48 Martedì 18 Settembre 2007 AZIENDA SCUOLA Scuola francese in crisi: il 40% dei bambini esce analfabeta dalle elementari Meno prof ma pagati meglio Il progetto di Sarkozy per rilanciare il sistema DI GIOVANNI SCANCARELLO S arkozy scrive ai prof per risollevare le sorti della scuola francese. Per il primo giorno di scuola, in 32 pagine di lettera consegnata ai docenti, il presidente spiega la sua ricetta liberal per uscire dalla crisi. L’appello rivolto agli insegnanti segue a ruota la denuncia del ministero dell’educazione francese che in uno studio dell’alto consiglio dell’educazione riscontra carenze gravi per gli studenti francesi che nel 40% dei casi, si legge, escono dalle elementari praticamente analfabeti. Quasi 300 mila giovani lasciano i maestri senza saper leggere, scrivere e far di conto. Un esercito di incompetenti in una società che tutto vuole meno che questo per riuscire a essere competitiva.Vale la pena ricordare come anche in Italia pesi la bocciatura dell’Ocse che giudica gli studenti quindicenni italiani fra i meno competenti al mondo in matematica e scienze: ai test di apprendimento in lettura, scienze e matematica Ocse-Pisa 2003, l’Italia è venticinquesima su 29, con un punteggio medio nazionale, fatto registrare dagli studenti italiani, di 466 su una media Ocse di 500 punti. Ma Sarkozy non ha lasciato cadere la denuncia e sfidando l’impopolarità ha proposto la sua idea per uscire dalla crisi, ritenendo necessaria una riduzione drastica della pianta organica degli insegnanti della repubblica e compensando il vuoto con la meritocrazia: più lavori - più guadagni, questo il motto del primo inquilino dell’Eliseo. Pare che per la scrittura della lettera Sarko stavolta si sia ispirato all’esempio di Jules Ferry, a suo tempo anch’egli illustre mittente di una lettera agli insegnanti, e nel suo intervento a Blois ha richiamato il corpo docente ad uno sforzo per la «rifondazione» della scuola. Non serve una scuola che guardi a ieri, dice Sarkozy, ma una scuola più meritocratica e orientata al rispetto delle regole e delle funzioni che deve svolgere per consentire al paese di contare su risorse umane competenti. Ma la scuola così com’è oggi, si legge nel rapporto dell’alto consiglio dell’educazione, «non riesce a compensare la disparità sociale» che esiste già prima che gli studenti arrivino a sedersi sui banchi di scuola. I bambini che dispongono di un ambiente favorevole a casa saranno avvantaggiati nell’apprendimen- Nicolas Sarkozy In arrivo la ricetta Ocse Sviluppo locale favorito dalla scuola. È il tema al centro del rapporto Ocse dal titolo «Higher Education and Regions: Globally Competitive, Locally Engaged» atteso per il 19 settembre 2007. Lo studio, che servirà da piattaforma di lancio per un documento, quello elaborato dall’Ocse appunto, che non mancherà di avere riflessi anche sul mondo della scuola. L’economia globale, si sa, favorita dallo sviluppo della società dell’informazione e delle sue tecnologie, richiede però livelli formativi ed educativi in grado di trasformare le opportunità in azioni e processi di reale e duraturo sviluppo. La scuola, intesa soprattutto come istituzione al centro del territorio, può giocare un ruolo strategico nella formazione dei profili professionali, nella certificazione delle competenze e nell’acquisizione di qualifiche professionali da parte degli studenti in coerenza con la realtà territoriale, con il tessuto della ricerca e sviluppo e della produzione di ciascuna regione e distretto territoriale. In tal senso va ricordato comunque nel nostro paese l’esperienza degli Ifts, percorsi formativi tecnici e tecnologici di livello superiore, aperti agli studenti del quinto anno delle superiori e ai diplomati, che costituiscono già un’esperienza concreta di collegamento forte fra istituzioni scolastiche, il mondo dell’università e della ricerca e dell’industria, coerente con i profili di sviluppo locale. Giovanni Scancarello to. Sarkozy giura che rimetterà tutto a posto, «la scuola è la prima voce all’ordine del giorno». Il capo dello stato sa di non essere popolare quando parla di riduzione degli insegnanti, ma sa anche che che non si può introdurre la questione meritocratica senza passare attraverso la cruna della ristrutturazione, per questo tenta la carta della seduzione dei docenti ricorrendo all’argomento salariale. L’opinione Quell’università allo sbando L’università italiana è allo sbando. E non è solo una questione di risorse, che pure sono scarse. I tagli della Bersani, tolti per il 2007, sono stati tra l’altro confermati per il 2008. Il punto più grave consiste nel fatto che non sembra esserci un governo che decida. Mussi aveva dichiarato di voler svecchiare l’università: l’unico risultato è stato il blocco dei concorsi di prima e di seconda fascia, cioè dell’unico strumento per dare spazio ai giovani più meritevoli. Mussi aveva annunciato di voler valutare l’università: si sono paralizzati Civr e Cnvsu, i precedenti istituti di valutazione, che avevano svolto un ottimo lavoro mentre il decreto istitutivo dell’Anvur, che doveva accorparli, non è ancora pronto. È stato anzi fatto oggetto di gravi rilievi da parte del Consiglio di stato, relativi alla stessa natura dei compiti di questa agenzia costruita invece come una Authority, al numero esagerato di unità direttive in rapporto alle funzioni ed agli addetti (alla faccia della riduzione dei costi della p.a.!) e ad altro ancora. Da più parti si è chiesto che le risorse e i nuovi posti di ricercatore vengano assegnati sulla base della valutazione degli atenei: il regolamento sui ricercatori che dava una prima risposta a queste istanze è bloccato e appare ormai a tutti viziato da incostituzionalità. Il ministro aveva detto di voler fare la guerra ai baroni ridando importanza al merito: il nuovo regolamento sui ricercatori dà un potere enorme alle lobby trasversali, distrugge le specializzazioni e difetta di razionalità laddove prevede che un oncologo possa essere valutato da uno storico della medicina o da un ingegnere. Ma Mussi, intervenuto in commissione, a questa mia obiezione, ha risposto che si valuteranno i curricula. È poi grave che dopo un anno e mezzo di governo non sia stato ancora approvato il Piano nazionale della ricerca e a settembre non siano stati ancora ufficialmente pubblicati i Prin, cioè non sono stati ancora messi a disposizione dei ricercatori italiani i soldi per finanziare le loro ricerche. La ricerca è dunque bloccata, e non era mai successo prima. Persino la famosa internazionalizzazione dell’università è stata messa in crisi dalla legge Bersani dello scorso anno che ha penalizzato le borse di studio per studenti stranieri. Senza parlare del rientro dei cervelli, che non solo ha finanziamenti pressoché nulli, ma che registra pure gravi ritardi nel rispondere alle richieste presentate. In compenso di questo sfascio, solo tanta propaganda. 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