Ascesa e sviluppo della finanza Islamica

Ascesa e sviluppo della finanza Islamica
La nascita della moderna finanza islamica deriva dalla volontà dei musulmani di rispettare la
sharia, la legge religiosa derivante dal Corano che regola tutti gli aspetti della vita dei fedeli.
Tale legge da sempre vieta il riba, l’interesse che richiedono usurai e banche occidentali ed il
gharar, qualsiasi tipo di speculazione basata unicamente sul denaro, invece che su investimenti
reali. Per la finanza islamica basata sulla sharia, il denaro non può generare altro denaro, come
succede negli hedge funds e nei private equity, ma deve funzionare solo come strumento per
migliorare la produttività dell’economia reale. Durante la colonizzazione dei paesi islamici nel XIX
secolo, numerosi leader religiosi ed altre personalità del mondo musulmano, profondamente
critici verso le banche occidentali che imponevano il loro sistema finanziario ai paesi colonizzati,
cominciarono ad auspicare una finanza islamica basata sulla sharia, che vieta tra l’altro ogni
attività che abbia come oggetto unicamente il rischio, come il gioco d’azzardo. Tuttavia le banche
(ed in generale il potere economico) erano nelle mani dei colonizzatori occidentali e le popolazioni
si vedevano costrette ad utilizzarle. Negli anni ’50 del XX secolo, con l’indipendenza, alcuni paesi
come Egitto e Malesia iniziarono a fondare le prime istituzioni con il compito di utilizzare i risparmi
dei fedeli per investimenti compatibili con la sharia e per finanziare attività prescritte da essa,
come lo hajj, il pellegrinaggio annuale alla mecca ed il zakat, contributo annuali ai poveri, ma
nonostante queste prime iniziative, i capitali per fondare un tipo di finanza davvero alternativa a
quella occidentale scarseggiavano. Tutto cambia a partire dagli shock petroliferi del 1973-74 che
quadruplicano il prezzo del greggio e arricchiscono enormemente i paesi arabi produttori. In effetti
sono state proprio le grandi crisi che hanno colpito l’economia di tipo occidentale a favorire lo
sviluppo di quella islamica. Dopo le crisi petrolifere è stata la volta del crollo delle tigri asiatiche del
1997 e delle gravissime conseguenze dell’attacco terroristico dell’ undici settembre 2001.
Nel 1997, dopo anni di fortissima crescita, dovuta anche al grande afflusso di capitali occidentali in
cerca di manodopera, cinque paesi asiatici (Corea del Sud, Indonesia, Thailandia, Malesia e
Filippine) assistono ad un incredibile deflusso di capitali che scatena una crisi improvvisa e
irrefrenabile. Ancora si discute delle reali cause di questa crisi, ma è fuori di dubbio che la maggior
parte dei capitali occidentali hanno abbandonato le ex-tigri asiatiche per confluire in Cina dove
hanno trovato condizioni economiche ancora più favorevoli ed hanno trasformato il paese in una
sorta di “fabbrica del mondo”. A quel punto mentre il Fondo Monetario Internazionale cerca
inutilmente di salvare i paesi asiatici dal crack finanziario, il governo della Malesia, paese i cui
abitanti son per il 90% musulmani, rifiuta il pacchetto di salvataggio del fondo e chiede aiuto ai
ricchi islamici. Questi, tra cui Al Fayed, che aprirà un magazzino Harrod’s nella capitale malese,
Kuala Lumpur, sono ben felici di poter investire nel sistema di finanza islamica malese,
all’avanguardia all’epoca, rispetto a quelli che si sono poi sviluppati nel Barhein, negli Emirati Arabi
ecc. Qualcosa di analogo è successo dopo l’undici settembre quando per paura di ritorsioni
economiche e congelamento di beni da parte degli Stati Uniti, molti investitori arabi hanno
abbandonato la finanza occidentale in favore di quella islamica. L’attuale crisi finanziaria mondiale
è cominciata con quella dei mutui subprime e anche in questo caso la finanza islamica non è stata
colpita, ma anzi avvantaggiata. Questa infatti, che non tratta quel tipo di rischioso investimento,
come non ammette che si investa in attività proibite dalla legge islamica (come alcol, droga,
prostituzione e gioco d’azzardo) è secondo gli analisti destinata a crescere nei prossimi anni per
arrivare nel 2010 ad un giro d’affari da un trilione di dollari.
Maria Concetta Di Giovanni