Padova e la sua Porta EST

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Padova
e la sua Porta EST
Interventi di Maurizio Mistri
e Paolo Feltrin
Maurizio Mistri
NUOVE SFIDE PER L’ECONOMIA PADOVANA
Premessa
L’ obiettivo di questa conferenza è quello di individuare le possibili strategie di adattamento e di
sviluppo dell’economia del padovano, alla luce dei cambiamenti in atto nella economia mondiale.
In effetti occorre considerare che lo sviluppo e la trasformazione di una economia locale, quale è
quella di Padova e della sua provincia, è fortemente condizionata dal contesto ambientale nel quale
tale economia si colloca. L’altro aspetto da prendere in considerazione è quello relativo alla
struttura dell’economia locale che si considera ed al modo con cui essa si adatta alle pressioni del
mondo esterno. Dunque l’analisi che farò è di tipo sistemico.
Ritengo che i processi evolutivi di una economia locale possano avere più percorsi possibili, tra loro
differenziati. La ragione di ciò sta nel fatto che esiste una molteplicità di forze che possono agire
sulla economia locale e tra queste va messa in evidenza proprio la capacità progettuale degli enti
locali, la loro abilità a liberare energie potenziali, la loro intelligenza nel mobilitare energie e risorse
per progetti di crescita da incardinare nel territorio locale.
Incertezze e quadro ambientale
Oggi è generale, e forse rassegnata, convinzione che compito del mondo politico locale, ai suoi
diversi livelli istituzionali, sia quello di cercare di tamponare le falle che nella economia locale sono
state prodotte dalla crisi finanziaria ed economica dell’Occidente. Più realisticamente penso che un
compito possibile, per gli enti locali, sia quello di contribuire a creare le condizioni per un rilancio
della economia locale che sappia tener conto della evoluzione dell’economia mondiale, di quella
europea e di quella nazionale.
Ho parlato di contesto ambientale che condiziona le economie locali. Ciò è evidente se non altro
perché ci troviamo collocati all’interno di una rete transnazionale di rapporti economici. Se
guardiamo alla storia moderna della economia italiana ci accorgiamo che questa storia vede
l’intrecciarsi di risorse locali e di pressioni esercitate a livello internazionale.
Ricordo che lo sviluppo economico dell’Italia inizia veramente con l’ingresso del nostro paese nel
Mercato Comune Europeo (MEC). L’Italia è un paese comparativamente povero in capitali e con
una abbondanza di forza lavoro. All’interno dell’area del MEC si specializza nei settori che
richiedono più lavoro che capitale; in larga misura si tratta di settori maturi i quali, a loro volta,
incorporano un elemento che in Italia abbonda, e cioè il gusto estetico e la cultura diffusa.
Così, all’originario nucleo industriale del triangolo Milano-Torino-Genova, specializzato in beni di
livello tecnologico intermedio, si aggiungono via via delle aree a forte densità di
piccole/piccolissime imprese specializzate in beni maturi (e cioè a basso tasso di innovazione
tecnologica); alcune di tali attività incorporano elementi di ordine artistico. Queste aree sono
conosciute come “distretti industriali” e i settori nei quali sono prevalentemente specializzate sono
tra gli altri: quello della moda, quello del mobile/arredamento, quello del cuoio/calzature, quello
dell’oreficeria, quello della calzatura sportiva, e così via.
I distretti industriali si sviluppano soprattutto nella cosiddetta “Terza Italia” e cioè nelle regioni non
ancora toccate dalla originaria rivoluzione industriale del triangolo Milano-Torino-Genova, ma
vicine a quest’area di più antica industrializzazione. Si tratta del NordEst, della Toscana,
dell’Emilia-Romagna, delle Marche. Lo sviluppo di queste aree è dovuto alla presenza di capitale
umano, al ruolo connettivo della eredità contadina in un contesto nel quale si uniscano i valori della
tradizione famigliare a quelli della capacità di intraprendere. Nascono molte imprese nelle quali il
nucleo fondante è rappresentato, molto spesso, da unità famigliari capaci di un incredibile impegno
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lavorativo. Inoltre, un fattore di vantaggio competitivo è rappresentato dalla vicinanza ai grandi
mercati del centro-nord Europa, ai quali l’Italia si è unita con il MEC.
Fattori dinamici dal 1990 ad oggi
I grandi mercati del centro-nord Europa hanno rivelato una forte domanda dei prodotti tipici delle
aree di piccola impresa del Veneto. L’economia veneta viene influenzata dal ruolo propulsivo della
domanda estera, classico caso di “sviluppo trainato dalle esportazioni”. Anche le piccole e medie
imprese venete apprendono a muoversi nei mercati internazionali, mentre nel frattempo si manifesta
una perdita di velocità delle esportazioni del triangolo industriale. Le piccole/medie imprese
conquistano importanti quote nei mercati internazionali, mentre molte imprese di maggiori
dimensioni conoscono un graduale declino. Il mercato tedesco diviene ben presto il mercato che
traina, di fatto, le esportazioni, e quindi la crescita produttiva, del Veneto.
Se il MEC è stato l’incubatore del processo di crescita delle reti di piccole imprese anche nel NordEst, nel Veneto, e quindi nel padovano, non va dimenticato che, a partire dal 1990 circa, si registra
un nuovo rilevante cambiamento nell’ambiente esterno. Crolla il comunismo ed i paesi dell’Europa
orientale si affacciano al mercato europeo. Si tratta di paesi che appaiono contemporaneamente
come potenziali clienti, ma anche come effettivi competitori.
L’ingresso dei paesi dell’Europa orientale nel contesto economico europeo genera nuovi processi di
specializzazione del lavoro a livello inter-europeo. Verso alcuni paesi dell’Europa orientale si
trasferiscono fasi dei processi produttivi tipici delle filiere attive nei distretti industriali. Si
manifestano fenomeni di traffico di perfezionamento passivo (temporanea esportazione), di
delocalizzazione, di creazione, in tali paesi, di aziende di proprietà italiana.
Si accelerano i cambiamenti strutturali della economia veneta e padovana, con significativi
mutamenti di peso dei principali comparti economici. Quella di Padova non è mai stata una
provincia ad alta intensità di industrializzazione, sebbene, comunque, nel padovano in generale e
nell’area metropolitana di Padova esistano importanti realtà produttive. Come export quello della
provincia di Padova si colloca ad un livello intermedio tra i livelli più elevati di Vicenza, Treviso e
Verona ed i livelli più bassi di Venezia, per non parlare di Belluno e Rovigo. La posizione di
Padova, intesa come area provinciale, riflette la specializzazione dell’area e soprattutto della parte
centrale di essa, che costituisce l’area metropolitana della città di Padova. Ebbene, tale area appare
specializzata soprattutto nel settore dei servizi, con una particolare attenzione al terziario, sia
tradizionale che avanzato.
L’economia padovana perde velocità nel decennio 1990-200
Ai nostri fini può essere utile limitarsi a ragionare riferendosi all’area metropolitana di Padova ed
alle caratteristiche strutturali di questa, nel periodo che racchiude gli anni ’90 del secolo appena
passato. Si tratta degli anni nei quali si produce e si consolida il rapporto tra l’Europa occidentale e
l’Europa orientale. Si tratta di un rapporto che ha significative ricadute sulla struttura economica del
Veneto e quindi anche dell’area padovana. Facendo un raffronto tra le tre aree metropolitane del
Veneto, e cioè Padova, Verona e Venezia emergono alcune elementi di un certo interesse. In quel
periodo si registra in tutte e tre le aree metropolitane una crescita dell’occupazione, ma in maniera
differenziata. L’occupazione nell’area veronese cresce del 16,4%, quella dell’area padovana cresce
del 12,8% e quella dell’area veneziana cresce del 6,3%. Tra il 1991 ed il 2001 (sono le date dei due
censimenti) avvengono importanti cambiamenti nella struttura economica (misurabile in termini di
occupati nel vari macro-settori) delle tre aree metropolitane considerate. Il settore manifatturiero
contava il 25% circa del totale degli occupati dell’area metropolitana padovana nel 1991; passava
poi al 20% circa nel 2001. Nel veronese queste percentuali sono rispettivamente del 29,9% nel 1991
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e del 23,6% nel 2001. Nel veneziano sono del 23,4% nel 1991 e del 16,5% nel 2001. In tutte e tre le
aree metropolitane si registra una diminuzione relativa del peso dell’industria in termini di occupati,
mentre aumentano fortemente le varie tipologie del terziario. Se si guarda al numero degli occupati
si vede che le attività commerciali a Padova calano del 2% mentre a Verona ed a Venezia crescono
seppure di poco. A Padova cresce (del 14,2%) il numero degli occupati nel settore degli alberghi e
dei ristoranti, ma con maggiore velocità (+20%) tale numero cresce a Verona ed a Venezia. Nel
settore dei trasporti e comunicazione si registra una crescita moderata a Padova, una diminuzione a
Venezia ed un aumento consistente a Verona, che consolida il suo ruolo di hub logistico del Veneto.
Per Padova vanno meglio le cose nel settore della intermediazione finanziaria con una crescita del
20% degli addetti; a Verona tali addetti crescono del 15% mentre a Venezia diminuiscono del 10%.
C’è poi un macrosettore statistico dove sono collocate attività terziarie tradizionali (come le
intermediazioni immobiliari) ma anche avanzate, come l’informatica, la ricerca. Ebbene, in questo
macrosettore Padova mostra una certa supremazia, ma le altre due realtà metropolitane mostrano
tassi di crescita più accelerati di quelli di Padova. Permane, per contro, la supremazia di Padova nel
campo dell’istruzione e della sanità.
In sintesi, si può dire che nel decennio considerato si registrano fenomeni di dimagrimento del
settore manifatturiero, dovuti ai cambiamenti in atto negli equilibri economici europei. I settori che
nell’area metropolitana padovana, in questo periodo, risentono dei maggiori cali occupazionali sono
nell’ordine: il tessile -48%, prodotti chimici e fibre sintetiche, -40%, chimica e fibre sintetiche,40%, minerali non metalliferi,-40%, abbigliamento -39,5%, concia e cuoio,-39,2%, altri mezzi di
trasporto, -36%, mobili,-20%, carta,-16%. Faccio notare che il calo occupazionale nei settori del
tessile, abbigliamento, cuoio, altri mezzi di trasporto, a livello regionale è stato inferiore (spesso
della metà) a quello padovano. Dunque, i settori tradizionali dell’ area metropolitana padovana, in
questo periodo, mostrano una maggior debolezza media di quella media a livello regionale.
Particolare è il caso del settore dei mobili la cui occupazione a Padova diminuisce del 20%, mentre
a livello regionale cresce del 6%. Il settore degli autoveicoli diminuisce a Padova del 14% ed
aumenta nel Veneto del 16%. Naturalmente ci sono anche settori manifatturieri che hanno mostrato
una tendenza alla crescita. Tale è il settore delle macchine ed apparecchiature meccaniche (a
Padova +20,4%, nel Veneto +35%), quello degli apparecchi medicali ed ottica (+16,2% a Padova,
+32% in Veneto), quello delle macchine ed apparecchi elettrici (+11,4% a Padova, +24% nel
Veneto) . Un po’ particolare è il settore dell’oreficeria e dell’argenteria che a Padova cresce più che
nel resto del Veneto.
In sintesi nel periodo che si è considerato si registra una calo nel settore manifatturiero più
accentuato di quello che si registra nel resto del Veneto ed un aumento nel settore terziario, meno
forte di quello che si registra nel resto del Veneto. A mio modo di vedere si tratta di un quadro non
positivo dell’andamento della economia dell’area metropolitana padovana nel suo complesso, che
evidenzia una sorta di debolezza sistemica, sulla quale occorrerebbe indagare in modo adeguato.
Alcuni dati relativi al decennio 2000-2010
Si tratta di un decennio che vede manifestarsi un fenomeno che qualche decennio prima sarebbe
stato impensabile e cioè lo spostamento del baricentro economico mondiale dall’Occidente
all’Estremo Oriente. La Cina e l’India guidano la rincorsa dell’Estremo Oriente vivendo una sorta
di miracolo economico alla ennesima potenza. Per contro il Giappone entra in una fase di
stagnazione da cui ad oggi non è uscito. Non so se la sindrome giapponese colpirà anche l’Europa
occidentale e gli Stati Uniti. Più di tutto valgono le cifre e nella tabella sottostante riporto alcune
cifre significative sull’andamento del PIL e delle esportazioni nelle grandi aree economiche
mondiali
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Tab. 1 Variazioni % annue del PIL
Media 1998-04
2005 2006
2007 2008
2009
Prodotto Int.Lordo
UE
USA
Giappone
2,5
3,0
0,8
2,2
2,9
1,9
3,3
2,8
2,4
3,1
2,0
2,1
1,3
1,1
-0,6
-1,8
-4,0
-4,3
Cina
India
Brasile
Sudafrica
8,8
6,0
2,3
3,1
10,4
9,1
3,2
5,0
11,6
9,8
3,8
5,4
11,9
9,3
5,4
5,1
9,0
7,3
5,8
3,8
6,7
5,1
1,8
3,3
Questi dati sono eloquenti e mostrano la dicotomia nei processi di crescita delle grandi aree
economiche mondiali. Naturalmente vi sono anche delle differenze all’interno dei paesi della
Unione Europea (UE). In larga parte la decrescita del PIL della UE e degli USA la si può addebitare
alla crisi finanziaria esplosa nel 2008 seguita dalla crisi economica manifestatasi nel 2009. Nel
periodo che va dal 2000 al 2007 l’UE e gli USA avevano un tasso di crescita del PIL oscillante
attorno al 2,5%; la crisi finanziaria ed economica ha portato tali tassi di crescita al di sotto dello
zero e, in concomitanza a ciò, ha fatto aumentare i deficit dei principali paesi della UE e degli USA
con il conseguente aumento del debito pubblico di tali paesi. Il PIL italiano ha avuto un andamento
abbastanza simile a quello europeo; a sua volta il PIL veneto ha avuto, negli ultimi due anni, un
andamento leggermente migliore di quello italiano, ma comunque negativo.
La crisi del 2008-2009
La crisi finanziaria, che comincia a manifestarsi nel 2007, scoppia in tutta la sua gravità nel 2008. I
fattori che l’hanno innescata sono, all’apparenza, abbastanza noti. Si parte dal crollo dei titoli
subprime per arrivare ad una forte caduta dei rendimenti dei titoli finanziari, dei consumi e degli
investimenti. Sono altrettanto note le strategie messe in atto dai paesi economicamente più
sviluppati, consistenti nel salvare il sistema finanziario, nell’immettere liquidità nel sistema
economico e nel cercare di impedire che la domanda aggregata scenda a livelli sotto i quali ci
sarebbe la caduta a vite dei sistemi economici industrializzati.
Se è vero che dal 2007 al 2009 tutte le economie mostrano segni di rallentamento, è anche vero che
paesi come Cina ed India riescono ad ottenere tassi di crescita superiori al 5% annuo. I paesi di più
antica industrializzazione hanno tassi di crescita negativi e conoscono forti aumenti della
disoccupazione. Fin dall’inizio ho messo in luce come l’economia italiana, e quella del Veneto,
hanno conosciuto uno sviluppo trainato dalle esportazioni ed ho messo, altresì, in luce come i nostri
principali mercati siano stati, e continuino ad essere, quelli dell’Europa centro-settentrionale. Si
tratta di mercati oggi entrati in crisi per cui anche le nostre esportazioni hanno conosciuto un
aumento delle difficoltà. Non bisogna dimenticare che nei mercati europei è in atto una sostituzione
di importazioni dagli stessi paesi europei con importazioni provenienti dai paesi asiatici.
Le esportazioni del NordEst hanno conosciuto nell’ultimo periodo una severa contrazione, a cui
risponde nell’ultimo trimestre una leggera crescita. I settori colpiti sono un po’ tutti, con una crisi
che si manifesta nel 2009 e continua a produrre effetti negativi sulla occupazione nel 2010. Nel
Veneto nel 2008 si è avuto un leggero aumento dell’occupazione, a cui è seguito, nel 2009, un
aumento della disoccupazione. I segnali relativi a tale dinamica nel 2010 non sono positivi; tra
l’altro i modesti aumenti attesi relativamente al PIL fanno pensare che l’occupazione non aumenterà
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nel 2010 e, a mio avviso, neppure nel 2011, perché le imprese accompagneranno un aumento della
produzione ad una riduzione della occupazione, al fine di migliorare i livelli di competitività.
Nel Veneto il settore manifatturiero va conoscendo radicali mutazioni, con la crisi di alcuni
comparti storici (concia, oreficeria, mobile, tra gli altri) ed altrettanto radicali sono le mutazioni che
va conoscendo l’economia padovana. Un altro importante comparto che va conoscendo una
situazione di crisi è quello delle costruzioni, stante la dinamica del settore. Tale settore può essere
preso come indicatore (seppure indiretto) dell’andamento di altri settori. Se consideriamo le vendite,
al 2008 rispetto al 2007, di alcune tipologie di immobili (terziario,settore commerciale, settore
produttivo) nel Veneto e nelle sue province, vediamo che le costruzioni di edifici con destinazioni
economiche sono diminuite nel padovano di più di quanto non siano diminuite nel Veneto.
BL
PD
RO
TV
VE
VI
VR
Veneto
Immob.terziario
Var.%
var %
2007/2006
08/07
29,0
-35,2
-21,4
-23,7
8,3
-4,4
1,2
11,6
3,8
-19,5
-1,8
3,3
-10,7
-13,7
-7,0
-10,8
Tabella 2
Immob.commerciale
var.%
var.%
07/06
08/07
-20,3
-4,7
-11,3
-19,0
15.6
-21,6
-3,0
-2,6
-3,3
13,6
-0,3
-17,5
-9,7
2,1
-5,1
-11,3
Immob. produttivo
var.%
var %
07/06 08/07
35,5 -23,5
2,0
-8,8
-24,6 -11,1
6,7 -5,1
19,5 -22,3
-4,8 -6,5
-5,4 -3,0
2,5 -9,5
Un altro indicatore importante può essere rappresentato dagli investimenti che imprese estere
effettuano nelle diverse province del Veneto. La tabella sottostante esprime gli investimenti esteri
effettuati nelle province venete ed espressi in milioni di euro, dal 2000 al 2008 inclusi. Senza
considerare il valore minimo e quello massimo (per ogni provincia) si hanno i seguenti dati
Tabella 3
Investimenti esteri nelle province venete in milioni di euro dal 2000 al 2008
(escludendo il valore minimo e quello massimo)
Province
BL
PD
RO
TV
VE
VR
VI
Veneto
Somma degli importi
128
2.636
2.355
2.816
537
60.463
3.304
72.239
Peso %
0,1
3,6
3,2
3,9
0,7
83,7
4,5
100,0
(Fonte: R&P –Politecnico di Milano)
La provincia che fa più incetta di investimenti esteri è quella di Verona. Alle altre province,
compresa quella di Padova, rimangono le briciole.
La spiegazione di una simile situazione va ricercata nella origine geografica dei paesi da cui
provengono le imprese investitrici. Come è possibile vedere dalla tabella seguente
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Paesi di origine degli investimenti esteri (%)
Germania
Irlanda
Lussemburgo
64,8
13,7
7,8
Olanda
7,5
Regno Unito 3,8
Francia
2,4
Di fatto gli investimenti esteri giungono prevalentemente dalla Germania e dai paesi circostanti;
questo può spiegare, almeno in parte, la collocazione di tali investimenti nell’area veronese. E’
evidente che le altre aree, in particolare l’area padovana e veneziana, debbono riuscire ad
individuare delle ragioni per cui un investitore tedesco possa trovare più appetibile investire nel
padovano o nel veneziano piuttosto che nel veronese.
Prospettive future
Tutto dipende da quale sarà l’andamento dell’economia europea nei prossimi anni. Ritengo che
l’ipotesi più realistica sia quella di un andamento altalenante attorno a valori di crescita del PIL
piuttosto bassi. In effetti, occorre considerare che nelle economie europee è stata immessa liquidità
in misure eccedente la quantità di beni e servizi prodotti. Ciò comporta un potenziale inflazionistico
che prima o poi si farà sentire. Il che genera una contraddizione con gli obiettivi del trattato di
Maastricht in virtù del quale i paesi europei, facenti parte di Eurolandia, dovrebbero correggere,
entro il 2011 i loro deficit riportandoli almeno al 3% del PIL ed i loro debiti riportandoli verso il
60% del PIL. Poiché il PIl non aumenterà in modo significativo le eventuali misure per rispettare i
vincoli del trattato di Maastricht, se applicate, genererebbero una disoccupazione non sostenibile sul
piano sociale e su quello politico. Nel contempo se si allentassero strutturalmente i vincoli del
Trattato di Maastricht si darebbe il via ad una dinamica inflazionistica che destabilizzerebbe l’euro.
C’è il caso, drammatico, della Grecia, ma c’è anche quello della Spagna, fortemente penalizzata
dallo sgonfiamento della bolla edilizia. La Spagna ha il 20% di disoccupati, di cui la metà sono
immigrati. C’è da aspettarsi da parte della economia europea un andamento simile a quello tenuto
negli ultimi anni dalla economia giapponese e sintetizzabile in una lunga fase di stagnazione unita
ad un incremento della disoccupazione, soprattutto di quella di persone immigrate e giovani.
E’ evidente che gli scenari possibili dipendono dalle scelte che verranno compiute a livello macro;
non solo da quelle del governo italiano ma, soprattutto, da quelle che si verranno a determinare a
livello europeo. Se l’UE riprendesse il proprio cammino anche l’Italia ne trarrebbe giovamento. Se
l’UE, come penso, si avvierà verso una sostanziale stagnazione le possibilità di recupero della
economia italiana saranno alquanto limitate. La ragione per cui ritengo che la UE imbocchi la strada
di una sostanziale stagnazione sta nell’esistenza di un conflitto strutturale tra gli obiettivi del
Trattato di Maastricht e quelli del rilancio dell’occupazione che oggi è affidato ai governi nazionali.
Per ragioni politiche i governi nazionali agiscono sulla spesa aggregata, che ha effetti immediati ma
transeunti, e non sugli investimenti che hanno effetti differiti nel tempo ma strutturali.
Al di fuori della governance della economia europea, che va al di là delle nostre capacità di
intervento, ci sono comunque alcune strategie che si possono avviare,una volta che si definiscono
gli obiettivi di fondo per agganciare l’economia italiana e quella veneta, e quindi quella padovana,
ad alcune dinamiche che si sono rimesse in moto, seppure debolmente. La prima cosa che si nota è
che si va rafforzando la leadership economica dell’Estremo Oriente. Cina, India, Taiwan, Corea del
Nord, Vietnam costituiscano le grandi e le piccole tigri dell’Asia, con forti capacità produttive ed
elevatissima produttività pro-capite. Noi europei, con la nostra minore produttività pro-capite,
dobbiamo misurarci con tali economie. L’obiettivo fondamentale è quello di aumentare la
produttività pro-capite e di spostarci verso i settori meno intensivi in lavoro e più intensivi in
capitale ed in innovazione. In questa ottica cade l’idea, coltivata ad esempio dall’Inghilterra, di
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specializzarsi nelle attività terziarie di tipo finanziario. Va detto che il terziario prospera solo se si
propone come economia esterna ai settori industriali. Un terziario slegato da un solido apparato
industriale non ha prospettive. Non lo ha il terziario avanzato e meno ancora lo ha il terziario
tradizionale. La difesa del nostro apparato industriale non va certamente condotta in chiave
protezionistica, ma va condotta spingendo sulla crescita qualitativa (che include anche quella
dimensionale) delle nostre imprese industriali.
Si tratta di un territorio che ve riprendere ad essere attrattore di investimenti esteri. Lo spostamento
verso l’Oriente del baricentro economico mondiale potrebbe essere un elemento capace di premiare
la posizione di Padova e di Venezia, inducendo imprenditori cinesi ed indiani a collocare le loro
filiali italiane in tale area. Finora abbiamo avuto una presenza di microimprenditori orientali,
soprattutto cinesi. Penso che gradualmente si potrà manifestare una presenza di imprese orientali di
significative dimensioni, nel campo manifatturiero, in quello finanziario, in quello della logistica. E’
un piccolo segno, ma importante; mi riferisco all’insediamento dell’Istituto Confucio a Padova,
espressione di un interesse della Cina per la nostra area. Presidente dell’istituto Confucio è il prof.
Vincenzo Milanesi.
Comincio dal settore della logistica che ritengo essenziale ai fini della capacità di attrarre nell’area
padovano-veneziana significativi interventi esteri. C’è un sistema degli interporti nel Veneto
centrale e nel Veneto orientale che ha bisogno di essere razionalizzato. Tra gli interporti di tale area
spicca per importanza quello di Padova. Si tratta di un ruolo che va potenziato e può esserlo anche
migliorando i collegamenti ferroviari con i principali porti europei. Qui si apre la questione del
rapporto con il porto di Venezia. Si tratta di una questione che affonda le sue radici nella
sistemazione dei porti dell’alto Adriatico. Nessuno di questi è in grado di affrontare la concorrenza
dei grandi porti del nord-Europa che sono i preferiti dalle imprese della regione padana, anche da
quelle che hanno come base logistica l’interporto di Padova. Pensare che oggi si possano
manifestare le condizioni per una integrazione tra l’interporto di Padova e il porto di Venezia
significa commettere un errore di prospettiva. I traffici di merci in aumento sono quelli con
l’Estremo Oriente. Si tratta di traffici che avvengono utilizzando navi di enormi dimensioni, che
non possono attraccare nel porto di Venezia, i cui fondali sono troppo bassi. Più profondi sono i
fondali di Trieste sul cui porto si è appuntata l’attenzione di alcuni organismi finanziari. L’unico
porto hub italiano è quello di Gioia Tauro che, comunque, va perdendo posizioni a livello
internazionale. I porti dell’Adriatico sono irrilevanti. La mia idea è che occorrerebbe creare una
grande piattaforma marittima artificiale in mezzo al mare (grosso modo tra Venezia e Trieste). Tale
piattaforma artificiale potrebbe essere il porto hub dell’Adriatico, con Venezia, Trieste e Ravenna
che diventerebbero porti serviti con navi feeder, facenti la spola dall’hub ai porti minori. In tal
modo si potrebbe favorire anche l’approdo a porti “interni” di tipo fluviale da parte di imbarcazioni
feeder sufficientemente piccole. Nella rete di interporti veneti non dimentichiamo che esiste quello
di Rovigo che può essere rilanciato da un serio sviluppo del trasporto fluviale. A questo punto si
pone il problema dell’idrovia Padova-Venezia che, nella prospettiva, da me delineata potrebbe
acquisire un senso economico.
A margine di tali problematiche mi pongo una domanda in risposta a reiterate pressioni che
vengono da Venezia. Non dimentichiamo che Venezia è alle prese con la fine della attuale
esperienza storica di Marghera, per cui non mancano le prese di posizione di coloro che dicono
“facciamo un grande interporto a Marghera, integrato con il porto di Venezia”. Di fatto si
tratterebbe di chiudere l’Interporto di Padova per farlo a Marghera. In realtà, tale ipotesi non regge
perché il porto di Venezia non ha significative prospettive in quanto le merci movimentate
dall’interporto di Padova hanno una origine territoriale locale e raggiungono via ferrovia i porti del
Nord Europa, dove trovano navi di dimensioni atte a ridurre i costi unitari di trasporto verso le
Americhe e verso l’Estremo Oriente. Insomma, se anche a Marghera sorgesse un vero interporto le
merci dovrebbero andare, via ferrovia, verso i porti del nord Europa.
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Il fatto che le merci debbano viaggiare per ferrovia mi porta ad accennare alla questione di una rete
di treni ad Alta Velocità/Altà Capacità (AV/AC) da cui deriva il potenziamento delle rete
ferroviaria adibita al trasporto merci, con la quale la regione padana possa collegarsi più
velocemente con i grandi porti del Nord Europa. In merito al sistema ferroviario AV/AC mi sia
consentito fare una ulteriore chiosa, relativamente alla questione delle fermate. Si tratta di un
sistema che è efficiente se riduce al numero minimo le fermate; nel contempo si tratta di un sistema
che è economico se riesce ad attrarre il maggior numero di viaggiatori. Va da sé che il numero di
viaggiatori cala con il diminuire del numero delle fermate. Le condizioni di efficienza ed
economicità sono assicurate sulla linea Torino-Milano-Roma-Napoli. Si tratta di una linea che
collega quattro grandi aree metropolitane (Torino, Milano, Roma e Napoli) e due aree
metropolitane medie (Bologna e Firenze). Ben altra cosa è la linea che da Milano va verso Lubiana.
Non ci sono aree metropolitane particolarmente grandi, capaci di garantire da sole il quasi
riempimento dei vagoni. Le persone che andrebbero da Milano a Lubiana sarebbero ben poche.
Quindi pochissime fermate non renderebbero efficiente il sistema per le persone che stanno nei
centri, pur importanti, eventualmente saltati dal treno. Permarrebbe il vantaggio competitivo del
trasporto aereo. Ecco, allora, che nella tratta Milano-Lubiana il treno deve fare un numero di
fermate sufficienti a garantirne il riempimento.
Sempre in tema di logistica ribadisco quello che tutti sanno, e cioè che occorre costruire il Sistema
Ferroviario Metropolitano che per l’economia dell’area metropolitana padovana può rivestire un
ruolo importante.
Possibili traiettorie per l’area metropolitana padovana
Dopo aver fatto un cenno alle questioni della logistica mi pare opportuno fare un cenno alla
possibile traiettoria evolutiva della economia padovana. A mio modo di vedere essa deve puntare
sul vantaggio competitivo che Padova possiede, e cioè la presenza di una università importante. La
crescita della economia padovana può essere trainata da una sintesi tra ricerca scientifica/
tecnologica ed impresa. In questa ottica si dovrebbe puntare maggiormente sul ruolo di alcuni
parchi scientifici e tecnologici, che siano dei veri parchi scientifici e cioè comunità di imprese e di
strutture di ricerca impegnate negli stessi campi, e quindi settorialmente specializzate. Chi pensa
che nel Veneto occorrerebbe un unico parco scientifico non conosce evidentemente la logica su cui
si basa un vero parco scientifico che deve essere specializzato settorialmente (vedasi la Silicon
Valley). Ad esempio, un parco scientifico specializzato potrebbe trovare un riferimento in Agripolis
nei cui dintorni potrebbero ubicarsi imprese specializzate nel settore delle biotecnologie alimentari.
E’ stato avviato il distretto tecnologico delle nanotecnologie che potrebbe trovare alcuni punti di
aggregazione in un parco scientifico ad hoc. Mi pare positivo l’insediamento della Città della
Speranza nell’area della attuale Zona Industriale, anche perché la Città della Speranza può indurre
insediamenti di imprese operanti in settore ad elevata tecnologia medica. La vicenda della Città
della Speranza può diventare emblematica di un processo evolutivo della attuale Zona Industriale
che, nel tempo, potrebbe trasformarsi in zona scientifico/tecnologica-industriale. A proposito di
medicina ed industria merita ricordare il ruolo che può avere, anche da un punto di vista industriale,
un vero e proprio campus medico legato al progetto di “nuovo ospedale”.
Voglio fare una considerazione in merito al sistema finanziario padovano da molti considerato in
declino dopo le vicende dell’Antonveneta, soprattutto se comparato a quello veronese. In realtà le
cose sono meno drammatiche di come vengono dipinte. E’ vero che la Fondazione Cariparo è
entrata in Banca Intesa, ma è anche vero che la Fondazione Cassa di Risparmio di Verona è entrata
in Unicredit, mentre Padova è diventata sede della cassa di Risparmio del Veneto. E’ vero che
Antonveneta è stata assorbita a Monte dei Paschi, ma è anche vero che da questa vicenda ne sta
venendo fuori una occasione di rilancio operativo a base regionale incentrato su Padova. Non
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dimentichiamo che il Banco Popolare di Verona sta attraversando una fase non facile dopo
avventurose acquisizioni. Inoltre, va detto che a Padova ha trovato sede il Banco delle Venezie; si
tratta di una banca d’affari il cui socio forte è il Banco de Espirito Santo, primaria banca
portoghese. Poi c’è l’effervescenza delle banche di credito cooperativo e, infine, non va dimenticata
l’esperienza della banca Etica, con sede a Padova. Se Padova può proiettarsi verso l’Oriente si
potrebbe pensare, ad esempio, all’insediamento di una importante banca cinese.
Tratto brevemente la questione della Fiera di Padova che qualcuno vorrebbe trasferire a Venezia,
forse per poter utilizzarne l’attuale terreno a fini edificabili. Si afferma che sarebbe necessario
portare la fiera di Padova a Venezia per fare una grande fiera del Veneto, dimenticando che la
grande fiera del Veneto c’è già ed è quella di Verona, che, non dimentichiamolo, è la seconda fiera
d’Italia. Forse che dovremmo trasferire anche la Fiera di Verona a Venezia? E poi quella di
Vicenza? No di certo, sembra che dovremmo fare la grande fiera del Veneto con le manifestazioni
della fiera di Padova. La verità è che di grandi spazi fieristici in Italia ce ne sono ormai troppi, e non
mi sembra il caso di sacrificare la Fiera di Padova a strategie che non farebbero gli interessi né di
Padova, né del Veneto.
Qualcuno ha sostenuto l’opportunità che l’Università di Padova trasferisca nell’area dell’attuale
fiera le facoltà e i dipartimenti che stanno nel centro storico. Si tratterebbe di vendere gli attuali
palazzi per costruirne degli altri. Un primo problema è che i palazzi universitari che sono nel centro
storico sono palazzi “storici” che vanno salvaguardati e che non hanno certamente un mercato. Un
secondo problema è che l’Università non ha risorse finanziarie per costruire edifici nuovi. Un terzo
problema è che il centro di Padova si caratterizza propria per la presenza delle attività universitarie
le quali hanno anche ricadute positive su una vasta tipologia di attività economiche. Padova è, e
deve rimanere, per se stessa un campus universitario urbano; è la sua caratteristica peculiare, quella
che fa della nostra città una città universitaria e non una città con l’università.
Quindi lasciamo la Fiera di Padova dov’è, con le attività che vi sono cresciute attorno e che
verrebbero distrutte da un inutile spostamento a favore di Venezia, sapendo bene che una eventuale
fiera a Venezia non riuscirebbe a conquistare il ruolo di seconda fiera italiana, quel ruolo che è di
Verona e che Verona non deve perdere. Per contro, la Fiera di Padova può giocare il ruolo di fiera
di medie dimensioni con manifestazioni legate alla convegnistica, anche universitaria. Da qui la
necessità di creare in Fiera un Palacongressi adeguato.
Faccio solo un fugace riferimento alla questione del commercio, che da sola meriterebbe un
convegno a parte, se non altro perché Padova mantiene un ruolo primario nel commercio veneto.
Tuttavia, tale supremazia si va indebolendo, come si è visto da certi dati statistici. Sulle terapie si è
molto parlato e penso che si debba dare ascolto alle osservazioni che vengono dal mondo del
commercio.
In conclusione ci sono le premesse per una crescita qualitativa che può esser interessante, se esiste e non ho dubbi che esista- una convergenza dei fondamentali attori di tale crescita qualitativa, e
cioè il Comune, la Provincia, L’Università e la Camera di Commercio. A monte di tutto c’è,
tuttavia, un problema di ordine istituzionale la cui mancata soluzione rende più difficili le strategie
da attuare nell’area comunale e nell’area urbana vasta. Mi riferisco alla questione della governance
dell’area metropolitana padovana. Un problema aperto per la cui soluzione occorre poter continuare
a lavorare.
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