LUGLIO 2013 CIO LETTER Orientarsi in una fase critica Il tema dei mercati emergenti è ancora intatto? Nella lettera precedente, ad aprile, avevamo parlato di un certo numero di fattori che potrebbero pesare sull’economia globale e sui mercati finanziari nel corso dei prossimi anni. In quell’occasione abbiamo osservato che dopo la crisi il mondo è divenuto più instabile e che le ragioni di questa instabilità non sono destinate a scomparire in tempi brevi. Tra queste vi sono il debito crescente nei paesi sviluppati e l’instancabile stampa di moneta da parte delle Banche Centrali, che potrebbe indurre la creazione di nuove bolle. Inoltre vi sono i maggiori squilibri nella generazione di reddito, la disoccupazione, le crescenti tensioni sociali e la regolamentazione, talvolta non necessaria, in aumento. Giordano Lombardo Group Chief Investment Officer Abbiamo anche osservato che, sebbene ci siano degli elementi di instabilità, è sensato mantenere il sovrappeso sui mercati anzionari, specialmente quelli azionari. Perchè? Prima di tutto perché ci attendiamo rendimenti attesi più elevati di quelli offerti dalle obbligazioni. E’ vero che in un contesto guidato da tassi prossimi allo zero i mercati sono guidati prevalentemente dalla liquidità e che questo genera una maggiore volatilità dei prezzi, facendoli apparire più rischiosi. Ma ci chiediamo, è realmente questa la fonte di rischio che dovrebbe farci preoccupare? Crediamo che il “vero rischio”, inteso come probabile perdita di capitale, sia maggiormente presente nei mercati obbligazionari piuttosto che su quelli azionari, che offrono soddisfacente valore nel medio-lungo termine. Ammesso che si sia in grado di sopportare i picchi di volatilità nel breve periodo. Ci rendiamo conto che, grazie alle iniezioni di liquidità delle Banche Centrali, i mercati azionari hanno largamente anticipato e in qualche modo favorito l’effettivo miglioramento dell’economia reale che sarebbe necessario a sostenere nuovi guadagni sui mercati anzionari anche nei prossimi anni. Pertanto sarà importante monitorare i progressi fatti nelle diverse aree del panorama economico globale in termini di aspettative macroeconomiche e le conseguenti dinamiche dei profitti aziendali. La nostra percezione è che l’economia americana sia effettivamente migliorata nel settore privato (con la creazione di posti di lavoro e investimenti negli immobili residenziali) e che l’Europa stia ancora emergendo lentamente dalla recessione. Sul fronte macro, recentemente sono venuti alla luce due nuovi importanti elementi: il dibattito sul progressivo assottigliamento (il cosiddetto tapering) della politica economica estremamente accomodante della Fed e il cambiamento delle attese economiche per la Cina. Sul primo di questi fattori sono già state fatte diverse considerazioni e non abbiamo nulla da aggiungere al dibattito che riguarda la tempistica, se non il fatto che riteniamo che l’aspetto più rilevante per gli investitori non sia quando avrà inizio la variazione nella politica economica americana, ma cosa succederà ai mercati azionari quando i tassi cominceranno a crescere, probabilmente il prossimo anno. 1 Fatta salva ogni diversa indicazione, tutte le valutazioni e le opinioni espresse in questo documento sono quelle di Pioneer Investments e potrebbero essere modificate in qualunque momento in base al variare delle condizioni del mercato o del contesto di riferimento. Non vi è garanzia che i paesi, i mercati o i settori citati manifestino i rendimenti attesi. Prima dell'adesione leggere il KIID, che il proponente l’investimento deve consegnare prima della sottoscrizione, o il Prospetto disponibile sul sito internet www.pioneerinvestments.it, presso gli intermediari collocatori e gli uffici dei promotori finanziari. Luglio 2013 CIO LETTER │Distinguere il bene dal male Sull’obbligazionario crediamo che sarà fondamentale mantenere un approccio flessibile per aggiustare dinamicamente la duration e l’esposizione al credito e sfruttare attivamente i cicli di breve periodo su tassi e spread tenendo conto che, da questi livelli, i tassi possono muoversi in un’unica direzione: verso l’alto. Bisogna ammettere che la “mini turbolenza” registrata in giugno sui mercati obbligazionari non ci ha sopreso molto, specialmente sul fronte degli emergenti. I prezzi delle obbligazioni sono calati bruscamente, ma siamo stati in grado di mitigare gli effetti negativi grazie al nostro approccio flessibile e con un profilo di rischio più contenuto (in termini di duration e di esposizione al rischio di credito). I cambiamenti nella politica economica cinese possono avere implicazioni profonde per l’economia globale Quel che ci ha sorpreso di più è stata invece la brusca inversione di rotta della politica economica cinese, che può avere implicazioni profonde per i mercati emergenti e per l’economia globale anche nei mesi a venire. La leadership cinese appena nominata appare più determinata dei propri predecessori ad accelerare le riforme necessarie a preservare la sostenibilità della crescita nel lungo termine, anche a costo di tollerare tassi di crescita più contenuti nel breve periodo. Da questo punto di vista, l’aggressiva stretta all’erogazione di prestiti da parte della Banca Centrale cinese in giugno ha portato alla cosiddetta “crisi SHIBOR” (dal nome attribuito al tasso interbancario di Shangai) e ha preso i mercati alla sprovvista mettendo in luce un rischio rilevante per l’economia cinese: la necessità di correggere la distorsione della crescita alimentata dall’eccesso di credito (il credito totale cinese dovrebbe toccare la soglia del 240% del PIL nel 2013, con un aumento del 60% in 5 anni) fornendo i giusti “segnali” al mercato. La determinazione con cui leader cinesi vogliono rimuovere questa fonte di squilibrio, una crescente bolla sul credito, non è negativa per la Cina nel lungo termine e per la stabilità globale nel suo complesso. Tuttavia, non siamo in grado di quantificare l’impatto che vi sarà concretamente in termini di minore crescita nel breve periodo, ma sospettiamo che non si tratti di una misura trascurabile. Questo avrà ripercussioni anche su altre economie emergenti oltre che sull’economia globale. A luglio il Fondo Monetario Internazionale ha rivisto al ribasso le stime sulla crescita degli emergenti, con aspettative di una “modesta” crescita del PIL nell’ordine del 5% nel 2013 e del 5,5% nel 2014, ben al di sotto della media a 10 anni pari al 6,5%. Ora la domanda è: le migliori prospettive economiche dei paesi sviluppati saranno sufficienti per compensare una crescita meno rapida degli emergenti? La nostra asset allocation globale ha alleggerito l’esposizione ai Mercati Emergenti, prima obbligazionari e poi azionari 2 Data l’importanza dell’economia cinese e di quelle emergenti nel quadro globale, crediamo che l’effetto contagio non sarà modesto e potrebbe condurre ad una fase di minore crescita globale. Inoltre, una crescita cinese più lenta e maggiormente dipendente dai consumi interni potrebbe modificare il mix di paesi, settori e aziende che potrebbero beneficiare o essere penalizzati da un rallentamento cinese. Tra i beneficiari di questo cambiamento troviamo, ad esempio, i produttori globali di beni di consumo ed i fornitori di servizi, mentre i produttori di commodity e di semilavorati risulteranno penalizzati. Questo significa che ci sarà molto lavoro da fare per i nostri analisti e che potrebbero presentarsi numerose opportunità di selezione titoli! In termini di asset allocation globale, nel corso del secondo trimestre abbiamo progressivamente ridotto l’esposizione ai mercati emergenti ed alle asset class fortemente legate a questi mercati, prima sul fronte obbligazionario e successivamente su azionario e commodity. Contestualmente abbiamo ribilanciato i rischi sui mercati sviluppati, in particolare sull’azionario USA e Giappone. Continuiamo a preferire l’azionario europeo a quello americano perchè crediamo che le valutazioni di quest’ultimo riflettano già pienamente la loro capacità di generare valore, in termini di utili attesi. Non siamo particolarmente preoccupati dal trend degli utili, che ci aspettiamo rimangano elevati negli Stati Uniti. Tuttavia, sulla base delle valutazioni correnti è difficile aspettarsi ritorni Fatta salva ogni diversa indicazione, tutte le valutazioni e le opinioni espresse in questo documento sono quelle di Pioneer Investments e potrebbero essere modificate in qualunque momento in base al variare delle condizioni del mercato o del contesto di riferimento. Non vi è garanzia che i paesi, i mercati o i settori citati manifestino i rendimenti attesi. Prima dell'adesione leggere il KIID, che il proponente l’investimento deve consegnare prima della sottoscrizione, o il Prospetto disponibile sul sito internet www.pioneerinvestments.it, presso gli intermediari collocatori e gli uffici dei promotori finanziari. Luglio 2013 CIO LETTER │Distinguere il bene dal male nominali di medio termine superiori al 6% o 7%, specialmente poichè ogni aumento atteso dei tassi potrebbe porre un freno alla necessaria ulteriore crescita dei multipli azionari. Le variabili macroeconomiche per i mercati emergenti sono meno importanti delle valutazioni azionarie basate sugli utili attesi La decisione più dura da prendere è quella legata ai mercati emergenti. Nel breve termine, il recente ribasso delle azioni dei paesi emergenti si può tradurre in valutazioni più interessanti, sia in termini assoluti che relativi, ed è possibile un rimbalzo dai livelli attuali. Il vero dubbio però è se la più lenta crescita attesa negli emergenti sia già pienamente scontata dai prezzi di mercato, perché se così non fosse ci si potrebbe aspettare una nuova flessione delle azioni e delle obbligazioni dei paesi emergenti. Una considerazione di base da fare riguardo a questi paesi è che la relazione tra crescita economica e ritorni di mercato non è scontata: negli ultimi due anni la crescita del PIL strutturalmente più rapida degli emergenti non è corrisposta ad una migliore performance relativa del comparto azionario dei paesi emergenti. La ragione è da individuarsi nel fatto che la migliore o peggiore performance è stata maggiormente legata alle valutazioni relative (e assolute) rispetto agli utili aziendali attesi piuttosto che al tasso di crescita economica di per sé. Mercati emergenti: le valutazioni contano Fonte: Bloomberg, dati al 30 giugno 2013. Indici MSCI World for Developed Markets e MSCI EM for Emerging Markets. I mercati emergenti sono ancora lontani dall’essere un gruppo omogeneo, e le forti differenze esistenti sul piano micro e macro richiedono un approccio selettivo 3 Per il momento preferiamo mantenere il sottopeso sulle obbligazioni emergenti, che continuano a non avere valutazioni appetibili, principalmente per il premio per il rischio di credito relativamente contenuto, mentre vorremmo cogliere le opportunità sull’azionario emergente in maniera sempre più selettiva. Occorre cioè evitare quei paesi e quei settori in cui i fondamentali sono già correttamente scontati dal mercato per concentrarsi invece su quelli dove le inefficienze del mercato, manifestatesi ad esempio in eccessivi ribassi in fasi negative, offrono storie di valutazione interessanti. Da lungo tempo affermiamo che considerare i paesi emergenti, o anche solo i BRIC (Brasile, Russia, India e Cina), un gruppo omogeneo è un errore. Le differenze, sia micro che macro, sono così ampie da consentire di prendere decisioni sul singolo paese o settore, specialmente in uno scenario di crescita rallentata per gli emergenti. Per esempio, tra i BRIC, la Cina non è l’unico paese ad affrontare sfide macroeconomiche, visto che anche India e Brasile hanno abbondanti disavanzi delle partite correnti, prestandosi a possibili rischi valutari. Riguardo alla Cina, la recente flessione dell’azionario è probabilmente già in una fase avanzata e questo ci fa sentire abbastanza tranquilli riguardo al nostro posizionamento, consapevoli del fatto che la capacità di selezionare correttamente i settori ed i titoli su cui puntare rimane cruciale. Fatta salva ogni diversa indicazione, tutte le valutazioni e le opinioni espresse in questo documento sono quelle di Pioneer Investments e potrebbero essere modificate in qualunque momento in base al variare delle condizioni del mercato o del contesto di riferimento. Non vi è garanzia che i paesi, i mercati o i settori citati manifestino i rendimenti attesi. Prima dell'adesione leggere il KIID, che il proponente l’investimento deve consegnare prima della sottoscrizione, o il Prospetto disponibile sul sito internet www.pioneerinvestments.it, presso gli intermediari collocatori e gli uffici dei promotori finanziari. Luglio 2013 CIO LETTER │Distinguere il bene dal male L’aumeno dei tassi non ha penalizzato le azioni americane e l’indice S&P è cresciuto alla fine dell’ultimo ciclo di aumenti Tornando al potenziale impatto sui mercati azionari di un aumento dei tassi nei prossimi 12-18 mesi, abbiamo effettuato un’analisi sul mercato americano individuando i fattori che hanno contribuito ad un aumento dei tassi negli USA e ne abbiamo studiato gli effetti sull’indice S&P500. Quel che abbiamo osservato è che negli ultimi 40 anni il tasso di inflazione e la disoccupazione spiegano circa il 70% delle manovre restrittive con aumento dei tassi da parte della Federal Reserve. L’analisi mostra anche che storicamente la Fed ha attribuito maggiore importanza all’inflazione piuttosto che alla disoccupazione. Il restante 30% dei casi può essere spiegato da una varietà di fattori, tra cui lo stato del settore bancario, gli aggregati monetari e le riserve bancarie. Se ci soffermiamo sugli ultimi 5 principali cicli di politica monetaria restrittiva e guardiamo agli impatti sul mercato azionario americano, rappresentato dall’indice S&P500, vediamo che il risultato non è stato così negativo. A parte la reazione iniziale (generalmente al ribasso) l’S&P500 è stato in grado di compensare la flessione – della durata media di 2 trimestri (il caso peggiore si è registrato negli anni ’70 ed è durato 5 trimestri) - ed in tutti i 5 casi che abbiamo analizzato ha finito per registrare dei guadagni alla fine del periodo di aumento dei tassi, come evidenziato dalla tabella sottostante. Le principali 5 manovre restrittive della Federal Reserve dal 1975 al 2006 Trimestre iniziale 31/12/1975 Trimestre finale 31/03/1980 Tasso iniziale Fed Fund 4,875 Tasso finale Fed Fund 20 ∆ tasso 15,125 Valore iniziale S&P500 90,19 Valore finale S&P500 102,09 Guadagno complessivo 13,2% Perdita massima (drawdown) -8,4% 30/09/1986 31/03/1989 5,875 9,75 3,875 231,32 294,87 27,5% -23,2% 30/09/1993 30/06/1995 3 6 3 458,93 544,75 18,7% -4,4% 31/12/1998 29/12/2000 4,75 6,5 1,75 1229,23 1320,28 7,4% -8,1% 30/06/2003 29/06/2007 1 5,25 4,25 974,5 1503,35 54,3% -2,6% Fonte: Bloomberg, US Federal Reserve Quel che vogliamo evidenziare con questa analisi è che l’azionario potrebbe essere in grado di sopportare un “buon” aumento dei tassi di interesse, stimolato da prospettive economiche in miglioramento, piuttosto che un aumento “cattivo”, scaturito da attese di aumento dell’inflazione. Cosa accadrà questa volta? Al momento non vediamo nessun rischio inflattivo immediato negli USA, ma le prospettive più a lungo termine sono incerte e continueremo a monitorarle con cautela. Giordano Lombardo Group CIO 4 Fatta salva ogni diversa indicazione, tutte le valutazioni e le opinioni espresse in questo documento sono quelle di Pioneer Investments e potrebbero essere modificate in qualunque momento in base al variare delle condizioni del mercato o del contesto di riferimento. Non vi è garanzia che i paesi, i mercati o i settori citati manifestino i rendimenti attesi. Prima dell'adesione leggere il KIID, che il proponente l’investimento deve consegnare prima della sottoscrizione, o il Prospetto disponibile sul sito internet www.pioneerinvestments.it, presso gli intermediari collocatori e gli uffici dei promotori finanziari.