1 2 NOTA DI AGGIORNAMENTO X° RAPPORTO SULL’ECONOMIA ITALIANA LE PREVISIONI 2017-2021 INDICE 1.- LE VARIABILI ESOGENE INTERNAZIONALI AL GENNAIO 2017 2.- UNA PREMESSA: Nel 2014/2015 finestra di quattro anni - Nel 2017 finestra di un anno 3.- A -PREVISIONE BASE E CONFRONTO CON I DATI DEF SETTEMBRE 2016 3.- B -QUANDO FUORI DALLA CRISI? CIOE’ QUANDO PIL ED OCCUPAZIONE TORNERANNO AI LIVELLI PRE CRISI DEL 2007? 3.- C -IPOTESI ALTERNATIVE: 3C.1 - RISPETTO CLAUSOLE SALVAGUARDIA 3C.2 – PROPOSTA ECONOMIA REALE 3.- D - QUANDO FUORI DALLA CRISI? SE SI RISPETTANO LE CLAUSOLE DI SALVAGUARDIA O SI ADOTTA LA MANOVRA PROPOSTA DA ECONOMIA REALE 4.- PRIME STIME DELL’EFFETTO TRUMP SULL’ECONOMIA MONDIALE, NEO-PROTEZIONISMO ??? DUE IPOTESI SUL COMMERCIO INTERNAZIONALE: - FRENATA MORBIDA, COMMERCIO INTERNAZIONALE FRENA LA CRESCITA - FRENATA FORTE, COMMERCIO INTERNAZIONALE AZZERA LA CRESCITA AL 2019 E NEGLI ANNI SUCCESSIVI MANTIENE I LIVELLI DEI FLUSSI COMMERCIALI PRECEDENTI. UN GIOCO A SOMMA NEGATIVA PER TUTTI, USA COMPRESI VITTORIA DI PIRRO: DALLA STORIA DEL III° SECOLO A.C. ALLA CRONACA DEL XXI° SECOLO D.C. ??? 3 1.- LE VARIABILI ESOGENE INTERNAZIONALI Le nostre previsioni sull’economia italiana poggiano come sempre sulle prospettive economiche e finanziarie internazionali: l’andamento dei prezzi delle materie prime, l’evoluzione dei tassi di interesse, i profili dei cambi delle diverse monete, la crescita del Commercio internazionale e del Pil mondiale, il quadro economico-finanziario delle diverse grandi aree continentali, gli andamenti delle economie europee. Sulla base delle informazioni disponibili al Gennaio 2017, la Oxford Economics ha prodotto questi quadri di riferimento che il nostro Centro Studi Economia Reale ha poi inserito nel modello econometrico dell’economia Italiana per ottenere il quadro delle previsioni sul nostro paese per gli anni 2017-2021. Come indicato nella Tav.1, la crescita del Pil mondiale è prevista in lieve accelerazione e comunque attestata tra il 2,5 ed il 3%. Superiore al 3% si profila la crescita dello stesso Pil mondiale se misurata in Parità di Potere di Acquisto. Anche il commercio mondiale dovrebbe accelerare al 2,8% quest’anno, per poi collocarsi ben sopra il 3% negli anni successivi. Nonostante la “frenatina” in atto la crescita dei due colossi asiatici, Cina ed India, si profila sostenuta ed attestata tra il 6 ed il 7%, con gli altri paesi emergenti che consolidano la loro crescita attorno al 4,5%. Nei paesi occidentali, gli Stati Uniti continuano a guidare la crescita anche se con tassi moderati poco sopra il 2% nel biennio 2017/18 ed un po’ sotto nei successivi due anni. L’Eurozona perdura in un crescita modesta attorno all’1,5% ed, infine, il Giappone non sembra muoversi dal suo ultradecennale asfittico sviluppo all’1% che appare per di più destinato a frenare ulteriormente fino allo zero nel 2020. Questi profili si basano tutti su un andamento del prezzo del petrolio in ripresa ma che comunque è previsto stabilizzarsi attorno a 60 dollari al barile per il Brent. Appare inoltre un profilo in aumento dei tassi di interesse. 4 Nella Zona Euro i tassi a breve termine si dovrebbero rimanere attorno allo zero mentre i tassi a lungo termine risultano in crescita, dallo 0,9% del 2016 ad oltre il 2% nel 2020. Infine, il cambio dell’euro è previsto stabile per tutto il periodo e poco sopra la parità sul dollaro (vedi Figg.1-4). Sulla base di queste previsioni, lo scenario mondiale per i prossimi quattro anni non sembra contenere elementi di particolare tensione. Va però precisato che questo stesso scenario “numerico” non è privo di rischi. In primo luogo, l’andamento del commercio internazionale potrebbe essere fortemente influenzato dalle spinte protezionistiche che provengono in particolare dagli annunci della nuova amministrazione americana e dalla uscita della Gran Bretagna dall’Unione Europea. Questi potrebbero infatti attivare azioni “uguali e contrarie” (retaliation) che determinerebbero un freno sui tassi di crescita degli scambi internazionali con la diretta conseguenza di un rallentamento della crescita del Pil mondiale. In secondo luogo, eventuali guerre commerciali potrebbero condurre a scossoni sui cambi della maggiori monete. Ad esempio la Cina, laddove fosse oggetto di barriere doganali, potrebbe riprendere in modo consistente la via della svalutazione dello yuan, visto che al momento del suo ingresso nel WTO si è lasciata alla Cina la facoltà di manovrare il suo tasso di cambio “politicamente”. Altri paesi, come il Messico, potrebbero essere indotti a percorrere la stessa via. In terzo luogo, il previsto aumento dei tassi a lungo termine potrebbe determinare ulteriori divaricazioni degli spreads tra i paesi dell’Area Euro, con i paesi periferici a più alto debito pubblico che potrebbero trovarsi in condizioni di forte difficoltà. Le conseguenze sulla stabilità dell’Eurozona potrebbero pertanto essere negative e preoccupanti. In quarto luogo, anche se non direttamente quantificabile in termini economici, non può essere dimenticato il problema del terrorismo internazionale e quello delle 5 migrazioni che potrebbero influire pesantemente sulle aspettative economiche e finanziarie. Infine, per l’Italia non va trascurato il fatto che comunque si profila un aumento dei tassi di interesse, magari senza un ulteriore aumento dello spread cos come ipotizzato nella nostra Previsione BASE, che però, se tutto va bene, ci porterà da qui a fine periodo ad un aumento di quasi 2 punti percentuali dei tassi di interesse a lunga. A regime si potrebbe pertanto profilare un maggiore onere del servizio del debito pubblico attorno a 30 miliardi di euro (vedi Figg.5-7). Ad ogni buon conto, la finestra di opportunità, aperta circa tre anni fa dal presidente della BCE Mario Draghi e che ci avrebbe potuto dare quattro anni di occasione favorevole, sembra oggi ridursi ad una finestra ancora aperta…ma per non più di un ulteriore anno. TAV. 1 6 7 8 9 2.- UNA PREMESSA 10 3.A -PREVISIONE BASE E CONFRONTO CON I DATI DEF SETT. 2016 Sulla base delle variabili internazionali prima illustrate, presentiamo in primo luogo la nostra PREVISIONE BASE che esclude il rispetto delle clausole di salvaguardia tuttora in essere a partire dal 2018. Successivamente la porremo a confronto con gli ultimi dati ufficiali disponibili indicati dal governo nella Nota di Aggiornamento DEF del 27 settembre 2016 che invece includeva il rispetto delle clausole di salvaguardia per il 2018. Nel 2016, l’economia italiana sembra aver fatto registrare una crescita dello 0,9%, alla quale però seguirà quest’anno una “frenatina” allo 0,6%. Negli anni successivi dovremmo poi attestarci attorno all’1%. Pertanto la fase di ripresa in atto dal 2015 continua a presentare elementi di modesta crescita del Pil e di grande fragilità. E tutto questo a condizione che nel resto d’Europa e del Mondo non accadano elementi negativi dirompenti. Di conseguenza, il livello di disoccupazione si mantiene elevato passando dagli oltre 3 milioni di disoccupati del 2015 agli oltre 2,9 milioni del 2017-18 e poco sotto tale livello nel successivo biennio. Il tasso di disoccupazione si manterrà pertanto sopra l’11% nei prossimi tre anni per poi scendere lentamente verso il 10% nel 2021. Il Deficit pubblico, rispetto al 2016 aumenta di circa 10 miliardi e di circa mezzo punto di Pil. Successivamente appare in lieve riduzione (sia in valore assoluto che in percentuale del Pil) ma non si azzera mai neanche al 2021, contrariamente agli impegni assunti in sede europea. Il Debito Pubblico aumenta sempre in valore assoluto e, in percentuale del Pil, raggiunge un picco del 133,1% in questo 2017 per poi scendere di uno o due punti all’anno negli anni successivi. Sembrano in gran parte dileguarsi i rischi di deflazione ma ad ogni buon conto sia i prezzi al consumo che il deflatore del Pil si mantengono abbondantemente al di sotto del 2% (vedi Tav. 2). 11 12 I dati della nostra Previsione BASE appena illustrati vengono ora messi a confronto con quelli indicati dal governo nel settembre 2016. Da tale confronto emerge che (vedi Tavv. 3-5 e Figg. 8-17 ): 1.- La crescita è più bassa di quanto previsto dal governo a settembre 2016; 2.- La disoccupazione si mantiene molto più elevata; 3.- Il deficit pubblico, cresce nel 2017, e non si azzera mai, contrariamente ai dati previsti a settembre dal governo; 4.- Il Debito pubblico in rapporto al Pil presenta un profilo molto più elevato; 5.- L’inflazione risulta più contenuta rispetto alle previsioni del governo e pertanto il Pil nominale cresce molto meno e gioca come elemento che conduce a più alti rapporti tra Debito e Pil. Come si vede quindi il problema reale dell’economia italiana è la bassa crescita e l’alta disoccupazione che si mantiene fino al 2021. Sul piano della finanza pubblica il problema che appare centrale non è assolutamente l’eventuale aggiustamento di 3,4 miliardi di euro chiesto dalla Commissione europea sui conti per il 2017, quanto piuttosto le prospettive preoccupanti che si aprono per i conti italiani per il 2018 laddove si richiederebbe una manovra di oltre 30 miliardi di euro secondo quanto già concordato in sede europea. Da questo punto di vista, la risposta vera che il governo dovrebbe dare all’Italia ed all’Europa è quella che dovrà essere contenuta nel prossimo DEF di aprile e soprattutto nella Legge di Bilancio 2018 che dovrà essere presentata in settembre. C’è da auspicare che questi due importanti appuntamenti “politici” partano da una “operazione verità” sulla situazione economica ed occupazionale sul bilancio pubblico, seguita da una “operazione coraggio” che conduca ad una manovra strutturale veramente incisiva, sia sul piano delle quantità che sul piano della composizione/qualità della spesa pubblica. 13 14 15 16 17 18 19 20 3.B -QUANDO FUORI DALLA CRISI? CIOE’ QUANDO PIL ED OCCUPAZIONE TORNERANNO AI LIVELLI PRE CRISI DEL 2007? Questi modesti profili di crescita e la fragilità del quadro di finanza pubblica indicano che le prospettive di una vera uscita dalla crisi in Italia non appaiono potersi determinare entro l’orizzonte temporale delle previsioni a breve-medio termine. Come di consueto abbiamo pertanto proiettano queste condizioni anche nel lungo periodo per valutare quando il Pil italiano potrà tornare ai livelli pre-crisi del 2007 e quando la disoccupazione ed il tasso di disoccupazione potranno tornare ai livelli di quello stesso anno. Questo è l’orizzonte che noi consideriamo come “vera” uscita dalla crisi. Come si vede dalla Tav. 6 e dalle Fig.18-20, ad i ritmi medi di crescita dei prossimi quattro anni, il Pil italiano tornerebbe al livello del 2007 soltanto nel 2024/2025. Per contro, la disoccupazione in valore assoluto ed il tasso di disoccupazione non tornerebbero ai livelli del 2007 se non ben oltre il 2030. 21 22 23 3.C -IPOTESI ALTERNATIVE: 3C.1 - RISPETTO CLAUSOLE SALVAGUARDIA Abbiamo ritenuto utile ed interessante proporre anche la valutazione di uno scenario nel quale l’Italia venisse costretta a rispettare pedissequamente le note clausole di salvaguardia. Come si vede dalla Tav.7, il rispetto delle clausole di salvaguardia per il 2018 creerebbe un ulteriore freno alla crescita economica con un rallentamento allo 0,4% della crescita del Pil nel 2018. Per contro non migliorerebbero, se non marginalmente, le condizioni di finanza pubblica: il deficit, pur inferiore alla nostra previsione BASE, si manterrebbe comunque elevato e non sarebbe azzerato fino oltre il 2021 ed il rapporto Debito/Pil si ridurrebbe molto lentamente e comunque sarebbe ancora attorno al 125% nel 2021. 24 3C.2 – PROPOSTA ECONOMIA REALE Il nostro Centro Studi presenta qui di seguito una sua Proposta di Politica economica a valere sul biennio 2017/2018 che sembrerebbe in grado di rafforzare la crescita e la ripresa dell’occupazione, consolidare in modo virtuoso la nostra finanza pubblica ed usare questo ultimo anno di finestra di opportunità per evitare rischi seri ed incombenti di inviluppo della crescita e di preoccupanti squilibri finanziari. Riteniamo che questa nostra proposta possa essere un contributo in positivo all’impegno che il governo dovrà esercitare nel predisporre il prossimo DEF di aprile 2017 e soprattutto la legge di Bilancio per il 2018, nella consapevolezza che questo anno potrebbe essere…l’ultima finestra di opportunità. La manovra che abbiamo simulato come Proposta di Economia Reale si basa su un taglio di spese correnti sulla voce acquisti di beni e servizi per un totale di 20 miliardi ripartiti in 10 miliardi per il 2018 e ulteriori 10 miliardi per il 2019. Tali risparmi di spesa corrente sono stati poi considerati per gli stessi importi e con la stessa tempistica a riduzione dell’IRPEF su lavoratori e famiglie. Inoltre, si è previsto un taglio di trasferimenti a fondo perduto in conto corrente ed in conto capitale per un totale di 30 miliardi, 15 miliardi nel 2018 ed ulteriori 15 miliardi nel 2019. A fronte di questa riduzione di spesa si è ipotizzata una riduzione di tasse sulle imprese con azzeramento dell’IRAP per 20 miliardi in totale. Gli ulteriori 10 miliardi di risorse provenienti dai tagli della spesa sono stati portati in aumento degli investimenti pubblici. I risultati di questa simulazione sono presentati nella Tav. 8. 25 Con questa ipotesi di manovra di politica economica da incorporare nella legge di Bilancio 2018 a valere anche per il 2019, l’economia italiana potrebbe collocarsi su un profilo di crescita superiore al 2% nel biennio 2018/2019 (contro l’asfittico 1% della Previsione BASE). A fine periodo il Pil sarebbe più alto di 122 miliardi rispetto al 2016 con un incremento percentuale pari all’8% e sarebbe comunque maggiore rispetto alla Previsione BASE per il 2021 del 2,7%. Di conseguenza il tasso di disoccupazione scenderebbe più rapidamente e si collocherebbe all’8% a fine periodo con una maggiore occupazione appena inferiore a 1,4 milioni di unità. Il deficit pubblico sarebbe azzerato a fine 2019 ed il rapporto Debito/Pil scenderebbe sotto il 120%. 26 Nelle Figg. 21-32 mettiamo a confronto i dati della nostra Previsione BASE, con quelli peggiorativi dell’ipotesi del rispetto delle clausole di salvaguardia e quelli migliorativi conseguenti alla proposta di Economia Reale. 27 28 29 30 31 32 33 3.D - QUANDO FUORI DALLA CRISI? SE SI RISPETTANO LE CLAUSOLE DI SALVAGUARDIA O SI ADOTTA LA MANOVRA PROPOSTA DA ECONOMIA REALE Abbiamo in precedenza valutato quando Pil, disoccupazione e tasso di disoccupazione potessero ritornare ai livelli del 2007 sulla base dei profili di crescita indicati nella nostra Previsione BASE. Cioè quando, a quei ritmi, l’economia italiana potrebbe uscire dalla crisi. Vogliamo pertanto valutare quelle previsioni di lungo termine anche per le due ipotesi alternative per le quali abbiamo prodotto le nostre simulazioni. Intendiamo cioè stimare quanto l’ipotesi di rispetto delle clausole di salvaguardia e quella relativa alla Proposta di Economia Reale appaiano in grado di “allungare o accorciare” i tempi per l’uscita dalla crisi. Nelle Figg.33-35, si noti innanzitutto che l’ipotesi di rispetto delle clausole di salvaguardia per il 2018 peggiorerebbe la situazione allungando, anche se non di molto, il rientro dalla crisi. Per contro, una manovra di politica economica secondo le linee proposte da Economia Reale consentirebbe di recuperare il livello di Pil del 2007 nel 2021, cioè 3/4 anni prima rispetto alla previsione BASE. Il tasso di disoccupazione tornerebbe al 6% nel 2023/24 così come il totale dei disoccupati tornerebbe al livello 2007 pari a 1,5 milioni di unità. In termini di disoccupazione quindi si tratterebbe di uscire dalla crisi circa 10 anni prima. 34 35 4.- PRIME STIME DELL’EFFETTO TRUMP SULL’ECONOMIA MONDIALE, NEO-PROTEZIONISMO (?): DUE IPOTESI SUL COMMERCIO INTERNAZIONALE In queste ultime settimane le dichiarazioni e le prime decisioni della nuova amministrazione americana del presidente Donald Trump hanno destato serie preoccupazioni circa la possibilità che si vada verso restrizioni nel commercio internazionale che potrebbero determinare reazioni a catena in termini della cosiddetta retaliation. Il nuovo presidente americano sostiene la sua linea nella intenzione di proteggere di più i lavoratori ed i cittadini degli Stati Uniti con il suo noto slogan “America First”. Come noto però i processi di protezionismo hanno sempre indotto nella Storia effetti negativi sui flussi di Commercio internazionale che, a loro volta, hanno determinato effetti di rallentamento o riduzione del Pil mondiale. Certamente un singolo paese, se abbastanza grande e potente, può prefiggersi una linea di protezionismo mirando ad ottenere vantaggi per il proprio paese senza doversi far carico degli svantaggi che produrrebbe sugli altri paesi e sul resto del Mondo. D’altra parte, in Europa, c’è da anni un paese come la Germania che accumula ingenti avanzi della propria bilancia dei pagamenti e, non usando quelle positive performance a fini di miglioramento dei consumi e degli investimenti interni a favore dei cittadini tedeschi, sottrae di fatto domanda al resto d’Europa e del mondo e determina un freno alla crescita globale1. Il tema vero però è quello di valutare se una linea di protezionismo nazionale non finisca per danneggiare non soltanto il resto del mondo ma anche i lavoratori ed i cittadini del paese che la determina. Si tratta cioè di verificare i rischi che una simile strategia inneschi in realtà un “gioco a somma negativa per tutti”, dove magari qualcuno perde di meno e qualcun altro di più ma alla fine del gioco tutti ci perdono. 1 Cfr. Mario Baldassarri, Le Radici Europee della Crisi Europea-Le Radici Italiane della Crisi Italiana, Rubbettino Editore, 2017 36 A tal fine abbiamo voluto produrre un esercizio econometrico che il modello della Oxford Economics consente di fare, proprio perché è un modello globale articolato per aree e paesi di tutto il mondo e pertanto consente, pur con tutti i limiti noti, di catturare effetti diretti ed effetti indotti di ritorno nella varie aree e paesi del mondo. A tal proposito abbiamo formulato due diverse ipotesi circa l’andamento del Commercio Mondiale nei prossimi anni a seguito di eventuale inasprimento di politiche protezionistiche. In una prima ipotesi, che abbiamo chiamato “frenata morbida”, abbiamo immaginato che il commercio internazionale nei prossimi anni riduca il previsto tasso di crescita per un -0,5% nel 2017, per un 1% nel 2018 e per l’1,5% nel 2019. Di conseguenza, abbiamo simulato cosa verrebbe a determinarsi nell’economia mondiale e nelle sue diverse aree qualora i tassi di crescita del Commercio internazionale si ridurrebbero al 2,3% nel 2017 ed al 2,2% negli anni successivi invece di seguire i tassi di crescita indicati all’inizio di questo Rapporto nella Tav. 1 (vedi Tav. 9). 37 In queste condizioni gli effetti che si produrrebbero sul Pil mondiale e su quello delle diverse aree sono riportati nella Tav.10 e nelle Figg.36 e 37. 38 Si noti subito che i risultati che abbiamo ottenuto mostrano che una riduzione cumulata della crescita del Commercio internazionale pari al 4,5% per gli anni 2017- 39 2020 ridurrebbe il Pil Mondiale soltanto di circa lo 0,8%. In realtà negli ultimi decenni abbiamo sperimentato una relazione tra commercio internazionale e crescita del Pil molto superiore a quanto qui risulterebbe. Ne consegue che l’effetto di riduzione della crescita mondiale conseguente alla ipotizzata frenata del commercio nei risultati delle nostre simulazioni potrebbe essere sottostimato. Evidentemente a fronte di una riduzione del Pil Mondiale di circa lo 0,8% (indicata in Fig. 37 dalla linea tratteggiata rossa) la perdita che verrebbero a subire in termini di Pil le diverse aree è abbastanza diversificata, come si vede nella stessa figura. Risulterebbe infatti che gli Stati Uniti perderebbero meno Pil rispetto a Cina, India ed Europa. Come però indica palesemente il grafico, tutte le aree perderebbero Pil, Stati Uniti compresi. Si tratterebbe pertanto di quello che abbiamo definito “un gioco a somma negativa…per tutti”. Per di più non andrebbero sottostimate le tensioni politiche e sociali che ne potrebbero essere diretta conseguenza, anche in termini di rafforzamento dei flussi migratori. Nella Tav. 11 abbiamo riportati gli effetti in termini di Occupazione totale dove anche in questo senso “tutti perdono”: -4 milioni di occupati in Cina, circa 2 milioni in meno in India, poco meno di un milione in America Latina e circa mezzo milione in Europa. Sta di fatto però che anche gli Stati uniti, pur perdendo meno, perderebbero comunque circa 170.000 posti lavoro. 40 In una seconda ipotesi, che abbiamo chiamato “frenata forte”, abbiamo immaginato che il commercio internazionale cresca solo del 2% nel 2017, dell’1% nel 2018 ed azzeri la crescita dal 2019 in poi, mantenendo quindi i livelli dei flussi commerciali raggiunti nel 2018 (vedi Tav.12). Si tratta in questo caso di immaginare un effetto ben più dirompente del commercio internazionale dei prossimi anni che avrebbe conseguenze più pesanti sulla crescita mondiale del Pil e più dirompenti sui livelli di occupazione,Tav.13 e 14. 41 42 In questa seconda più drastica ipotesi, il Mondo verrebbe a perdere nel periodo quasi il 2% del Pil e tale perdita complessiva si spalmerebbe su tutte le aree e su tutti i paesi pur con significative differenze: dal -3,4% della Cina a circa il -3% del Messico, da poco del -3% nei paesi emergenti al quasi -2,5% in Europa e -2% nel Regno Unito. Anche qui però ci sarebbe una perdita di Pil degli Stati Uniti di circa il -0.6%. In termini di occupazione totale si avrebbero decine di milioni in meno di unità: -10 milioni in Cina, -4 in India, -800 mila in Brasile, -600 mila in Messico, -1,4 milioni nell’Eurozona con -400 mila in Germania e -300mila in Italia. La perdita di occupati ci sarebbe anche negli Stati Uniti e sarebbe pari a quasi 400 mila unità. A maggior ragione, in questo scenario, si profilerebbe pertanto un più forte “gioco a somma negativa per tutti”, Stati Uniti compresi. 43 Il Mondo è ormai una realtà “globale” e pertanto le decisioni prese, magari con fini di protezione dei propri cittadini, possono innescare effetti di retroazione tali che in realtà si danneggiano anche i cittadini e le aree che mirerebbero ad essere protette. Sicurezza e protezione sono da secoli considerati “beni pubblici” in tutti i paesi del Mondo. Il problema vero è che, in un mondo globalizzato, questi “beni pubblici” possono essere concretamente perseguiti solo in termini di “beni pubblici globali”. Ecco allora che l’argomento centrale di ciò che stiamo sperimentando è quale governance dare al mondo della globalizzazione e quale inclusione avere in tale governance delle varie aree del mondo. Ma questo non sarebbe esprimibile con “numeretti” econometrici bensì con serie analisi e fattive decisioni di Geo-politica e di Geo-economia.