Luci ed ombre della nostra economia LLI

06|2014
Magazine trimestrale della Banca di Credito Cooperativo di Fisciano
Il rapporto dell’economia Campana della Banca d’Italia
Luci ed ombre
della nostra economia
I
l 2013 è stato ancora un anno di recessione per la Campania, il sesto
consecutivo. Nel corso del 2013 gli
indicatori congiunturali hanno tuttavia smesso di peggiorare: le imprese che hanno partecipato alle indagini campionarie della
Banca d’Italia segnalano, in media, un arresto
della caduta del fatturato nel 2013 e previsioni
di moderata crescita per il 2014. È questo il dato
più significativo che emerge dal rapporto l’Economia Campania redatto dalla Banca d’Italia, e
commentato su questo numero del trimestrale
della BCC Fisciano da Giovanni Iuzzolino, Banca d’Italia – Napoli. Tra gli altri dati importanti
descritti nelle prime pagine del nostro “Primo
Piano” dedicato all’economia, si legge in particolare, che la ripresa non si è estesa al mercato
del lavoro: nel 2013 l’occupazione è anzi calata
di quasi l’uno per cento, nonostante la tenuta
2
pagina
4
del comparto industriale. Ma la speranza è dura
a morire, e infatti, nei prossimi mesi, se si rafforzeranno i segnali di ripresa congiunturale, è
però possibile un miglioramento anche delle
condizioni di accesso al credito: le banche intervistate lo scorso febbraio, prevedono nel corso del 2014 una modica ripresa della domanda
di credito delle imprese e un miglioramento nelle condizioni di offerta.
E se il Rapporto redatto dalla Banca d’Italia
traccia luci ed ombre dell’economia campana,
a livello mondiale e nazionale la situazione non
si differenzia molto. Il commento di Andrea Beltratti, docente di Economia Politica alla Bocconi
di Milano e presidente del Consorzi Patti Chiari, descrive un 2014 che si sta caratterizzando
per una crescita economica inferiore a quanto
ci si poteva aspettare alcuni mesi fa in America,
come in Europa, come in Cina. Se pure sono state adottate misure importanti a sostegno della
crescita da parte della Banca Centrale Europea,
il ritmo delle riforme economiche è ancora troppo lento, e quelle attuate richiedono anni per
funzionare.
pagina Primo piano: L’economia della
5
Campania nel corso della crisi
Primo piano: Senza riforme
strutturali l’economia stenta a
decollare
pagina Primo piano: Piccoli segnali di 8
ripresa, ma la strada per uscire
dalla crisi è ancora lunga
pagina Attualità: Disagio sociale e ruolo
delle comunità locali
Attualità: Montoro. La nuovo
Montoro tra ripresa economia e conoscenza dei bisogni dei cittadini
10
pagina Attualità: Baronissi. Valiante:
diamo spazio ai giovani e alle
famiglie
Attualità: Mercato San Severino.
Romano: nuove iniziative a sostegno delle attività produttive
12
pagina La nostra salute:
una notizia “buona”
Eletti i membri del primo comitato
direttivo del Becoming Club
I giovani della Bcc volano a Trento
Alle pagg. 2, 3, 4 e 5
Giovanni Iuzzolino, Andrea Beltratti e Adalgiso
Amendola
Anno 1 • Numero 6/2014
Una nuova filiale
per continuare
a crescere
L
eggendo i commenti contenuti nelle
pagine di questa edizione del nostro
trimestrale, viene fuori un quadro
della situazione economica nazionale - relativa all’anno 2013 - che registra piccoli
segnali di ripresa, ma ancora non sufficienti ad
una nuova crescita del Paese.
Serve uno sforzo collettivo, ognuno nella propria area di competenza, per sostenere l’azienda Italia. In questo contesto gli istituti di credito
dovranno fare molto di più per accompagnare la
possibile ripresa che stenta a partire.
La nostra BCC, che in questi anni di dura crisi
economica ha continuato nell’attività di impiego sostenendo famiglie ed imprese, ha scelto di
essere presente con maggiore forza nell’area di
competenza, aprendo anche una nuova filiale
nel comune di Baronissi.
Si tratta della quarta filiale dopo Mercato San
Severino, Bracigliano e Montoro. La Banca di
Credito Cooperativo è già presente a Baronissi
perché offre il suo servizio di tesoreria al Comune e ad un istituto scolastico superiore, oltre a
numerosi sportelli bancomat presenti.
Quella di Baronissi non è solo la semplice apertura di una nuova filiale, ma dimostra la nostra
volontà di crescere per far crescere, ed accompagnare, la crescita di una intera comunità.
Domenico Sessa
Presidente BCC Fisciano
Piccoli segnali di ripresa
di Adalgiso Amendola *
L
a maggior parte delle analisi, convergono nel segnalare il perdurare
della situazione di grave crisi economica e sociale nella quale versa,
ormai da tempo, la nostra regione. Per la verità
il Rapporto sull’economia della Campania, rilasciato nel mese di giugno dalla Banca d’Italia,
rileva nel 2013 alcuni iniziali segni di ripresa,
o almeno di interruzione di questa lunga fase
recessiva. Essi, tuttavia, non sono ancora sufficientemente consolidati, o diffusi a livello di
settori o di territori, da far pensare all’effettivo
avvio di un consolidato percorso di uscita dalla crisi. I principali fatti stilizzati dell’economia
della Campania nel corso della crisi sono analizzati in maggior dettaglio nell’articolo di Giovanni Iuzzolino. Può essere, tuttavia, utile integrare il quadro non certo incoraggiante che emerge
da questi dati, con una sintesi dei principali fattori, congiunturali e strutturali, che lo hanno determinato. Lo scopo è di proporre all’attenzione alcune riflessioni di metodo e qualche linea
operativa per una possibile exit strategy capace
di guardare con la dovuta attenzione anche alla
dimensione territoriale dei problemi.
segue a pag. 5 é
02
L’ECONOMIA DELLA CAMPANIA NEL
CORSO DELLA CRISI
Si arresta il peggioramento ma gli indicatori sono pigri nel volgere verso la ripresa
di Giovanni Iuzzolino *
I
l 2013 è stato ancora un anno di recessione per la Campania, il sesto
consecutivo; secondo le stime di
Prometeia il PIL sarebbe diminuito
del 2,7 per cento in volume, portando a oltre
13 punti percentuali il calo cumulato dall’avvio
della crisi. Negli ultimi sei anni la riduzione del
PIL campano è stata di quasi 5 punti percentuali
superiore alla media italiana (tavola 1). Il divario
si è manifestato soprattutto a partire dal 2010,
in corrispondenza della ripresa della domanda estera e dell’accentuarsi della contrazione
fiscale; esso si correla alla minore apertura
dell’economia regionale al commercio estero e
alla sua maggiore dipendenza dalla spesa pubblica, che si è decisamente contratta per le esigenze di risanamento sia del bilancio nazionale
sia di quello degli enti locali della regione.
Nel corso del 2013 gli indicatori congiunturali
hanno tuttavia smesso di peggiorare: le imprese
che hanno partecipato alle indagini campionarie della Banca d’Italia segnalano, in media, un
arresto della caduta del fatturato nel 2013 e previsioni di moderata crescita per il 2014. È migliorata la situazione di liquidità: lo scorso anno, la
quota di imprese con un utile di bilancio è infatti aumentata di circa 2 punti percentuali (al 49
per cento), a fronte di una riduzione di circa 7
punti nella quota di aziende in perdita (al 31 per
cento). Un miglioramento emerge anche dalla
dinamica dei depositi bancari delle imprese,
cresciuti del 16 per cento, dopo la sostanziale
stabilità del 2012
I segnali di ripresa risultano più diffusi nell’industria, deboli nel com-parto dei servizi, assenti in quello edilizio.
06|2014
Editore
CRA BCC di Fisciano
Società cooperativa
p.iva 01068650652
Corso San Giovanni
84080 Lancusi (SA)
Direttore Responsabile
Valentina Serra
Coordinamento redazione Daniela Apolito
Organo ufficiale della BCC di Fisciano
Registrazione presso il Tribunale di Salerno
N. 17 del 17/10/2012
Chiuso in redazione: 21 Luglio 2014
[email protected]
Progettazione realizzazione e coordinamento editoriale
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Tabella 1
PIL in Italia e in Campania (1)
(variazioni percentuali)
Va. % sull’anno precedente
Anno (Fonte)
2008 (Istat)
2009 (Istat)
2010 (Istat)
2011 (Istat)
2012 (Istat)
2013 (stime Prometeia)
Campania
-1,2
-5,5
1,7
0,4
-2,4
-1,9
Italia
-1,5
-5,6
-1,4
-1,0
-2,0
-2,7
Va. % cumulate rispetto al 2007
(anno pre-crisi)
Campania
-1,2
-6,6
-5,0
-4,5
-6,9
-8,5
Italia
-1,5
-7,0
-8,3
-9,2
-11,0
-13,4
(1) Valori concatenati, anno di riferimento 2005.
In particolare, secondo l’indagine svolta dalla
Banca d’Italia, nel 2013 il fatturato delle aziende industriali campane con almeno 20 addetti
è lievemente aumentato (dell’1,5 per cento a
prezzi costanti, a fronte di un calo del 3,3 per
cento nel 2012. La dispersione intorno al dato
medio continua però a essere elevata: un aumento delle vendite pari ad almeno l’1,5 per
cento, in termini costanti, ha riguardato il 48 per
cento delle imprese, laddove il 45 per cento ha
riportato un calo dello stesso ordine di grandezza. In media, l’incremento è stato più intenso
nel settore alimentare e in quello della moda e
per le imprese con almeno due terzi di fatturato
esportato. L’incidenza delle esportazioni sul fatturato industriale è aumentata di circa due punti
percentuali (al 29,3 per cento). La crescita del
fatturato prevista per il 2014 è del 4,3 per cento
in termini costanti: circa due terzi delle imprese si attendono un aumento di almeno l’1,5 per
cento, mentre solo un quinto prevede un calo
altrettanto significativo.
Nell’industria, anche la spesa per investimenti
in beni materiali ha interrotto la tendenza calante avviata con la crisi, risultando in media lievemente positiva (1,5 per cento): il dato riflette
soprattutto la maggior spesa di alcune imprese
di grandi dimensioni. Resta invece negativo il
saldo tra la quota di imprese che segnalano un
aumento degli investimenti pari ad almeno il 3
per cento e la quota di quelle che riportano un
calo di entità corrispondente (40 e 55 per cento
del campione, rispettivamente). Nelle previsioni delle imprese, il saldo dovrebbe mantenersi
negativo anche nel 2014.
L’edilizia ha continuato a risentire della debolezza degli investimenti pubblici. Sulla base
dell’Indagine sulle costruzioni e le opere pubbliche con-dotta dalla Banca d’Italia su un campione di imprese campane con almeno 10 addetti, nel 2013 la produzione di opere pubbliche
è calata del 12,0 per cento a prezzi costanti. La
tendenza, nelle previsioni delle imprese intervistate, proseguirebbe nel 2014, ma a ritmi molto
meno intensi (-1,8 per cento).
Il settore dei servizi ha continuato a risentire
della riduzione dei con-sumi, solo in piccola
parte compensata dalla tenuta della spesa dei
turisti stranieri; lo scorso anno, più del 60 per
cento delle famiglie campane ha giudicato inadeguate le proprie risorse economiche, oltre
20 punti percen-tuali sopra la media italiana: il
dato riflette soprattutto l’alta disoccupazione e
la debolezza dei salari reali che, in base ai dati
Istat sulla Rilevazione sulle forze di lavoro, sono
diminuiti negli ultimi quattro anni.
In definitiva, i segnali di ripresa risultano ancora
molto incerti e limitati alle aspettative di alcune
categorie di imprese sull’evoluzione degli ordinativi.
La ripresa, in particolate, non si è estesa al mercato del lavoro: nel 2013 l’occupazione è anzi
calata di quasi l’uno per cento, nonostante la
tenuta del comparto industriale. Il numero di
persone occupate si situa ampiamente al di sotto del livello precedente l’avvio della crisi (-8,5
per cento sul 2007; -3,5 per cento in Italia). Nel
primo trimestre del 2014, si è manifestato un
nuovo, intenso calo pari a circa 50 mila unità.
Intanto, la ricerca attiva di lavoro continua a
estendersi a fasce sempre più ampie di popolazione: lo scorso anno le persone in cerca di
occupazione, pur decelerando, hanno superato
le 400.000 unità. Il loro livello, come nel resto
d’Italia, è pari al doppio di quello del 2007. Soprattutto, si è ancora ampliata, superando il 40
per cento del totale, la quota di giovani tra i 15 e
i 34 anni non occupati e non coinvolti in alcuna
esperienza formativa.
Lo scorso anno il tasso di occupazione della
popolazione tra i 15 e i 64 anni è stato pari al
39,8 per cento (40,0 nel 2012), 16 punti percentuali in meno rispetto alla media nazionale. Il
tasso di occupazione è fortemente differenziato
a seconda dell’età e del genere: nel 2013 esso
è stato più elevato per gli uomini rispetto alle
donne in tutte le fasce di età (51,5 contro 28,4
per cento nel complesso della popolazione attiva). La crisi ha ridotto i tassi di occupazione
soprattutto per i più giovani e gli uomini. Tra il
03
06|2014
2008 e il 2013 il tasso di occupazione maschile
è calato di 6,5 punti nella media e di 14,1 punti
nella fascia di età fra i 25 e i 34 anni.
Negli ultimi anni le condizioni di inserimento
dei giovani nel mondo del lavoro sono peggiorate in particolare per i meno istruiti. Nella media
2011-2013 il tasso di occupazione dei giovani
campani che hanno concluso gli studi è diminuito rispetto al periodo 2006-2008 di circa 5
punti percentuali per i laureati, di 13 punti tra i
diplomati e di 9 punti tra i giovani con istruzione
primaria.
La quota di popolazione occupata varia sensibilmente anche all’interno della regione. Tra i
54 sistemi locali del lavoro (SLL) campani, nel
2012 (ultimo anno in cui sono disponibili i dati)
tale quota era minima a Castellammare di Stabia (27,9 per cento; fig. 1a) e massima a Solofra
(40,9). Tra il 2007 e il 2012 il tasso di occupazione è diminuito in quasi tutti i sistemi locali
(fig. 1b).
un terzo dei prestiti erogati alle piccole imprese campane e circa un quarto di quelli erogati
alle medio-grandi imprese erano classificati in
sofferenza. Secondo gli intermediari bancari, la
domanda di credito finalizzata al finanziamento
degli investimenti è ancora diminuita, mentre è
cresciuta la componente connessa alle esigenze di ristrutturazione del debito.
Nel 2013 si è intensificato anche il calo dei prestiti alle famiglie (tavola 3); la maggiore contrazione ha riguardato sia il credito al consumo sia
quello destinato all’acquisto di abitazioni.
Durante la crisi, con la netta riduzione dei consumi di beni durevoli, è calata la quota di credito finalizzato all’acquisto di mezzi di trasporto o
altri beni durevoli mentre è aumentata la quota
di credito non finalizzato a specifiche spese,
passata dal 60,7 al 79,0 per cento tra il 2008 e
il 2013. In particolare è aumentata la quota dei
prestiti che prevedono la cessione del quinto
dello stipendio (dal 10,7 al 22,9 per cento) e
Figura 1
Livello e andamento del tasso di occupazione nei sistemi locali del lavoro (1)
(valori percentuali)
(a) Tassi di occupazione nel 2012
(b) Variazioni assolute 2007-2012
Fonte: Istat, Rilevazione sulle forze di lavoro. (1) Nelle statistiche sui sistemi locali del lavoro il tasso di occupazione è calcolato
come il rapporto tra il numero di occupati e la popolazione con almeno 15 anni di età.
Come il mercato del lavoro, neanche il mercato
del credito ha mostrato segni di inversione di
tendenza: la dinamica dei prestiti alle imprese
è rimasta negativa (tavola 2) e si sono acuite
le difficoltà di rimborso: alla fine del 2013 oltre
quella dei prestiti per-sonali (dal 42,4 al 49,3
per cento). La quota di credito al consumo connesso all’utilizzo di carte di credito revolving,
che non offre specifiche garanzie al creditore, è
lievemente diminuita. Anche il numero di carte
Tabella 2
Prestiti di banche e società finanziarie alle imprese
per forma tecnica e branca di attività economica (1)
(variazioni percentuali su 12 mesi)
VOCI
Dic. 2012
Giu. 2013
Dic. 2013 Mar. 2014 (2)
Forme tecniche (3)
Anticipi e altri crediti autoliquidanti
-12,2
-14,9
-18,1
-19,6
di cui: factoring
-9,7
-16,8
-21,4
-25,1
Aperture di credito in conto corrente
1,7
-7,1
-8,8
-7,9
Mutui e altri rischi a scadenza
-6,7
-7,4
-5,8
-6,0
di cui: leasing finanziario
-8,9
-9,0
-8,9
-8,8
Branche (4)
Attività manifatturiere
-3,5
-1,8
-1,5
-1,5
Costruzioni
-0,7
-2,1
-3,6
-3,9
Servizi
-2,9
-5,4
-4,6
-4,5
Altro (5)
-0,7
-1,1
-1,8
-0,5
Totale (4)
-2,6
-3,9
-3,6
-3,6
Fonte: Centrale dei rischi. (1) Dati riferiti alle segnalazioni di banche, società finanziarie e società veicolo di operazioni di cartolarizzazione sui finanziamenti a società non finanziarie e famiglie produttrici. – (2) Dati provvisori. – (3) Nelle forme tecniche non
sono comprese le sofferenze e i finanziamenti a procedura concorsuale. – (4) I dati includono le sofferenze e i finanziamenti a
procedura concorsuale. – (5) Include i settori primario, estrattivo ed energetico.
di credito attive, aumentato fino agli albori della
crisi, è successivamente calato passando, tra il
2008 e il 2012, da 223 a 152 ogni mille persone
maggiorenni residenti in regione.
Nei prossimi mesi, se si rafforzeranno i segnali
di ripresa congiunturale, è però possibile un miglioramento anche delle condizioni di accesso
al credito: le banche intervistate lo scorso febbraio, prevedono nel corso del 2014 una modica
ripresa della domanda di credito delle imprese
e un miglioramento nelle condizioni di offerta.
Può avervi contribuito una migliorata situazione di liquidità delle imprese, favorita anche dal
rimborso dei crediti commerciali verso la Pubblica amministrazione (pari a circa 2,5 miliardi tra
l’autunno del 2013 e l’inverno del 2014). Anche
per le famiglie, l’inasprimento delle condizioni
di offerta alle famiglie si sarebbe arrestato nella
seconda parte del 2013: segnali di distensione
provengono dalle migliorate condizioni di costo
mediamente applicate sui mutui
Nel corso della crisi, un importante elemento di
resistenza delle fami-glie è stato rappresentato dalla disponibilità di uno stock di ricchezza
di dimensioni non trascurabili: la ricchezza è il
complesso dei beni materiali o immateriali che
hanno un valore di mercato di cui una famiglia
dispone. Essa è data dalla somma di attività reali (valore delle abitazioni, dei terreni, dei fabbricati non residenziali, ecc.) e attività finanziarie (valore dei depositi, dei titoli, delle azioni,
ecc.), che insieme formano la ricchezza lorda,
meno le passività finanziarie (mutui, prestiti
personali, ecc.).
In base a elaborazioni preliminari abbiamo
stimato che alla fine del 2012 la ricchezza netta delle famiglie (consumatrici e produttrici)
campane fosse pari a circa 580 miliardi di euro.
In Campania era concentrato il 7 per cento del
corrispondente aggregato nazionale e il 30 per
cento di quello delle regioni meridionali. La
ricchezza regionale era pari a circa 8,1 volte il
reddito disponibile lordo regionale, un rapporto
sostanzialmente stabile dalla metà dello scorso
decennio, che si mantiene superiore alle regioni
del Mezzogiorno e in linea con la elevata media
italiana.
Le attività reali costituiscono tradizionalmente
la componente più rile-vante della ricchezza lorda delle famiglie: alla fine del 2012 essa era pari
in Campania al 67 per cento del totale, un peso
uguale a quello delle regioni del Mezzogiorno, ma superiore di 6 punti rispetto alla media
nazionale; in termini pro capite ammontava a
poco più di 73 mila euro, un valore netta-mente inferiore a quello del complesso del paese
(circa 97 mila euro). Le abitazioni di proprietà
dei residenti in Campania rappresentavano nel
2012 l’83 per cento della ricchezza reale delle
famiglie, una quota sostanzialmente stabile dal
2006, anno di picco del ciclo immobiliare; lo
stock di capitale delle famiglie produttrici, costituito da fabbricati non residenziali, impianti,
macchinari e attrezzature, scorte e avviamento,
incideva per il 13 per cento circa; i terreni e gli
oggetti di valore, assieme, per circa il 4 per cento (tre punti percentuali in meno del 2002).
La componente finanziaria della ricchezza netta (attività finanziarie al netto delle passività)
delle famiglie campane ammontava, alla fine
del 2012, a 2,2 volte il reddito disponibile. Un
Primo piano
04
terzo delle disponibilità finanziarie delle famiglie campane era costituita da titoli pubblici ed
esteri, obbligazioni private, prestiti alle cooperative, azioni, altre partecipazioni e quote di
fondi comuni. Il contante, i depositi bancari e
il risparmio postale rappresentavano il 46,3 per
cento delle attività finanziarie lorde, in aumento
rispetto agli anni precedenti la crisi.
Nel confronto con la media nazionale, il portafoglio delle famiglie campane risultava relativamente più ricco di risparmio postale; le azioni, le obbligazioni bancarie e le quote di fondi
comuni assumevano invece un peso inferiore.
La quota di attività rappresentata da contante,
depositi ban-cari, titoli di Stato e prestiti alle
società cooperative infine, era simile ai valori
rilevati nelle regioni di confronto e in Italia.
I depositi detenuti presso le banche dalle famiglie e dalle imprese, che assieme ai titoli a
custodia costituiscono la principale componente del ri-sparmio finanziario, sono cresciuti del
4,1 per cento a dicembre 2013 rispetto a dodici
mesi prima (4,2 a fine 2012) e del 3,1 nel primo
trimestre del 2014, in base a dati provvisori.
* Divisione economica - sede di Napoli della Banca d’Italia
Tabella 3
Prestiti di banche e società finanziarie alle famiglie consumatrici (1)
(dati di fine periodo, valori percentuali)
(variazioni percentuali su 12 mesi)
VOCI
Mar. 2014 (2) Composizione %
Dic. 2012
dicembre 2013 (3)
Giu. 2013
Prestiti per l’acquisto di abitazioni
Banche
-0,4
-0,8
Banche e società finanziarie
-1,5
51,5
-0,6
-0,1
-3,6
-3,4
31,8
Banche
-2,6
-2,2
-2,5
-1,7
16,3
Società finanziarie
2,0
2,4
-4,8
-5,1
15,4
-0,1
16,8
-1,8
100,0
Banche
Altri prestiti (4)
0,1
0,2
Totale (5)
Banche e società finanziarie
0,4
-0,3
-0,4
-1,9
Fonte: segnalazioni di vigilanza. (1) I prestiti includono i pronti contro termine e le sofferenze. – (2) Dati provvisori. – (3) Il dato
complessivo può non corrispondere alla somma delle componenti a causa degli arrotondamenti. – (4) Altre componenti tra cui le
più rilevanti sono le aperture di credito in conto corrente e i mutui diversi da quelli per l’acquisto, la costruzione e la ristrutturazione di unità immobiliari a uso abitativo. – (5) Per le società finanziarie, il totale include il solo credito al consumo.
Non bastano da sole le singole azioni
della BCE a stimolare la ripresa
di Andrea Beltratti *
I
-1,5
Credito al consumo
Senza riforme strutturali
l’economia stenta a decollare
l 2014 si sta caratterizzando per una
crescita economica inferiore a quanto ci si poteva aspettare alcuni mesi
fa. Gli Stai Uniti difficilmente giungeranno al 3% di crescita, e la forte contrazione
del prodotto interno loro del primo trimestre,
associato anche alle condizioni ambientali e
al rigido inverno, è un campanello d’allarme da
non sottovalutare. La Cina non riesce ad imprimere una accelerazione che riporti la crescita al
livello desiderato, in questo modo esercitando
un effetto negativo su tutta l’Asia. La necessità
di controllare il sistema degli intermediari non
bancari e di frenare la crescita dei prezzi immobiliari fanno a pugni con l’esigenza di rilanciare
la domanda aggregata. L’Europa annaspa attorno ad un livello di crescita debolmente positivo. I paesi periferici hanno mostrato segni di
miglioramento, ma non sono al livello necessario per superare la crisi in maniera definitiva.
Soltanto l’Africa mantiene, da vari anni, una crescita media intorno al 5% annuo, ma è ancora
troppo piccola per fungere da traino al mondo.
Questo il difficile contesto entro cui si muovo il
nostro paese, che deve tenere conto di due venti, uno che soffia dietro di noi e uno che soffia
davanti. Il vento contrario è rappresentato proprio dalla limitata domanda internazionale, che
ci impedisce di godere di un livello di domanda
aggregata pari alle nostre attese. In un contesto
di domanda riflessivo, le nostre imprese devono combattere per aumentare le loro quote di
Dic. 2013
mercato in una situazione in cui nessuno vuole
cederle. Il vento favorevole è rappresentato dalla politica monetaria della Banca Centrale Europea, che dal 2012 sta dialogando con i mercati
per ‘comprare tempo’ per i paesi in difficoltà
come il nostro. Le molteplici promesse, esplicite
ed implicite, dalla BCE sui tassi a zero e sull’intervento diretto per l’acquisto dei titoli di Stato
hanno funzionato. Il tasso decennale sui titoli
pubblici italiani è addirittura sceso sotto il 3%,
ad un livello poco superiore a quello inglese ed
addirittura statunitense, a soli 100 punti base di
distanza dalla Francia (paese peraltro anch’esso in gravi difficoltà). La riduzione dei tassi di
interesse ha molteplici benefici, consentendo
allo Stato italiano e alle nostre aziende più indebitate di limare il costo del debito.
Comprare tempo può essere molto utile per consentire che le riforme strutturali vengano messe
in atto e possano produrre effetto, ma rischia di
essere una misura auto-distruttiva se le riforme
strutturali non ci sono. Purtroppo il ritmo delle
riforme economiche è ancora troppo lento, e
quelle attuate richiedono anni per funzionare.
Ad esempio la riforma del credito introdotta alla
fine del 2012, che ha di fatto consentito ad operatori non bancari e persino alle compagnie di
assicurazione di partecipare ad attività dirette
di prestito, non ha ancora avuto un forte effetto. Non si tratta di carenze o cattiva volontà.
Qualsiasi riforma strutturale richiede tempo per
funzionare. Proprio per questo non dobbiamo
illuderci che un tasso di interesse inferiore al
3% sia un riconoscimento da parte dei mercati
finanziari legato all’aspettativa che l’economia
tornerà presto a crescere a buon ritmo in modo
da riassorbire la montagna del nostro debito
pubblico. Gli investitori sono disponibili a guadagnare così poco sui nostri titoli perché mantengono l’ipotesi che la Banca Centrale Europea
nel giro di qualche mese inizierà ad acquistare
direttamente gli stessi, assieme a quelli degli
altri paesi europei. Questa situazione può durare a lungo, anche anni, ma non in eterno. Gli
italiani devono convincersi a modificare le loro
abitudini di vita, sacrificandosi maggiormente,
e pensando non alla difesa dei propri privilegi
ma alla creazione di iniziative economiche che
siano in grado di creare valore e posti di lavoro.
Pensare di riassorbire un debito che è di circa il
135% del prodotto è illusorio senza un aumento costante sia dei prezzi sia del prodotto reale.
Non siamo assolutamente in grado di affrontare
il fiscal compact, che pure abbiamo firmato solo
pochi anni fa, e che ci impegna a ridurre di un
ventesimo all’anno il nostro rapporto tra debito e prodotto. La strada per raggiungere questi
obiettivi è ardua, ma deve essere percorsa con
coraggio, non con timidezza e disperazione.
Solo in questo modo l’Italia diventerà un paese
economicamente ‘normale’, caratterizzato da
parametri simili a quelli degli altri paesi, in cui
il merito e l’impegno vincono sulla rete di relazioni, in cui i giovani possono sognare di fare
un lavoro interessante rimanendo nei confini
nazionali, e in cui i genitori si sentiranno nuovamente orgogliosi di essere italiani sperando che
i loro figli rimangano a lavorare in Italia, invece
di mandarli sin da piccoli a studiare l’inglese
immaginando un’Italia senza futuro.
* Professore Ordinario di Economia Politica
Università Bocconi di Milano
Presidente Patti Chiari
05
06|2014
Piccoli segnali di ripresa, ma la strada
per uscire dalla crisi è ancora lunga
Il prolungarsi della crisi espone la nostra regione al rischio di desertificazione industriale
di Adalgiso Amendola *
P
er quanto riguarda il quadro macroeconomico, i fondamentali dell’economia regionale, molto in sintesi,
sono i seguenti. Ormai per il sesto
anno consecutivo, la Campania è in recessione,
con una contrazione del PIL di altri 3 punti nel
2013. Pertanto, tra il 2007 e il 2013, il PIL della
Campania ha subito una contrazione di oltre 13
punti percentuali, tornando addirittura ai livelli
del 1995: un passo indietro di quasi vent’anni!
Tra le cause di questo “straordinario regresso”
l’operare, tra gli altri, di alcuni fattori, congiunturali e strutturali, che nel corso della crisi hanno
agito, e purtroppo tuttora agiscono, sia dal lato
della domanda che dal lato dell’offerta. Il primo
fattore all’opera è una notevole, e perdurante,
flessione della domanda interna, dovuta, in
primo luogo, alla forte contrazione della spesa
per consumi delle famiglie; essa trova riscontro
nella contrazione, sia del credito al consumo,
sia di quello destinato all’acquisto di abitazioni, segnalata nei Rapporti della Banca d’Italia
degli ultimi anni. Alla perdurante flessione della
domanda interna concorre, in secondo luogo,
una significativa riduzione della spesa per investimenti, che nel corso della crisi ha assunto dimensioni addirittura drammatiche, nonostante
qualche recente segnale di segno opposto per
alcune imprese ed in alcuni comparti. Essa trova riscontro nella perdurante diminuzione della
domanda di credito finalizzata al finanziamento
degli investimenti, segnalata anche nel Rapporto della Banca d’Italia, alla quale ha corrisposto
un aumento della domanda di credito connessa
alle esigenze di ristrutturazione del debito.
La caduta dei consumi, in particolare, è conseguenza soprattutto (ma evidentemente non
solo) del grave deterioramento delle condizioni del mercato del lavoro regionale. Anche
nel 2013 l’occupazione ha continuato a calare; pertanto, tra il 2007 e il 2013, il numero di
occupati è diminuito di quasi il 9 per cento, a
fronte di una contrazione del 3,5 per cento per
il Paese nel suo complesso. I disoccupati sono
oltre 400.000, più del doppio rispetto al 2007.
La percentuale di NEET, i giovani tra i 14 e i 34
non impegnati in attività di studio, lavoro o formazione (Not in Education, Employment or Training), ha ormai superato il 40 per cento, contro
una media nazionale di circa il 27 per cento, con
un aumento di quasi 7 punti percentuali nel corso della crisi. Si tratta di uno scenario che non
può non destare allarme, per la stessa tenuta
sociale, oltre che economica, di molte aree territoriali della regione.
Il secondo fattore all’opera è il minore impatto
che in Campania, come nel resto del Mezzogiorno, ha la componente estera della spesa
aggregata e, di conseguenza, il ridotto effetto di
stimolo alla ripresa della domanda che possono
avere le fasi di crescita della domanda estera.
È questo un dato strutturale ben noto, conseguenza, sia della composizione settoriale del
sistema produttivo, sia della sua struttura dimensionale, dove prevalgono le piccole e piccolissime imprese: un sistema produttivo scarsamente orientato alle esportazioni, anche per il
maggiore peso dei servizi, e in generale, scarsamente competitivo sui mercati internazionali.
Il terzo fattore all’opera è l’ulteriore allargamento di un già insostenibile divario nella dotazione
di capitale infrastrutturale e produttivo. Si tratta
del resto, del principale, anche se non dell’unico, vincolo dal lato dell’offerta di cui soffrono, in
diversa misura, tutte le regioni meridionali e che
ne frena da sempre le prospettive di sviluppo e
di crescita economica.
A questi fattori si aggiunge poi il fatto che le manovre effettuate nel 2010 e nel 2011, e il regime
di austerità proseguito di fatto anche nel 2012 e
nel 2013, cumulandosi con gli effetti reali della
crisi finanziaria avviata nel 2007, hanno avuto,
in Campania, come nel resto del Mezzogiorno,
un impatto complessivo sulla produzione molto
più pesante che nel resto del Paese. Questo impatto ha, in ogni caso, avuto effetti particolarmente negativi sulla dinamica degli investimenti, già condizionata dai tagli operati dal governo
Berlusconi al Fondo per le Aree Sottoutilizzate
(FAS). Proprio in ragione di ciò la SVIMEZ segnala l’assoluta necessità di assicurare un più
valido sostegno ai processi di accumulazione di
capitale produttivo attraverso: (i) una maggiore
efficienza nella spesa delle risorse ancora disponibili dei Fondi strutturali e (ii) una migliore
“capacità di orientarli e concentrarli su un piano
di interventi infrastrutturali e di politica industriale attivabili a breve termine”.
Crisi d’impresa
e desertificazione
industriale
Un effetto strutturale
del prolungarsi della
crisi, è che, anche in
Campania, ancor più
che nel resto del Mezzogiorno, essa ha reso
decisamente drammatica la condizione generale delle imprese. Soprattutto quella delle imprese del settore industriale e, a partire dal 2011,
anche quelle del settore edilizio. Tanto da indurre la SVIMEZ a paventare il rischio di un processo di vera e propria desertificazione industriale,
destinato inevitabilmente a trasmettersi anche
agli altri settori di attività.
In particolare, nel settore industriale, durante la
fase recessiva del biennio 2008-09, la contrazione della produzione in Campania, come nel
resto del Mezzogiorno è stata, sia pure di poco,
ancor più consistente che al Centro-Nord, mentre la leggera ripresa registrata a livello nazionale nel biennio 2010-11, è stata praticamente
assente. La successiva prolungata fase di recessione ha dunque colpito il settore delle imprese
industriali campane in modo drammatico. Per la
verità, il Rapporto della Banca d’Italia segnala
per il 2013 un lieve aumento del fatturato delle aziende campane con almeno 20 addetti,
specie nei settori alimentare e in quello della
moda, e per le imprese con almeno due terzi di
fatturato esportato. Il polimorfismo delle imprese campane, tuttavia, non permette ancora di
interpretare questo segno di inversione di tendenza, come un trend sufficientemente generalizzato di uscita dalla crisi per il sistema produttivo della regione.
Alla base di questa drammatica evoluzione,
cause generali, che riguardano il sistema produttivo industriale del paese, e cause specifiche, riferibili all’apparato produttivo regionale.
In entrambi i casi sono all’opera, naturalmente,
sia fattori strutturali, sia fattori congiunturali
legati alla crisi. Tra i fattori di distorsione riferibili al sistema Italia, innanzitutto la perdurante
eccessiva consistenza, nel nostro Paese, di un
cuneo fiscale, che accresce sensibilmente il divario tra costo del lavoro e salario. L’eccessiva
pressione fiscale sul lavoro e sull’impresa rischia di compromettere, contemporaneamente,
sia i conti delle imprese, sia le prospettive di
crescita della domanda interna.
Tra le cause strutturali specifiche dell’apparato
industriale campano, innanzitutto una eccessiva frammentazione del tessuto industriale,
con una incidenza straordinaria della piccola e
piccolissima impresa, che inevitabilmente compromette la capacità di tenuta nelle fasi di crisi
prolungata come quella attuale. Ma anche una
scarsa internazionalizzazione delle imprese,
che tendono a ricorrere assai meno di quelle
del Centro Nord a processi di delocalizzazione,
outsourcing o ad accordi di collaborazione internazionale.
Un ulteriore determinante fattore di debolezza
strutturale è poi la ridotta propensione all’innovazione tecnologica e organizzativa, che diventa particolarmente rilevante nelle fasi di recessione come quella in atto. In assenza di diffusi
processi di innovazione prevalgono, infatti, le
produzioni più standardizzate, nelle quali la
competitività è maggiormente condizionata dai
costi unitari del lavoro. Ne consegue una straordinaria debolezza sistemica ed una diffusa
difficoltà ad operare con successo nei mercati
internazionali, dove le nostre imprese sono
maggiormente esposte alla concorrenza di prezzo proveniente dai PVS.
Crisi e
polimorfismo
territoriale
Nel caso della Campania questi problemi macroeconomici e strutturali si sono andati
articolando in un accentuato polimorfismo che ha riguardato, non solo
il sistema delle imprese, ma anche le diverse
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traiettorie di sviluppo, o di sottosviluppo, dei
singoli territori. La mappa degli Ambienti Economici Omogenei (AEO) individuabili in Campania (Figura 1) fornisce un quadro di sintesi della
varietà di queste diverse tipologie di ambienti
socio-economici e della loro distribuzione geografica. L’aggregazione dei singoli comuni in
AEO è ottenuta considerando il grado di omogeneità che i loro territori presentano rispetto
a variabili sociali ed economiche quali: la dinamica e la struttura della popolazione, il peso
dei diversi settori produttivi, il tenore socio-economico della comunità, la dotazione di capitale
umano, la dotazione infrastrutturale civile.
Come si vede, i comuni della Campania tendono ad aggregarsi in cinque tipi di AEO: (i) Ambiente economico intermedio pedemontano e
costiero, sostanzialmente caratterizzato da un
buon indice di pressione antropica sulle risorse; (ii) Ambiente urbano di attrazione locale e
turistica, caratterizzato da elevata densità della
popolazione, notevole vivacità dell’economia,
presenza di significative funzioni urbane e terziarie, compreso il comparto turistico, ottima
dotazione di capitale umano; (iii) Ambiente urbanizzato della pressione demografica e del disagio, che riflette la periferia metropolitana ad
alta densità e caratterizzata prevalentemente
da situazioni di disagio economico-sociale, sia
in termini di pressione sulle risorse infrastrutturali, sia in termini di difficoltà di assorbimento
della forza lavoro giovanile; (iv) Ambiente rurale
in ritardo di sviluppo, prevalentemente a vocazione agricola, caratterizzato da evidenti fattori
di ritardo di sviluppo, sia in termini di effettiva
performance, sia in termini di vitalità del settore
produttivo; (v) Ambiente montano della Campania interna, caratterizzato soprattutto da non
marginali rischi di ulteriore devitalizzazione dei
centri urbani, di cui gli elevati indici di vecchiaia
e di dipendenza della popolazione sono un evidente segnale.
Ne consegue che i sistemi locali del lavoro nei
quali tende ad organizzarsi l’economia della
regione - compresa l’area di interesse della
BCC di Fisciano, che ricade in buona parte nel
sistema locale del lavoro di Salerno - presentano al loro interno una più o meno significativa
articolazione di differenti AEO, dei quali vanno
organizzate e valorizzate le complementarietà.
Obiettivo è naturalmente vincere la sfida della
globalizzazione. E ciò richiede in primo luogo
di accrescere la competitività delle imprese, anche delle medie e piccole imprese tradizionalmente orientate alla produzione per il mercato
interno, puntando su: (1) innovazione organizzativa e commerciale, (2) innovazione tecnologica di processo e di prodotto, (3) miglioramento del capitale umano. In realtà nel mondo
globalizzato a competere sono sempre più i singoli territori, per cui si tratta anche di accrescere
la competitività dei sistemi locali di sviluppo,
cui concorrono: le imprese, le istituzioni locali,
le organizzazioni e le associazioni di settore,
il mercato del credito, il settore dell’istruzione e della formazione professionale, il settore
dell’alta istruzione e della ricerca (Università).
L’individuazione di una exit strategy dall’attuale
situazione di crisi che sia realmente efficace dovrebbe pertanto essere articolata su tre livelli di
azione possibilmente coordinati: (1) l’adozione
di opportune misure di politica macroeconomica, maggiormente orientate alla riduzione del
carico fiscale su lavoro ed impresa ed al sostegno della domanda interna, definite a livello nazionale o sovranazionale; (2) adeguati interventi strategici, strutturali e di spesa, a incentivo
e sostegno dei settori di vocazione ed a tutela
delle aree/settori in maggiori difficoltà, definiti
a livello regionale; (3) interventi operativi e strategie di riassetto organizzativo a livello locale
finalizzate a favorire l’innesco della crescita nei
singoli territori.
Cosa suggerisce
la nuova
economia dello
sviluppo
Per individuare alcune possibili linee di
azione, utili ad una
efficace exit strategy dalla crisi per i
territori della Campania, può essere di ausilio la Moderna Teoria
Economica dello Sviluppo (da ora MTES). Com’è
noto, l’approccio tradizionale alla crescita si
basa sull’idea che i ritardi di sviluppo siano dovuti a carenze nei fondamentali dell’economia
- che ne definiscono il quadro macroeconomico
e strutturale - e la loro persistenza a distorsioni del mercato. Ne conseguono ricette di politica economica consistenti: (i) in trasferimenti
orientati a ridurre o eliminare queste carenze,
ad esempio attraverso opportuni programmi
di investimento, accompagnando l’economia
delle regioni o dei territori in difficoltà lungo il
sentiero di crescita già seguito dalle economie
più avanzate, e (ii) in politiche orientate alla rimozione delle distorsioni al funzionamento dei
mercati, indotte dall’eccesso di intervento pubblico o di regolamentazione.
Molto in sintesi, la MTES adotta una prospettiva
affatto diversa, secondo la quale le economie
di differenti aree, regioni o paesi possono stabilmente assestarsi su traiettorie (modelli) di
sviluppo sostanzialmente e “strutturalmente”
diverse e pertanto niente affatto convergenti. Si
hanno situazioni di trappola della povertà, o del
sottosviluppo, quando l’economia di un’area,
regione o paese si colloca in una traiettoria di
sottosviluppo che si prolunga, perché la condizione di povertà, o di sottosviluppo iniziale,
tende ad autoriprodursi e quindi a permanere.
Tra i fattori in grado di influenzare, sia il livello,
che il sentiero di sviluppo dell’economia: le istituzioni, la distribuzione della ricchezza, la storia
passata e il capitale sociale dei diversi territori.
Ne consegue che ad uno stesso set di “fondamentali” dell’economia (preferenze, tecnologia,
risorse) potranno corrispondere nei diversi territori traiettorie di sviluppo sostanzialmente diverse; il che esclude l’idea stessa che possano
essere sufficienti i tradizionali interventi di politica macroeconomica (eventualmente espansiva) per assicurare l’uscita di un’area, regione o
paese dalla crisi e la convergenza verso un’unica traiettoria di crescita considerata efficiente.
La strategia di politica economica per lo sviluppo che emerge da questo filone di analisi è indubbiamente più complessa e impegnativa, ma
può essere meno costosa in termini di risorse
impegnate, e localmente più efficace, rispetto
alle politiche tradizionali. L’attenzione iene spostata piuttosto sui processi evolutivi, sulla complessità sistemica e sul ruolo di eventi casuali
(la storia), che possono essere all’origine di significative divergenze nelle traiettorie di sviluppo dei differenti territori. Si tratta in sostanza di
ingenerare nei territori in trappola del sottosviluppo, un mutamento strutturale di traiettoria,
approntando interventi finalizzati ad indurre un
movimento iniziale fuori dal sentiero o modello
di sviluppo preesistente, sufficiente ad attrarre
l’economia verso un nuovo sentiero o modello
di sviluppo, più efficiente ed innovativo (Hoff,
Stiglitz [2001]).
Riflessioni di
metodo per una
efficace
exit strategy
In sintesi, si può affermare che, la Campania si sia andato
trasformando, soprattutto nell’ultimo
06|2014
quindicennio, da regione in ritardo di sviluppo
in un paese sviluppato e in (tendenziale) crescita, a regione in persistente trappola della povertà e del sottosviluppo in un paese in declino. I
caratteri specifici della trappola della povertà
e del sottosviluppo nella quale appare bloccata l’economia della nostra regione riguardano,
innanzitutto, l’incapacità di utilizzare le risorse
disponibili ed in particolare la risorsa lavoro;
alla quale si associano i sempre più diffusi fenomeni di povertà ed esclusione, che stanno
caratterizzando le aree del disagio sociale in
Campania. In secondo luogo, una strutturale
debolezza dell’apparato produttivo, caratterizzato, come si è visto, da forti carenze quantitative e qualitative, sia nel settore industriale che
nel settore dei servizi.
Questa carenza si riflette anche in un terzo
aspetto, che riguarda le inefficienze nel settore
dei servizi pubblici; se, infatti, com’è stato notato, per quel che riguarda la ricchezza privata
(alimentazione, motorizzazione, abbigliamento, etc.), il distacco dalle zone più ricche del
Paese appare ancora contenuto in limiti accettabili, il divario è invece davvero vistoso nel settore dei servizi pubblici. Si pensi, ad esempio,
all’efficienza dell’amministrazione pubblica ed
a quella delle attrezzature scolastiche, all’assistenza degli anziani, alla mobilità urbana, alla
qualità ospedaliera. Sono queste cose, chiaramente evidenziate in recenti ricerche condotte
dalla Banca d’Italia, che fanno la differenza nella qualità della vita e nella tenuta economica e
civile del sistema Campania.
Un aspetto specifico della nostra Regione riguarda poi la straordinaria inefficienza delle
istituzioni pubbliche. Essa emerge come carattere strutturale assai diffuso in un contesto politico e sociale e di organizzazione della Pubblica
amministrazione, che, nei fatti, ha vanificato e
sembra destinato a vanificare tutti i possibili
vantaggi dell’autogoverno locale. In definitiva,
a causare la permanenza dell’economia della
Campania in una condizione di trappola della
povertà e del sottosviluppo, concorrono, per
dirla con le parole del ministro Barca, soprattutto due fattori di fondo: in primo luogo, “la
straordinaria inadeguatezza delle istituzioni
economiche formali e informali (siano esse
capitale sociale, capitale relazionale, fiducia,
o partecipazione democratica), di cui è parte
centrale la straordinaria debolezza dello Stato”; in secondo luogo, “la mancanza di volontà
(per interessi distributivi) e di capacità (per effetto inerziale) da parte delle classi dirigenti a
cambiare queste istituzioni e da parte dei suoi
cittadini a pretendere il cambiamento”. C’è dunque necessità urgente di una strategia di politica economica, che punti sul recupero e sullo
sviluppo della efficienza e della produttività del
sistema Campania, come opzione strategica essenziale per interrompere il declino e rilanciare
la crescita economica
Una interessante opzione a riguardo, da valutare con attenzione, potrebbe essere quella di
integrare, valorizzandone opportunamente gli
elementi positivi e di continuità, il disegno di
politica economica della Nuova Programmazione, con quello del Nuovo Meridionalismo.
Com’è noto, tra la fine degli anni cinquanta e
buona parte degli anni settanta, la politica di in-
dustrializzazione della Cassa per il Mezzogiorno si basava anche sull’idea che, per sradicare
atteggiamenti e mentalità storicamente radicati
nella società e nella cultura meridionale, che
ostacolavano lo sviluppo economico, nulla poteva essere più efficace che il trasferimento e
l’impianto sul territorio di grandi imprese moderne. Era questa un’idea molto presente, non
solo nel pensiero di alcuni grandi meridionalisti, ma anche nelle tesi del Nuovo Meridionalismo e di Pasquale Saraceno in particolare. Insomma, l’industrializzazione era lo strumento,
ma il progresso civile e culturale della società
meridionale l’obiettivo ultimo dell’intervento.
Anche la cosiddetta Nuova programmazione
(NP) messa in atto dal DPS del Ministero del
Tesoro tra l’ultima parte degli anni novanta e la
prima del decennio successivo, si è ispirata, in
modo certo più esplicito e consapevole, all’idea
di incidere sulla società e sulla cultura, sulla
creazione di rapporti di fiducia e collaborazione. Capovolgendo obiettivi e strumenti, l’impianto della NP è consistito, infatti, nel tentativo
di contribuire a creare, attraverso l’incentivazione e il controllo di progetti di sviluppo locale e
l’assunzione di impegni reciproci tra gli attori
dello sviluppo, quel “capitale sociale” che in
altre regioni già esisteva e ne aveva consentito
lo sviluppo. In certo senso creazione di capitale sociale e maggiore efficienza istituzionale
erano lo strumento, la riduzione del divario di
sviluppo economico e sociale l’obiettivo ultimo
dell’intervento.
Il problema della
governance
dello sviluppo
A ben guardare, politica di industrializzazione e nuova
programmazione,
sia pure in epoche
diverse, sono state, anche in Campania, storie di solo parziale
successo. Ciò soprattutto perché, nella loro
effettiva attuazione, non hanno visto come protagonisti principali, in grado di dare impulso,
contenuto progettuale e attuazione ai programmi intrapresi, le cosiddette istituzioni intermedie e gli attori, pubblici e privati, espressi dal
territorio.
L’idea è che la scarsa attenzione ai meccanismi
di governance, sia dell’intervento straordinario,
sia della NP, sia stata all’origine di più o meno
rilevanti fenomeni di distorsione degli incentivi,
sia degli attori pubblici, sia degli agenti privati
(famiglie ed imprese), generando per anni forti spinte ad adottare comportamenti collusivi e
clientelari, che assai spesso si sono trasformati
in veri e propri fenomeni di corruzione e concussione. Il problema della governance locale
è, invece, un problema di azioni di governo locale, che si configurano in rapporto al modo in
cui i soggetti che rappresentano le istituzioni
prendono le decisioni, interagiscono tra loro ed
interpretano la loro funzione di governo. L’efficienza del modello di governance locale, ad
esempio, dipende molto dalla capacità delle
istituzioni e delle organizzazioni che operano
sul territorio di sviluppare forme di cooperazione efficace nel perseguire comuni obiettivi di
interesse collettivo. Essa dipende anche dalla
efficienza dei meccanismi di interazione tra
istituzioni e organizzazioni diverse, ma anche
07
tra i singoli individui che in esse operano, o le
rappresentano.
Ora io credo che alcuni territori della Campania, compresa l’area di interesse della BCC di
Fisciano, possano diventare interessanti caso
di buona governance locale. In particolare, è
sicuramente cresciuta in alcuni territori la capacità di individuare i reali bisogni della collettività e, su questa base, di definire specifici
obiettivi strategici; di tradurre gli obiettivi in
progetti condivisi e di procedere verso la concreta realizzazione dei progetti. Negli ultimi lustri è, inoltre, migliorata la qualità del capitale
umano che opera all’interno delle istituzioni e
delle istituzioni intermedie, quali l’Università o
il sistema del credito, delle cui finalità c’è sicuramente una maggiore consapevolezza che in
passato. E’, infine, aumentata, anche per effetto
di una maggiore comprensione del ruolo delle
istituzioni e delle realtà locali, la presenza di
quel complesso di fattori, ivi compreso il senso
di comunità, che contribuiscono a determinare
la funzione urbana di una realtà altrimenti solo
urbanistica.
Questo giudizio sulla capacità complessiva del
sistema locale di amministrarsi, mediamente
più positivo rispetto al recente passato, è naturalmente conseguenza di alcuni fattori strutturali ed istituzionali. Esso si lega, in primo luogo, al fatto che anche per effetto delle riforme
istituzionali e del processo di decentramento di
cui si è detto, il ruolo di classe dirigente, precedentemente ricoperto soprattutto dai quadri
politici nazionali (rappresentanti locali nei governi, senatori e deputati), sia oggi attribuito,
anche nella percezione dell’opinione pubblica, soprattutto al personale politico che opera
a livello territoriale (sindaci, presidente della
provincia ecc.), ma anche a chi opera nelle altre
istituzioni intermedie (Università, Credito cooperativo, ecc.)
Si è, inoltre, ormai lontani da quella percezione
delle prospettive di sviluppo a determinazione
esogena, che ha caratterizzato per lunghi anni
l’impostazione dell’intervento straordinario nel
Mezzogiorno. Essa, sulla base di analisi e di
schemi di ragionamento pur molto corretti dal
punto di vista della teoria della politica economica, prospettava modelli di sviluppo e tecniche di intervento tendenzialmente omogenee
per tutto il territorio meridionale.
Oggi è, invece, maturata una chiara percezione della necessità di un modello di sviluppo a
determinazione endogena. L’idea generale è
che gli obiettivi da perseguire, i meccanismi da
mettere in moto, le risorse umane e materiali da
mobilitare, dovrebbero essere molto più legati all’identità ed alle reali vocazioni produttive
del territorio. E l’identità e le vocazioni sono
innanzitutto frutto della storia di un territorio e
della sua comunità. Lo sviluppo di processi di
formazione delle scelte strategiche e di effettiva
realizzazione dei progetti di interesse collettivo, basati sulla concertazione e la condivisione
degli obiettivi, costituisce,dunque, una precondizione essenziale per una reale prospettiva di
crescita economica e civile delle comunità.
* Professore Ordinario di Economia Politica
Università degli Studi di Salerno
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Perché la solidarietà individuale deve sostituirsi alla ormai insufficiente solidarietà istituzionale
Disagio sociale e ruolo delle comunità locali
I sindaci possono avviare un nuovo grande processo partecipativo sociale
di Pellegrino Capaldo *
L
a crisi economica in atto e le poco
convincenti terapie adottate per curarla stanno facendo crescere fortemente il disagio sociale.
A parte i tanti casi di povertà estrema, cresce il
numero di persone che non sono in grado di pagare l’affitto, di pagare le bollette, di soddisfare,
insomma, i bisogni essenziali. Il più delle volte
queste persone si rivolgono all’Amministrazione comunale o, nei piccoli centri, direttamente al Sindaco. Ma raramente i Sindaci sono in
grado di fare qualcosa o perché “non ci sono
soldi” o perché le poche risorse destinate ad
interventi sociali si sono già esaurite. E’ una situazione angosciosa, soprattutto per chi, come
i Sindaci, viene a contatto con forme di disagio
gravi e sente tutta la frustrazione di poter fare
ben poco. Bisogna, certo, cambiare il modo di
curare la crisi; dobbiamo certo riavviare un vero
processo di sviluppo, preoccupandoci di più
di quelli che, senza loro colpa, non reggono il
ritmo della crescente competizione divenuta ormai planetaria. Ma intanto che cosa facciamo? I
bisogni sono impellenti e non possono attendere che i provvedimenti per lo sviluppo e per l’occupazione – ammesso che il Governo si decida
ad assumerli – diano i loro frutti.
Qualcosa possiamo fare noi cittadini. E abbiamo il dovere di non sottrarci. Innanzitutto
dobbiamo renderci conto che lo Stato da solo
non ce la fa. L’ubriacatura del XX secolo ci ha
fatto credere che lo Stato potesse fare tutto per
tutti, senza limiti. Ora ci stiamo amaramente risvegliando e ci stiamo pian piano convincendo
che lo Stato non può risolvere accettabilmente
i problemi che abbiamo di fronte: la solidarietà
istituzionale, incentrata sullo Stato, si va rivelando sempre più insufficiente e inadeguata.
Dobbiamo ritornare a riscoprire la solidarietà
individuale che non è – sia chiaro – il ritorno
all’elemosina e al dono che paternalisticamente il ricco fa al povero ma è un diverso modo di
vivere e interpretare la propria appartenenza ad
una comunità umana.
Quella che io chiamo solidarietà individuale
non è solo un generico sentimento umanitario.
E’ qualcosa di più: è la consapevolezza che,
alla lunga, una comunità umana non può vivere e svilupparsi serenamente se al suo interno
vi sono grandi e ingiustificate differenze fra le
condizioni di vita dei suoi membri. Sarebbe un
grave errore ritenere che la pacifica convivenza
sia solo una questione di “ordine pubblico”.
Certo l’ordine pubblico, con il rigore delle sue
leggi, ha una funzione innegabile; ma da solo
non basta. Ecco allora che soprattutto in periodi
di crisi ma non solo in quelli, la comunità deve
riscoprire il ruolo della solidarietà individuale,
dell’attenzione all’altro come fatto di coesione sociale, senza la quale è vano pensare che
ci possa essere una buona qualità della vita.
Rendiamoci conto che la qualità della vita è
affidata innanzitutto a noi stessi, al nostro spirito d’iniziativa, al nostro impegno, alla nostra
attiva partecipazione alla vita sociale. Facciamo
delle nostre comunità delle autentiche “comunità solidali”. Aggreghiamoci con l’obiettivo di
migliorare la qualità della vita di tutti. Riscopriamo la logica del dono per affiancarla – non
dico per sostituirla – alla logica dello scambio.
Sotto questo aspetto sarebbe desiderabile che
ogni Comune o, nelle grandi città, ogni quartiere vedesse nascere un’Associazione aperta al maggior numero di cittadini, impegnati a
fare tutto quello che è possibile per migliorare
la vita della città o del quartiere in un’ottica di
operosa solidarietà. Non deve essere una mera
Associazione di beneficienza. Deve essere qualcosa di più. All’occorrenza, certo, deve anche
aiutare chi versa in condizione di bisogno. Ma
innanzitutto deve lavorare per diffondere, soprattutto tra i giovani (anche con iniziative nelle
scuole), una cultura della solidarietà incentrata
sul dono e su una generosa visione dei doveri
di cittadinanza. La nascita di queste Associazio-
ni è affidata ai cittadini di buona volontà. Ma è
chiaro che i Sindaci, con l’autorevolezza e con il
prestigio di cui godono, possono fare moltissimo per scuotere le coscienze, per individuare e
motivare le persone più adatte a mettersi a capo
di un movimento di opinione che porti poi alla
costituzione dell’Associazione. Il Sindaco deve
far comprendere ai cittadini che, senza la loro
partecipazione, egli può fare ben poco; deve
far comprendere che la partecipazione attiva e
generosa di tutti i cittadini è fondamentale per
dare alla Comunità un’impronta più solidale.
La strada è lunga e difficile, me ne rendo conto. Ma è la sola che può portarci lontano. Non
ci sono scorciatoie né alternative all’impegno di
ciascuno di noi. E i Sindaci – dandosi l’obiettivo
di fare della propria città una vera città solidale
– possono avviare un grande processo di cambiamento.
* Presidente della Fondazione Nuovo Millennio
Disagio sociale e Comunità locali / montoro
La nuova Montoro tra ripresa
economica e conoscenza
dei bisogni dei cittadini
di Daniela Apolito
L
a nuova Montoro, nella sua radicale trasformazione post referendum
che ha sancito la riunificazione dei
due comuni Superiore e Inferiore,
ha scelto anche un nuovo sindaco, Mario Bianchino. Quali sono i motivi che hanno prodotto
questo cambiamento?
Il cambiamento di cui parliamo è riferito
all’aspetto territoriale, giuridico, sociale e storico, diverse componenti che nell’insieme oggi
fanno vivere ai montoresi un radicale cambiamento.
È un cambiamento prima di tutto di ordine giuridico perché abbiamo una sola identità municipale a fronte dei due comuni. E’ un cambiamento che risiede in un processo sociale che
ha avuto il suo epilogo solo sul piano giuridico formale, ma non su quello sostanziale che
continua, riaffermando il senso più profondo di
attaccamento al proprio territorio, alla propria
comunità come percezione autentica.
Questo richiede un lavoro impegnativo, che abbiamo già avviato, di raccordo tra i vari attori sociali, i vari protagonisti del percorso di questa
comunità, e faccio riferimento alle associazioni
che operano sul territorio, alle scuole, alle parrocchie, a quanti possono trovare col comune e
istituzioni il giusto raccordo per rispondere ad
una serie di esigenze del cittadino. La coesione sociale rappresenta il principale elemento di
riferimento dell’azione amministrativa rispetto
ai cambiamenti che si sono avuti. E questo è an-
che uno stimolo a intervenire sui cambiamenti, sulle contraddizioni che la società moderna
determina nelle comunità: l’individuo, oggi, è
sempre più lasciato nella sua solitudine, è sempre più propenso a piegarsi su se stesso che a
cercare l’integrazione. Io penso che l’integrazione deve essere incentivata attraverso aspetti
che fanno riscoprire la fiducia del cittadino nei
confronti dell’istituzione.
06|2014
Il secondo elemento che io già registro e sul
quale ci siamo già soffermati nel nostro lavoro amministrativo è di dare risposte concrete
alla crescente domanda di natura sociale, che
è quasi esclusivamente rivolta al lavoro e alla
casa. Quindi la prima risposta da organizzare
è di tipo sociale e può avere uno sbocco attraverso le attività umane. Io credo che in questi
termini costruiremo una risposta che daremo
ad una fascia anche notevole della comunità.
Riaggregare e quindi ricercare tutti gli aspetti
che risiedono nel concetto di coesione sociale
è un processo, appartiene ad una storicità per
aver ritrovato, questa comunità, una sua integrità giuridica, il suo territorio bellissimo e immaginare un percorso futuro che poi è la sfida
che la politica deve avere su questo territorio.
L’economia della provincia di Avellino, così
come quella di tutta la Regione Campania, fotografa situazione ancora lontana dalla ripresa.
Quali sono i punti deboli dell’economia di questo territorio?
Questo territorio ha avuto una trasformazione
notevole nel corso degli anni, ed in particolare
dagli anni 60 in avanti perché, alla tradizionale
economia rurale che caratterizzava il montorese, si è registrata una integrazione progressiva
con le attività industriali del vicino comune di
Solofra. Questo ha determinato in gran parte un
aumento di reddito per tantissime famiglie ed
una integrazione lavorativa perchè, alle attività
agricole, si aggiungeva il lavoro presso le aziende conciarie solofrane. La crisi dell’attività conciaria solofrana ha determinato una caduta dei
livelli occupazionali. Nell’ambito delle attività
industriali solofrane c’erano ben 4000 addetti,
impegnati come operai, ai quali si aggiungono i
livelli occupazionali impiegatizi e libero professionali connessi all’intero sistema industriale
della concia. Noi sindaci all’epoca volemmo il
distretto industriale e riuscimmo ad ottenerlo e,
ieri come oggi, sono convinto il distretto, cioè
l’insieme di insediamenti produttivi medi che
messi in rete, riesce a determinare il decollo di
un territorio in termini di sviluppo.
Questa crisi dovrà necessariamente trovare una
evoluzione positiva, nel senso che questa realtà industriale dovrà fuoriuscire dalle secche
che hanno determinato questa caduta dei livelli
occupazionali e produttivi. E credo che questo
possa avvenire solamente attraverso la promozione delle eccellenze, attraverso una riconversione o una evoluzione produttiva di tipo altamente qualitativo, come produzione di nicchia
rivolta ad una domanda qualificata. Credo che
vadano incentivate le attività artigianali che,
insieme ad una serie di altre azioni, dovranno
costituire una novità assoluta per questo territorio. Penso all’attrattività del territorio, soprattutto la parte del montorese, dal punto di vista
paesaggistico, artistico, naturalistico, architettonico, delle attività religiose. Ci sono tanti
motivi per promuovere e realizzare sul nostro
territorio nuove condizioni per cui possa vivere
un turismo qualificato. Penso al turismo scolastico, a quello religioso: questo insieme deve
essere un motivo per rilanciare la nostra proposta in termini di sviluppo economico. Credo
che in termini moderni la ricomposizione della
nostra storia dovrà tendere principalmente a
favorire insieme alle azioni di coesione sociale,
azioni intorno ad un concetto di identità della
nostra realtà ed anche lo sviluppo economico
09
perché si possa guardare al futuro con una certa
fiducia soprattutto nei confronti dei più giovani
ai quali ci sentiamo particolarmente legati con
la nostra attività amministrativa e verso i quali
noi riteniamo che debba essere prestata da tutti
la massima attenzione perché l’impoverimento
del mezzogiorno viene sempre più segnato
dall’allontanamento dei giovani.
Crescita sociale e crescita culturale delle comunità. Quali azioni può avviare per sollecitare il
cammino in questa direzione?
Ci sono fatti concreti che questa amministrazione ha già posto in essere e possiamo tranquillamente seguire questo percorso. Noi abbiamo
già istituito con atti deliberativi in una delle realtà più popolose del nostro comune, Banzano,
un presidio sociale e un centro di aggregazione
per i giovani, un centro ascolto, e punto soprattutto ad un relazionamento sociale con la realtà
territoriale perché ci possa essere assistenza
domiciliare anche psicologica, soprattutto psicologica, per le devianze giovanili.
Quindi è il primo segnale concreto di intervento. E stiamo già programmando, e siamo in una
fase avanzata, la realizzazione di un centro dello stesso tenore nella frazione di Piano. Quindi
noi abbiamo un programma che punta ad interventi che stiamo già realizzando che abbiamo
già deliberato, quindi sono in fase di allestimento. A Banzano ci sono già i locali, stanno
facendo delle piccole rifiniture perché possano
entrare in funzione e prima di settembre il centro opererà.
Siamo già collegati con l’ordine degli psicologi
regionali, abbiamo contatti con il piano di zona
per interagire su una serie di interventi. Quindi
queste sono le azioni che sul sociale in maniera concreta oltre a tantissime altre azioni che
stiamo realizzando nei confronti dei più giovani, delle famiglie, del disagio in senso generale
e in particolare soprattutto per il disagio che
deriva dalla crisi del lavoro e di tipo personale e sociale prima che di tipo lavorativo. Quindi
queste sono le azioni che nel sociale dobbiamo
promuovere prima per recuperare un concetto
di civico senso di coesione sociale della comunità ma poi perché la comunità possa ritrovarsi in una dimensione umana diversa perché le
contraddizioni nelle trasformazioni che abbiamo vissuto in questi anni sono in particolare
incidenti sull’aspetto umano ed è questo che
va ripreso e va recuperato con forza mettere
l’uomo al centro di ogni riferimento e di discussione. Perché dicenti sempre meno individuo e
sempre più ricco di umanità.
Queste sono le condizioni sulle quali noi lavoriamo che sono poi le basi per considerare una
crescita di natura sociale. Per quanto l’aspetto
di tipo culturale. Noi mettiamo la cultura al primo posto. Noi stabiliamo una meta, perché senza l’indicazione di una meta non è possibile sviluppare un programma amministrativo e quindi
la cultura diventa un punto di riferimento. dire
facciamo cultura non significa portare il tale
letterato da fuori, il tale filosofo da fuori, il tale
cantante da fuori e poi dire che abbiamo fatto
iniziative di tipo culturale. Per noi fare cultura
sul territorio significa riuscire a comprendere le
risorse più adeguate che abbiamo sul territorio,
valorizzarle e sostenerle, farle esprimere in una
maniera aggregante per fare in modo che ci sia
inclusione intorno a queste risorse di quelle
componenti sociali in difficoltà. E fare cultura
significa realizzare un disegno bellissimo di
prospettiva in cui tutti possono ritrovarsi attraverso non solo la riscoperta della propria storia,
delle proprie radici delle proprie tradizioni, ma
anche il rilancio in prospettiva di un ruolo di
questa comunità.
Nel suo commento, che ospitiamo nelle pagine
di questo numero del trimestrale della BCC Fisciano, il prof. Pellegrino Capaldo, presidente
della Fondazione Terzo Millennio, immagina
– e auspica – che in ogni quartiere delle città
possa nascere “un’Associazione aperta al maggior numero di cittadini, impegnati a fare tutto
quello che è possibile per migliorare la vita della città o del quartiere in un’ottica di operosa
solidarietà”. Pensa di poter sollecitare questo
nuovo processo partecipativo e di autodeterminazione delle comunità?
Oggi bisogna capire quali sono le forme più
adeguate per fare in modo che le realtà si esprimano e possano trovare il loro giusto collegamento con le istituzioni, e io sono convinto che
oggi è importante, attraverso azioni di natura
sociale e culturale, includere le persone che vivono situazioni di difficoltà. È un circolo virtuoso che si sviluppa all’interno di una comunità
e sul territorio. L’impegno sociale quando è un
fatto aggregativo è utile all’intera comunità che
a sua volta ha un ruolo altamente propositivo.
Noi lo stiamo vedendo e in questa comunità ci
sono associazioni che già fanno promozione di
tipo sociale.
Quello del professore Capaldo è un pensiero
che deve essere veicolato: è come riscoprire le
pulsioni che muovono dal basso, è come aprire
le porte delle istituzioni per guardare in faccia
alla realtà. Io penso che la politica per troppo
tempo è stata distante da quella che è la vera
istanza del cittadino. Troppe volte si è immaginato di dare risposte ai problemi del cittadino a
distanza. Io penso che sia giunta l’ora in cui le
risposte debbano essere costruite attraverso la
conoscenza del bisogno. Se il professore Capaldo dice queste cose vuol dire che questo pensiero nasce da una riflessione, da una attenta
analisi della realtà sociale che vuole trovare
nelle istituzioni, che sono chiamate a decidere
azioni di governo, un collegamento serio per
costruire una risposta valide alle problematiche
che oggi si vivono.
10
Disagio sociale e Comunità locali / baronissi
Valiante: “diamo spazio
ai giovani e alle famiglie”
di Daniela Apolito
B
aronissi ha voltato pagina e ha scelto un nuovo sindaco, Gianfranco Valiante. Quali sono i motivi che hanno prodotto questo cambiamento?
Baronissi ha in effetti deciso di voltare pagina e
l’ha fatto lo scorso l’8 giugno scegliendo un Sindaco ed un’Amministrazione cha, credo, hanno avuto la capacità di leggere ed interpretare
i bisogni “veri” della comunità e di porsi come
speranza nuova ed orizzonte certo in una condizione da un pò di tempo probabilmente deteriorata nella relazione con la Istituzione.
Abbiamo individuato i bisogni veri: innanzi tutto
un rinnovato rapporto fra amministratore e cittadino fatto di rispetto e di chiarezza, una vera
democrazia partecipata con il coinvolgimento
diretto nella amministrazione della cosa pubblica. Abbiamo dato credibilità al nostro impegno
di sostenere prioritariamente i bisogni del cittadino e della famiglia in un contesto sociale difficile e reso ancor più problematico da una crisi
economica globale drammatica.
Abbiamo sostenuto la necessità del rilancio della città attraverso l’eccellenza dei servizi chiamando al protagonismo i cittadini ed i giovani
in particolare. Credo sia stata determinante la
storia personale di tutti i nostri candidati che,
anteponendo sempre l’interesse generale ed il
bene comune, hanno saputo conquistare la fiducia dell’elettorato.
Non è stato meno importante il nostro impegno
di assicurare una azione amministrativa rigorosa, trasparente e votata allo sviluppo in un
contesto in cui tutti, nessuno escluso, vengano
avanti e nessuno resti indietro.
Gli ultimi dati relativi all’economia della Valle dell’Irno descrivono una situazione ancora
lontana dalla ripresa. Quali sono i punti deboli
dell’economia della Valle dell’irno?
La crisi economica è sicuramente un elemento
determinante in un sistema economico piegato
su stesso anche a Baronissi e nella intera Valle
dell’Irno.
Ritengo che le ragioni, per così dire locali, che
hanno contribuito a rendere ancora più negativa una condizione già difficile vadano ricercate
sorattutto nella mancata capacità realizzativa,
magari quando tempi e risorse lo avrebbero
consentito, di opere infrastrutturali strategiche
che, se compiute, av rebbero reso meno difficile
la vita della nostra città: non c’è stato un rapporto privilegiato Comune di Baronissi - Università
di Salerno (che siede in parte anche nel nostro
territorio) e questo ha probabilmente annullato
il grande potenziale che il progetto “Città dei
Giovani, Facoltà di Medicina, Cittadella della
tecnologia e dell’Alta Formzione” avrebbe sicuramente esperito con ben altri risultati per la
nostra comunità. Negativa anche la incapacità
di porre in essere una sinergica azione per la
realizzazione della metropolitana Salerno - Baronissi - Università e della messa in sicurezza
e realizzazione della terza corsia del raccordo
autostradale Salerno - Baronissi - Mercato San
Severino. La crisi del commercio, dell’artigianato, dell’industria hanno fatto il resto.
Nel suo commento, che ospitiamo nelle pagine
di questo numero del trimestrale della BCC Fisciano, il prof. Pellegrino Capaldo, presidente
della Fondazione Terzo Millennio, immagina – e
auspica – che in ogni quartiere delle città possa
nascere “un’Associazione aperta al maggior numero di cittadini, impegnati a fare tutto quello
che è possibile per migliorare la vita della città
o del quartiere in un’ottica di operosa solidarietà”. Pensa di poter sollecitare questo nuovo
processo partecipativo e di autodeterminazione delle comunità?
La necessità di democrazia partecipata vera, di
interlocuzione onesta e chiara con il cittadino
ed il suo coinvolgimento nelle scelte strategiche dell’amministrazione sono stati un cavallo
di battaglia della nostra campagna elettorale.
Abbiamo impresso a questo tema, di cui siamo
fermamente assertori, una importanza fondamentale chiedendo ai cittadini per esempio di
costituire nei quartieri e nelle frazioni comitati
per una interlocuzione costante con chi governa
la città. E poi il protagonismo dei giovani nella
cosa pubblica, per noi, dovrà essere il valore
aggiunto anche perchè abbiamo l’ambizione,
forse la presunzione, di accompagnare tanti
ragazzi a divenire, con la buona politica, nuova
e concreta classe dirigente. E Dio sa quanto il
nostro Paese abbia bisogno di nuove ed oneste
energie.
A quali azioni del suo programma destinerebbe
la parte più consistente delle risorse disponibili
del suo Comune?
Non ho dubbi: nel sociale, nella cultura e nel
coinvolgimento dei nostri giovani.
Disagio sociale e Comunità locali / Mercato san severino
Romano: “nuove iniziative a sostegno
delle attività produttive”
di Daniela Apolito
C
’è un vecchio detto che recita che
chi lascia la via vecchia per una
nuova sa quello che lascia ma non
quello che trova. S. Severino ha
scelto: non ha voluto perdere il suo sindaco e
le ha rinnovato la fiducia. Perché? Quali sono
i motivi che hanno portato a questa conferma?
Il futuro che conosci e la Città prima di tutto:
ecco da dove è partita la proposta programmatica che abbiamo sottoposto ai cittadini le scorse recenti elezioni. Partiamo dal futuro, l’idea
che connota il nostro agire quotidiano, le nostre
prospettive, le nostre preoccupazioni. Il futuro
dei nostri figli, della nostra Comunità, del no-
stro Comune che, con la passione e l’impegno
di tutti noi, è diventato Città. Un futuro da costruire con determinazione ed autorevolezza,
facendo tesoro dell’esperienza e della competenza, aperto alle innovazioni senza disperdere il sapere acquisito sul campo, da governare
con regole certe, nel rispetto assoluto della legalità e garantendo la stabilità amministrativa
che siamo riusciti ad assicurare nel corso degli
anni. Quelle che abbiamo dimostrato di saper
definire prima e rispettare poi. Ecco perché è un
futuro che conosci già, perché si alimenta dalle
radici nella nostra esperienza amministrativa e
dalla serietà e concretezza che ha sempre con-
traddistinto la nostra azione quotidiana. Senza
false promesse, senza inganni, senza raggiri a
danno di concittadini che, stretti nella morsa
delle difficoltà economiche che la nostra Nazione sta vivendo da cinque anni, sono ancora
più vulnerabili. Abbiamo sempre detto la verità
e continueremo a farlo, con onestà e passione.
È la passione che ci ha consentito di riuscire,
comunque, a mantenere quello che avevamo
costruito insieme, migliorando la qualità dei
servizi della nostra Città. Senza mettere le mani
in tasca ai cittadini. Rimediando ai tagli delle
risorse finanziarie che lo Stato continua a introdurre a danno dei Comuni con leggi ingiuste.
06|2014
Con rigore e con la razionalizzazione delle spese che, nella nostra Città, sono iniziate prima
che le attuali norme statali lo imponessero.
Garantendo la stabilità e la continuità amministrativa che hanno reso la nostra Città “normale” e, nello stesso tempo, “atipica” rispetto
alla confusione ed alle fibrillazioni che stanno
caratterizzando, purtroppo da troppo tempo, il
contesto politico. Dicendo sempre la verità su
quanto non siamo riusciti ancora a realizzare a
causa delle difficoltà economiche e finanziarie
che hanno segnato la drammatica battuta d’arresto che sta vivendo la Nazione. Facendo tesoro del lavoro svolto e della considerazione che
ci siamo conquistati in questi anni, diventando
un modello per tantissimi Comuni. Ecco perché
ci hanno scelto, ancora una volta.
È il futuro che i concittadini già conoscono, in
cui tutti si è parte di una Comunità che ha recuperato le Radici smarrite, che ha ricostruito
il senso dell’Orgoglio Sanseverinese, che ha
rifondato su nuove basi il senso di appartenenza all’Identità del territorio, oggi ovunque
apprezzate anche grazie all’impegno civico di
chi è stato chiamato ad incarichi di Governo in
rappresentanza di una intera Città. Anche per
questo i nostri concittadini hanno deciso di rinnovare la fiducia al sindaco e alla sua squadra.
Gli ultimi dati relativi all’economica della Valle dell’Irno descrivono una situazione ancora
lontana dalla ripresa. Quali sono i punti deboli
dell’economia della Valle dell’Irno e quali invece sollecitare per avviare una nuova ripresa?
Una premessa. La Valle dell’Irno inizia, geograficamente parlando, ad Acquamela. Il territorio
di cui parliamo, invece, è ben più ampio e, quindi, alla Valle dell’Irno va aggiunto l’Alto Sarno.
Non è una puntualizzazione erudita. E’ un modo
per richiamare l’attenzione sulla necessità di
puntare ad uno sviluppo coerente con le vocazioni produttive consolidatesi nel passato.
Che nella Valle dell’Irno sono state, per lungo
tempo, il commercio, le attività manifatturiere
artigianali ed industriali, l’industria agroalimentare. Successivamente, l’insediamento
dell’Università di Salerno, ha stimolato in modo
sensibile il terziario avanzato dei servizi, ha
ulteriormente consolidato il commercio, ha gettato le basi di una sempre più possibile econo-
mia dell’accoglienza. Ecco, penso che questa
sintetica descrizideschi tenga ultimi elementi
di cui tener conto per ridisegnare scenari futuri
e fissare obiettivi da conseguire. Aggiungo che
occorre impegnarsi di più per sfruttare efficacemente l’enorme valore aggiunto rappresentato
dalla presenza dell’Ateneo per quanto riguarda
il trasferimento della ricerca alle attività produttive. Occorre far diventare un fattore attrattivo la
possibilità di fare ricerca applicata, di promuovere spin-off, di consolidare l’interazione stabile tra innovazione tecnologica ed imprese. E’ un
altro “vantaggio locazionale” oggi non sfruttato
compiutamente che si aggiunge a quello, storicamente dato, di una sistema di collegamenti
che rende agevole l’insediamento di nuove imprese. Chiaramente realizzando alcuni interventi strutturali di cui si parla da tempo, primo fra
tutti il potenziamento del raccordo autostradale Avellino-Mercato SSalerno e l’elettrificazione
dell’attuale linea ferroviaria. Per quanto riguarda la nostra Città, l’Amministrazione Comunale
rafforzarerà le iniziative a sostegno della rete
commerciale tradizionale attraverso un sistema
di promozione del commercio di qualità, eventi
di spettacolo per aumentare l’attrattività della
Città e la pedonalizzazione delle zone a maggiore caratterizzazione commerciale. Completeremo la procedura per ottenere il marchio di
“Centro Commerciale Naturale” per la qualificazione di Mercato S. Severino quale “Città della qualità, della convenienza e del commercio
tradizionale”. Si partirà con le reti commerciali
del Capoluogo, di S. Angelo e di S. Vincenzo.
Sosterremo gli operatori commerciali per consentire di accedere ai finanziamenti regionali,
per consolidare le loro aziende e migliorare la
qualità dei loro negozi; attueremo gradualmente pedonalizzazioni delle aree commerciali al
capoluogo ed in altre zone del territorio, per
realizzare progressivamente chiusure al traffico
veicolare permanenti; istituiremo in modo permanente il “mercatino dello scambio e dell’antiquariato” ed il “mercato contadino”, risposta
concreta per contrastare i disagi derivanti dalla
crisi economica e per promuovere una efficace
cultura del consumo sostenibile e della “filiera
corta” della commercializzazione dei prodotti.
Svilupperemo un marchio di qualità certificato per l’artigianato sanseverinese e le attività
produttive a forte impronta territoriale (Denominazione Comunale – DECO); istituiremo uno
sportello, presso il Comune, dedicato a fornire
informazioni ed assistere coloro che intendono
attivare nuove iniziative economiche; potenzieremo il C.I.L.O. (Centro d’Iniziativa Locale per
l’Occupazione) la cui attività si è intensificata
grazie all’accreditamento sul portale www.garanziagiovani.gov.it, ottenuto dal Ministero del
Lavoro e delle Politiche Sociali.
Inoltre, grazie alla fattiva collaborazione con
l’Università di Salerno, saranno avviate iniziative di “incubazione di imprese” per favorire il
trasferimento di competenze di ricerca teorica
a quelle di ricerca applicata al mondo della produzione.
Una ulteriore importante realtà per l’economia
del territorio è lo sviluppo del Polo Integrato
della Logistica, le cui infrastrutture saranno realizzate con i finanziamenti europei erogati dalla
Regione Campania e per il cui progetto è già arrivato il giudizio di coerenza e di finanziabilità.
Si tratta della prima piattaforma retro-portuale
della Regione Campania, al servizio del porto di
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Salerno, per le lavorazioni di quarta gamma e di
confezionamento, con annessa area doganale e
Centro di Ricerca dell’Università di Salerno sulle tecnologie logistiche.
Nel suo commento, che ospitiamo nelle pagine
di questo numero del trimestrale della BCC di
Fisciano, il prof. Pellegrino Capaldo, presidente della Fondazione Terzo Millennio, immagina
– e auspica – che in ogni quartiere delle città
possa nascere “un’Associazione aperta al maggior numero di cittadini, impegnati a fare tutto
quello che è possibile per migliorare la vita della città o del quartiere in un’ottica di operosa
solidarietà”. Pensa di poter sollecitare questo
nuovo processo partecipativo e di autodeterminazione delle comunità?
Per iniziare un cammino in questa direzione una
nuova impostazione culturale andrebbe favorita: la fiducia e lo spirito di collaborazione grazie
al quale le persone cooperano liberamente per
il bene comune.
A Mercato S. Severino, il retaggio di uno spirito
simile esiste da sempre. Un’economia informale basata sulla reciprocità e sulla solidarietà è
sempre esistita, l’aiuto restituito di amici e vicini…
Quell’”Agorà della Solidarietà e Partecipazione” di cui parla il professore Capaldo può e deve
essere il risultato di una scommessa importante, una scelta coraggiosa e strategica, il segno
di una rotta,decisa e concreta, a sollievo del disagio, sia di quello “antico” sia di quello “nuovo”, indotto dalla drammatica crisi che stiamo
attraversando. E’ già in corso l’attivazione di
percorsi inclusivi di solidarietà; lo sviluppo di
processi di sussidiarietà orizzontale, integrando organizzazioni del Terzo Settore, Istituzioni,
aziende e famiglie, per promuovere benessere
individuale e collettivo; è l’espressione di un
modello originale ed innovativo di welfare comunitario, preconizzato dalla L.328/2000, ma
ancora di difficile attuazione, in cui i diversi
attori sociali coinvolti, ed i soggetti fruitori dei
servizi, siano compartecipi e corresponsabili di
un processo circolare, unitario ed organico, di
reciproca cura e di tensione verso forme diversificate di sviluppo locale.
Sotto il profilo normativo, la partecipazione civica è stata ulteriormente rafforzata e rinnovata
nei contenuti in seguito alla riforma del Titolo
V della Costituzione, la quale introduce, all’art.
118, il principio di sussidiarietà orizzontale, che
stabilisce che “Stato, Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma
iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per
lo svolgimento di attività di interesse generale,
sulla base del principio di sussidiarietà”. Questa lettura ha come conseguenza un processo di
de-strutturazione e ri-costruzione della relazione con cui le PP.AA. si approcciano al cittadino,
che corre parallelamente al processo più ampio
di democratizzazione della vita pubblica. L’approccio di coinvolgimento attivo ha una duplice
funzione: da un lato andremo a ricercare spazi e
modalità di interazione con i cittadini in grado
di rappresentare bisogni ed istanze specifiche,
dall’altro avremo più contributi e più punti di vista alla soluzione dei problemi complessi della
comunità locale. Tale approccio va ad impattare
sulle modalità di funzionamento dell’Ente per
cui implementeremo strumenti nuovi da affiancare ai tradizionali strumenti di rappresentanza
generale degli interessi dei cittadini.
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Una notizia “buona”
di Luciano Sagliocca *
S
iamo letteralmente bombardati da notizie sulla nostra salute;
non c’è giornale divulgativo che non contiene una sezione/rubrica che ci informa su quali sono gli interventi più efficaci per
una particolare condizione, o gli esami da eseguire per controllare se stiamo bene o infine i comportamenti raccomandati per mantenerci in buona salute. Questi suggerimenti nella maggior parte dei casi
non citano le fonti che le supportano e spesso provengono dall’opinione
e dall’esperienza di un “esperto” che cura la rubrica. L’unica opzione possibile è fidarci/affidarci a quel consiglio.
Ovviamente un lettore fa molta fatica a distinguere tra un’informazione
che ha solide basi scientifiche, da altre basate solo sull’opinione di chi
scrive, ad altre ancora che sono vere e proprie forme di pubblicità (spesso
ingannevoli) che incoraggiano l’uso di rimedi miracolosi su problemi diffusi per i quali ognuno di noi ha misurato eccezionali livelli di frustrazione; mi riferisco, tra l’altro, alle creme per la cellulite, alle bustine per dimagrire, alle lozioni per riavere i capelli dell’adolescenza o alle compressine
per mantenersi giovani. Da qualche anno si stanno diffondendo iniziative
e programmi di empowerment, un termine che non ha un corrispondente
in italiano; si può definire come “partecipazione consapevole e attiva del
cittadino alla scelta delle varie opzioni in tema di salute.
L’idea è quella di passare da un rapporto paternalistico, in cui il medico
ti dice cosa fare, ad uno partecipato e simmetrico, per quanto possibile,
in cui il medico spiega e motiva la sua scelta e le alternative possibili ad
un cittadino/paziente che ha gli strumenti di base per comprendere ed
interagire. I programmi di empowerment preparano cittadini, pazienti ed
associazioni a compiere non solo scelte consapevoli individuali ma anche
Eletti i membri del primo comitato
direttivo del Becoming Club
È un club giovane, formato da giovani, con idee
giovani. La BCC di Fisciano lo ha fortemente voluto perché attraverso il Becoming – il neonato
club della banca di Credito Cooperativo – può
stringere un rapporto nuovo con i giovani teso
ad aprire nuove opportunità sia di lavoro che di
crescita culturale e professionale.
A pochi mesi dalla sua nascita, il Becoming è
diventato un punto di riferimento per i tanti giovani – oltre trecento i soci che ne fanno parte
– e lo dimostra la forte partecipazione alla prima assemblea che si è tenuta il 5 luglio scorso
convocata per la elezione del primo comitato
direttivo.
Oltre cento i giovani che si sono riuniti nei nuovi
locali del Business point e che hanno votato – a
scrutinio segreto – i nove nomi che compongono il primo comitato direttivo del Becoming.
Saranno loro l’interfaccia tra il Club e il Consiglio di Amministrazione della BCC di Fisciano.
Saranno loro i portavoce delle esigenze e delle
iniziative che gli oltre trecento soci (destinati a
crescere) intendono realizzare.
Sono nove i consiglieri eletti al termine della votazione del 5 luglio scorso:
Antonello De Carluccio;
Mario Iannone;
Silvia Concilio;
Anna D’Auria;
Milena Santullo;
Alfonso Sessa;
Marta Pecoraro;
Carmine Del Regno;
Stefania Petrone
a pretendere di partecipare alla gestione della salute in termini di scelte
strategiche ed organizzative. Alla base di un progetto di empowerment
naturalmente c’è una informazione che ha gli elementi essenziali per poterne misurare il valore, la qualità e le implicazioni del suo trasferimento
nella pratica.
Quali sono le caratteristiche essenziali di una buona informazione?
È un’informazione che cita le fonti, ne descrive la qualità, indaga gli eventuali conflitti di interesse, misura il livello complessivo di conoscenza su
quel quesito clinico, espliciti la sua rilevanza e le possibili ricadute, ed
infine traduca le evidenze disponibili in una raccomandazione di comportamento pratico con linguaggio divulgativo.
A partire dal prossimo numero proveremo a fare questo. Vi daremo una
“notizia buona” nel senso che a partire da evidenze scientifiche disponibili ed esplicite su un quesito clinico, descriveremo la qualità di quell’informazione e le possibili ricadute che può avere. Sceglieremo come priorità quesiti ad alta modificabilità per i quali l’adozione/ non adozione
della raccomandazione dipende in larga misura da un nostro impegno in
prima persona. Il quesito del prossimo numero: un elevato consumo di
carni rosse può essere nocivo alla salute?
* Epidemiologo clinico
Le caratteristiche di una buona
informazione scientifica
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Le fonti (vantagi e svantaggi)
Gli autori e i potenziali conflitti di interesse
La rilevanza del problema
La qualità dell’ evidenza scientifica
Le possibili ricadute
Una dettagliata raccomandazione di comportamento
I giovani della BCC
volano a Trento
L
a sfida dei giovani è già contenuta
nel titolo del Forum di Trento “#cisiamoEuropa”: è un monito, una
promessa, una certezza. L’hashtag
in due parole ha dato il senso di una grande
partecipazione giovanile alle nuove sfide che il
futuro, sia del lavoro che della crescita culturale, ogni giorno pone.
Condividere risultati e nuovi obiettivi, favorire
la circolazione delle esperienze, confrontarsi su
tema attuale sono stati gli argomenti di discussione della tre giorni che si è tenuta a Trento
sede quest’anno, in occasione dei 10 anno di
costituzione del club giovani soci della Bcc di
Anaunia dall’undici al tredici luglio.
Alla convention ha preso parte anche il neonato
Becoming Club della BCC Fisciano con Michele
Pierri, Silvia Concilio e Alfonso Sessa.
A livello nazionale sono ormai 67 le realtà giovanili costituite all’interno delle compagini sociali
delle BCC-CR (oltre 20 in più rispetto al maggio
scorso), e altre sono in fase di costituzione e a
trento c’erano oltre 250 giovani in rappresentanza dei tanti club giovanili nati in Italia negli
ultimi anni.
“E’ stata una importante occasione di crescita –
racconta Michele Pierri – perché abbiamo potuto partecipare ad una iniziativa che ci ha portati
ad incontrare tantissimi giovani che stanno facendo lo stesso percorso che noi abbiamo intrapreso da meno di un anno. Interessante è stata
la sessione “seminariale”, con testimonianze
qualificate interne ed esterne al Credito Cooperativo, e altrettanto importante e formativa è
stato conoscere le nuove realtà associative e i
progetti che nell’ultimo anno, e negli anni passati, sono stati elaborati dai gruppi. Abbiamo
respirato aria di cooperazione, e quella stessa
aria vogliamo adesso condividerla con i giovani
soci nel nostro club di Fisciano. Chissà che non
riusciamo a portare anche qui il Forum ed organizzarlo noi del Becoming”.
I giovani hanno avuto la possibilità anche di
ascoltare le parole di alcuni eminenti esponenti
del mondo della cooperazione e non solo. Al forum erano infatti presenti il presidente di Federcasse Alessandro Azzi, il presidente della Cassa
Rurale d’Anaunia che ha ospitato l’incontro Ivo
Zucal e il presidente della Cooperazione Trentina (e neo nominato vice di Federcasse) Diego
Schelfi. L’iniziativa ha visto la presenza anche
del vicario della Diocesi trentina mons. Lauro
Tisi, il direttore di Federcasse Sergio Gatti, Bepi
Tonello che ha fondato in Equador la banca solidale Codessarollo, il direttore del Consorzio
Melinda Luca Granata e Anne Schneider rappresentante dell’associazione tedesca delle banche cooperative.
La conclusione della tre giorni di Trento è stata
affidata al prof. Leonardo Becchetti ed Emanuele Spina di Federcasse che hanno tenuto un intervento sull’Unione Bancaria.