east40_La_primavera_della_finanza

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Risvegli
di Antonio Barbangelo
La stagnazione economica è l’esito delle rivolte del
2011. Crescita zero per Tunisia ed Egitto, -45% per
la Libia. La crisi potrebbe lasciare spazio alla cosiddetta finanza islamica, un mondo finanziario parallelo a quello occidentale, finora sconosciuto in questi Paesi.
Ripresa economica e ruolo della finanza
nei Paesi della Primavera araba
I
Paesi protagonisti della Primavera araba stanno (con
fatica) rimettendo in moto l’economia, grazie anche alla ricca rete di rapporti economici con l’Europa. Un ruolo privilegiato e molte opportunità si presentano per l’Italia. Nonostante l’incerto quadro economico e sociale solo il 10 % delle imprese a livello mondiale si dichiara meno propenso a operare in queste regioni. La finanza sharia compliant – finora poco presente in Nordafrica – è destinata a crescere, soprattutto in Egitto e Libia. Per la ricostruzione cresce l’importanza dei flussi finanziari provenienti dai Paesi del Golfo Persico, dove le finanza islamica è più forte.
Recentemente, in dicembre, è stato lanciato un allarme
dalla Banca centrale di Tunisia (Bct): “Prosegue l’incertezza negli investitori locali e stranieri, insieme al deterioramento di numerosi indicatori economici”, sottolinea il Cda dell’istituto centrale guidato da Mustapha Ka-
Bloomberg via Getty Images / S. Baldwin
La Primavera
della finanza
DOSSIER
Operatori finanziari al lavoro
presso la Borsa del Cairo.
numero 40 . febbraio 2012
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Risvegli
mel Nabli, economista, nominato governatore della Bct
dopo le rivolte del gennaio 2011. “È indispensabile dare
prova di saggezza per assicurare l’avviamento dell’azione del governo e il funzionamento normale degli ingranaggi dello Stato nel più breve tempo possibile”. Dopo la
Primavera araba, che ha consentito di abbattere vecchi regimi in una parte del Nordafrica e ha scosso lo Yemen e il
Bahrein, gli Stati coinvolti stanno moltiplicando gli sforzi per rimettere in moto l’economia, condizione indispensabile per creare una nuova stabilità a livello sociale. I governi che si trovano ad affrontare la situazione più
difficile sono quelli tunisino, egiziano e yemenita, per
non parlare dei problemi che deve superare il Cnt libico
dopo dieci mesi di guerra civile, o della situazione drammatica che vive la Siria.
Secondo i dati del Fondo monetario internazionale,
elaborati da Ubs (Unione banche svizzere), la stima di crescita del Pil in Egitto e in Tunisia nel 2011 è pari a zero.
Riguardo alla Libia lo stesso studio indica per il 2011 una
stima con “alto livello di incertezza”, che si attesta su un
-45 %; per la Siria si va da -10% per lo scorso anno a -5%
sul 2012. Anche lo Yemen crolla, da un incremento
dell’8% nel 2010 a una stima di -2,5% per lo scorso anno
e di -0,5% nel 2012.
Sembra più rosea la situazione in altri Stati interessati
da rivolte di varia natura: in Algeria la ricchezza prodotta nel 2011 dovrebbe attestarsi su un +2,9%; il Marocco
dovrebbe segnare un +4,6%; mentre la stima per il Bahrein è +1,5% per il 2011 e +3,6% quest’anno [VEDI TABELLA]. In Egitto lo scorso anno si è registrata una fuga di capitali pari a 9 miliardi di dollari. In Tunisia il tasso di disoccupazione ufficiale è del 17%, la crisi ha toccato tutti
i settori, in particolare quello del turismo: secondo alcune stime il 2011 ha visto il comparto perdere l’80% dei ricavi. Già in aprile – tre mesi dopo la caduta del regime di
Ben Ali – erano senza lavoro 450mila addetti del settore.
tinuare ad attirare player economici e capitali dall’Europa e dal resto del mondo. Prendiamo l’esempio dei nostri
“vicini” in Tunisia. «Il Paese magrebino è il nostro secondo partner commerciale dopo la Francia», spiega Ferruccio Bellicini, segretario generale Ctici (Chambre Tuniso
Italienne de Commerce et d’Industrie) a Tunisi. «Inoltre
la Tunisia è la nazione del continente africano che ospita il maggior numero di aziende italiane: circa 850, il 70%
delle quali sono in regime off shore».
Il comparto tessile e abbigliamento è al primo posto,
con 350 aziende, ma non mancano i nomi più importanti dell’industria delle Penisola: Eni, Fiat Auto, Piaggio,
Todini, Astaldi, Benetton e molti altri. Nei due anni che
hanno preceduto la Rivolta dei gelsomini lo Stato magrebino ha avuto una crescita del Pil del 3,1% e, tra il 2003 e
il 2008, uno sviluppo medio superiore al 4%. Ampie potenzialità sono presenti anche in Egitto. Nei tre anni prePersone in fila di fronte a una banca a Tripoli.
DOSSIER
cedenti la crisi finanziaria mondiale il Paese delle piramidi era cresciuto in media del 7% all’anno e, secondo la
banca spagnola Bbva, l’economia egiziana avrebbe superato quella del Sudafrica entro il 2013. Oggi il nuovo governo guidato da Kamal el Ganzouri ha annunciato misure di austerità per ridurre il deficit di bilancio e ha varato un ampio piano di rilancio dell’economia, che dovrebbe agevolare la riapertura di 1600 fabbriche chiuse
nel corso del 2011.
L’International Business Report (Ibr), lo studio presentato l’estate scorsa da Grant Thornton International Ltd.
(organizzazione di enti indipendenti – come società di revisione e di consulenza – presente in 100 Paesi) rivela
che, mentre nella regione Arab Spring permane un clima
di instabilità politica, il 22% delle imprese familiari su
scala globale ritiene che i disordini abbiano avuto un impatto negativo sulla loro attività. Tuttavia solo il 10% delle imprese a livello mondiale si dichiara meno propenso
a operare in queste regioni.
Interessante il capitolo sull’Italia. «L’82% delle imprese italiane non ha riportato alcuna conseguenza al passaggio della Primavera araba», spiega Giuseppe Bernoni,
managing partner dello Studio Bernoni Professionisti
Associati, member firm di Grant Thornton. «Per questo il
90% non ha rivisto i propri piani di investimento nei Paesi del Medio Oriente e del Nordafrica».
Nonostante l’instabilità del quadro politico e sociale
nella regione, negli ultimi mesi si sono moltiplicati i link
tra economia del Vecchio Continente e i Paesi della Primavera araba. Nel settembre 2011 a Roma è stato siglato
un accordo, che costituisce il primo tassello di quello che
sarà il Mediterranean Partnership Fund, un fondo per
supportare lo sviluppo delle imprese nell’area Mena
(Middle East and North Africa), in particolare le pmi. La
firma è stata posta da Associazione bancaria italiana, Simest (Società italiana per le imprese all’estero) e Uab
(Union of Arab Banks), l’associazione cui fanno capo 340
banche dei Paesi appartenenti alla Lega Araba. «Per ora
una serie di soggetti interessati da questo progetto sta “ragionando” sulla costituzione del fondo», spiega Pierfrancesco Gaggi, responsabile del servizio relazioni internazionali dell’Abi. «Nell’arco di qualche mese il progetto
dovrebbe entrare in una fase operativa». Tra gli attori
coinvolti figurano: UniCredit, Intesa-Sanpaolo, Università di Roma Tor Vergata, Promos (CdC di Milano), Islamic Development Bank, Association des Banques du Liban e altri soggetti del mondo finanziario.
Il petrolio e i pacchetti azionari della Libia
Anche capitali europei per la ripresa economica
ome potrà avvenire la ripresa economica nei Paesi
protagonisti della Primavera araba? I percorsi si capiranno meglio nei prossimi mesi e avranno un’impronta diversa da Paese a Paese. Di certo tutti questi Stati possono contare – in varia misura – sul fatto di possedere
know how, materie prime e finanza in misura tale da con-
Afp / Getty Images / A. Baz
C
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n Libia i capitoli più importanti sono costituiti dall’estrazione di petrolio e dalla ricostruzione di infrastrutture distrutte lo scorso anno. Membro dell’Opec, la
Libia è il quarto produttore di petrolio in Africa, dopo Nigeria, Algeria e Angola. Prima della guerra produceva 1,6
milioni di barili di oro nero al giorno; a fine dicembre
l’estrazione era ripresa per circa il 70%.
L’Eni continuerà a occupare una posizione di rilievo
per l’estrazione del greggio libico, mentre le pmi italiane (già presenti o meno nel Paese) stanno facendo i conti con la “concorrenza” e il pressing di altri Paesi europei (Francia in testa), decisi a creare nuovi business in
Nordafrica. L’Italia sta puntando su nuovi accordi bilaterali intergovernativi e singole partnership. Tra le ulti-
I
east . europe and asia strategies
numero 40 . febbraio 2012
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Risvegli
Il ruolo della finanza islamica. Cosa cambierà?
na delle questioni principali scaturite dale rivolte
della Primavera araba nella regione è il ruolo che
avrà in futuro la finanza islamica, cioè il ricco universo
della finanza sharia compliant [VEDI BOX]. «Oggi le banche nel Nordafrica che hanno radici sharia compliant sono in netta minoranza», aggiunge il dirigente di Banca
U
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La Banca centrale della Tunisia.
LA FINANZA REGOLATA DALLA SHARIA
a finanza islamica segue i principi della sharia, la legge
islamica che, in materia di credito, si basa su tre pilastri
principali: divieto di chiedere interessi, considerati una forma di usura; condivisione dei rischi e dei profitti tra creditore e debitore; obbligo di appoggiare tutte le transazioni finanziarie su un attivo reale. Secondo il Corano il denaro non
può generare altro denaro stando fermo: deve essere investito in attività concrete e produttive (come gli immobili). Le
banche, per esempio, non concedono mutui per comperare una casa, perché gli interessi sul prestito non sono leciti
secondo la sharia: l’istituto di credito allora acquista direttamente l’appartamento e lo affitta al cliente, che paga delle rate alla banca per un certo numero di anni, dopodiché il
cliente diventa proprietario della casa. Anche le obbligazioni (i sukuk) si muovono su un altro binario. La finanza sharia compliant, quindi, necessita di un proprio tipo di regolamentazione, che è presente in Paesi arabi di alcune aree
(Golfo Persico), ma è assente in altre (Nordafrica).
L
INCREMENTO ANNUO DEL PIL (IN %)
2010
2011*
GOLFO
ARABIA SAUDITA
4,1
6,5
4,1
1,5
BAHREIN
EMIRATI ARABI UNITI
3,2
4,2
3,4
5,7
KUWAIT
4,1
4,4
OMAN
QATAR
16,6
18,7
NORDAFRICA E MEDIO ORIENTE
ALGERIA
EGITTO
GIORDANIA
LIBANO
LIBIA
MAROCCO
SIRIA
TUNISIA
YEMEN
2010
3,3
5,5
2,3
7,5
4,2
3,7
3,2
3,1
8,0
2011*
2,9
0,0
2,5
1,5
[-45,0]
4,6
[-10,0]
0,0
-2,5
2012*
3,6
3,6
3,2
4,5
3,6
6,0
2012*
3,3
3,3
2,9
3,5
[30,0]
4,6
[-5,0]
3,9
-0,5
Fonte Fondo monetario internazionale, Ubs
* Stime
In parentesi quadra le stime con “alto livello di incertezza”
east . europe and asia strategies
Monte Paschi. «In Egitto sono il
4,9% degli attivi, in Algeria l’1,1%
e in Marocco e Libia non ce ne sono. Ci sono banche arabe, ma non
sharia compliant. Chi ha governato fino a pochi mesi fa in Libia,
Egitto e Tunisia non aveva interesse a dare spazio alle posizioni filoislamiche, né con la stampa, né con
il sistema finanziario. Infatti i prodotti sharia compliant hanno sofferto di mancanza di marketing». I
sukuk – titoli di debito sharia compliant – emessi finora nel Nordafrica sono appena quattro: tutti in Egitto, per 250 milioni di
dollari, rispetto ai 18,8 miliardi di dollari di sukuk emessi nel 2011 a livello mondiale.
Con i nuovi regimi cosa cambierà? «I mutamenti istituzionali che si sono verificati nel Nordafrica hanno determinato uno spostamento della componente di natura filoislamica», sottolinea Rony Hamaui, amministratore delegato di Mediofactoring Intesa Sanpaolo e docente di
Economia monetaria all’Università Cattolica di Milano.
«Questo dato avrà un’influenza positiva sulla finanza
islamica, perché i precedenti regimi ne avevano, di fatto,
ostacolato lo sviluppo». Secondo alcuni osservatori la
sterzata più forte a favore della finanza legata alla sharia
sta avvenendo in Egitto e in Libia. Al Cairo il partito Al
Nour (salafita) avrebbe manifestato l’intenzione di sostituire le 39 banche tradizionali del Paese con banche islamiche; mentre in Libia il presidente del Cnt, Abdel Jalil,
nella sua dichiarazione per la liberazione nazionale, ha
annunciato un’apertura storica alla finanza islamica.
Questo fenomeno, però, trova una spiegazione nel fatto
che alcuni Paesi del Nordafrica starebbero “strizzando
l’occhio” ai Paesi del Golfo Persico – dove la finanza sharia compliant è molto forte – con l’obiettivo di attrarre
flussi di finanziamenti per ricostruire le infrastrutture e
dare impulso all’economia.
numero 40 . febbraio 2012
Bloomberg via Getty Images / T. Snapp
me iniziative di rilievo vi è stata in dicembre la firma di
un accordo tra Banca popolare di Vicenza e Banca Ubae,
istituto di credito libico con sede a Roma. Obiettivo: sostenere l’export delle imprese italiane nell’area Mena.
Banca Ubae è controllata al 67,55% dalla Libyan Arab Foreign Bank, colosso creditizio dell’ex Jamahiriya, di proprietà della Central Bank of Libya. La rete di rapporti economici con il Paese nordafricano è fitta.
Biagio Matranga, direttore generale di Banca Ubae è
uno dei quattro vicepresidenti di Assafrica e Mediterraneo – organismo del Sistema Confindustria che sostiene
le imprese italiane in Africa e Medio Oriente, presieduto da Fausto Aquino. Dopo la fine dell’embargo (nel
2003) la finanza libica è diventata molto attiva e ha incremento gli investimenti internazionali, usando anche
il fondo sovrano Libyan Investment Authority. Tra i tasselli più importanti del puzzle finanziario libico nella Penisola c’è la Arab Banking Corporation (ha una filiale a
Milano dal 1992), banca con sede nel Bahrein, ma controllata dalla Banca centrale libica.
Nella classifica delle migliori 50 banche africane il peso dei cinque Paesi a Nord del continente è significativo:
350 miliardi di dollari di attivi, pari al 35% del totale. In
posizione di leader si trova l’Egitto, con 22 banche tra le
top 50. «Il peso dello Stato nell’azionariato delle banche
oggi è molto forte in Algeria ed era rilevante nella Libia di
Gheddafi», afferma Alessandro Santoni, responsabile
Area pianificazione strategica research & investor di Banca Monte Paschi di Siena. «Ma in altri Paesi, come Tunisia, Egitto o Marocco, le banche pubbliche sono meno della metà. È probabile che dove è avvenuto un cambio di regime, possa aumentare il peso dello Stato. I bilanci di numerose banche del Nord Africa sono stati appesantiti negli ultimi mesi da importanti emissioni governative per
finanziare la ricostruzione. Titoli pubblici che le banche
devono comprare, soprattutto in Egitto e in Tunisia».
DOSSIER
In Arabia Saudita la finanza islamica rappresenta il
40% degli attivi, in Iran il 100%, in altri Stati del Golfo il
60%. Uno dei Paesi dove la finanza islamica si è rafforzata di più negli ultimi anni è il Bahrein, che conta 27 banche che operano in conformità alla sharia; fuori dal Golfo è robusta in Malesia, dove registra il 30% degli asset.
Secondo alcune stime le banche islamiche nel mondo
crescono a un tasso annuo del 15% e il loro giro d’affari è
pari all’1% del mercato finanziario globale. Da parte sua
l’economia “occidentale” è sempre più interessata alla finanza islamica: qualche anno fa in Francia Société Générale è stata la prima banca europea a creare un hedge fund
regolato dalla sharia; e più recentemente Goldman Sachs
ha emesso dei sukuk. E si moltiplicano incontri e summit
dove si confrontano i due “mondi”, come quello svoltosi nel giugno scorso a Roma (Arab Banking Summit
2011), cui hanno partecipato anche rappresentanti dell’Union of Arab Banks. Intanto le banche arabe nel loro
complesso sembrano voler dialogare con i nuovi governi
e volersi confrontare con i processi di transizione in corso. In novembre si è svolta in Libano la tradizionale conferenza annuale dell’Uab. Emblematico il titolo del summit: Future of the Arab World in Light of Recent Transitions (‘Il futuro del mondo arabo alla luce delle recenti
transizioni’).
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