a 0,8/1000 nati vivi. Geni per proteine dei canali ionici (long-QT) Schwartz e collaboratori ipotizzano una anomala ripolarizzazione cardiaca con allungamento del QT come possibile causa di SIDS; questo dato è supportato dal rilievo elettrocardiografico di un intervallo QT superiore a 440 millisecondi nel 50% dei casi di SIDS contro il 2,5% rilevato in una intera coorte di 34.000 neonati. La sindrome del QT lungo (long QT syndrome, LQTS) è caratterizzata da un prolungamento patologico del QT che può provocare una torsione di punta (4). L’LQTS potrebbe essere associata ad una modificazione dei canali cardiaci del sodio e del potassio. Mutazioni nei canali ionici cardiaci costituiscano un substrato aritmogeno potenzialmente letale in alcuni neonati a rischio di SIDS. In una popolazione di 201 casi di SIDS, circa il 9,5% dei casi è risultato portatore di una variante dei geni LQTS con significato funzionale (5).Al momento attuale sono state scoperti 10 geni ritenuti responsabili di una Contributo della genetica molecolare Le importanti disparità nell’incidenza di SIDS nelle diverse popolazioni, nonostante l’introduzione delle norme comportamentali atte a modificare i fattori di rischio ambientali sembra legata ad una predisposizione genetica. Studiando la storia clinica, la neuropatologia e l’epidemiologia dei casi di SIDS si è riusciti ad identificare alcuni dei possibili geni che potrebbero predisporre alla SIDS. Non esiste un singolo gene della SIDS (Figura 1) ma una serie di geni associati ad alterazioni del sistema nervoso autonomo, del metabolismo e dei sistemi di conduzione cardiaca. La possibile evoluzione potrà essere legata alla disponibilità di ampi campioni su cui effettuare studi genetici, identificare caratteristiche fenotipiche tipiche e fornire informazioni sul valore predittivo dei fattori genetici ~3% FAO? ~1% MCAD? ~3% LQTS? mtDNA? ? Disordine neuromuscolare stadio di sviluppo vulnerabile >50% SIDS genuina ~30% altri disturbi sconosciuti fattori Attivazione predisponenti degli eventi Figura 1 Non esiste un unico gene della SIDS. 75 76 Nosetti, et al. suscettibilità alla LQTS (Figura 2).Tra i geni identificati particolarmente interessanti sono l’LQT1 in cui stimoli scatenanti sono nuoto e esercizio fisico, l’LQT2 con stimolo scatenante uditivo e l’LQT3 in cui lo stimolo scatenante è il sonno (mutazione gain-of-function, si associa a accentuazione e persistenza della corrente Na tardiva, pro-aritmogena). In questi casi il 10%-15% delle mutazioni sono ex novo. Geni per trasportatori della serotonina (5-HT) La serotonina interviene nella regolazione della respirazione, del sistema cardiovascolare, della temperatura corporea e del ritmo sonno-veglia. Oltre a modulare l’attività dell’orologio circadiano, è il principale neurotrasmettitore del sonno non REM (non rapid eye movement). I nuclei troncoencefalici sono ampiamente interconnessi con altri nuclei del tronco e del midollo spinale e controllano: drive respiratorio, pressione sanguigna, arousal, termoregolazione. Agiscono anche come chemosensori respiratori centrali, regolano la risposta respiratoria alla ipossia episodica e, in vivo, generano il ritmo respiratorio. Numerosi casi di SIDS presentano alterazioni dei neuroni serotoninergici nel midollo allungato, sia a livello di sintesi, accumulo, captazione di membrana e metabolismo della serotonina, suggerendo una possibile correlazione tra 5-HT e SIDS. Il gene 5-HTT codifica per il trasporto della serotonina e controlla la durata e la forza delle interazioni fra 5-HT e i suoi recettori regolando il re-uptake della 5-HT(6). Sono stati identificati numerosi polimorfismi nella regione promoter del gene 5-HTT, localizzato sul cromosoma 17. In particolare i polimorfismi: S (short allele) e L (long allele). Questi polimorfismi del trasportatore porterebbero a ridotte concentrazioni di serotonina a livello delle terminazioni nervose con l’allele “L”, rispetto all’allele “S”. Il genotipo L/L si associa ad un aumento dei trasportatori della serotonina negli studi di neuroimaging e negli studi di legame postmortem. Si è rilevata una associazione fra S e disturbi psichiatrici di ansietà, mentre il genotipo L/L e l’allele L sono molto più frequenti nelle vittime SIDS versus controlli. Mentre il VNTR (variable number tandem repeat) è un polimorfismo della regione 5’ regolatrice di 5-HTT che modula l’espressione del gene. Si è rilevata una associazione significativa tra SIDS e il genotipo L/L o L/S e genotipo 12/12 del VNTR negli afroamericani, non nei caucasici, ed una associazione significativa tra SIDS e il genotipo “L/12” del VNTR (7). Geni pertinenti lo sviluppo embrionario del SNA In molti casi di SIDS sono state segnalate precedenti alterazioni del SNA quali: sudorazioni profuse, temperatura corporea elevata,tachicardia seguita da bradicardia prima dell’evento, ridotta Variazioni comuni del repeat poliadenina in CCHS PHOX2B 5’ Esone 1 Variazione nucleotidica: Alterazione della proteina: Esone 2 A1364G Esone 3 T459G T526A F153I S176T 3’ C552T C642T A726G G750A A762C C890A Regione di codifica Dominio Homeobox Segmento polialanina Regione dell’introne Regione non tradotta Figura 2 Rappresentazione schematica di polimorfismi identificati in 91 SIDS vs 91 controlli. CCHS, congenital central hypoventilation syndrome. Polimorfismi genetici e fattori ambientali modificabili per ridurre il rischio di SIDS variabilità della frequenza cardiaca, sudorazione fredda e pallore al viso, ridotta risposta a episodi ostruttivi.Tutto questo ha indotto Weese-Mayer e collaboratori (8) a studiare i geni coinvolti nello sviluppo embrionario del SNA. Il gene PHOX2B (Figura 3) ha un ruolo chiave nello sviluppo del SNA soprattutto nelle prime fasi della vita embrionale. Esso, agendo sui geni RET e MASH1, regola la differenziazione del sistema noradrenergico. Regola anche la differenziazione in neuroni motori o colinergici nel SNC (Sistema nervoso centrale). Si è pertanto cercata una eventuale espansione della polialanina, che però è risultata normale nei casi di SIDS, mentre per i geni PHOX2B, RET, ECE1, TLX3, EN1 si sono riscontrati 11 rari polimorfismi con alterazioni proteine nel 15,2% dei casi di SIDS verso il 2,2% dei controlli. Per l’esone 3 di PHOX2B si sono evidenziati 8 polimorfismi nel 22% di casi di SIDS verso il 12% controlli. Per l’introne 2 di PHOX2B il polimorfismo GG, GA è risultato più comune nei casi di SIDS. Nessun caso SIDS mostra espansione polialanina, pertanto CCHS e SIDS hanno meno sovrapposizioni rispetto a quanto ipotizzato in passato (8). Tuttavia poiché taluni polimorfismi sono più comuni nei casi di SIDS, potrebbe essere verosimile che questi da soli o in associazione con altri polimorfismi soprattutto di RET, possano rappresentare un rischio aumentato di SIDS. Poiché il rischio SIDS è aumentato di 2-4 volte nei figli di madre che avevano fumato in gravidanza e la nicotina è teratogena per il SNC del feto, si è pensato che alterazioni dei geni che controllano il suo metabolismo potessero essere presenti in casi di SIDS. Si è ipotizzato che potessero esistere alterazioni nei geni che presiedono alla detossificazione degli idrocarburi aromatici policiclici (PAH) contenuti nel fumo di tabacco al punto di renderli più vulnerabili alla SIDS. Il citocromo P-450 entra nel primo passaggio di detossificazione che trasforma i composti da idrofabici a idrosolubili. Fattori di rischio ambientali Fattori di rischio genetico Dormire con faccia verso il basso o di lato 5-HTT polimorfismo Fumo ANS polimorfismo Geni per metabolismo della nicotina Diminuita regolazione autonomica Stress termico Patologia cardiaca del canale ionico Letto soffice Complemento o polimorfismo dell’interleuchina SIDS Figura 3 Patogenesi della SIDS. 77 78 Nosetti, et al. La glutatione S-transferasi o la uridin-difosfo-glucoronosiltransferasi intervengono nella fase seconda di escrezione dei composti detossificati. Ma non si sono riscontrate associazioni fra SIDS e polimorfismi dei geni di questi enzimi (9). Sono necessarie pertanto ulteriori indagini. Geni regolatori di: infiammazione, produzione energia, ipoglicemia, termoregolazione Nei lattanti colpiti da SIDS, inoltre, sono state riportate alterazioni del gene della frazione C4 del complemento, in quanto quelli che prima della morte soffrivano di infezioni lievi delle vie respiratorie superiori avevano maggiori probabilità di presentare una delezione sia del gene C4A, sia del C4B, rispetto alle vittime della SIDS senza infezioni o rispetto ai controlli viventi. Questi dati suggeriscono che delezioni parziali del gene C4, se associate a una infezione lieve delle vie respiratorie superiori aumentino il rischio di SIDS. Nelle vittime di SIDS è stato inoltre segnalato un polimorfismo nella regione promoter del gene dell’IL-10, una citochina antinfiammatoria. La morte improvvisa del lattante era fortemente associata al genotipo dell’IL-10, sia con l’aplotipo ATA, sia con la presenza degli alleli-592*A e 592*C. Questi polimorfismi dell’IL-10 si associano a ridotti livelli di IL-10 e possono quindi contribuire alla SIDS, ritardando l’inizio della produzione di anticorpi protettivi o per una ridotta capacità di inibire la produzione di citochine infiammatorie (10). Una causa non comune di SIDS è legata a mutazioni del gene TSPYL (Testis-Specific Y- Like), che causano anche disgenesia testicolare (11). Per quanto riguarda la presenza di alterazioni dei geni che regolano metabolismo e termoregolazione si sono studiati i polimorfismi della glucochinasi e della glucoso-6-fosfatasi, ma non si è potuto dimostrare un rapporto con la SIDS, nonostante statisticamente sia dimostrato un maggior rischio in lattanti prematuri e con basso peso alla nascita maggiormente soggetti a ipoglicemie. Interazioni tra geni ed ambiente Il rischio reale di SIDS, nei singoli lattanti, è determinato da complesse interazioni tra fattori di rischio genetici e ambientali. Potrebbe inoltre esservi un legame tra fattori di rischio modificabili, come l’uso di coperte soffici, la posizione prona nel sonno e lo stress termico, e i fattori di rischio genetici come le anomalie ventilatorie o del risveglio e i difetti di regolazione della temperatura o del metabolismo. La SIDS è da considerarsi una conseguenza estrema dell’interazione tra genetica ed ambiente. Non a caso l’introduzione di norme comportamentali ne ha ridotto notevolmente l’incidenza. Al momento attuale le norme comportamentali per ridurre i fattori di rischio ambientali e l’identificazione precoce di lattanti a rischio sono ancora le uniche possibilità disponibili per cercare di cambiarne la storia clinica. Fattori di rischio ambientali In Europa è stato effettuato lo studio European Concerted Action on SIDS (ECAS) in cui sono stati valutati 745 casi clinici di SIDS e 2.411 controlli nel periodo compreso tra settembre 1992 e aprile 1996 in 20 centri europei (12). Questo studio ha consentito di identificare i fattori di rischio più comunemente associati alla SIDS quali posizione prona nel sonno, madre fumatrice, eccessiva copertura del bambino, basso peso alla nascita, gravidanze multiple, madre di età inferiore ai 18 anni. Sono stati anche identificati dei possibili fattori protettivi quali la condivisione della camera con i genitori ma non del letto e l’utilizzo del succhiotto. Nell’ultimo decennio si è registrata una diminuzione di oltre il 50% dell’incidenza di SIDS negli Stati Uniti e nel mondo, che può essere almeno in parte attribuita alle campagne informative volte a ridurre i principali fattori di rischio associati con questa sindrome come appunto la posizione prona nel sonno, l’eccessiva copertura e l’esposizione a fumo passivo. Fattori di rischio non modificabili I soggetti più a rischio di andare incontro a SIDS sono quelli di circa 2-4 mesi e la maggior parte dei decessi si è verificata entro i 6 mesi di vita. La predominanza stagionale invernale, di comune osservazione nella SIDS, si è ridotta insieme alla riduzione della posizione prona in alcune nazioni come la Gran Bretagna. I neonati maschi hanno il 30%-50% di probabilità in più di SIDS, rispetto alle femmine. Vi è una massima incidenza dei casi di SIDS nel fine settimana (13). Polimorfismi genetici e fattori ambientali modificabili per ridurre il rischio di SIDS Fattori di rischio modificabili Posizione nel sonno Le raccomandazioni attuali consigliano la posizione supina nel sonno per tutti neonati. È stato dimostrato che il sonno in posizione prona aumenta il rischio di SIDS. Il rischio di SIDS potrebbe essere più elevato nei neonati che abitualmente non dormono proni, ma che vengono messi in questa posizione nell’ultimo sonno (“proni non abituati”) o che vengono trovati proni (“proni secondari”). La posizione dei “proni non abituati” si verifica con maggiore probabilità durante l’assistenza diurna o in altri momenti di assistenza fuori casa; si sottolinea quindi la necessità di istruire tutti coloro che si prendono cura del lattante sulle posture appropriate durante il sonno. I neonati che dormono distesi sul fianco hanno una probabilità doppia di morire di SIDS, rispetto a quelli che dormono supini. Questo aumento del rischio può essere correlato con la relativa instabilità della posizione, che porta alcuni neonati distesi su un fianco a rotolare in posizione prona. L’eccessiva copertura del bambino In passato era frequente ritrovare casi di SIDS con indumenti che coprivano loro il volto, tanto che si pensava che fossero morti soffocati nel sonno. Circa il 20% delle vittime di SIDS sono state trovate con una coperta sopra la testa, con una frequenza dieci volte maggiore dei controlli di età corrispondente e significativamente più alta anche considerando la presenza contemporanea di altri fattori di rischio. L’esposizione a fumo di sigaretta Il fumo materno è attualmente il più importante fattore di rischio per la SIDS dopo le campagne informative che hanno spinto a modificare la posizione nel sonno del bambino e l’eccessiva copertura. Il consiglio sulla riduzione dell’esposizione al fumo passivo è quello che ha avuto una minor presa sulla famiglia (14). Esiste una forte associazione tra esposizione al fumo di sigaretta sia intrauterina che dopo la nascita (15, 16) e il rischio di SIDS. L’incidenza di SIDS risulta circa 3 volte maggiore nei figli delle fumatrici, negli studi condotti prima della campagna per la riduzione della SIDS negli Stati Uniti e 5 volte maggiore in quelli successivi. Il rischio di morte aumenta progressivamente con l’aumento del consumo quotidiano di sigarette. Esiste una risposta dose-dipendente per il numero di familiari che fumano, per il numero di persone che fumano nella stessa stanza in cui si trova il lattante e per il numero di sigarette fumate. Un aumento del rischio di SIDS si osserva anche nei lattanti la cui madre ha cominciato a fumare solo dopo il parto. Consumo di droga e alcool La maggior parte degli studi ha stabilito una correlazione tra l’abitudine della madre di consumare sostanze stupefacenti durante la gravidanza e un aumentato rischio di SIDS. Non è stata trovata alcuna associazione tra il consumo materno di alcool (in epoca prenatale o postnatale) e la SIDS. I fratelli dei lattanti con la sindrome alcolica fetale hanno, però, un rischio dieci volte maggiore di andare incontro a SIDS, rispetto ai controlli. Fattori correlati alla gestazione Numerosi fattori ostetrici si associano a un aumento del rischio di SIDS. I lattanti colpiti da SIDS hanno spesso un ordine di nascita più alto, a prescindere dall’età materna e sono nati da gestazioni dopo brevi periodi intergestazionali. Le madri di neonati colpiti da SIDS ricevono generalmente meno cure prenatali e in una fase più avanzata della gravidanza. Sono inoltre fattori di rischio il basso peso alla nascita, la nascita pretermine e una crescita intrauterina e postnatale più lenta. Ambiente del sonno del neonato I materassi vecchi e troppo soffici, i cuscini imbottiti o la biancheria da letto più morbida si associano a un più alto rischio di SIDS, come pure le trapunte pesanti che possono finire per coprire la testa e il viso del lattante. Anche il surriscaldamento rappresenta un fattore di rischio, in base a indicatori come temperatura ambiente più alta, elevata temperatura corporea, sudorazione ed eccesso di vestiti o coperte. Diversi studi hanno indicato la condivisione del letto come un fattore di rischio per la SIDS, in particolare nei lattanti fino a 3 mesi di età. Questa abitudine è particolarmente rischiosa quando altri bambini dormono nello stesso letto, quando il genitore dorme con un neonato su un divano o su 79 80 Nosetti, et al. un’altra superficie di appoggio morbida o ristretta, e per i neonati di età inferiore ai 4 mesi. Il rischio risulta aumentato anche in caso di condivisione del letto di durata prolungata o per tutta la notte. Vi sono sempre più evidenze, invece, che la condivisione della stanza, ma non del letto, si associ a una minor frequenza di SIDS; sembra che per i lattanti il posto più sicuro in cui dormire sia il loro lettino, soprattutto se collocato nella stanza dei genitori (17). Modalità di alimentazione dei lattanti Numerosi studi hanno dimostrato un effetto protettivo dell’allattamento al seno che però non è presente dopo aggiustamento per fattori potenzialmente confondenti. Se ne deduce che l’allattamento al seno sia un marcatore di uno stile di vita o di uno stato socioeconomico, più che rappresentare un fattore indipendente. Sebbene i benefici di questa pratica siano molteplici, non si dispone di dati sufficienti per raccomandarla come strategia atta a ridurre il rischio di SIDS. Uso del succhiotto L’uso del succhiotto riduce il rischio di SIDS nella maggior parte degli studi. Sebbene non sia noto se questo sia un effetto diretto del succhiotto stesso o di comportamenti associati dal lattante o dei genitori, vi sono sempre più prove che l’uso del succhiotto possa far sì che il lattante si risvegli più facilmente durante il sonno e anteriorizzi la posizione della lingua nel sonno (18). Le Linee Guida più recenti dell’American Academy of Pediatrics raccomandano l’uso del succhiotto dopo l’inizio dell’allattamento al seno. Non è emersa alcuna associazione tra le vaccinazioni e la SIDS. I neonati colpiti da SIDS hanno minori probabilità di essere stati vaccinati, rispetto ai controlli, e in quelli vaccinati, non è stata identificata alcuna correlazione temporale tra la somministrazione dei vaccini e la morte. Occorre quindi rassicurare i genitori che le vaccinazioni non comportano alcun rischio di SIDS. Gruppi di lattanti ad aumentato rischio di SIDS Eventi ad alto rischio per la vita I neonati con un evento apparentemente a rischio per la vita (apparent life-threatening event, ALTE) sono a maggior rischio di SIDS. Un’anamnesi di ALTE idiopatica è stata riportata nel 5%-9% delle vittime di SIDS, e il rischio sembra maggiore se gli eventi inspiegati sono due o più; tuttavia, non sono disponibili dati definitivi sull’incidenza. Rispetto ai soggetti sani di controllo, il rischio di SIDS può essere da 3 a 5 volte maggiore nei lattanti che hanno una storia di ALTE (19). Fratelli di una vittima della SIDS, nati successivamente I fratelli di un lattante deceduto per qualsiasi causa naturale non infettiva sono a rischio significativamente maggiore di morte neonatale dovuta alla stessa causa, compresa la SIDS. Il rischio relativo è di 9,1 per la recidiva di SIDS, rispetto all’1,6 per una causa di morte diversa. L’aumentato rischio, nelle famiglie con casi di SIDS, è compatibile con l’interazione di fattori di rischio genetici ed ambientali. In passato alcuni operatori sanitari hanno affermato che solo l’omicidio tende a ricorrere nelle famiglie e che tutti i casi successivi di morte infantile inaspettata devono essere indagati come possibili omicidi. Esistono dati sostanziali a riprova che fattori genetici ed ambientali concorrono ad aumentare il rischio di SIDS ricorrente in alcune famiglie. La percentuale dei casi di morte infantile ricorrente da SIDS, nei fratelli, è 5-9 volte maggiore rispetto alla percentuale dei probabili omicidi. Prematurità Molti studi hanno identificato una correlazione inversa tra il rischio di SIDS da una parte, e l’età gestazionale e il peso alla nascita dall’altra. I fattori di rischio ambientali, nei neonati pretermine, non sono sostanzialmente diversi da quelli osservati nei neonati a termine. Rispetto ai neonati con peso alla nascita superiore a 2.500 g, i neonati con peso alla nascita di 1.000-1.499 g e 1.500-2.499 g hanno rispettivamente 4 e 3 volte più probabilità di morire per SIDS. Conclusioni La SIDS è la conseguenza dell’interazione tra genetica ed ambiente. L’ipotesi del “triplice rischio” ritiene infatti la SIDS il risultato di un insulto finale o meglio fatale che va ad agire su un bambino, in una fase critica di sviluppo, intrinsecamente vulnerabile sia su base genetica che per fattori esterni Polimorfismi genetici e fattori ambientali modificabili per ridurre il rischio di SIDS ambientali. Questa ipotesi è stata proposta in varie forme da numerosi Autori negli ultimi 15 anni (20). I recenti sviluppi dettati dalle conoscenze di fattori ambientali, immunologici, genetici e fisiologici del bambino e riconoscimento delle modificazioni di tutti questi sistemi nei primi mesi di vita supportano il modello del triplice rischio come causa della morte inaspettata ed inattesa di un lattante apparentemente sano. Si auspica che la comprensione della sua patogenesi consenta una riduzione del numero di casi SIDS. 81 Nosetti, et al. Bibliografia 1. Krous HF, Beckwith JB, Byard RW. Sudden Infant Death Syndrome and unclassified Sudden Infant Deaths: a definitional and diagnostic approach .Pediatrics 2004. 2. Fleming PI, Blair PS, Bacon C, et al. Sudden unexpected death in infancy. The CESDI SUDI Studies 1993-1996 London: The Stationery Office, 2000. 3. Montomoli C, Monti MC, Stramba-Badiale M, et al. 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Congenital central hypoventilation syndrome: inheritance and relation to sudden infant death. Am J Med Genet A 1993; 47: 360-367. 9. Rand CM, Weese-Mayer De, Maher BS, et al. Nicotine metabolizing genes GSTT1 and CYP1A1 in sudden infant death syndrome. Am J Genet A 2006; 140: 1447-1452. BIBLIOGRAFIA 82 10. Perskvist N, Skoglund K, Edsl,ston E, et al. TNFalpha and IL-10 gene polymorphism versus cardioimunological responses in sudden infant death. Fetal Pediatr Pathol 2008; 27: 149-165. 11. Puffenberger EG, Hu-Lince D, Parod JM, et al. Mapping of sudden infant death with dysgenesis of the testes syndrome (SIDDT) by a SNP genome scan and identification of TSPYL loss of function. Proc Natl Acad Sci 2004; 101: 11689-11694. 12. Carpenter RG, Irgens LM, Blair PS, et al. Sudden unexplained infant death in 20 regions in Europe: case control study. Lancet 2004; 363: 185-1891. 13. Mooney P, Helms PJ, Jolliffe IT. Higher incidence of SIDS at weekends, especially in younger infants. 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Pneumologia Pediatrica 2009; 34: 83-102 83 Ahmad Kantar1, Luigi Terracciano2, Alessandro Fiocchi2, Giovanni Rossi3 1Centro di Diagnosi, Cura e Riabilitazione dell’Asma Infantile, Istituto Pio XII, Misurina (BL); Pediatra, Ospedale “Fatebenefratelli - Melloni”, Milano; 3U.O.C. di Pneumologia, IRCCS “Giannina Gaslini”, Genova 2Melloni Corticosteroidi per la nebulizzazione: non tutti nascono uguali Inhaled corticostroids: not all are born the same way Parole chiave: corticosteroidi per inalazione, aerosol, nebulizzazione Keywords: inhaled corticosteroids, aerosol, nebulisation Riassunto. Il razionale della terapia inalatoria si basa sulla possibilità di portare un’appropriata quantità di farmaco in corrispondenza del suo sito d’azione (recettori) nelle vie respiratorie senza esporre al farmaco zone non interessate dal processo patologico; ciò consente elevata efficacia terapeutica con dosi sostanzialmente ridotte di farmaco e minima possibilità di effetti collaterali. La realizzazione dei risultati attesi dalla terapia è condizionata da tre fattori principali: il device, il paziente e il farmaco. Questi tre fattori devono essere alla base di ogni scelta della terapia inalatoria. La nebulizzazione è uno tra i modi più antichi per la somministrazione dei farmaci. Sebbene i nebulizzatori attualmente impiegati non abbiano subito, nell’ultimo secolo, radicali trasformazioni, le innovazioni tecniche ne hanno migliorato le prestazioni. Oggi sono a nostra disposizione un gran numero di farmaci e apparecchi tecnologicamente avanzati per la nebulizzazione. Nonostante questo, la terapia inalatoria per nebulizzazione è ancora oggi di fatto un trattamento empirico e, pur in presenza di evidenza di efficacia clinica, molti fattori risultano poco studiati. Ad esempio, la compatibilità tra farmaco e nebulizzatore, il comportamento del farmaco nel nebulizzatore e l’effetto della modalità di inalazione e il pattern respiratorio del paziente. La scelta di una formulazione di steroidi inalatori per la nebulizzazione dovrebbe indagare principalmente l'idrosolubilità come fattore determinante dell’output del farmaco. Senza informazioni sul diametro aerodinamico di massa mediano e sulla percentuale di particelle respirabili erogate, la dose inalata rimane ignota e il risultato degli studi clinici può essere interpretato impropriamente. Accettato per la pubblicazione il 13 maggio 2009. Corrispondenza: Dott. Ahmad Kantar, Centro di Diagnosi, Cura e Riabilitazione dell’Asma Infantile, Istituto Pio XII, Misurina (BL); e-mail [email protected] Raggiungere i polmoni con un aerosol terapeutico Un aerosol è costituito da particelle liquide o solide sospese in un gas che funge da agente veicolante. La somministrazione di farmaci per via inalatoria costituisce uno strumento importante nel repertorio terapeutico dei pediatri che si occupano della cura e della gestione dei bambini asmatici. La somministrazione dei farmaci nebulizzati direttamente ai polmoni offre vantaggi innegabili: una maggior concentrazione del farmaco, una deposizione mirata nelle vie aeree con conseguente aumento dell’efficacia e riduzione degli effetti avversi sistemici. Alcuni farmaci inoltre sono terapeuticamente efficaci solo se inalati (per esempio la maggior parte degli steroidi inalatori) e la somministrazione di farmaci mediante aerosol è conveniente e indolore. Per contro, uno degli svantaggi più importanti della terapia aerosolica consiste nella necessità di tecniche inalatorie specifiche per l’utilizzo corretto dei dispositivi attualmente disponibili: una tecnica inalatoria non ottimale determina una diminuita deposizione di farmaco nelle vie aeree e una potenziale riduzione di efficacia del trattamento. La proliferazione di questi dispositivi ha moltiplicato 84 Kantar, et al. e confuso le possibili scelte da parte del medico: ciò, oltre ad essere fuorviante, può indurre in confusione sia il medico che il paziente relativamente al loro corretto utilizzo. È di fondamentale rilevanza saper identificare le dosi effettive di farmaco che raggiungono i polmoni, la distribuzione regionale, e le modalità con le quali queste variabili possono essere influenzate dall’ostruzione delle grandi e piccole vie aeree. Il successo della terapia aerosolica dipende principalmente dalla possibilità che una dose adeguata di farmaco raggiunga i recettori specifici del tratto respiratorio (1). Se a livello polmonare giunge una dose di farmaco sufficiente a ottenere una risposta clinica adeguata, questi dispositivi possono essere considerati soddisfacenti. Tuttavia rimane una significativa quantità di farmaco inutilizzata che non riveste alcun ruolo nel miglioramento clinico e che, anzi, può essere causa di effetti avversi. La sfida è quella di far giungere il farmaco inalato esclusivamente ai recettori polmonari specifici, in modo da ottimizzare la risposta terapeutica e minimizzare i potenziali effetti avversi. Le caratteristiche fisiche ottimali dell’aerosol e i profili di somministrazione al paziente necessitano di essere definitivamente stabiliti per ciascuna classe di farmaci inalatori; la terapia aerosolica deve inoltre essere adattata alla malattia respiratoria e al suo grado di severità, alla sede predominante del processo patologico nelle vie aeree e all’età del paziente. Per esempio, gli steroidi inalatori agiscono sui recettori per i glicocorticoidi localizzati in tutto l’albero bronchiale: una maggiore deposizione polmonare, se appropriatamente indirizzata alle vie aeree, dovrebbe portare ad un maggior beneficio clinico (2). Per massimizzare la risposta terapeutica è fondamentale indirizzare il farmaco a specifiche regioni delle vie aeree: per esempio utilizzando i β2-agonisti è fondamentale che la deposizione avvenga nelle vie aeree, anziché a livello alveolare. Usmani, et al. hanno recentemente dimostrato che particelle di salbutamolo di diametro maggiore, se correttamente somministrate, inducono una maggior broncodilatazione rispetto alle particelle più piccole, in quanto si verifica una migliore corrispondenza tra la distribuzione intrapolmonare e la muscolatura liscia delle vie aeree (3). Gli Autori hanno inoltre dimostrato che la distribuzione regionale nelle vie aeree dei β2-agonisti è importante nel modulare la risposta broncodilatatrice e che, modificando la deposizione intrapolmonare mediante la variazione di diametro delle particelle, è possibile ottimizzare la deposizione del farmaco inalato. Nella valutazione della dinamica d’inalazione di un aerosol, i parametri in vivo importanti da considerare sono la dose totale che viene erogata al paziente (una misura dell’esposizione globale del corpo al farmaco e quindi della sicurezza) e il pattern di deposizione della dose inalata nelle vie aeree (una misura della quantità di farmaco distribuita sia ai siti farmacologicamente attivi che a quelli non attivi e quindi una misura di sicurezza ed efficacia). Il primo di questi parametri può essere misurato in vitro con delle semplici tecniche di filtraggio: queste misurazioni però non sempre sono validamente predittive in vivo poiché il pattern respiratorio e i picchi di flusso possono influenzare significativamente l’inalazione dell’aerosol. Ottenere delle stime più realistiche della dose erogata può essere molto più complesso di quanto si possa prevedere. Il secondo parametro, la deposizione e la distribuzione nelle vie aeree dell’aerosol inalato può, per definizione, essere determinato solo in vivo: i test di laboratorio in vitro devono quindi utilizzare una misurazione sostitutiva. I pattern di deposizione nelle vie aeree umane sono regolati da tre fattori principali: la geometria delle vie aeree, la distribuzione dimensionale aerodinamica delle particelle e il flusso inspiratorio del paziente. La prima variabile è una caratteristica strettamente intrinseca del paziente e, sebbene importante, non è correlata al sistema di generazione dell’aerosol. Le altre due variabili, invece, possono essere caratteristiche legate sia alla formulazione sia al dispositivo di erogazione: il diametro delle particelle -perché l’aerosol che viene inalato è generato dal dispositivo, e il profilo inspiratorio - perché può essere influenzato dalle caratteristiche di resistenza di un dispositivo. Tra questi due fattori, il diametro aerodinamico delle particelle è rappresentativo per la deposizione, ma devono sempre essere presi in considerazione l’effetto del dispositivo sulle modalità d’inalazione e l’aerodinamica dell’aerosol nelle vie aeree. Solitamente la terapia aerosolica si avvale di aerosol polidispersi, mentre gli aerosol monodispersi non sono comunemente disponibili. Per questi ultimi la deposizione è identica in relazione sia alla Corticosteroidi per la nebulizzazione: non tutti nascono uguali massa che al numero di particelle inspirate, ma la questione è differente per gli aerosol polidispersi. La deposizione regionale delle particelle polidisperse può essere ottenuta dividendo la distribuzione di massa polidispersa in frazioni monodisperse, calcolando la distribuzione regionale di ciascuna frazione e sommando i valori per ciascuna regione. Il diametro aerodinamico di massa mediano (mass median aerodynamic diameter, MMAD) viene utilizzato per descrivere un aerosol polidisperso come quello prodotto dalla maggior parte dei dispositivi per la generazione di aerosol utilizzati nella pratica clinica. Il diametro aerodinamico di massa mediano è la dimensione delle particelle al di sopra e al di sotto della quale si distribuisce il 50% della massa delle particelle: più è alto questo parametro e maggiore è il numero di particelle con diametro superiore. Le particelle di aerosol con diametro tra 1 e 5 µm raggiungono le vie aeree più periferiche del polmone. Con un diametro maggiore di 3 µm si verifica il viraggio della deposizione polmonare dalla periferia alle vie aeree centrali. La deposizione orofaringea aumenta quando si supera una dimensione delle particelle di 6 µm, mentre la perdita espiratoria è elevata per le particelle di diametro inferiore a 1 µm. Questi dati sono strettamente riferiti alle particelle trasportate dal flusso d’aria inspirata a volume corrente, mentre, quando le particelle sono erogate da un dispositivo di inalazione pressurizzato (pMDI) o da dispositivi a polvere secca (DPI), la loro velocità è decisamente superiore rispetto alla velocità dell’aria inspirata, pertanto solo una piccola frazione della massa (frazione non balistica) sfugge alla deposizione inerziale nell’orofaringe e penetra nella trachea. La frazione della massa di particelle depositate in orofaringe (frazione balistica) può essere determinata sperimentalmente: essa comprende oltre il 50% della massa rilasciata dai dispositivi d’inalazione. Un aerosol terapeutico può ottenersi mediante atomizzazione pneumatica, ultrasonica, idraulica o elettrostatica, mediante dispersione di polvere secca o dispersione in un propellente a vaporizzazione istantanea. Ciascuno di questi processi ha aspetti peculiari che devono essere considerati quando si tenta di prevedere la deposizione polmonare degli aerosol generati dai dispositivi che impiegano queste tecniche. Lo stato fisico delle particelle può essere liquido, solido, in soluzione o in sospensione. Molti aerosol sono intrinsecamente instabili dal punto di vista fisico poiché soggetti ad evaporazione, espansione, attrazione o repulsione reciproca, specialmente a causa del passaggio dalle condizioni ambientali del dispositivo di generazione a quelle del tratto respiratorio, con conseguenti gradienti di temperatura e umidità. Il pattern di deposizione delle particelle inalate può essere espresso come funzione di tre classi di variabili: le caratteristiche dell’aerosol, i parametri ventilatori e la morfologia del tratto respiratorio. L’efficienza dei differenti meccanismi di deposizione (impatto inerziale, sedimentazione e diffusione) possono essere, di volta in volta, formulati nei termini di queste variabili. Conseguentemente, attraverso la comprensione dei ruoli legati ai rispettivi fattori di deposizione, il personale medico può prevedere la deposizione del farmaco nei polmoni: ad esempio, nelle regioni superiori dell’albero tracheobronchiale la deposizione delle particelle di grosse dimensioni è principalmente attribuita all’impatto inerziale, mentre nelle vie aeree più periferiche può essere ascritta principalmente alla sedimentazione e alla diffusione. La deposizione dovuta all’impatto inerziale può essere aumentata nelle vie aeree superiori aumentando la velocità del flusso inspiratorio o, al contrario, si può promuovere la deposizione nelle vie aeree periferiche mediante la sedimentazione, aumentando la durata della pausa post-inspiratoria (il tempo in cui viene trattenuto il respiro alla fine dell’inspirazione). Si potrebbero ottenere benefici distinti se i farmaci inalati potessero essere depositati selettivamente. Nella pratica clinica è spesso necessario somministrare dosi massicce all’intero polmone per indurre una risposta terapeutica adeguata; se, invece, potessimo indirizzare i farmaci a siti specifici potremmo eliminare gli effetti avversi secondari alla quantità di farmaco che si deposita al di fuori della sede desiderata. Se i farmaci fossero mirati, lo spreco (sovradosaggio polmonare per portare una quantità utile alla sede desiderata) potrebbe essere minimizzato, se non del tutto eliminato, migliorando così il rapporto costo-beneficio del trattamento. Linee Guida per la scelta dei dispositivi I dispositivi per inalazione utilizzati nella gestione dell’asma possono essere classificati in: nebulizzatori, inalatori predosati pressurizzati (pMDI), pMDI 85 86 Kantar, et al. con distanziatori o camere d’inalazione munite di valvole (valve holding chamber, VHC) e inalatori a polvere secca (DPI). Un problema clinico comune è: quale dispositivo occorre utilizzare con un determinato farmaco per uno specifico paziente? Ci sono vantaggi e svantaggi per ciascun tipo di dispositivo. Le metanalisi recenti sulla selezione dei sistemi di erogazione di aerosol per l’asma acuto hanno concluso che il dosaggio inalato di β2-agonisti short acting erogati da un nebulizzatore o da un pMDI con VHC, è sostanzialmente equivalente (4-6). La più esauriente revisione sistematica basata sull’evidenza è stata pubblicata da Dolovich e collaboratori (4). Questi Autori hanno revisionato gli studi sui pMDI (con e senza VHC) e i DPI per la somministrazione di β2-agonisti, anticolinergici e steroidi inalatori in diverse situazioni cliniche (dipartimenti di emergenza, terapie intensive, pazienti ricoverati e pazienti ambulatoriali) e in differenti categorie di pazienti (BPCO, asmatici adulti e bambini). Nella review sono stati inclusi solo studi randomizzati controllati nei quali lo stesso farmaco era stato somministrato con dispositivi differenti. Il risultato della revisione è che ciascun dispositivo può funzionare ugualmente bene in diverse situazioni cliniche, ammesso che i pazienti siano in grado di utilizzare i dispositivi in maniera appropriata. Queste conclusioni non devono però essere fraintese: la scelta del dispositivo non è irrilevante, al contrario, lo studio sottolinea quanto sia fondamentale il corretto utilizzo dei diversi dispositivi. Si tratta di una affermazione importante perché, nella maggior parte degli studi, specialmente se condotti su pazienti ambulatoriali, si selezionano pazienti capaci di utilizzare ciascun dispositivo con la tecnica appropriata o comunque i pazienti vengono addestrati e istruiti sull’uso dei dispositivi. Gli studi randomizzati valutati nella review di Dolovich e collaboratori non forniscono molte indicazioni per prevedere pazienti abbiano buone probabilità di utilizzare correttamente un dispositivo piuttosto che un altro, e non prendono in considerazione molti altri aspetti che sono importanti nella scelta del dispositivo di erogazione per uno specifico paziente, in una specifica situazione clinica (capacità del paziente di utilizzare il device, preferenze del paziente, disponibilità e costo del dispositivo). Ci sono situazioni cliniche in cui la selezione è determinata principalmente dalle caratteristiche del paziente; per esempio i lattanti ed i bambini più piccoli molto probabilmente non sono in grado di utilizzare un pMDI (senza VHC) o un DPI. Ci sono, inoltre, pochi studi randomizzati controllati sull’uso di pMDI senza VHC nei dipartimenti di emergenza, poiché molti medici credono che la dispnea grave vissuta dai pazienti asmatici in questa situazione clinica, possa impedire loro un corretto utilizzo del dispositivo. La review non comprende studi che abbiano confrontato dispositivi dello stesso tipo (ad esempio nebulizzatori o VHC di diversi produttori). I nebulizzatori e le VHC hanno diversi tassi di erogazione dei farmaci in relazione sia al tipo di device che al farmaco. La review posiziona tutti i dispositivi sullo stesso livello di efficacia sebbene diversi studi abbiano dimostrato significative differenze tra dispositivi della stessa categoria. Barry e O’Callaghan hanno messo in evidenza differenze significative nell’erogazione di salbutamolo con diverse categorie di nebulizzatori e anche tra nebulizzatori apparentemente della stessa categoria (7). Dati analoghi sono stati riportati anche da Rau e collaboratori (8). Un andamento parallelo è stato descritto recentemente riguardo le differenze nell’erogazione di salbutamolo con differenti combinazioni di pMDI-VHC (9). Questi dati focalizzano l’attenzione sull’assioma che afferma la diseguaglianza dei dispositivi appartenenti alla stessa categoria per la quale ciò che è valido per un dispositivo non è necessariamente valido per gli altri. La revisione di Dolovich e collaboratori non ha preso in considerazione gli studi con bassi livelli di evidenza, quali, ad esempio, gli innumerevoli lavori che hanno valutato in vitro gli apparecchi per aerosol. L’efficacia dei broncodilatatori inalati è legata da una caratteristica curva dose-risposta alla quantità di farmaco depositata nei polmoni (10, 11). La maggior parte degli studi ha un valore limitato poiché utilizza β2-agonisti a dosi che sono generalmente superiori, o comunque molto vicine, alla curva dose-risposta. Uno degli errori più comuni nella comparazione dell’efficacia di diversi dispositivi è l’utilizzo, come outcome, dell’incremento del FEV1 in risposta ai β2-agonisti short-acting. Numerosi studi hanno dimostrato che si può ottenere un’analoga broncodilatazione pur utilizzando dosi di β2-agonisti inferiori a quelle comunemente utilizzate (12, 3). Fishwick e collaboratori hanno dimostrato che Corticosteroidi per la nebulizzazione: non tutti nascono uguali quando il salbutamolo viene inalato da pazienti asmatici adulti si ottengono incrementi di FEV1 quasi identici somministrando una dose cumulativa di 400 µg in 90 minuti o di 800 µg seguendo lo stesso regime e gli stessi intervalli di somministrazione (12). Il problema della dose di broncodilatatore somministrato nella fase di plateau massimo della curva dose-risposta è evidenziato da uno studio pediatrico che ha mostrato come, sebbene la deposizione polmonare utilizzando un pMDI con o senza distanziatore fosse rispettivamente del 23,5% contro il 12,3%, non vi erano differenze nelle variazioni di FEV1 (13). Alla luce dei dati attuali è evidente che una correlazione dose-risposta significativa per un inalatore non basta per concludere che uno studio sia in grado di distinguere tra diversi dispositivi esaminati. Si possono trarre conclusioni riguardo al rapporto relativo dose-potenza dei farmaci e/o dei dispositivi esaminati solo se, in aggiunta, si osservano significative modificazioni delle curve cumulative dose-risposta. Dentro il nebulizzatore Viene definita atomizzazione la conversione di liquido in piccole goccioline. Questa dispersione di fase richiede energia per produrre sia area di superficie che trasporto del fluido atomizzato. La base dell’atomizzazione a getto d’aria è l’interazione di una corrente d’aria ad alta velocità con un flusso di liquido che si muove a bassa velocità. La fase liquida viene dispersa nella fase gassosa e, quindi, convertita in piccole goccioline. Le forze fisiche che governano il processo sono la tensione superficiale e la viscosità opposte alle forze aerodinamiche. Queste ultime agiscono sulla superficie del liquido determinandola rottura dei legami ed esercitando una forza esterna sulla massa del liquido: la quantità di energia necessaria e la modalità con la quale essa agisce sul liquido, possono influenzare la dimensione delle particelle. Gli apparecchi per aerosol tradizionali sono rappresentati dai nebulizzatori a flusso continuo. I nebulizzatori pneumatici differiscono dagli atomizzatori per la loro capacità di riutilizzare il fluido e per la presenza di uno o più deflettori o siti di impatto che bloccano il primo l’aerosol erogato dall’atomizzatore (Figura 1). Il ricircolo del fluido e l’azione dei deflettori favoriscono il controllo delle dimensioni delle particelle, della velocità e del volume del flusso di aerosol: se non fosse presente il deflettore, l’aerosol verrebbe erogato ad alta velocità (>100 m/sec) e in volume eccessivo (1-2 mL/secondo). In questo modo le particelle emesse dal nebulizzatore hanno un range dimensionale che permette loro di immettersi e penetrare facilmente nell’albero bronchiale (14). Nei nebulizzatori pneumatici il gas passa da un sistema ad alta pressione attraverso un ugello di calibro molto ridotto, noto come Venturi. In corrispondenza del Venturi la pressione crolla, la velocità del gas aumenta enormemente, producendo un fronte coniforme che passa ad alta velocità sull’estremità del tubo di alimentazione del liquido o di un sistema di alimentazione concentrico. In quel punto viene a crearsi così una pressione negativa grazie alla quale il liquido viene risucchiato ed estratto in sottili filamenti che successivamente, sotto l’influenza della tensione superficiale, collassano in goccioline (15). Solo lo 0,5% della massa di particelle primarie (quindi le particelle più piccole) lascia il nebulizzatore direttamente, mentre il restante 99,5% impatta sui deflettori o sulle pareti interne: il liquido ritorna quindi all’ampolla e viene nebulizzato nuovamente.Vi sono diversi tipi di ugelli utilizzati nei nebulizzatori, ma sono scarsi i dati forniti dalle aziende produttrici riguardo la Figura 1 Il deflettore. Solo lo 0,5% delle goccioline esce direttamente dal nebulizzatore. Il rimanente 99,5% impatta sul deflettore, sulle pareti della ampolla e successivamente viene riciclato. 87 88 Kantar, et al. loro struttura e le loro performance. Le dimensioni degli ugelli possono differire significativamente e le imperfezioni di questi prodotti sono all’origine della inter- ed intra-variabilità dei nebulizzatori. La dimensione, la forma e il posizionamento del deflettore giocano un ruolo importante nel controllo dell’erogazione: i diaframmi interni vengono utilizzati per ridurre le dimensioni delle particelle, ma essi incrementano l’area delle superfici del nebulizzatore e conseguentemente il volume residuo e lo spreco di farmaco. I nebulizzatori a emissione continua producono in modo continuo un aerosol che viene diluito durante l’inspirazione dall’aria inalata attraverso un raccordo a T. Questi nebulizzatori richiedono alti flussi d’aria compressa (> 6ml/min) allo scopo di ottenere un tempo di trattamento accettabile e delle caratteristiche di emissione adeguate. Durante l’utilizzo di nebulizzatori a flusso continuo almeno il 50% dell’aerosol viene disperso nell’ambiente durante l’espirazione. Il nebulizzatore open vent (Figura 2, in alto) è un modello dotato di un’apertura accessoria attraverso la quale è possibile un ulteriore ingresso d’aria nella camera grazie alla pressione negativa generata dall’espansione dell’aria compressa in prossimità del Venturi, allo stesso modo in cui viene risucchiato il liquido dal tubo di alimentazione. Ciò produce un flusso d’aria maggiore e continuo attraverso la camera di nebulizzazione il quale favorisce l’emissione di particelle più piccole, nell’unità di tempo, e determina tempi di nebulizzazione più brevi (16). La caratteristica più importante per valutare la performance di un nebulizzatore è la frazione respirabile, cioè la quota di particelle erogate con diametro compreso tra 1 e 5µm. Altre caratteristiche da valutare sono il minimo spreco di farmaco, il tempo ridotto di nebulizzazione, la facilità di utilizzo, pulizia e sterilizzazione. In genere viene raccomandato un volume di riempimento di 4-5 ml, a meno che il nebulizzatore sia specificamente progettato per volumi maggiori o minori (17). Per portare il volume di riempimento a 4-5 ml, si deve aggiungere soluzione fisiologica nel nebulizzatore; l’aumento del tempo di nebulizzazione dovuto al maggior volume di riempimento può essere contenuto aumentando il flusso utilizzato per alimentare il nebulizzatore: in questo modo si ottiene anche una diminuzione delle dimensioni delle particelle. Il flusso raccomandato è di 6-8 L/min, a meno che il nebulizzatore sia specificamente progettato per un flusso diverso. Diversi studi hanno riportato differenze di performance tra nebulizzatori di diversi costruttori e tra nebulizzatori dello stesso produttore (18, 19). Nebulizzatori che riducono lo spreco di aerosol Il nebulizzatore tradizionale è concepito per fondere due flussi: il flusso del nebulizzatore e il flusso aereo del paziente. I nebulizzatori breath enhanced (Figura 2, al centro) utilizzano un sistema open-vent dotato di valvole: il paziente respira attraverso il nebulizzatore aumentando l’erogazione dell’aerosol durante la fase inspiratoria. Durante la fase espiratoria, invece, una valvola monodirezionale devia il flusso del paziente all’esterno. Molti studi riportano una maggiore deposizione polmonare con l’impiego di questi modelli rispetto ai nebulizzatori tradizionali (20-22). La perdita di aerosol durante la fase espiratoria può essere eliminata se il nebulizzatore è attivato solo durante la fase inspiratoria; questo è il principio d’azione dei nebulizzatori breath-activated (Figura 2, in basso) i quali sono attivati dagli atti respiratori (sincronizzati al respiro). Molti studi hanno riportato un ridotto spreco di farmaco con questo tipo di nebulizzatori (23-25). Una variante di questo metodo è utilizzata dall’adaptive aerosol (26-28) che si avvale di una modalità di erogazione sviluppata per ridurre la variabilità della dose rilasciata, per ridurre la dispersione dell’aerosol nell’ambiente durante l’espirazione e per migliorare l’adesione del paziente al trattamento e all’utilizzo dell’apparecchio. Il dispositivo analizza il pattern respiratorio del paziente e, quindi, determina i tempi d’erogazione pulsata: le variazioni di pressione del flusso aereo nei primi 3 atti respiratori vengono utilizzate per determinare il momento preciso in cui attivare l’erogazione dell’aerosol durante l’inalazione. Il monitoraggio dei 3 atti respiratori continua per tutto il trattamento cosicché il dispositivo si adatti continuamente al pattern respiratorio del paziente. Leung e collaboratori hanno rilevato che, rispetto ai nebulizzatori breath-activated, i modelli breathenhanced hanno tempi di inalazione inferiori (29) (Figura 3). Corticosteroidi per la nebulizzazione: non tutti nascono uguali Nebulizzatore convenzionale open-vent Nebulizzatore open-vent breath-enhanced Nebulizzatore open-vent breath activated Figura 2 Nebulizzatore convenzionale open-vent (in alto). Nebulizzatore open-vent breath-enhanced (al centro). Nebulizzatore open-vent breath activated (in basso). Nebulizzatori a membrana vibrante microforata (mesh) Molti produttori hanno realizzato apparecchi per aerosol che utilizzano una maglia o una piastra con diversi fori (30-32). Questi apparecchi utilizzano una membrana vibrante o un corno oscillante. Nel primo caso (ad esempio, Aerogen Aeroneb, Nektar, San Carlos, California; eFlow, Pari, Richmond,Virginia) la contrazione e l’espansione di un elemento vibrante producono il movimento alternato verso l’alto e verso il basso di una piastra cupoliforme che presenta circa 1.000 fori conici. Questi forellini presentano la sezione più grande verso il lato in cui è contenuto il liquido e la sezione più stretta sul lato da cui fuoriescono le goccioline. Il farmaco è posizionato in un serbatoio al di sotto della piastra. In 89 90 Kantar, et al. Inspirazione Espirazione Nebulizzatore convenzionale e open vent 40:60 Breath-enhanced open vent 65:30 Breath-activated open vent 100:0 Figura 3 Rappresentazione schematica del pattern respiratorio e dei rapporti inspirazione/espirazione con tre tipi di getti da diversi nebulizzatori. Il farmaco disponibile per l’inalazione è indicato dalle aree grigio scuro. Le aree grigio chiaro indicano l’aerosol che viene disperso nell’aria ambiente. Queste due aree sono utilizzate per calcolare il rapporto medio inspirazione/espirazione relative all’emissione di aerosol da diversi tipi di nebulizzatore. prossimità della membrana viene generata una pressione che crea un’azione di pompa ed espelle la soluzione attraverso i fori, producendo così un aerosol. Le dimensioni delle particelle ed il flusso sono determinati dal diametro di uscita dei fori: esso può essere modificato per applicazioni cliniche specifiche. Nel sistema con corno oscillante (ad esempio, Omron, Omron Healthcare, Bannockburn, Illinois) un cristallo piezoelettrico, stimolato da una corrente elettrica, vibra ad alta frequenza. La vibrazione viene trasmessa ad un trasduttore, producendo così un movimento alternato verso l’alto ed il basso della membrana microforata che è a contatto con la soluzione: il liquido passa attraverso le aperture e forma l’aerosol. La nebulizzazione con un dispositivo a membrana dipende dalle caratteristiche del fluido; questi modelli possono infatti non essere adatti ai fluidi viscosi, pertanto è fondamentale che la formulazione dei farmaci venga valutata a seconda del dispositivo utilizzato (33, 34). Il meccanismo a membrana vibrante può essere associato all’erogazione adattiva dell’aerosol, come nell’apparecchio I-neb (Respironics, Murrysville, Pennsylvania) (35). Respimat soft mist inhaler L’apparecchio Respimat Soft Mist Inhaler (Boehringer Ingelheim, Germany) eroga una dose misurata di farmaco in forma di nebbia fine (36-38). Il farmaco erogato dal Respimat è conservato allo stato liquido all’interno della cartuccia in un sacchetto pieghevole. Con ciascuna attivazione, il dosaggio corretto viene estratto dal serbatoio interno e il sacchetto flessibile, di conseguenza, si contrae. Un giro della base dell’inalatore comprime una molla, un tubo scivola attraverso un canale nella cartuccia e ne estrae la dose in una micropompa. Quando il pulsante di rilascio della dose viene premuto, l’energia rilasciata dalla molla, forza il liquido attraverso un sistema di canali, ne determina il rallentamento rilasciando così un aerosol a velocità contenuta. L’ugello estremamente sottile di questo sistema è l’elemento centrale del Respimat. Quando la soluzione di farmaco viene forzata attraverso l’ugello, due getti escono e convergono con un angolo ottimizzato affinché il loro impatto generi un aerosol che si muove lentamente e ha una durata maggiore rispetto a quello prodotto da un pMDI. Il Respimat, confrontato con un pMDI di fenoterolo e ipratropio bromuro, nei pazienti asmatici garantisce una broncodilatazione equivalente utilizzando metà della dose (39). Studi scintigrafici hanno dimostrato inoltre che, rispetto alla somministrazione con pMDI, la deposizione polmonare è raddoppiata e quella orofaringea ridotta (40-42). Un ulteriore studio ha rilevato che la maggioranza dei pazienti preferisce il Respimat al pMDI (43). Corticosteroidi per la nebulizzazione: non tutti nascono uguali Nebulizzatori ad ultrasuoni Un nebulizzatore ultrasonico converte l’energia elettrica in onde ultrasoniche ad alta frequenza. In commercio sono disponibili nebulizzatori ad ultrasuoni di piccole dimensioni realizzati per la somministrazione per via inalatoria di farmaci broncodilatatori, ma l’utilizzo di questi apparecchi è inibito dai loro frequenti malfunzionamenti meccanici. Un problema potenziale di questo tipo di nebulizzatori consiste nella possibilità che le onde ultrasoniche causino l’inattivazione del farmaco, sebbene questo fenomeno non sia stato dimostrato con i farmaci comunemente utilizzati. I nebulizzatori ultrasonici mostrano un’inefficiente nebulizzazione delle formulazioni in sospensione (44). Binomio farmaco-dispositivo Nonostante l’ampia disponibilità di dispositivi pressurizzati (pMDI) e a polvere secca (DPI), i nebulizzatori continuano ad essere ampiamente utilizzati per la terapia inalatoria, con la realizzazione di nuovi apparecchi, come quelli a membrana vibrante. Ciò è principalmente dovuto al fatto che essi possono essere utilizzati per somministrare quasi tutte le classi terapeutiche di farmaci per il tratto respiratorio, sia nei pazienti sottoposti a ventilazione meccanica che in quelli ambulatoriali (45). I nebulizzatori generalmente sono fabbricati per l’impiego di diversi prodotti, sovente realizzati da differenti case farmaceutiche, in base al giudizio e alle prescrizioni dei medici. Nel caso dei pMDI e dei DPI la situazione è radicalmente diversa poiché il farmaco e il dispositivo che lo eroga sono direttamente legati e sono quasi sempre sotto la responsabilità della compagnia farmaceutica che produce entrambi. La regolamentazione dei nebulizzatori ha tradizionalmente avuto luogo mediante la sezione dispositivi delle varie agenzie, seguendo procedure separate da quelle usate per regolamentare i farmaci con i quali essi vengono utilizzati. In difformità da questa consuetudine, attualmente i nebulizzatori, in una guida regolatoria unificata Health Canada-EMEA sulla Pharmaceutical Quality of Inhalation and Nasal Products, vengono inclusi in altre classi di inalatori portatili (46, 47). Le Linee Guida paneuropee sui nebulizzatori come dispositivi per la somministrazione di farmaci, sviluppate circa 7 anni fa, stabilivano di definire standard uniformi per il loro utilizzo (48), mediante test di performance intrapresi in accordo con il European Committee for standardization (CEN) (49). È in fase di revisione, per la possibile inclusione nella farmacopea dell’Europa (50) e degli Stati Uniti (51), una monografia sulla caratterizzazione delle formulazioni per la nebulizzazione. Riconoscendo il bisogno di armonizzare gli standard focalizzati sui dispositivi e gli standard relativi al farmaco, la maggior parte delle metodologie proposte nella bozza della monografia è basata, ove possibile, sulle procedure descritte nello standard CEN 2001 (49). Più recentemente l’avvento della Next Generation Pharmaceutical Impactor (NGI) ha preso posto dopo che questo standard era stato emanato: NGI offre importanti informazioni aggiuntive (52). Il nebulizer Sub-Team dell’European Pharmaceutical Aerosol Group fu istituito nel 2005 per rivalutare i metodi usati per la caratterizzazione in vitro dei nebulizzatori, alla luce degli sviluppi precedentemente esposti. Questa decisione è stata tempestiva e necessaria in considerazione della nuova attenzione prestata a questi dispositivi sia dai compendi che dalle agenzie regolatorie per lo sviluppo di nuovi tipi di dispositivi, compresi i nebulizzatori breath-activated e breath-adaptive. Questi ultimi, ad esempio, non possono avvalersi dei metodi di campionamento utilizzati per i nebulizzatori a flusso continuo. Come ulteriore esempio, i metodi ottici per la caratterizzazione delle dimensioni delle particelle, in particolare la diffrattometria laser, pur essendo rapidi e pertanto potenzialmente utili come strumenti per eseguire il controllo di qualità dei farmaci utilizzati con un nebulizzatore, si rivelano inappropriati, senza le dovute precauzioni, per i nebulizzatori che consentono l’evaporazione interna dell’aerosol (tutti i nebulizzatori ad emissione continua). Essi sono inadatti anche per le formulazioni in sospensione nelle quali le particelle di aerosol possono non contenere il farmaco o possono contenere più molecole di farmaco per ogni particella erogata. Queste limitazioni non sono sempre annoverate ed evidenti nelle guide informative industriali e nella documentazione standard. Formulazioni farmaceutiche per la nebulizzazione Il farmaco è un fattore di primaria importanza poiché è in grado di influenzare significativamente la deposizione a livello polmonare. Le caratteristiche 91 92 Kantar, et al. fisiche e chimiche della preparazione farmaceutica ed il comportamento del farmaco durante la nebulizzazione sono fattori da prendere in considerazione nel momento in cui si prescrive una terapia inalatoria. Quando si nebulizza una soluzione, ammesso che la soluzione contenuta nel nebulizzatore sia uniformemente miscelata, ciascuna gocciolina di aerosol ha un’elevata probabilità di avere una concentrazione del farmaco relativamente uniforme in qualsiasi momento della nebulizzazione. Peraltro, siccome i diluenti del farmaco (come la soluzione isotonica) tendono ad evaporare durante la nebulizzazione, la concentrazione del farmaco nell’aerosol aumenta via che procede il processo (53, 54). In una sospensione di farmaco relativamente insolubile, ciascuna gocciolina nebulizzata di diluente è un potenziale veicolo di molecole di farmaco in fase solida, a condizione che le goccioline di diluente siano di dimensioni maggiori delle particelle solide di farmaco. Occorre dedicare particolare attenzione agli steroidi per nebulizzazione in sospensione: le singole particelle micronizzate di steroide di 2 µm di diametro, acquisendo un rivestimento di soluzione veicolante durante la nebulizzazione, aumentano di volume, pertanto un nebulizzatore con deflettori che consentono il rilascio solo delle particelle di diametro inferiore o uguale a 2 µm, teoricamente, non rilascerà particelle di steroide per l’inalazione. Il binomio farmaco-nebulizzatore è un fattore cruciale per ottenere la deposizione ottimale del farmaco in un sito specifico. Non tutti i farmaci sono idonei alla nebulizzazione: le caratteristiche fisicochimiche del fluido influenzano l’erogazione del farmaco dai nebulizzatori (55). Una scarsa idrosolubilità e un’alta viscosità, causano la nebulizzazione di particelle particolarmente grandi, che non sono in grado di raggiungere le piccole vie aeree. Alcune case farmaceutiche utilizzano additivi come il glicole propilenico per aumentare la solubilità del farmaco nel diluente (56). I farmaci solitamente vengono nebulizzati come soluzioni in cui il principio attivo è disciolto in una soluzione, in genere acquosa, formando una fase continua. Le sospensioni possono essere adeguatamente nebulizzate: il fatto che ci siano due fasi nel volume di riempimento del nebulizzatore non impedisce il trasporto delle particelle sospese nella fase gassosa, ammesso che il nebulizzatore abbia uno spazio sufficiente per la loro distribuzione fisica. L’influenza dello stato fisico del liquido sul funzionamento del nebulizzatore è evidente. La relativa alta efficienza del nebulizzatore, associata alla distribuzione delle particelle piccole, riflette il suo sistema di deflettori interno, idoneo per soluzioni acquose. Nel caso, ad esempio, della sospensione di budesonide, i deflettori interni catturano molte delle particelle di farmaco di diametro maggiore. Non sempre si tiene conto del fatto che la formulazione del farmaco può inficiare la prestazione del nebulizzatore. MacNeish e collaboratori, con uno studio, hanno rilevato che l’emissione di un nebulizzatore era significativamente maggiore con una formulazione che conteneva un particolare conservante, probabilmente grazie alla sua specifica attività di superficie (57). Quando veniva utilizzata la soluzione senza conservante le particelle più grandi aderivano alle pareti del nebulizzatore, mentre ciò non avveniva con la formulazione contenente il conservante. Berlinski e Waldrep hanno riportato che la nebulizzazione contemporanea di salbutamolo e altri farmaci, può modificare l’output dell’aerosol e le caratteristiche dello stesso (58). Anche altri Autori hanno riportato gli effetti che le diverse formulazioni del farmaco hanno sull’output da parte del nebulizzatore (59, 60). I medici ed i pazienti preferiscono miscelare le formulazioni per diminuire il tempo richiesto per il trattamento, ma prima di consentire la miscela di più farmaci nell’ampolla di nebulizzazione il medico dovrebbe essere certo che tale combinazione risponda a criteri di compatibilità (61-64). L’importanza dell’abbinamento appropriato del farmaco con un nebulizzatore è spesso ignorata. Le più recenti soluzioni di farmaci (pentamidina, ribavirina, deossiribonucleasi ricombinante umana, tobramicina) sono state approvate per la loro somministrazione con specifici nebulizzatori. C’è una considerevole variazione nella performance tra diversi modelli di nebulizzatore e non tutte le marche sono ideali per ogni terapia farmacologica (65, 66). L’output del farmaco e la dimensione delle particelle variano a seconda del modello, del marchio del nebulizzatore nonché delle proprietà fisico-chimiche del farmaco (67, 68). I produttori di formulazioni farmacologiche per la nebulizzazione generalmente non raccomandano, per l’utilizzo di ciascun farmaco, uno specifico nebulizzatore o una combinazione ideale nebulizzatore/compressore: ne consegue che ogni farmaco Corticosteroidi per la nebulizzazione: non tutti nascono uguali può venire somministrato con un’ampia varietà di nebulizzatori e ciò conduce ad una variabilità della dose inalata e dell’efficacia della terapia. Newman e collaboratori, comparando 4 modelli di nebulizzatori con 4 diversi flussi d’aria compressa per l’erogazione della gentamicina (69), hanno rilevato una differenza consistente (di 10 volte) tra l’apparecchio più efficiente e quello meno efficiente, giungendo così alla conclusione che i pazienti potrebbero andare incontro ad un sottodosaggio qualora vengano impiegati sistemi di nebulizzazione inefficienti. In un altro studio, che ha valutato le performance di 12 nebulizzatori per il trattamento della fibrosi cistica (CF), i ricercatori hanno riportato un’ampia variazione nell’efficienza dei diversi nebulizzatori, con una percentuale di farmaco efficacemente aerosolizzato variabile dal 30% a meno del 5% della dose iniziale (70). I medici dovrebbero poter adattare la prescrizione alla performance del nebulizzatore disponibile per il loro paziente e identificare la combinazione nebulizzatore/compressore più efficiente nel garantire un’efficacia terapeutica ottimale. Valutazione delle performance farmaconebulizzatore Nell’industria farmaceutica la determinazione della distribuzione dimensionale delle particelle (particle size distribution, PSD) è indispensabile per valutare le caratteristiche di deposizione delle particelle nei polmoni. Nella pratica il metodo dell’impatto è quello più comunemente utilizzato: i cascade impactor (CI), incluso il modello Multistage Liquid Impinger (MSLI) è utilizzato per l’analisi in vitro delle dimensioni delle particelle aerosolizzate dagli inalatori. Essi sono gli equipaggiamenti di scelta nella Farmacopea sia dell’Europa che degli Stati Uniti (71, 72) e sono raccomandati negli attuali documenti normativi per l’industria pubblicati dalle corrispondenti autorità regolatorie. I CI si avvalgono di un modello semplificato dell’apparato respiratorio umano: l’aerosol viene guidato, mediante una corrente d’aria a flusso definito, attraverso una curva rettangolare analoga al faringe umano fino ai successivi stadi di impatto, mostrando che le dimensioni delle particelle determinano la deposizione nelle differenti aree polmonari. Ulteriori informazioni sui CI e sul principio di misurazione possono essere approfondite in una serie di monografie di Lodge e Chan (73). I diffrattometri laser (LD), definiti anche e più correttamente strumenti low angle laser light scattering (LALLS), costituiscono una classe di analizzatori del diametro delle particelle. Il principio di analisi agisce in funzione dell’interpretazione del pattern di rifrazione della luce su un insieme di particelle solide e liquide, in un raggio collimato di luce costante (74). Il pattern di rifrazione della luce è convertito in una distribuzione volume-massa delle dimensioni delle particelle: questa conversione avviene mediante l’applicazione di un modello che descrive la relazione tra l’energia luminosa dispersa e l’angolo di rifrazione, in relazione all’asse definito dalla sorgente luminosa, dall’aerosol e dalle ottiche di rilevamento. Questa tecnica è molto rapida perché vengono eseguite diverse centinaia di scansioni del raggio nell’intervallo di 1 sec, e con i moderni strumenti si raggiungono le 2.500 scansioni al secondo. A differenza dei CI, nei quali la distribuzione dimensionale è solitamente derivata direttamente da analisi chimiche della massa di principi farmacologici attivi (API) raccolti nei diversi stadi, la diffrattometria laser determina le dimensioni delle particelle indirettamente dal pattern di rifrazione dell’intensità luminosa rilevata dallo strumento. É quindi essenziale utilizzare un modello ottico appropriato in grado di tradurre accuratamente questa informazione nella distribuzione dimensionale delle particelle. I diffrattometri laser devono essere utilizzati con cautela poiché questa metodica non tiene conto degli effetti della concentrazione del soluto che possono risultare importanti quando si verifica una rapida evaporazione delle goccioline. Clark e Borgström hanno evidenziato, inoltre, che questa tecnica non è applicabile all’analisi dell’aerosol ottenuto dalle sospensioni senza una validazione mediante un metodo indipendente di misurazione delle particelle, in quanto essa discrimina in base alle dimensioni delle particelle anziché delle singole particelle di API (75). Nelle formulazioni in sospensione è possibile trovare più particelle di API in una gocciolina o, parimenti, goccioline che non contengono API, contrariamente alle formulazioni in soluzione nelle quali le API sono distribuite omogeneamente in tutte le goccioline indipendentemente dalle dimensioni. Questo fenomeno è stato illustrato da Hickey e Evans in riferimento a un tipo di formulazione in sospensione, erogata da un inalatore pressurizzato predosato (pMDI) (76). 93 94 Kantar, et al. Considerazioni analoghe sono applicabili anche alle formulazioni in sospensione destinate alla nebulizzazione. Concludendo, vi è accordo sul fatto che il processo di misurazione con CI è complesso e molto impegnativo, ma al momento esso costituisce l’unico sistema per determinare la distribuzione dimensionale delle particelle inalate quantificando la massa delle API separatamente dalle altre componenti della formulazione. Nebulizzazione di corticosteroidi inalatori L’uso di nebulizzatori per somministrare steroidi inalatori (ICS) ha diverse e significative limitazioni. Le caratteristiche igroscopiche del farmaco sono importanti fattori che determinano la solubilità nel diluente utilizzato (di solito soluzione fisiologica). Gli ICS relativamente insolubili in acqua, come il beclometasone diproprionato (BDP) e il fluticasone propionato (FP) vengono nebulizzati in modo sostanzialmente differente rispetto agli ICS più solubili in acqua come il flunisolide (FLU) o il budesonide (BUD) (Tabella 1). La diminuzione della solubilità in acqua e l’incremento della viscosità producono principalmente particelle più grandi: ciò costituisce un problema perché in questo modo il 99,5% delle particelle ritorna nel serbatoio per essere nebulizzato nuovamente: le particelle di diametro maggiore vengono riciclate e solo quelle fini sfuggono all’effetto del deflettore. Questo limita l’erogazione del farmaco: esso rimane infatti nel dispositivo mentre viene erogato solamente il diluente sottoforma di particelle respirabili. Le particelle del farmaco in sospensione, inoltre, sono largamente eterodisperse determinando così una deposizione nelle basse vie aeree estremamente modesta. Tabella 1 Solubilità di alcuni steroidi inalatori. Modificata da (93). Solubilità in acqua (µg/ml) Tempo di solubilizzazione (fluido bronchiale umano in vitro) 0,13/15,5 >5 h/- Budesonide 16 6 min Flunisolide 140 <2 min Fluticasone 0,14 >8 h BPD/BMP La nebulizzazione offre importanti vantaggi rispetto agli altri metodi d’inalazione. Nei DPI gli ICS sono di solito inalati come microcristalli che devono dissolversi nei fluidi epiteliali: la lipofilia può ritardare la loro dissoluzione, il che, in una certa misura, può risultare vantaggioso (tempo di permanenza polmonare prolungato), ma può nel frattempo determinare la loro rimozione dalle vie aeree periferiche da parte del sistema di trasporto mucociliare. Le goccioline di aerosol prodotte dai nebulizzatori, poiché sono disciolte nel diluente, hanno minori probabilità di aggregarsi rispetto alle particelle erogate da un DPI, inoltre sono in grado di trattare superfici polmonari più estese per la tendenza del liquido ad espandersi sotto l’effetto delle forze di dispersione superficiale. Prima dell’assorbimento attraverso la membrana alveolare, la soluzione di farmaco può diffondere su un’area relativamente grande degli alveoli sotto l’azione delle forze di dispersione generate dalla differenza tra la tensione superficiale del liquido d’aerosol e del surfactante che ricopre gli alveoli e le vie aeree (77). Il contributo di questo meccanismo alla farmacocinetica globale degli ICS rimane ancora da approfondire e determinare (78). La scelta di una formulazione di ICS per la nebulizzazione dovrebbe indagare principalmente l’idrosolubilità come fattore determinante l’output del farmaco. Senza informazioni sul diametro aerodinamico di massa mediano e sulla percentuale di particelle respirabili erogate, la dose inalata rimane ignota e il risultato degli studi clinici può essere interpretato scorrettamente (79). Comportamento degli ICS durante la nebulizzazione Molti farmaci possono essere formulati per la nebulizzazione in dosi sia molto alte che molto basse (0,01 mg-1 g), sia in sospensione che in soluzione: la scelta del tipo di formulazione è in funzione delle proprietà fisico-chimiche del farmaco. Se si utilizza una sospensione, per ottenere una nebulizzazione analoga a quella prodotta utilizzando una soluzione, occorre disporre di un farmaco formulato in particelle piccole, disperse e distribuite omogeneamente. I farmaci scarsamente idrosolubili, come gli ICS, rappresentano una sfida e uno stimolo per lo sviluppo di formulazioni adatte alla nebulizzazione. Un farmaco che presenta un’idrosolubilità moderata o Corticosteroidi per la nebulizzazione: non tutti nascono uguali pH-dipendente, come si osserva con gli elettroliti deboli, può essere formulato come una soluzione: tuttavia questo approccio può richiedere volumi maggiori rispetto a quelli utilizzati usualmente e, di conseguenza, tempi di inalazione più lunghi, compromettendo l’aderenza terapeutica del paziente. I farmaci con idrosolubilità molto bassa o virtualmente nulla per poter essere nebulizzati devono essere formulati come microo nano-sospensioni (80, 81). Sebbene in commercio ci siano molti prodotti in sospensione, essi sono destinati principalmente alla somministrazione per via orale poiché questa non richiede particolare attenzione alla distribuzione dimensionale delle particelle di farmaco. Nei prodotti per la nebulizzazione, invece, questo parametro diventa critico in quanto le goccioline piccole di aerosol non possono veicolare particelle di farmaco di dimensioni maggiori: il diametro e la forma delle particelle di farmaco in sospensione per l’inalazione dovrebbero essere significativamente minori di 3-5 µm allo scopo di consentire una buona nebulizzazione e alti dosaggi di frazione respirabile senza il rischio di intasare gli ugelli del nebulizzatore. Le nanosospensioni sono difficili da formulare in quanto sono necessarie speciali tecniche di dispersione e di riduzione delle dimensioni ed è inoltre arduo ottenere una loro stabilizzazione. La tecnica delle nanosospensioni è stata recentemente sperimentata per migliorare le caratteristiche del budesonide nebulizzato (82). Un altro modo per migliorare la deposizione polmonare dei corticosteroidi nebulizzati è di migliorare la solubilità di un farmaco aggiungendo additivi co-solventi come ad esempio tamponi o surfactanti (83). L’output del farmaco e la percentuale di farmaco contenuta in particelle piccole sono normalmente maggiori con una soluzione rispetto a una sospensione. La formulazione di flunisolide (disponibile in Italia) contiene glicole propilenico, che agisce come cosolvente per favorire la dissoluzione del flunisolide (56). Generalmente le preparazioni di corticosteroidi per la nebulizzazione sono formulate come sospensioni: il flunisolide, essendo disponibile come soluzione, costituisce un’eccezione. La nebulizzazione delle sospensioni è significativamente diversa da quella delle soluzioni perché quando una particella di steroide viene nebulizzata, si trova circondata da un involucro di fluido veicolante. Il conseguente aumento di volume provoca una minore erogazione di particelle di corticosteroide per l’azione dei deflettori del nebulizzatore. I primi tentativi di nebulizzare una sospensione di 50 µg/ml di BDP, infatti, presentarono il rilascio di una modesta quantità di farmaco nebulizzato in particelle abbastanza piccole da penetrare nel polmone (84) ed una scarsa risposta clinica (85, 86). Un’alternativa possibile per incrementare la quota di BDP erogata potrebbe essere quella di aumentare la concentrazione del farmaco, ma la sospensione di BDP alla concentrazione più elevata commercialmente disponibile in Italia ha mostrato risultati sovrapponibili alla preparazione con minore concentrazione. Incrementare la concentrazione, inoltre, può influenzare le dimensioni delle particelle: la nebulizzazione di 2 ml di una formulazione contenente 400 µg/ml di BDP ha prodotto un aerosol con un MMAD di 6,4 µm con il Bimboneb (nebulizzatore open-vent) e di 5,4 µm con il nebulizzatore convenzionale Nebula Plus (87). Quando il BDP viene nebulizzato sono poche le particelle di aerosol che contengono il farmaco: le particelle di BDP sono circondate da un involucro fluido che aumenta ulteriormente il diametro delle particelle. Le goccioline che non contengono la BDP sono probabilmente più numerose, piccole e sono costituite solamente da soluzione veicolante (diluente). Recenti studi in vitro di O’Callaghan et al. hanno valutato l’erogazione di farmaco per il BDP, il FLU e il BUD con diversi nebulizzatori (Tabelle 2 e 3) (87-89). Gli Autori hanno utilizzato la MSLI e tecniche di simulazione del respiro pediatrico. I risultati di questi studi mettono in evidenza l’interazione tra nebulizzatori di diversa generazione con le molecole di ICS utilizzate: entrambi influenzano la qualità, la quantità della nebulizzazione e la distribuzione dimensionale delle particelle, provocando in questo modo una variabilità della dose respirabile per i bambini. I nuovi nebulizzatori, diversi da quelli convenzionali, sono stati progettati per aumentare l’erogazione della frazione respirabile, ma si sono rivelati quasi del tutto inefficienti per l’erogazione dei farmaci in sospensione: è infatti molto complesso il meccanismo d’interazione tra il principio di generazione dell’aerosol e la formulazione delle sospensioni. Questi dati indubbiamente indicano che la solubilità di un farmaco è un fattore chiave nella nebulizzazione degli ICS. 95 96 Kantar, et al. Tabella 2 Il rilascio dei farmaci è stato misurato utilizzando la metodologia MSLI. L’emissione totale del farmaco è stata rilevata mediante l’utilizzo di un simulatore del pattern respiratorio dei bambini (87, 88, 89). MMAD, diametro aerodinamico di massa mediano; GSD, deviazione standard geometrica. Per ogni parametro vengono indicate media (n= 4) e deviazione standard tra parentesi. BUD Dose Nominale 500µg Nebulizzatore FLU Dose Nominale 600µg BDP Dose Nominale 800µg Nebula Plus BimboNeb Nebula Plus BimboNeb Nebula Plus BimboNeb Peso del farmaco (µg) 113,4 119,9 257,7 246,9 236,0 206,1 nebulizzato (9,5) (9,6) (16,3) (12,4) (33,6) (27,4) % di farmaco nebulizzato 22,68 23,98 41,18 39,01 29,5 25,75 (1,9) (1,9) (2,28) (2,39) (4,2) (3,42) MMAD µm 3,38 4,48 3,86 3,87 5,36 6,37 (0,38) (0,44) (0,21) (0,14) (0,16) (0,36) GSD 1,9 1,8 1,88 1,8 (0,04) (0,01) (0,07) (0,06) Massa erogata (µg) 86,8 76,7 208,7 201 149,6 105,2 in particelle <6,8 µm (4,0) (3,5) (14,4) (10,4) (21,4) (6,3) % di dose nominale 17,4% 15,3% 34,6% 33,5% 18,6% 13,1% in particelle <6,8 µm Massa erogata (µg) 67,0 53,5 154,18 148,53 91,53 57,26 in particelle <4,3 µm (5,4) (5,4) (10,85) (7,44) (15,9) (1,7) % di dose nominale 13,4% 10,7% 25,7% 24,7% 11,5% 7,2% Quantità totale di farmaco 33,7 34,0 56,1 56,4 59,8 59 rilevata nel filtro utilizzando (4,8) (14) (5) (1,4) (7) (5) in particelle <4,3 µm un simulatore di pattern respiratorio pediatrico (5 min di nebulizzazione) Quantità di farmaco 27,7 22,5 45,4 45,9 37,9 30,1 contenuto in particelle (3,9) (9,2) (4) (1,1) (4) (3,8) <6,8 µm rilasciata utilizzando un simulatore di pattern respiratorio pediatrico (5 min di nebulizzazione) Quantità di farmaco 21,9 16,6 33,5 34 23,2 16,4 contenuto in particelle (3,1) (6,8) (3) (0,8) (3,7) (3,2) <4,3 µm rilasciata utilizzando un simulatore di pattern respiratorio pediatrico (5 min di nebulizzazione) Corticosteroidi per la nebulizzazione: non tutti nascono uguali Tabella 2 Il rilascio dei farmaci è stato misurato utilizzando il Next Generation Pharmaceutical Impactor (NGI). L’emissione totale del farmaco è stata rilevata mediante l’utilizzo del simulatore del pattern respiratorio dei bambini Pari COMPAS Breathing Simulator (controllo computerizzato) per ogni farmaco (dati forniti da Valeas S.p.A). MMAD, diametro aerodinamico di massa mediano; GSD, deviazione standard geometrica. Per ogni parametro vengono indicate media (n= 4) e deviazione standard tra parentesi. FLU Dose Nominale 600µg BDP Dose Nominale 800µg Pari Turbo Boy N compressor Pari Turbo Boy N compressor MMAD µm 3,36 (0,35) 5,48 (0,32) Massa nebulizzata (µg) in particelle <5 µm 147,9 (12,4) 88,8 (2,4) 67,8 (5) 36,5 (3,9) 93,36 (7,98) 26,65 (2,4) % nebulizzata in particelle <3 µm 42,9 (5,1) 11,0 (2,1) Quantità totale di farmaco rilevata nel filtro utilizzando un simulatore di pattern respiratorio pediatrico (5 min di nebulizzazione) 67,8 (10) 59,8 (11,7) % di dose nominale rilevata nel filtro utilizzando un simulatore di pattern respiratorio pediatrico (5 min di nebulizzazione) 11,3% 7,5% % di dose nominale rilevata nel filtro utilizzando un simulatore di pattern respiratorio pediatrico (10 min di nebulizzazione) 21,3% 14,3% Quantità di farmaco contenuta in particelle <3 µm rilasciata utilizzando un simulatore di pattern respiratorio pediatrico (5 min di nebulizzazione) 29,1 6,61 Quantità di farmaco contenuta in particelle <3 µm rilasciata utilizzando un simulatore di pattern respiratorio pediatrico (10 min di nebulizzazione) 52,36 17,3 Nebulizzatore % nebulizzata in particelle <5 µm Massa nebulizzata (µg) in particelle <3 µm Conclusioni Qualsiasi dispositivo per l’inalazione (nebulizzatore, DPI o pMDI) genera un aerosol di farmaco in maniera differente, quindi risulteranno diverse anche le dimensioni delle particelle, la frazione respirabile, la deposizione e la distribuzione nel polmone. Conseguentemente, se lo stesso farmaco, alla stessa dose nominale, viene erogato con dispositivi differenti o in diverse formulazioni, può risultare non bioequivalente (90, 91). Poiché i farmaci e i dispositivi non sono interscambiabili, gli studi clinici basati sulle comparazioni dei dispositivi risultano ingannevoli e non riproducibili a causa dalle differenze nella farmacologia e farmacocinetica dei farmaci. Un altro aspetto da considerare nella progettazione di diversi sistemi di erogazione, oltre all’interazione tra farmaco e dispositivo, è il target dei pazienti ossia la variabilità di bisogni tra differenti categorie cliniche. Ad esempio, pazienti senza ostruzione dei flussi aerei possono avere una maggiore esposizione sistemica rispetto a quelli con ostruzione, e i bambini più piccoli necessitano di sistemi di erogazione diversi da quelli utilizzati per gli adulti (92). La scienza che si occupa dello studio della terapia inalatoria per molti aspetti è ancora agli albori. Per troppo tempo sono stati accettati empiricamente, per la terapia inalatoria dell’asma, anche dispositivi con performance inefficienti.Attualmente esiste una gamma sempre più variegata di dispositivi disponibili, ma l’immissione sul mercato non è regolamentata e giustificata da dati esaustivi basati sulle evidenze; i pediatri possono fruire di scarse informazioni capaci di orientare una scelta consapevole e 97 98 Kantar, et al. sono spesso influenzati dalle consuetudini e da considerazioni di carattere economico. I farmaci nebulizzati sono utilizzati per la somministrazione sia locale che sistemica di farmaci per via polmonare: questo, però, è un processo complesso che dipende da numerosi parametri quali il meccanismo di generazione dell’aerosol, il dispositivo, la formulazione farmaceutica, il pattern respiratorio del paziente ed altri fattori. Nell’ultimo decennio i sistemi di erogazione sono diventati sempre più efficienti: è fondamentale, però, che i medici educhino ed informino adeguatamente i pazienti affinché essi utilizzino i dispositivi che si avvalgono delle più moderne tecnologie. Non vi è alcuna ragione tecnologica perché una terapia aerosolica tramite nebulizzazione non debba essere usata per un’erogazione più efficace del farmaco al polmone. Ci sono, ovviamente, ragioni economiche che dettano le scelte, per cui alcuni dispositivi possono sembrare non ideali perché poco accessibili; i pazienti sono sovente obbligati ad utilizzare nebulizzatori di progettazione e fabbricazione scadenti, così come accade in molti centri medici. I nebulizzatori pneumatici sono dispositivi popolari utilizzati per somministrare farmaci nel tratto respiratorio: ve ne sono disponibili molti differenti modelli, ma le linee guida per la loro valutazione non tengono conto dei diversi tipi di farmaci da nebulizzare. Alcune formulazioni di steroidi sono presenti sul mercato come sospensioni e i dati sperimentali a disposizione si riferiscono spesso alle formulazioni in soluzione pertanto essi non possono essere applicabili alle sospensioni. Il farmaco è un fattore molto importante nell’influenzare la deposizione nei polmoni e, quando si prescrive una terapia aerosolica, occorre tenere in considerazione le caratteristiche fisiche e chimiche della formulazione e il comportamento del farmaco durante la nebulizzazione. È degno di nota, tra i farmaci emessi più di recente, il Pulmozyme, emesso dalla Genentech (http://www.pulmozyme.com), nella cui confezione è allegato un foglietto illustrativo che raccomanda l’uso di un ristretto numero di nebulizzatori specifici, cioè solo quelli che, in fase di sviluppo del farmaco, sono stati trovati equivalenti nell’erogazione in vitro della rhDNase. Questo approccio di co-marketing sarà sempre più probabile per i nuovi farmaci destinati alla nebulizzazione. Qual è la distribuzione dimensionale ideale per un corticosteroide nebulizzato? La distribuzione delle dimensioni delle particelle aerosolizzate deve essere tale che le dosi erogate forniscano la massima efficacia con il minimo spreco di farmaco (idealmente nullo). L’aerosol deve essere abbastanza fine da raggiungere il bersaglio e quindi garantire la deposizione di una sufficiente quantità di farmaco nei siti di flogosi, ma non deve nemmeno essere troppo fine, altrimenti si corre il rischio che le particelle non vengano trattenute nel polmone. Occorre, in sintesi, un bilanciamento tra fisica, fisiologia e formulazione. Ogni farmaco può presentarsi in diverse formulazioni ed essere contenuto in dispositivi con diversi sistemi di erogazione: la combinazione nebulizzatore-ICS determina l’effetto terapeutico e l’utilità del trattamento, a seconda del coinvolgimento e dell’interazione dei diversi fattori implicati nel processo. Il sito, l’estensione e la distribuzione della dose depositata sono fattori determinati principalmente dalla performance del dispositivo di erogazione. La dissoluzione, la clearance e l’uptake nelle vie aeree, l’affinità recettoriale, il tempo di permanenza nei recettori, il metabolismo locale e l’assorbimento sistemico sono fattori governati dalle caratteristiche fisico-chimiche e farmacologiche intrinseche dell’ICS. Gli attuali sistemi sanitari basati sul principio di gestione dei costi e contenimento della spesa, incoraggiano i medici a selezionare le formulazioni di minore costo: questo approccio, purtroppo, impedisce di scegliere la migliore preparazione in funzione del beneficio per il paziente e di considerare i progressi nello sviluppo dei farmaci e dei dispositivi. L’enfasi nella gestione della salute si sta orientando verso il controllo della qualità; è auspicabile, pertanto, che questa nuova tendenza stimoli la ricerca clinica alla definizione, anche in merito alla terapia inalatoria, di indicatori di qualità attendibili. Ringraziamenti Si ringrazia la Sig.ra Manfredi Federica per il suo contributo nella preparazione e traduzione di questo manoscritto. Bibliografia 1. Johnson MA, Newman SP, Bloom R, et al. Delivery of albuterol and ipratropium bromide from two nebulizer systems in chronic stable asthma: efficacy and pulmonary deposition. Chest 1989; 96: 6-10. 12. Fishwick D, Bradshaw L, Macdonald C, et al. Cumulative and single-dose design to assess the bronchodilator effects of beta2-agonists in individuals with asthma. Am J Respir Crit Care Med 2001; 163: 474-477. 2. Adcock IM, Gilbey T, Gelder CM, et al. Glucocorticoid receptor localization in normal and asthmatic lung. Am J Respir Crit Care Med 1996; 154: 771-782. 13. 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Viaggio nella gestione delle patologie respiratorie ostruttive tra ospedale e territorio San Giovanni Gemini (AG) 19 - 20 giugno 2009 Segreteria organizzativa: Omnia congress Tel. 0922. 602911 E-mail: [email protected] Info: http://www.omniacongress.com/ XI International course on pediatric pneumology Atene (Grecia) 28 - 30 giugno 2009 Organizzato da: International Course on Pediatric Pneumology, CIPP Tel. +33. 497. 038 597 E-mail: [email protected] Info: http://www.cipp-meeting.com/ AGOSTO 2009 IX corso di approfondimento professionale per il pediatra - impariamo insieme sapere, saper fare e sapersi relazionare Golfo Aranci (OT) 25 - 30 agosto 2009 Organizzato da: Società Italiana di Pediatria Preventiva e Sociale Segreteria organizzativa: iDea congress SrL Tel. 06. 36381573 E-mail: [email protected] OTTOBRE 2009 XIII Convegno della Società Italiana per le Malattie Respiratorie Infantili Napoli 15 - 17 ottobre 2009 Organizzato da: Società Italiana per le Malattie Respiratorie Infantili Segreteria organizzativa: iDea congress SrL Tel. 06. 36381573 E-mail: [email protected] CHEST 2009 San Diego (Stati Uniti) 31 ottobre - 5 novembre 2009 Organizzato da: American College of Chest Physicians Tel. +39. 847. 498. 1400 Info: http://www.chestnet.org/ Congressi Congresses 104 NOVEMBRE 2009 DICEMBRE 2009 Bambino e attività sportiva. Stili di vita, prevenzione e terapia. Corso teorico pratico sul test da sforzo cardiopolmonare e corso PBLS-D (Pediatric Basic Life Support and early Defibrillation) Roma 20 - 21 novembre 2009 Segreteria organizzativa: Center Comunicazione e Congressi Tel. 081 19578490 Fax 081 19578071 Info: www.centercongressi.com/basp II° corso residenziale. Il pediatra ospedaliero e il bambino con patologia grave: l’insufficienza respiratoria in età pediatrica Roma 3 - 4 dicembre 2009 Segreteria organizzativa: Center Comunicazione e Congressi Tel. 081 19578490 Fax 081 19578071 Info: www.centercongressi.com/irb2009 Informazioni per gli autori comprese le norme per la preparazione dei manoscritti La Rivista pubblica contributi redatti in forma di editoriali, articoli d’aggiornamento, articoli originali, articoli originali brevi, casi clinici, lettere al Direttore, recensioni (da libri, lavori, congressi), relativi a problemi pneumologici e allergologici del bambino. I contributi devono essere inediti, non sottoposti contemporaneamente ad altra Rivista, ed il loro contenuto conforme alla legislazione vigente in materia di etica della ricerca. Gli Autori sono gli unici responsabili delle affermazioni contenute nell’articolo e sono tenuti a dichiarare di aver ottenuto il consenso informato per la sperimentazione e per la riproduzione delle immagini. La redazione accoglie solo i testi conformi alle norme editoriali generali e specifiche per le singole rubriche. La loro accettazione è subordinata alla revisione critica di esperti, all’esecuzione di eventuali modifiche richieste ed al parere conclusivo del Direttore. NORME GENERALI Testo: in lingua italiana o inglese, in triplice copia, dattiloscritto, con ampio margine, con interlinea doppia, massimo 25 righe per pagina, con numerazione delle pagine a partire dalla prima, e corredato di: 1) titolo del lavoro in italiano, in inglese; 2) parola chiave in italiano, in inglese; 3) riassunto in italiano, (la somma delle battute, spazi inclusi, non deve superare le 2.500); 4) titolo e didascalie delle tabelle e delle figure. Si prega di allegare al manoscritto anche il testo memorizzato su dischetto di computer, purché scritto con programma Microsoft Word versione 4 e succ. (per Dos e Apple Macintosh). Nella prima pagina devono comparire: il titolo (conciso); i nomi degli Autori e l’istituto o Ente di appartenenza; la rubrica cui si intende destinare il lavoro (decisione che è comunque subordinata al giudizio del Direttore); il nome, l’indirizzo e l’e-mail dell’Autore cui sono destinate la corrispondenza e le bozze. Il manoscritto va preparato secondo le norme internazionali (Vancouver system) per garantire la uniformità di presentazione (BMJ 1991; 302: 338-341). È dunque indispensabile dopo una introduzione, descrivere i materiali e i metodi, indagine statistica utilizzata, risultati, e discussione con una conclusione finale. Gli stessi punti vanno riportati nel riassunto. Nelle ultime pagine compariranno la bibliografia, le didascalie di tabelle e figure. Tabelle (3 copie): devono essere contenute nel numero (evitando di presentare lo stesso dato in più forme), dattiloscritte una per pagina e numerate progressivamente. Figure (3 copie): vanno riprodotte in foto e numerate sul retro. I grafici ed i disegni possono essere in fotocopia, purché di buona qualità. Si accettano immagini su supporto digitale (floppy disk, zip, cd) purché salvate in uno dei seguenti formati: tif, jpg, eps e con una risoluzione adeguata alla riproduzione in stampa (300 dpi); oppure immagini generate da applicazioni per grafica vettoriale (Macromedia Freehand, Adobe Illustrator per Macintosh). Sono riproducibili, benché con bassa resa qualitativa, anche documenti generati da Power Point. Al contrario, non sono utilizzabili in alcun modo le immagini inserite in documenti Word o generate da Corel Draw. La redazione si riserva di rifiutare il materiale ritenuto tecnicamente non idoneo. Bibliografia: va limitata alle voci essenziali identificate nel testo con numeri arabi ed elencate al termine del manoscritto nell’ordine in cui sono state citate. Se gli autori sono fino a quattro si riportano tutti, se sono cinque o più si riportano solo i primi tre seguiti da “et al.”. Esempi di corretta citazione bibliografica per: articoli e riviste: Zonana J, Sarfarazi M, Thomas NST, et al. Improved definition of carrier status in X-linked hypohydrotic ectodermal dysplasia by use of restriction fragment lenght polymorphism-based linkage analysis. J Pediatr 1989; 114: 392-395. libri: Smith DW. Recognizable patterns of human malformation. Third Edition. Philadelphia: WB Saunders Co. 1982. capitoli di libri o atti di Congressi: Krmpotic-Nemanic J, Kostovis I, Rudan P. Aging changes of the form and infrastructure of the external nose and its importance in rhinoplasty. In: Conly J, Dickinson JT, (eds). “Plastic and reconstructive surgery of the face and neck”. New York, NY: Grune and Stratton 1972: 84-95. Ringraziamenti, indicazioni di grants o borse di studio, vanno citati al termine della bibliografia. Le note, contraddistinte da asterischi o simboli equivalenti, compariranno nel testo a piè di pagina. Termini matematici, formule, abbreviazioni, unità e misure devono conformarsi agli standard riportati in Scienze 1954; 120: 1078. I farmaci vanno indicati col nome chimico. Per la corrispondenza scientifica: Prof. Eugenio Baraldi Dipartimento di Pediatria Università di Padova Via Giustiniani 3 35128 Padova [email protected] RICHIESTA ESTRATTI Gli estratti devono essere richiesti all’Editore contestualmente alle bozze corrette. Gli estratti sono disponibili in blocchi da 25. Il costo relativo, comprese le spese di spedizione in contrassegno, è il seguente: 25 estratti (fino a 4 pagine): h 60,00 25 estratti (fino a 8 pagine): h 80,00 25 estratti (fino a 12 pagine): h 100,00 Si applicano i seguenti sconti in funzione del numero di copie degli estratti: - per 50 copie, sconto del 5% sul totale - per 75 copie, sconto del 10% sul totale - per 100 copie, sconto del 15% sul totale ABBONAMENTI Pneumologia Pediatrica è trimestrale. 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Ospedaletto ✒ Note Notes Articoli del prossimo numero Articoli del prossimo numero Forthcoming articles Inserto speciale: Paediatric HERMES: European Syllabus in Paediatric Respiratory Medicine Paediatric HERMES: al confine fra Pneumologia e Immuno-allergologia pediatrica 1 La suscettibilità genetica alle infezioni respiratorie Genetic susceptibility to airway infections 2 Allergia alimentare e asma Food allergy and asthma 3 Rinite allergica ed asma in età pediatrica Allergic rhinitis and asthma in childhood 4 Aspergillosi broncopolmonare Bronchopulmonary aspergillosis 5 Asma e apoptosi Asthma and apoptosis 6 Le malattie respiratorie ad eosinofili nel bambino Eosinophil-associated respiratory disease in children 7 F. Cardinale, et al. A. Martelli, et al. M.A.Tosca, et al. V. Raia, et al. F.M. de Benedictis, et al. N. Fuiano Journal club - Corticosteroidi per via orale in bambini di età prescolare con wheezing episodico virale: cosa resta di questa terapia? Oral corticosteroids in preschool children with episodic viral wheezing: what’s left of this therapy? E. Opocher, et al. 107 Riassunto delle caratteristiche del prodotto 1. DENOMINAZIONE DEL MEDICINALE NASONEX 50 microgrammi/erogazione spray nasale, sospensione 2. COMPOSIZIONE QUALITATIVA E QUANTITATIVA Mometasone furoato (come monoidrato) 50 microgrammi/erogazione. Questo prodotto medicinale contiene 0,2 mg di benzalconio cloruro per grammo. Per l’elenco completo degli eccipienti, vedere paragrafo 6.1. 3. FORMA FARMACEUTICA Spray nasale, sospensione. Sospensione di colore bianco - bianco sporco opaco. 4. INFORMAZIONI CLINICHE 4.1 Indicazioni terapeutiche. NASONEX spray nasale è indicato nel trattamento dei sintomi della rinite allergica stagionale o perenne negli adulti e nei bambini dai 12 anni di età. NASONEX spray nasale è indicato anche nel trattamento dei sintomi della rinite allergica stagionale o perenne nei bambini di età compresa tra 6 e 11 anni. In pazienti con anamnesi positiva per sintomi di rinite allergica stagionale di entità da moderata a grave, il trattamento profilattico con NASONEX spray nasale può essere iniziato fino a quattro settimane prima dell’inizio previsto della stagione dei pollini. NASONEX spray nasale è indicato per il trattamento dei polipi nasali in pazienti adulti a partire dai 18 anni di età. 4.2 Posologia e modo di somministrazione. Dopo un iniziale caricamento della pompa di NASONEX spray nasale (azionare 10 volte, finchè non si osserva un getto uniforme), ogni erogazione libera circa 100 mg di sospensione contenente mometasone furoato monoidrato equivalente a 50 microgrammi di mometasone furoato. Se la pompa spray non viene utilizzata per 14 o più giorni, deve essere nuovamente caricata con 2 spruzzi finché non si osserva un getto uniforme prima dell’uso successivo. Rinite allergica stagionale o perenne. Adulti (compresi i pazienti geriatrici) e bambini dai 12 anni di età: la dose solitamente raccomandata è di due erogazioni (50 microgrammi/erogazione) in ogni narice una volta al giorno (dose totale 200 microgrammi). Una volta che i sintomi siano controllati, la riduzione della dose ad una erogazione in ogni narice (dose totale 100 microgrammi) può essere efficace per il mantenimento. Se i sintomi sono controllati in modo inadeguato, la dose può essere incrementata fino ad una dose massima giornaliera di quattro erogazioni per ogni narice una volta al giorno (dose totale 400 microgrammi). Si raccomanda la riduzione della dose una volta ottenuto il controllo dei sintomi. Bambini di età compresa tra i 6 e gli 11 anni: la dose solitamente raccomandata è di una erogazione (50 microgrammi/erogazione) in ogni narice una volta al giorno (dose totale 100 microgrammi). NASONEX spray nasale in alcuni pazienti con rinite allergica stagionale ha dimostrato l’insorgenza di attività clinicamente significativa entro 12 ore dalla prima dose; tuttavia, un completo beneficio legato al trattamento può non essere raggiunto nelle prime 48 ore. Pertanto il paziente deve continuare l’uso regolare per ottenere un completo beneficio terapeutico. Poliposi nasale. Il dosaggio iniziale comunemente raccomandato per la poliposi è di due erogazioni (50 microgrammi/ erogazione) in ciascuna narice una volta al giorno (per una dose totale di 200 microgrammi). Se dopo 5 o 6 settimane i sintomi non sono sotto adeguato controllo, il dosaggio può essere aumentato fino ad una dose giornaliera di due erogazioni in ciascuna narice due volte al giorno (per una dose totale di 400 microgrammi). Il dosaggio deve essere ridotto alla dose minima alla quale si mantiene un controllo efficace dei sintomi. Si devono prendere in considerazione terapie alternative se non si verifica un miglioramento dei sintomi dopo 5 o 6 settimane di trattamento due volte al giorno. Gli studi di efficacia e sicurezza di NASONEX spray nasale nel trattamento della poliposi nasale sono durati quattro mesi. Prima di somministrare la prima dose, agitare bene il contenitore ed azionare la pompa 10 volte (finchè non si ottiene uno spruzzo uniforme). Se il vaporizzatore non si usa per 14 o più giorni, caricare la pompa con 2 spruzzi finchè non si osserva un getto uniforme. Agitare bene il contenitore prima di ogni uso. Il flacone deve essere gettato dopo aver effettuato il numero di erogazioni indicate in etichetta o entro 2 mesi dopo il primo utilizzo. 4.3 Controindicazioni. Ipersensibilità al principio attivo o ad uno qualsiasi degli eccipienti di NASONEX spray nasale. NASONEX spray nasale non deve essere utilizzato nel caso di infezioni localizzate non trattate che coinvolgono la mucosa nasale. A causa dell’effetto inibitore esercitato dai corticosteroidi sulla cicatrizzazione delle ferite, i pazienti recentemente sottoposti ad un intervento di chirurgia nasale o che abbiano subito un trauma non devono utilizzare un corticosteroide nasale fino a che non sia avvenuta la cicatrizzazione. 4.4 Avvertenze speciali e precauzioni d’impiego. NASONEX spray nasale deve essere utilizzato con cautela, o addirittura non usato, nei pazienti con infezioni tubercolari attive o quiescenti del tratto respiratorio o nel caso di infezioni non trattate fungine, batteriche, sistemiche virali o nel caso di Herpes simplex oculare. Dopo 12 mesi di trattamento con NASONEX spray nasale non c’è evidenza di atrofia della mucosa nasale; inoltre il mometasone furoato tende a ripristinare il normale fenotipo istologico della mucosa nasale. Come per ogni trattamento a lungo termine, i pazienti che usano NASONEX spray nasale per diversi mesi o più devono essere esaminati periodicamente per verificare possibili modifiche della mucosa nasale. Se si sviluppa un’infezione fungina localizzata nel naso o nella faringe, può essere richiesta la sospensione della terapia con NASONEX spray nasale o un trattamento appropriato. La persistenza di un’irritazione nasofaringea può essere un’indicazione alla sospensione di NASONEX spray nasale. Sebbene NASONEX controlli i sintomi nasali nella maggior parte dei pazienti, l’uso concomitante di un’appropriata terapia supplementare può alleviare anche altri sintomi, in particola- re quelli a livello oculare. Non c’è evidenza di soppressione dell’asse ipotalamo-ipofisi-surrene (HPA) in seguito a trattamento prolungato con NASONEX spray nasale. Tuttavia, richiedono particolare attenzione quei pazienti che passano dalla somministrazione a lungo termine di corticosteroidi sistemicamente attivi a NASONEX spray nasale. La sospensione dei corticosteroidi sistemici in questi pazienti può determinare un’insufficienza delle ghiandole surrenaliche per alcuni mesi, fino al recupero della funzionalità dell’asse HPA. Se questi pazienti mostrano segni e sintomi di insufficienza surrenalica, la somministrazione di corticosteroidi sistemici deve riprendere e devono essere istituite altre terapie e appropriate misure. Durante il passaggio da corticosteroidi sistemici a NASONEX spray nasale, in alcuni pazienti possono verificarsi sintomi da sospensione di corticosteroidi sistemicamente attivi (es. inizialmente dolore articolare e/o muscolare, stanchezza e depressione) malgrado la remissione dai sintomi nasali, e questi pazienti andranno incoraggiati a continuare la terapia con NASONEX spray nasale. Tale passaggio può anche portare alla luce condizioni allergiche pre-esistenti, quali congiuntivite allergica ed eczema, precedentemente soppresse dalla terapia corticosteroidea sistemica. La sicurezza ed efficacia di NASONEX non sono state studiate per il trattamento di polipi unilaterali, polipi associati alla fibrosi cistica o polipi che ostruiscono completamente le cavità nasali. I polipi unilaterali che appaiono inusuali o irregolari, specialmente se ulcerativi o sanguinanti, devono essere valutati più approfonditamente. I pazienti trattati con corticosteroidi che sono potenzialmente immunosoppressi devono essere avvertiti del rischio derivante dalla esposizione a certe infezioni (es. varicella, morbillo) e dell’importanza di ricorrere al medico se si verifica tale esposizione. In seguito all’uso di corticosteroidi per via intranasali, molto raramente sono stati riscontrati casi di perforazione del setto nasale o incremento della pressione intraoculare. La sicurezza ed efficacia di NASONEX spray nasale per il trattamento della poliposi nasale non sono state studiate nei bambini e negli adolescenti di età inferiore a 18 anni. Gli effetti sistemici dovuti all’uso di corticosteroidi per via nasale possono verificarsi in particolare a seguito di dosi elevate somministrate per periodi prolungati. Ritardo di crescita è stato riportato in bambini trattati con corticosteroidi nasali alle dosi autorizzate. Si raccomanda di controllare regolarmente l’altezza dei bambini in trattamento prolungato con corticosteroidi nasali. Se la crescita fosse rallentata, la terapia deve essere rivista allo scopo di ridurre, se possibile, la dose del corticosteroide nasale alla minima che consenta un efficace controllo dei sintomi. Inoltre, si deve consigliare il paziente di rivolgersi ad un pediatra. Il trattamento con dosaggi superiori a quelli raccomandati può determinare una soppressione clinicamente significativa a livello del surrene. Se c’è evidenza che debbano essere usati dosaggi superiori a quelli raccomandati, deve essere presa in considerazione una copertura supplementare con corticosteroidi per via sistemica durante i periodi di stress o in caso di intervento chirurgico di elezione. 4.5 Interazioni con altri medicinali ed altre forme d’interazione. (Per l’uso con corticosteroidi sistemici, vedere il paragrafo 4.4. Avvertenze speciali e precauzioni d’impiego). È stato condotto uno studio clinico di interazione con loratadina. Non sono state osservate interazioni. 4.6 Gravidanza ed allattamento. Non sono disponibili studi adeguati o ben controllati in donne in gravidanza. In seguito a somministrazione intranasale della massima dose clinica raccomandata, le concentrazioni plasmatiche di mometasone non sono misurabili; pertanto è prevedibile che l’esposizione fetale sia trascurabile ed il potenziale di tossicità riproduttiva sia molto basso. Come per le altre preparazioni nasali contenenti corticosteroidi, NASONEX spray nasale non deve essere utilizzato durante la gravidanza o l’allattamento, a meno che il potenziale beneficio per la madre giustifichi ogni potenziale rischio per la madre, il feto o il neonato. Bambini nati da madri trattate con corticosteroidi durante la gravidanza devono essere osservati attentamente per eventuale ipoadrenalismo. 4.7 Effetti sulla capacità di guidare veicoli e sull’uso di macchinari. Non noti. 4.8 Effetti indesiderati. Gli eventi avversi correlati al trattamento riportati negli studi clinici per la rinite allergica condotti in pazienti adulti e adolescenti sono di seguito elencati (Tabella 1). Tabella 1: Rinite allergica Effetti indesiderati correlati al trattamento per NASONEX spray nasale molto comune (≥ 1/10); comune (≥ 1/100, < 1/10); non comune (≥ 1/1.000, < 1/100); raro (≥ 1/10.000, < 1/1.000); molto raro (< 1/10.000) Patologie respiratorie, toraciche e mediastiniche Comune: Epistassi, faringite, bruciore nasale, irritazione nasale, ulcerazione nasale Patologie sistemiche e condizioni relative alla sede di somministrazione Comune: Cefalea L’epistassi era generalmente autolimitante e di lieve gravità e compariva con maggior incidenza rispetto al placebo (5%), ma con un’incidenza più bassa o comparabile rispetto ai corticosteroidi nasali di controllo studiati (fino al 15%). L’incidenza di tutti gli altri effetti era confrontabile con quella del placebo. Nella popolazione pediatrica, l’incidenza di eventi avversi, come epistassi (6%), cefalea (3%), irritazione nasale (2%) e starnutazione (2%), è stata paragonabile a quella con placebo. In pazienti trattati per poliposi nasale, l’incidenza globale degli eventi avversi era paragonabile al placebo e simile a quella osservata in pazienti con rinite allergica. Gli eventi avversi correlati al