06|2014 Magazine trimestrale della Banca di Credito Cooperativo di Fisciano Il rapporto dell’economia Campana della Banca d’Italia Luci ed ombre della nostra economia I l 2013 è stato ancora un anno di recessione per la Campania, il sesto consecutivo. Nel corso del 2013 gli indicatori congiunturali hanno tuttavia smesso di peggiorare: le imprese che hanno partecipato alle indagini campionarie della Banca d’Italia segnalano, in media, un arresto della caduta del fatturato nel 2013 e previsioni di moderata crescita per il 2014. È questo il dato più significativo che emerge dal rapporto l’Economia Campania redatto dalla Banca d’Italia, e commentato su questo numero del trimestrale della BCC Fisciano da Giovanni Iuzzolino, Banca d’Italia – Napoli. Tra gli altri dati importanti descritti nelle prime pagine del nostro “Primo Piano” dedicato all’economia, si legge in particolare, che la ripresa non si è estesa al mercato del lavoro: nel 2013 l’occupazione è anzi calata di quasi l’uno per cento, nonostante la tenuta 2 pagina 4 del comparto industriale. Ma la speranza è dura a morire, e infatti, nei prossimi mesi, se si rafforzeranno i segnali di ripresa congiunturale, è però possibile un miglioramento anche delle condizioni di accesso al credito: le banche intervistate lo scorso febbraio, prevedono nel corso del 2014 una modica ripresa della domanda di credito delle imprese e un miglioramento nelle condizioni di offerta. E se il Rapporto redatto dalla Banca d’Italia traccia luci ed ombre dell’economia campana, a livello mondiale e nazionale la situazione non si differenzia molto. Il commento di Andrea Beltratti, docente di Economia Politica alla Bocconi di Milano e presidente del Consorzi Patti Chiari, descrive un 2014 che si sta caratterizzando per una crescita economica inferiore a quanto ci si poteva aspettare alcuni mesi fa in America, come in Europa, come in Cina. Se pure sono state adottate misure importanti a sostegno della crescita da parte della Banca Centrale Europea, il ritmo delle riforme economiche è ancora troppo lento, e quelle attuate richiedono anni per funzionare. pagina Primo piano: L’economia della 5 Campania nel corso della crisi Primo piano: Senza riforme strutturali l’economia stenta a decollare pagina Primo piano: Piccoli segnali di 8 ripresa, ma la strada per uscire dalla crisi è ancora lunga pagina Attualità: Disagio sociale e ruolo delle comunità locali Attualità: Montoro. La nuovo Montoro tra ripresa economia e conoscenza dei bisogni dei cittadini 10 pagina Attualità: Baronissi. Valiante: diamo spazio ai giovani e alle famiglie Attualità: Mercato San Severino. Romano: nuove iniziative a sostegno delle attività produttive 12 pagina La nostra salute: una notizia “buona” Eletti i membri del primo comitato direttivo del Becoming Club I giovani della Bcc volano a Trento Alle pagg. 2, 3, 4 e 5 Giovanni Iuzzolino, Andrea Beltratti e Adalgiso Amendola Anno 1 • Numero 6/2014 Una nuova filiale per continuare a crescere L eggendo i commenti contenuti nelle pagine di questa edizione del nostro trimestrale, viene fuori un quadro della situazione economica nazionale - relativa all’anno 2013 - che registra piccoli segnali di ripresa, ma ancora non sufficienti ad una nuova crescita del Paese. Serve uno sforzo collettivo, ognuno nella propria area di competenza, per sostenere l’azienda Italia. In questo contesto gli istituti di credito dovranno fare molto di più per accompagnare la possibile ripresa che stenta a partire. La nostra BCC, che in questi anni di dura crisi economica ha continuato nell’attività di impiego sostenendo famiglie ed imprese, ha scelto di essere presente con maggiore forza nell’area di competenza, aprendo anche una nuova filiale nel comune di Baronissi. Si tratta della quarta filiale dopo Mercato San Severino, Bracigliano e Montoro. La Banca di Credito Cooperativo è già presente a Baronissi perché offre il suo servizio di tesoreria al Comune e ad un istituto scolastico superiore, oltre a numerosi sportelli bancomat presenti. Quella di Baronissi non è solo la semplice apertura di una nuova filiale, ma dimostra la nostra volontà di crescere per far crescere, ed accompagnare, la crescita di una intera comunità. Domenico Sessa Presidente BCC Fisciano Piccoli segnali di ripresa di Adalgiso Amendola * L a maggior parte delle analisi, convergono nel segnalare il perdurare della situazione di grave crisi economica e sociale nella quale versa, ormai da tempo, la nostra regione. Per la verità il Rapporto sull’economia della Campania, rilasciato nel mese di giugno dalla Banca d’Italia, rileva nel 2013 alcuni iniziali segni di ripresa, o almeno di interruzione di questa lunga fase recessiva. Essi, tuttavia, non sono ancora sufficientemente consolidati, o diffusi a livello di settori o di territori, da far pensare all’effettivo avvio di un consolidato percorso di uscita dalla crisi. I principali fatti stilizzati dell’economia della Campania nel corso della crisi sono analizzati in maggior dettaglio nell’articolo di Giovanni Iuzzolino. Può essere, tuttavia, utile integrare il quadro non certo incoraggiante che emerge da questi dati, con una sintesi dei principali fattori, congiunturali e strutturali, che lo hanno determinato. Lo scopo è di proporre all’attenzione alcune riflessioni di metodo e qualche linea operativa per una possibile exit strategy capace di guardare con la dovuta attenzione anche alla dimensione territoriale dei problemi. segue a pag. 5 é 02 L’ECONOMIA DELLA CAMPANIA NEL CORSO DELLA CRISI Si arresta il peggioramento ma gli indicatori sono pigri nel volgere verso la ripresa di Giovanni Iuzzolino * I l 2013 è stato ancora un anno di recessione per la Campania, il sesto consecutivo; secondo le stime di Prometeia il PIL sarebbe diminuito del 2,7 per cento in volume, portando a oltre 13 punti percentuali il calo cumulato dall’avvio della crisi. Negli ultimi sei anni la riduzione del PIL campano è stata di quasi 5 punti percentuali superiore alla media italiana (tavola 1). Il divario si è manifestato soprattutto a partire dal 2010, in corrispondenza della ripresa della domanda estera e dell’accentuarsi della contrazione fiscale; esso si correla alla minore apertura dell’economia regionale al commercio estero e alla sua maggiore dipendenza dalla spesa pubblica, che si è decisamente contratta per le esigenze di risanamento sia del bilancio nazionale sia di quello degli enti locali della regione. Nel corso del 2013 gli indicatori congiunturali hanno tuttavia smesso di peggiorare: le imprese che hanno partecipato alle indagini campionarie della Banca d’Italia segnalano, in media, un arresto della caduta del fatturato nel 2013 e previsioni di moderata crescita per il 2014. È migliorata la situazione di liquidità: lo scorso anno, la quota di imprese con un utile di bilancio è infatti aumentata di circa 2 punti percentuali (al 49 per cento), a fronte di una riduzione di circa 7 punti nella quota di aziende in perdita (al 31 per cento). Un miglioramento emerge anche dalla dinamica dei depositi bancari delle imprese, cresciuti del 16 per cento, dopo la sostanziale stabilità del 2012 I segnali di ripresa risultano più diffusi nell’industria, deboli nel com-parto dei servizi, assenti in quello edilizio. 06|2014 Editore CRA BCC di Fisciano Società cooperativa p.iva 01068650652 Corso San Giovanni 84080 Lancusi (SA) Direttore Responsabile Valentina Serra Coordinamento redazione Daniela Apolito Organo ufficiale della BCC di Fisciano Registrazione presso il Tribunale di Salerno N. 17 del 17/10/2012 Chiuso in redazione: 21 Luglio 2014 [email protected] Progettazione realizzazione e coordinamento editoriale Segno Associati • www.segnoassociati.it Stampa Sivi Graphic • www.sivigraphic.it Tabella 1 PIL in Italia e in Campania (1) (variazioni percentuali) Va. % sull’anno precedente Anno (Fonte) 2008 (Istat) 2009 (Istat) 2010 (Istat) 2011 (Istat) 2012 (Istat) 2013 (stime Prometeia) Campania -1,2 -5,5 1,7 0,4 -2,4 -1,9 Italia -1,5 -5,6 -1,4 -1,0 -2,0 -2,7 Va. % cumulate rispetto al 2007 (anno pre-crisi) Campania -1,2 -6,6 -5,0 -4,5 -6,9 -8,5 Italia -1,5 -7,0 -8,3 -9,2 -11,0 -13,4 (1) Valori concatenati, anno di riferimento 2005. In particolare, secondo l’indagine svolta dalla Banca d’Italia, nel 2013 il fatturato delle aziende industriali campane con almeno 20 addetti è lievemente aumentato (dell’1,5 per cento a prezzi costanti, a fronte di un calo del 3,3 per cento nel 2012. La dispersione intorno al dato medio continua però a essere elevata: un aumento delle vendite pari ad almeno l’1,5 per cento, in termini costanti, ha riguardato il 48 per cento delle imprese, laddove il 45 per cento ha riportato un calo dello stesso ordine di grandezza. In media, l’incremento è stato più intenso nel settore alimentare e in quello della moda e per le imprese con almeno due terzi di fatturato esportato. L’incidenza delle esportazioni sul fatturato industriale è aumentata di circa due punti percentuali (al 29,3 per cento). La crescita del fatturato prevista per il 2014 è del 4,3 per cento in termini costanti: circa due terzi delle imprese si attendono un aumento di almeno l’1,5 per cento, mentre solo un quinto prevede un calo altrettanto significativo. Nell’industria, anche la spesa per investimenti in beni materiali ha interrotto la tendenza calante avviata con la crisi, risultando in media lievemente positiva (1,5 per cento): il dato riflette soprattutto la maggior spesa di alcune imprese di grandi dimensioni. Resta invece negativo il saldo tra la quota di imprese che segnalano un aumento degli investimenti pari ad almeno il 3 per cento e la quota di quelle che riportano un calo di entità corrispondente (40 e 55 per cento del campione, rispettivamente). Nelle previsioni delle imprese, il saldo dovrebbe mantenersi negativo anche nel 2014. L’edilizia ha continuato a risentire della debolezza degli investimenti pubblici. Sulla base dell’Indagine sulle costruzioni e le opere pubbliche con-dotta dalla Banca d’Italia su un campione di imprese campane con almeno 10 addetti, nel 2013 la produzione di opere pubbliche è calata del 12,0 per cento a prezzi costanti. La tendenza, nelle previsioni delle imprese intervistate, proseguirebbe nel 2014, ma a ritmi molto meno intensi (-1,8 per cento). Il settore dei servizi ha continuato a risentire della riduzione dei con-sumi, solo in piccola parte compensata dalla tenuta della spesa dei turisti stranieri; lo scorso anno, più del 60 per cento delle famiglie campane ha giudicato inadeguate le proprie risorse economiche, oltre 20 punti percen-tuali sopra la media italiana: il dato riflette soprattutto l’alta disoccupazione e la debolezza dei salari reali che, in base ai dati Istat sulla Rilevazione sulle forze di lavoro, sono diminuiti negli ultimi quattro anni. In definitiva, i segnali di ripresa risultano ancora molto incerti e limitati alle aspettative di alcune categorie di imprese sull’evoluzione degli ordinativi. La ripresa, in particolate, non si è estesa al mercato del lavoro: nel 2013 l’occupazione è anzi calata di quasi l’uno per cento, nonostante la tenuta del comparto industriale. Il numero di persone occupate si situa ampiamente al di sotto del livello precedente l’avvio della crisi (-8,5 per cento sul 2007; -3,5 per cento in Italia). Nel primo trimestre del 2014, si è manifestato un nuovo, intenso calo pari a circa 50 mila unità. Intanto, la ricerca attiva di lavoro continua a estendersi a fasce sempre più ampie di popolazione: lo scorso anno le persone in cerca di occupazione, pur decelerando, hanno superato le 400.000 unità. Il loro livello, come nel resto d’Italia, è pari al doppio di quello del 2007. Soprattutto, si è ancora ampliata, superando il 40 per cento del totale, la quota di giovani tra i 15 e i 34 anni non occupati e non coinvolti in alcuna esperienza formativa. Lo scorso anno il tasso di occupazione della popolazione tra i 15 e i 64 anni è stato pari al 39,8 per cento (40,0 nel 2012), 16 punti percentuali in meno rispetto alla media nazionale. Il tasso di occupazione è fortemente differenziato a seconda dell’età e del genere: nel 2013 esso è stato più elevato per gli uomini rispetto alle donne in tutte le fasce di età (51,5 contro 28,4 per cento nel complesso della popolazione attiva). La crisi ha ridotto i tassi di occupazione soprattutto per i più giovani e gli uomini. Tra il 03 06|2014 2008 e il 2013 il tasso di occupazione maschile è calato di 6,5 punti nella media e di 14,1 punti nella fascia di età fra i 25 e i 34 anni. Negli ultimi anni le condizioni di inserimento dei giovani nel mondo del lavoro sono peggiorate in particolare per i meno istruiti. Nella media 2011-2013 il tasso di occupazione dei giovani campani che hanno concluso gli studi è diminuito rispetto al periodo 2006-2008 di circa 5 punti percentuali per i laureati, di 13 punti tra i diplomati e di 9 punti tra i giovani con istruzione primaria. La quota di popolazione occupata varia sensibilmente anche all’interno della regione. Tra i 54 sistemi locali del lavoro (SLL) campani, nel 2012 (ultimo anno in cui sono disponibili i dati) tale quota era minima a Castellammare di Stabia (27,9 per cento; fig. 1a) e massima a Solofra (40,9). Tra il 2007 e il 2012 il tasso di occupazione è diminuito in quasi tutti i sistemi locali (fig. 1b). un terzo dei prestiti erogati alle piccole imprese campane e circa un quarto di quelli erogati alle medio-grandi imprese erano classificati in sofferenza. Secondo gli intermediari bancari, la domanda di credito finalizzata al finanziamento degli investimenti è ancora diminuita, mentre è cresciuta la componente connessa alle esigenze di ristrutturazione del debito. Nel 2013 si è intensificato anche il calo dei prestiti alle famiglie (tavola 3); la maggiore contrazione ha riguardato sia il credito al consumo sia quello destinato all’acquisto di abitazioni. Durante la crisi, con la netta riduzione dei consumi di beni durevoli, è calata la quota di credito finalizzato all’acquisto di mezzi di trasporto o altri beni durevoli mentre è aumentata la quota di credito non finalizzato a specifiche spese, passata dal 60,7 al 79,0 per cento tra il 2008 e il 2013. In particolare è aumentata la quota dei prestiti che prevedono la cessione del quinto dello stipendio (dal 10,7 al 22,9 per cento) e Figura 1 Livello e andamento del tasso di occupazione nei sistemi locali del lavoro (1) (valori percentuali) (a) Tassi di occupazione nel 2012 (b) Variazioni assolute 2007-2012 Fonte: Istat, Rilevazione sulle forze di lavoro. (1) Nelle statistiche sui sistemi locali del lavoro il tasso di occupazione è calcolato come il rapporto tra il numero di occupati e la popolazione con almeno 15 anni di età. Come il mercato del lavoro, neanche il mercato del credito ha mostrato segni di inversione di tendenza: la dinamica dei prestiti alle imprese è rimasta negativa (tavola 2) e si sono acuite le difficoltà di rimborso: alla fine del 2013 oltre quella dei prestiti per-sonali (dal 42,4 al 49,3 per cento). La quota di credito al consumo connesso all’utilizzo di carte di credito revolving, che non offre specifiche garanzie al creditore, è lievemente diminuita. Anche il numero di carte Tabella 2 Prestiti di banche e società finanziarie alle imprese per forma tecnica e branca di attività economica (1) (variazioni percentuali su 12 mesi) VOCI Dic. 2012 Giu. 2013 Dic. 2013 Mar. 2014 (2) Forme tecniche (3) Anticipi e altri crediti autoliquidanti -12,2 -14,9 -18,1 -19,6 di cui: factoring -9,7 -16,8 -21,4 -25,1 Aperture di credito in conto corrente 1,7 -7,1 -8,8 -7,9 Mutui e altri rischi a scadenza -6,7 -7,4 -5,8 -6,0 di cui: leasing finanziario -8,9 -9,0 -8,9 -8,8 Branche (4) Attività manifatturiere -3,5 -1,8 -1,5 -1,5 Costruzioni -0,7 -2,1 -3,6 -3,9 Servizi -2,9 -5,4 -4,6 -4,5 Altro (5) -0,7 -1,1 -1,8 -0,5 Totale (4) -2,6 -3,9 -3,6 -3,6 Fonte: Centrale dei rischi. (1) Dati riferiti alle segnalazioni di banche, società finanziarie e società veicolo di operazioni di cartolarizzazione sui finanziamenti a società non finanziarie e famiglie produttrici. – (2) Dati provvisori. – (3) Nelle forme tecniche non sono comprese le sofferenze e i finanziamenti a procedura concorsuale. – (4) I dati includono le sofferenze e i finanziamenti a procedura concorsuale. – (5) Include i settori primario, estrattivo ed energetico. di credito attive, aumentato fino agli albori della crisi, è successivamente calato passando, tra il 2008 e il 2012, da 223 a 152 ogni mille persone maggiorenni residenti in regione. Nei prossimi mesi, se si rafforzeranno i segnali di ripresa congiunturale, è però possibile un miglioramento anche delle condizioni di accesso al credito: le banche intervistate lo scorso febbraio, prevedono nel corso del 2014 una modica ripresa della domanda di credito delle imprese e un miglioramento nelle condizioni di offerta. Può avervi contribuito una migliorata situazione di liquidità delle imprese, favorita anche dal rimborso dei crediti commerciali verso la Pubblica amministrazione (pari a circa 2,5 miliardi tra l’autunno del 2013 e l’inverno del 2014). Anche per le famiglie, l’inasprimento delle condizioni di offerta alle famiglie si sarebbe arrestato nella seconda parte del 2013: segnali di distensione provengono dalle migliorate condizioni di costo mediamente applicate sui mutui Nel corso della crisi, un importante elemento di resistenza delle fami-glie è stato rappresentato dalla disponibilità di uno stock di ricchezza di dimensioni non trascurabili: la ricchezza è il complesso dei beni materiali o immateriali che hanno un valore di mercato di cui una famiglia dispone. Essa è data dalla somma di attività reali (valore delle abitazioni, dei terreni, dei fabbricati non residenziali, ecc.) e attività finanziarie (valore dei depositi, dei titoli, delle azioni, ecc.), che insieme formano la ricchezza lorda, meno le passività finanziarie (mutui, prestiti personali, ecc.). In base a elaborazioni preliminari abbiamo stimato che alla fine del 2012 la ricchezza netta delle famiglie (consumatrici e produttrici) campane fosse pari a circa 580 miliardi di euro. In Campania era concentrato il 7 per cento del corrispondente aggregato nazionale e il 30 per cento di quello delle regioni meridionali. La ricchezza regionale era pari a circa 8,1 volte il reddito disponibile lordo regionale, un rapporto sostanzialmente stabile dalla metà dello scorso decennio, che si mantiene superiore alle regioni del Mezzogiorno e in linea con la elevata media italiana. Le attività reali costituiscono tradizionalmente la componente più rile-vante della ricchezza lorda delle famiglie: alla fine del 2012 essa era pari in Campania al 67 per cento del totale, un peso uguale a quello delle regioni del Mezzogiorno, ma superiore di 6 punti rispetto alla media nazionale; in termini pro capite ammontava a poco più di 73 mila euro, un valore netta-mente inferiore a quello del complesso del paese (circa 97 mila euro). Le abitazioni di proprietà dei residenti in Campania rappresentavano nel 2012 l’83 per cento della ricchezza reale delle famiglie, una quota sostanzialmente stabile dal 2006, anno di picco del ciclo immobiliare; lo stock di capitale delle famiglie produttrici, costituito da fabbricati non residenziali, impianti, macchinari e attrezzature, scorte e avviamento, incideva per il 13 per cento circa; i terreni e gli oggetti di valore, assieme, per circa il 4 per cento (tre punti percentuali in meno del 2002). La componente finanziaria della ricchezza netta (attività finanziarie al netto delle passività) delle famiglie campane ammontava, alla fine del 2012, a 2,2 volte il reddito disponibile. Un Primo piano 04 terzo delle disponibilità finanziarie delle famiglie campane era costituita da titoli pubblici ed esteri, obbligazioni private, prestiti alle cooperative, azioni, altre partecipazioni e quote di fondi comuni. Il contante, i depositi bancari e il risparmio postale rappresentavano il 46,3 per cento delle attività finanziarie lorde, in aumento rispetto agli anni precedenti la crisi. Nel confronto con la media nazionale, il portafoglio delle famiglie campane risultava relativamente più ricco di risparmio postale; le azioni, le obbligazioni bancarie e le quote di fondi comuni assumevano invece un peso inferiore. La quota di attività rappresentata da contante, depositi ban-cari, titoli di Stato e prestiti alle società cooperative infine, era simile ai valori rilevati nelle regioni di confronto e in Italia. I depositi detenuti presso le banche dalle famiglie e dalle imprese, che assieme ai titoli a custodia costituiscono la principale componente del ri-sparmio finanziario, sono cresciuti del 4,1 per cento a dicembre 2013 rispetto a dodici mesi prima (4,2 a fine 2012) e del 3,1 nel primo trimestre del 2014, in base a dati provvisori. * Divisione economica - sede di Napoli della Banca d’Italia Tabella 3 Prestiti di banche e società finanziarie alle famiglie consumatrici (1) (dati di fine periodo, valori percentuali) (variazioni percentuali su 12 mesi) VOCI Mar. 2014 (2) Composizione % Dic. 2012 dicembre 2013 (3) Giu. 2013 Prestiti per l’acquisto di abitazioni Banche -0,4 -0,8 Banche e società finanziarie -1,5 51,5 -0,6 -0,1 -3,6 -3,4 31,8 Banche -2,6 -2,2 -2,5 -1,7 16,3 Società finanziarie 2,0 2,4 -4,8 -5,1 15,4 -0,1 16,8 -1,8 100,0 Banche Altri prestiti (4) 0,1 0,2 Totale (5) Banche e società finanziarie 0,4 -0,3 -0,4 -1,9 Fonte: segnalazioni di vigilanza. (1) I prestiti includono i pronti contro termine e le sofferenze. – (2) Dati provvisori. – (3) Il dato complessivo può non corrispondere alla somma delle componenti a causa degli arrotondamenti. – (4) Altre componenti tra cui le più rilevanti sono le aperture di credito in conto corrente e i mutui diversi da quelli per l’acquisto, la costruzione e la ristrutturazione di unità immobiliari a uso abitativo. – (5) Per le società finanziarie, il totale include il solo credito al consumo. Non bastano da sole le singole azioni della BCE a stimolare la ripresa di Andrea Beltratti * I -1,5 Credito al consumo Senza riforme strutturali l’economia stenta a decollare l 2014 si sta caratterizzando per una crescita economica inferiore a quanto ci si poteva aspettare alcuni mesi fa. Gli Stai Uniti difficilmente giungeranno al 3% di crescita, e la forte contrazione del prodotto interno loro del primo trimestre, associato anche alle condizioni ambientali e al rigido inverno, è un campanello d’allarme da non sottovalutare. La Cina non riesce ad imprimere una accelerazione che riporti la crescita al livello desiderato, in questo modo esercitando un effetto negativo su tutta l’Asia. La necessità di controllare il sistema degli intermediari non bancari e di frenare la crescita dei prezzi immobiliari fanno a pugni con l’esigenza di rilanciare la domanda aggregata. L’Europa annaspa attorno ad un livello di crescita debolmente positivo. I paesi periferici hanno mostrato segni di miglioramento, ma non sono al livello necessario per superare la crisi in maniera definitiva. Soltanto l’Africa mantiene, da vari anni, una crescita media intorno al 5% annuo, ma è ancora troppo piccola per fungere da traino al mondo. Questo il difficile contesto entro cui si muovo il nostro paese, che deve tenere conto di due venti, uno che soffia dietro di noi e uno che soffia davanti. Il vento contrario è rappresentato proprio dalla limitata domanda internazionale, che ci impedisce di godere di un livello di domanda aggregata pari alle nostre attese. In un contesto di domanda riflessivo, le nostre imprese devono combattere per aumentare le loro quote di Dic. 2013 mercato in una situazione in cui nessuno vuole cederle. Il vento favorevole è rappresentato dalla politica monetaria della Banca Centrale Europea, che dal 2012 sta dialogando con i mercati per ‘comprare tempo’ per i paesi in difficoltà come il nostro. Le molteplici promesse, esplicite ed implicite, dalla BCE sui tassi a zero e sull’intervento diretto per l’acquisto dei titoli di Stato hanno funzionato. Il tasso decennale sui titoli pubblici italiani è addirittura sceso sotto il 3%, ad un livello poco superiore a quello inglese ed addirittura statunitense, a soli 100 punti base di distanza dalla Francia (paese peraltro anch’esso in gravi difficoltà). La riduzione dei tassi di interesse ha molteplici benefici, consentendo allo Stato italiano e alle nostre aziende più indebitate di limare il costo del debito. Comprare tempo può essere molto utile per consentire che le riforme strutturali vengano messe in atto e possano produrre effetto, ma rischia di essere una misura auto-distruttiva se le riforme strutturali non ci sono. Purtroppo il ritmo delle riforme economiche è ancora troppo lento, e quelle attuate richiedono anni per funzionare. Ad esempio la riforma del credito introdotta alla fine del 2012, che ha di fatto consentito ad operatori non bancari e persino alle compagnie di assicurazione di partecipare ad attività dirette di prestito, non ha ancora avuto un forte effetto. Non si tratta di carenze o cattiva volontà. Qualsiasi riforma strutturale richiede tempo per funzionare. Proprio per questo non dobbiamo illuderci che un tasso di interesse inferiore al 3% sia un riconoscimento da parte dei mercati finanziari legato all’aspettativa che l’economia tornerà presto a crescere a buon ritmo in modo da riassorbire la montagna del nostro debito pubblico. Gli investitori sono disponibili a guadagnare così poco sui nostri titoli perché mantengono l’ipotesi che la Banca Centrale Europea nel giro di qualche mese inizierà ad acquistare direttamente gli stessi, assieme a quelli degli altri paesi europei. Questa situazione può durare a lungo, anche anni, ma non in eterno. Gli italiani devono convincersi a modificare le loro abitudini di vita, sacrificandosi maggiormente, e pensando non alla difesa dei propri privilegi ma alla creazione di iniziative economiche che siano in grado di creare valore e posti di lavoro. Pensare di riassorbire un debito che è di circa il 135% del prodotto è illusorio senza un aumento costante sia dei prezzi sia del prodotto reale. Non siamo assolutamente in grado di affrontare il fiscal compact, che pure abbiamo firmato solo pochi anni fa, e che ci impegna a ridurre di un ventesimo all’anno il nostro rapporto tra debito e prodotto. La strada per raggiungere questi obiettivi è ardua, ma deve essere percorsa con coraggio, non con timidezza e disperazione. Solo in questo modo l’Italia diventerà un paese economicamente ‘normale’, caratterizzato da parametri simili a quelli degli altri paesi, in cui il merito e l’impegno vincono sulla rete di relazioni, in cui i giovani possono sognare di fare un lavoro interessante rimanendo nei confini nazionali, e in cui i genitori si sentiranno nuovamente orgogliosi di essere italiani sperando che i loro figli rimangano a lavorare in Italia, invece di mandarli sin da piccoli a studiare l’inglese immaginando un’Italia senza futuro. * Professore Ordinario di Economia Politica Università Bocconi di Milano Presidente Patti Chiari 05 06|2014 Piccoli segnali di ripresa, ma la strada per uscire dalla crisi è ancora lunga Il prolungarsi della crisi espone la nostra regione al rischio di desertificazione industriale di Adalgiso Amendola * P er quanto riguarda il quadro macroeconomico, i fondamentali dell’economia regionale, molto in sintesi, sono i seguenti. Ormai per il sesto anno consecutivo, la Campania è in recessione, con una contrazione del PIL di altri 3 punti nel 2013. Pertanto, tra il 2007 e il 2013, il PIL della Campania ha subito una contrazione di oltre 13 punti percentuali, tornando addirittura ai livelli del 1995: un passo indietro di quasi vent’anni! Tra le cause di questo “straordinario regresso” l’operare, tra gli altri, di alcuni fattori, congiunturali e strutturali, che nel corso della crisi hanno agito, e purtroppo tuttora agiscono, sia dal lato della domanda che dal lato dell’offerta. Il primo fattore all’opera è una notevole, e perdurante, flessione della domanda interna, dovuta, in primo luogo, alla forte contrazione della spesa per consumi delle famiglie; essa trova riscontro nella contrazione, sia del credito al consumo, sia di quello destinato all’acquisto di abitazioni, segnalata nei Rapporti della Banca d’Italia degli ultimi anni. Alla perdurante flessione della domanda interna concorre, in secondo luogo, una significativa riduzione della spesa per investimenti, che nel corso della crisi ha assunto dimensioni addirittura drammatiche, nonostante qualche recente segnale di segno opposto per alcune imprese ed in alcuni comparti. Essa trova riscontro nella perdurante diminuzione della domanda di credito finalizzata al finanziamento degli investimenti, segnalata anche nel Rapporto della Banca d’Italia, alla quale ha corrisposto un aumento della domanda di credito connessa alle esigenze di ristrutturazione del debito. La caduta dei consumi, in particolare, è conseguenza soprattutto (ma evidentemente non solo) del grave deterioramento delle condizioni del mercato del lavoro regionale. Anche nel 2013 l’occupazione ha continuato a calare; pertanto, tra il 2007 e il 2013, il numero di occupati è diminuito di quasi il 9 per cento, a fronte di una contrazione del 3,5 per cento per il Paese nel suo complesso. I disoccupati sono oltre 400.000, più del doppio rispetto al 2007. La percentuale di NEET, i giovani tra i 14 e i 34 non impegnati in attività di studio, lavoro o formazione (Not in Education, Employment or Training), ha ormai superato il 40 per cento, contro una media nazionale di circa il 27 per cento, con un aumento di quasi 7 punti percentuali nel corso della crisi. Si tratta di uno scenario che non può non destare allarme, per la stessa tenuta sociale, oltre che economica, di molte aree territoriali della regione. Il secondo fattore all’opera è il minore impatto che in Campania, come nel resto del Mezzogiorno, ha la componente estera della spesa aggregata e, di conseguenza, il ridotto effetto di stimolo alla ripresa della domanda che possono avere le fasi di crescita della domanda estera. È questo un dato strutturale ben noto, conseguenza, sia della composizione settoriale del sistema produttivo, sia della sua struttura dimensionale, dove prevalgono le piccole e piccolissime imprese: un sistema produttivo scarsamente orientato alle esportazioni, anche per il maggiore peso dei servizi, e in generale, scarsamente competitivo sui mercati internazionali. Il terzo fattore all’opera è l’ulteriore allargamento di un già insostenibile divario nella dotazione di capitale infrastrutturale e produttivo. Si tratta del resto, del principale, anche se non dell’unico, vincolo dal lato dell’offerta di cui soffrono, in diversa misura, tutte le regioni meridionali e che ne frena da sempre le prospettive di sviluppo e di crescita economica. A questi fattori si aggiunge poi il fatto che le manovre effettuate nel 2010 e nel 2011, e il regime di austerità proseguito di fatto anche nel 2012 e nel 2013, cumulandosi con gli effetti reali della crisi finanziaria avviata nel 2007, hanno avuto, in Campania, come nel resto del Mezzogiorno, un impatto complessivo sulla produzione molto più pesante che nel resto del Paese. Questo impatto ha, in ogni caso, avuto effetti particolarmente negativi sulla dinamica degli investimenti, già condizionata dai tagli operati dal governo Berlusconi al Fondo per le Aree Sottoutilizzate (FAS). Proprio in ragione di ciò la SVIMEZ segnala l’assoluta necessità di assicurare un più valido sostegno ai processi di accumulazione di capitale produttivo attraverso: (i) una maggiore efficienza nella spesa delle risorse ancora disponibili dei Fondi strutturali e (ii) una migliore “capacità di orientarli e concentrarli su un piano di interventi infrastrutturali e di politica industriale attivabili a breve termine”. Crisi d’impresa e desertificazione industriale Un effetto strutturale del prolungarsi della crisi, è che, anche in Campania, ancor più che nel resto del Mezzogiorno, essa ha reso decisamente drammatica la condizione generale delle imprese. Soprattutto quella delle imprese del settore industriale e, a partire dal 2011, anche quelle del settore edilizio. Tanto da indurre la SVIMEZ a paventare il rischio di un processo di vera e propria desertificazione industriale, destinato inevitabilmente a trasmettersi anche agli altri settori di attività. In particolare, nel settore industriale, durante la fase recessiva del biennio 2008-09, la contrazione della produzione in Campania, come nel resto del Mezzogiorno è stata, sia pure di poco, ancor più consistente che al Centro-Nord, mentre la leggera ripresa registrata a livello nazionale nel biennio 2010-11, è stata praticamente assente. La successiva prolungata fase di recessione ha dunque colpito il settore delle imprese industriali campane in modo drammatico. Per la verità, il Rapporto della Banca d’Italia segnala per il 2013 un lieve aumento del fatturato delle aziende campane con almeno 20 addetti, specie nei settori alimentare e in quello della moda, e per le imprese con almeno due terzi di fatturato esportato. Il polimorfismo delle imprese campane, tuttavia, non permette ancora di interpretare questo segno di inversione di tendenza, come un trend sufficientemente generalizzato di uscita dalla crisi per il sistema produttivo della regione. Alla base di questa drammatica evoluzione, cause generali, che riguardano il sistema produttivo industriale del paese, e cause specifiche, riferibili all’apparato produttivo regionale. In entrambi i casi sono all’opera, naturalmente, sia fattori strutturali, sia fattori congiunturali legati alla crisi. Tra i fattori di distorsione riferibili al sistema Italia, innanzitutto la perdurante eccessiva consistenza, nel nostro Paese, di un cuneo fiscale, che accresce sensibilmente il divario tra costo del lavoro e salario. L’eccessiva pressione fiscale sul lavoro e sull’impresa rischia di compromettere, contemporaneamente, sia i conti delle imprese, sia le prospettive di crescita della domanda interna. Tra le cause strutturali specifiche dell’apparato industriale campano, innanzitutto una eccessiva frammentazione del tessuto industriale, con una incidenza straordinaria della piccola e piccolissima impresa, che inevitabilmente compromette la capacità di tenuta nelle fasi di crisi prolungata come quella attuale. Ma anche una scarsa internazionalizzazione delle imprese, che tendono a ricorrere assai meno di quelle del Centro Nord a processi di delocalizzazione, outsourcing o ad accordi di collaborazione internazionale. Un ulteriore determinante fattore di debolezza strutturale è poi la ridotta propensione all’innovazione tecnologica e organizzativa, che diventa particolarmente rilevante nelle fasi di recessione come quella in atto. In assenza di diffusi processi di innovazione prevalgono, infatti, le produzioni più standardizzate, nelle quali la competitività è maggiormente condizionata dai costi unitari del lavoro. Ne consegue una straordinaria debolezza sistemica ed una diffusa difficoltà ad operare con successo nei mercati internazionali, dove le nostre imprese sono maggiormente esposte alla concorrenza di prezzo proveniente dai PVS. Crisi e polimorfismo territoriale Nel caso della Campania questi problemi macroeconomici e strutturali si sono andati articolando in un accentuato polimorfismo che ha riguardato, non solo il sistema delle imprese, ma anche le diverse 06 traiettorie di sviluppo, o di sottosviluppo, dei singoli territori. La mappa degli Ambienti Economici Omogenei (AEO) individuabili in Campania (Figura 1) fornisce un quadro di sintesi della varietà di queste diverse tipologie di ambienti socio-economici e della loro distribuzione geografica. L’aggregazione dei singoli comuni in AEO è ottenuta considerando il grado di omogeneità che i loro territori presentano rispetto a variabili sociali ed economiche quali: la dinamica e la struttura della popolazione, il peso dei diversi settori produttivi, il tenore socio-economico della comunità, la dotazione di capitale umano, la dotazione infrastrutturale civile. Come si vede, i comuni della Campania tendono ad aggregarsi in cinque tipi di AEO: (i) Ambiente economico intermedio pedemontano e costiero, sostanzialmente caratterizzato da un buon indice di pressione antropica sulle risorse; (ii) Ambiente urbano di attrazione locale e turistica, caratterizzato da elevata densità della popolazione, notevole vivacità dell’economia, presenza di significative funzioni urbane e terziarie, compreso il comparto turistico, ottima dotazione di capitale umano; (iii) Ambiente urbanizzato della pressione demografica e del disagio, che riflette la periferia metropolitana ad alta densità e caratterizzata prevalentemente da situazioni di disagio economico-sociale, sia in termini di pressione sulle risorse infrastrutturali, sia in termini di difficoltà di assorbimento della forza lavoro giovanile; (iv) Ambiente rurale in ritardo di sviluppo, prevalentemente a vocazione agricola, caratterizzato da evidenti fattori di ritardo di sviluppo, sia in termini di effettiva performance, sia in termini di vitalità del settore produttivo; (v) Ambiente montano della Campania interna, caratterizzato soprattutto da non marginali rischi di ulteriore devitalizzazione dei centri urbani, di cui gli elevati indici di vecchiaia e di dipendenza della popolazione sono un evidente segnale. Ne consegue che i sistemi locali del lavoro nei quali tende ad organizzarsi l’economia della regione - compresa l’area di interesse della BCC di Fisciano, che ricade in buona parte nel sistema locale del lavoro di Salerno - presentano al loro interno una più o meno significativa articolazione di differenti AEO, dei quali vanno organizzate e valorizzate le complementarietà. Obiettivo è naturalmente vincere la sfida della globalizzazione. E ciò richiede in primo luogo di accrescere la competitività delle imprese, anche delle medie e piccole imprese tradizionalmente orientate alla produzione per il mercato interno, puntando su: (1) innovazione organizzativa e commerciale, (2) innovazione tecnologica di processo e di prodotto, (3) miglioramento del capitale umano. In realtà nel mondo globalizzato a competere sono sempre più i singoli territori, per cui si tratta anche di accrescere la competitività dei sistemi locali di sviluppo, cui concorrono: le imprese, le istituzioni locali, le organizzazioni e le associazioni di settore, il mercato del credito, il settore dell’istruzione e della formazione professionale, il settore dell’alta istruzione e della ricerca (Università). L’individuazione di una exit strategy dall’attuale situazione di crisi che sia realmente efficace dovrebbe pertanto essere articolata su tre livelli di azione possibilmente coordinati: (1) l’adozione di opportune misure di politica macroeconomica, maggiormente orientate alla riduzione del carico fiscale su lavoro ed impresa ed al sostegno della domanda interna, definite a livello nazionale o sovranazionale; (2) adeguati interventi strategici, strutturali e di spesa, a incentivo e sostegno dei settori di vocazione ed a tutela delle aree/settori in maggiori difficoltà, definiti a livello regionale; (3) interventi operativi e strategie di riassetto organizzativo a livello locale finalizzate a favorire l’innesco della crescita nei singoli territori. Cosa suggerisce la nuova economia dello sviluppo Per individuare alcune possibili linee di azione, utili ad una efficace exit strategy dalla crisi per i territori della Campania, può essere di ausilio la Moderna Teoria Economica dello Sviluppo (da ora MTES). Com’è noto, l’approccio tradizionale alla crescita si basa sull’idea che i ritardi di sviluppo siano dovuti a carenze nei fondamentali dell’economia - che ne definiscono il quadro macroeconomico e strutturale - e la loro persistenza a distorsioni del mercato. Ne conseguono ricette di politica economica consistenti: (i) in trasferimenti orientati a ridurre o eliminare queste carenze, ad esempio attraverso opportuni programmi di investimento, accompagnando l’economia delle regioni o dei territori in difficoltà lungo il sentiero di crescita già seguito dalle economie più avanzate, e (ii) in politiche orientate alla rimozione delle distorsioni al funzionamento dei mercati, indotte dall’eccesso di intervento pubblico o di regolamentazione. Molto in sintesi, la MTES adotta una prospettiva affatto diversa, secondo la quale le economie di differenti aree, regioni o paesi possono stabilmente assestarsi su traiettorie (modelli) di sviluppo sostanzialmente e “strutturalmente” diverse e pertanto niente affatto convergenti. Si hanno situazioni di trappola della povertà, o del sottosviluppo, quando l’economia di un’area, regione o paese si colloca in una traiettoria di sottosviluppo che si prolunga, perché la condizione di povertà, o di sottosviluppo iniziale, tende ad autoriprodursi e quindi a permanere. Tra i fattori in grado di influenzare, sia il livello, che il sentiero di sviluppo dell’economia: le istituzioni, la distribuzione della ricchezza, la storia passata e il capitale sociale dei diversi territori. Ne consegue che ad uno stesso set di “fondamentali” dell’economia (preferenze, tecnologia, risorse) potranno corrispondere nei diversi territori traiettorie di sviluppo sostanzialmente diverse; il che esclude l’idea stessa che possano essere sufficienti i tradizionali interventi di politica macroeconomica (eventualmente espansiva) per assicurare l’uscita di un’area, regione o paese dalla crisi e la convergenza verso un’unica traiettoria di crescita considerata efficiente. La strategia di politica economica per lo sviluppo che emerge da questo filone di analisi è indubbiamente più complessa e impegnativa, ma può essere meno costosa in termini di risorse impegnate, e localmente più efficace, rispetto alle politiche tradizionali. L’attenzione iene spostata piuttosto sui processi evolutivi, sulla complessità sistemica e sul ruolo di eventi casuali (la storia), che possono essere all’origine di significative divergenze nelle traiettorie di sviluppo dei differenti territori. Si tratta in sostanza di ingenerare nei territori in trappola del sottosviluppo, un mutamento strutturale di traiettoria, approntando interventi finalizzati ad indurre un movimento iniziale fuori dal sentiero o modello di sviluppo preesistente, sufficiente ad attrarre l’economia verso un nuovo sentiero o modello di sviluppo, più efficiente ed innovativo (Hoff, Stiglitz [2001]). Riflessioni di metodo per una efficace exit strategy In sintesi, si può affermare che, la Campania si sia andato trasformando, soprattutto nell’ultimo 06|2014 quindicennio, da regione in ritardo di sviluppo in un paese sviluppato e in (tendenziale) crescita, a regione in persistente trappola della povertà e del sottosviluppo in un paese in declino. I caratteri specifici della trappola della povertà e del sottosviluppo nella quale appare bloccata l’economia della nostra regione riguardano, innanzitutto, l’incapacità di utilizzare le risorse disponibili ed in particolare la risorsa lavoro; alla quale si associano i sempre più diffusi fenomeni di povertà ed esclusione, che stanno caratterizzando le aree del disagio sociale in Campania. In secondo luogo, una strutturale debolezza dell’apparato produttivo, caratterizzato, come si è visto, da forti carenze quantitative e qualitative, sia nel settore industriale che nel settore dei servizi. Questa carenza si riflette anche in un terzo aspetto, che riguarda le inefficienze nel settore dei servizi pubblici; se, infatti, com’è stato notato, per quel che riguarda la ricchezza privata (alimentazione, motorizzazione, abbigliamento, etc.), il distacco dalle zone più ricche del Paese appare ancora contenuto in limiti accettabili, il divario è invece davvero vistoso nel settore dei servizi pubblici. Si pensi, ad esempio, all’efficienza dell’amministrazione pubblica ed a quella delle attrezzature scolastiche, all’assistenza degli anziani, alla mobilità urbana, alla qualità ospedaliera. Sono queste cose, chiaramente evidenziate in recenti ricerche condotte dalla Banca d’Italia, che fanno la differenza nella qualità della vita e nella tenuta economica e civile del sistema Campania. Un aspetto specifico della nostra Regione riguarda poi la straordinaria inefficienza delle istituzioni pubbliche. Essa emerge come carattere strutturale assai diffuso in un contesto politico e sociale e di organizzazione della Pubblica amministrazione, che, nei fatti, ha vanificato e sembra destinato a vanificare tutti i possibili vantaggi dell’autogoverno locale. In definitiva, a causare la permanenza dell’economia della Campania in una condizione di trappola della povertà e del sottosviluppo, concorrono, per dirla con le parole del ministro Barca, soprattutto due fattori di fondo: in primo luogo, “la straordinaria inadeguatezza delle istituzioni economiche formali e informali (siano esse capitale sociale, capitale relazionale, fiducia, o partecipazione democratica), di cui è parte centrale la straordinaria debolezza dello Stato”; in secondo luogo, “la mancanza di volontà (per interessi distributivi) e di capacità (per effetto inerziale) da parte delle classi dirigenti a cambiare queste istituzioni e da parte dei suoi cittadini a pretendere il cambiamento”. C’è dunque necessità urgente di una strategia di politica economica, che punti sul recupero e sullo sviluppo della efficienza e della produttività del sistema Campania, come opzione strategica essenziale per interrompere il declino e rilanciare la crescita economica Una interessante opzione a riguardo, da valutare con attenzione, potrebbe essere quella di integrare, valorizzandone opportunamente gli elementi positivi e di continuità, il disegno di politica economica della Nuova Programmazione, con quello del Nuovo Meridionalismo. Com’è noto, tra la fine degli anni cinquanta e buona parte degli anni settanta, la politica di in- dustrializzazione della Cassa per il Mezzogiorno si basava anche sull’idea che, per sradicare atteggiamenti e mentalità storicamente radicati nella società e nella cultura meridionale, che ostacolavano lo sviluppo economico, nulla poteva essere più efficace che il trasferimento e l’impianto sul territorio di grandi imprese moderne. Era questa un’idea molto presente, non solo nel pensiero di alcuni grandi meridionalisti, ma anche nelle tesi del Nuovo Meridionalismo e di Pasquale Saraceno in particolare. Insomma, l’industrializzazione era lo strumento, ma il progresso civile e culturale della società meridionale l’obiettivo ultimo dell’intervento. Anche la cosiddetta Nuova programmazione (NP) messa in atto dal DPS del Ministero del Tesoro tra l’ultima parte degli anni novanta e la prima del decennio successivo, si è ispirata, in modo certo più esplicito e consapevole, all’idea di incidere sulla società e sulla cultura, sulla creazione di rapporti di fiducia e collaborazione. Capovolgendo obiettivi e strumenti, l’impianto della NP è consistito, infatti, nel tentativo di contribuire a creare, attraverso l’incentivazione e il controllo di progetti di sviluppo locale e l’assunzione di impegni reciproci tra gli attori dello sviluppo, quel “capitale sociale” che in altre regioni già esisteva e ne aveva consentito lo sviluppo. In certo senso creazione di capitale sociale e maggiore efficienza istituzionale erano lo strumento, la riduzione del divario di sviluppo economico e sociale l’obiettivo ultimo dell’intervento. Il problema della governance dello sviluppo A ben guardare, politica di industrializzazione e nuova programmazione, sia pure in epoche diverse, sono state, anche in Campania, storie di solo parziale successo. Ciò soprattutto perché, nella loro effettiva attuazione, non hanno visto come protagonisti principali, in grado di dare impulso, contenuto progettuale e attuazione ai programmi intrapresi, le cosiddette istituzioni intermedie e gli attori, pubblici e privati, espressi dal territorio. L’idea è che la scarsa attenzione ai meccanismi di governance, sia dell’intervento straordinario, sia della NP, sia stata all’origine di più o meno rilevanti fenomeni di distorsione degli incentivi, sia degli attori pubblici, sia degli agenti privati (famiglie ed imprese), generando per anni forti spinte ad adottare comportamenti collusivi e clientelari, che assai spesso si sono trasformati in veri e propri fenomeni di corruzione e concussione. Il problema della governance locale è, invece, un problema di azioni di governo locale, che si configurano in rapporto al modo in cui i soggetti che rappresentano le istituzioni prendono le decisioni, interagiscono tra loro ed interpretano la loro funzione di governo. L’efficienza del modello di governance locale, ad esempio, dipende molto dalla capacità delle istituzioni e delle organizzazioni che operano sul territorio di sviluppare forme di cooperazione efficace nel perseguire comuni obiettivi di interesse collettivo. Essa dipende anche dalla efficienza dei meccanismi di interazione tra istituzioni e organizzazioni diverse, ma anche 07 tra i singoli individui che in esse operano, o le rappresentano. Ora io credo che alcuni territori della Campania, compresa l’area di interesse della BCC di Fisciano, possano diventare interessanti caso di buona governance locale. In particolare, è sicuramente cresciuta in alcuni territori la capacità di individuare i reali bisogni della collettività e, su questa base, di definire specifici obiettivi strategici; di tradurre gli obiettivi in progetti condivisi e di procedere verso la concreta realizzazione dei progetti. Negli ultimi lustri è, inoltre, migliorata la qualità del capitale umano che opera all’interno delle istituzioni e delle istituzioni intermedie, quali l’Università o il sistema del credito, delle cui finalità c’è sicuramente una maggiore consapevolezza che in passato. E’, infine, aumentata, anche per effetto di una maggiore comprensione del ruolo delle istituzioni e delle realtà locali, la presenza di quel complesso di fattori, ivi compreso il senso di comunità, che contribuiscono a determinare la funzione urbana di una realtà altrimenti solo urbanistica. Questo giudizio sulla capacità complessiva del sistema locale di amministrarsi, mediamente più positivo rispetto al recente passato, è naturalmente conseguenza di alcuni fattori strutturali ed istituzionali. Esso si lega, in primo luogo, al fatto che anche per effetto delle riforme istituzionali e del processo di decentramento di cui si è detto, il ruolo di classe dirigente, precedentemente ricoperto soprattutto dai quadri politici nazionali (rappresentanti locali nei governi, senatori e deputati), sia oggi attribuito, anche nella percezione dell’opinione pubblica, soprattutto al personale politico che opera a livello territoriale (sindaci, presidente della provincia ecc.), ma anche a chi opera nelle altre istituzioni intermedie (Università, Credito cooperativo, ecc.) Si è, inoltre, ormai lontani da quella percezione delle prospettive di sviluppo a determinazione esogena, che ha caratterizzato per lunghi anni l’impostazione dell’intervento straordinario nel Mezzogiorno. Essa, sulla base di analisi e di schemi di ragionamento pur molto corretti dal punto di vista della teoria della politica economica, prospettava modelli di sviluppo e tecniche di intervento tendenzialmente omogenee per tutto il territorio meridionale. Oggi è, invece, maturata una chiara percezione della necessità di un modello di sviluppo a determinazione endogena. L’idea generale è che gli obiettivi da perseguire, i meccanismi da mettere in moto, le risorse umane e materiali da mobilitare, dovrebbero essere molto più legati all’identità ed alle reali vocazioni produttive del territorio. E l’identità e le vocazioni sono innanzitutto frutto della storia di un territorio e della sua comunità. Lo sviluppo di processi di formazione delle scelte strategiche e di effettiva realizzazione dei progetti di interesse collettivo, basati sulla concertazione e la condivisione degli obiettivi, costituisce,dunque, una precondizione essenziale per una reale prospettiva di crescita economica e civile delle comunità. * Professore Ordinario di Economia Politica Università degli Studi di Salerno 08 Perché la solidarietà individuale deve sostituirsi alla ormai insufficiente solidarietà istituzionale Disagio sociale e ruolo delle comunità locali I sindaci possono avviare un nuovo grande processo partecipativo sociale di Pellegrino Capaldo * L a crisi economica in atto e le poco convincenti terapie adottate per curarla stanno facendo crescere fortemente il disagio sociale. A parte i tanti casi di povertà estrema, cresce il numero di persone che non sono in grado di pagare l’affitto, di pagare le bollette, di soddisfare, insomma, i bisogni essenziali. Il più delle volte queste persone si rivolgono all’Amministrazione comunale o, nei piccoli centri, direttamente al Sindaco. Ma raramente i Sindaci sono in grado di fare qualcosa o perché “non ci sono soldi” o perché le poche risorse destinate ad interventi sociali si sono già esaurite. E’ una situazione angosciosa, soprattutto per chi, come i Sindaci, viene a contatto con forme di disagio gravi e sente tutta la frustrazione di poter fare ben poco. Bisogna, certo, cambiare il modo di curare la crisi; dobbiamo certo riavviare un vero processo di sviluppo, preoccupandoci di più di quelli che, senza loro colpa, non reggono il ritmo della crescente competizione divenuta ormai planetaria. Ma intanto che cosa facciamo? I bisogni sono impellenti e non possono attendere che i provvedimenti per lo sviluppo e per l’occupazione – ammesso che il Governo si decida ad assumerli – diano i loro frutti. Qualcosa possiamo fare noi cittadini. E abbiamo il dovere di non sottrarci. Innanzitutto dobbiamo renderci conto che lo Stato da solo non ce la fa. L’ubriacatura del XX secolo ci ha fatto credere che lo Stato potesse fare tutto per tutti, senza limiti. Ora ci stiamo amaramente risvegliando e ci stiamo pian piano convincendo che lo Stato non può risolvere accettabilmente i problemi che abbiamo di fronte: la solidarietà istituzionale, incentrata sullo Stato, si va rivelando sempre più insufficiente e inadeguata. Dobbiamo ritornare a riscoprire la solidarietà individuale che non è – sia chiaro – il ritorno all’elemosina e al dono che paternalisticamente il ricco fa al povero ma è un diverso modo di vivere e interpretare la propria appartenenza ad una comunità umana. Quella che io chiamo solidarietà individuale non è solo un generico sentimento umanitario. E’ qualcosa di più: è la consapevolezza che, alla lunga, una comunità umana non può vivere e svilupparsi serenamente se al suo interno vi sono grandi e ingiustificate differenze fra le condizioni di vita dei suoi membri. Sarebbe un grave errore ritenere che la pacifica convivenza sia solo una questione di “ordine pubblico”. Certo l’ordine pubblico, con il rigore delle sue leggi, ha una funzione innegabile; ma da solo non basta. Ecco allora che soprattutto in periodi di crisi ma non solo in quelli, la comunità deve riscoprire il ruolo della solidarietà individuale, dell’attenzione all’altro come fatto di coesione sociale, senza la quale è vano pensare che ci possa essere una buona qualità della vita. Rendiamoci conto che la qualità della vita è affidata innanzitutto a noi stessi, al nostro spirito d’iniziativa, al nostro impegno, alla nostra attiva partecipazione alla vita sociale. Facciamo delle nostre comunità delle autentiche “comunità solidali”. Aggreghiamoci con l’obiettivo di migliorare la qualità della vita di tutti. Riscopriamo la logica del dono per affiancarla – non dico per sostituirla – alla logica dello scambio. Sotto questo aspetto sarebbe desiderabile che ogni Comune o, nelle grandi città, ogni quartiere vedesse nascere un’Associazione aperta al maggior numero di cittadini, impegnati a fare tutto quello che è possibile per migliorare la vita della città o del quartiere in un’ottica di operosa solidarietà. Non deve essere una mera Associazione di beneficienza. Deve essere qualcosa di più. All’occorrenza, certo, deve anche aiutare chi versa in condizione di bisogno. Ma innanzitutto deve lavorare per diffondere, soprattutto tra i giovani (anche con iniziative nelle scuole), una cultura della solidarietà incentrata sul dono e su una generosa visione dei doveri di cittadinanza. La nascita di queste Associazio- ni è affidata ai cittadini di buona volontà. Ma è chiaro che i Sindaci, con l’autorevolezza e con il prestigio di cui godono, possono fare moltissimo per scuotere le coscienze, per individuare e motivare le persone più adatte a mettersi a capo di un movimento di opinione che porti poi alla costituzione dell’Associazione. Il Sindaco deve far comprendere ai cittadini che, senza la loro partecipazione, egli può fare ben poco; deve far comprendere che la partecipazione attiva e generosa di tutti i cittadini è fondamentale per dare alla Comunità un’impronta più solidale. La strada è lunga e difficile, me ne rendo conto. Ma è la sola che può portarci lontano. Non ci sono scorciatoie né alternative all’impegno di ciascuno di noi. E i Sindaci – dandosi l’obiettivo di fare della propria città una vera città solidale – possono avviare un grande processo di cambiamento. * Presidente della Fondazione Nuovo Millennio Disagio sociale e Comunità locali / montoro La nuova Montoro tra ripresa economica e conoscenza dei bisogni dei cittadini di Daniela Apolito L a nuova Montoro, nella sua radicale trasformazione post referendum che ha sancito la riunificazione dei due comuni Superiore e Inferiore, ha scelto anche un nuovo sindaco, Mario Bianchino. Quali sono i motivi che hanno prodotto questo cambiamento? Il cambiamento di cui parliamo è riferito all’aspetto territoriale, giuridico, sociale e storico, diverse componenti che nell’insieme oggi fanno vivere ai montoresi un radicale cambiamento. È un cambiamento prima di tutto di ordine giuridico perché abbiamo una sola identità municipale a fronte dei due comuni. E’ un cambiamento che risiede in un processo sociale che ha avuto il suo epilogo solo sul piano giuridico formale, ma non su quello sostanziale che continua, riaffermando il senso più profondo di attaccamento al proprio territorio, alla propria comunità come percezione autentica. Questo richiede un lavoro impegnativo, che abbiamo già avviato, di raccordo tra i vari attori sociali, i vari protagonisti del percorso di questa comunità, e faccio riferimento alle associazioni che operano sul territorio, alle scuole, alle parrocchie, a quanti possono trovare col comune e istituzioni il giusto raccordo per rispondere ad una serie di esigenze del cittadino. La coesione sociale rappresenta il principale elemento di riferimento dell’azione amministrativa rispetto ai cambiamenti che si sono avuti. E questo è an- che uno stimolo a intervenire sui cambiamenti, sulle contraddizioni che la società moderna determina nelle comunità: l’individuo, oggi, è sempre più lasciato nella sua solitudine, è sempre più propenso a piegarsi su se stesso che a cercare l’integrazione. Io penso che l’integrazione deve essere incentivata attraverso aspetti che fanno riscoprire la fiducia del cittadino nei confronti dell’istituzione. 06|2014 Il secondo elemento che io già registro e sul quale ci siamo già soffermati nel nostro lavoro amministrativo è di dare risposte concrete alla crescente domanda di natura sociale, che è quasi esclusivamente rivolta al lavoro e alla casa. Quindi la prima risposta da organizzare è di tipo sociale e può avere uno sbocco attraverso le attività umane. Io credo che in questi termini costruiremo una risposta che daremo ad una fascia anche notevole della comunità. Riaggregare e quindi ricercare tutti gli aspetti che risiedono nel concetto di coesione sociale è un processo, appartiene ad una storicità per aver ritrovato, questa comunità, una sua integrità giuridica, il suo territorio bellissimo e immaginare un percorso futuro che poi è la sfida che la politica deve avere su questo territorio. L’economia della provincia di Avellino, così come quella di tutta la Regione Campania, fotografa situazione ancora lontana dalla ripresa. Quali sono i punti deboli dell’economia di questo territorio? Questo territorio ha avuto una trasformazione notevole nel corso degli anni, ed in particolare dagli anni 60 in avanti perché, alla tradizionale economia rurale che caratterizzava il montorese, si è registrata una integrazione progressiva con le attività industriali del vicino comune di Solofra. Questo ha determinato in gran parte un aumento di reddito per tantissime famiglie ed una integrazione lavorativa perchè, alle attività agricole, si aggiungeva il lavoro presso le aziende conciarie solofrane. La crisi dell’attività conciaria solofrana ha determinato una caduta dei livelli occupazionali. Nell’ambito delle attività industriali solofrane c’erano ben 4000 addetti, impegnati come operai, ai quali si aggiungono i livelli occupazionali impiegatizi e libero professionali connessi all’intero sistema industriale della concia. Noi sindaci all’epoca volemmo il distretto industriale e riuscimmo ad ottenerlo e, ieri come oggi, sono convinto il distretto, cioè l’insieme di insediamenti produttivi medi che messi in rete, riesce a determinare il decollo di un territorio in termini di sviluppo. Questa crisi dovrà necessariamente trovare una evoluzione positiva, nel senso che questa realtà industriale dovrà fuoriuscire dalle secche che hanno determinato questa caduta dei livelli occupazionali e produttivi. E credo che questo possa avvenire solamente attraverso la promozione delle eccellenze, attraverso una riconversione o una evoluzione produttiva di tipo altamente qualitativo, come produzione di nicchia rivolta ad una domanda qualificata. Credo che vadano incentivate le attività artigianali che, insieme ad una serie di altre azioni, dovranno costituire una novità assoluta per questo territorio. Penso all’attrattività del territorio, soprattutto la parte del montorese, dal punto di vista paesaggistico, artistico, naturalistico, architettonico, delle attività religiose. Ci sono tanti motivi per promuovere e realizzare sul nostro territorio nuove condizioni per cui possa vivere un turismo qualificato. Penso al turismo scolastico, a quello religioso: questo insieme deve essere un motivo per rilanciare la nostra proposta in termini di sviluppo economico. Credo che in termini moderni la ricomposizione della nostra storia dovrà tendere principalmente a favorire insieme alle azioni di coesione sociale, azioni intorno ad un concetto di identità della nostra realtà ed anche lo sviluppo economico 09 perché si possa guardare al futuro con una certa fiducia soprattutto nei confronti dei più giovani ai quali ci sentiamo particolarmente legati con la nostra attività amministrativa e verso i quali noi riteniamo che debba essere prestata da tutti la massima attenzione perché l’impoverimento del mezzogiorno viene sempre più segnato dall’allontanamento dei giovani. Crescita sociale e crescita culturale delle comunità. Quali azioni può avviare per sollecitare il cammino in questa direzione? Ci sono fatti concreti che questa amministrazione ha già posto in essere e possiamo tranquillamente seguire questo percorso. Noi abbiamo già istituito con atti deliberativi in una delle realtà più popolose del nostro comune, Banzano, un presidio sociale e un centro di aggregazione per i giovani, un centro ascolto, e punto soprattutto ad un relazionamento sociale con la realtà territoriale perché ci possa essere assistenza domiciliare anche psicologica, soprattutto psicologica, per le devianze giovanili. Quindi è il primo segnale concreto di intervento. E stiamo già programmando, e siamo in una fase avanzata, la realizzazione di un centro dello stesso tenore nella frazione di Piano. Quindi noi abbiamo un programma che punta ad interventi che stiamo già realizzando che abbiamo già deliberato, quindi sono in fase di allestimento. A Banzano ci sono già i locali, stanno facendo delle piccole rifiniture perché possano entrare in funzione e prima di settembre il centro opererà. Siamo già collegati con l’ordine degli psicologi regionali, abbiamo contatti con il piano di zona per interagire su una serie di interventi. Quindi queste sono le azioni che sul sociale in maniera concreta oltre a tantissime altre azioni che stiamo realizzando nei confronti dei più giovani, delle famiglie, del disagio in senso generale e in particolare soprattutto per il disagio che deriva dalla crisi del lavoro e di tipo personale e sociale prima che di tipo lavorativo. Quindi queste sono le azioni che nel sociale dobbiamo promuovere prima per recuperare un concetto di civico senso di coesione sociale della comunità ma poi perché la comunità possa ritrovarsi in una dimensione umana diversa perché le contraddizioni nelle trasformazioni che abbiamo vissuto in questi anni sono in particolare incidenti sull’aspetto umano ed è questo che va ripreso e va recuperato con forza mettere l’uomo al centro di ogni riferimento e di discussione. Perché dicenti sempre meno individuo e sempre più ricco di umanità. Queste sono le condizioni sulle quali noi lavoriamo che sono poi le basi per considerare una crescita di natura sociale. Per quanto l’aspetto di tipo culturale. Noi mettiamo la cultura al primo posto. Noi stabiliamo una meta, perché senza l’indicazione di una meta non è possibile sviluppare un programma amministrativo e quindi la cultura diventa un punto di riferimento. dire facciamo cultura non significa portare il tale letterato da fuori, il tale filosofo da fuori, il tale cantante da fuori e poi dire che abbiamo fatto iniziative di tipo culturale. Per noi fare cultura sul territorio significa riuscire a comprendere le risorse più adeguate che abbiamo sul territorio, valorizzarle e sostenerle, farle esprimere in una maniera aggregante per fare in modo che ci sia inclusione intorno a queste risorse di quelle componenti sociali in difficoltà. E fare cultura significa realizzare un disegno bellissimo di prospettiva in cui tutti possono ritrovarsi attraverso non solo la riscoperta della propria storia, delle proprie radici delle proprie tradizioni, ma anche il rilancio in prospettiva di un ruolo di questa comunità. Nel suo commento, che ospitiamo nelle pagine di questo numero del trimestrale della BCC Fisciano, il prof. Pellegrino Capaldo, presidente della Fondazione Terzo Millennio, immagina – e auspica – che in ogni quartiere delle città possa nascere “un’Associazione aperta al maggior numero di cittadini, impegnati a fare tutto quello che è possibile per migliorare la vita della città o del quartiere in un’ottica di operosa solidarietà”. Pensa di poter sollecitare questo nuovo processo partecipativo e di autodeterminazione delle comunità? Oggi bisogna capire quali sono le forme più adeguate per fare in modo che le realtà si esprimano e possano trovare il loro giusto collegamento con le istituzioni, e io sono convinto che oggi è importante, attraverso azioni di natura sociale e culturale, includere le persone che vivono situazioni di difficoltà. È un circolo virtuoso che si sviluppa all’interno di una comunità e sul territorio. L’impegno sociale quando è un fatto aggregativo è utile all’intera comunità che a sua volta ha un ruolo altamente propositivo. Noi lo stiamo vedendo e in questa comunità ci sono associazioni che già fanno promozione di tipo sociale. Quello del professore Capaldo è un pensiero che deve essere veicolato: è come riscoprire le pulsioni che muovono dal basso, è come aprire le porte delle istituzioni per guardare in faccia alla realtà. Io penso che la politica per troppo tempo è stata distante da quella che è la vera istanza del cittadino. Troppe volte si è immaginato di dare risposte ai problemi del cittadino a distanza. Io penso che sia giunta l’ora in cui le risposte debbano essere costruite attraverso la conoscenza del bisogno. Se il professore Capaldo dice queste cose vuol dire che questo pensiero nasce da una riflessione, da una attenta analisi della realtà sociale che vuole trovare nelle istituzioni, che sono chiamate a decidere azioni di governo, un collegamento serio per costruire una risposta valide alle problematiche che oggi si vivono. 10 Disagio sociale e Comunità locali / baronissi Valiante: “diamo spazio ai giovani e alle famiglie” di Daniela Apolito B aronissi ha voltato pagina e ha scelto un nuovo sindaco, Gianfranco Valiante. Quali sono i motivi che hanno prodotto questo cambiamento? Baronissi ha in effetti deciso di voltare pagina e l’ha fatto lo scorso l’8 giugno scegliendo un Sindaco ed un’Amministrazione cha, credo, hanno avuto la capacità di leggere ed interpretare i bisogni “veri” della comunità e di porsi come speranza nuova ed orizzonte certo in una condizione da un pò di tempo probabilmente deteriorata nella relazione con la Istituzione. Abbiamo individuato i bisogni veri: innanzi tutto un rinnovato rapporto fra amministratore e cittadino fatto di rispetto e di chiarezza, una vera democrazia partecipata con il coinvolgimento diretto nella amministrazione della cosa pubblica. Abbiamo dato credibilità al nostro impegno di sostenere prioritariamente i bisogni del cittadino e della famiglia in un contesto sociale difficile e reso ancor più problematico da una crisi economica globale drammatica. Abbiamo sostenuto la necessità del rilancio della città attraverso l’eccellenza dei servizi chiamando al protagonismo i cittadini ed i giovani in particolare. Credo sia stata determinante la storia personale di tutti i nostri candidati che, anteponendo sempre l’interesse generale ed il bene comune, hanno saputo conquistare la fiducia dell’elettorato. Non è stato meno importante il nostro impegno di assicurare una azione amministrativa rigorosa, trasparente e votata allo sviluppo in un contesto in cui tutti, nessuno escluso, vengano avanti e nessuno resti indietro. Gli ultimi dati relativi all’economia della Valle dell’Irno descrivono una situazione ancora lontana dalla ripresa. Quali sono i punti deboli dell’economia della Valle dell’irno? La crisi economica è sicuramente un elemento determinante in un sistema economico piegato su stesso anche a Baronissi e nella intera Valle dell’Irno. Ritengo che le ragioni, per così dire locali, che hanno contribuito a rendere ancora più negativa una condizione già difficile vadano ricercate sorattutto nella mancata capacità realizzativa, magari quando tempi e risorse lo avrebbero consentito, di opere infrastrutturali strategiche che, se compiute, av rebbero reso meno difficile la vita della nostra città: non c’è stato un rapporto privilegiato Comune di Baronissi - Università di Salerno (che siede in parte anche nel nostro territorio) e questo ha probabilmente annullato il grande potenziale che il progetto “Città dei Giovani, Facoltà di Medicina, Cittadella della tecnologia e dell’Alta Formzione” avrebbe sicuramente esperito con ben altri risultati per la nostra comunità. Negativa anche la incapacità di porre in essere una sinergica azione per la realizzazione della metropolitana Salerno - Baronissi - Università e della messa in sicurezza e realizzazione della terza corsia del raccordo autostradale Salerno - Baronissi - Mercato San Severino. La crisi del commercio, dell’artigianato, dell’industria hanno fatto il resto. Nel suo commento, che ospitiamo nelle pagine di questo numero del trimestrale della BCC Fisciano, il prof. Pellegrino Capaldo, presidente della Fondazione Terzo Millennio, immagina – e auspica – che in ogni quartiere delle città possa nascere “un’Associazione aperta al maggior numero di cittadini, impegnati a fare tutto quello che è possibile per migliorare la vita della città o del quartiere in un’ottica di operosa solidarietà”. Pensa di poter sollecitare questo nuovo processo partecipativo e di autodeterminazione delle comunità? La necessità di democrazia partecipata vera, di interlocuzione onesta e chiara con il cittadino ed il suo coinvolgimento nelle scelte strategiche dell’amministrazione sono stati un cavallo di battaglia della nostra campagna elettorale. Abbiamo impresso a questo tema, di cui siamo fermamente assertori, una importanza fondamentale chiedendo ai cittadini per esempio di costituire nei quartieri e nelle frazioni comitati per una interlocuzione costante con chi governa la città. E poi il protagonismo dei giovani nella cosa pubblica, per noi, dovrà essere il valore aggiunto anche perchè abbiamo l’ambizione, forse la presunzione, di accompagnare tanti ragazzi a divenire, con la buona politica, nuova e concreta classe dirigente. E Dio sa quanto il nostro Paese abbia bisogno di nuove ed oneste energie. A quali azioni del suo programma destinerebbe la parte più consistente delle risorse disponibili del suo Comune? Non ho dubbi: nel sociale, nella cultura e nel coinvolgimento dei nostri giovani. Disagio sociale e Comunità locali / Mercato san severino Romano: “nuove iniziative a sostegno delle attività produttive” di Daniela Apolito C ’è un vecchio detto che recita che chi lascia la via vecchia per una nuova sa quello che lascia ma non quello che trova. S. Severino ha scelto: non ha voluto perdere il suo sindaco e le ha rinnovato la fiducia. Perché? Quali sono i motivi che hanno portato a questa conferma? Il futuro che conosci e la Città prima di tutto: ecco da dove è partita la proposta programmatica che abbiamo sottoposto ai cittadini le scorse recenti elezioni. Partiamo dal futuro, l’idea che connota il nostro agire quotidiano, le nostre prospettive, le nostre preoccupazioni. Il futuro dei nostri figli, della nostra Comunità, del no- stro Comune che, con la passione e l’impegno di tutti noi, è diventato Città. Un futuro da costruire con determinazione ed autorevolezza, facendo tesoro dell’esperienza e della competenza, aperto alle innovazioni senza disperdere il sapere acquisito sul campo, da governare con regole certe, nel rispetto assoluto della legalità e garantendo la stabilità amministrativa che siamo riusciti ad assicurare nel corso degli anni. Quelle che abbiamo dimostrato di saper definire prima e rispettare poi. Ecco perché è un futuro che conosci già, perché si alimenta dalle radici nella nostra esperienza amministrativa e dalla serietà e concretezza che ha sempre con- traddistinto la nostra azione quotidiana. Senza false promesse, senza inganni, senza raggiri a danno di concittadini che, stretti nella morsa delle difficoltà economiche che la nostra Nazione sta vivendo da cinque anni, sono ancora più vulnerabili. Abbiamo sempre detto la verità e continueremo a farlo, con onestà e passione. È la passione che ci ha consentito di riuscire, comunque, a mantenere quello che avevamo costruito insieme, migliorando la qualità dei servizi della nostra Città. Senza mettere le mani in tasca ai cittadini. Rimediando ai tagli delle risorse finanziarie che lo Stato continua a introdurre a danno dei Comuni con leggi ingiuste. 06|2014 Con rigore e con la razionalizzazione delle spese che, nella nostra Città, sono iniziate prima che le attuali norme statali lo imponessero. Garantendo la stabilità e la continuità amministrativa che hanno reso la nostra Città “normale” e, nello stesso tempo, “atipica” rispetto alla confusione ed alle fibrillazioni che stanno caratterizzando, purtroppo da troppo tempo, il contesto politico. Dicendo sempre la verità su quanto non siamo riusciti ancora a realizzare a causa delle difficoltà economiche e finanziarie che hanno segnato la drammatica battuta d’arresto che sta vivendo la Nazione. Facendo tesoro del lavoro svolto e della considerazione che ci siamo conquistati in questi anni, diventando un modello per tantissimi Comuni. Ecco perché ci hanno scelto, ancora una volta. È il futuro che i concittadini già conoscono, in cui tutti si è parte di una Comunità che ha recuperato le Radici smarrite, che ha ricostruito il senso dell’Orgoglio Sanseverinese, che ha rifondato su nuove basi il senso di appartenenza all’Identità del territorio, oggi ovunque apprezzate anche grazie all’impegno civico di chi è stato chiamato ad incarichi di Governo in rappresentanza di una intera Città. Anche per questo i nostri concittadini hanno deciso di rinnovare la fiducia al sindaco e alla sua squadra. Gli ultimi dati relativi all’economica della Valle dell’Irno descrivono una situazione ancora lontana dalla ripresa. Quali sono i punti deboli dell’economia della Valle dell’Irno e quali invece sollecitare per avviare una nuova ripresa? Una premessa. La Valle dell’Irno inizia, geograficamente parlando, ad Acquamela. Il territorio di cui parliamo, invece, è ben più ampio e, quindi, alla Valle dell’Irno va aggiunto l’Alto Sarno. Non è una puntualizzazione erudita. E’ un modo per richiamare l’attenzione sulla necessità di puntare ad uno sviluppo coerente con le vocazioni produttive consolidatesi nel passato. Che nella Valle dell’Irno sono state, per lungo tempo, il commercio, le attività manifatturiere artigianali ed industriali, l’industria agroalimentare. Successivamente, l’insediamento dell’Università di Salerno, ha stimolato in modo sensibile il terziario avanzato dei servizi, ha ulteriormente consolidato il commercio, ha gettato le basi di una sempre più possibile econo- mia dell’accoglienza. Ecco, penso che questa sintetica descrizideschi tenga ultimi elementi di cui tener conto per ridisegnare scenari futuri e fissare obiettivi da conseguire. Aggiungo che occorre impegnarsi di più per sfruttare efficacemente l’enorme valore aggiunto rappresentato dalla presenza dell’Ateneo per quanto riguarda il trasferimento della ricerca alle attività produttive. Occorre far diventare un fattore attrattivo la possibilità di fare ricerca applicata, di promuovere spin-off, di consolidare l’interazione stabile tra innovazione tecnologica ed imprese. E’ un altro “vantaggio locazionale” oggi non sfruttato compiutamente che si aggiunge a quello, storicamente dato, di una sistema di collegamenti che rende agevole l’insediamento di nuove imprese. Chiaramente realizzando alcuni interventi strutturali di cui si parla da tempo, primo fra tutti il potenziamento del raccordo autostradale Avellino-Mercato SSalerno e l’elettrificazione dell’attuale linea ferroviaria. Per quanto riguarda la nostra Città, l’Amministrazione Comunale rafforzarerà le iniziative a sostegno della rete commerciale tradizionale attraverso un sistema di promozione del commercio di qualità, eventi di spettacolo per aumentare l’attrattività della Città e la pedonalizzazione delle zone a maggiore caratterizzazione commerciale. Completeremo la procedura per ottenere il marchio di “Centro Commerciale Naturale” per la qualificazione di Mercato S. Severino quale “Città della qualità, della convenienza e del commercio tradizionale”. Si partirà con le reti commerciali del Capoluogo, di S. Angelo e di S. Vincenzo. Sosterremo gli operatori commerciali per consentire di accedere ai finanziamenti regionali, per consolidare le loro aziende e migliorare la qualità dei loro negozi; attueremo gradualmente pedonalizzazioni delle aree commerciali al capoluogo ed in altre zone del territorio, per realizzare progressivamente chiusure al traffico veicolare permanenti; istituiremo in modo permanente il “mercatino dello scambio e dell’antiquariato” ed il “mercato contadino”, risposta concreta per contrastare i disagi derivanti dalla crisi economica e per promuovere una efficace cultura del consumo sostenibile e della “filiera corta” della commercializzazione dei prodotti. Svilupperemo un marchio di qualità certificato per l’artigianato sanseverinese e le attività produttive a forte impronta territoriale (Denominazione Comunale – DECO); istituiremo uno sportello, presso il Comune, dedicato a fornire informazioni ed assistere coloro che intendono attivare nuove iniziative economiche; potenzieremo il C.I.L.O. (Centro d’Iniziativa Locale per l’Occupazione) la cui attività si è intensificata grazie all’accreditamento sul portale www.garanziagiovani.gov.it, ottenuto dal Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali. Inoltre, grazie alla fattiva collaborazione con l’Università di Salerno, saranno avviate iniziative di “incubazione di imprese” per favorire il trasferimento di competenze di ricerca teorica a quelle di ricerca applicata al mondo della produzione. Una ulteriore importante realtà per l’economia del territorio è lo sviluppo del Polo Integrato della Logistica, le cui infrastrutture saranno realizzate con i finanziamenti europei erogati dalla Regione Campania e per il cui progetto è già arrivato il giudizio di coerenza e di finanziabilità. Si tratta della prima piattaforma retro-portuale della Regione Campania, al servizio del porto di 11 Salerno, per le lavorazioni di quarta gamma e di confezionamento, con annessa area doganale e Centro di Ricerca dell’Università di Salerno sulle tecnologie logistiche. Nel suo commento, che ospitiamo nelle pagine di questo numero del trimestrale della BCC di Fisciano, il prof. Pellegrino Capaldo, presidente della Fondazione Terzo Millennio, immagina – e auspica – che in ogni quartiere delle città possa nascere “un’Associazione aperta al maggior numero di cittadini, impegnati a fare tutto quello che è possibile per migliorare la vita della città o del quartiere in un’ottica di operosa solidarietà”. Pensa di poter sollecitare questo nuovo processo partecipativo e di autodeterminazione delle comunità? Per iniziare un cammino in questa direzione una nuova impostazione culturale andrebbe favorita: la fiducia e lo spirito di collaborazione grazie al quale le persone cooperano liberamente per il bene comune. A Mercato S. Severino, il retaggio di uno spirito simile esiste da sempre. Un’economia informale basata sulla reciprocità e sulla solidarietà è sempre esistita, l’aiuto restituito di amici e vicini… Quell’”Agorà della Solidarietà e Partecipazione” di cui parla il professore Capaldo può e deve essere il risultato di una scommessa importante, una scelta coraggiosa e strategica, il segno di una rotta,decisa e concreta, a sollievo del disagio, sia di quello “antico” sia di quello “nuovo”, indotto dalla drammatica crisi che stiamo attraversando. E’ già in corso l’attivazione di percorsi inclusivi di solidarietà; lo sviluppo di processi di sussidiarietà orizzontale, integrando organizzazioni del Terzo Settore, Istituzioni, aziende e famiglie, per promuovere benessere individuale e collettivo; è l’espressione di un modello originale ed innovativo di welfare comunitario, preconizzato dalla L.328/2000, ma ancora di difficile attuazione, in cui i diversi attori sociali coinvolti, ed i soggetti fruitori dei servizi, siano compartecipi e corresponsabili di un processo circolare, unitario ed organico, di reciproca cura e di tensione verso forme diversificate di sviluppo locale. Sotto il profilo normativo, la partecipazione civica è stata ulteriormente rafforzata e rinnovata nei contenuti in seguito alla riforma del Titolo V della Costituzione, la quale introduce, all’art. 118, il principio di sussidiarietà orizzontale, che stabilisce che “Stato, Regioni, Città Metropolitane, Province e Comuni favoriscono l’autonoma iniziativa dei cittadini, singoli e associati, per lo svolgimento di attività di interesse generale, sulla base del principio di sussidiarietà”. Questa lettura ha come conseguenza un processo di de-strutturazione e ri-costruzione della relazione con cui le PP.AA. si approcciano al cittadino, che corre parallelamente al processo più ampio di democratizzazione della vita pubblica. L’approccio di coinvolgimento attivo ha una duplice funzione: da un lato andremo a ricercare spazi e modalità di interazione con i cittadini in grado di rappresentare bisogni ed istanze specifiche, dall’altro avremo più contributi e più punti di vista alla soluzione dei problemi complessi della comunità locale. Tale approccio va ad impattare sulle modalità di funzionamento dell’Ente per cui implementeremo strumenti nuovi da affiancare ai tradizionali strumenti di rappresentanza generale degli interessi dei cittadini. 12 Una notizia “buona” di Luciano Sagliocca * S iamo letteralmente bombardati da notizie sulla nostra salute; non c’è giornale divulgativo che non contiene una sezione/rubrica che ci informa su quali sono gli interventi più efficaci per una particolare condizione, o gli esami da eseguire per controllare se stiamo bene o infine i comportamenti raccomandati per mantenerci in buona salute. Questi suggerimenti nella maggior parte dei casi non citano le fonti che le supportano e spesso provengono dall’opinione e dall’esperienza di un “esperto” che cura la rubrica. L’unica opzione possibile è fidarci/affidarci a quel consiglio. Ovviamente un lettore fa molta fatica a distinguere tra un’informazione che ha solide basi scientifiche, da altre basate solo sull’opinione di chi scrive, ad altre ancora che sono vere e proprie forme di pubblicità (spesso ingannevoli) che incoraggiano l’uso di rimedi miracolosi su problemi diffusi per i quali ognuno di noi ha misurato eccezionali livelli di frustrazione; mi riferisco, tra l’altro, alle creme per la cellulite, alle bustine per dimagrire, alle lozioni per riavere i capelli dell’adolescenza o alle compressine per mantenersi giovani. Da qualche anno si stanno diffondendo iniziative e programmi di empowerment, un termine che non ha un corrispondente in italiano; si può definire come “partecipazione consapevole e attiva del cittadino alla scelta delle varie opzioni in tema di salute. L’idea è quella di passare da un rapporto paternalistico, in cui il medico ti dice cosa fare, ad uno partecipato e simmetrico, per quanto possibile, in cui il medico spiega e motiva la sua scelta e le alternative possibili ad un cittadino/paziente che ha gli strumenti di base per comprendere ed interagire. I programmi di empowerment preparano cittadini, pazienti ed associazioni a compiere non solo scelte consapevoli individuali ma anche Eletti i membri del primo comitato direttivo del Becoming Club È un club giovane, formato da giovani, con idee giovani. La BCC di Fisciano lo ha fortemente voluto perché attraverso il Becoming – il neonato club della banca di Credito Cooperativo – può stringere un rapporto nuovo con i giovani teso ad aprire nuove opportunità sia di lavoro che di crescita culturale e professionale. A pochi mesi dalla sua nascita, il Becoming è diventato un punto di riferimento per i tanti giovani – oltre trecento i soci che ne fanno parte – e lo dimostra la forte partecipazione alla prima assemblea che si è tenuta il 5 luglio scorso convocata per la elezione del primo comitato direttivo. Oltre cento i giovani che si sono riuniti nei nuovi locali del Business point e che hanno votato – a scrutinio segreto – i nove nomi che compongono il primo comitato direttivo del Becoming. Saranno loro l’interfaccia tra il Club e il Consiglio di Amministrazione della BCC di Fisciano. Saranno loro i portavoce delle esigenze e delle iniziative che gli oltre trecento soci (destinati a crescere) intendono realizzare. Sono nove i consiglieri eletti al termine della votazione del 5 luglio scorso: Antonello De Carluccio; Mario Iannone; Silvia Concilio; Anna D’Auria; Milena Santullo; Alfonso Sessa; Marta Pecoraro; Carmine Del Regno; Stefania Petrone a pretendere di partecipare alla gestione della salute in termini di scelte strategiche ed organizzative. Alla base di un progetto di empowerment naturalmente c’è una informazione che ha gli elementi essenziali per poterne misurare il valore, la qualità e le implicazioni del suo trasferimento nella pratica. Quali sono le caratteristiche essenziali di una buona informazione? È un’informazione che cita le fonti, ne descrive la qualità, indaga gli eventuali conflitti di interesse, misura il livello complessivo di conoscenza su quel quesito clinico, espliciti la sua rilevanza e le possibili ricadute, ed infine traduca le evidenze disponibili in una raccomandazione di comportamento pratico con linguaggio divulgativo. A partire dal prossimo numero proveremo a fare questo. Vi daremo una “notizia buona” nel senso che a partire da evidenze scientifiche disponibili ed esplicite su un quesito clinico, descriveremo la qualità di quell’informazione e le possibili ricadute che può avere. Sceglieremo come priorità quesiti ad alta modificabilità per i quali l’adozione/ non adozione della raccomandazione dipende in larga misura da un nostro impegno in prima persona. Il quesito del prossimo numero: un elevato consumo di carni rosse può essere nocivo alla salute? * Epidemiologo clinico Le caratteristiche di una buona informazione scientifica • • • • • • Le fonti (vantagi e svantaggi) Gli autori e i potenziali conflitti di interesse La rilevanza del problema La qualità dell’ evidenza scientifica Le possibili ricadute Una dettagliata raccomandazione di comportamento I giovani della BCC volano a Trento L a sfida dei giovani è già contenuta nel titolo del Forum di Trento “#cisiamoEuropa”: è un monito, una promessa, una certezza. L’hashtag in due parole ha dato il senso di una grande partecipazione giovanile alle nuove sfide che il futuro, sia del lavoro che della crescita culturale, ogni giorno pone. Condividere risultati e nuovi obiettivi, favorire la circolazione delle esperienze, confrontarsi su tema attuale sono stati gli argomenti di discussione della tre giorni che si è tenuta a Trento sede quest’anno, in occasione dei 10 anno di costituzione del club giovani soci della Bcc di Anaunia dall’undici al tredici luglio. Alla convention ha preso parte anche il neonato Becoming Club della BCC Fisciano con Michele Pierri, Silvia Concilio e Alfonso Sessa. A livello nazionale sono ormai 67 le realtà giovanili costituite all’interno delle compagini sociali delle BCC-CR (oltre 20 in più rispetto al maggio scorso), e altre sono in fase di costituzione e a trento c’erano oltre 250 giovani in rappresentanza dei tanti club giovanili nati in Italia negli ultimi anni. “E’ stata una importante occasione di crescita – racconta Michele Pierri – perché abbiamo potuto partecipare ad una iniziativa che ci ha portati ad incontrare tantissimi giovani che stanno facendo lo stesso percorso che noi abbiamo intrapreso da meno di un anno. Interessante è stata la sessione “seminariale”, con testimonianze qualificate interne ed esterne al Credito Cooperativo, e altrettanto importante e formativa è stato conoscere le nuove realtà associative e i progetti che nell’ultimo anno, e negli anni passati, sono stati elaborati dai gruppi. Abbiamo respirato aria di cooperazione, e quella stessa aria vogliamo adesso condividerla con i giovani soci nel nostro club di Fisciano. Chissà che non riusciamo a portare anche qui il Forum ed organizzarlo noi del Becoming”. I giovani hanno avuto la possibilità anche di ascoltare le parole di alcuni eminenti esponenti del mondo della cooperazione e non solo. Al forum erano infatti presenti il presidente di Federcasse Alessandro Azzi, il presidente della Cassa Rurale d’Anaunia che ha ospitato l’incontro Ivo Zucal e il presidente della Cooperazione Trentina (e neo nominato vice di Federcasse) Diego Schelfi. L’iniziativa ha visto la presenza anche del vicario della Diocesi trentina mons. Lauro Tisi, il direttore di Federcasse Sergio Gatti, Bepi Tonello che ha fondato in Equador la banca solidale Codessarollo, il direttore del Consorzio Melinda Luca Granata e Anne Schneider rappresentante dell’associazione tedesca delle banche cooperative. La conclusione della tre giorni di Trento è stata affidata al prof. Leonardo Becchetti ed Emanuele Spina di Federcasse che hanno tenuto un intervento sull’Unione Bancaria.